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Document 52006IE1170

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I comitati aziendali europei: un nuovo ruolo per promuovere l'integrazione europea

GU C 318 del 23.12.2006, p. 137–146 (ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, IT, LV, LT, HU, NL, PL, PT, SK, SL, FI, SV)

23.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/137


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I comitati aziendali europei: un nuovo ruolo per promuovere l'integrazione europea

(2006/C 318/25)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 luglio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul: I comitati aziendali europei: un nuovo ruolo per promuovere l'integrazione europea.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 settembre 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore IOZIA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 settembre 2006, nel corso della 429a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 144 voti favorevoli, 76 voti contrari e 15 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo riconosce il ruolo essenziale dei comitati aziendali europei (CAE) che stimolano e sostengono la coesione sociale e costituiscono uno strumento di integrazione dei lavoratori europei, facilitando attraverso la reciproca conoscenza e comprensione la percezione della cittadinanza europea. Gli oltre 10.000 delegati CAE attivi in Europa, sono attori diretti e motivati della costruzione di una nuova società.

1.2

Il modello sociale europeo, basato sulla ricerca del consenso e del dialogo sociale, sul rispetto dell'identità e della dignità della persona, sul contemperamento dei diversi interessi, sulla capacità di coniugare lo sviluppo con l'attenzione per la persona e per l'ambiente, postula la individuazione di una sede di incontro e confronto nell'ambito di imprese transnazionali. Il CESE ritiene che la direttiva 94/45/CE abbia svolto un ruolo importante per il raggiungimento di questi obiettivi.

1.3

La Commissione era tenuta a riesaminare al più tardi entro il 22 settembre 1999, «in consultazione con gli Stati membri e le parti sociali a livello europeo», le modalità d'applicazione della direttiva per proporre al Consiglio, «se del caso, le necessarie modifiche».

1.4

La Commissione ha avviato la consultazione delle parti sociali. L'UNICE e il CEEP si sono dichiarate contrarie alla revisione della direttiva; la Confederazione europea dei sindacati (CES), al contrario, ne ha richiesto in più occasioni una urgente revisione.

1.5

Il CESE ha svolto un esame approfondito della situazione attuale, anche attraverso una larga audizione di esponenti del mondo del lavoro, delle imprese e della società civile.

1.6

Le esperienze ad oggi registrate presentano numerosi aspetti positivi. Come riferiscono vari studi in materia, come hanno rilevato le parti sociali in alcuni seminari congiunti, e come ricorda il CESE, sono stati stipulati, su base volontaria, accordi relativi all'organizzazione del lavoro, all'occupazione, alle condizioni di lavoro e al perfezionamento professionale, in base ad un partenariato a favore del cambiamento. Anche l'adeguata esecuzione di questi accordi dipende solo dalla volontà delle parti.

1.7

L'esperienza dei CAE mostra anche dei punti critici: quello più evidente è costituito dalla percentuale ancora assai bassa di costituzione di CAE rispetto al numero di imprese obbligate ai sensi della direttiva, che prevede la possibilità di costituire un CAE a iniziativa delle imprese o dei lavoratori di almeno due paesi membri. Tra le cause della non completa applicazione della direttiva figura anche la mancata iniziativa dei lavoratori, la quale però, in taluni paesi potrebbe essere dovuta alla mancanza di legislazioni di tutela dei diritti sindacali nelle aziende.

1.8

Negli anni successivi alla direttiva 94/45/CE si è rafforzato il quadro normativo comunitario sui diritti di informazione e consultazione, in particolare nelle direttive 2001/86/CE, 2002/14/CE e 2003/72/CE, le quali forniscono nozioni di informazione e consultazione più avanzate di quelle previste nella direttiva 94/45/CE e procedure di coinvolgimento dei lavoratori orientate nel senso dell'anticipazione della consultazione rispetto alle decisioni. Tali procedure concorrono a rendere più competitive le imprese europee sul piano globale.

1.9

Il CESE individua tre punti principali che suggerisce di prendere in considerazione per un rapido aggiornamento della direttiva 94/45/CE:

coordinare le disposizioni in materia di informazione e consultazione contenute nella direttiva 94/45/CE con quelle di analogo argomento contenute nelle direttive summenzionate,

modificare il numero dei rappresentanti dei lavoratori nella Delegazione speciale di negoziazione (DSN) e nei CAE, tenendo conto dell'allargamento dell'Unione e del diritto dei rappresentanti di ogni paese interessato a farne parte, numero che la direttiva aveva a suo tempo stabilito ad un massimo di 17, corrispondente allora al numero dei paesi destinatari della direttiva,

riconoscere il diritto dei sindacati nazionali ed europei di far parte della DSN e dei comitati aziendali europei, con la possibilità di ricorrere a propri esperti anche al di fuori delle riunioni previste.

1.10

Il CESE propone che, successivamente ad un periodo ragionevole di integrazione dei nuovi Stati membri e in base a quello che le parti sociali evidenzieranno dagli insegnamenti sui CAE in corso di discussione in appositi seminari, si proceda ad un riesame della direttiva che tenga conto di queste esperienze e delle indicazioni che già oggi si possono fornire.

1.11

Il CESE sostiene la dimensione sociale dell'impresa nell'Unione europea e il ruolo che i CAE svolgono. Il dibattito europeo ha focalizzato nello sviluppo sostenibile e nel modello sociale europeo le peculiarità dell'Unione. La responsabilità sociale d'impresa nell'economia globale rappresenta una delle risposte europee ai problemi posti dalla globalizzazione, i cui effetti negativi potrebbero essere attenuati se tutti gli Stati aderenti all'Organizzazione mondiale del commercio rispettassero le norme fondamentali dell'OIL. L'impresa viene considerata un soggetto importante nel contesto sociale, capace di fornire un contributo essenziale al miglioramento della qualità della vita di tutte le parti direttamente interessate e delle regioni. Va osservato che, come si è verificato — soprattutto a livello transnazionale — per lo stesso Comitato aziendale europeo, i progressi del dialogo sociale sono tanto più rilevanti quanto più passano per il piano normativo.

1.12

Il CESE prende atto di quanto affermato dalla Commissione europea nella comunicazione sulla CSR, circa l'importanza del ruolo dei lavoratori e dei loro sindacati nell'applicazione di pratiche di responsabilità sociale (1). In essa si sostiene che: «Il dialogo sociale, in particolare a livello settoriale, è stato uno strumento efficace per promuovere le iniziative di RSI e i comitati aziendali europei hanno anche svolto un ruolo costruttivo nella definizione di buone pratiche legate alla RSI. Nonostante ciò, occorre ancora migliorare l'adozione, l'applicazione e l'integrazione strategica della RSI da parte delle imprese europee. I lavoratori dipendenti, i loro rappresentanti e i sindacati devono svolgere un ruolo più attivo nello sviluppo e nell'applicazione delle pratiche della RSI. Le parti interessate esterne, in particolare le ONG, i consumatori e gli investitori dovranno impegnarsi maggiormente per incoraggiare e ricompensare il comportamento responsabile delle imprese.»

1.13

Il modello sociale europeo, oltre che per le tutele offerte ai più deboli e per il welfare, si caratterizza per il rispetto dei diritti costitutivi della dignità della persona, in ogni sede e in ogni circostanza. I diritti di cittadinanza, nell'Europa moderna, si devono infatti poter esercitare ovunque, compresi i luoghi di lavoro e in particolare nell'ambito transnazionale dell'impresa. Il CESE richiede alla Commissione di riconoscere i positivi elementi di novità intercorsi dall'adozione della direttiva 94/45/CE e di individuare le misure più opportune per rinsaldare i sentimenti di appartenenza nell'Unione.

2.   Il contesto socioeconomico e normativo nel quale operano i comitati aziendali europei (CAE)

2.1

Il CESE intende in primo luogo valorizzare i vari aspetti positivi che emergono dall'esperienza ormai decennale di applicazione della direttiva 94/45/CE, senza però ignorare le difficoltà e i punti critici che hanno caratterizzato l'esperienza dei comitati aziendali europei. A tal fine intende sollecitare tutti i soggetti interessati, sia le istituzioni e gli organi comunitari sia le parti sociali ai vari livelli organizzativi, a collaborare al fine di migliorare questo strumento democratico di rappresentanza, che appare ormai indispensabile per il consolidamento del modello sociale europeo e al quale il CESE conferma il suo sostegno per uno stabile sviluppo e rafforzamento.

2.2

Con il presente parere d'iniziativa, il CESE intende contribuire a rendere più incisivo il ruolo dei CAE, mediante un aggiornamento della direttiva 94/45/CE, per favorire l'integrazione e la coesione sociale, obiettivo che riveste un'importanza politica sempre maggiore, soprattutto nella fase attuale caratterizzata da una minore tensione verso la costruzione di una Unione europea socialmente più forte ed unita.

2.3

A dodici anni dall'approvazione della direttiva, molte cose sono cambiate nell'Unione. Il processo di allargamento, sostenuto dal CESE, ha determinato l'ingresso di dieci paesi a partire dal maggio 2004, mentre altri due (Bulgaria e Romania) sono in procinto di entrare. Non v'è dubbio che, nonostante i notevoli sforzi diretti ad armonizzare le normative nazionali con l'acquis comunitario, e i rilevanti progressi realizzati nella tutela delle condizioni di lavoro, in alcuni di questi paesi le organizzazioni dei lavoratori e delle imprese hanno ancora delle difficoltà a consolidare il loro livello di rappresentanza.

2.4

Il CESE auspica il rafforzamento del dialogo sociale e ritiene che i CAE siano uno strumento indispensabile a questo fine, perché introducono sistemi di relazioni e di reciproco ascolto che possono promuovere la cultura del dialogo sociale negli Stati membri.

2.5

L'adozione da parte del Consiglio dei ministri, il 22 settembre 1994, della direttiva 94/45/CE, riguardante «l'istituzione di un Comitato aziendale europeo (CAE) o di una procedura per l'informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensione comunitaria», estesa al Regno Unito attraverso la direttiva 97/74/CE del Consiglio del 17 novembre 1997, ha rappresentato un progresso determinante per lo sviluppo di un dialogo sociale europeo a livello d'impresa, in sintonia con la struttura transnazionale delle imprese e dei gruppi di imprese. Questo nuovo strumento, dalla natura transnazionale, ha fortemente contribuito a sviluppare la dimensione europea delle relazioni industriali (2).

2.6

Ai sensi dell'articolo 15 della direttiva 94/45/CE, la Commissione era tenuta a riesaminare al più tardi entro il 22 settembre 1999, «in consultazione con gli Stati membri e le parti sociali a livello europeo», le sue modalità d'applicazione per proporre al Consiglio, «se del caso, le necessarie modifiche». Il riesame avrebbe dovuto vertere sulle modalità d'applicazione della direttiva e, dunque su tutti gli aspetti relativi alla costituzione e al funzionamento dei comitati aziendali europei, e in particolare sulla validità dei limiti numerici relativi al personale.

2.7

Pur considerando che si sarebbe trattato di un processo indubbiamente innovativo, la Commissione riteneva che alla data del 22 settembre 1999 i negoziati condotti e le attività svolte in seno ai comitati aziendali europei avrebbero fornito sufficienti elementi ed esperienze concrete per consentire il riesame della direttiva.

2.8

Il 4 aprile 2000 la Commissione presentava al Parlamento e al Consiglio la propria relazione sullo stato di applicazione della direttiva. Pur vertendo essenzialmente sulla valutazione delle misure di recepimento adottate dagli Stati membri, la relazione esaminava anche lo stato di attuazione della direttiva stessa. Indipendentemente dalla qualità degli atti di recepimento, la Commissione sottolineava che alcuni suoi punti restavano ancora da interpretare e indicava inoltre che di solito erano le parti interessate, oppure l'autorità giudiziaria, a dirimere queste problematiche. La Commissione non riteneva dunque necessario proporre una modifica della direttiva in quella fase.

2.9

Del riesame della direttiva si è interessato anche il Parlamento europeo. Nella sua Risoluzione sullo stato di attuazione della direttiva e sulla necessità di una sua revisione, approvata il 4 settembre 2001, il Parlamento europeo metteva in evidenza il ruolo degli organismi transnazionali di rappresentanza dei lavoratori e valutava i limiti e le opportunità derivanti dall'esercizio dei diritti di informazione e consultazione (3). Il PE pertanto invitava la Commissione a presentare in tempi brevi una proposta di modifica della direttiva recante una serie di migliorie: oltre a quella relativa alla possibilità per i lavoratori di esercitare un'influenza sul processo decisionale della direzione dell'impresa e alla previsione di sanzioni adeguate, il PE riteneva opportuno rivedere la stessa nozione di impresa di dimensioni comunitarie, con riferimento ai limiti numerici. Secondo il PE l'ambito di applicazione della direttiva sarebbe dovuto passare dal limite di 1.000 a quello di 500 dipendenti e da 150 a 100 dipendenti per le articolazioni presenti in almeno due Stati membri (come è noto, anche nell'iter di approvazione della direttiva, le proposte del Parlamento e della Commissione indicavano una soglia numerica più bassa di quella poi prevista dalla direttiva 94/45/CE) (4).

2.10

Nel 2004, al termine di un lungo periodo di attuazione della direttiva 94/45/CE, la Commissione riteneva opportuno procedere ad un esame ulteriore dello stato di applicazione della direttiva stessa, tanto più che la questione figurava nell'Agenda sociale adottata a Nizza nel dicembre 2000.

3.   Il processo di riesame della direttiva 94/45/CE

3.1

Il 20 aprile 2004 la Commissione ha avviato la prima fase di consultazione delle parti sociali sul riesame della direttiva 94/45/CE, chiedendo alle parti sociali la loro opinione su:

quale sia il modo migliore per garantire che le capacità e potenzialità dei CAE nel promuovere un dialogo sociale transnazionale costruttivo e fruttuoso a livello di impresa siano pienamente realizzate negli anni a venire,

la possibile direzione dell'azione comunitaria al riguardo, incluso il riesame della direttiva sui CAE,

il ruolo che intendono svolgere le parti sociali nell'impostare le questioni connesse alla gestione di un contesto in rapido e profondo mutamento e alle conseguenze sociali ad esso connesse.

3.2

Nell'atto di avvio delle consultazioni, la Commissione ha affermato che il quadro di riferimento istituzionale è profondamente mutato rispetto a quello esaminato nella sua relazione del 4 aprile 2000. In effetti questa non prendeva in considerazione elementi nuovi come l'Agenda di Lisbona e l'ampliamento dell'Unione. Con particolare riferimento a questo secondo aspetto, la Commissione ha messo in evidenza che «l'estensione delle attività nei nuovi paesi membri farà aumentare il numero delle imprese che ricadranno nelle finalità della direttiva» e che «laddove le imprese o i gruppi con società affiliate nei nuovi paesi membri hanno già dei CAE, questi dovranno essere estesi per garantire la rappresentanza delle nuove società affiliate». Come effetto, l'applicazione della direttiva sui CAE, dopo il 1o maggio 2004, comporterà maggiori e nuovi rappresentanti da parte dei nuovi paesi membri con differenti condizioni economiche, tradizioni sociali, lingue e culture cui si aggiungono una maggiore complessità ed un aumento dei costi.

3.3

Il Comitato economico e sociale europeo adottava un suo parere il 24 settembre 2003, nel quale sottoponeva all'attenzione della Commissione alcuni aspetti da prendere in considerazione per un'eventuale revisione della direttiva (5).

3.4

L'UNICE ha risposto alla Commissione di essere fortemente contraria ad una revisione di una direttiva sui CAE (6). Il modo migliore per sviluppare l'informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese comunitarie è quello del dialogo a livello delle società interessate dalla direttiva. Un intervento del legislatore UE sarebbe controproducente perché potrebbe ridurre la dinamica dei graduali progressi nel funzionamento dei CAE. A sua volta il CEEP si è dichiarato contrario ad una revisione della direttiva in questa fase. Il CEEP non è d'accordo con una revisione della direttiva 94/45/CE, ma chiede che si faccia un uso migliore degli strumenti esistenti, segnatamente della procedura di informazione e di consultazione. Le parti sociali europee possono svolgere un ruolo chiave in tale processo, specialmente nell'ambito dei nuovi Stati membri. Inoltre, i case studies che hanno determinato le basi per orientare la gestione del cambiamento e le sue conseguenze sociali, mettono in luce l'importanza di una informazione e di una consultazione effettiva e ispirano le ulteriori attività delle parti sociali, in particolare nei nuovi Stati (7).

3.4.1

La CES invece ha risposto in senso positivo, confermando alcune osservazioni già svolte in una sua precedente risoluzione del 1999 (8). Ragionando sulla base degli accordi e delle prassi sin qui registrati, la CES ritiene che i limiti e le carenze imputabili alla normativa non possano essere corretti solo attraverso lo strumento negoziale, e su base volontaria, magari continuando a monitorare le pur positive esperienze delle buone pratiche, ma che sia assolutamente «urgente e necessaria» (9) una revisione della direttiva stessa.

3.5

La Commissione ha proceduto alla seconda fase di consultazione delle parti sociali europee sul riesame della direttiva relativa ai comitati aziendali europei, ma congiuntamente alla consultazione relativa alle ristrutturazioni. Sull'avvio di tale seconda fase di consultazione in merito al riesame della direttiva 94/45/CE, il CESE ha espresso il proprio compiacimento ma anche le proprie riserve, in considerazione del fatto che la relativa procedura è stata effettuata in modo contestuale e congiunto con una tematica differente: «A prescindere dall'importante ruolo che i CAE svolgono nelle ristrutturazioni, la revisione della direttiva europea sui comitati aziendali europei è comunque attesa da tempo» (10).

4.   L'esperienza dei CAE. Una questione di metodo: valorizzare gli aspetti positivi e riflettere sui risultati negativi

4.1

Le esperienze ad oggi registrate presentano numerosi aspetti positivi. Gli studi mettono in rilievo come un numero crescente di CAE stiano funzionando effettivamente anche nelle nuove condizioni. Come ha sottolineato la dichiarazione congiunta dei partner sociali dell'aprile 2005: «Insegnamenti sui comitati d'impresa europei», i CAE hanno contribuito, tra l'altro, a migliorare la comprensione del mercato interno e della cultura d'impresa transnazionale in un'economia di mercato da parte dei rappresentanti dei lavoratori e dei lavoratori stessi. Degli studi rivelano che un numero crescente di CAE funzionano in maniera efficace, partecipando anche al miglioramento del dialogo sociale settoriale. Come riferiscono vari studi in materia, come hanno rilevato le parti sociali in alcuni seminari congiunti, e come in particolare ricorda il CESE, sono stati stipulati, su base volontaria, accordi relativi all'organizzazione del lavoro, all'occupazione, alle condizioni di lavoro e al perfezionamento professionale, in base ad un partenariato a favore del cambiamento (11).

4.1.1

Tutte le proposte di riesame analizzano i principali problemi emersi nel corso dei monitoraggi effettuati a più riprese sull'attività dei CAE in Europa. In una recentissima ricerca (12) è stato evidenziato come quasi il 75 % dei CAE attualmente non rispetti le previsioni della direttiva nel fornire informazioni in tempo utile in caso di ristrutturazioni. Un altro elemento molto importante scaturito dall'esame delle risposte di 409 delegati appartenenti a 196 CAE è la segnalazione da parte di 104 delegati che nell'ambito di tutti i rispettivi comitati europei sono stati negoziati e conclusi dei testi congiunti. Se consideriamo che nel 2001, secondo un importante studio dell'European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions  (13), gli accordi sottoscritti direttamente o indirettamente dai CAE erano 22, abbiamo, anche se parzialmente, la chiara visione di come ci sia una costante evoluzione del ruolo dei CAE, che stanno sviluppando una vera e propria capacità negoziale.

4.2

L'esperienza dei CAE mostra anche dei punti critici che esigono una riflessione attenta al fine di migliorare questo strumento democratico di rappresentanza e di coinvolgimento dei lavoratori, divenuto ormai elemento indispensabile del modello sociale europeo. Tra i punti critici quello più evidente è costituito dalla percentuale assai bassa di CAE rispetto al numero di imprese obbligate a costituirli su richiesta dei lavoratori, ai sensi della direttiva. Nel dicembre 2004, a fronte di oltre 2.000 imprese destinatarie della direttiva, erano stati costituiti circa 800 CAE (14), rappresentativi di circa il 70 % della forza lavoro impiegata nelle suddette imprese. Tra le cause della non completa applicazione della direttiva figura anche la mancata iniziativa dei lavoratori, la quale però, in taluni paesi è dovuta alla debolezza delle rappresentanze dei lavoratori nei luoghi di lavoro, che potrebbe dipendere anche da normative nazionali che non offrono sufficienti tutele. Questo aspetto meriterebbe di essere approfondito per individuare possibili rimedi.

4.3

Il nuovo e più esteso ambito territoriale di applicazione della direttiva 94/45/CE fa senz'altro ritenere necessario un processo di riflessione e di studio che consenta a tutti gli interessati, sia dei paesi di più antica appartenenza sia dei paesi di più recente adesione all'UE, di assimilare elementi e dati appartenenti a culture, prassi e realtà diverse e di superare gli ostacoli legati alle differenze sociali, economiche e culturali, in modo da rafforzare il sistema delle relazioni industriali europee nel suo complesso.

4.3.1

Le questioni connesse all'ampliamento dell'Unione sono tuttavia solo un aspetto del più ampio e generale cambiamento del mercato del lavoro e del sistema delle imprese dell'UE. L'accelerazione delle ristrutturazioni transnazionali, divenute ormai una costante nella vita delle imprese, e la nuova natura che esse hanno assunto, costituiscono infatti per i comitati aziendali europei, delle sfide sicuramente più incisive di quelle che il legislatore comunitario aveva preso in considerazione nella direttiva 94/45/CE, come dimostra la successiva produzione normativa in materia di coinvolgimento dei lavoratori.

4.4

In effetti il contesto legislativo è assai mutato. Sono state infatti emanate nuove norme comunitarie nel settore dell'informazione e della consultazione dei lavoratori, da un lato quelle relative al quadro transfrontaliero, come la direttiva 2001/86/CE dell'8 ottobre 2001 sul coinvolgimento dei lavoratori nella società europea, la direttiva sulla società cooperativa europea (SCE) e la direttiva sulle fusioni, e dall'altro quelle relative al quadro nazionale, come la direttiva 2002/14/CE dell'11 marzo 2002, che istituisce un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori nella Comunità europea.

4.5

Il nuovo e più impegnativo ruolo che dovrebbero svolgere i CAE è ugualmente esposto nella comunicazione della Commissione relativa alle ristrutturazioni delle imprese transfrontaliere (15).

4.6

Il CESE ha espresso in numerosi pareri il suo apprezzamento positivo e il suo sostegno allo sviluppo e al rafforzamento dei CAE (16), trattando del loro importante ruolo nelle ristrutturazioni transfrontaliere. Nel settore metalmeccanico, il ruolo dei CAE in molte vertenze di ristrutturazione è stato essenziale, contribuendo a realizzare accordi volti a mantenere i siti produttivi e a salvaguardare i posti di lavoro.

5.   Il ruolo della direttiva 94/45/CE nell'evoluzione delle relazioni industriali europee

5.1

La direttiva 94/45/CE è una delle più importanti normative adottate nel campo delle relazioni industriali a livello europeo. Malgrado determinati limiti e lacune, da più parti segnalati, essa ha senza dubbio contribuito in misura rilevante ad avviare il processo di costruzione di «nuove pratiche transnazionali di relazioni industriali» coniugando nuovi modelli di solidarietà tra lavoratori di paesi diversi e di confronto costruttivo tra rappresentanze dei lavoratori e imprese transnazionali, e prevedendo per la prima volta forme comuni di rappresentanza e di tutela «senza frontiere» di alcuni fondamentali diritti dei lavoratori.

5.2

Da alcuni anni però, come dimostrano i dati relativi all'applicazione della direttiva, il suo contributo dinamico alla costruzione di un modello integrato di relazioni industriali e al consolidamento del modello sociale europeo appare meno incisivo. Vari elementi strutturali, concernenti le trasformazioni del mercato del lavoro e del sistema delle imprese, contribuiscono a questo indebolimento. Di essi il CESE si è già occupato nell'ambito dei pareri sull'Agenda sociale della Commissione e sulle ristrutturazioni. Altri elementi che causano una minore incidenza dell'azione dei CAE possono essere individuati nel fatto che i diritti di informazione e consultazione di cui i comitati aziendali europei dispongono non «consentono concretamente» ad essi di «intervenire in modo appropriato» sulla definizione e sull'attuazione delle politiche industriali delle imprese. In altri casi i CAE hanno visto riconosciuto il loro ruolo.

5.3

Come ha invece fatto rilevare il CESE in un recente parere, «a livello aziendale, settoriale e interprofessionale, la politica industriale europea deve essere definita e attuata con la partecipazione delle parti sociali, le cui conoscenze specifiche si rivelano fondamentali in quanto provengono dalle parti più direttamente interessate. Questo esige che le imprese comunichino chiaramente i loro obiettivi entro termini temporali che consentano concretamente alle altre parti interessate di intervenire in modo appropriato» (17).

5.4

Un fattore di debolezza dell'azione dei CAE sembra potersi individuare nel fatto che le modalità dell'informazione e della consultazione — temi oggetto del riesame della direttiva 94/45/CE — non sembrano coerenti né con il nuovo quadro economico e strutturale né con il nuovo quadro normativo comunitario, quale costituito dalle citate direttive 2001/86/CE e 2003/72/CE e dalla direttiva 2002/14/CE. In queste direttive le procedure di informazione e consultazione non costituiscono meri adempimenti formali: non si tratta quindi di obblighi di routine che l'impresa può adempiere nel rispetto solo formale delle norme di legge e «a valle» del processo decisionale, ma di procedure da espletarsi «a monte» del processo decisionale.

5.5

Nelle direttive che completano i regolamenti comunitari relativi agli statuti di SE e di SCE, le procedure informativo-consultative non hanno solo lo scopo di far conoscere ai rappresentanti dei lavoratori ciò che l'impresa ha già deciso definitivamente di fare in merito a processi rilevanti, come ad esempio le trasformazioni e riorganizzazioni societarie in ambito transnazionale, ma hanno soprattutto lo scopo di dare ai rappresentanti dei lavoratori il diritto di «esercitare un'influenza» su tali decisioni.

6.   L'informazione e la consultazione dei lavoratori, componente essenziale del modello sociale europeo

6.1

Le procedure di informazione e di consultazione dei lavoratori (nonché quelle di partecipazione, in senso stretto, ai termini delle direttive 2001/86/CE e 2003/72/CE) costituiscono elementi essenziali non solo dei sistemi di relazioni industriali dell'Unione europea ma dello stesso modello sociale europeo, come si evince dall'enunciazione di questi diritti nelle fonti primarie dell'UE (18)) e la loro costante evoluzione nel diritto derivato comunitario. I diritti in questione trovano infatti riconoscimento e tutela in un'ampia serie di direttive (19), il cui processo culmina con la firma della Carta dei diritti fondamentali nel dicembre 2000 e con la successiva incorporazione della stessa nel Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa (20).

6.1.1

Un rilievo particolare assume, nella Carta dei diritti fondamentali, la precisazione che i diritti in parola siano esercitati «in tempo utile»: in tal modo verrebbe favorita un'interpretazione orientata sulla natura per lo più preventiva dei diritti stessi, conforme in tal senso alle recenti acquisizioni normative (cfr. le direttive dianzi citate) e giurisprudenziali (21).

6.1.2

L'evoluzione, progressiva e costante, della normativa sui diritti di informazione e consultazione, a partire dalla metà degli anni Settanta, sia con riferimento al quadro giuridico nazionale che a quello transnazionale, trova spiegazione nell'interesse del legislatore comunitario a che le procedure in questione non si riducano a meri adempimenti formali e di routine. Un impulso determinante al rafforzamento dei diritti in questione è venuto, com'è noto, dalle vicende legate alla chiusura dello stabilimento Renault di Vilvoorde (febbraio 1997), che ebbero anche significativi risvolti giudiziari.

6.2

Un rapporto elaborato da un gruppo di esperti, il cosiddetto Gyllenhammar Group, su mandato del Consiglio europeo di Lussemburgo (novembre 1997), mise in evidenza la necessità di un nuovo quadro normativo comunitario che definisse prescrizioni minime le quali, oltre a fissare principi, regole e modalità comuni agli Stati membri in tema di informazione e consultazione, fossero coerenti con la strategia comunitaria dell'occupazione nella Comunità. Questa strategia, imperniata sui concetti di «anticipazione», «prevenzione» e «occupabilità», in seguito divenuti elementi della strategia europea dell'occupazione, deve essere integrata nelle politiche pubbliche degli Stati membri per incidere positivamente sull'occupazione attraverso l'intensificazione del dialogo sociale, anche al livello delle imprese, per facilitare un cambiamento coerente con il mantenimento dell'obiettivo prioritario dell'occupazione.

6.3

È in questo quadro che si inserisce — e viene valorizzato — il «coinvolgimento dei lavoratori nella conduzione dell'impresa e nella determinazione del suo futuro», anche per «rafforzarne la competitività» (22). Tale coinvolgimento, precisa il legislatore, costituisce «una condizione preliminare del successo dei processi di ristrutturazione e di adattamento delle imprese alle nuove condizioni indotte dalla globalizzazione dell'economia» (23).

6.4

Quest'ultima previsione è particolarmente importante ai fini dell'effettività delle procedure di informazione e consultazione, e quindi dell'effettivo, sostanziale coinvolgimento dei lavoratori, soprattutto nella parte delle disposizioni di riferimento applicabili in via sussidiaria in cui si afferma (24) che se la società «decide di non agire conformemente al parere espresso dall'organo di rappresentanza, quest'ultimo dispone della facoltà di riunirsi nuovamente con l'organo competente della società europea (SE) o della società cooperativa europea (SCE) nella prospettiva di trovare un accordo».

6.5

Le imprese europee, e in particolare quelle organizzate in grandi gruppi, sono impegnate in processi di ristrutturazione sempre più incisivi e rapidi. Il CESE ha rilevato infatti, in un suo recente parere, che «Le ristrutturazioni attuate solo a posteriori producono per lo più effetti deleteri, soprattutto per l'occupazione e le condizioni di lavoro» concludendo che «Il coinvolgimento e la partecipazione dei lavoratori (nonché dei loro rappresentanti aziendali e dei loro sindacati) sono uno strumento essenziale per gestire ed organizzare in maniera socialmente compatibile le trasformazioni a livello aziendale» e affermando che «in tale contesto i CAE assolvono un ruolo particolare. Visti gli accordi su misure di ristrutturazione conclusi con i CAE e con le confederazioni sindacali europee, si può supporre che il dialogo transnazionale a livello aziendale continuerà a svilupparsi con decisione (25)

6.6

La qualità e l'intensità di questi processi di ristrutturazione hanno messo in evidenza la insufficienza degli strumenti legislativi e negoziali attualmente a disposizione dei rappresentanti dei lavoratori e delle parti sociali ai vari livelli e, quindi, la necessità di un maggior e più penetrante coinvolgimento delle organizzazioni sindacali ai vari livelli. Non si tratta dunque soltanto di completare la fase dell'applicazione formale della direttiva sui CAE ma, in primo luogo, di garantire piena efficacia agli accordi e alle norme nazionali di trasposizione e, in secondo luogo, di rendere le procedure di informazione e consultazione e i diritti dei comitati aziendali europei adeguati alle mutate condizioni di mercato e a più incisive politiche gestionali.

6.7

A tal fine non sembra sufficiente una più attenta e volenterosa attività negoziale, che va comunque incoraggiata, ma sono necessari opportuni interventi su quelle parti della direttiva che, se non opportunamente modificate, possono rendere insignificante il ruolo dei CAE in genere, a dispetto delle buone prassi sinora registrate. C'è anzi il rischio che il diffondersi di procedure essenzialmente di routine a livello sovranazionale — che è poi il livello cruciale di molte decisioni d'impresa altrimenti non soggette ad alcun confronto sindacale -, o il prevalere di «cattive prassi» rispetto alle varie «buone prassi» in materia di informazione e consultazione finora registrate, possano condizionare negativamente la stessa effettività dei diritti di informazione e consultazione al livello nazionale. Senza contare l'effetto controproducente, in termini di legittimazione e di autorevolezza, che ciò potrebbe produrre nel rapporto con i lavoratori e con le direzioni aziendali locali, influendo negativamente sulla cultura dei diritti di informazione e consultazione di fonte vincolante, come è quella che trova da ultimo espressione nella Carta di Nizza e nelle direttive 2001/86/CE, 2003/72/CE e 2002/14/CE (si potrebbe dire parafrasando la legge di Gresham che «la informazione cattiva scaccia quella buona»).

6.8

Fondamentale è il riconoscimento formale delle organizzazioni sindacali. Nelle direttive sul coinvolgimento dei lavoratori nella SE e nella SCE, per la prima volta si parla delle organizzazioni dei lavoratori come di soggetti che possono integrare la delegazione speciale di negoziazione. Nelle direttive precedenti (in materia di diritti d'informazione e consultazione) alle organizzazioni sindacali in quanto tali non era mai stato riconosciuto un ruolo diretto (o di sostegno) nel negoziato. Questi elementi e le specificità nazionali devono essere presi in considerazione ai fini del possibile riesame della direttiva, insieme agli altri che verranno di seguito indicati.

7.   Perché è opportuno procedere ad un riesame della direttiva, prima di rinegoziare la sua revisione

7.1

A detta di molti, i principali ordini di motivi che suggeriscono un riesame dell'impianto della direttiva sono tre.

7.1.1

Il primo motivo riguarda le evoluzioni registrate nelle direttive connesse a questo tema, per le quali si impone una messa in conformità della direttiva del 1994. Occorre fare opera di semplificazione e di coordinamento, al fine di eliminare le differenti definizioni dell'informazione e della consultazione contenute in direttive diverse.

7.1.2

Il secondo motivo che giustifica un riesame è legato all'allargamento dell'Unione, che porta logicamente a modificare il numero dei rappresentanti nelle DSN e nei comitati aziendali europei aumentando il loro numero in proporzione.

7.1.3

Un terzo motivo risiede nella necessità di riconoscere il diritto dei sindacati nazionali ed europei di partecipare ai negoziati e di fare parte dei comitati aziendali europei (per analogia con quanto prevedono le direttive sul coinvolgimento dei lavoratori nella SE e nella SCE), con la possibilità di ricorrere a propri esperti anche al di fuori delle riunioni.

7.1.4

Valutando inoltre le prassi vigenti nei CAE, un riesame della direttiva 94/45/CE appare opportuno, anche alla luce delle prospettive che si possono aprire in materia di responsabilità sociale delle imprese e del nuovo ruolo che le organizzazioni della società civile possono svolgere con le imprese a dimensione europea e globale, nonché dell'azione che queste ultime devono condurre per affermare, nel proprio ambito, il rispetto dei diritti sociali e sindacali fondamentali.

7.2

Gli insegnamenti sui comitati d'impresa europei formulati dai partner sociali (26) meriterebbero di essere approfonditi per portare ad un miglioramento delle prassi dei CAE e ad un migliore ed ulteriore sviluppo degli accordi: questo però non può impedire che inizino i lavori per un rilancio del funzionamento dei CAE nella prospettiva di definire le basi di una revisione dopo un periodo ragionevole di integrazione dei nuovi Stati membri nel processo. Nell'ambito delle future discussioni e negoziazioni, si terrà conto dei seguenti elementi:

a)

rendere più chiaro il testo attuale in ordine alle modalità e alla qualità dell'informazione e della consultazione: occorrerebbe un'esplicita affermazione in ordine al carattere preventivo (o di anticipazione) delle procedure di informazione e consultazione, in particolare sui temi «all'ordine del giorno» o sollecitati dai rappresentati dei lavoratori. Non ammettere la natura preventiva delle procedure stesse nella normativa comunitaria sui CAE darebbe luogo ad una grave asimmetria tra le procedure della direttiva 94/45/CE, da un lato, e quelle sul coinvolgimento dei lavoratori (di cui alle direttive sulla società europea e sulla società cooperativa europea), dall'altro, col rischio di indebolire queste ultime. Senza contare che la diffusione di poco efficaci procedure di informazione e di consultazione nelle imprese di dimensioni comunitarie (obbligate in base alla direttiva 94/45/CE) può produrre negativi «effetti di imitazione» sulle procedure di informazione e consultazione alle quali sono obbligate le imprese nazionali in base a varie direttive comunitarie (27);

b)

prevedere, sia nel caso di comitati molto numerosi, sia tenendo conto delle funzioni che devono svolgere, una struttura di segretariato permanente e un organismo ristretto per garantire la preparazione degli incontri, l'organizzazione della documentazione relativa all'ordine del giorno, la diffusione preventiva dell'ordine del giorno e dei documenti nelle diverse lingue e, successivamente, degli atti e documenti relativi alle decisioni assunte (28). Un'esigenza altrettanto importante riguarda la necessità del coordinamento di esperienze diverse, per esempio lungo la direttrice settore industriale/settore dei servizi;

c)

garantire regolari e agevoli comunicazioni tra i membri della DSN nelle fasi precedenti la costituzione del CAE e, successivamente, tra i membri del CAE fra una riunione e l'altra del comitato;

d)

garantire incontri di adeguata durata e organizzazione tra membri del CAE prima della sessione d'incontro con i rappresentanti della direzione;

e)

riconoscere il diritto dei sindacati nazionali ed europei — che in base a quanto previsto in sede di riesame della direttiva sono membri della DSN e dei CAE — di avvalersi, non solo per le riunioni, di esperti di fiducia;

f)

adattare gli accordi esistenti ai cambiamenti nel «perimetro» del gruppo di impresa. Occorre, in particolare, l'esplicita previsione di una specifica fase di negoziato supplementare, nel caso di concentrazioni o fusioni transfrontaliere, correlandola alle esistenti direttive in materia;

g)

offrire un sostegno alla formazione iniziale — e poi periodica — dei membri del CAE;

h)

inserire tra i temi oggetto di informazione e consultazione anche quello connesso alla RSI (come previsto nella direttiva sulla SCE), coinvolgendo le organizzazioni a livello europeo interessate alle attività dell'impresa;

i)

porre attenzione all'importanza delle ricadute e della diffusione delle informazioni legate alla vita, agli atti ed alle prese di posizione del CAE presso le rappresentanze ed i lavoratori dei singoli stabilimenti di un gruppo d'impresa in ciascuno dei paesi in cui hanno sede le articolazioni dell'impresa;

j)

provvedere ad un'adeguata rappresentanza dei portatori di handicap e ad un effettivo equilibrio tra uomini e donne all'interno dei CAE (come nella direttiva 2003/72/CE);

k)

prevedere misure incentivanti per le imprese che garantiscono la piena attuazione della direttiva e misure dissuasive per quelle che ne ostacolano la realizzazione;

l)

promuovere, attraverso gli opportuni adattamenti delle relative procedure, la partecipazione ai CAE di tutte le categorie dei lavoratori, ivi comprese le alte professionalità.

8.   L'azione dei CAE in un'Unione più ampia: il loro contributo al rafforzamento della coesione sociale europea

8.1

Uno dei temi sui quali è opportuno sviluppare una specifica riflessione è sicuramente quello derivante dal cambiamento verificatosi nel mercato del lavoro e nella realtà sociale a seguito del processo di allargamento.

8.2

Se pensiamo che solo in Polonia le aziende destinatarie di un CAE sono 425 e che, allo stato, ci sono più di 100 delegati inseriti nei CAE, sulla base di accordi volontari (29), ci rendiamo conto di come lo strumento dei CAE possa diventare un formidabile veicolo di integrazione e sviluppo di un modello sociale europeo che definisca standard minimi di riferimento. Nell'Unione a quindici, ma ancora di più in quella allargata, i CAE contribuiscono concretamente a costruire una coscienza europea attraverso la conoscenza e il riconoscimento derivante dalla diversità dei sistemi nazionali.

8.3

Ci sono molti ostacoli che si frappongono alla costituzione dei CAE sia tra i 15 paesi già membri che nei nuovi 10. In alcuni di questi paesi il livello del dialogo sociale è debole. Le legislazioni di recepimento della direttiva nei nuovi paesi sono formalmente buone, ma di fatto inefficaci. La Commissione dovrebbe accertare quali sono gli ostacoli che non hanno consentito l'effettiva attuazione della direttiva.

8.4

I CAE, ad oggi, sono uno strumento importante per consentire ai lavoratori e alle lavoratrici di avere una visione transnazionale dell'andamento dell'impresa da cui dipendono. Il processo di integrazione europea nel sistema produttivo passa attraverso il riconoscimento di un nuovo ruolo dei CAE, in particolare in una fase dell'economia nella quale le fusioni transfrontaliere e la costituzione di società europee stanno aumentando progressivamente.

8.5

Distribuzione dei CAE nei nuovi paesi

Paesi

MT

CY

LV

LT

BG

SI

EE

TR

RO

SK

CZ

HU

PL

N. di CAE potenziali (imprese che ricadono nella direttiva 94/45/CE)

56

65

155

162

163

185

181

256

263

340

636

662

819

Numero di CAE costituiti

29

33

84

87

89

108

101

136

140

199

333

334

425

Osservatori

 

 

 

 

 

3

 

3

2

2

8

2

5

Delegati

5

2

8

9

5

13

10

5

5

24

73

58

80

Nella prima riga è riportato il numero di CAE possibili, sulla base dell'attuale distribuzione di dipendenti, nella seconda riga quello dei CAE costituiti, nella terza quello degli osservatori invitati a partecipare e nella quarta i delegati nominati nell'ambito dei CAE costituiti.

Il numero dei delegati, se fossero costituiti tutti i CAE, sarebbe di 3.943 e, se in quelli costituiti fosse garantita la presenza dei delegati dei nuovi paesi, di 2.098: di fatto, invece, ne sono stati eletti solo 322 (vale a dire l'8,17 % dei delegati possibili e il 15,35 % di quelli possibili nell'ambito di CAE già costituiti) (Fonte: ETUI, op. cit.)

9.   La dimensione sociale dell'impresa nell'Unione europea e il nuovo ruolo dei CAE — La responsabilità sociale dell'impresa nell'economia globale

9.1

Il CESE ha recentemente affrontato in un importante parere anche il ruolo dei CAE nell'ambito delle strategie sulla RSI (30). Infatti, in questo parere viene evidenziata l'importanza del dialogo con le parti interessate più importanti per gli obiettivi delle imprese: lavoratori, clienti, fornitori, rappresentanze del territorio, organizzazioni dei consumatori ed ambientaliste: «l'impegno volontario (nella CSR) e un dialogo strutturato con le parti interessate sono aspetti indissociabili; questo dialogo è particolarmente importante per i soggetti che prendono parte alla catena del valore».

9.2

Ed è in questo contesto che il CESE afferma che: «Al livello europeo, l'azione volontaria e/o negoziata sulle sfide della RSI rappresenta un momento decisivo per tutte le multinazionali che dispongono di un Comitato aziendale europeo e permette di associare a tale dinamica anche i nuovi Stati membri. I comitati aziendali europei dovrebbero avere una parte nell'integrazione della RSI nella politica dell'impresa, anche perché sono la sede privilegiata degli interessati interni. Ciò detto, una politica coerente di RSI deve tenere conto anche degli interessati esterni: in particolare, l'intera comunità di lavoro (lavoratori con contratti a termine, dipendenti delle società subappaltatrici presenti in situ, artigiani o altri autonomi che lavorano per l'impresa), e nella misura del possibile anche tutti i partecipanti alla catena del valore (subappaltatori, fornitori, ecc.)

9.3

Nella sua comunicazione sulla strategia di sviluppo sostenibile (31) la Commissione ha invitato le aziende quotate a pubblicare nei loro documenti di bilancio una tripla bottom line , che misura i loro risultati con criteri economici, sociali ed ambientali. La diffusione di queste informazioni dovrebbe riguardare anche i CAE.

9.3.1

La recente direttiva sulla società cooperativa europea ha posto la responsabilità sociale tra i temi che costituiscono un oggetto di consultazione tra le imprese e i lavoratori, nelle disposizioni di riferimento, parte II, lettera b).

9.4

Il CESE accoglie con favore il fatto che, secondo questa impostazione, l'impresa non è più soltanto un mero soggetto economico, ma viene considerata anche come un soggetto importante nel contesto sociale, capace di fornire un contributo essenziale al miglioramento della qualità della vita di tutte le parti direttamente interessate e della situazione delle regioni.

9.5

Il CESE prende atto di quanto affermato nella recentissima comunicazione del 22 marzo 2006 sulla responsabilità sociale, ove la Commissione europea ha sottolineato l'importanza del ruolo dei lavoratori e dei loro sindacati nell'applicazione delle pratiche di responsabilità sociale (32).

«In questi ultimi anni si sono avuti progressi nella sensibilità per la RSI e nell'adozione di pratiche conformi ai suoi principi, grazie in parte al forum RSI e ad altre azioni sostenute dalla Commissione. Contemporaneamente, le iniziative delle imprese e delle altre parti interessate hanno fatto avanzare la RSI in Europa e nel mondo. Il dialogo sociale, in particolare a livello settoriale, è stato uno strumento efficace per promuovere le iniziative di RSI e i comitati aziendali europei hanno anche svolto un ruolo costruttivo nella definizione di buone pratiche legate alla RSI. Nonostante ciò, occorre ancora migliorare l'adozione, l'applicazione e l'integrazione strategica della RSI da parte delle imprese europee. I lavoratori dipendenti, i loro rappresentanti e i sindacati devono svolgere un ruolo più attivo nello sviluppo e nell'applicazione delle pratiche della RSI. Le parti interessate esterne, in particolare le ONG, i consumatori e gli investitori dovranno impegnarsi maggiormente per incoraggiare e ricompensare il comportamento responsabile delle imprese. Le autorità pubbliche a tutti i livelli devono continuare a migliorare la coerenza delle loro politiche a sostegno dello sviluppo sostenibile, della crescita economica e della creazione di posti di lavoro. L'ideale dell'UE di prosperità a lungo termine, solidarietà e sicurezza si estende anche alla sfera internazionale. La Commissione riconosce il legame esistente tra l'adozione di pratiche responsabili da parte delle imprese dell'UE e internazionali e ritiene che le imprese europee debbano applicare i principi della RSI ovunque esercitino le loro attività, in conformità ai valori e alle norme riconosciute sul piano internazionale».

9.6

Nella direttiva 2003/51/CE, che modifica la direttiva sui conti annuali e sui conti consolidati, l'Unione europea chiede esplicitamente che, eventualmente, per la comprensione dell'evoluzione degli affari di un'impresa, l'analisi possa includere anche degli indicatori di risultato non finanziario, in particolare con informazioni relative all'ambiente e ai lavoratori. In questa prospettiva i comitati d'impresa dovrebbero ricevere l'informazione finanziaria, ma anche non finanziaria, che inglobi il terreno della responsabilità sociale dell'impresa (sociétale). La direttiva riconosce la pertinenza delle questioni ambientali e sociali nel contesto del governo d'impresa.

9.7

Nel parere Responsabilità sociale dell'impresa  (33), il CESE preconizzava di ricorrere al sistema di coregolazione a livello europeo: «una responsabilità sociale d'impresa propria del contesto specifico dell'UE, potrebbe essere elaborata nel quadro delle pratiche comuni e di azioni volontarie tra parti sociali».

9.8

La società civile organizzata può dare a tal fine, nell'ambito di un processo dialettico e cooperativo, un grande contributo, partecipando all'elaborazione degli obiettivi (diritti dell'uomo, standard sociali, priorità di politica sanitaria e ambientale ecc.) e impegnandosi per un maggior livello di trasparenza ed apertura dell'attività dell'impresa. Non si propone certamente una confusione di ruoli, tra imprenditori, sindacati e ONG, ma un arricchimento di tutti i soggetti interessati attraverso pratiche di confronto e ragionamento sui temi condivisi. Un'impostazione del genere non può che contribuire a rinsaldare i rispettivi ruoli tradizionali e a rendere le normative vigenti più vantaggiose senza per questo impedirne l'evoluzione.

9.9

Il modello sociale europeo, oltre che per le tutele offerte ai più deboli e per il welfare, si caratterizza per il rispetto della dignità della persona, in ogni sede e in ogni circostanza. I diritti di cittadinanza, nell'Europa moderna, si devono poter esercitare ovunque, compreso il luogo di lavoro. Le direttive richiamate in materia di diritti e la direttiva sui CAE hanno il grande merito di aver armonizzato questi diritti, riconoscendo, almeno formalmente, la stessa dignità ai lavoratori di tutti i paesi dell'Unione. Il processo non è ancora compiuto: esso va rafforzato e stimolato; alla Commissione si richiede di riconoscere gli elementi di novità intercorsi in questi 12 anni e di adottare le scelte più opportune per rinsaldare i sentimenti di appartenenza all'Unione nei paesi membri.

Bruxelles, 13 settembre 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  COM(2006) 136 def.

(2)  Parere CESE sul tema Applicazione concreta della direttiva sull'istituzione del comitato aziendale europeo (94/45/CE) e aspetti da sottoporre a eventuale revisione (relatore: PIETTE), GU C 10 del 14.1.2004, pag. 11.

(3)  Doc. PE (A 5 028/2001).

(4)  Relazione finale del Parlamento europeo A5-0282/2001, del 4.9.2001, sulla Comunicazione della Commissione sullo stato di applicazione della direttiva 94/45/CE del Consiglio.

(5)  Cfr. nota 2.

(6)  Cfr. doc. dell'1.6.2004.

(7)  Cfr. doc 18.6.2004 del CEEP: Answer to the first- stage consultation of the European Social Partners on the review of the European Work Councils Directive.

(8)  Cfr. documento dell'1.6.2004.

(9)  Trade Union Memorandum to the Luxembourg Presidency of the European Union — ETUC marzo 2005.

(10)  Parere CESE in merito alla Comunicazione della Commissione sull'Agenda sociale (relatrice: ENGELEN-KEFER), GU C 294 del 25.11.2005, pag. 14.

(11)  Ibidem.

(12)  Jeremy Waddington, University of Manchester. The views of EWC representatives for ETUI novembre 2005

(13)  Mark Carley, Bargaining at European level, Joint texts negotiated by EWC, Dublino 2001.

(14)  Kerckhofs and Pas, EWC Database ETUI (dicembre 2004).

(15)  COM(2005) 120 def.

(16)  Parere CESE sul tema Il dialogo sociale e il coinvolgimento dei lavoratori: fattori essenziali per anticipare e gestire le trasformazioni industriali, del 29.9.2005 (relatore: ZÖHRER) GU C 24 del 31.1.2006, pag. 90.

(17)  Parere del CESE sul tema Portata ed effetti della delocalizzazione delle imprese (relatore: RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO), GU C 294 del 25.11.2005, pag. 9, punto 4.5.10.

(18)  Cfr. l'articolo 137, TCE; ora articolo III-210 del nuovo Trattato di Roma.

(19)  Come quelle sulla tutela dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi e di trasferimento d'azienda (direttive 98/59 e 2001/23), sulla tutela della salute nei luoghi di lavoro (direttiva n. 89/391 e direttive particolari), sul coinvolgimento dei lavoratori in generale (direttiva 2002/14) e in particolari vicende societarie (direttiva 2001/86/CE, sul coinvolgimento dei lavoratori nella società europea e direttiva 2003/72, sul coinvolgimento dei lavoratori nella società cooperativa europea).

(20)  Articolo II-87, «Diritto dei lavoratori all'informazione e alla consultazione», che fa propria la sostanza dell'articolo 21 della Carta sociale europea, del Consiglio d'Europa, riveduta nel 1996, nonché dei punti 17 e 18 della Carta comunitaria del 1989.

(21)  Corte di giustizia, sentenza 29.3.2001, nella causa 62/99, Bofrost; nonché sentenza 11.7.2002 nella causa 440/2000, Kuehne.

(22)  Cfr. il 7o considerando della direttiva 2002/14/CE.

(23)  Cfr. il 9o considerando della direttiva 2002/14/CE.

(24)  Cfr. direttiva 2001/86/CE, ma anche direttiva 2003/72/CE, parte seconda delle disposizioni di riferimento.

(25)  Parere CESE sul tema Il dialogo sociale e il coinvolgimento dei lavoratori: fattori essenziali per anticipare e gestire le trasformazioni industriali del 29.9.2005 (relatore: ZÖHRER) GU C 24 del 31.1.2006, pag. 90.

(26)  Insegnamenti sui CAE del 7.4.2005 della CES, dell'UNICE, dell'Ueapme e del CEEP.

(27)  Tutela dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi e di trasferimento d'azienda, nonché in base alla direttiva 2002/14/CE.

(28)  Dall'analisi degli accordi effettuata ad aprile del 2004 da Infopoint, soltanto nel 51 % dei comitati aziendali europei era stato previsto un organismo ristretto di coordinamento. Questo può rappresentare un problema perché la maggior parte dei comitati aziendali europei, circa il 70 %, prevedono un solo incontro annuo. Il non avere un organismo ristretto che possa garantire la continuità dei rapporti con i rappresentanti dei lavoratori dei singoli stabilimenti e paesi, con la direzione aziendale e con le federazioni europee, può rappresentare un grosso handicap nel funzionamento e nell'efficacia del CAE stesso.

(29)  Ricerca NSZZ Solidarnosc A. Matla 2004.

(30)  Parere del CESE sul tema Strumenti di misura e di informazione sulla responsabilità sociale delle imprese in un'economia globalizzata (relatrice: PICHENOT), GU C 286 del 17.11.2005, pag. 12.

(31)  COM(2001) 264 def.

(32)  COM(2006) 136 def.

(33)  Parere CESE in merito alla responsabilità sociale delle imprese (relatrice: HORNUNG-DRAUS), GU C 125 del 27.5.2002.


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