Choose the experimental features you want to try

This document is an excerpt from the EUR-Lex website

Document 52009IE1935

    Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La crisi finanziaria e il suo impatto sull'economia reale» (parere di iniziativa)

    GU C 255 del 22.9.2010, p. 10–18 (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

    22.9.2010   

    IT

    Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

    C 255/10


    Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La crisi finanziaria e il suo impatto sull'economia reale»

    (parere di iniziativa)

    (2010/C 255/02)

    Relatore: CEDRONE

    Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 febbraio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

    La crisi finanziaria e il suo impatto sull'economia reale.

    La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 13 novembre 2009.

    Alla sua 458a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 dicembre 2009 (seduta del 16 dicembre 2009), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 122 voti favorevoli, 75 voti contrari e 33 astensioni.

    1.   Conclusioni e proposte

    1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che di fronte ad una crisi come quella attuale sia necessaria una grande volontà di coordinamento degli interventi, attraverso impegni comuni adeguati alla gravità della situazione, per individuare le azioni e le proposte, tanto a breve quanto a lungo termine, in grado di favorire la ripresa ed evitare il ripetersi degli eventi che sono stati alla base del dissesto attuale.

    1.2    Finanza internazionale : sulla base degli orientamenti che il CESE ha già espresso, occorre ricordare che è comunque necessario approvare, in tempi rapidi, un sistema di regole che, nel consentire la libera circolazione dei capitali, introduca parallelamente un sistema di sorveglianza e sanzioni in grado di impedire il riprodursi degli effetti negativi di un sistema senza «controlli». Regole capaci di ripristinare un mercato più integro e trasparente. Una condizione favorita anche attraverso l'eliminazione dei paradisi fiscali, del segreto bancario e di alcuni meccanismi perversi del passato legati ai titoli speculativi. Bisogna tornare a distinguere le banche commerciali dalle banche di investimento.

    1.3    Finanza europea : è necessario realizzare il mercato unico della finanza europea, per garantire non solo maggiore trasparenza, facilitazioni negli scambi ed informazioni adeguate a tutti gli operatori, ma anche un sistema di vigilanza affidato alla BCE ed al sistema della banche centrali (SEBC-BCE) per i compiti di indirizzo e di coordinamento internazionale delle attività di sorveglianza. La gestione quotidiana, il controllo e il monitoraggio dei mercati finanziari dei singoli paesi possono invece essere affidati agli organismi di vigilanza nazionali (1).

    1.4    Sistema monetario : Il CESE ritiene opportuno e necessario che venga approfondita la questione del sistema monetario internazionale per stabilizzare i mercati dei cambi ed evitare una concorrenza sleale all'interno dell'OMC, nel commercio internazionale.

    1.5    Sostenere l'economia reale e le imprese : governance economica:

    sarebbe necessario un secondo piano europeo di sostegno, più massiccio per quanto riguarda le risorse e l'impostazione degli interventi, da avviare nei diversi settori economici nei vari paesi, anche attraverso riforme strutturali, o quanto meno, in via subordinata, un piano fortemente coordinato per dare un segnale positivo alle imprese e ai cittadini europei sul valore aggiunto e sulla qualità dell'integrazione europea,

    riformulare in maniera radicale le varie politiche di cui l'UE è titolare (fondi strutturali, coesione, PAC, ambiente, formazione, ricerca, strategia di Lisbona, ecc.), a partire dalla semplificazione delle procedure e dei regolamenti,

    finanziare un sistema di reti europee (energia, trasporti, comunicazione) attraverso il lancio di un «prestito» comunitario, e sostenendo lo sviluppo di un partenariato pubblicoprivato,

    concordare una linea comune di intervento per le banche europee con l'obiettivo di stimolare a riaprire normalmente i flussi del credito alle imprese, con modalità speciali per le PMI, ad esempio attraverso un prolungamento del debito, l'attivazione di un fondo di garanzia o con finanziamenti diretti da parte dello Stato e della BEI,

    consentire ai lavoratori delle PMI di accedere, dove questo non avviene, agli «ammortizzatori sociali» a sostegno dell'occupazione,

    concordare interventi sulla politica fiscale per stimolare la domanda, la ripresa e l'occupazione, unitamente agli interventi di natura macroeconomica e monetaria,

    rendere il mercato del lavoro, oggi troppo segmentato, «più europeo», cioè più integrato e a vasi comunicanti, eliminando gli ostacoli che si frappongono sia nei paesi che tra i paesi; occorre un mercato del lavoro inclusivo, in grado cioè di recuperare non solo i disoccupati di breve o lunga durata, ma coloro che un lavoro non l'hanno mai avuto (circa 100 milioni di europei ed europee). Ovviamente ciò va fatto rispettando gli standard sociali ed economici dei lavoratori del paese di destinazione,

    mobilitarsi per attirare gli investimenti nell'industria, ivi compresi gli investimenti esteri, garantendo che l'Europa offra vantaggi competitivi rispetto ad altre regioni del mondo per quanto riguarda le leggi sulla concorrenza, le norme e gli accordi per favorire l'occupazione, la produttività del lavoro e i regimi fiscali. Il livello della disoccupazione offre un'indicazione della misura in cui le capacità dell'UE in termini di risorse umane vengono ignorate dagli imprenditori e dalle imprese internazionali.

    1.6    Aiutare i cittadini europei : coesione e governance sociale:

    concludere un accordo tra tutte le parti interessate, ossia un «patto europeo per la crescita, lo sviluppo sostenibile, la competitività e l'occupazione» che rimetta la persona, la coesione e la solidarietà al centro del sistema economico ed eviti ricadute pesanti della crisi su cittadini e lavoratori,

    prevedere forme di partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese per creare e/o estendere la «democrazia economica»; inoltre occorre migliorare ed estendere il dialogo sociale,

    favorire un cambiamento della «politica dei consumi», da quelli privati a quelli collettivi, ad es. le grandi reti, attraverso investimenti che migliorino la qualità e la fruibilità dei servizi,

    aumentare la dotazione del fondo di adeguamento alla globalizzazione; lanciare un programma a favore dei giovani (con le università) che vogliono fare impresa e per i lavoratori licenziati che vogliono mettersi in proprio, anche attraverso le imprese di economia sociale come alternativa,

    concordare misure per ridurre la tassazione sul lavoro,

    estendere progressivamente il programma Erasmus a tutti gli studenti universitari che vogliono partecipare,

    SEMPLIFICARE al massimo tutte le procedure comunitarie,

    estendere il patto alle imprese e agli imprenditori nazionali ed internazionali, in modo che localizzino gli investimenti negli Stati membri piuttosto che altrove, iniziando così a creare nuovi posti di lavoro per le risorse umane in eccedenza nell'UE.

    Costruire un'Europa politica dal basso : governance politica (in prospettiva)

    1.7.1   Bisogna impedire, in prospettiva, che i cittadini continuino a pagare i prezzi della NON Europa, come i limiti dell'intervento comunitario a favore della crisi stanno dimostrando ampiamente, limiti dovuti non all'eccesso di Europa ma, al contrario, alla sua mancanza. Il Trattato di Lisbona rappresenta un passo avanti considerevole in questa direzione. Il CESE parteciperà ai nuovi dispositivi istituzionali e darà il proprio parere alla nuova Commissione e al nuovo Parlamento nell'ambito delle nuove competenze conferite dal Trattato.

    1.7.2   L'UE deve porre al centro della sua riflessione la questione del «deficit democratico» e della democrazia dei suoi organismi, anche attraverso nuove forme di partecipazione diretta dei propri cittadini e della «società civile», che non può continuare a restare indifferente di fronte all'insorgere di nuove ingiustizie e di nuovi poteri.

    1.7.3   Tutto ciò rende necessario dare un'efficace rappresentanza esterna all'UE; creare uno «spazio politico europeo» che abbia gli strumenti per controbilanciare i nuovi equilibri che si stanno formando a livello economico e a livello politico internazionale, proprio a seguito della crisi, e che rischiano di indebolire i diritti dei cittadini, oltre a renderli più poveri. Come già indicato, il CESE sosterrà l'azione del nuovo ministro degli Esteri dell'UE e continuerà a fornire il suo parere per quanto riguarda la società civile sulla scena internazionale.

    2.   Introduzione

    2.1   Il CESE ha ritenuto opportuno formulare questo parere di iniziativa per dare una visione di insieme della crisi, suggerire delle proposte alla Commissione e al Consiglio, in qualità di rappresentante dell'economia reale e della società civile organizzata; in particolare, per quanto riguarda il ripristino dei flussi finanziari alle imprese, la crescita e l'occupazione.

    2.2   Per anni, infatti, ci siamo trovati di fronte all'effetto di euforia generalizzata (Samuelson) provocata da una informazione imprecisa che enfatizzava la voce degli «esperti», che garantivano la «validità» di quanto avveniva, la superiorità del modello «vigente», sostenendo che il mercato avrebbe, prima o poi, regolato tutto ed eliminato gli «eccessi».

    2.3   Il CESE è convinto che, nonostante tutto, l'impegno di imprese e lavoratori, forti della loro responsabilità economica e sociale, saprà imprimere una svolta positiva alla crisi, se opportunamente sostenuti dal potere pubblico nazionale ed europeo.

    3.   Dove siamo? La crisi finanziaria internazionale

    Origini : sono ormai troppo note le origini della crisi per doverle esaminare nuovamente. Il CESE, però, ritiene utile ricordare almeno due cause che ne costituiscono la premessa: l'evoluzione della finanza internazionale, sostenuta dalla cultura economica ultraliberista, ha finito con l'alimentare se stessa più che l'economia reale, provocando una mega «inflazione» finanziaria. Il tutto con poche regole, insufficienti e poco rispettate: la seconda causa della crisi. Le regole che c'erano non hanno funzionato o non sono state applicate dagli organismi di vigilanza e dalle agenzie di rating, il cui comportamento ha reso i mercati meno trasparenti (2).

    3.1.1   Appare ora evidente che, all'interno della bolla finanziaria, le banche erano - consapevolmente o meno - impegnate in attività ad alto rischio rispetto alle quali le normative e le precauzioni risultavano completamente inadeguate. Nei servizi bancari al dettaglio, al fine di massimizzare il volume degli affari, venivano concessi prestiti imprudenti sulla base di ipoteche e carte di credito. Nel caso dei servizi bancari di investimento questi prestiti ed altre attività, come i finanziamenti LBO (Leverage Buy Out), venivano assemblati e riassemblati per formare derivati complessi che poi venivano commercializzati senza la dovuta diligenza o riserve adeguate. È evidente che a quei dirigenti e dipendenti le cui attività interessavano il profilo di rischio della banca venivano garantiti incentivi inappropriati e che, come risultato, le ricompense personali avevano la precedenza rispetto agli interessi della maggior parte degli azionisti del sistema bancario e dei cittadini ignari che avevano acquistato i titoli. Una condizione, però, che non giustifica l'uso improprio e gli abusi senza scrupoli a cui abbiamo assistito. Un comportamento che ha danneggiato e messo in cattiva luce tutto il sistema finanziario.

    3.2    Cause : una degenerazione resa possibile dall'assenza della politica, dalle omissioni e dagli errori commessi anche dai governi, non solo per la finanza, ma per le stesse politiche macroeconomiche e monetarie a livello mondiale come, ad esempio, il lassismo nella politica di bilancio USA. Con una UE senza strumenti sufficienti per agire, con un modello economico-sociale attaccato da più parti come la causa di tutti i mali. Con organismi internazionali troppo deboli per poter intervenire. Un periodo durato troppo a lungo. Spesso il potere politico si è trincerato dietro la globalizzazione, dando a questa la colpa di tutto ed assumendosi così una grande responsabilità nelle cause che hanno generato la crisi (1).

    Conseguenze : gli effetti sono stati disastrosi, ma non bisogna cedere al pessimismo. Purtroppo una parte dell'economia finanziaria è stata retta dalla euforia e dall'avidità, dalla speculazione e da un'irresponsabilità diffusa. Anche la forte concentrazione bancaria (al punto da generare l'auto-convinzione che «le banche sono troppo grandi per essere lasciate fallire»!) ed il fallimento nella gestione del rischio, non poteva che provocare le conseguenze attuali attraverso un effetto domino senza ostacoli. Così la crisi, da finanziaria qual era all'inizio, si è trasformata in crisi macroeconomica e si è trasferita all'economia reale. Perciò oggi siamo di fronte ad una crisi finanziaria, che si è scaricata sui settori produttivi provocando una crisi economica, monetaria, commerciale e sociale e quindi una crisi di fiducia.

    3.3.1   Occorre comunque considerare, ad onor del vero, che gli ultimi trent'anni hanno consentito uno sviluppo ed una crescita economica a livello mondiale sconosciuti nelle epoche precedenti, in particolare nei PVS. Una crescita resa possibile anche dallo sviluppo dei mercati finanziari da cui molti hanno tratto vantaggio, illudendosi che tale andamento potesse prolungarsi nel tempo senza difficoltà.

    3.3.2   Sicuramente la crisi avrà conseguenze sul riassetto dei poteri a livello globale e nazionale come il G20 di Pittsburgh ha già dimostrato. Ci sarà una nuova «geografia» economica e politica a crisi finita. La crisi finanziaria originaria si è infatti trasformata in una crisi macroeconomica che si è estesa all'economia reale, provocando una diminuzione del PIL e un netto aumento del tasso di disoccupazione. In tale contesto, il CESE si pone la domanda sul collocamento dell'UE e sul ruolo che dovrebbe avere nel futuro.

    4.   Cosa fare? Gli strumenti per intervenire e per lottare contro la crisi

    4.1   Riordinare il sistema finanziario

    Il CESE ritiene soddisfacenti i risultati del G20 di Londra e del G8 dell'Aquila, perché sono andati al di là delle pessimistiche previsioni della vigilia e hanno dimostrato che l'economia e la finanza mondiale vanno governate insieme o non si governano. È passato il principio della «governance mondiale», che ridà il giusto spazio alla politica. C'è da sperare che anche i governi europei ne traggano le dovute conseguenze (punto 4.4). I risultati, però, devono trovare una concreta ed efficace applicazione, oltre le modifiche introdotte con Basilea 2, attraverso una Basilea 3, il riordino e la riforma degli organismi internazionali.

    4.1.1.1   Certo, sarebbe stato auspicabile far seguire i fatti alle buone intenzioni espresse nel successivo G20 di Pittsburgh. Infatti si è evitato di affrontare i veri problemi presenti sul tappeto: le regole e le riforme del sistema finanziario (1), gli squilibri commerciali tra USA e Cina, la struttura della società per azioni, l'aumento della disoccupazione, ecc. Così permane il rischio, se non si interviene, che «alcuni portatori di interessi finanziari considerino la crisi come un intoppo di poco conto e che pertanto sia lecito cominciare a comportarsi come prima» (3).

    4.1.2   Il CESE ritiene che i compiti degli organismi di vigilanza vadano sì rafforzati (4), ma, prima di tutto, vadano messi in condizione di funzionare, essere autonomi dal potere politico e disporre di un potere sanzionatorio. Occorre eliminare e/o rendere trasparenti i paradisi fiscali, affinché non diventino strumenti di riciclaggio di «denaro sporco» e di evasione fiscale. La mancanza di trasparenza costituisce infatti il problema principale. Tutti devono conoscere la vera natura dei prestiti bancari, degli attivi, delle riserve e dei profili di rischio delle banche.

    4.1.3   Il CESE auspica che gli orientamenti e le decisioni (poche!) prese a Londra, all'Aquila e a Pittsburgh servano a determinare una svolta, in tempi credibili, e ad introdurre (re-introdurre) una nuova cultura economica e di mercato, meno ideologica e più trasparente. Bisogna essere cauti, inoltre, a parlare di morale o di etica nel mercato finanziario come alcuni vorrebbero fare: può essere scambiata per una presa in giro da coloro che stanno pagando prezzi altissimi alla crisi. Molto meglio parlare di diritti, di sanzioni; di regole e di strumenti per attuarle.

    4.1.4   È il modo più convincente ed efficace per ripristinare la fiducia dei consumatori e, quindi, riattivare la domanda. Serve un nuovo linguaggio economico, un linguaggio che parli di economia reale, di investimenti, di lavoro, di rischi, di diritti, di doveri, di salvaguardia della concorrenza.

    4.1.5   Il CESE ritiene che gli attori dell'economia reale, ossia le imprese e i lavoratori, debbano far sentire con più forza la loro voce e le loro ragioni, riappropriandosi del loro ruolo, che è vitale per favorire lo sviluppo economico, lo sviluppo sociale, la competitività, l'innovazione, la crescita, l'occupazione. Sarebbe auspicabile che lo stesso venisse fatto anche dalla politica.

    Anche il sistema monetario internazionale andrebbe rivisto. Infatti, nel corso della riunione del Gruppo del G20 di Londra, del G8 dell'Aquila e del G20 di Pittsburgh, il tema del funzionamento e della riforma del sistema monetario internazionale, salvo la ripartizione delle quote nel FMI, non è emerso come una delle priorità centrali per riavviare l'economia mondiale su sentieri di crescita sostenibile. Eppure, alcuni degli impegni assunti dal G20 e dal G8, se applicati, potrebbero esercitare un forte impatto sul mercato dei cambi e quindi sulle modalità di funzionamento di tale sistema.

    4.1.6.1   Le decisioni prese di fornire aiuti ai PVS e in particolare all'Africa, di triplicare le risorse del Fondo monetario internazionale (sino a 750 miliardi di dollari) e di stanziare altri 250 miliardi di diritti speciali di prelievo (DSP) nell'intento di fornire un sostegno finanziario alle economie dei paesi più colpiti dalla crisi, forniscono un primo elemento di riflessione sulla massa ingente di dollari che verrà messa in circolazione per sostenere paesi con elevati deficit correnti.

    4.1.6.2   In secondo luogo, l'aumento del debito pubblico degli Stati Uniti (che porterà nel prossimo triennio ad un indebitamento totale pari al 100 % del PIL), favorito dalla nuova politica di deficit spending del Presidente Obama per far uscire il paese dalla crisi recessiva, fornirà un ulteriore stimolo all'emissione di un volume ingente di dollari con conseguenze rilevanti per il sistema economico internazionale. Una situazione che si è già verificata a partire dalla seconda metà degli anni '60 e che è terminata con la svalutazione del dollaro e con il crollo nel 1971 del sistema dei tassi di cambio fissi di Bretton Woods.

    4.1.6.3   Le preoccupazioni maggiori derivanti da tale situazione sono state espresse dai cinesi, le cui riserve di valute estere sono aumentate di oltre 5 000 miliardi di dollari nel corso dell'ultimo decennio e probabilmente continueranno a crescere anche nei prossimi anni, se pure a ritmi più contenuti, e che vedono con timore, con l'indebolimento del dollaro, la possibile perdita di valore delle loro enormi riserve valutarie.

    4.1.6.4   L'euro, diventato in pochi anni la seconda valuta di riserva internazionale, non costituisce un'alternativa valida per la sostituzione del dollaro, ammesso che ciò sia conveniente e auspicabile, né tanto meno è possibile pensare, come auspicato dalle autorità monetarie cinesi, ad una «valuta di riserva sovranazionale» rappresentata dai DSP e utilizzata non solo come avviene attualmente tra i soli governi e le istituzioni internazionali ma come strumento di pagamento delle transazioni commerciali e finanziarie internazionali. L'emissione di nuovi DSP è certamente uno strumento utile per creare riserve aggiuntive per le economie che hanno disavanzi correnti, ma non può rappresentare la soluzione a lungo termine della crisi attuale.

    4.1.6.5   È assai probabile, e anche auspicabile, che l'euro assuma sempre più le caratteristiche richieste per essere una valuta di riserva internazionale e di riferimento per la determinazione dei prezzi dei beni sui mercati mondiali. Il CESE auspica, tuttavia, che anche la moneta cinese, espressione di un'economia che è sempre più determinante nel contesto economico mondiale, esca dalla protezione che le è stata accordata dalle autorità cinesi. Per dieci anni il renminbi è stato strettamente ancorato al dollaro e solo dal 2005 la sua valutazione è legata ad un paniere contenente altre valute. Il renminbi deve diventare una valuta liberamente convertibile sui mercati internazionali.

    4.1.6.6   Il CESE ritiene che occorrano più sforzi a livello internazionale e che la Cina non possa continuare, così come avvenuto nel passato, a fare affidamento su una crescita sostenuta dalle esportazioni accumulando avanzi correnti e chiedendo ad altri di farsi carico dei problemi della gestione dei tassi di cambio a livello internazionale che lei stessa, con politiche monetarie e fiscali che favoriscono l'accumulazione di risparmio e frenano la spesa interna, concorre a determinare.

    4.1.6.7   Il sistema monetario mondiale, che si basa su sistemi di tassi di cambio variabili, è caratterizzato da fluttuazioni continue e marcate delle valute dovute alla speculazione. Questa situazione, che produce effetti estremamente negativi sull'economia mondiale, potrebbe essere corretta tramite la conclusione di un accordo politico tra le banche centrali dei principali paesi industrializzati. A questo proposito esse si impegnerebbero ad intervenire di concerto nel caso in cui una valuta subisca una pressione troppo forte verso l'alto o verso il basso, in modo da contenere la volatilità dei tassi di cambio all'interno di margini ragionevoli.

    4.1.7   Creare regole europee sulla finanza - realizzare un mercato unico europeo della finanza (5). Nonostante le norme vigenti a livello europeo e nonostante l'euro, siamo ancora lontani da questo obiettivo, anche nell'eurozona. La crisi ha dimostrato che occorre procedere senza indugi in questa direzione, andando ben al di là di quanto sinora non sia stato fatto, attraverso opportune riforme, come auspicato dalla stessa relazione Larosière e dalle proposte della Commissione. Ciò metterebbe anche la BCE in condizione di agire più rapidamente e con più flessibilità. Non bisogna dimenticare che lo scopo primario della finanza è quello di sostenere le imprese, stimolare l'imprenditorialità, la crescita e l'occupazione: un compito che potrebbe essere favorito da un mercato finanziario riformato, più concorrenziale, trasparente e integrato nei suoi vari aspetti.

    4.2   Sostenere l'economia reale

    4.2.1   Nella comunicazione della Commissione formulata per il Consiglio europeo di primavera 2009 dall'ambizioso titolo Guidare la ripresa in Europa  (6), il ripristino della fiducia dei cittadini e degli operatori economici è al primo posto come misura di intervento per superare la crisi attuale, incrementare la domanda e creare nuovi posti di lavoro. È necessario che le misure proposte producano effetti concreti e non restino solo degli annunci di buone intenzioni.

    4.2.2   In particolare il CESE ritiene che il problema centrale da affrontare sia quello relativo all'occupazione e alla mancanza di liquidità per le imprese (7). Stime recenti fornite dall'OIL indicano una perdita di posti di lavoro dall'inizio della crisi nel dicembre 2007 pari a circa 40 milioni (di cui 7 milioni solo nell'area OCSE) e le previsioni per il futuro sono piuttosto pessimistiche. Il superamento di questo dramma sociale può avvenire solo con il ritorno della fiducia nel funzionamento dei mercati e con interventi pubblici che favoriscano la crescita, la competitività, l'innovazione e l'occupazione. L'Europa ha bisogno di una politica economica e di un programma che attiri le imprese, che le aiuti a crescere e a creare lavoro!

    4.2.3   Il CESE condivide appieno l'obiettivo che si è data la Commissione. Gli interventi descritti nella comunicazione sono da condividere perché riguardano misure urgenti da attivare nel settore bancario e finanziario, nel sostegno all'economia reale, nella valorizzazione del mercato interno europeo. Evidenziano però un approccio tradizionale e certamente non innovativo incentrato su un migliore utilizzo delle politiche economiche settoriali gestite direttamente e/o coordinate dalla Commissione europea.

    4.2.4   Il ripristino della fiducia degli operatori economici e dei cittadini europei nella capacità delle istituzioni comunitarie e delle autorità nazionali di superare la crisi nasce dal riconoscimento che la crisi non è da imputare solo a fenomeni, sia pure drammatici, di tipo congiunturale o a imperfezioni o fallimenti del mercato.

    4.2.5   La particolarità della crisi che l'economia mondiale, ed europea, sta vivendo risiede appunto in una causa più profonda e sistemica che riguarda i valori etici e morali (responsabilità, legalità, giustizia sociale) che sono alla base delle società moderne e che ne ispirano le azioni in tutti gli ambiti della vita economica, sociale e civile. Il ripristino della fiducia nel funzionamento dei sistemi economici e finanziari non può essere cercato solo agendo sui «meccanismi» di mercato che hanno funzionato male, bensì attraverso le politiche macro o microeconomiche europee.

    4.2.6   Se questa impostazione dei problemi attuali è condivisa, le soluzioni proposte nella comunicazione dalla Commissione appaiono insufficienti o comunque di scarsa efficacia rispetto ai cambiamenti che occorrerebbe stimolare nei diversi sistemi produttivi nazionali, ma anche a livello delle politiche europee ed internazionali, per sostenere la crescita delle economie dei paesi membri. E ciò mentre la crisi manifesta i suoi effetti negativi più in Europa (con un PIL più basso) che negli USA, che hanno risposto, invece, con un programma forte ed unitario e con interventi pubblici più massicci e più efficaci. L'UE dovrebbe favorire l'attuazione di misure armonizzate tra i paesi membri. È auspicabile perciò che l'UE emani un secondo piano di intervento più efficace ed omogeneo del primo.

    4.2.7   Limitando la riflessione alle misure da attivare nel breve-medio periodo per la ripresa dell'economia europea, il CESE ritiene che l'attenzione e le risorse finanziarie dell'UE e degli Stati membri dovrebbero concentrarsi prioritariamente su un numero limitato di interventi ma con effetti di grande impatto sui diversi mercati e sugli operatori economici in generale. Questi interventi dovrebbero riguardare: il ripristino della fiducia nel funzionamento del sistema finanziario, i miglioramenti al Piano europeo di ripresa economica, le modifiche da apportare alle principali politiche di intervento dell'Unione, il sostegno ai paesi membri più colpiti dalla crisi a partire dai paesi dell'Europa dell'Est.

    Ripristino della fiducia nel funzionamento del sistema finanziario. La ripresa dell'economia europea è possibile ridando stabilità ed operatività ai mercati finanziari nel rispetto di nuove regole e di nuovi sistemi di macro e micro sorveglianza che ne garantiscano un ordinato e responsabile funzionamento a livello internazionale. La finanza deve ritornare a svolgere il suo ruolo tradizionale e non sostituibile per promuovere la crescita economica: finanziare le attività reali degli operatori (imprese, famiglie, reti e servizi, infrastrutture, ambiente ed energia).

    4.2.8.1   Resta tuttavia non risolto il problema del pesante intervento degli Stati, purtroppo inevitabile, a sostegno del sistema bancario. Il CESE ritiene che tale situazione non possa durare a lungo e che sia necessario individuare una «strategia di uscita» da tali interventi, ponendo delle condizioni al sistema bancario, attraverso un approccio sistematico, ad esempio, una ristrutturazione interna, migliorando quantità e qualità delle riserve iscritte a bilancio. Una strategia che rimetta in moto un mercato del credito e della finanza internazionale, indipendente e trasparente, che eviti il ripetersi di quanto avvenuto.

    4.2.8.2   Relativamente al maggior controllo e trasparenza sulle operazioni finanziarie auspicato dalla Commissione e ribadito dal gruppo dei paesi del G20 a Londra, del G8 all'Aquila, del G20 a Pittsburgh e tenuto conto anche della proposta di riforma del sistema finanziario europeo annunciata dalla Commissione e dal Consiglio, il CESE valuterà tale proposta. È dell'avviso, comunque, che se si affiderà la vigilanza finanziaria ad un nuovo organismo autonomo europeo questo debba avere un potere reale di intervento (8).

    4.2.8.3   Tale scelta dovrebbe favorire il processo di armonizzazione delle diverse legislazioni esistenti in Europa nel settore della vigilanza finanziaria unitamente alla loro capacità sanzionatoria.

    4.2.9   Miglioramenti al Piano europeo di ripresa economica

    4.2.9.1   In un precedente parere (9) il CESE ha avanzato l'ipotesi di una profonda revisione del Piano di ripresa proposto dalla Commissione, non solo e non tanto in termini di risorse finanziarie - considerate insufficienti rispetto alla gravità della crisi - quanto in una diversa articolazione ed impostazione degli interventi da avviare all'interno degli Stati membri per promuovere la ripresa.

    4.2.9.2   Le condizioni di accesso a tali interventi, indipendentemente dai settori considerati oggi prioritari in termini di fabbisogni finanziari (settore automobilistico, settore edilizio, PMI, ecc.) devono garantire una coerenza ed una uniformità delle misure attivate nel pieno rispetto delle regole definite dal mercato interno europeo.

    4.2.9.3   Non è, infatti, auspicabile che iniziative singole finanziate dal Piano europeo nella quota relativa al bilancio comunitario o nelle quote di pertinenza dei governi nazionali per interventi di emergenza nelle imprese, nei settori o nei paesi in crisi, possano in qualche modo ricreare situazioni di privilegio o di protezione per alcuni contesti imprenditoriali a danno di altri.

    4.2.9.4   Il mercato unico rappresenta uno dei motori fondamentali dell'economia europea, il suo rafforzamento e sviluppo è la migliore garanzia per far crescere iniziative produttive e creare nuovi posti di lavoro. Il coordinamento e il monitoraggio degli interventi previsti dal Piano a livello europeo e nazionale devono assicurare ai cittadini europei che la Comunità è in grado di gestire gli aiuti finanziari compatibilmente alla legislazione comunitaria e nell'interesse delle popolazioni e dei territori risultati più vulnerabili di fronte alla crisi.

    4.2.9.5   Secondo il CESE, nell'ambito di questi interventi di sostegno alle attività produttive, un'attenzione particolare deve essere accordata al tema delle PMI (attraverso un piano specifico di finanziamento agevolato e con procedure semplificate; vedere, ad es. lo «Small Business Act»). Nel Piano europeo non sono esplicitate a sufficienza le tipologie di intervento che si intendono attivare per sostenere la ripresa delle piccole e medie aziende. Nei riguardi delle imprese di minore dimensione, il cui contributo all'occupazione complessiva dell'UE è rilevantissimo, il CESE è dell'avviso che le iniziative devono essere formulate all'interno di un quadro di riferimento macroeconomico che tenga conto delle specificità nazionali e locali, dei diversi livelli di specializzazione settoriale, dei diversi fabbisogni in termini di nuove competenze, tecnologie innovative e infrastrutture di servizio alle imprese.

    4.2.9.6   Senza un adeguato quadro di riferimento europeo e nazionale sulle prospettive di crescita futura delle PMI, il rischio, così come avvenuto in passato, è quello di una frammentazione e parcellizzazione degli interventi, con il risultato di assistere tutti senza però aiutare nessuno a crescere in termini di dimensioni e di qualità dei prodotti e servizi realizzati.

    4.2.9.7   Il CESE ritiene inoltre che il superamento della crisi possa essere favorito attraverso il dialogo sociale e la concertazione, quindi con un maggior coinvolgimento delle imprese, dei sindacati e delle organizzazioni dell'economia sociale.

    4.2.10   Modifiche da apportare alle principali politiche dell'UE

    4.2.10.1   Il CESE ritiene che il ripristino della fiducia degli operatori europei passi anche attraverso una modifica profonda delle modalità operative con le quali la Commissione ha gestito politiche comuni in importanti settori economici e sociali, e in particolare la politica di coesione. Relativamente a tale politica, il CESE ha già formulato un parere (10) nel quale ha avanzato numerose proposte di modifica.

    4.2.10.2   La grave crisi economica in atto in tutti i paesi europei, che si prevede possa prolungarsi anche nel corso del 2010, impone una radicale riforma nella gestione dei fondi strutturali (FESR e FSE) ed una revisione degli interventi definiti per il periodo di programmazione 2007-2013. La Commissione sta elaborando alcune proposte di modifica per semplificare le procedure, accelerare i pagamenti e ridefinire gli ambiti di intervento di alcune politiche settoriali, ma sono misure ancora insufficienti benché necessarie per salvaguardare la coesione dell'UE, oggi minacciata dalla crisi.

    4.2.10.3   Lo sforzo che il CESE chiede alla Commissione per adattare gli interventi previsti alle nuove realtà che emergono dalla crisi internazionale deve essere più ampio e necessita, comunque, di un ripensamento complessivo di queste politiche. Tra l'altro, la conflittualità che si sta verificando tra le amministrazioni centrali e quelle regionali nella gestione delle risorse dei fondi strutturali per far fronte alle emergenze costituisce un ulteriore elemento di riflessione su come «ripensare» gli aiuti per i territori più svantaggiati dell'Unione.

    4.2.10.4   Anche nel caso delle politiche di coesione il CESE ritiene che, per ogni paese destinatario di tali risorse, si debbano formulare priorità settoriali e locali specifiche nell'intento di far convergere le risorse comunitarie e nazionali sui programmi e progetti ritenuti di maggiore impatto economico e sociale. Coerenza nella selezione degli interventi, coordinamento a livello europeo e nazionale nelle politiche di aiuto alle imprese, programmi comuni per la formazione specialistica e sviluppo di nuove competenze, sono i principi a cui la politica di coesione si deve ispirare nel rivedere le sue linee di indirizzo.

    4.2.10.5   La crisi, in sintesi, dovrebbe essere l'occasione per l'UE non solo di utilizzare meglio le politiche di cui dispone, ma di attivarne di nuove: migliorare le infrastrutture e lanciare, ad esempio, un piano per l'ambiente, per la creazione di nuove reti europee per l'energia e la comunicazione (come la banda larga) attraverso un finanziamento pubblico europeo (euro-bond); ciò costituirebbe una spinta straordinaria per la ripresa economica.

    4.2.10.6   Il CESE ritiene che questa sia un'occasione straordinaria per una profonda riflessione sul bilancio comunitario così come oggi si configura, sia in termini qualitativi che quantitativi, nonché per mettere sul tavolo, magari attraverso un gruppo di esperti, la politica fiscale, una questione fondamentale per la crescita e lo sviluppo e che non potrà più continuare ad essere elusa o adoperata come dumping sociale ed economico a livello europeo.

    4.2.11   Sostegno ai paesi membri più colpiti dalla crisi a partire dai paesi dell'UE dell'Est

    4.2.11.1   Il CESE ritiene che la Commissione debba prevedere, se non un fondo ad hoc per i paesi più colpiti dalla crisi (proposta rigettata dai paesi membri più influenti dell'UE), certamente un insieme di interventi finanziari, anche attraverso la BERS, da destinare alle iniziative di stabilizzazione delle economie più deboli dell'UE, come si sta cominciando a fare. In questo ambito una particolare attenzione deve essere rivolta ai paesi dell'Est, e dunque contributi specifici devono essere destinati a tale scopo. Le motivazioni sottostanti la richiesta di contributi specifici per questi paesi sono molteplici. Ne va di mezzo, in caso contrario, la caduta del secondo pilastro dell'integrazione, insieme al mercato unico, quello dell'allargamento.

    4.2.11.2   L'UE dovrà affrontare nei prossimi mesi, ed anni, situazioni assai difficili da risolvere: la crisi economica ed occupazionale, i conflitti sociali, le riforme istituzionali da avviare, le diversità interne tra gli Stati membri, e tutto questo in un quadro di euroscetticismo crescente a livello di partiti politici, di governi nazionali di molti Stati dell'UE e di opinione pubblica, assai insoddisfatta dalle decisioni prese a livello europeo.

    4.2.11.3   La fiducia nel modello economico e sociale europeo, nelle sue capacità di trovare soluzioni adeguate e nell'interesse di tutti gli Stati membri, potrà essere ripristinata se l'UE si farà carico dei problemi dei paesi più deboli aiutandoli a superare le difficoltà in cui si trovano.

    4.2.11.4   La crisi che molti paesi dell'Est avvertono, nei settori del credito, dei servizi finanziari e delle imprese manifatturiere, non è di dimensioni tali da rappresentare un ostacolo non affrontabile da parte dell'UE. Molte di queste attività sono sorte con l'assistenza e gli investimenti diretti provenienti dai 15 paesi dell'UE ed è difficile ora immaginare, dopo il percorso di avvicinamento che è stato loro imposto per diventare membri effettivi, di ricorrere, con la politica «caso per caso», ad interventi economici minimi e di poco spessore. Si tratta di un errore strategico ed economico non riparabile nel breve-medio periodo e di una forma di miopia politica assai grave che potrebbe pregiudicare il futuro dell'integrazione europea.

    4.3   Aiutare i cittadini europei

    4.3.1   Dopo la crisi «si troverà un nuovo equilibrio, ma non più ai livelli di prima: bisogna essere capaci di vivere ad un livello più basso». Ecco, se si avvererà questa previsione (11), l'unica cosa chiara è la certezza di coloro che dovranno vivere, si spera solo per un breve termine, ad un livello ancora «più basso».

    4.3.2   Il rischio da evitare è che siano ancora le imprese ed il lavoro a pagare il conto del salvataggio del mercato, mentre il capitale continuerà a spostarsi verso mercati più sicuri continuando a sfuggire al fisco. Potremmo assistere così ad un ulteriore impoverimento del reddito da lavoro, tale da provocare una delegittimazione sociale dell'economia di mercato. Se si vuole evitare questo rischio, occorre rafforzare ed estendere il modello europeo dell'economia sociale di mercato, rimettendo le persone al centro del sistema economico.

    4.3.3   Per queste ragioni il CESE ritiene che anche la politica fiscale debba essere oggetto di maggior attenzione da parte dei governi e dell'Unione, proseguendo sulla via del coordinamento per evitare condizioni di disparità in contrasto col mercato unico. Inoltre dovrebbero essere privilegiate quelle riforme che incrementano la base imponibile piuttosto che le aliquote fiscali, tenendo più in conto i patrimoni che non l'attività delle imprese ed il lavoro.

    4.3.4   Occorre, inoltre, evitare che le conseguenze della crisi finanziaria abbiano ricadute drastiche sui sistemi pensionistici dei paesi membri, così come avvenuto negli USA dove alcuni enti di gestione di piani pensionistici hanno accumulato perdite rilevanti per la crisi degli hedge funds, con la conseguenza che i lavoratori che hanno sottoscritto questi piani hanno visto dimezzare il valore dei loro risparmi. Il CESE è dell'avviso che occorra lavorare per la definizione di quadri normativi e modelli pensionistici a tutela degli interessi dei cittadini e dei lavoratori europei.

    4.3.5   L'aumento dell'ingiustizia e delle disuguaglianze ha ridotto e ridurrebbe ancora di più gli spazi di libertà; rischia di essere pericoloso per la democrazia dei paesi europei ed in particolare dell'UE, che ha ancora un «deficit democratico» molto pesante da colmare; quanto meno riduce il consenso dei nuovi poveri verso le politiche da attuare per superare la crisi e per favorire uno sviluppo sostenibile.

    4.3.6   Il CESE ritiene che sia questo il momento, un'occasione importante che si offre all'UE per far sentire la sua vicinanza con iniziative concrete e tangibili verso i cittadini, le imprese ed i lavoratori che sono stati più colpiti dalla crisi.

    Ciò va fatto con provvedimenti tesi a tutelare i diritti: perciò l'UE deve poter intervenire sulla politica sociale con iniziative proprie. La questione sociale deve rientrare a pieno titolo nel patto strategico di cui al punto 4.4.3. Un altro fronte degli interventi deve riguardare le politiche economiche (tra cui un finanziamento straordinario alla strategia di Lisbona) e di sostegno alle imprese più vulnerabili (che l'UE, insieme agli Stati membri, deve mettere in atto (punto 4.2)).

    4.3.7.1   Interventi strutturali sul mercato del lavoro, che va reso più permeabile ed inclusivo, con regole concordate a livello europeo utilizzando il FSE, semplificando le procedure ed anticipando i pagamenti.

    4.3.7.2   Promuovere azioni a favore delle imprese che si impegnano ad attuare e rispettare il principio della responsabilità sociale in Europa e il principio della clausola sociale al di fuori del territorio europeo.

    4.3.8   Il CESE si augura e chiede che la Commissione, anche attraverso incentivi economici, ad es. i fondi strutturali, faccia tutto il possibile, insieme alle parti sociali europee, per favorire accordi e/o per trovare soluzioni che riducano l'impatto della crisi sulle imprese e sui lavoratori, anche attraverso la diffusione delle buone pratiche che stanno emergendo in alcuni paesi.

    4.3.9   Il CESE chiede al Consiglio di mettere in atto i provvedimenti necessari, un codice europeo, che stabiliscano gli ambiti in cui operare, per ridurre la forbice retributiva e per affermare una nuova giustizia distributiva, non solo nel settore finanziario. Una forbice che ha portato ad un aumento smisurato delle disuguaglianze, senza giustificazione alcuna. Sarebbe auspicabile procedere attraverso un accordo europeo che coinvolga le parti.

    4.4   Avviare un'UE politica: un'UE politica dal basso

    4.4.1   Il CESE ritiene che l'UE, per affrontare e superare la crisi, abbia bisogno di strumenti decisionali che oggi non ha e che sono la causa principale del suo deficit di azione che rischia oggi di emarginarla di fronte ai grandi poteri di Cina ed USA. Per questa ragione il CESE ritiene che l'UE debba dotarsi di una concreta capacità di operare, anche con strumenti provvisori, per non vanificare il lavoro e gli impegni di questo periodo di profondi cambiamenti.

    Governance politica: il CESE ritiene che una delle cause principali della crisi attuale sia dovuta alle divisioni e agli errori della «politica»: senza una visione unitaria, la politica è stata incapace di agire, finendo col rinunciare al suo ruolo guida sia a livello mondiale che europeo. I risultati sono ormai sotto gli occhi di tutti.

    4.4.2.1    Governance internazionale: l'UE non ha ancora una politica estera comune né un potere autonomo per gestire la crisi, mentre sarebbe necessario darle una voce unica, almeno a livello di eurozona, sui tavoli internazionali, e, in particolare, negli organismi che ci apprestiamo a riformare, per controbilanciare il potere decisionale degli altri blocchi economici e politici. L'UE rappresenta il più grande mercato mondiale di beni e servizi, è il primo contribuente di aiuti pubblici destinati a finanziare lo sviluppo dei paesi più poveri, la sua valuta, l'euro, è la seconda valuta internazionale di riserva, dunque un «gigante economico» sotto molti aspetti, ma se consideriamo la sua capacità decisionale in ambito internazionale l'UE è un «nano politico»: un vero e proprio paradosso incomprensibile per i cittadini europei. È necessario, invece, che la politica globale sia più influenzata dalle proposte e dai «valori» europei.

    4.4.2.2   I capi di Stato e di governo devono perciò avere il coraggio di riconoscere questo limite e porsi questo obiettivo; oggi essi agiscono come una squadra senza capitano: una condizione che ha costi economici e politici rilevanti. Non serve scomodare storici e/o padri della patria per convincersene («Se l'Europa fosse finalmente unita, allora non ci sarebbero limiti per la felicità, il benessere e la gloria dei suoi 400 milioni di abitanti», W. Churchill, 1946). Occorre stipulare, a breve, un accordo impegnativo per gestire le crisi, che poi si possa trasformare in metodo comunitario e non il contrario, come sta avvenendo.

    4.4.3    Governance economica: l'obiettivo principale da raggiungere è dare all'UE gli strumenti per definire e sviluppare indirizzi comuni di politica macroeconomica e di settore (almeno nell'eurozona, con effetti positivi per tutti i 27 paesi); affiancare alla politica monetaria europea una politica economica comune, a partire dall'eurozona, che non può rimanere confinata alla semplice volontà di coordinamento e che preveda interventi nei settori strategici di interesse europeo (ambiente, energia, innovazione, immigrazione, occupazione, coesione …). Occorre formulare un nuovo patto europeo per la crescita, lo sviluppo sostenibile, la competitività e l'occupazione, un patto che valorizzi, in particolare, l'economia sociale e ambientale di mercato e che punti a completare il mercato interno, come auspicato nella «strategia di Lisbona».

    4.4.4    Governance sociale: il patto europeo deve avere, tra gli obiettivi prioritari, anche la politica sociale e di coesione. L'UE dovrebbe avere una maggiore capacità di intervento sulla politica sociale (12) per definire uno «zoccolo minimo» o soglia minima dei diritti sociali fondamentali. Tutte queste ragioni richiedono un'Europa più capace di agire. Deve cominciare a farlo ricordando che l'UE è nata come progetto economico (CECA, CEE ed euro), finalizzato a fini politici.

    4.4.5   Il CESE ritiene, perciò, che sia necessario, in questo periodo, allargare la partecipazione dei cittadini, in particolare dei giovani, al processo di costruzione dell'UE, sperimentando nuove forme di coinvolgimento dal basso. Una questione che non deve essere lasciata al caso. Avrebbe un grande impatto, ad esempio, sull'opinione pubblica, se l'UE lanciasse una proposta efficace, non effimera, che mettesse i cittadini in prima fila, con nuove procedure partecipative per assumere decisioni sulle politiche europee di maggior rilievo. Sarebbe un ottimo strumento per collegare i cittadini europei alle loro istituzioni e servirebbe ad attutire il deficit democratico dell'UE. Una questione vitale per il futuro dell'Unione, che non può continuare ad essere rinviata, anche se con il Trattato di Lisbona fa un piccolo passo avanti.

    4.4.6   Un contributo importante in questa direzione può venire dalla «società civile europea» che non può essere evocata a caso, rimanere una sfera separata o servire solo da copertura. Si tratta di una sfida per il CESE; per il suo Programma per l'Europa.

    Bruxelles, 16 dicembre 2009

    Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

    Mario SEPI


    (1)  Cfr. il parere del CESE in merito a La relazione del gruppo de Larosière (GU C 318 del 23.12.2009, pag. 57).

    (2)  Cfr. il parere del CESE in merito a La relazione del gruppo de Larosière (GU C 318 del 23.12.2009, pag. 57).e il parere CESE sul tema Un piano europeo di ripresa economica, (GU C 182 del 4.8.2009, pag. 71).

    (3)  «La situazione del sistema finanziario e bancario», articolo scritto congiuntamente da Christine Lagarde, ministra francese dell'Economia, industria e occupazione, Anders Borg, ministro svedese delle Finanze, Wouter Bos, ministro olandese delle Finanze, Jean-Claude Juncker, ministro lussemburghese delle Finanze, Elena Salgado Mendez, ministra spagnola delle Finanze, Peer Steinbrück, ministro tedesco delle Finanze e Giulio Tremonti, ministro italiano delle Finanze, pubblicato su diversi quotidiani europei il 4 settembre 2009.

    (4)  Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla vigilanza macroprudenziale del sistema finanziario nella Comunità e che istituisce il Comitato europeo per il rischio sistemico – COM(499) def. del 23 settembre 2009; Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'Autorità bancaria europea - COM(501) def. del 23 settembre 2009. Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali - COM(502) def. del 23 settembre 2009; Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati - COM(503) def. del 23 settembre 2009.

    (5)  Cfr. nota 3.

    (6)  COM(2009) 114 def., Guidare la ripresa in Europa, 4 marzo 2009.

    (7)  Cfr. il parere del CESE sul tema Risultati del vertice sull'occupazione (GU C 306 del 16.12.2009, pag. 70).

    (8)  Cfr. il parere del CESE in merito a La relazione del gruppo de Larosière (GU C 318 del 23.12.2009, pag. 57). Nel suo intervento alla sessione plenaria del CESE il 30 settembre 2009 anche BARROSO si è espresso in questo senso.

    (9)  Cfr. parere CESE sul tema Un piano europeo di ripresa economica, (GU C 182 del 4.8.2009, pag. 71).

    (10)  Cfr. parere CESE in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sui risultati dei negoziati relativi alle strategie e ai programmi della politica di coesione per il periodo di programmazione 2007-2013, (GU C 228 del 22.9.2009, pag. 141).

    (11)  John Nash, Premio Nobel per l'economia, ottobre 2008.

    (12)  Nel suo intervento alla sessione plenaria del CESE il 30 settembre 2009 anche BARROSO si è espresso in questo senso.


    Top