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Document 52011IE1175

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le strategie di uscita dalla crisi e le trasformazioni industriali nell'UE: posti di lavoro più precari o più sostenibili? (parere d'iniziativa)

GU C 318 del 29.10.2011, p. 43–49 (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/43


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Le strategie di uscita dalla crisi e le trasformazioni industriali nell'UE: posti di lavoro più precari o più sostenibili?» (parere d'iniziativa)

2011/C 318/07

Relatore: SIECKER

Correlatore: POP

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 luglio 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Le strategie di uscita dalla crisi e le trasformazioni industriali nell'UE: posti di lavoro più precari o più sostenibili?

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 giugno 2011.

Alla sua 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 13 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 123 voti favorevoli, 5 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il presente parere cerca di rispondere alla domanda su quale sia per l'industria europea il modo migliore per uscire dalla crisi. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è convinto che a tal fine siano necessari posti lavoro sostenibili. Vale a dire, posti di lavoro che consentano ai cittadini di produrre un reddito in un ambiente lavorativo sano e sicuro e in un contesto in cui i diritti dei lavoratori siano riconosciuti e vi sia spazio per un dialogo sociale proficuo. Si tratta di posti di lavoro altamente produttivi che creano valore aggiunto sul piano dell'innovazione, della qualità, dell'efficienza e della produttività, consentendo all'Europa di realizzare una crescita economica stabile e di rimanere competitiva rispetto alle altre regioni del mondo.

1.2   Il Comitato ritiene che la condizione principale per creare nuovi posti di lavoro sia una crescita economica stabile e duratura. Il Comitato si compiace che alcune istituzioni e organizzazioni abbiano presentato delle proposte per uscire dalla crisi economica nelle quali si tiene conto della dimensione sociale della ripresa. La strategia Europa 2020, con le «iniziative faro» della Commissione europea e le raccomandazioni per la politica in materia di occupazione formulate dalle parti sociali europee, danno un contributo in questo senso, ma anche il Consiglio dell'Unione europea, il Parlamento europeo, l'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) e il Fondo monetario internazionale (FMI) hanno espresso raccomandazioni che non si limitano a considerare gli interessi economici.

1.3   Il Comitato constata che le imprese ricorrono a diverse forme di impiego, le quali portano a nuove tipologie occupazionali. Tra queste vi sono anche impieghi precari nel cui ambito i lavoratori sono assunti con contratti temporanei, poco retribuiti, con scarsi livelli di protezione sociale e senza tutela dei diritti. Tuttavia, non tutti gli impieghi a carattere temporaneo sono precari: con le prestazioni a contratto, i lavoratori autonomi altamente qualificati se la cavano ottimamente sul mercato del lavoro. È però innegabile che l'impiego temporaneo sia per definizione precario quando si tratta di lavoro poco o per nulla qualificato nel settore della produzione e dei servizi. La flessicurezza può essere una risposta alle esigenze di lavoro flessibile da parte delle imprese, ma soltanto a condizione che sia associata a un livello di sicurezza paragonabile a quello offerto da un impiego fisso, come ha fatto notare il Comitato in un parere già adottato in materia di flessicurezza (CCMI/066).

1.4   Se si considerano le tendenze demografiche (invecchiamento della popolazione attiva e diminuzione del numero di giovani che entrano sul mercato del lavoro) e i rapidi cambiamenti tecnologici nei processi produttivi, è evidente che sull'Europa grava la minaccia di una forte carenza di manodopera qualificata. È pertanto essenziale che tutti abbiano e continuino ad avere accesso al mercato del lavoro e che nessuno ne rimanga escluso. Il Comitato sottolinea che i lavoratori devono avere la possibilità di mantenere a un buon livello le loro competenze e le loro qualifiche professionali, nonché di acquisire nuove capacità durante la loro vita lavorativa. In questo modo i lavoratori potranno adeguarsi ai mutamenti del loro ambiente lavorativo, e si potrà soddisfare la domanda di manodopera qualificata sul mercato del lavoro. Organizzare questo processo in maniera adeguata ed efficace è uno dei compiti più importanti che l'UE deve assolvere per rimanere competitiva sul piano mondiale.

1.5   Il Comitato ritiene che i lavoratori debbano avere accesso, in particolare, a programmi di formazione professionale. Poiché dalle ricerche risulta che i lavoratori che hanno maggiore bisogno di formazione sono spesso quelli che fanno meno ricorso a tali programmi, occorre adottare misure diverse per le diverse categorie di lavoratori.

1.5.1   Una parte consistente del bilancio dovrebbe essere destinata ai lavoratori meno qualificati poiché sono questi ad avere maggiore bisogno di formazioni supplementari. Ciò potrebbe avvenire attraverso l'assegnazione, al singolo lavoratore, di una dotazione finanziaria per la formazione il cui importo sia inversamente proporzionale al livello di istruzione, in modo tale che la maggior parte del denaro sia disponibile per i lavoratori meno qualificati.

1.5.2   Per i lavoratori anziani è necessario adottare una politica del personale più attenta agli aspetti legati all'età. Mentre in molti Stati membri dell'UE l'età pensionabile viene innalzata, numerosi lavoratori anziani perdono il lavoro già prima di raggiungere l'età pensionabile attualmente in vigore, perché ad esempio non sono in grado di tenersi al passo con gli sviluppi. Una formazione mirata e specifica potrebbe contribuire a risolvere questo problema.

1.5.3   È importante che la formazione e il perfezionamento professionale siano efficaci. Diversi Stati membri hanno sperimentato nuovi metodi di formazione più efficaci e stanno riscoprendo in particolare l'importanza dell'apprendimento sul posto di lavoro. Il Comitato sottolinea l'importanza di sviluppare questo tipo di percorsi e invita la Commissione a incoraggiarli garantendo lo scambio delle buone pratiche in questo campo.

1.5.4   Durante l'esercizio delle loro mansioni i lavoratori acquisiscono conoscenze ed esperienze informali ma preziose. Le competenze maturate in tal modo non sono sufficientemente riconosciute poiché non sono attestate da un diploma ufficiale. In diversi Stati membri è in corso di elaborazione un sistema per il riconoscimento delle competenze acquisite, un'iniziativa questa che merita anch'essa l'approvazione e il sostegno da parte della Commissione.

1.5.5   Su iniziativa della DG Istruzione e cultura sono stati messi a punto diversi strumenti volti a promuovere a livello europeo la trasparenza delle qualifiche e la qualità dell'istruzione e della formazione nel quadro dell'apprendimento lungo tutto l'arco della vita (1). Per il momento tali strumenti vengono applicati soprattutto nel campo dell'insegnamento, al fine di aumentare la mobilità e l'occupabilità degli studenti all'interno dell'Europa. Il Comitato sottolinea l'importanza di questi strumenti e chiede alla Commissione di esaminare in che modo essi possano essere applicati anche per aumentare la mobilità e l'occupabilità dei lavoratori dell'Unione europea.

1.5.6   Per agevolare la realizzazione di questo tipo di misure sono disponibili diversi strumenti. Alcuni di questi programmi possono essere inquadrati nei contratti collettivi, e il finanziamento può avvenire a livello di Stati membri attraverso la concessione di incentivi finanziari, ad esempio sotto forma di sgravi fiscali. L'Unione europea può contribuire grazie ad un cofinanziamento proveniente dai fondi strutturali ma anche agevolando la diffusione di buone pratiche tra le istituzioni interessate a livello di UE e di Stati membri.

1.5.7   Il Comitato sottolinea che i lavoratori non solo hanno diritto ad accedere ai programmi di formazione professionale ma hanno anche bisogno di sicurezza per quanto riguarda il reddito e la protezione sociale per poter esercitare la propria attività in maniera ottimale e senza paura del futuro in una società in rapida trasformazione.

1.6   L'UE ambisce a diventare un'economia competitiva basata sulla conoscenza con maggiori e migliori posti di lavoro e una più forte coesione sociale. Il Trattato di Lisbona stabilisce con grande chiarezza che l'UE intende raggiungere questo obiettivo, tra l'altro, combattendo l'esclusione sociale, promuovendo il progresso economico e sociale dei cittadini e garantendo i diritti sociali sanciti nella Carta sociale europea del 1961, nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989 e nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 2000.

1.7   Il Comitato esorta le istituzioni europee a garantire l'applicazione degli standard sociali europei con maggiore convinzione. L'inerzia a questo riguardo ha portato tra l'altro a un aumento del numero di lavoratori poveri, a un incremento delle disuguaglianze, a una sempre maggiore paura del futuro e, nel contempo, a una diminuzione della fiducia negli altri, nelle istituzioni di previdenza sociale e nei poteri pubblici. E questo non riguarda soltanto i governi nazionali ma anche le istituzioni europee, come dimostra l'aumento dell'euroscetticismo in diversi Stati membri.

1.8   Negli Stati membri sono in corso numerose iniziative riguardanti i problemi in esame, alcune delle quali sono descritte in un documento allegato al presente parere. Gli esempi in esso riportati sono forniti dai membri della CCMI e dimostrano che si tratta di un ambito molto dinamico ma anche che vi sono notevoli differenze tra i diversi paesi e i diversi settori. È quindi indispensabile uno scambio di esperienze e di buone pratiche a livello operativo. Quali iniziative funzionano, e quali invece no? Quali sono i fattori critici? Il Comitato raccomanda pertanto alla Commissione di promuovere e agevolare lo scambio di esperienze e di buone pratiche.

2.   Il punto della situazione

2.1   L'economia è alle prese con una crisi che dura ormai da tre anni. Tutto è iniziato con una crisi dei mercati finanziari provocata dalla stagnazione del mercato immobiliare negli Stati Uniti. In seguito alla crisi finanziaria, nella seconda metà del 2008 anche l' «economia reale» ha subito un brusco rallentamento. L'espressione «crisi creditizia» non permette di cogliere l'ampiezza del fenomeno. Non si è trattato infatti esclusivamente di una minore disponibilità di liquidità e (a più lungo termine) di capitali, ma anche di una crisi strutturale e generale di fiducia nei confronti del settore finanziario.

Il presente parere di iniziativa non verte sulla crisi, ma cerca piuttosto di rispondere alla domanda su quale sia per l'industria europea il modo migliore per uscirne.

2.2   Tra il 2009 e il 2010 sono andati persi in Europa complessivamente 3,25 milioni di posti di lavoro, soprattutto nell'industria e nell'agricoltura. Già prima dello scoppio della crisi, l'evoluzione demografica nell'UE era motivo di preoccupazione. Infatti, quando la generazione del boom demografico del secondo dopoguerra andrà in pensione, vi sarà a breve termine una forte necessità di manodopera ben qualificata. Poiché la crisi ha accelerato l'uscita dei lavoratori più anziani dal mercato del lavoro, la questione del turnover è diventata ancora più urgente. A tale proposito si pongono due problemi. Il primo è di ordine quantitativo: in alcuni Stati membri e in diversi settori industriali il numero di giovani qualificati che arrivano sul mercato del lavoro non basta a soddisfare la domanda. Il secondo è di ordine qualitativo: il modo brusco nel quale avviene il turnover impedisce il trasferimento delle conoscenze all'interno delle imprese.

2.3   La condizione principale per creare nuovi posti di lavoro è una crescita economica stabile e duratura. Dall'inizio del 2010 si osservano timidi segni di ripresa, con un lieve incremento della produzione in alcuni settori e una cauta crescita della domanda di manodopera, anche se la situazione varia da uno Stato membro all'altro. Per effetto della globalizzazione la società è in rapido cambiamento, e lo stesso vale per il mercato del lavoro. Le imprese ricorrono a diverse forme di impiego, il che porta a sempre nuove tipologie occupazionali, in particolare di tipo precario. Dall'ultima indagine condotta da Eurofound sulle condizioni di lavoro in Europa emerge che, sebbene l'impiego a tempo indeterminato rappresenti ancora la norma per la maggior parte dei lavoratori, la quota di rapporti di lavoro a carattere temporaneo è in aumento (2). I principali strumenti per eludere i contratti collettivi risultano essere il subappalto, l'esternalizzazione e il falso lavoro autonomo a condizioni inferiori ai livelli minimi. In questi ultimi anni tali modelli hanno trovato sempre più diffusa applicazione.

3.   Come si è arrivati a tale situazione

3.1   Il modello sociale europeo è un modello di capitalismo sociale unico nel suo genere, che si è sviluppato in Europa nel secondo dopoguerra e ha permesso di combattere con successo gli eccessi del capitalismo, mantenendone al tempo stesso i punti di forza. Questo modello ha ispirato gli Stati europei a costruire una società caratterizzata dalla coesione, dalla solidarietà e dalla competitività. Il suo obiettivo deve essere quello di creare uno spazio di benessere per tutti i cittadini europei che sia democratico, rispettoso dell'ambiente, competitivo, solidale e basato sull'integrazione sociale.

3.2   Questo principio si ritrova nel Trattato di Lisbona, nel quale, oltre a sancire una serie di diritti economici e di disposizioni in materia di concorrenza leale nel mercato interno, l'UE promette ai cittadini anche di:

combattere l'esclusione sociale,

promuovere con determinazione il loro progresso economico e sociale,

garantire i diritti sociali sanciti nella Carta sociale europea del 1961, nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989 e nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea,

favorire lo sviluppo del massimo livello possibile di conoscenza attraverso un ampio accesso all'istruzione,

garantire l'applicazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, ivi compreso il principio della parità delle retribuzioni per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore all'interno della stessa impresa o nel quadro dello stesso contratto collettivo.

3.3   La realtà presenta però un quadro ben diverso. Nuovi posti di lavoro vengono effettivamente creati, ma si tratta per lo più di impieghi temporanei, saltuari, poco retribuiti, con scarsa sicurezza sociale e scarsa protezione dei diritti dei lavoratori. Di per sé, è comprensibile che i datori di lavoro non offrano subito impieghi a tempo indeterminato ai lavoratori mentre l'economia comincia lentamente a uscire da un periodo di crisi. In questo modo si può anzi completare utilmente l'offerta occupazionale e contribuire nel contempo alla lotta contro l'esclusione sociale, poiché si offre un impiego a categorie che altrimenti non avrebbero accesso al mercato del lavoro. Questo non deve però portare allo sfruttamento dei lavoratori: se la ripresa si consolida e il fabbisogno di manodopera si rivela strutturale, tali posti dovrebbero anche essere convertiti in contratti che garantiscano effettivamente un livello ragionevole di reddito, di sicurezza sociale e di tutela dei diritti.

3.4   La cosa ancora più grave è che anche i posti di lavoro permanenti con condizioni dignitose vengono trasformati in impieghi precari, basati su contratti a tempo con scarsi livelli di sicurezza sociale e di tutela dei diritti. E ciò avviene non solo nel settore privato ma anche in quello pubblico. Questa tendenza è in contrasto con le promesse in materia di coesione sociale fatte ai cittadini nel Trattato di Lisbona. Se è vero che non tutti gli impieghi a carattere temporaneo sono precari - con le prestazioni a contratto i lavoratori autonomi altamente qualificati se la cavano infatti ottimamente sul mercato del lavoro -, è anche innegabile che l'impiego temporaneo sia per definizione precario quando si tratta di lavoro poco o per nulla qualificato nel settore della produzione e dei servizi (3).

3.5   Sotto molti punti di vista l'Europa è ancora ai primi posti nel mondo in fatto di prosperità, protezione sociale e capacità concorrenziale, ma abbiamo perso terreno rispetto al nostro passato e anche rispetto ad altre economie. Come emerge da uno studio realizzato dall'OCSE nel 2008, si registra infatti un aumento della povertà e della disparità nella distribuzione del reddito, oltre che dei tagli ai servizi pubblici (4).

3.6   Nel 2003 Eurostat ha aggiunto la categoria dei «lavoratori poveri» al set europeo di indicatori sociali. Nel 2008, nell'UE-27 la quota di lavoratori che rientravano in questa categoria era dell'8,6 %. Questo dato è dovuto tra l'altro al fatto che il numero di posti di lavoro fissi e dignitosi diminuisce, mentre aumenta la percentuale di impieghi instabili e precari. Tale andamento suscita una diffidenza crescente tra i cittadini, e in una società improntata alla diffidenza e lacerata da conflitti sociali non vi è spazio per una crescita economica stabile e duratura.

3.7   Negli ultimi decenni le disuguaglianze materiali sono aumentate in misura notevole. In uno dei suoi ultimi libri (5) Judt fornisce alcuni esempi che illustrano bene questa situazione. Nel Regno Unito le disuguaglianze non sono mai state così profonde dagli anni '20 del secolo scorso; il numero di bambini poveri in questo paese è superiore a quello di qualsiasi altro Stato membro dell'UE; la maggior parte dei nuovi posti di lavoro sono retribuiti molto bene o molto male; e, dal 1973, in nessun altro paese la disparità di retribuzione è aumentata così tanto come in Gran Bretagna.

Negli Stati Uniti, nel 1968 l'amministratore delegato di General Motors guadagnava 66 volte più del salario medio della sua società, mentre nel 2009 il suo omologo di Walmart ha riscosso uno stipendio pari a 900 volte il salario medio dei suoi lavoratori. Questo esempio illustra gli estremi, ma i valori medi riflettono la medesima situazione. Nel 1965 i direttori di grandi società statunitensi guadagnavano 24 volte più del salario medio dell'impresa, mentre nel 2007 il loro stipendio era pari a 275 volte tanto (6).

3.8   I costi sociali di una disparità crescente sono ingenti. Una ricerca realizzata da Wilkinson e Pickett (7) dimostra che una società nella quale le disuguaglianze materiali sono relativamente elevate ottiene, in quasi tutti gli altri aspetti della vita quotidiana, risultati peggiori rispetto a una società nella quale le disparità materiali sono relativamente ridotte. I cittadini godono di salute meno buona e vivono meno a lungo, inoltre il tasso di criminalità è più elevato e - soprattutto - si riscontra una perdita di fiducia negli altri e nella società. Alla fine, questa situazione porta i cittadini a rivoltarsi contro i poteri pubblici, siano essi il governo nazionale o quello europeo, come dimostra l'aumento dell'euroscetticismo in un numero crescente di Stati membri. Ciò mina la fiducia che gli interlocutori sociali ripongono in se stessi come anche quella tra le parti sociali.

4.   Quali sono i nostri obiettivi?

4.1   I mutamenti economici avvengono con un ritmo sempre più serrato, e questo fenomeno, associato ai problemi demografici che ci troviamo ad affrontare, impone misure rapide e radicali. La società non giunge mai a uno «stato compiuto»: è in continua evoluzione, e il mercato del lavoro deve adattarsi di conseguenza. Tuttavia, gli interessi economici non sono i soli a svolgere un ruolo nel riassetto del mercato del lavoro: occorre tenere conto anche di quelli sociali. La sfida consiste quindi nel trovare un modo di organizzare il mercato del lavoro che sia vantaggioso per l'intera società.

4.2   In tutte le istituzioni interessate sembra esservi un consenso sulla direzione da seguire per riformare il mercato del lavoro. Il Consiglio dell'Unione europea ha presentato proposte di orientamenti per le politiche in materia di occupazione (8) nelle quali viene riservata notevole attenzione agli aspetti sociali. Il Consiglio dei ministri del Lavoro ha sottolineato i vantaggi che offre l'organizzazione della flessibilità all'interno dell'impresa rispetto alla definizione di condizioni di flessibilità esterne. Il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione in cui invita l'UE a elaborare una strategia per la creazione di posti di lavoro «verdi». Oltre a essere utile per un futuro sostenibile, questa strategia costringe l'Europa anche ad avanzare sulla strada dell'innovazione (9). A tale riguardo il Comitato ha già adottato alcuni pareri (10). Per parte sua, anche il Parlamento europeo ha adottato a larga maggioranza una risoluzione sui contratti atipici che si esprime a favore dei posti di lavoro permanenti e contro la trasformazione di questi ultimi in impieghi precari (11).

4.3   Nel quadro della strategia Europa 2020, la Commissione europea ha lanciato una serie di «iniziative faro» contenenti proposte concrete al riguardo. Ad esempio, nell'iniziativa «Una politica industriale per l'era della globalizzazione» si mira a favorire la creazione di posti di lavoro di qualità e altamente produttivi, mentre sia in «Youth on the Move» che in «Un'agenda per nuove competenze e nuovi posti di lavoro» la Commissione si esprime a favore del «contratto unico». Con questa nuova forma di contratto si vuole combattere la divisione esistente sul mercato del lavoro consentendo alle persone che vi si affacciano di acquisire diritti sociali dopo un ragionevole periodo di prova, dando loro accesso a sistemi basati su contratti collettivi stipulati tra le parti sociali o sulla legislazione.

4.4   Le stesse parti sociali europee sono d'accordo, in linea di massima, sulla politica da seguire. Sia nel 2007 (12) che nel 2010 (13) Business Europe, la Confederazione europea dei sindacati (CES/ETUC), l'Unione europea artigianato e piccole e medie imprese (Ueapme) e il Centro europeo delle imprese a partecipazione pubblica e delle imprese di interesse economico generale (CEEP) hanno pubblicato delle relazioni nelle quali raccomandano che la politica in materia di occupazione tenga conto non solo degli interessi economici ma anche di quelli sociali.

4.5   In occasione di un convegno svoltosi nel settembre 2010 a Oslo, il Fondo monetario internazionale (FMI) e l'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) hanno sottolineato che porre fine agli altissimi livelli di disoccupazione attuali è fondamentale non solo dal punto di vista economico ma anche sotto il profilo della coesione sociale. Secondo l'FMI, in futuro dovremo evitare che un'intera generazione corra di nuovo il rischio di restare esclusa dal mercato del lavoro. L'OIL ha definito fin dal 1999 la sua Agenda per il lavoro dignitoso nel mondo, volta a consentire alle persone di lavorare in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità. Nel giugno 2009 l'OIL ha adottato il «patto globale per l'occupazione»: una nuova iniziativa volta a stimolare la ripresa economica e il mantenimento dei posti di lavoro. Nella sua ultima pubblicazione in materia di occupazione (14), l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) invoca una politica tesa a prevenire la disoccupazione massiccia e di lunga durata.

4.6   Il principio fondamentale è naturalmente che l'Europa deve rimanere competitiva rispetto alle altre regioni del mondo, e ciò è possibile soltanto se si punta sull'istruzione, sulla conoscenza, sull'innovazione, sulla qualità, sull'efficienza e sulla produttività. È semplicemente impossibile che l'UE possa competere con paesi come la Cina, l'India e il Brasile sul piano del costo del lavoro. Ciò può avvenire solo con una forte revisione al ribasso delle condizioni di lavoro nell'UE, il che è in contrasto con l'ambizione di fare dell'Unione un'economia competitiva basata sulla conoscenza, con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale. Oltre a impegnarsi in ulteriori sforzi sul fronte della ricerca e dello sviluppo, l'UE potrebbe incoraggiare e sostenere gli investimenti nella formazione, dato che la responsabilità per i percorsi di formazione generale è dell'istruzione pubblica mentre quella per la formazione professionale mirata è delle parti sociali e dei poteri pubblici.

4.7   L'importanza dei percorsi di formazione professionale mirata è sottovalutata. Questi percorsi formativi rimangono spesso limitati ai lavoratori giovani e a quelli che hanno già raggiunto livelli formativi relativamente elevati. Nell'UE-27 questo tipo di formazioni sono seguite dal 57,6 % dei lavoratori più qualificati e dal 28,4 % di quelli meno qualificati. I paesi che si collocano al vertice e in fondo alla classifica sono, rispettivamente, la Svezia (con il 91 % e il 57,6 %) e la Romania (con il 14 % e il 3,9 %) (15). I percorsi formativi devono essere rivolti anche e soprattutto alle persone con livelli di qualifica più bassi, agli anziani, alle donne e agli immigrati, per tornare a offrire una speranza di trovare e mantenere un posto sul mercato del lavoro anche a queste categorie di lavoratori. Un'efficace misura di stimolo potrebbe essere l'assegnazione, al singolo lavoratore, di una dotazione finanziaria per la formazione il cui importo sia inversamente proporzionale al livello formativo. La disoccupazione colpisce soprattutto le persone meno qualificate e i lavoratori con competenze obsolete, nei settori tradizionali in via di sparizione. Senza uno sforzo formativo supplementare non è possibile offrire loro la prospettiva di un impiego in un altro settore economico più moderno. E se non facciamo in modo che queste persone si reinseriscano nel mercato del lavoro, ci troveremo ben presto con una carenza di lavoratori qualificati a tutti i livelli di tale mercato.

4.8   Alla situazione dei lavoratori più anziani non viene riservata la dovuta attenzione. Mentre in molti Stati membri dell'UE l'età pensionabile viene innalzata, numerosi lavoratori anziani perdono il lavoro prima di raggiungere l'età pensionabile attualmente in vigore, sia perché non sono più in grado di adattarsi alle evoluzioni rapide dei processi produttivi, sia perché il lavoro a turni diventa problematico con l'avanzare dell'età. Affinché anche questi lavoratori più anziani possano continuare a lavorare in buone condizioni di salute, è necessario adottare una politica del personale mirata e più attenta agli aspetti legati all'età. Molti di questi problemi possono essere attenuati attraverso corsi di formazione mirati e specifici. Anche in questo caso, tuttavia, i dati di Eurostat (16) mostrano che tra i lavoratori più anziani la partecipazione ai percorsi di formazione professionale è molto inferiore a quella dei lavoratori più giovani (il 20,9 % nella fascia di età compresa tra i 55 e i 64 anni contro il 44,2 % in quella tra i 25 e i 43 anni).

4.9   L'istruzione e la formazione hanno senso soltanto se i programmi sono efficaci e se i lavoratori che li seguono acquisiscono effettivamente le competenze necessarie per adeguarsi a un mercato del lavoro in rapida trasformazione. L'istruzione teorica impartita in maniera classica, lontano dal mondo del lavoro, come quella che viene ancora troppo spesso proposta nella pratica, deve essere integrata in particolare da tirocini all'interno delle imprese. In questi ultimi anni diversi Stati membri hanno sperimentato nuovi metodi di formazione sul posto di lavoro più efficaci e orientati alla pratica. Di recente il Cedefop ha svolto un'indagine sugli effetti dell'apprendimento sul lavoro (17). La diffusione e promozione di questo tipo di percorsi formativi andrebbero vivamente incoraggiate.

4.10   I lavoratori non apprendono soltanto seguendo percorsi di formazione formale, essi acquisiscono anche conoscenze ed esperienze, informali ma comunque preziose, durante l'esercizio delle loro mansioni. Le competenze acquisite in tal modo non sono sufficientemente riconosciute poiché non sono certificate e quindi attestate da un diploma ufficiale riconosciuto. Questa situazione limita la mobilità dei lavoratori: finché essi mantengono il loro vecchio impiego non ci sono problemi, ma la loro possibilità di cambiare lavoro è limitata dal fatto che non possono far valere le loro qualifiche informali per accedere a un nuovo impiego. Le possibilità offerte dai sistemi per il riconoscimento delle competenze acquisite sono già state esaminate in numerosi studi, svolti tra gli altri dall'OCSE (18) e dal Cedefop (19). La maggior parte degli Stati membri sta lavorando per creare un sistema volto a valutare e a riconoscere i risultati dell'apprendimento informale e non formale, ma finora soltanto in un ristretto numero di essi si è arrivati a risultati concreti (20). Questa iniziativa merita maggiore riconoscimento e sostegno.

4.11   Su iniziativa della DG Istruzione e cultura sono stati messi a punto diversi strumenti volti a promuovere a livello europeo la trasparenza delle qualifiche e la qualità dell'istruzione e della formazione nel quadro dell'apprendimento lungo tutto l'arco della vita (21). Tali strumenti vengono applicati per il momento soprattutto nel campo dell'insegnamento per aumentare la mobilità e l'occupabilità degli studenti all'interno dell'Europa. Il Comitato sottolinea l'importanza di questi strumenti e chiede alla Commissione di esaminare in che modo essi possano essere applicati anche per aumentare la mobilità e l'occupabilità dei lavoratori dell'Unione europea.

4.12   Un datore di lavoro che investe nei lavoratori organizzando incontri di formazione durante l'orario di lavoro e sostenendo tutte le spese ivi connesse può chiedere ai lavoratori di studiare durante il tempo libero se la materia richiede uno studio al di fuori del tempo di formazione. Un programma di formazione di questo tipo, che non sia incentrato solo sull'esecuzione di una mansione specifica ma che fornisca anche delle qualifiche che consentano una più ampia occupabilità all'interno dell'impresa o sul mercato del lavoro, rappresenta il modo migliore di prepararsi al futuro in un mondo in rapida trasformazione. Esso offre vantaggi sia per i datori di lavoro che per i lavoratori: ai primi consente di disporre di personale qualificato e motivato, mentre ai secondi offre una posizione forte sul mercato del lavoro. Questo approccio deve essere riavviato con la massima sollecitudine, poiché i dati recenti indicano che, ormai da alcuni anni, il processo di apprendimento lungo tutto l'arco della vita è entrato in una fase di stallo (22).

5.   Come raggiungere tale obiettivo?

5.1   Le imprese hanno bisogno di sicurezza se vogliono investire a lungo termine, ad esempio in nuovi sviluppi. In Germania lo sviluppo di nuove tecnologie nel settore delle energie rinnovabili è stato molto più rapido rispetto agli altri paesi europei perché il governo tedesco ha varato un programma di sostegno pluriennale che ha dato agli imprenditori operanti in tale settore la sicurezza che si tratta di uno sviluppo strutturale che beneficerà di sostegni e incentivi governativi per diversi anni. Grazie a questa politica la Germania è diventata un paese leader del settore, e l'occupazione in questo comparto è salita da meno di 70 000 a circa 300 000 addetti nel giro di dieci anni.

5.2   Non sono soltanto le imprese ad avere bisogno di sicurezza: anche i lavoratori ne hanno bisogno per quanto riguarda il reddito, la protezione sociale e la formazione. Questi principi rappresentano i valori centrali del modello sociale europeo sviluppatosi nel secondo dopoguerra in Europa. I lavoratori con un buon livello di formazione hanno la certezza di un reddito poiché la loro qualifica offre loro accesso al mercato del lavoro e la sicurezza di un impiego dignitoso. I lavoratori che, loro malgrado, si ritrovano disoccupati hanno bisogno di protezione sociale per seguire corsi di riqualificazione, perfezionamento e aggiornamento in modo da potersi reinserire altrove. Infine, ogni lavoratore deve avere la certezza di potere accedere a programmi di formazione che gli consentano di realizzare le sue eventuali ambizioni personali sul piano della carriera e del reddito. L'unico modo per garantire la sopravvivenza del modello sociale europeo in un mercato globalizzato è quello di disporre di una popolazione attiva motivata, qualificata, responsabile e flessibile. Il prezzo da pagare in cambio è che questa popolazione attiva deve beneficiare della sicurezza legata ai valori fondamentali del modello sociale europeo.

5.3   D'altronde i lavoratori non fruiscono mai contemporaneamente di tutte e tre queste forme di sicurezza. Inoltre, a lungo termine i costi di queste forme di sicurezza finiscono sempre per ripagarsi. Se domanda e offerta sul mercato del lavoro sono armonizzate meglio grazie al fatto che i programmi formativi consentono alle persone di seguire corsi di riqualificazione, perfezionamento e aggiornamento, il tasso di disoccupazione di lunga durata sarà inferiore.

5.4   La flessicurezza, concertata con le parti sociali, può essere uno strumento importante nel segmento del mercato del lavoro nel quale la domanda di flessibilità è sensata, comprensibile e giustificata (23). L'introduzione di nuove tipologie occupazionali può avere maggiori possibilità di successo se esse sono basate su contratti collettivi elaborati di comune accordo dalle parti sociali. Ciò può avvenire soltanto in un clima fondato sulla fiducia. La società non è la sola ad avere subito mutamenti profondi, anche i lavoratori sono cambiati. Attualmente non tutti sono alla ricerca di un posto di lavoro per tutta la vita. Ciò che i lavoratori vogliono è la certezza di avere, durante la loro vita lavorativa, un lavoro adeguato, ossia un impiego non precario e instabile bensì tale da offrire loro maggiore sicurezza, come descritto al punto 5.2. Questa condizione può essere realizzata al meglio nelle imprese di maggiori dimensioni attraverso una flessibilità che non trasformi i lavoratori in variabile di adeguamento all'esterno dell'azienda, ma conferisca al personale a tempo indeterminato la capacità di adattarsi a una gamma più ampia di mansioni all'interno stesso dell'impresa. Il Consiglio dei ministri del Lavoro ha discusso di tale possibilità nel luglio 2010. Questa forma di flessicurezza è molto più adatta all'economia basata sulla conoscenza, quale l'UE ambisce a essere. I contratti collettivi stipulati tra le parti sociali costituiscono il metodo migliore per dare forma a questo tipo di flessibilità.

5.5   Nei picchi di produzione le imprese hanno tuttavia bisogno di lavoratori temporanei. Inoltre, questo modello di flessibilità interna è meno adatto alle piccole e medie imprese, che sono importanti per l'economia europea poiché è in esse che si concentra la maggior parte dei posti di lavoro. Occorre dunque trovare un metodo efficace che riduca il divario tra i lavoratori con contratto di lavoro a tempo indeterminato, che godono di un buon livello di protezione sociale e di una posizione giuridica forte, e quelli che hanno invece un contratto di lavoro temporaneo, una protezione sociale minima e una posizione giuridica debole. Anche questi lavoratori devono godere del diritto garantito a vantaggi quali congedi di malattia retribuiti, maturazione dei diritti pensionistici, indennità di disoccupazione, ferie retribuite e congedo parentale. Ad esempio, a questi lavoratori potrebbe essere consentito di accedere, a determinate condizioni e a tariffe ragionevoli, a sistemi regolamentati a livello settoriale da contratti collettivi di lavoro o a livello nazionale da disposizioni di legge, come avviene in Austria dove nel frattempo è stato introdotto un sistema di questo tipo. Anche in questo caso, quindi, le parti sociali e i poteri pubblici devono condividere le responsabilità.

5.6   In futuro anche la gestione delle risorse umane sarà chiamata a svolgere un duplice ruolo di rilievo. In primo luogo dovrà svolgere una funzione essenziale nella definizione dei contenuti dei programmi di formazione che consentono ai lavoratori di mantenere a un buon livello le loro competenze professionali. Ma a essa spetta anche il compito importante di ripristinare la fiducia incrinata tra le parti sociali, in modo che queste possano cercare - insieme e di comune accordo - delle soluzioni ai problemi del mercato del lavoro. Se grazie a questo recupero di fiducia si riuscirà a trovare delle soluzioni, si potrà realizzare un mercato del lavoro nel quale i datori di lavoro disporranno della flessibilità che invocano e i lavoratori della sicurezza di cui hanno bisogno.

5.6.1   Questa gestione migliorata delle risorse umane è essenziale sia per recuperare la fiducia tra le parti sociali che per adottare un nuovo approccio al mercato dell'occupazione sostenibile. Una gestione di questo tipo deve essere fondata in particolare sulla capacità di:

prevedere le tendenze occupazionali e i profili professionali, facendo in modo che i nuovi lavori non abbiano carattere usurante,

stimolare i lavoratori a prendere l'iniziativa e ad assumersi le proprie responsabilità al fine di migliorare le prestazioni individuali e collettive,

riesaminare certi percorsi di formazione professionale (preparatoria) non - o non sufficientemente - adeguati alle esigenze dei bacini occupazionali locali,

migliorare i sistemi di orientamento professionale dei giovani coinvolgendo un maggior numero di professionisti e di esperti del settore,

prestare un'attenzione particolare al know-how, alle produzioni tradizionali locali e ai marchi regionali, la cui relativa rarità costituisce anche l'originalità del patrimonio che essi rappresentano.

5.6.2   L'obiettivo di un mercato del lavoro più stabile e più sano dovrebbe far parte di una strategia più ampia che coinvolga altri soggetti, come i servizi di interesse generale e le libere professioni.

5.7   Sebbene gli orientamenti di massima da seguire in materia di mercato del lavoro siano indicati da Bruxelles, è negli Stati membri che avviene la loro applicazione pratica, e a tal fine sono soprattutto le regioni che paiono essere il livello di governo più adeguato. Per un'economia basata sulla conoscenza è fondamentale che le regioni formino e mantengano una popolazione attiva creativa. L'UE può incoraggiare uno sviluppo di questo tipo attraverso il sostegno finanziario fornito dai fondi strutturali europei, nonché con la raccolta di esempi di buone pratiche e la loro messa a disposizione sotto forma di banca dati. Alcuni di questi esempi sono stati raccolti dai membri della CCMI e compendiati nel documento in allegato (24). Il Comitato invita la Commissione a diffondere tali esempi e a raccomandarli presso le istituzioni pertinenti sia dell'Unione europea che degli Stati membri.

5.8   In Europa esistono esempi di regioni con un ricco passato industriale nelle quali l'industria tradizionale - e con essa le basi dell'occupazione e della prosperità della regione stessa - è quasi completamente scomparsa nel giro di poco tempo, come la zona attorno a Lilla nella Francia settentrionale o il bacino della Ruhr in Germania. Invece di ostinarsi a cercare di mantenere ciò che esisteva, in queste regioni i soggetti interessati si sono messi a riflettere sulle possibili prospettive per il futuro e hanno agito di conseguenza. Il risultato è che sia la regione di Lilla che il bacino della Ruhr hanno ritrovato la speranza e sono tornate a crescere grazie a un'ampia serie di attività economiche nuove, soprattutto sostenibili e ad alta intensità di conoscenza. È infatti in questi settori che risiede la forza dell'economia europea: è in essi che l'Europa ha migliori prospettive e deve rafforzare la sua posizione. Sia Lilla che il bacino della Ruhr sono addirittura diventati capitali europee della cultura. A questo livello, i poteri pubblici e le parti sociali devono elaborare iniziative destinate a sostenere il modello sociale europeo, come descritto dal Comitato in un precedente parere (25).

Bruxelles, 13 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Quadro europeo delle qualifiche (EQF), sistema europeo di crediti per l'istruzione e la formazione professionale (ECVET), Europass e quadro europeo di riferimento per l'assicurazione della qualità dell'istruzione e della formazione professionali (EQAF).

(2)  Changes over time - First findings from the fifth European Working conditions survey («20 anni di condizioni di lavoro in Europa: primi risultati della 5a indagine europea sulle condizioni di lavoro»).

(3)  Definizione di lavoro precario: lavoro basato su un contratto a tempo determinato che in qualsiasi momento può essere sospeso unilateralmente dal datore di lavoro senza che ne derivi alcun obbligo per quest'ultimo.

(4)  Distribuzione dei redditi e povertà nei paesi OCSE: una crescita diseguale? (riassunto in italiano: http://www.oecd.org/dataoecd/44/62/41524135.pdf).

(5)  Ill Fares The Land: A Treatise On Our Present Discontents (2010).

(6)  www.finfacts.ie/irishfinancenews/article_1020265.shtml.

(7)  The Spirit Level: Why More Equal Societies Almost Always Do Better (2009).

(8)  Procedura interistituzionale 2010/0115 (NLE).

(9)  Testi approvati, P7_TA(2010)0299.

(10)  GU C 306 del 16.12.2009, pag 70 e parere del CESE in merito alla Proposta di decisione del Consiglio sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione - Parte II degli orientamenti integrati di EUROPA 2020 (GU C 107 del 6.4.2011, pag. 77).

(11)  2009/2220(INI).

(12)  Key Challenges Facing European Labour Markets: A Joint Analysis of European Social Partners («Le sfide chiave che i mercati del lavoro europei devono affrontare: un'analisi congiunta delle parti sociali europee»).

(13)  Accordo quadro sui mercati del lavoro inclusivi.

(14)  Prospettive OCSE 2010 sull'occupazione: oltre la crisi occupazionale.

(15)  Indagine di Eurostat sull'istruzione degli adulti.

(16)  Cfr. nota 1.

(17)  http://www.cedefop.europa.eu/ - Learning while Working. Success stories on workplace learning in Europe («Apprendere mentre si lavora: esperienze positive di apprendimento sul lavoro in Europa»).

(18)  http://www.oecd.org/dataoecd/9/16/41851819.pdf (in inglese).

(19)  http://www.cedefop.europa.eu/EN/publications/5059.aspx.

(20)  Ad esempio, in Francia esiste il Certificat de compétences en entreprise («certificato di competenze acquisite in impresa») e nei Paesi Bassi l'Ervaringscertificaat («certificato di esperienza»).

(21)  Cfr. nota 1.

(22)  http://epp.eurostat.ec.europa.eu/tgm/table.do?tab=table&language=en&pcode=tsiem080&tableSelection=1&footnotes=yes&labeling=labels&plugin=1.

(23)  Cfr. il parere del CESE sul tema Come servirsi della flessicurezza ai fini delle ristrutturazioni, nel contesto dello sviluppo globale (GU C 318 del 23.12.2009, pag. 1).

(24)  http://www.eesc.europa.eu/resources/docs/handout.doc

(25)  GU C 309 del 16.12.2006, pag. 119.


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