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Document 52005AE1074

    Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le donne e la povertà nell'Unione europea

    GU C 24 del 31.1.2006, p. 95–101 (ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, IT, LV, LT, HU, NL, PL, PT, SK, SL, FI, SV)

    31.1.2006   

    IT

    Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

    C 24/95


    Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le donne e la povertà nell'Unione europea

    (2006/C 24/18)

    Il Parlamento europeo, in data 28 aprile 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema: Le donne e la povertà nell'Unione europea.

    La sezione specializzata Occupazione affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 settembre 2005, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice KING.

    Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 settembre 2005, nel corso della 420a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 79 voti favorevoli, nessun voto contrario e 2 astensioni.

    1.   Contesto

    1.1   La Giornata internazionale per l'eliminazione della povertà

    L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha deciso di celebrare, il 17 ottobre, la Giornata internazionale per l'eliminazione della povertà, al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica alla necessità di eliminare la povertà e l'indigenza in tutti i paesi.

    1.2   Le donne e la povertà nell'UE

    In occasione di tale giornata, il Comitato delle regioni, il CESE e il Parlamento europeo hanno deciso di elaborare ciascuno un documento sulle donne e la povertà nell'UE, contribuendo in tal modo al più ampio dibattito sulla natura della povertà nell'attuale Unione europea. Anche se tali documenti sono stati scritti partendo da angolazioni diverse, c'è stato un elevato grado di coordinamento tra le tre istituzioni comunitarie.

    1.3   Definizione di «Rischio di povertà»

    Le persone a rischio di povertà sono quelle che dispongono di un reddito inferiore al 60 % del reddito mediano nazionale. Il reddito, a sua volta, è definito come il reddito totale disponibile di un nucleo familiare diviso per il numero dei suoi componenti e attribuito a ciascuno di essi.

    1.4   Quadro di riferimento per la lotta alla povertà e all'emarginazione sociale nell'UE

    Nel 2000, gli Stati membri hanno deciso di elaborare una strategia europea per combattere l'emarginazione sociale e la povertà, ricorrendo al metodo aperto di coordinamento. Detta strategia prevede obiettivi concordati e l'obbligo per ciascuno Stato membro di presentare ogni due anni un piano d'azione nazionale rispondente a tali obiettivi. Gli indicatori messi a punto nell'ambito di tale strategia comprendono quattro dimensioni dell'integrazione sociale — situazione finanziaria, occupazione, sanità e istruzione. La parità tra uomini e donne non è però inclusa nella strategia in quanto obiettivo globale.

    Nel 1999, il Consiglio ha adottato una strategia concordata per modernizzare i sistemi di previdenza sociale, i quali sono uno degli strumenti fondamentali di lotta alla povertà e all'emarginazione sociale negli Stati membri dell'UE. La strategia si concentra su tre aspetti — le politiche a favore dell'integrazione sociale, la riforma delle pensioni e la riforma dell'assistenza sanitaria. Anche in questa strategia la parità tra i sessi non figura come obiettivo.

    Tenendo conto dei risultati dei recenti referendum sulla Costituzione europea, la presidenza britannica ha annunciato per ottobre 2005 una comunicazione sui regimi di previdenza sociale.

    1.5   Il quadro giuridico

    La maggior parte delle politiche che si occupano della povertà e dell'esclusione sociale restano di competenza degli Stati membri. Tuttavia, conformemente agli articoli 136 e 137 del Trattato, l'UE sostiene e completa, in modo attivo, l'azione degli Stati membri per combattere l'emarginazione sociale.

    L'articolo 13 del Trattato consente all'Unione europea di prendere i provvedimenti opportuni, anche sul piano legislativo, per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali.

    1.6   Livello di povertà nell'UE

    Nel 2001, il numero di persone considerate povere in termini di reddito relativo era molto elevato: più di 55 milioni di cittadini (pari al 15 % della popolazione dell'UE) erano infatti a rischio di povertà (1). Più della metà di queste persone potevano contare per lungo tempo solo su un basso reddito relativo. La proporzione varia notevolmente nei diversi Stati membri, dove la percentuale della popolazione a rischio di povertà oscilla tra il 9 % della Svezia e il 21 % dell'Irlanda. Generalmente questa situazione colpisce in misura molto maggiore le donne.

    1.7   Livello d'emarginazione sociale

    Più a lungo una persona è costretta a vivere con un reddito basso, più è grande il rischio di indigenza e di emarginazione dall'attività sociale, culturale ed economica. In tutti gli Stati membri, la metà, o più della metà, di coloro che nel 2001 erano esposti al rischio di povertà avevano vissuto per un lungo periodo con un reddito limitato, vale a dire che nell'anno in corso e almeno in due dei tre anni precedenti (ossia 1998-2000) il loro reddito era inferiore al 60 % del reddito medio. Nel 2001, in media il 9 % della popolazione dell'UE viveva in uno stato di povertà permanente. Anche in questo caso generalmente sono le donne a subire questa situazione in misura maggiore.

    1.8   Il contesto demografico e sociale dell'UE

    Il contesto demografico dell'UE sta radicalmente cambiando. Dopo un secolo di costante aumento, infatti, la percentuale della popolazione europea in età da lavoro tra breve comincerà a subire un declino. Gli ultra sessantacinquenni rappresentano il 16 % della popolazione totale mentre i minori di quindici anni ne costituiscono appena il 17 %, in un periodo in cui l'aspettativa di vita aumenta. Nei prossimi 15 anni il numero degli ultra ottantenni aumenterà di quasi il 50 % (2).

    Al tempo stesso, cambiano le strutture familiari. Vi sono meno matrimoni e contratti in età più avanzata, aumenta il numero delle separazioni e diminuisce il numero delle coppie con figli. Questi cambiamenti hanno determinato nuclei familiari tendenzialmente più piccoli, in tutti i gruppi di età. Il Premio Nobel per l'economia Gary Becker e il suo collega, il giudice Richard Posner affermano che tali cambiamenti possono essere ampiamente spiegati in termini economici (3). Essi sostengono che l'aumento del numero di donne che conseguono la loro indipendenza finanziaria lavorando fuori casa indica il passaggio dal «matrimonio patriarcale» (in cui il marito è il produttore di reddito e la moglie ha una posizione di dipendenza) verso un «matrimonio di partner». Vi è inoltre un aumento dei «costi opportunità» dell'avere figli: quanto più alto è il reddito e lo status professionale di una donna tanto più elevati saranno i sacrifici in termini di avanzamenti di carriera e di reddito cui dovrà rinunciare se se esce dal mercato del lavoro, temporaneamente o permanentemente, per avere dei figli.

    L'altro cambiamento importante è il notevole incremento del numero di figli che vivono con un solo adulto. Nel 2000, il 10 % dei bambini al di sotto dei quattordici anni vivevano con un solo adulto, mentre nel 1990 la cifra era del 6 %. Questo risultato è dovuto all'aumento nel numero dei divorzi, delle separazioni e delle gravidanze non desiderate.

    2.   Osservazioni generali

    2.1

    Il CESE accoglie favorevolmente l'opportunità di presentare il proprio punto di vista su questo argomento ma ritiene che il nocciolo del problema sia «La dimensione di genere e la povertà» e non «Le donne e la povertà». Questo metterebbe l'accento sulle relazioni e le differenze tra uomini e donne per quanto concerne le cause di questo fenomeno.

    Il Comitato raccomanda vivamente alla Commissione di ridefinire il concetto di povertà, in quanto la definizione attuale mette in risalto solo le cause più evidenti del fenomeno e sottovaluta il livello di povertà delle donne e l'impatto che tale povertà può avere. La definizione attuale parte dal presupposto che le risorse familiari vengono divise in parti uguali tra i membri della famiglia ma è possibile affermare che la povertà è vissuta sul piano individuale ed è pertanto a tale livello che dovrebbe essere analizzata, se si vuole tener conto della dimensione di genere.

    2.2

    Il CESE è lieto che la presidenza britannica abbia annunciato l'intenzione di riavviare il dibattito sui regimi di previdenza sociale e raccomanda vivamente di effettuare un'analisi dell'impatto dal punto di vista della dimensione di genere, per far sì che i regimi tengano conto delle necessità sia degli uomini sia delle donne. Implicitamente, si ipotizza che le donne contino sul reddito di un uomo. Tale presupposto, in contraddizione con la realtà della società moderna, è una delle ragioni principali del maggior rischio di povertà corso dalle donne.

    3.   Osservazioni specifiche

    3.1   L'incidenza del rischio di povertà

    Generalmente, il rischio di vivere in un nucleo familiare povero è più alto tra le donne. Nel 2001, il 16 % delle donne adulte (16 anni o più) disponeva di un reddito inferiore alla soglia di povertà, contro il 14 % degli uomini nella stessa fascia di età (4). Questo fenomeno è presente in tutti gli Stati membri. Il rischio di povertà più elevato si registra nelle famiglie monogenitore (35 % della media UE). L'85 % di queste famiglie fanno capo a una donna. Le più esposte al rischio di povertà sono le ragazze capo famiglia di età pari o inferiore ai 18 anni.

    Gli ultra sessantacinquenni sono esposti ad un rischio di povertà particolarmente alto. Due terzi degli ultra sessantacinquenni sono donne. Il livello di povertà è molto più elevato tra le pensionate sole, specie se ultra ottantenni o senza una pensione lavorativa. Una ragione fondamentale alla base di questa situazione è che con l'aumento dell'età le spese delle persone anziane pensionate crescono sempre più, soprattutto per i maggiori costi dell'assistenza sanitaria in riferimento ai bisogni legati alle disabilità e alla mobilità.

    Alcune ricerche indicano che le donne che si trovano di fronte a molteplici discriminazioni — per esempio le donne anziane, le donne che appartengono alle minoranze etniche o a gruppi di migranti, le donne disabili, le donne omosessuali — corrono un rischio ancora più elevato di esclusione sociale e povertà.

    3.2   L'influenza del mercato del lavoro sulla povertà e l'emarginazione sociale delle donne

    L'occupazione è un fattore essenziale d'integrazione sociale ed è considerata la via d'uscita più efficace dalla povertà, non solo perché crea reddito ma anche perché promuove la partecipazione sociale e lo sviluppo personale. Questo concetto si rispecchia negli obiettivi della strategia di Lisbona, in cui si afferma che entro il 2010 l'economia europea sarà «l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile, con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale». Per questo motivo, è indispensabile garantire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e conseguire entro il 2010 l'obiettivo di un tasso di occupazione femminile del 60 %. Nonostante il loro tasso di partecipazione al mercato del lavoro si stia avvicinando a quello degli uomini, anche le donne che hanno un lavoro retribuito non si sottraggono al rischio di povertà. Questo è dovuto al fatto che la partecipazione delle donne al mercato del lavoro si accompagna a notevoli problemi quali un elevato tasso di disoccupazione femminile nell'UE a 25 (5), la difficoltà di conciliare le responsabilità professionali e quelle domestiche, la tendenza alla segregazione e compartimentazione del lavoro femminile, la prevalenza di forme precarie di occupazione con una protezione sociale limitata e infine il divario retributivo tra uomini e donne esistente in tutti i paesi europei.

    3.2.1   Il divario retributivo

    Trent'anni dopo l'entrata in vigore della direttiva sulla parità retributiva (1975) le donne nell'UE hanno una retribuzione oraria media pari soltanto all'85 % del salario degli uomini (6). In molti paesi il divario è molto più ampio e si può arrivare a un differenziale del 33 %. Il CESE condivide l'indignazione della commissione FEMM del Parlamento europeo per l'esistenza di questo divario ed approva la raccomandazione fatta al Consiglio e alla Commissione di prendere appropriati provvedimenti per mettere fine a questa ingiustizia.

    3.2.1.1   I costi di opportunità della maternità

    Molti studi hanno attribuito questo fenomeno al fatto che le donne mettono al mondo i figli e dedicano alle cure dei figli molto più tempo degli uomini. La maggior parte delle donne abbandona il mercato del lavoro per almeno un periodo della loro vita. Invece, lo schema lavorativo maschile è generalmente stato quello di una presenza continua e a tempo pieno nel mercato del lavoro, dal momento in cui termina il ciclo d'istruzione fino alla pensione. L'abbandono del mercato del lavoro può avere effetti dannosi sul reddito. Un congedo di maternità implica una minore durata del contratto di lavoro, significa meno esperienza professionale accumulata durante gli anni e determina un minore accesso alla formazione rispetto agli uomini. Questo è dovuto al fatto che gli aumenti di stipendio vengono normalmente concessi a coloro che sono costantemente occupati per molti anni. In effetti, più l'interruzione è lunga, maggiore è lo svantaggio in termini finanziari.

    3.2.2   Il livello d'istruzione delle madri

    È più facile riscontrare una lunga interruzione per motivi di maternità nel curriculum professionale delle madri in possesso di titoli di studio inferiori. Se per le madri laureate il periodo di assenza dal mercato del lavoro si è ridotto, il comportamento delle madri meno qualificate non è cambiato. È più probabile che siano queste ultime ad abbandonare il lavoro fino a quando il figlio non avrà raggiunto l'età scolare, mentre le madri laureate tenderanno ad usufruire unicamente del congedo di maternità e poi a pagare qualcuno perché si occupi dei figli.

    Pertanto, le donne con un livello d'istruzione inferiore, che hanno la tendenza ad assentarsi più a lungo (e che hanno anche un reddito potenziale più basso già prima di essere madri) sono quelle maggiormente penalizzate sul piano finanziario.

    3.2.3   Le famiglie monogenitore

    Come affermato al punto 1.8, il numero delle famiglie monogenitore è aumentato e i dati a disposizione mostrano che i genitori single sono particolarmente esposti al rischio di povertà. Dato che l'85 % dei genitori single sono donne, si può parlare di un rischio di povertà particolarmente legato alla dimensione di genere. La causa principale di questo rischio è la scarsa partecipazione delle madri single alla vita lavorativa: solo il 50 % di esse rispetto al 68 % delle donne sposate (7). Contrariamente ai tassi di occupazione sempre più elevati delle madri in generale, il tasso di occupazione delle madri single è rimasto pressoché invariato.

    Secondo alcuni studi, la mancanza di strutture di custodia dei bambini a prezzi accessibili non è il solo ostacolo che i genitori single devono affrontare. Ve ne sono altri, ad esempio:

    i genitori single disoccupati non dispongono delle qualifiche necessarie per entrare nel mercato del lavoro (8). Quanto minori sono le loro qualifiche tanto minore sarà la loro possibilità di tornare sul mercato del lavoro. Ciò dipende certamente dalle disponibilità di opzioni abbordabili di ulteriore formazione professionale durante il periodo trascorso fuori dal posto di lavoro,

    i genitori single tendono a concentrarsi nelle aree geografiche in cui la domanda di manodopera è inesistente,

    i genitori single senza lavoro hanno maggiori probabilità di soffrire di problemi di salute o di dover accudire un figlio o un'altra persona la cui malattia o disabilità limitano le opportunità occupazionali (è una situazione vissuta da un genitore single disoccupato su dieci),

    i genitori single in situazione di estrema difficoltà hanno maggiori probabilità di cadere nella depressione, il che può a sua volta diventare un ostacolo al lavoro.

    Vi sono anche molti genitori single che devono occuparsi personalmente dei loro figli e cercano un lavoro i cui orari consentano di passare il maggior tempo possibile con i bambini e così combinare la cura dei figli con il lavoro. Molti di essi sono quindi obbligati a svolgere lavori precari, con retribuzioni più basse e minori garanzie sociali.

    3.2.3.1   Le gravidanze adolescenziali

    Le ragazze madri di 18 anni o meno sono particolarmente esposte al rischio di povertà. Nell'UE, il 6 % delle ragazze ha un figlio prima dei 18 anni. Questo dato varia dal 3 % in Italia, nei Paesi Bassi, in Spagna e Svezia al 12 % in Ungheria e in Slovacchia e al 13 % nel Regno Unito (9).

    I genitori adolescenti hanno più probabilità degli altri di vivere in povertà e di essere disoccupati, una situazione da cui difficilmente riescono a uscire soprattutto per la mancanza d'istruzione e per gli altri motivi citati ai punti precedenti. Ad esempio, il 45 % delle donne dell'UE a 15 che hanno avuto un figlio nella loro adolescenza provengono da famiglie con redditi compresi nei 20 % più bassi, mentre solo il 21 % delle donne che hanno avuto il primo figlio dopo i vent'anni si trovano in questo gruppo di reddito. Il 90 % dei genitori adolescenti riceve assistenza sociale e le madri adolescenti hanno maggiori probabilità delle altre madri single di fare affidamento come unica risorsa sui sussidi e questo per un periodo più lungo di tempo.

    Ridurre il numero delle gravidanze adolescenziali è diventata una priorità degli Stati membri in quanto permette di diminuire il rischio di povertà e il suo perpetuarsi da una generazione all'altra. Per ridurre il rischio di gravidanze delle adolescenti i diversi dibattiti condotti hanno ipotizzato tutta una serie di soluzioni: da una maggiore educazione sessuale ad una minore educazione sessuale, dall'educazione all'astinenza alla distribuzione gratuita di contraccettivi nelle scuole, dalla distribuzione di pillole del giorno dopo alla riforma delle prestazioni sociali per incoraggiare la convivenza e il matrimonio tra genitori adolescenti.

    I quattro Stati membri con il più basso tasso di natalità tra gli adolescenti possono essere presi ad esempio da altri Stati membri che devono affrontare il problema.

    3.2.4   La povertà sul lavoro

    L'aumento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro è il risultato dell'incremento delle forme di lavoro atipiche, ad esempio il part time, il lavoro ad orario flessibile, il lavoro a turno o a tempo determinato. Di media, il 27 % delle donne lavora part time contro il 4 % degli uomini (10). In effetti, il divario retributivo tra uomini e donne è più elevato nel lavoro part time che nel lavoro a tempo pieno. Il salario orario medio di una donna che lavora part time è pari al 60 % del salario orario di un uomo che lavora a tempo pieno, mentre tale percentuale sale all'82 % nel caso di una donna che lavora a tempo pieno.

    Le persone con titoli di studio inferiori, i lavoratori non dichiarati, gli appartenenti alle minoranze e infine gli immigrati con uno status giuridico limitato o senza uno status giuridico indipendente sono i gruppi particolarmente esposti al rischio di povertà in quanto svolgono attività generalmente mal retribuite, poco qualificate e precarie. Le ricerche indicano che le donne appartenenti a queste categorie affrontano, in casi estremi, rischi quali la tratta di esseri umani, la prostituzione e la violenza.

    3.2.5   Il lavoro non retribuito

    Le donne continuano a non essere pagate per il lavoro domestico. Anche per l'enorme numero di donne che svolgono un'attività retribuita, compiti quali la spesa, l'assistenza agli anziani o la cura dei figli sono considerate responsabilità femminili, visto che gli uomini assolvono meno del 40 % dei lavori domestici e solo il 25-35 % delle cure destinate ai figli (11). Questo lavoro non retribuito è ignorato sistematicamente dalle statistiche nazionali, ed è pertanto invisibile agli occhi dei politici.

    Va sottolineato che conciliare le responsabilità familiari e quelle professionali costituisce una vera e propria sfida per uomini e donne. Il tasso di occupazione delle donne che hanno figli di meno di 12 anni è inferiore di più del 15 % al tasso di occupazione delle donne senza figli (meno del 60 % contro il 75 %). Invece, il tasso di occupazione degli uomini con figli di meno di 12 anni è del 91 %, ossia di cinque punti in percentuale superiore al tasso di occupazione degli uomini senza figli.

    3.2.6   La disoccupazione di lunga durata

    Questo fenomeno è strettamente collegato al disagio sociale; senza un adeguato e tempestivo sostegno, infatti, i disoccupati di lunga durata tendono a perdere le capacità e l'autostima necessarie per un loro reinserimento nel mercato del lavoro. Nell'insieme dell'UE, il tasso di disoccupazione a lungo termine è più alto tra le donne (4,5 %) che tra gli uomini (3,6 %) (12). Eppure, i programmi volti a reintegrare i disoccupati di lunga durata nel mercato del lavoro retribuito tendono a beneficiare gli uomini, dato che alle donne si offre una formazione più limitata e si propongono posti di lavoro tipicamente femminili e, pertanto, con retribuzioni inferiori.

    3.2.7   Le pensioni

    3.2.7.1

    Gli svantaggi subiti dalle donne nel mercato del lavoro ed il divario retributivo che ne risulta si estendono anche al periodo della pensione. Questo perché in molti Stati membri il modello pensionistico è stato concepito da una prospettiva maschile e risulta discriminatorio verso le donne, molte delle quali interrompono la carriera, svolgono forme di lavoro atipiche o perdono la retribuzione per un certo periodo. Molte donne pertanto hanno difficoltà a maturare i necessari diritti alla pensione e a mettere da parte quanto basta per assicurarsi una serena vecchiaia. Due terzi dei pensionati sono donne e il loro reddito medio è pari al 53 % di quello di un uomo, cosa che può avere conseguenze sulla loro situazione, per quanta riguarda la salute, l'alloggio e la qualità di vita. Il 75 % dei pensionati che ricevono un sostegno finanziario a titolo di assistenza sociale sono donne. Questo fa sì che le donne anziane, incluse le vedove e le divorziate, siano le pensionate più povere e, viste le conseguenze a lungo termine dell'invecchiamento della popolazione sulla società europea, questa tendenza è destinata ad aggravarsi se non vi si pone rimedio.

    In un precedente parere, (13) il CESE ha raccomandato l'adeguamento dei regimi pensionistici per assicurare la parità tra i sessi, il cui obiettivo a lungo termine è quello di adattare le pensioni ai bisogni dei singoli individui. Il CESE ha inoltre raccomandato di trarre profitto dall'esperienza degli Stati membri affinché alcune categorie di donne, specie quelle che hanno interrotto la carriera, possano ricevere un'adeguata pensione.

    Nel precedente parere, il Comitato rilevava che in alcuni Stati membri il sostegno alla popolazione anziana può assumere, oltre alla pensione, una serie di forme diverse. Si tratta di tutta una gamma di meccanismi, per esempio, un'imposizione più favorevole, energia elettrica gratuita, trasporti pubblici gratuiti o a tariffe ridotte, sgravi fiscali per l'affitto. Questo aspetto è da considerarsi positivo in quanto le donne hanno maggiori probabilità degli uomini di invecchiare (per questioni di longevità) e di vivere in solitudine (sopravvivono al compagno), il che significa che hanno anche maggiori probabilità di far fronte ai problemi tipici dei pensionati più anziani. In genere, questi ultimi hanno minori entrate da guadagni e da investimenti ma al tempo stesso devono affrontare maggiori spese, legate alla disabilità, alle esigenze di mobilità e al deprezzamento dei beni.

    3.2.7.2

    Le donne che svolgono una forma di lavoro atipica, comprese quelle delle minoranze, le immigrate residenti legalmente o senza permesso di soggiorno, sono ulteriormente svantaggiate in quanto è più difficile per loro rientrare in un regime pensionistico professionale. Dato che gli uomini guadagnano di più nel corso della loro vita lavorativa, la loro pensione finale sarà più alta di quella delle donne. Inoltre, in passato il patrimonio accumulato a fini pensionistici era legato al percettore di salario principale, colui che aveva accumulato tale patrimonio, quindi generalmente l'uomo. L'incremento del numero di divorzi ha messo in discussione tale principio, dato che in caso di separazione solitamente è la donna ad essere svantaggiata. Tuttavia, in una serie di paesi sono state introdotte norme in base alle quali il tribunale ha la possibilità di dividere i beni al momento del divorzio nel modo giudicato più appropriato.

    3.3   L'influenza dell'istruzione sulla povertà e l'emarginazione sociale delle donne

    3.3.1

    Le scelte lavorative e l'entrata nel mondo del lavoro sono condizionate dai titoli di studio. I seguenti dati mostrano che questo concetto vale in particolar modo per le donne. Le donne meglio qualificate (quelle che hanno conseguito un livello d'istruzione ISCED 5 e 6) trovano più spesso un lavoro di quelle meno qualificate (con un livello ISCED inferiore a 2) (14). Nell'Europa a 25, il 49 % delle donne meno qualificate di età compresa tra i 20 e i 49 anni ha un lavoro, contro l'84 % delle donne meglio qualificate. Va sottolineato che questa differenza di 30 punti in percentuale nel caso delle donne scende a 10 punti (83 % contro 93 %) nel caso degli uomini. Le donne meglio qualificate con figli generalmente continuano a lavorare. Nell'UE a 25, il confronto tra questi due gruppi di donne dà il seguente risultato: donne senza figli (88 % contro 57 %), donne con 1 o 2 figli (80 % contro 43 %), donne con 3 o più figli (63 % contro 22 %).

    3.3.2

    I programmi scolastici incoraggiano la scelta di materie che hanno una forte connotazione di genere. Le ragazze finiscono pertanto per scegliere corsi di studio e carriere mal retribuite, in quanto i loro professori e consulenti in materia di orientamento professionale non hanno la formazione adeguata per tener conto e riconoscere l'importanza della dimensione di genere. Le persone maggiormente esposte al pericolo di tale segregazione sono le ragazze che vivono in famiglie a rischio di povertà. Le ricerche (15) mostrano infatti che un numero sproporzionato di ragazze appartenenti a tale categoria occupa posti di lavoro poco qualificati, a causa del loro basso livello d'istruzione. Il lavoro manuale part time è la categoria di lavoro che maggiormente penalizza le donne, più di altri lavori part time o del lavoro manuale a tempo pieno, a causa proprio del loro livello molto basso d'istruzione. Queste donne sono costrette a scegliere questo tipo di occupazione a causa dell'interazione tra povertà e dimensione di genere in tutto il loro percorso educativo; ciò non solo ha un impatto sulla loro vita lavorativa e sulla loro pensione ma può dar luogo a un ciclo di povertà intergenerazionale.

    3.3.3

    Il CESE apprezza il fatto che gli obiettivi della strategia di Lisbona si concentrino sull'occupazione, in particolare quella femminile. Fa tuttavia osservare che per le donne a rischio di povertà questo non è sufficiente. Gli Stati membri hanno l'opportunità di collaborare con la società civile e le ONG, in particolare quelle attive nel campo della parità tra i sessi e dell'eliminazione della povertà, onde mettere fine a questa forma di povertà, fenomeno permanente e intergenerazionale, prendendo di mira l'impostazione stereotipata prevalente nelle istituzioni scolastiche per quanto concerne le scelte di ragazzi e ragazze e proponendo corsi destinati agli adulti, efficaci, accessibili, diretti a sviluppare specializzazioni richieste nel mercato e a rispondere alle esigenze di questa categoria di donne.

    3.4   L'influenza del sistema giudiziario penale sulla povertà e l'emarginazione sociale delle donne

    3.4.1

    Tra le persone accusate o condannate per reati penali, le donne costituiscono una minoranza (una su cinque). Esse inoltre rappresentano solo il 6 % della popolazione carceraria. Negli ultimi dieci anni, tuttavia, è bruscamente aumentato il numero delle detenute ma non il numero dei reati da esse commessi (16). La maggior parte delle donne è arrestata per crimini non violenti e sconta pene inferiori ad un anno. Quasi un quarto di esse sono in carcere in attesa di giudizio, senza essere state condannate per alcun reato.

    3.4.2

    La ricerca condotta indica che una grossa proporzione di detenute non ha alcuna sicurezza finanziaria prima della carcerazione, non ha mai lavorato oppure ha occupato solo impieghi mal retribuiti e precari, non ha fissa dimora, è poco istruita ed è stata vittima di violenza fisica e/o sessuale da parte di membri della famiglia o di uomini estranei al nucleo familiare. La carcerazione delle donne finisce pertanto per emarginare ulteriormente una categoria di persone già socialmente esclusa.

    3.4.3

    Il rapido aumento del numero di detenute potrebbe essere spiegato dal tipo di sentenze emesse in alcuni degli Stati membri oggetto delle ricerche, le quali indicano che spesso le donne sono arrestate proprio perché già socialmente escluse (ad esempio le donne senza fissa dimora, le disoccupate, le tossicodipendenti). I giudici e i magistrati ritengono che le donne socialmente escluse siano, in quanto tali, più propense a commettere reati in futuro e che la detenzione attraverso i sistemi e i programmi di riabilitazione possa e riesca a ridurre le probabilità che le donne già emarginate tornino a commettere un reato (o a drogarsi) una volta rimesse in libertà.

    3.4.4

    Le esperienze scolastiche e professionali negative delle donne detenute, una gran parte delle quali (50 % in Inghilterra e nel Galles) (17) soffrono di disturbi mentali, e la durata relativamente breve della detenzione per la maggior parte della popolazione carceraria femminile ne rendono impossibile, secondo la ricerca, la riabilitazione e il reinserimento. Si può discutere se le prigioni siano o no istituti di riabilitazione ma anche se così fosse, è difficile, come dimostrano i risultati della ricerca, pensare che gli istituti carcerari da soli possano mettere a disposizione della maggior parte dei detenuti un'efficace formazione, un programma di recupero dei tossicodipendenti sostenibile, un sostegno psicologico o prepararli in specializzazioni rispondenti alle esigenze del mercato, dopo la loro uscita di prigione.

    3.4.5

    Le prigioni sono innanzi tutto centri di punizione. La ricerca ha concluso che il carcere emargina le donne che prima dell'arresto non erano emarginate e rende peggiore la situazione di quelle già socialmente escluse. La detenzione risulta ancor più dannosa per le donne che per gli uomini, se si considerano i traumi subiti dai figli quando la loro madre è in prigione. Ad esempio, nel Regno Unito il 25 % delle detenute con figli ha dichiarato che era il padre, marito o compagno che fosse, ad occuparsene. Questa percentuale era, nel caso degli uomini, del 92 %. Questo aspetto ha molto più peso di qualsiasi beneficio ipotizzabile in termini di giustizia penale, deterrenza o diminuzione del rischio.

    3.4.6

    Le donne straniere e quelle appartenenti alle minoranze sono doppiamente discriminate e di conseguenza la loro presenza negli istituti penitenziari è sproporzionatamente elevata.

    3.4.7

    Il CESE è d'accordo con le raccomandazioni della relazione, che sottolinea la necessità di prendere misure per ridurre drasticamente il numero delle donne oggetto di provvedimenti di detenzione, soprattutto considerando che molte di esse sono in carcere in attesa di giudizio e non sono state condannate per alcun reato o, se reato c'è stato, sono state condannate per crimini non violenti. Alcuni Stati membri hanno introdotto alternative meno pregiudizievoli della detenzione e, con il giusto tipo di attenzione e di sostegno, le donne con gravi problemi che hanno violato la legge possono reinserirsi nella collettività.

    3.5   Combattere il traffico di donne e bambini

    Il traffico di donne e bambini è una conseguenza dell'ineguaglianza strutturale di genere e rappresenta una forma di violenza. È un fenomeno che prospera dove vi è povertà e le sue vittime subiscono la povertà in diverse forme che hanno come conseguenza tra l'altro il lavoro forzato, forme di schiavitù sessuale, problemi di salute fisica e mentale, esclusione sociale. Le strategie di prevenzione dei paesi d'origine devono rispecchiare e essere rispecchiate da strategie di riduzione della povertà e di sviluppo sociale, facendo specifico riferimento alla creazione di opportunità economiche per le donne. Le strategie di prevenzione a lungo termine devono affrontare le cause di fondo del traffico di esseri umani e tra queste vi sono la povertà, la discriminazione, il razzismo, le strutture patriarcali, la violenza contro le donne, i fondamentalismi, l'ineguaglianza di genere, la mancanza di reti di sicurezza sociale, il riciclaggio di denaro sporco, la corruzione, l'instabilità politica, i conflitti e le zone che sfuggono a ogni controllo, le barriere e le disuguaglianze tra paesi. Tutti i governi devono introdurre misure che tengano conto dello squilibrio dei rapporti di potere tra le donne e gli uomini e misure volte a promuovere le capacità delle donne in tutti i settori della vita.

    4.   Raccomandazioni

    4.1

    Il CESE accoglie favorevolmente la relazione comune della Commissione e del Consiglio del 5 marzo 2004 sull'integrazione sociale e approva le sei priorità politiche fondamentali cui gli Stati membri sono stati invitati ad attribuire una particolare attenzione nell'ambito dei loro piani d'azione nazionali (cfr. allegato). Il Comitato ritiene tuttavia che il documento contenga una grave lacuna, in quanto non prevede la definizione e il monitoraggio degli indicatori specifici di genere. Pertanto raccomanda vivamente di includere tali indicatori, essendovi differenze significative tra uomini e donne per quanto riguarda la povertà. Se questo fenomeno non viene affrontato tenendo conto di tali differenze e controllando l'impatto delle politiche tanto degli uomini come delle donne, è possibile che molti interventi volti alla riduzione della povertà ottengano solo un successo limitato. Occuparsi della connotazione di genere della povertà rispetterà l'impegno per l'eliminazione della povertà preso al vertice mondiale per lo viluppo sociale svoltosi a Copenaghen nel 1995. In quell'occasione si decise di dare particolare priorità ai bisogni e ai diritti delle donne e dei bambini, che spesso sopportano il peso maggiore della povertà.

    4.2

    Numerosi Stati membri hanno potenziato notevolmente i loro strumenti istituzionali per integrare la lotta alla povertà e l'inclusione sociale nelle loro politiche nazionali. Bisogna tuttavia fare di più, coinvolgendo le parti sociali, comprese le ONG, a livello locale, regionale e nazionale nell'elaborazione e nell'attuazione delle politiche, particolarmente in settori quali l'istruzione, l'occupazione e i regimi pensionistici.

    4.3

    Il CESE raccomanda vivamente che la realizzazione degli obiettivi della strategia di Lisbona concernenti un aumento dell'occupazione femminile si accompagni a strategie per garantire che le donne a rischio di povertà sviluppino qualifiche adatte al mercato in modo da conseguire la loro indipendenza economica. Inoltre, allo scopo di garantire il sostentamento delle donne in tutte le fasi della vita, occorre promuovere con maggior decisione iniziative e misure volte a migliorare la qualità dell'occupazione e a ridurre il divario di reddito. Nel recente parere sugli orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione, il Comitato ha espresso sorpresa per il fatto che tra gli attuali orientamenti in materia di politica occupazionale non ve ne sia neppure uno dedicato specificamente all'occupazione femminile.

    4.4

    Il CESE ritiene che gli Stati membri trarrebbero un enorme profitto da uno scambio di esperienze per quanto concerne quegli aspetti che hanno un impatto sulla povertà femminile: i regimi pensionistici, i sistemi di previdenza sociale, le gravidanze adolescenziali, la violenza contro le donne, la tratta di esseri umani e la reclusione.

    4.5

    Numerosi Stati membri hanno firmato la Piattaforma d'azione di Pechino (settembre 1995) che invita i governi a quantificare il valore del lavoro non retribuito per l'economia. Dieci anni dopo, tuttavia, gli Stati membri non hanno ancora elaborato gli appositi dispositivi di misurazione e di monitoraggio. Occorre incoraggiarli a farlo e a registrare i risultati nelle loro statistiche nazionali.

    4.6

    L'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere dovrebbe diventare operativo nel 2007. Dato che le politiche volte alla riduzione della povertà nell'UE tendono a trascurare questa dimensione, ne consegue che la relazione tra genere e povertà è stata relativamente trascurata nelle ricerche e nei lavori statistici. Per porre rimedio a questa situazione occorre che l'Istituto disponga dei mezzi finanziari adeguati. In un parere sull'Istituto, il Comitato ha espresso preoccupazione per il fatto che il relativo progetto di regolamento non preveda esplicitamente questa condizione.

    4.7

    Il CESE pertanto propone una serie di settori prioritari. Il nuovo Istituto dovrebbe portare avanti un'analisi approfondita dei dati esistenti da una prospettiva che tenga conto delle differenze tra uomini e donne.

    4.8

    Un altro aspetto nell'ambito della relazione tra genere e povertà che merita una particolare attenzione è l'impatto della povertà sulla salute fisica e mentale delle donne.

    4.9

    Infine, non sembrano essere state condotte sufficienti ricerche su che cosa le donne pensino e su come esse percepiscano la povertà e se vivano la povertà in modo diverso dagli uomini.

    Bruxelles, 29 settembre 2005

    La Presidente

    del Comitato economico e sociale europeo

    Anne-Marie SIGMUND


    (1)  Gli indicatori del rischio di povertà sono tratti dall'indagine sui nuclei familiari della Comunità europea.

    (2)  Relazione comune della Commissione e del Consiglio sull'integrazione sociale - 5 marzo 2004.

    (3)  «The sexual revolution», di Gary Becker e Richard Posner, 10 aprile 2005. Disponibile su http://www.becker-posner-blog.com/archives/2005/04/index.html.

    (4)  Eurostat 2001. Tranne che per i nuclei composti da una sola persona, le differenze tra i sessi per quanto concerne il rischio di povertà devono essere interpretate con cautela, in quanto si basano sul presupposto di una equa divisione del reddito all'interno del nucleo familiare.

    (5)  Eurostat 2004.

    (6)  Eurostat 2003.

    (7)  Eurostat 2003.

    (8)  Finch et al., (1999): New Deal for Lone Parents: Learning From the Prototype Areas. DSS Research Report No 92. Leeds: CDS; Lewis et al., (2000): Lone Parents and Personal Advisers: Roles and Relationships. DSS Research Report No. 122. Leeds: CDS; Dawson et al., (2000): New Deal for Lone Parents: Report on Qualitative Interviews with Individuals. Research and Development Report ESR55. Sheffield: Employment Service; Holtermann et al., (1999): Lone Parents and the Labour Market. Results from the 1997 Labour Force Survey and Review of Research. Employment Service Report 23. London: The Stationary Office.

    (9)  Innocenti Report Card, n. 3 del luglio 2001: Una classifica delle gravidanze adolescenziali nei paesi avanzati (a cura dell'Unicef).

    (10)  Indagine dell'Eurostat sulla forza lavoro in Europa, 2003.

    (11)  Come gli europei passano il loro tempo, Eurostat 1998-2002.

    (12)  Indagine dell'Eurostat sulla forza lavoro in Europa, 2003.

    (13)  Parere del CES del 29 novembre 2001 sul tema Crescita economica, fiscalità e sostenibilità dei sistemi pensionistici nell'Unione europea (GU C 48 del 21.2.2002 - relatore: BYRNE, correlatore: VAN DIJK).

    (14)  Statistics in focus - Population and social conditions, 4/2005.

    (15)  Warren T.: «Divergent Female Part-time Employment in Britain and Denmark and the Implications for Gender Equality». Sociological Review 2001, 49(4), 548-567..

    (16)  Relazione comparata basata sui risultati delle relazioni nazionali ed elaborata dal Central European University Team. I dati provengono da sei paesi dell'UE: Spagna, Germania, Inghilterra e Galles, Italia, Francia e Ungheria.

    (17)  Commissione nazionale britannica sulle donne, marzo 2005.


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