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Document 52010AE0967

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Come favorire partenariati efficaci nella gestione dei programmi della politica di coesione sulla base delle buone prassi del ciclo 2007-2013» (parere esplorativo)

GU C 44 del 11.2.2011, p. 1–9 (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Come favorire partenariati efficaci nella gestione dei programmi della politica di coesione sulla base delle buone prassi del ciclo 2007-2013» (parere esplorativo)

2011/C 44/01

Relatore: OLSSON

La vicepresidente della Commissione europea Margot WALLSTRÖM, in data 23 febbraio 2009, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema:

Come favorire partenariati efficaci nella gestione dei programmi della politica di coesione sulla base delle buone prassi del ciclo 2007-2013.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 giugno 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 141 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è fermamente convinto che un partenariato autentico e profondo possa migliorare notevolmente l'efficacia e in generale favorire l'esito positivo della politica di coesione dell'UE. Il partenariato è uno strumento funzionale a uno sviluppo economico e sociale sostenibile: esso consente ai fondi dell'UE di andare incontro alle esigenze degli attori sul campo, incrementa la visibilità dell'Unione e rafforza anche la democrazia. Il partenariato, per risultare efficace, deve essere basato su una prospettiva di reale partecipazione a lungo termine, che permetta agli attori privati di assumere un ruolo attivo su un piede di parità con gli enti pubblici. Senza partner non c'è partenariato.

1.2   I regolamenti attualmente in vigore lasciano ancora troppo spazio ad interpretazioni nazionali del concetto di partenariato, ed è quindi necessario un rafforzamento di tali testi legislativi, in particolare dell'articolo 11 del regolamento generale (CE) n. 1083/2006. Il CESE propone alcune modifiche da introdurre nella futura formulazione di tale articolo al fine di fissare una serie di requisiti minimi in materia di partenariato.

1.3   Il CESE deplora la tendenza, manifestata negli ultimi anni dalla Commissione, a concentrarsi più sugli aspetti procedurali e, di conseguenza, meno sui risultati. Il CESE è assolutamente convinto della necessità che la Commissione assuma un ruolo più incisivo e molto più proattivo in qualità di garante del principio di partenariato. La Commissione, in collaborazione con gli Stati membri, le regioni e la società civile organizzata, dovrebbe rafforzare la divulgazione del principio applicando il metodo di coordinamento aperto.

1.4   È fondamentale potenziare costantemente le capacità dei partner: le risorse destinate all'assistenza tecnica dovrebbero essere appannaggio delle parti sociali e della società civile nella totalità dei programmi operativi.

1.5   Il CESE fa notare che le sovvenzioni globali costituiscono uno strumento estremamente efficace in vista di una reale partecipazione dei partner (in particolare delle piccole imprese e dell'economia sociale) e andrebbero quindi ampiamente utilizzate dagli Stati membri sia per i programmi dell'FSE che per quelli del FESR.

1.6   Il CESE auspica inoltre un ritorno a programmi di iniziativa comunitaria semplificati aventi come obiettivo l'innovazione sul piano sociale e lo sviluppo locale.

1.7   Per quanto riguarda la politica di coesione post 2013, la struttura dei programmi e i relativi regolamenti dovrebbero rendere più semplice l'attuazione del principio di partenariato. Questa raccomandazione è in linea con quelle contenute nella relazione Barca, che insiste sulla correlazione tra approccio «basato sul territorio» e partenariato. È inoltre particolarmente calzante per il FESR e dovrebbe far parte della strategia Europa 2020.

1.8   Per garantire una maggiore partecipazione della società civile in tutte le fasi della politica di coesione sarebbe opportuno elaborare, di comune accordo con i partner interessati di tutta Europa, un codice di buone prassi europeo.

1.9   Al fine di migliorare l'impatto dei programmi è indispensabile procedere a una semplificazione, soprattutto per quanto riguarda i progetti che coinvolgono attori minori. Occorre altresì razionalizzare i controlli sui progetti. È infine doveroso agevolare e accelerare i pagamenti a favore dei citati attori attraverso finanziamenti anticipati e versamenti puntuali.

1.10   Il CESE è perfettamente consapevole del fatto che non esiste una soluzione unica adatta a tutti i contesti. Ciononostante, le buone prassi possono e devono essere ampiamente divulgate. Ne sono state individuate alcune, illustrate nell'allegato al presente parere; la Commissione dovrebbe contribuire a divulgarle.

1.11   Nella maggior parte degli Stati membri le regioni svolgono un ruolo fondamentale nell'attuazione del principio di partenariato. Il CESE propone quindi che le regioni che intendono condividere la propria esperienza e divulgare le buone prassi istituiscano una rete di eccellenza delle regioni in materia di partenariato. Nel quadro di tale rete, il CESE ritiene che il Comitato delle regioni possa svolgere un ruolo di coordinatore.

2.   Introduzione

2.1   Nel febbraio 2009 la Commissione ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema Come favorire partenariati efficaci nella gestione dei programmi della politica di coesione sulla base delle buone prassi del ciclo 2007-2013; il parere doveva altresì contribuire all'elaborazione della futura politica di coesione. La Commissione ha chiesto al CESE di concentrarsi sulle questioni relative al partenariato e alla partecipazione della società civile in rapporto allo sviluppo della politica di coesione. Il parere non riguarda, invece, i cosiddetti «partenariati verticali» in ambito pubblico, ovvero quelli tra la Commissione e i vari enti pubblici, ivi inclusi quelli locali e regionali.

2.2   I servizi della Commissione hanno dato un contributo positivo all'elaborazione del presente parere, collaborando strettamente con il Comitato. Il relatore ha lavorato alacremente sul campo, coinvolgendo i membri del CESE, i consigli economici e sociali nazionali, le parti sociali e altre organizzazioni della società civile nell'individuazione e documentazione delle buone prassi. Si sono tenute audizioni a Katowice, Oporto e Schwerin, integrate da visite sul campo in vari altri Stati membri. Anche il Parlamento europeo e il Comitato delle regioni hanno offerto un contributo prezioso.

3.   Il principio di partenariato e la sua evoluzione

3.1   Il principio di partenariato è una delle pietre miliari della politica di coesione dell'UE: esso affonda le sue radici nel Trattato di Roma del 1957 che ha istituito il Fondo sociale europeo. Un ulteriore passo avanti è stato compiuto nel 1988, quando tale principio è stato ufficialmente definito strumento comune per tutti i fondi strutturali. All'inizio il partenariato riguardava unicamente gli attori socioeconomici tradizionali, mentre ora comprende «ogni altro organismo appropriato in rappresentanza della società civile, i partner ambientali, le organizzazioni non governative e gli organismi di promozione della parità tra uomini e donne» (1). L'evoluzione descritta risponde all'obiettivo strategico della buona governance, riaffermato anche recentemente dall'Unione con la strategia Europa 2020.

3.1.1   L'articolo 11 del regolamento generale è fondamentale per la definizione dell'ambito di applicazione del principio di partenariato; esso impone infatti agli Stati membri di associare ciascuno dei partner pertinenti alle varie fasi della programmazione. Gli Stati membri designano inoltre i partner più rappresentativi a livello nazionale, regionale e locale nei settori economico, sociale e ambientale o in altri settori «conformemente alle norme e alle prassi nazionali». Ogni anno la Commissione consulta le organizzazioni che rappresentano le parti economiche e sociali a livello europeo.

3.2   Il regolamento prevede l'utilizzo di «sovvenzioni globali»; la gestione di tali fondi può essere delegata a uno o più organismi intermedi, tra cui gli organismi di sviluppo regionale o le organizzazioni non governative (articolo 42).

3.2.1   Le misure di assistenza tecnica possono essere destinate a tutti i partner, ai beneficiari dei fondi e al grande pubblico. Si tratta, ad esempio, di iniziative di informazione, creazione di reti e sensibilizzazione nonché di azioni destinate a promuovere la cooperazione e lo scambio di esperienze (articoli 45 e 46).

3.3   L'articolo 163 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) e l'articolo 104 del già citato regolamento del Consiglio attribuiscono un ruolo particolare alle parti sociali in relazione al Fondo sociale europeo (FSE). Nella gestione di tale fondo la Commissione è assistita da un comitato composto da rappresentanti dei governi, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro.

3.4   Per quanto riguarda l'FSE il concetto di partenariato è sviluppato dal regolamento (CE) n. 1081/2006.

3.4.1   Sono evidenziate le questioni della buona governance, del partenariato, del potenziamento delle capacità e degli insegnamenti tratti dal programma EQUAL, ovvero aspetti che dovrebbero essere promossi attraverso il coinvolgimento delle parti sociali e degli altri soggetti interessati (preambolo e articolo 5).

3.4.2   Il regolamento prevede che l'FSE promuova partenariati, patti e iniziative tramite la creazione di reti di soggetti interessati, quali parti sociali e organizzazioni non governative, a livello transnazionale, nazionale, regionale e locale (articolo 3, paragrafo 1, lettera e)). Tali iniziative devono essere accompagnate dal potenziamento delle capacità (articolo 3, paragrafo 2, lettera b)).

3.4.3   L'FSE ha il compito di rafforzare le parti sociali e il dialogo sociale in particolare per quanto riguarda le regioni che rientrano nell'obiettivo «Convergenza». Spetta soprattutto alle organizzazioni non governative svolgere un ruolo attivo nei programmi riguardanti i settori dell'inclusione sociale, della parità di genere e delle pari opportunità (articolo 5).

3.4.4   Nell'ambito del partenariato, particolare attenzione è riservata alle attività innovative (articolo 7).

3.5   Contrariamente ai regolamenti sull'FSE e sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), il regolamento (CE) n. 1080/2006 sul Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) non contiene alcuna disposizione specifica in materia di partenariato. A giudizio del CESE, il FESR dovrebbe spostare il proprio baricentro verso le piccole imprese, l'innovazione e lo sviluppo locale avvalendosi di strumenti in grado di promuovere il partenariato (ad esempio misure specifiche e sovvenzioni globali).

4.   Il partenariato nella pratica

4.1   I vantaggi attribuiti al partenariato per il successo e l'efficacia della politica di coesione possono essere riassunti come segue:

migliore comprensione delle realtà sul campo grazie al contributo offerto dai diversi punti di vista e conoscenze messi a disposizione,

soluzioni più mirate alle esigenze e alle prospettive dei partner,

interventi ancora più orientati alle realtà delle aziende, dei lavoratori e dei cittadini in generale grazie all'approccio locale (going local),

maggiore attenzione, nell'ambito dei programmi, verso le iniziative in materia di ambiente, parità di genere ed esclusione sociale,

maggiore visibilità del valore aggiunto delle politiche integrate,

maggiore efficienza della spesa e delle politiche pubbliche grazie al contributo di uno strumento fondamentale di impegno collettivo come il partenariato,

avvicinamento della politica di coesione dell'UE ai cittadini grazie al coinvolgimento dei partner.

4.2   La possibilità di realizzare un partenariato di successo dipende tuttavia in larga misura dalla presenza di una tradizione di consultazione e partecipazione nella cultura nazionale e politica. Laddove tale tradizione esiste, i partner si rivelano maggiormente partecipi e capaci non solo di elaborare ma addirittura di attuare programmi e progetti.

4.3   L'esperienza sembra indicare che, nel complesso, l'attuazione del principio di partenariato è migliorata nel corso degli anni, anche se le valutazioni al riguardo variano a seconda dei partner. Permangono infatti ostacoli significativi, diversi da paese a paese e talvolta anche all'interno di uno stesso Stato. Di conseguenza, in alcuni Stati membri la società civile ha l'impressione che si sia registrato un regresso rispetto al periodo di programmazione 2000-2006.

4.4   Negli ultimi anni la Commissione si è mostrata più che mai concentrata sui requisiti formali e di audit, ed è quindi più difficile che le imprese o le organizzazioni di piccole dimensioni si vedano assegnare la realizzazione di un progetto. In pratica non esistono più risorse specificamente destinate ai progetti di modesta entità. I programmi di iniziativa comunitaria sono stati aboliti, e la loro integrazione si è rivelata fallimentare in gran parte degli Stati membri.

4.5   Il partenariato è tuttora visto in maniera formalistica: spesso non esiste un rapporto di fiducia tra enti e partner in quanto manca un'interpretazione chiara e comune degli obiettivi del partenariato che li coinvolge. Non vi è una reale comprensione del concetto di società civile organizzata e del ruolo di quest'ultima; la situazione è resa più grave dalla mancanza di chiarezza nelle disposizioni del regolamento e dal fatto che i vari enti vedono nel partenariato soltanto una fonte di ulteriori oneri. Inoltre, non solo sono messe in dubbio la legittimità e la rappresentatività dei partner, ma si teme anche che consultazioni eccessive e dispendiose in termini di tempo possano rallentare l'attuazione dei programmi.

4.6   Alla luce delle considerazioni sopraesposte è evidente che le procedure di consultazione spesso si rivelano inadeguate in quanto, oltre ad essere caratterizzate da un eccesso di burocrazia e di tecnicismi, prevedono anche tempi insufficienti per l'intervento dei partner. Esiste un ampio divario informativo tra autorità competenti e partner e, in molti casi, questi ultimi sono coinvolti solo parzialmente nella definizione e attuazione delle politiche. Ignorare i partner significa non ascoltare le loro istanze. Esiste inoltre una certa riluttanza ad accogliere nuovi modi di pensare e idee innovative. I regolamenti attualmente in vigore e la relativa attuazione non si prestano alla promozione del partenariato e, di conseguenza, i partner non sono motivati a partecipare o a mostrare il proprio impegno.

4.7   Per poter svolgere appieno il proprio ruolo di partner, molti attori socioeconomici e ONG necessitano di conoscenze, organizzazione, capacità professionale e risorse finanziarie adeguate; una piena partecipazione delle piccole organizzazioni risulta quindi particolarmente difficile.

4.8   Secondo un sondaggio realizzato da BusinessEurope, nel periodo di programmazione 2007-2013 si sarebbe registrato un sensibile miglioramento rispetto al periodo precedente grazie alla maggiore esperienza acquisita da autorità e parti sociali, al rafforzamento della trasparenza nell'ambito delle discussioni e a una migliore organizzazione delle procedure di consultazione e attuazione. In genere si ritiene che il coinvolgimento sia maggiore a livello nazionale che non a livello regionale. Sebbene le carenze riguardino soprattutto i nuovi Stati membri, anche quelli di più lunga data non ne sono immuni. BusinessEurope mette in evidenza la discrepanza tra la brevità del processo di consultazione e i tempi lunghi di attuazione dei programmi, sollecitando altresì un migliore feedback dal processo di consultazione.

4.9   L'Unione europea dell'artigianato e delle PMI (Ueapmi) è favorevole ad un approccio dal basso verso l'alto che preveda di «pensare anzitutto in piccolo» e si adatti alle esigenze delle imprese e delle comunità locali. È opportuno sviluppare il partenariato in un contesto di governance multilivello caratterizzato dalla partecipazione di più soggetti. L'Ueapmi sottolinea il concetto di sussidiarietà orizzontale in quanto fattore di successo: essa consente infatti di coinvolgere simultaneamente i partner socioeconomici ai livelli europeo, nazionale e locale. Oltre a semplificare le norme in ambito amministrativo e finanziario è opportuno aumentare i pagamenti anticipati e ricorrere maggiormente alle sovvenzioni globali, che si sono rivelate molto efficaci. Secondo i dati diffusi dall'Ueapmi, in alcune regioni le piccole imprese beneficiano solo dell'1-2 % dei finanziamenti dell'UE disponibili. Per accedere ai finanziamenti le PMI devono collaborare nell'ambito di un partenariato e attraverso organizzazioni intermedie. A questo proposito l'assistenza tecnica è indispensabile. L'Ueapmi chiede alla Commissione di pubblicare un vademecum sul corretto utilizzo dei fondi.

4.10   La Confederazione europea dei sindacati (CES) ritiene che nell'ultimo periodo di programmazione non si siano registrati miglioramenti di rilievo. Essa chiede di definire chiaramente il partenariato all'interno del regolamento e di fissare requisiti minimi. La qualità del partenariato dipende in larga misura dalla disponibilità dei vari enti ad applicare il principio. La CES concorda con l'affermazione secondo cui il partenariato funziona meglio su scala nazionale e regionale che non a livello locale. Un aspetto importante è quello della condivisione delle esperienze. Occorre rafforzare i programmi di cooperazione interregionale, in particolare attraverso il coinvolgimento dei comitati sindacali interregionali. La CES ha pubblicato un manuale, basato sulle esperienze concrete dei suoi membri, relativo alle modalità di cooperazione tra i sindacati e l'FSE.

4.11   Nel febbraio 2010 le parti sociali europee (ETUC/CES, BE, CEIP) hanno pubblicato una relazione congiunta sull'FSE. La principale conclusione riguarda il ruolo fondamentale svolto dal potenziamento delle capacità per garantire una migliore efficacia del Fondo. Tra gli altri ostacoli individuati figurano l'eccesso di formalità amministrative e la scarsa comprensione del partenariato in alcuni Stati membri. Le parti sociali invocano un partenariato più stretto tra loro e gli enti regionali/locali.

4.12   La rete europea contro la povertà (EAPN) suggerisce un tipo di consultazione approfondita e ad ampio raggio che copra diverse categorie di organizzazioni e ricorra ad una pluralità di metodi. È necessario prevedere apposite risorse per coprire i costi di partecipazione e organizzare gli incontri con una frequenza adeguata. Secondo l'EAPN è importante che l'FSE tenga conto degli insegnamenti tratti dall'esperienza del programma EQUAL e si concentri sui principi di innovazione, partenariato, integrazione della dimensione di genere e transnazionalità. Occorre altresì concedere più spazio ai progetti di modesta entità, come avveniva nel precedente periodo di programmazione.

4.13   L'ECAS (European Citizen Action Service) propone che gli Stati membri e le regioni elaborino piani di informazione, consultazione e partecipazione comprendenti tutte le fasi dei programmi e dei relativi progetti. Tali piani dovrebbero essere pubblicati e valutati in un contesto di governance multilivello e partenariato che preveda il coinvolgimento dei vari leader locali. L'ECAS suggerisce l'elaborazione di prassi comuni per le regioni che intendono svolgere un ruolo guida nell'ambito della condivisione delle esperienze.

4.14   Nel 2008 il CpKP (Repubblica ceca) ha pubblicato una relazione sull'analisi condotta dal gruppo «piattaforma FS» (Sustainable Future Team) di alcune ONG dell'Europa centrorientale in merito alla situazione del partenariato in sei paesi: BG, HU, LT, PL, RO e SK. Stando a tale analisi il problema principale sarebbe costituito dalle limitate capacità delle ONG. La relazione ha inoltre rilevato che il partenariato non gode di grande sostegno a livello politico. Le ONG dovrebbero preparare i propri esperti e dirigenti attraverso opportune misure di assistenza tecnica per i programmi, come quelle che solitamente sono appannaggio diretto della pubblica amministrazione. La procedura di selezione dei membri dei comitati di sorveglianza o di altri organismi dovrebbe essere più rigorosa.

4.15   Secondo una relazione del Parlamento europeo (2) basata su casi di studio, è importante non solo trasferire la governance a un livello territoriale inferiore, ma anche creare piattaforme intermedie oppure organismi di coordinamento e reti informali. La relazione raccomanda altresì di rendere i programmi meno complessi. L'apprendimento delle politiche e il potenziamento delle capacità dovrebbero essere organizzati attraverso apposite misure quali discussioni strategiche, iniziative a livello transnazionale, strutture di sostegno e divulgazione di buone prassi.

5.   Osservazioni generali

5.1   Il CESE, come dimostrano le ripetute affermazioni in tal senso contenute in precedenti pareri, è convinto che un partenariato autentico e profondo possa favorire un utilizzo più mirato ed efficace dei fondi strutturali e quindi il buon esito dei progetti. Il partenariato deve essere basato su una prospettiva di vera partecipazione a lungo termine che offra agli attori privati le stesse opportunità garantite agli enti pubblici. L'instaurazione di un reale partenariato produce vantaggi per tutte le parti coinvolte.

5.2   Il cittadino deve essere al centro di tutte le politiche dell'UE. Di conseguenza, il partenariato nel contesto dei fondi strutturali dovrebbe essere frutto di un approccio dal basso verso l'alto e garantire a tutti i cittadini e alle relative organizzazioni l'opportunità di prendere parte alla politica di coesione e ai progetti da essa finanziati. Una programmazione e un'attuazione ispirate al principio di partenariato porterebbero ad una partecipazione attiva dei cittadini e della società civile organizzata alla politica di coesione rafforzando così la democrazia.

5.3   La cultura del partenariato si può acquisire tramite un adeguato processo di apprendimento. Si tratta di attribuire poteri a tutti i partner garantendo loro pari opportunità di partecipazione ad ogni fase dell'attuazione della politica di coesione. L'esperienza ha dimostrato che le risorse a favore del potenziamento delle capacità svolgono un ruolo determinante nell'aumentare l'efficacia del partenariato. È per questo motivo che tali risorse dovrebbero essere destinate a tutti i partner, sia pubblici che privati, in relazione alla totalità dei programmi (e non solo per le regioni che rientrano nell'obiettivo «Convergenza»). Particolarmente necessaria è l'organizzazione di ulteriori programmi di formazione comuni per i partner pubblici e privati.

5.4   Esiste uno squilibrio tra i vari partner in termini di influenza e potere, accesso alle informazioni, disponibilità di mezzi finanziari, capacità professionale, ecc. Per il periodo successivo al 2013 è assolutamente necessario istituire un quadro in grado di creare un nuovo equilibrio tra gli enti pubblici e il settore privato attraverso un modello di governance basato sul principio di partenariato, nell'ambito del quale non solo la dimensione locale e regionale ma anche gli attori socioeconomici privati assumano un'importanza capitale.

5.5   È necessario che i vari i partner pubblici e privati abbiano fiducia gli uni negli altri e riescano ad andare oltre i propri interessi particolari; a tale scopo è indispensabile un cambiamento di mentalità. Occorre una nuova cultura del dialogo che preveda di «pensare anzitutto in piccolo» e si adatti alle esigenze delle imprese e delle organizzazioni locali. Se da un lato è necessaria la disponibilità degli enti pubblici ad accogliere i contributi provenienti dall'esterno, dall'altro occorre l'impegno dei partner privati, impegno che può essere incentivato aumentando le loro possibilità di cofinanziamento dei progetti. La partecipazione dei partner va sollecitata fin dalle prime fasi consentendo loro di incidere concretamente e di svolgere un ruolo costruttivo.

5.6   Le parti sociali, in quanto attori socioeconomici di importanza fondamentale, meritano di essere coinvolte al pari delle organizzazioni dell'economia sociale e delle ONG. È importante incentivare il pluralismo includendo imprese, organizzazioni e altri attori attualmente meno rilevanti che però, con il loro carattere innovativo, potrebbero essere i protagonisti di domani. In ogni caso il partenariato dovrebbe anche diventare più flessibile e mirato alle specifiche esigenze dei vari programmi.

5.7   Come già accennato, l'attuazione del principio di partenariato nei vari Stati membri dipende dalle rispettive culture, tradizioni ed esperienze a livello politico. Poiché si tratta di aspetti estremamente variabili in un'Unione di 27 Stati membri, non esiste un unico modello comune adatto a tutte le situazioni. Le buone prassi devono quindi essere condivise nell'ambito di un processo di reciproco apprendimento in cui tutte le parti coinvolte siano responsabili della loro divulgazione e quindi del miglioramento dell'efficienza dei fondi.

5.8   Nell'ambito del partenariato i vari partner hanno responsabilità, diritti e obblighi diversi a seconda dei rispettivi ruoli e status. Ciò è tanto più vero quando si tratta di conciliare il diritto di partecipazione con le competenze decisionali in materia di bilancio. Eppure tale dicotomia può essere superata se tutti i partner perseguono un approccio basato sul consenso in relazione alla strategia e ai finanziamenti.

5.9   L'attuale regolamento attribuisce agli Stati membri la competenza in materia di applicazione del principio di partenariato in conformità alle norme e alle prassi nazionali. Il CESE è del parere che sia essenziale definire quanto prima requisiti minimi a livello europeo riguardanti le modalità per organizzare un partenariato di alto livello. Pertanto, secondo il Comitato, il FESR dovrebbe spostare il proprio baricentro verso le piccole imprese, l'innovazione e lo sviluppo locale per potersi avvalere di strumenti in grado di favorire il partenariato, ad esempio programmi specifici, sovvenzioni globali, ecc.

5.10   La programmazione in generale può e deve essere modificata in vista di un rafforzamento del partenariato. A tale scopo i programmi dovranno essere più mirati e orientati alla soluzione dei problemi in termini sia di obiettivi che di ambito di applicazione (ad esempio area geografica, settore, funzione).

5.11   La struttura dei programmi influisce direttamente sulle possibilità di attuare il partenariato con successo, e lo hanno dimostrato chiaramente alcune iniziative comunitarie, come EQUAL e URBAN II, per le quali il partenariato era esplicitamente indicato tra i requisiti. L'abolizione delle citate iniziative può essere interpretata come un passo indietro dal punto di vista del principio di partenariato rispetto al periodo di programmazione 2000-2006. Molti Stati membri, malgrado la disposizione in tal senso contenuta nel regolamento sull'FSE, hanno omesso di integrare l'esperienza di EQUAL nell'attuale periodo di programmazione.

5.12   Pensato per le aree rurali, fin dall'inizio il programma Leader si è rivelato pionieristico per quanto riguarda l'attuazione del principio di partenariato. Anche se non è più un'iniziativa comunitaria, il metodo Leader è ormai perfettamente integrato in quanto asse obbligatorio dei programmi di sviluppo rurale del periodo in corso grazie al successo dell'iniziativa e alle disposizioni più severe dell'articolo 6 del regolamento (CE) n. 1698/2005 sul FEASR. L'obiettivo del programma è coinvolgere e mobilitare gli attori locali attraverso la creazione di alleanze territoriali che favoriscano uno sviluppo locale endogeno. L'istituzione di partenariati territoriali denominati «gruppi di azione locali» (GAL) è una delle sue caratteristiche originali. A livello decisionale locale i partner socioeconomici e gli attori della società civile sono in maggioranza; Leader è coadiuvato da reti rurali nazionali composte da una vasta gamma di partner che crea un collegamento tra i progetti locali e i livelli nazionale e dell'Unione.

5.13   Il CESE deplora la tendenza, manifestata negli ultimi anni dalla Commissione, a concentrarsi più sugli aspetti formali/procedurali, e quindi sull'audit, che non sui risultati concreti. Il CESE fa notare che la Commissione dovrebbe svolgere un ruolo più incisivo e proattivo nell'attuazione del principio di partenariato. Essa dovrebbe tornare alla filosofia della politica di coesione del passato e trasformarsi da semplice osservatore a «partner» attivo a tutti gli effetti.

5.14   Il CESE ha rilevato che le complesse procedure amministrative e finanziarie legate ai programmi e ai progetti dei fondi strutturali non solo frenano e scoraggiano soprattutto le PMI, le microimprese e le organizzazioni dell'economia sociale per quanto riguarda la possibilità di beneficiare dei fondi strutturali, ma addirittura costituiscono un deterrente. Il CESE ritiene quindi che la semplificazione di tali procedure a livello sia nazionale che di Unione europea, così come l'accelerazione dei pagamenti, siano la logica conseguenza della necessità di attuare con successo il principio di partenariato. La questione è della massima urgenza.

5.15   Le sovvenzioni globali si sono dimostrate estremamente efficaci nel trasferire la gestione dei fondi ad un livello più vicino ai beneficiari e alle loro esigenze. Esse si sono rivelate funzionali al finanziamento dei progetti di modesta entità. Il CESE deplora il sensibile ridimensionamento di tale sistema nell'ambito dell'attuale periodo di programmazione se paragonato a quello precedente (2000-2006). Fa notare che tutti gli Stati membri ricorrono in maniera massiccia alle sovvenzioni globali per entrambi i fondi in questione; in questo modo, grazie alla reale titolarità del processo di cui godono i beneficiari, è possibile liberare l'enorme potenziale delle PMI e dell'economia sociale.

5.16   Da questo punto di vista un intervento più ampio e incisivo della BEI potrebbe costituire un auspicabile valore aggiunto. Il CESE chiede altresì di rafforzare il programma Jeremie, in modo da incentivare gli aiuti a favore delle piccole imprese e delle relative organizzazioni.

5.17   Il CESE rinnova la propria richiesta di integrare e coordinare, nel quadro di programmi operativi unici, tutti i fondi legati alla politica di coesione dell'Unione, ivi inclusi il FEASR e il Fondo europeo per la pesca. Poiché i partner sono solitamente caratterizzati da una visione olistica dello sviluppo, una simile integrazione migliorerebbe l'efficienza del partenariato. Il CESE è inoltre convinto dell'opportunità di perseguire attivamente l'obiettivo dell'integrazione con le politiche nazionali, in modo da beneficiare del doppio vantaggio offerto da un approccio integrato a livello sia nazionale che europeo.

5.18   Una simile richiesta è perfettamente in linea con le opinioni espresse nella relazione Barca (3) dell'aprile 2009. Tale relazione evidenzia infatti la funzione del partenariato con la società civile organizzata in quanto fattore in grado di conferire alla dimensione territoriale della politica di coesione un ruolo fondamentale nell'ambito dell'integrazione europea. Il partenariato è essenziale per garantire un utilizzo dei fondi corretto ed efficiente. La relazione sottolinea la necessità di sollecitare la partecipazione a livello territoriale degli attori locali e di coinvolgere i cittadini attraverso dibattiti pubblici. Fabrizio Barca propone di lanciare nel periodo 2010-2012 un autentico dibattito strategico che coinvolga la società civile prima dell'elaborazione della nuova politica di coesione post 2013.

6.   Iniziative europee per migliorare la situazione

6.1   Secondo il CESE è necessaria una serie di azioni a livello europeo e nazionale, di carattere sia obbligatorio che facoltativo, in grado di migliorare e rafforzare il partenariato nel quadro dei fondi strutturali estendendo altresì a tutti gli Stati membri le buone prassi individuate nel settore. Il CESE invita a modificare i vari regolamenti dell'UE in materia. Ritiene inoltre necessario un codice di buone prassi da affiancare agli orientamenti della Commissione, i quali dovrebbero essere definiti con maggiore precisione.

6.2   In vista di un futuro regolamento il CESE propone di modificare come di seguito illustrato l'articolo 11 dell'attuale regolamento (CE) n. 1083/2006 contenente le disposizioni generali in materia di partenariato (una versione consolidata con tutte le modifiche proposte è riportata all'allegato 1).

6.2.1

Dopo la dicitura «conformemente alle norme e alle prassi nazionali», al paragrafo 1 dovrebbe essere aggiunta la precisazione «previo accordo con i partner interessati». Solo arrivando ad un accordo con i partner sulla natura del partenariato il processo si può ritenere autenticamente legittimato e capace di contribuire al successo dei progetti. Il CESE concorda con i provvedimenti già adottati dal comitato FSE per individuare i partner pertinenti; tale modus operandi dovrebbe essere esteso a tutti i fondi strutturali.

6.2.2

Secondo il Comitato è indispensabile introdurre nell'articolo 11 l'idea di una sorveglianza congiunta da parte della Commissione, degli Stati membri e della società civile organizzata sull'attuazione del principio di partenariato. Da questo punto di vista un sistema ottimale potrebbe essere rappresentato dal metodo di coordinamento aperto (MCA). La Commissione, in collaborazione con gli Stati membri, fissa gli obiettivi, definisce indicatori e linee guida, misura i risultati e gestisce gli scambi non solo delle buone prassi ma anche delle valutazioni effettuate mediante verifiche inter pares (peer reviews).

6.2.3

Con il Trattato di Lisbona l'MCA è riconosciuto ufficialmente dagli articoli 149, 153, 156, 168, 173 e 181 del TFUE. Il CESE suggerisce pertanto di inserire nell'articolo 11 un'analoga formulazione: «La Commissione, in stretta collaborazione con gli Stati membri, può adottare iniziative finalizzate alla definizione di orientamenti e indicatori, all'organizzazione di scambi di migliori prassi e alla preparazione degli elementi necessari per la sorveglianza e la valutazione periodiche.» Tra le parti coinvolte dovrebbero figurare anche le principali organizzazioni europee rappresentative delle parti sociali e della società civile.

6.2.4

La consultazione dei partner socioeconomici a livello europeo deve avere luogo «almeno due volte l'anno», e riguardare anche le organizzazioni interessate e rappresentative di cui all'articolo 11, paragrafo 1, lettera c), oltre a quelle legate allo sviluppo rurale, in modo da creare un collegamento con il FEASR. Le consultazioni in oggetto dovrebbero essere organizzate fin d'ora come parte integrante di un autentico dibattito strategico a livello europeo da tenere prima dell'elaborazione della nuova politica di coesione post 2013 (cfr. relazione Barca).

6.2.5

Analogamente, il Comitato suggerisce di migliorare i processi di consultazione specifici dei singoli fondi a livello UE. Senza sminuire il ruolo privilegiato delle parti sociali, il comitato FSE dovrebbe, effettuate le opportune consultazioni, cooptare un certo numero di osservatori provenienti da altre organizzazioni rappresentative delle parti interessate.

6.2.6

Il CESE esorta a modificare i regolamenti sul FESR e sul FEASR introducendo un concetto analogo a quello enunciato all'articolo 5 del regolamento sull'FSE («Buona governance e partenariato»). Il Comitato suggerisce altresì di prevedere, nel nuovo regolamento sul FESR, un apposito comitato per il partenariato.

6.2.7

Il CESE ricorda, in particolare, che una percentuale adeguata delle risorse deve essere destinata ad azioni di potenziamento delle capacità aperte a tutti i partner privati e suggerisce quindi di stanziare, indicativamente, il 10 % del bilancio destinato all'assistenza tecnica per lo sviluppo delle capacità e la formazione nell'ambito di tutti i programmi operativi. È inoltre opportuno sostenere un tipo di formazione a livello europeo che si riveli positiva sul piano nazionale e quindi faciliti anche lo scambio di esperienze e buone prassi.

6.3   Il CESE ritiene che, al fine di conseguire la necessaria semplificazione, sia opportuno razionalizzare gli audit e i controlli sui progetti. Occorre altresì velocizzare i pagamenti, le garanzie e i finanziamenti anticipati nonché adattarli alle esigenze dei beneficiari, soprattutto quando si tratta di attori minori. Attualmente le possibilità di ottenere un finanziamento anticipato, malgrado i diversi miglioramenti proposti dalla Commissione nel 2009, rimangono per molti versi inadeguate.

6.4   Al fine di soddisfare i requisiti minimi indispensabili per un partenariato di alto livello, il Comitato propone che la Commissione, in collaborazione con i rappresentanti delle varie categorie di partner di cui all'articolo 11, elabori un codice di buone prassi relativo all'applicazione del principio di partenariato sulla base dei seguenti orientamenti:

è opportuno mettere a punto fin dall'inizio un piano di informazione/consultazione/ partecipazione, concordato con i partner pubblici e privati pertinenti, per le fasi di programmazione, attuazione e valutazione che contenga obiettivi chiari e un calendario da seguire,

le autorità competenti dovrebbero fornire indicazioni circa il tipo di considerazione attribuita al principio di partenariato nell'ambito delle proposte e delle relazioni elaborate; le opinioni espresse dai partner dovrebbero essere documentate in maniera chiara e trasparente,

ciascun partenariato dovrebbe avere la possibilità di decidere in merito alla procedura di selezione dei membri dei comitati di gestione e degli altri organi consultivi costituiti nel quadro dei fondi strutturali. La selezione dovrebbe essere basata sugli interessi, la rappresentatività e l'apertura nei confronti di attori diversi, specifici e innovativi,

l'assistenza tecnica dovrebbe essere garantita a tutti i partner dei vari programmi operativi ai fini del potenziamento delle capacità, del coordinamento e della rappresentanza; l'elaborazione e la gestione dei progetti dovrebbero essere affidate ai partner di volta in volta interessati,

il principio di partenariato dovrebbe essere applicato fin dall'inizio nella definizione dei criteri per la scelta dei progetti,

il partenariato stesso dovrebbe essere uno dei criteri per il finanziamento dei progetti tramite i fondi,

occorre sostenere il partenariato transnazionale,

sarebbe opportuno stabilire indicatori di efficienza nella gestione dal punto di vista dei beneficiari,

bisognerebbe procedere ad una semplificazione delle procedure e dei controlli,

è necessario ridurre i tempi di effettuazione dei pagamenti ai beneficiari,

i comitati di gestione o altri organi competenti legati al Quadro di riferimento strategico nazionale (QRSN) dovrebbero discutere di eventuali strategie a lungo termine.

6.5   In caso di cospicua revisione dei programmi operativi nel corso del periodo di programmazione sarebbe opportuno rispettare rigorosamente il principio di partenariato attribuendogli il giusto rilievo.

6.6   Il CESE propone che le regioni che intendono condividere la propria esperienza e divulgare le buone prassi istituiscano una rete di eccellenza delle regioni in materia di partenariato; simili reti esistono già in nuce  (4). Al fine di promuovere un'iniziativa in tal senso il CESE propone di intraprendere un'azione congiunta CESE-Comitato delle regioni-Commissione. Il CdR, in particolare, potrebbe essere un valido coordinatore di tale rete.

6.7   Infine il CESE propone che la Commissione coordini la costituzione di un gruppo di lavoro formato da tutti i partner interessati a livello europeo; il suo compito dovrebbe essere quello di promuovere il principio di partenariato sotto diversi punti di vista, ad esempio adoperandosi perché gli aiuti di Stato e le norme sugli appalti non interferiscano negativamente con il partenariato stesso.

7.   Buone prassi

7.1   In sede di elaborazione del presente parere sono state individuate delle buone prassi dal punto di vista del coinvolgimento e del ruolo dei partner privati e non degli enti pubblici. L'elenco di buone prassi, contenuto in un allegato separato, è presentato a titolo esemplificativo e non esaustivo.

7.2   Le buone prassi sono state analizzate da una quadruplice prospettiva: accesso al partenariato, poteri conferiti ai partner, partenariati decisionali e partenariati mirati.

7.3   Quella che in uno dei citati campi si rivela una buona prassi non necessariamente lo è in senso assoluto. Viceversa, uno stesso caso può rappresentare un esempio di buona prassi in più di un campo. Vale la pena di evidenziare in particolar modo alcuni casi, come l'approccio sistematicamente improntato al partenariato in tutta l'Inghilterra, il programma per la pace e la riconciliazione nell'Irlanda del Nord, che ha ottenuto risultati positivi e attribuisce un ruolo chiave ai partenariati locali e alla partecipazione dal basso, la gestione in partenariato di tutti i fondi (ivi incluso il FEASR) per uno sviluppo integrato nel Land Meclenburgo-Pomerania anteriore (DE), la gestione della società civile (Organizzazione nazionale dei ciechi spagnoli - ONCE e altre organizzazioni), unica nel suo genere, per un programma operativo dell'FSE (ES) e la struttura di sostegno al terzo settore in Galles (3-SET).

7.4   Le quattro prospettive applicabili alle buone prassi si ritrovano in alcuni casi interessanti caratterizzati da un esplicito orientamento dei fondi strutturali alle esigenze degli attori locali: l'innovativo partenariato tra sindacati, cooperative e banche che gestisce la sovvenzione globale Esprit in Toscana, l'utilizzo strategico e sempre più frequente delle sovvenzioni globali nella regione Poitou-Charentes (FR), i patti territoriali per l'occupazione austriaci e la gestione decentralizzata dell'FSE nel Land Baden-Württemberg (DE). Anche i gruppi di azione locali nell'ambito dell'iniziativa Leader meritano di essere citati in questa sede.

7.5   Anche un processo dinamico per lo sviluppo e il miglioramento del partenariato può essere considerato una buona prassi. Un esempio da sottolineare è quello della Polonia, dove la gestione decentralizzata dei fondi avviene a livello di gruppi di lavoro nell'ambito dei quali i partner svolgono un ruolo decisivo. Anche l'accordo quadro nazionale italiano (il Protocollo d'intesa) sulle regole che disciplinano il partenariato e il seguito dato allo stesso in alcune regioni come la Puglia possono essere considerati tentativi validi di proseguire nella citata direzione.

7.6   Il CESE rileva che, in generale, il coinvolgimento dei consigli economici e sociali a livello nazionale e/o regionale è soltanto parziale; unica eccezione è costituita dal CNEL italiano, che svolge un ruolo rilevante nella definizione e nella valutazione delle politiche regionali per il Mezzogiorno. Tra i vari consigli, quello portoghese, francese (livello regionale) e maltese, ad esempio, partecipano alla fase di programmazione.

7.7   Il problema dell'accesso è legato alle modalità di scelta dei partner. A questo proposito occorre definire una serie di procedure atte a garantire la trasparenza e la legittimità dei partner selezionati. Di norma la selezione non presenta alcun problema per quanto concerne le parti sociali; essa risulta invece più difficoltosa per il settore nelle ONG, soprattutto quando si tratta di includere i gruppi più vulnerabili e marginali come le persone con disabilità, gli ex detenuti, i Rom o le altre minoranze etniche.

7.7.1   Lasciare alla società civile organizzata il compito di procedere alla selezione costituisce una buona prassi. Un esempio interessante in questo senso si registra nella Repubblica ceca (sistema elettivo).

7.8   Sono stati riscontrati diversi casi interessanti di potenziamento delle capacità e attribuzione di poteri ai partner, tra cui:

l'apprendimento del dialogo sociale (ad esempio nella Repubblica ceca),

lo sviluppo delle capacità professionali nelle organizzazioni partner (Mezzogiorno, Germania, Spagna, Poitou-Charentes, Slovenia),

la creazione di centri di competenza specifici o «osservatori» (Kompetenzstellen in Germania e 3-SET in Galles),

la messa a punto di manuali e orientamenti per le organizzazioni partner a livello nazionale (Confederazione tedesca dei sindacati - DGB - Brandeburgo, Germania) ed europeo (CES, EAPN, Bankwatch).

7.9   In alcuni casi alle organizzazioni partner sono state affidate vere e proprie competenze decisionali in materia di scelta dei progetti da finanziare. Quello delle sovvenzioni globali è solo uno degli esempi in tal senso (Italia, Regno Unito, Francia). Altri modelli si ritrovano in Svezia (contea di Västra Götaland e altri partenariati legati ai fondi strutturali) e Spagna (il già citato programma operativo della fondazione ONCE).

7.10   Alcuni programmi si sono dimostrati particolarmente mirati dal punto di vista geografico, dei gruppi di riferimento, dei settori, delle comunità, delle funzioni specifiche, ecc. Di conseguenza, nella maggior parte dei casi, essi sono strettamente legati ad uno specifico gruppo di partner che detiene vere e proprie competenze decisionali. In questa categoria di buone prassi rientrano il programma per la pace in Irlanda del Nord, i forum per la crescita (Danimarca) e le iniziative locali già citate al punto 7.4.

8.   Proposte di modifica al testo dell'attuale articolo 11 del regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio

Articolo 11

Partenariato

1.   Gli obiettivi dei fondi sono perseguiti nel quadro di una stretta cooperazione, (in seguito: «partenariato»), tra la Commissione e ciascuno Stato membro. Ciascuno Stato membro organizza, , un partenariato con autorità ed organismi quali:

a)

le autorità regionali, locali, cittadine e le altre autorità pubbliche competenti;

b)

le parti economiche e sociali;

c)

ogni altro organismo appropriato in rappresentanza della società civile, i partner ambientali, le organizzazioni non governative e gli organismi di promozione della parità tra uomini e donne.

Ciascuno Stato membro designa i partner più rappresentativi a livello nazionale, regionale e locale, nei settori economico, sociale e ambientale o in altri settori (di seguito: «i partner»), conformemente alle norme e alle prassi nazionali, tenendo conto della necessità di promuovere la parità tra uomini e donne e lo sviluppo sostenibile tramite l'integrazione di requisiti in materia di tutela e miglioramento dell'ambiente.

2.   Il partenariato è condotto nel pieno rispetto delle competenze istituzionali, giuridiche e finanziarie di ciascuna categoria di partner di cui al paragrafo 1. Il partenariato verte sulla preparazione, attuazione, sorveglianza e valutazione dei programmi operativi. Gli Stati membri associano ciascuno dei pertinenti partner, in particolare le regioni, alle varie fasi della programmazione , nel rispetto delle scadenze fissate per ciascuna di esse.

3.    la Commissione consulta le organizzazioni che rappresentano a livello europeo in merito all'intervento dei fondi.

Bruxelles, 14 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Cfr. art. 11 del regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio sui fondi strutturali.

(2)  Governance e partenariato a livello nazionale e regionale e per progetti di politica regionale, Parlamento europeo, relatore Jean-Marie BEAUPUY (testo votato il 21 ottobre 2008).

(3)  An Agenda for a Reformed Cohesion Policy. A Place Based Approach to meeting European Union Challenges and expectations («Un'agenda per la riforma della politica di coesione. Un approccio basato sul territorio per far fronte alle sfide e alle aspettative dell'Unione europea») — maggio 2009.

(4)  Alcuni esempi: Reves (partenariato tra enti regionali/locali ed economia sociale), Bankwatch Network, IQ net (autorità di gestione regionale e ricerca), l'iniziativa ECAS (European Citizen Action Service) e le prassi comuni a diverse autorità di gestione dell'FSE.


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