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Document 52010IE0769

    Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Commercio internazionale e cambiamento climatico»

    GU C 21 del 21.1.2011, p. 15–20 (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

    21.1.2011   

    IT

    Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

    C 21/15


    Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Commercio internazionale e cambiamento climatico»

    2011/C 21/03

    Relatrice: PICHENOT

    In data 26 febbraio 2009 il Comitato economico e sociale europeo ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

    Commercio internazionale e cambiamento climatico.

    La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 maggio 2010.

    Alla sua 463a sessione plenaria, dei giorni 26 e 27 maggio 2010 (seduta del 26 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 154 voti favorevoli, 4 voti contrari e 7 astensioni.

    1.   Raccomandazioni

    1.1

    Nel quadro della strategia Europa 2020 una nuova politica commerciale dovrà dare delle risposte alle preoccupazioni ambientali, evitando all'Europa di cadere nella tentazione di ripiegarsi su sé stessa attraverso misure protezionistiche. Essa deve essere finalizzata a garantire un mercato più innovativo e rispettoso dell'ambiente, favorendo al tempo stesso il benessere sociale. Per realizzare questa ambizione l'UE può dare l'esempio, orientando la crescita verso un modello nuovo a basse emissioni di CO2 e conservando in tal modo la propria leadership nella lotta al riscaldamento climatico. L'impatto della crescita economica, dei trasporti e della diffusione delle tecnologie fanno del commercio internazionale un elemento imprescindibile dei dibattiti sul cambiamento climatico e della transizione verso un'economia verde.

    1.2

    Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) auspica fortemente che il raggiungimento di una conclusione globale dei negoziati di Doha, nel quadro dell'OMC, renda più facile il commercio dei beni e servizi ambientali attraverso una sensibile riduzione degli ostacoli tariffari e non. È inoltre del parere che l'UE debba continuare a dare l'esempio favorendo la diffusione delle tecnologie «verdi» nell'ambito dei suoi accordi commerciali bilaterali e regionali.

    1.3

    Nell'ottica di una futura strategia commerciale, il CESE raccomanda di portare avanti ulteriori studi sulla dimensione ambientale e sociale dei cambiamenti climatici, anche per quanto riguarda la gestione degli aspetti relativi alle risorse idriche. Invita le società civili d'Europa e dei paesi terzi a partecipare, sin dalle prime fasi dei negoziati commerciali bilaterali e regionali, all'elaborazione delle analisi d'impatto, in particolare sul capitolo riguardante lo sviluppo sostenibile.

    1.4

    In materia di trasporti, il CESE sostiene l'adozione degli obiettivi globali fissati dall'UNFCCC, che prevedono una riduzione delle emissioni del 10 % per il trasporto aereo e del 20 % per il trasporto marittimo. La decisione di condividere gli sforzi di riduzione riguarderà anche il settore dei trasporti, dato che il trasporto aereo sarà progressivamente integrato nell'ETS (sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra) a partire dal 2012. Un'iniziativa europea volta a definire obiettivi ambiziosi di efficienza energetica per i trasporti in alto mare darebbe un ulteriore contributo in proposito.

    1.5

    Dinanzi all'incertezza dell'Accordo di Copenaghen sui cambiamenti climatici del dicembre 2009 e delle sue possibili conseguenze, il pacchetto Clima-energia prevede che nel giugno 2010 sia adottata, in codecisione con il Parlamento europeo, una relazione contenente «proposte adeguate» per i settori soggetti al rischio di «fuga» del carbonio a causa dell'esposizione alla concorrenza internazionale e/o dell'aumento dei costi imposto dal prezzo comunitario del CO2. Anche se il fenomeno della fuga di carbonio non si è ancora verificato, a partire dal 2013 tale rischio non può essere escluso, anzi dovrebbe aumentare mano a mano che l'UE incrementerà il volume delle quote messe all'asta e i paesi terzi grandi produttori di emissioni registreranno ritardi nella creazione di un mercato per lo scambio di quote di emissione o nell'istituzione di una tassa interna.

    1.6

    A breve termine, per contenere il rischio di fuga ci si dovrà basare prioritariamente su una maggiore assegnazione gratuita delle quote di emissione, la cui portata dipenderà dai progressi e dai risultati raggiunti nell'ambito dei negoziati multilaterali sui cambiamenti climatici. Tale assegnazione, orientata ai settori sensibili, stabilita in funzione dei migliori risultati e infine condizionata al rispetto del duplice criterio della liberalizzazione commerciale e dell'aumento dei costi del CO2, dovrà avere carattere transitorio, essere giustificata dal punto di vista empirico, ottemperare alle regole del commercio internazionale e allinearsi ad un modello a basse emissioni di carbonio.

    1.7

    L'adeguamento alle frontiere non sarà giustificato in sede di OMC fintantoché l'UE privilegerà l'assegnazione gratuita: l'ETS può essere infatti assimilato ad una tassa (e quindi adeguabile alle frontiere) solo nel caso in cui le quote siano integralmente messe all'asta. La scelta più opportuna consisterebbe nel richiedere tali adeguamenti in via transitoria per una serie di linee tariffarie in base ai rischi accertati di fuga del carbonio, una volta esaurito il ricorso all'assegnazione gratuita. Solo degli adeguamenti molto mirati e motivati potrebbero essere sostenuti dinanzi all'organo di conciliazione dell'OMC nell'unica prospettiva, che è proprio il principale acquis di Copenaghen, di contenere l'aumento della temperatura al di sotto dei 2 °C.

    1.8

    Stando agli sviluppi lenti ed incerti dei progetti di creazione di un mercato globale per lo scambio di quote di emissione, gli Stati membri dell'UE rischiano ancora per alcuni anni di essere fra i pochi paesi che assegnano un prezzo al CO2. Di fronte al rischio, imminente, di una «fuga» di carbonio in alcuni settori europei sottoposti all'ETS, il CESE raccomanda anche di aumentare notevolmente gli investimenti a lungo termine per il passaggio ad un'economia a basso consumo di CO2 e di creare un quadro di incentivi prevedibile e stabile a favore dell'innovazione, della ricerca e dello sviluppo nel campo delle tecnologie pulite non ancora commercializzabili.

    1.9

    Per sviluppare un'economia verde e conservare la propria leadership in questo campo, l'Europa dovrebbe pertanto, nel suo stesso interesse e in quello del clima, continuare a prefiggersi l'ambizioso obiettivo di una riduzione progressiva che raggiunga l'80 % nel 2050, fissando ad esempio un obiettivo intermedio del 25-40 % tra il 2020 e il 2030. Il Comitato propone di elaborare delle analisi d'impatto (ambientale, occupazionale e sullo sviluppo) per anticipare le transizioni tra il 2020 e il 2050.

    1.10

    Per lottare contro i cambiamenti climatici è necessaria una forte azione collettiva e pubblica a livello sia nazionale che europeo. Accanto alle pressioni del mercato (ETS), è indispensabile che i poteri pubblici adottino rapidamente degli incentivi finanziari e fiscali mirati e rafforzino gli investimenti per la ricerca e lo sviluppo di tecnologie e servizi «puliti». Gli enti territoriali possono sostenere lo sviluppo di tecnologie pulite nel quadro dei bandi di gara per gli appalti pubblici.

    1.11

    Accanto ai «produttori» di CO2, anche il singolo consumatore è chiamato a partecipare alla lotta contro le emissioni di gas serra direttamente collegate al commercio. Il Comitato invita ad armonizzare e a consolidare la metodologia di misurazione del CO2 nei prodotti, dalla fase della concezione sino a quella della distribuzione. A tal fine raccomanda di migliorare le analisi del ciclo di vita (ACV) e di approfondire gli studi sulle questioni metodologiche riguardanti la contabilità del carbonio. Anche se la definizione di norme e l'etichettatura del contenuto di CO2 devono restare un'iniziativa privata e decentrata all'interno dell'UE, l'elaborazione di un quadro comune di misurazione e di valutazione è un'operazione indispensabile che spetta alla Commissione o ad un'apposita agenzia.

    1.12

    Il CESE raccomanda di precisare, in previsione della futura giurisprudenza dell'organo di conciliazione dell'OMC, fino a che punto i processi e i metodi di produzione (PMP) possano giustificare una restrizione degli scambi in base all'eccezione ambientale (1). Invita pertanto ad estendere il mandato del comitato per il commercio e l'ambiente dell'OMC al fine di chiarire le conseguenze giuridiche della controversia Stati Uniti - importazione di gamberetti.

    2.   Globalizzazione e clima

    2.1

    Negli ultimi decenni si è assistito ad un'espansione senza precedenti del commercio internazionale (pari al 21 % del PIL mondiale nel 2007, commercio intraeuropeo escluso), con l'eccezione del 2009 che ha fatto registrare una diminuzione del 12 % dovuta alla crisi. L'impatto della crescita economica, dei trasporti e della diffusione delle tecnologie fa del commercio internazionale un elemento imprescindibile dei dibattiti sul cambiamento climatico.

    2.2

    A tutt'oggi, nessun quadro teorico completo stabilisce né espone nei dettagli la totalità delle interferenze e delle relazioni causa-effetto che collegano il commercio al clima (2). Nel quadro delle ricerche in materia, la misurazione dell'impatto del commercio sul clima e sull'ambiente in generale viene formalizzata ricorrendo a tre variabili interrelate. La prima è una variabile di scala: il commercio contribuisce all'aumento dell'attività economica e di conseguenza, a tecnologia costante, aumenta le emissioni. La seconda è una variabile di composizione: la riorganizzazione geografica sulla base dei vantaggi comparativi può accompagnarsi ad un aumento o ad una diminuzione delle emissioni in funzione del carattere più o meno inquinante delle produzioni nelle quali si specializzano i paesi con l'avanzare della globalizzazione. Vi è infine una variabile tecnica: sotto la pressione esercitata dalle società civili, con il contributo delle imprese e con l'azione dei pubblici poteri, nascono delle tecnologie più pulite che riducono le emissioni. Le imprese europee sottoposte all'ETS hanno contribuito a far sì che l'UE raggiungesse gli obiettivi previsti dal protocollo di Kyoto.

    2.3

    La somma di questi tre effetti del commercio sulle emissioni di CO2 dà un risultato negativo a causa della preponderanza del volume degli scambi, che non è bilanciata, per il momento, dalla diffusione delle tecnologie pulite. La distanza tra i diversi luoghi di produzione e quelli del consumo finale non è l'unico fattore da prendere in considerazione né è quello sempre determinante nel bilancio relativo al CO2.

    2.4

    Un collegamento specifico con il clima si può tuttavia individuare nell'impatto del commercio sui trasporti (3) e, in ultima analisi, sulle emissioni. Il petrolio rappresenta oggi il 95 % dell'energia utilizzata dai trasporti nel mondo, facendo sì che il settore dei trasporti nazionali ed internazionali contribuisca all'emissione di gas a effetto serra (poco meno del 15 % delle emissioni totali).

    2.5

    La maggior parte degli scambi internazionali vengono effettuati per via marittima (il 90 % del peso). Benché questo tipo di trasporto resti fra i meno inquinanti in termini di emissioni di CO2 per chilometro e per tonnellata trasportata, occorre tuttavia prendere in considerazione le previsioni di crescita. Secondo l'Organizzazione marittima internazionale (OMI), infatti, le emissioni del trasporto marittimo potrebbero triplicare entro il 2050, in particolare a causa dell'intensificarsi degli scambi Sud-Sud.

    2.6

    Infine, il rischio di una crisi delle risorse idriche costituisce un'altra grave conseguenza del riscaldamento climatico. Se non si interviene in via preventiva, entro il 2020 la metà della popolazione mondiale potrebbe essere esposta al rischio di siccità. Già ora, più di 1,5 miliardi di abitanti del pianeta non hanno accesso all'acqua potabile e ai servizi sanitari di base. Inoltre, in alcune regioni del mondo anche l'agricoltura subirà gli effetti della carenza idrica, e di conseguenza il commercio diventerà un elemento strategico per il perseguimento degli interessi nazionali in materia di sicurezza energetica, climatica ed alimentare. Contribuendo ad una distribuzione efficace delle risorse rare, il commercio internazionale potrebbe limitare la pressione globale sulle risorse idriche.

    3.   Ruolo potenziale del commercio nella diffusione delle tecnologie di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici

    3.1

    Il gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (IPCC) ha individuato una serie di tecnologie di mitigazione e adattamento che possono aiutare a superare i problemi legati ai cambiamenti climatici. Molte di queste tecnologie sono state menzionate nel quadro dei negoziati in corso all'OMC riguardo ai beni e ai servizi ambientali, come ad esempio le turbine eoliche e idroelettriche, le caldaie a energia solare, le cellule fotovoltaiche o le attrezzature necessarie al funzionamento degli impianti e delle tecnologie che utilizzano energie rinnovabili.

    3.2

    I negoziati sui beni e servizi ambientali condotti nel quadro di Doha possono contribuire a migliorare l'accesso a beni e tecnologie rispettosi del clima. Tuttavia, i vantaggi climatici immediati che ci si possono aspettare dalla liberalizzazione del commercio sono limitati. Infatti, per un'ampia gamma di prodotti, come in particolare le energie rinnovabili, le attuali barriere tariffarie sono già deboli o moderate (il 2 % in media nei paesi ricchi, il 6 % in media nei paesi in via di sviluppo). In compenso, gli ostacoli agli investimenti e le barriere non tariffarie continuano a frenarne notevolmente la diffusione (in particolare le norme tecniche e industriali, gli obblighi amministrativi, la presenza commerciale obbligatoria dei fornitori di servizi nel paese importatore, la limitazione delle attività per le imprese straniere).

    3.3

    Nell'ottica di una futura strategia commerciale, prevista dalla Commissione per il 2020, il CESE ritiene che il presente parere fornisca già di per sé una serie di elementi di valutazione in relazione all'obiettivo preannunciato, vale a dire la ricerca di «iniziative di apertura commerciale per i settori del futuro, come prodotti e tecnologie “verdi” e prodotti e servizi ad alta tecnologia, così come per la standardizzazione internazionale, specialmente nei settori di crescita». In particolare, il CESE raccomanda di portare avanti ulteriori studi sulla dimensione ambientale e sociale dei cambiamenti climatici, anche per quanto riguarda la gestione degli aspetti relativi alle risorse idriche. Invita le società civili d'Europa e dei paesi terzi a partecipare, sin dalle prime fasi dei negoziati commerciali bilaterali e regionali, alla elaborazione delle analisi d'impatto, in particolare sul capitolo riguardante lo sviluppo sostenibile.

    3.4

    Per quanto riguarda l'acqua potabile, il commercio internazionale può intervenire nell'ambito del trasferimento di tecnologia (impianti di dissalazione dell'acqua di mare, riutilizzo delle acque reflue e tecniche di risanamento). È quindi opportuno integrare quest'aspetto in qualsiasi negoziato distinto raccomandato dal CESE nell'ambito del commercio dei beni e servizi ambientali.

    3.5

    In materia di trasporti, il CESE sostiene l'adozione degli obiettivi globali fissati dall'UNFCCC, che prevedono una riduzione delle emissioni del 10 % per il trasporto aereo e del 20 % per il trasporto marittimo. La decisione di condividere gli sforzi di riduzione riguarderà anche il settore dei trasporti, dato che il trasporto aereo sarà progressivamente integrato nell'ETS a partire dal 2012. Un'iniziativa europea volta a definire obiettivi ambiziosi di efficienza energetica nei trasporti in alto mare darebbe un ulteriore contributo in proposito.

    3.6

    Fra gli ostacoli alla diffusione delle tecnologie pulite e dei servizi ad esse collegati figura in molti casi la protezione rafforzata della proprietà intellettuale. Una serie di studi ha dimostrato che i diritti di proprietà intellettuale, soprattutto nel campo dei brevetti, hanno registrato un sensibile aumento dalla fine degli anni '90. Se è vero che i brevetti, in particolare, permettono al loro detentore di limitare la disponibilità, l'impiego e lo sviluppo delle tecnologie utili per lottare contro il cambiamento climatico, questi studi recenti mostrano che la proprietà intellettuale è una questione chiave per gli investimenti a lungo termine e per lo sviluppo di tecnologie non ancora disponibili, mentre non sembra costituire, nel breve periodo, l'ostacolo maggiore alla diffusione delle tecnologie pulite. Attualmente, il costo medio dei brevetti per la commercializzazione di queste tecnologie è ancora piuttosto contenuto. È più importante, invece, rimediare ai problemi concernenti la scarsa esecuzione e rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, che rappresentano ancora un deterrente ad esportare verso alcuni paesi.

    3.7

    Per lottare contro i cambiamenti climatici è necessaria una forte azione collettiva e pubblica a livello sia nazionale che europeo. Accanto alle pressioni del mercato (ETS), è indispensabile che i poteri pubblici adottino rapidamente degli incentivi finanziari e fiscali mirati e rafforzino gli investimenti per la ricerca e lo sviluppo di tecnologie e servizi «puliti» non ancora commercializzabili. Gli enti territoriali possono sostenere lo sviluppo di tecnologie pulite nel quadro dei bandi di gara per gli appalti pubblici.

    3.8

    Il rapporto di causalità reciproca tra apertura commerciale e crescita lascia aperta la questione della responsabilità delle imprese e dei consumatori dei paesi importatori per quanto riguarda le emissioni. L'Europa e gli Stati Uniti assorbono la metà delle esportazioni provenienti dalla Cina. Si pone quindi la questione di una «contabilità del carbonio» che non si limiti alle fonti primarie di emissione e alla fase a monte dei diversi settori di produzione, ma si estenda alla totalità delle componenti di tali filiere, dalla concezione fino alla distribuzione.

    3.9

    Il CESE constata che, attualmente, la dispersione e la forte mobilità geografica dei settori globalizzati rendono difficile misurare in modo esatto e costante il tenore in carbonio di un prodotto. Questa difficoltà, legata alla messa in concorrenza di un maggior numero di attività e di compiti, non facilita la messa a punto di politiche commerciali intese ad informare e sensibilizzare i consumatori, come le iniziative private di etichettatura, di rilascio di un marchio di qualità ecologica e di certificazione. L'evoluzione dei comportamenti e delle scelte individuali in tempo di crisi mostra che questi meccanismi devono essere incoraggiati, ma per il CESE essi non possono sostituirsi ad un'azione normativa da parte dei pubblici poteri che preveda la tassazione delle emissioni alla fonte. Il CESE raccomanda di migliorare le analisi del ciclo di vita (ACV) e di approfondire gli studi sulle questioni metodologiche più complesse, riguardanti in particolare la contabilità del carbonio ma anche gli aspetti finanziari legati ad una definizione disaggregata di quest'ultima per tutti gli operatori che si succedono in una determinata filiera di produzione.

    3.10

    Qualsiasi politica ambientale efficace deve poter operare una distinzione tra i vari prodotti in funzione dei loro processi e metodi di produzione (PMP). Il passaggio ad un'economia a basse emissioni di CO2 avverrà solo se sarà possibile distinguere i prodotti fabbricati con metodi che comportano basse emissioni di gas ad effetto serra. Si tratta pertanto di privilegiare talune tecniche rispetto ad altre. Se, grazie ad una speciale etichettatura, i consumatori riuscissero a distinguere i prodotti in funzione del metodo (ecologico o no) con cui sono stati fabbricati, il rapporto di concorrenza verrebbe modificato, permettendo di dedurre la non similarità di due prodotti fabbricati in maniera diversa.

    3.11

    In un mondo in cui il prezzo del CO2 è differenziato, la questione della similarità dei prodotti (concetto fondamentale nell'ambito dell'OMC) è un elemento imprescindibile dei dibattiti su commercio e clima. Il CESE raccomanda di precisare, in previsione della futura giurisprudenza dell'organo di conciliazione dell'OMC, fino a che punto i PMP possano giustificare una restrizione degli scambi in base all'eccezione ambientale (4). Invita pertanto ad estendere il mandato del comitato per il commercio e l'ambiente dell'OMC al fine di chiarire le conseguenze giuridiche della controversia Stati Uniti - importazione di gamberetti.

    4.   Collegamenti tra competitività e clima

    4.1

    I negoziati commerciali e climatici si iscrivono in due ambiti temporali diversi: i primi richiedono politiche e misure con effetti a lunghissimo termine, mentre i secondi impongono interventi più immediati. La complessità delle relazioni tra politiche commerciali e climatiche risiede in questo sfasamento temporale. Le misure climatiche, infatti, possono avere effetti commerciali a breve termine, mentre le misure commerciali avranno un impatto sul clima soltanto in un lontano futuro.

    4.2

    In un mondo ideale, il CO2 avrebbe un prezzo unico, il che indirizzerebbe le economie mondiali verso percorsi di crescita con minori emissioni di gas a effetto serra, senza creare discriminazioni o distorsioni della concorrenza tra i diversi paesi. Dallo stato attuale delle discussioni sul cambiamento climatico si evince però che questo mondo non si realizzerà nel prossimo futuro. Ancora per molti anni, infatti, il prezzo del CO2 non sarà lo stesso in tutto il mondo: esso varia infatti da 20 a 30 euro la tonnellata, secondo il suo livello medio previsto, nell'ambito dello spazio europeo, ed è invece pari a zero nella stragrande maggioranza degli altri paesi o regioni.

    4.3

    Il CESE riconosce che, in questo mondo imperfetto, i rischi di perdite di competitività e di «fughe» di carbonio (migrazioni di industrie che emettono gas ad effetto serra al di fuori dei paesi e regioni dove il CO2 è maggiormente tassato) riguardano in primo luogo il gruppo di paesi più attivi in materia di tassazione delle emissioni di CO2, ossia l'Europa. L'elaborazione e l'attuazione di accordi settoriali internazionali sono, da più di dieci anni, oggetto di un dibattito aperto. Per mancanza di un consenso, tale iniziativa non ha dato risultati, ma resta una strada da esplorare per le industrie ad elevato consumo di energia. Anche lo sviluppo di energie rinnovabili a basso costo e le reti intelligenti contribuiranno a limitare i rischi di perdita di competitività.

    4.4

    Il CESE condivide la proposta della Commissione (5), conforme alla dichiarazione del marzo 2010, secondo cui le imprese dell'UE devono poter operare in «condizioni di parità» rispetto ai concorrenti esterni. Nell'immediato, i settori esposti a un rischio di fuga dovrebbero ricevere, in funzione dei negoziati multilaterali sui cambiamenti climatici, un maggior numero di assegnazioni gratuite che potrebbero raggiungere il 100 % all'inizio del periodo post-Kyoto (2013-2014).

    4.5

    A breve scadenza, nella fase di messa all'asta completa nel corso della quale il prezzo delle quote potrà essere assimilato ad una tassa, delle misure di adeguamento alle frontiere potrebbero correggere i problemi di perdita di competitività causati dagli sforzi di riduzione delle emissioni, molto superiori in Europa rispetto ai suoi partner commerciali. Che si tratti di tasse all'importazione, di un meccanismo d'inclusione del carbonio alle frontiere oppure di un obbligo, imposto agli importatori europei, di acquistare crediti di emissione nell'ambito del sistema di scambio di quote d'emissione (ETS) - detto anche «mercato europeo del carbonio» -, tali meccanismi rappresenterebbero delle risposte all'internalizzazione dei costi climatici dell'attività economica dei settori sottoposti all'ETS.

    4.6

    Alcuni studi hanno dimostrato che non sembrano esservi state perdite di competitività e «fughe» di carbonio significative nelle prime due fasi di attuazione dell'ETS. Per il periodo tra il 2005 e il 2012 le assegnazioni di quote di emissione sono generose e sostanzialmente gratuite (6). In assenza di un mercato globale del carbonio, che costituirebbe sempre la soluzione ideale, il CESE è favorevole alla creazione di vari sistemi di «limitazione e scambio» dei diritti d'emissione, basati sul sistema europeo o su altri sistemi di limitazione e scambio altrettanto efficaci. Raccomanda di esaminare tutte le difficoltà e le possibili soluzioni per armonizzare tali sistemi basandosi sulle integrazioni regionali e di tenere conto delle fluttuazioni del sistema monetario dei cambi.

    4.7

    Esistono invece rischi di perdita di competitività e di «fughe» per la terza fase dell'ETS (2013-2020), durante la quale è prevista un'assegnazione progressiva tramite aste e una riduzione annuale delle quote di emissione disponibili per raggiungere l'obiettivo, nel 2020, di una diminuzione delle emissioni pari al 20 % rispetto al 1990. Infine, nel 2025 il 100 % delle quote sarà messo all'asta con un obiettivo intermedio del 70 % da raggiungere nel 2020. Qualora venisse adottata una riduzione delle emissioni del 30 %, sarebbe opportuno riesaminare gli obiettivi intermedi di vendita all'asta al fine di modularli in funzione dei risultati conseguiti dagli altri paesi impegnati nell'Accordo di Copenaghen.

    5.   La risposta europea: il pacchetto Clima-energia e le sue implicazioni per il commercio

    5.1

    Di fronte ai rischi di perdite di competitività e di «fughe» di carbonio derivanti dalla vendita all'asta progressiva delle quote e dalla limitazione delle emissioni nel 2020, nel pacchetto Clima-energia la Commissione ha proposto una risposta in due tappe. La prima consiste nell'individuare i settori a rischio in base a due criteri: l'intensità commerciale (apertura agli scambi con paesi terzi) e l'impatto del costo del CO2. Un primo elenco dei settori «sensibili» è stato redatto nel dicembre 2009 e sarà riveduto ogni 5 anni. La Commissione ha esaminato fra 200 e 300 settori (7). Il CESE raccomanda che solo i settori rispondenti ai criteri cumulati di costo del CO2 e intensità commerciale possano beneficiare, a partire dal 2013, del 100 % di assegnazioni gratuite di CO2 sulla base dei parametri comuni di riferimento in materia di risultati. Da un primo esame sembrerebbe corrispondere a tali criteri soltanto una manciata di settori. Conformemente a tale esigenza, il Comitato sottolinea che solo 11 settori (8) rispondono ai criteri cumulati di costo del CO2 e intensità commerciale.

    5.2

    Non vincolante e poco ambizioso, l'Accordo di Copenaghen resta molto al di sotto del risultato auspicato dal CESE nella sua dichiarazione del novembre 2009. Per giunta tale accordo, concepito sotto forma di dichiarazione e sprovvisto del valore giuridico di un trattato, lascia irrisolta la questione del futuro del protocollo di Kyoto. Ha però il vantaggio di fornire una prima base per registrare e confrontare gli sforzi nazionali di mitigazione. L'allegato di Copenaghen prevede che, ai sensi dell'accordo, l'Europa mantenga la sua offerta condizionale di ridurre del 30 % le emissioni di gas serra «se gli altri paesi industrializzati si impegnano a realizzare sforzi analoghi».

    5.3

    Considerata la situazione attuale in termini di impegno degli altri paesi industrializzati, l'Europa potrebbe attenersi all'obiettivo del – 20 %, scegliendo così di limitare i problemi di perdita della competitività e di «fuga» di carbonio cui sarebbero esposti i settori europei sottoposti al sistema europeo di scambio di quote di emissione. Ciò nonostante, una scelta del genere non eliminerebbe del tutto il problema della fuga di CO2, per due ragioni:

    la prima è che gli obiettivi e impegni di riduzione degli altri paesi figurano soltanto nell'allegato dell'Accordo di Copenaghen. Non è stato chiaramente definito nessun meccanismo giuridico di raffronto delle emissioni tra paesi.

    La seconda è che, nonostante l'annuncio della creazione di mercati del carbonio in alcune regioni del mondo (in Canada nel 2010, in Australia nel 2011 e negli Stati Uniti nel 2012), le date fissate continuano ad essere spostate in avanti. I prezzi del CO2 previsti su tali mercati, ancora molto limitati, restano al di sotto del prezzo medio comunitario.

    5.4

    Subordinando l'offerta di riduzione delle emissioni del 30 % nel 2020 agli sforzi ed impegni degli altri paesi, l'Europa si è resa dipendente da un ipotetico accordo multilaterale per realizzare un'effettiva svolta nel suo percorso di sviluppo in direzione di un modello a basso consumo di carbonio e pervenire così a ridurre di quattro volte le sue emissioni nel 2050. Indipendentemente da ogni condizione e obiettivo di questo tipo, nello spazio americano e cinese la «decarbonizzazione» progressiva dell'economia è invece concepita in una logica unilaterale, dal basso verso l'alto, di investimenti e innovazione. In un certo senso l'Accordo di Copenaghen è una scommessa sulla tecnologia, su cui anche l'Europa deve puntare.

    5.5

    Per sviluppare un'economia verde e conservare la propria leadership in questo campo, l'Europa dovrebbe pertanto, nel suo stesso interesse e in quello del clima, continuare a prefiggersi l'ambizioso obiettivo di una riduzione progressiva che raggiunga l'80 % nel 2050, fissando ad esempio un obiettivo intermedio del 25-40 % tra il 2020 e il 2030. Il Comitato propone di elaborare delle analisi d'impatto (ambientale, occupazionale e sullo sviluppo) per anticipare le transizioni tra il 2020 e il 2050.

    5.6

    La fissazione di tale obiettivo intermedio deve essere accompagnata da misure normative e fiscali volte a favorire un aumento degli investimenti nella ricerca e nello sviluppo di tecnologie «pulite». Come sottolineato dalla Commissione nella comunicazione Europa 2020 (9), la spesa europea per la R&S è inferiore al 2 %, contro il 2,6 % degli Stati Uniti e il 3,4 % del Giappone, soprattutto a causa dei livelli più bassi di investimenti privati. Tali livelli di spesa per la R&S non sono in linea con gli obiettivi dell'UE (3 %) e le sfide climatiche. Per concretizzare tale percorso, il Comitato propone di elaborare delle analisi d'impatto (ambientale, occupazionale e sullo sviluppo) al fine di anticipare il passaggio alla prossima fase (2020) e a quelle successive (2030, 2040, 2050).

    5.7

    In entrambi i casi (opzione timida oppure opzione ambiziosa) gli Stati membri dell'UE rischiano, ancora per alcuni anni, di essere fra i pochi paesi che assegnano un prezzo al CO2 (a un livello non irrisorio) attraverso un mercato di scambio di quote d'emissione. Senza rinunciare alle proprie elevate ambizioni multilaterali per le prossime conferenze delle parti (COP) che si terranno in Messico (2010) e in India (2011), l'Europa non deve correre il rischio di trascurare le politiche «dal basso verso l'alto» in materia di ricerca, innovazione e investimenti. Puntando tutto sull'effetto del mercato del CO2, inoltre, l'UE rischia di non attribuire la dovuta importanza ad altre politiche utili per favorire la ricerca, l'innovazione e gli investimenti. I piani di rilancio elaborati in Europa hanno già fallito in questo campo, contrariamente a quanto avvenuto in Asia e in America.

    5.8

    Con le dovute cautele, il CESE raccomanda di dare prova di pragmatismo nell'affrontare il problema delle fughe di carbonio. In linea con le scelte strategiche dell'Unione, occorre continuare a dare la preferenza all'assegnazione gratuita delle quote, che è già molto diffusa. L'adeguamento alle frontiere non sarà giustificato in sede di OMC fintantoché l'UE privilegerà l'assegnazione gratuita: l'ETS può essere infatti assimilato ad una tassa (e quindi adeguabile alle frontiere) solo nel caso in cui le quote siano integralmente messe all'asta. La scelta più opportuna consisterebbe nel richiedere tali adeguamenti in via transitoria per una serie di linee tariffarie in base ai rischi accertati di fuga del carbonio, una volta esaurito il ricorso all'assegnazione gratuita. Solo degli adeguamenti molto mirati e motivati potrebbero essere sostenuti dinanzi all'organo di conciliazione dell'OMC nell'unica prospettiva, che è proprio il principale acquis di Copenaghen, di contenere l'aumento della temperatura al di sotto dei 2 °C.

    5.9

    A medio termine, una scelta del genere presuppone dei finanziamenti adeguati a favore di una politica europea di mitigazione. Tale politica prende il via attraverso progetti pilota sulla cattura e lo stoccaggio del CO2 e prevede un comitato di monitoraggio sugli investimenti e la condivisione della proprietà intellettuale. Affinché l'abbandono delle misure temporanee di adeguamento sia credibile, risultano necessarie politiche d'innovazione volte alla ricerca di soluzioni per uno sviluppo sostenibile.

    Bruxelles, 26 maggio 2010

    Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

    Mario SEPI


    (1)  Articolo XX dell'OMC: l'articolo XX dell'Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio (GATT) prevede la possibilità di esenzione dalle norme di libero scambio se le misure sono giustificate dalla tutela dell'ambiente.

    (2)  Commercio e cambiamento climatico, OMC e UNEP, giugno 2009.

    (3)  CESE 461/2010, non ancora pubblicato nella GU.

    (4)  Cfr. nota 16.

    (5)  Direttiva 2009/29/CE, GU L 140 del 5.6.2009, pag. 63.

    (6)  La prima fase dell'ETS (2005-2007) è stata una fase pilota sperimentale che ha permesso di fissare il prezzo del carbonio, il libero scambio delle quote di emissione in tutta l'UE e le infrastrutture necessarie per sorvegliare, dichiarare e verificare le emissioni reali delle imprese interessate. La seconda fase (2008-2012) coincide con il primo periodo d'impegno del protocollo di Kyoto: si tratta di un periodo di cinque anni durante il quale l'UE e gli Stati membri devono conseguire gli obiettivi di emissione definiti dal protocollo. Un’assegnazione di quote in eccesso durante la prima fase ha determinato un crollo delle quotazioni del CO2 all'inizio della seconda fase. Nella seconda fase persiste l'assegnazione di quote in eccesso in alcuni settori.

    (7)  A norma dell’articolo 10 bis, paragrafo 15, della direttiva 2003/87/CE, «un settore o sottosettore è ritenuto esposto a un rischio elevato di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio se la somma dei costi aggiuntivi diretti e indiretti generati dall’attuazione della suddetta direttiva può comportare un aumento sensibile dei costi di produzione, calcolati come percentuale del valore aggiunto lordo, di almeno il 5 % e se l’intensità degli scambi con paesi terzi, intesa come il rapporto tra la somma del valore delle esportazioni verso paesi terzi e del valore delle importazioni da tali paesi e il volume complessivo del mercato per l’Unione (volume d’affari annuo più importazioni totali dai paesi terzi), è superiore al 10 %». Si tratta dei seguenti settori: fabbricazione di amido e di prodotti amidacei, fabbricazione di zucchero, produzione di altre bevande fermentate non distillate, fabbricazione di alcol etilico di fermentazione, fabbricazione della carta e del cartone, fabbricazione di prodotti petroliferi raffinati, fabbricazione di vetro piano, fabbricazione di vetro cavo, fabbricazione di piastrelle in ceramica per pavimenti e rivestimenti, fabbricazione di tubi di ghisa, produzione di zinco, piombo e stagno. Se a questi due criteri si aggiunge quello di un aumento particolarmente elevato dei costi di produzione, pari almeno al 30 %, o di un’intensità degli scambi con paesi terzi superiore al 30 %, l'elenco si estende ad altri 16 settori, per un totale di 27.

    (8)  Decisione della Commissione del 24 dicembre 2009, notificata con il numero C(2009) 10251 (1), GU L 1 del 5.1.2010, pagg. 10-18.

    (9)  COM(2010) 2020 definitivo Europa 2020 - Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.


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