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Document 52008IE1571

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Estendere le misure antidiscriminazione al di là del settore dell'occupazione: per un'unica direttiva globale contro la discriminazione

GU C 77 del 31.3.2009, p. 102–108 (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/102


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Estendere le misure antidiscriminazione al di là del settore dell'occupazione: per un'unica direttiva globale contro la discriminazione

(2009/C 77/24)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Estendere le misure antidiscriminazione al di là del settore dell'occupazione: per un'unica direttiva globale contro la discriminazione.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore CROOK.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 112 voti favorevoli, 3 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il diritto alla parità di trattamento è allo stesso tempo un diritto universale e un principio basilare del diritto comunitario, sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. La Carta dei diritti fondamentali trae origine dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, dagli altri strumenti internazionali sottoscritti da tutti gli Stati membri dell'UE e dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri.

1.2

In virtù dell'articolo 13 del Trattato CE, l'Unione europea si impegna a combattere, in tutti i settori di sua competenza, «le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali». Il Trattato di Lisbona fa della lotta contro la discriminazione un obiettivo specifico dell'UE.

1.3

Le discriminazioni fondate sui motivi di cui all'articolo 13 possono minare gli obiettivi della Comunità europea stabiliti all'articolo 2 del TCE, tra i quali figurano la promozione di «un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, la parità tra uomini e donne […], il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra gli Stati membri».

1.4

Per garantire lo sviluppo di società democratiche e tolleranti che consentano l'espressione della diversità e la piena partecipazione e integrazione di tutti i cittadini nella vita economica e sociale, è importante garantire una protezione efficace contro le discriminazioni anche al di fuori del settore dell'occupazione.

1.5

Dinanzi al perdurare delle disparità di trattamento e delle forme di discriminazione nell'UE è necessario agire, tanto più che quest'ultima danneggia non solo i singoli, ma anche le società europee in generale. L'attuale legislazione UE in materia di discriminazione non è adeguata a questo scopo. Infatti, in materia di occupazione e condizioni di lavoro i cittadini sono protetti contro tutti i motivi di discriminazione di cui all'articolo 13 del TCE, e la legislazione UE tutela dalle discriminazioni fondate sulla razza o l'origine etnica in materia di protezione sociale (compresa la sicurezza sociale e l'assistenza sanitaria), di benefici sociali, di istruzione e accesso a beni e servizi (compresi gli alloggi), oltre che da quelle fondate sul sesso per quel che concerne l'accesso a beni e servizi. Per quanto riguarda le discriminazioni fondate sulla religione, sulle convinzioni personali, sulla disabilità, sull'età e sull'orientamento sessuale, il diritto comunitario non prevede alcuna protezione al di fuori del settore dell'occupazione. La legislazione comunitaria contro la discriminazione non ha strumenti per riconoscere la discriminazione multipla e offrire protezione in questo caso.

1.6

Il quadro attuale della protezione giuridica nell'UE è complesso. Se molti Stati membri dispongono di leggi che vanno al di là dei requisiti comunitari, sia pure con ampie variazioni quanto al contenuto, alla natura e al grado di protezione offerti, altri invece soddisfano a malapena i requisiti minimi. Nonostante i comprovati benefici che l'attività degli enti specializzati per le pari opportunità apporta alla lotta contro la discriminazione e alla promozione della parità di trattamento, la legislazione UE impone l'intervento di tali organismi solo in relazione alle questioni riguardanti l'origine razziale o etnica e la parità dei sessi. Molti Stati membri hanno istituito organismi per le pari opportunità i cui mandati coprono tutti o parte degli altri motivi di discriminazione elencati all'articolo 13 del TCE o parte di essi.

1.7

Il CESE ritiene ingiustificabile che l'UE conservi un sistema di norme, basato su un chiaro impegno del Trattato a combattere la discriminazione fondata su sei specifici aspetti, che continua a mantenere delle disparità di protezione, con un grado inferiore di protezione e con garanzie più limitate di parità di trattamento per taluni motivi di discriminazione. In assenza di un obbligo vincolante a rispettare una norma comune UE, gli Stati membri non sono realmente incentivati ad emanare leggi che prevedano gli stessi diritti per tutti i motivi di discriminazione.

1.8

Il CESE teme che il conseguimento degli obiettivi dell'UE rischi di essere fortemente ostacolato da questo sistema gerarchico di protezione dalla discriminazione. Esso potrebbe impedire la libera circolazione dei lavoratori e delle merci: i lavoratori, infatti, potrebbero essere restii a spostarsi in paesi dove godrebbero di meno diritti, e i fornitori di beni e servizi potrebbero essere danneggiati dall'obbligo di rispettare norme diverse in materia di pari opportunità, a seconda dei paesi. Tale stato di cose è contrario alla coesione sociale e rischia di ridurre la partecipazione alla società civile.

1.9

Il CESE ritiene ormai necessaria una nuova legislazione UE che proibisca le discriminazioni basate sulla religione, sulle convinzioni personali, sulla disabilità, sull'età e sull'orientamento sessuale anche al di fuori del settore dell'occupazione. In linea con i principi di sussidiarietà e di proporzionalità di cui all'articolo 5 del TCE, solo grazie a un'azione a livello comunitario è possibile giungere a un elevato livello di protezione giuridica in tutti gli Stati membri.

1.10

L'intervento comunitario dovrebbe assumere la forma di una direttiva unica tale da coprire tutti e quattro i motivi di discriminazione. Affinché la legislazione UE e quella nazionale siano coerenti e omogenee, la nuova direttiva dovrebbe applicarsi a tutti i settori diversi dall'occupazione e dalle condizioni di lavoro coperti dalla direttiva per la parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica. Il CESE ritiene che una direttiva unica offra importanti vantaggi: essa infatti garantirebbe la massima chiarezza alle imprese e ad altri fornitori di beni e servizi, incoraggiandoli a conformarsi rapidamente alle sue disposizioni, assicurerebbe una protezione estremamente efficace contro la discriminazione multipla e favorirebbe la coesione sociale.

1.11

Il CESE accoglie pertanto con favore la decisione della Commissione, annunciata il 2 luglio 2008, di proporre una nuova direttiva che attui il principio della parità di trattamento indipendentemente dalla religione o dalle convinzioni personali, dagli handicap, dall'età o dalle tendenze sessuali.

1.12

La nuova legislazione deve assolutamente garantire che il diritto alla parità non risulti sminuito o svilito, e che non finisca per ridurre il grado di tutela dalla discriminazione previsto dalla legislazione europea o nazionale in vigore. La nuova direttiva dovrebbe offrire un quadro di riferimento per il rispetto degli obblighi in materia di parità previsti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità; dovrebbe prevedere adeguamenti tali da consentire ai disabili di accedere e partecipare pienamente alla vita della società; dovrebbe rendere possibile l'adozione di misure che consentano azioni positive e trattamenti preferenziali per motivi di età e di disabilità, qualora ciò sia coerente con il principio della parità di trattamento; non deve consentire una giustificazione generale della discriminazione diretta, bensì permettere la discriminazione laddove serva a promuovere la parità di trattamento e il rispetto della dignità umana; dovrebbe richiedere l'istituzione o il rafforzamento degli enti specializzati per le pari opportunità, in modo che possano occuparsi della parità di trattamento anche in relazione agli altri quattro motivi di discriminazione.

2.   La parità: un principio fondamentale del diritto comunitario

2.1

Il diritto alla parità di trattamento è allo stesso tempo un diritto universale e un principio fondamentale del diritto comunitario. Esso trae origine dagli strumenti internazionali sottoscritti da tutti gli Stati membri dell'UE e dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, ed è sancito dagli articoli 21 e 22 della Carta dei diritti fondamentali.

2.2

Il diritto alla non discriminazione tra donne e uomini sul posto di lavoro, sancito oltre 30 anni fa, è stato un elemento centrale nello sviluppo dell'Unione. La parità di trattamento tra i sessi resta essenziale ai fini di un mercato interno equo, della libertà di circolazione e della costruzione di una società europea forte e coesa.

2.3

Gli anni '90 hanno visto crescere la consapevolezza della necessità di misure intese a contrastare la discriminazione fondata su motivi diversi dal sesso e in settori diversi dall'occupazione. L'integrazione dell'articolo 13 del TCE nel Trattato di Amsterdam ha segnato una tappa importante che ha conferito all'UE nuovi poteri e ne ha rafforzato l'impegno a favore della parità di trattamento. In virtù dell'articolo 13, l'Unione europea si impegna a combattere le discriminazioni fondate non solo sul sesso, ma anche sulla razza o l'origine etnica, sulla religione o le convinzioni personali, sulla disabilità, sull'età o sull'orientamento sessuale.

2.4

Riconoscendo la pressante necessità di agire contro la discriminazione basata su questi motivi, nel 2000 il Consiglio ha adottato due direttive: la direttiva che attua il principio della parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica (2000/43/CE) e la direttiva che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (2000/78/CE). Nel 2004, inoltre, il Consiglio ha adottato la direttiva che attua il principio della parità di trattamento tra donne e uomini per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura (2004/113/CE).

2.5

Nel preambolo di tutte e tre le direttive si fa riferimento all'articolo 6 del Trattato sull'Unione europea, il che conferma ogni volta che il diritto alla parità è un principio basilare fondato sui diritti sanciti dagli strumenti internazionali di cui tutti gli Stati membri sono firmatari e dalle tradizioni costituzionali comuni a tutti gli Stati membri.

2.6

Tale interpretazione è stata confermata dalla Corte di giustizia delle Comunità europee con la pronuncia pregiudiziale sulla causa Werner Mangold contro Rüdiger Helm  (1) (interpretazione della direttiva del Consiglio 2000/78/CE in relazione alla discriminazione legata all'età):

«74. […] tale direttiva [2000/78/CE], ai sensi del suo articolo 1, ha il solo obiettivo di stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali, dal momento che il principio stesso del divieto di siffatte forme di discriminazione, come risulta dai considerando 1 e 4 della detta direttiva, trova la sua fonte in vari strumenti internazionali e nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri.

75. Il principio di non discriminazione in ragione dell'età deve pertanto essere considerato un principio generale del diritto comunitario. […]»

Non vi è motivo di ritenere che la Corte non confermerebbe l'applicazione di tale principio anche in relazione alle altre forme di discriminazione previste dalla direttiva 2000/78/CE.

2.7

Nella causa S. Coleman contro Attridge Law e Steve Law, per la quale alla Corte di giustizia delle Comunità europee era stata chiesta una pronuncia pregiudiziale circa l'applicazione della direttiva del Consiglio 2000/78/CE, l'Avvocato generale, nelle sue conclusioni, ha affermato quanto segue (2):

«8. L'articolo 13 CE è un'espressione dell'impegno dell'ordinamento giuridico comunitario nell'assicurare il principio di parità di trattamento e di non discriminazione. […] La giurisprudenza della Corte è chiara quanto al ruolo della parità di trattamento e del divieto di discriminazione nell'ambito dell'ordinamento giuridico comunitario. L'uguaglianza non è soltanto un ideale politico e un'aspirazione, ma uno dei principi fondamentali del diritto comunitario. […]»

2.8

Sia la direttiva per la parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica (3) che la direttiva quadro in materia di occupazione (4) ribadiscono il punto di vista del Consiglio, secondo cui le discriminazioni sulla base dei motivi elencati all'articolo 13 del TCE possono minare il conseguimento degli obiettivi della Comunità europea stabiliti dall'articolo 2 dello stesso TCE, tra cui la promozione di un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, la parità tra uomini e donne, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra gli Stati membri.

2.9

Il Trattato di Lisbona attribuisce nuova importanza alla lotta contro la discriminazione sulla base dei motivi elencati all'articolo 13 (5), facendone un obiettivo specifico dell'UE nel quadro della definizione e dell'attuazione delle proprie politiche e attività (6).

3.   L'importanza di una protezione efficace contro la discriminazione al di fuori del settore dell'occupazione

3.1

La direttiva quadro in materia di occupazione stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro contro le forme di discriminazione basate sulla religione o su convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale. La direttiva per la parità di trattamento garantisce a tutte le persone, indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica, la parità di trattamento in materia non solo di occupazione e di condizioni di lavoro, ma anche di protezione sociale (compresa la sicurezza sociale e l'assistenza sanitaria), benefici sociali, istruzione e accesso a beni e servizi disponibili al pubblico (compresi gli alloggi).

3.2

La direttiva sulla parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi viene a integrare la protezione dalla discriminazione fondata sul sesso in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, sancita dalle direttive adottate sulla base dell'articolo 141 del TCE (7), e attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne nell'accesso a beni e servizi e la loro fornitura.

3.3

Sia nella direttiva per la parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica (8) sia in quella sulla parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi (9), il Consiglio ha riconosciuto che per garantire la piena partecipazione di tutti alla vita economica e sociale, la protezione contro la discriminazione andrebbe estesa al di là del settore dell'occupazione.

3.4

Il CESE ha riconosciuto (10) l'importanza della e-accessibilità nel combattere la discriminazione e consentire la piena partecipazione di tutti i gruppi alla società, e ha raccomandato che la legislazione fondata sull'articolo 13 raggiunga uno standard comune elevato in materia di misure a favore della e-accessibilità.

3.5

Secondo il Comitato, per conseguire gli obiettivi di Lisbona è essenziale eliminare le discriminazioni anche al di fuori del settore dell'occupazione. In caso contrario, le discriminazioni in settori quali la protezione sociale, l'assistenza sanitaria, l'istruzione, gli alloggi o l'accesso a servizi pubblici e privati d'interesse generale ostacoleranno il progresso verso una crescita sostenibile e verso la creazione di posti di lavoro più numerosi e di migliore qualità.

4.   Parità e non discriminazione: la situazione attuale nell'Unione europea

4.1

Il 2007, Anno europeo delle pari opportunità per tutti, ha offerto alle istituzioni europee, ai governi nazionali e alla società civile un'occasione preziosa per riflettere sul valore della parità e dell'eliminazione della discriminazione ai fini di una società più inclusiva sul piano sociale. Come osserva il Consiglio, l'iniziativa ha messo chiaramente in evidenza che «continuano ad essere presenti nell'UE disuguaglianze e discriminazioni basate sul sesso, sulla razza o l'origine etnica, sull'età, sulla disabilità, sulla religione o le convinzioni personali, o sull'orientamento sessuale, con grave danno per gli uomini e le donne che ne sono oggetto e per l'intera società europea» (11).

4.2

L'Anno europeo ha anche messo in evidenza le divergenze esistenti nell'attuale legislazione UE riguardo alla protezione dalla discriminazione, descritte ai punti 3.1 e 3.2 del presente documento. Il CESE teme che i comportamenti che negano la parità di trattamento, compresi i modelli istituzionali discriminanti, per uno qualsiasi dei motivi elencati all'articolo 13 del TCE in settori quali l'assistenza sanitaria, l'istruzione, l'accesso a beni e servizi e gli alloggi, possano contribuire a perpetuare la disuguaglianza nell'accesso all'occupazione e incidere profondamente sulla qualità della vita delle persone e sulla loro capacità di partecipare pienamente alla vita della società.

5.   Discriminazione multipla

5.1

Il Consiglio ha osservato che «l'anno europeo ha evidenziato le accresciute difficoltà derivanti dalla discriminazione multipla» (12).

5.2

Il concetto di «discriminazione multipla» riconosce la complessità dell'identità di ogni individuo. Si tratta infatti di una forma di discriminazione o di molestia fondata su uno o più degli aspetti che costituiscono tale identità.

5.3

Nel dicembre 2007, l'Istituto danese per i diritti umani ha pubblicato uno studio dal titolo Tackling Multiple Discrimination — Practices, policies and laws («La lotta alla discriminazione multipla: prassi, politiche e leggi») (13). Da un'analisi accademica e giuridica e dalla consultazione degli attori interessati, gli autori concludono che per sconfiggere la discriminazione e la disuguaglianza servono anzitutto soluzioni praticabili contro la discriminazione multipla (14).

5.4

La legislazione UE in materia di discriminazione e le leggi nazionali di recepimento dovrebbero essere in grado di offrire protezione e diritto di ricorso contro tutte le forme di discriminazione multipla. Affinché ciò sia possibile, è indispensabile che il livello di protezione sia uguale per tutti i possibili motivi di discriminazione. Al momento, però, nella legislazione comunitaria, ciò è vero solo per il settore dell'occupazione.

6.   La protezione giuridica contro le discriminazioni nei diversi Stati membri dell'UE

6.1

Benché non tutti gli Stati membri abbiano ad oggi adeguatamente recepito la direttiva per la parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica e la direttiva quadro in materia di occupazione (15), molti di essi dispongono di leggi che vietano la discriminazione più severe rispetto alle direttive fondate sull'articolo 13 del TCE.

6.2

Uno studio analitico (16) pubblicato nel dicembre 2006 ha esaminato le legislazioni nazionali che, nei settori diversi da quello dell'occupazione e delle condizioni di lavoro, proibiscono la discriminazione fondata sul sesso, sull'orientamento sessuale, sulla disabilità, sulla religione o sulle convinzioni personali e sull'età. Secondo gli autori, forse ciò che più sorprende nei paesi europei studiati è (1) il fatto che la maggior parte di essi è intervenuta imponendo requisiti che vanno ben oltre i requisiti CE e assicura una protezione giuridica di qualche tipo contro gran parte delle forme di discriminazione oggetto dello studio, e (2) l'eterogeneità del livello e della natura di tale protezione nei diversi paesi (17).

6.3

Lo studio rileva forti disparità in relazione tanto ai motivi quanto agli ambiti di attività che formano oggetto di protezione, ma anche per quanto riguarda la forma giuridica di volta in volta utilizzata: costituzioni nazionali, leggi contro la discriminazione in generale, leggi nazionali o regionali, o ancora leggi specifiche in settori particolari, ad esempio gli alloggi o l'istruzione. Per ciascuno dei motivi di discriminazione e dei settori che formano oggetto di protezione, nei vari Stati membri si sono osservate divergenze tra la natura, la forma e la portata delle eccezioni e dei diritti alla non discriminazione (18). Il raffronto tra Stati membri operato da Bell, Chopin e Palmer (19) conferma le variazioni e le difformità constatate.

6.4

Come riconosciuto dal Consiglio nella sua risoluzione sul follow-up dell'Anno europeo delle pari opportunità per tutti, gli enti specializzati per le pari opportunità sono, o potrebbero essere, i principali protagonisti della lotta contro la discriminazione e della promozione delle pari opportunità in tutti gli Stati membri, grazie, in particolare, al loro ruolo cruciale di sensibilizzazione. La direttiva per la parità di trattamento indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica, la direttiva sulla parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi, e la direttiva sulla parità di genere (rifusione) (20) impongono agli Stati membri di istituire enti specializzati per far valere i diritti alle pari opportunità sulla base della razza e del sesso. Nessuna norma stabilisce però che si debbano creare enti specializzati per promuovere la parità di trattamento sul piano della religione o delle convinzioni personali, della disabilità, dell'orientamento sessuale o dell'età. Le competenze degli enti specializzati creati negli Stati membri sono quanto mai eterogenee: se alcuni si limitano alla razza e all'origine etnica, altri si occupano di tutti i motivi di discriminazione di cui all'articolo 13 TCE, e altri ancora (21). A livello europeo esiste la rete Equinet (22), composta di enti indipendenti o statali responsabili dell'applicazione, all'interno degli Stati membri, della legislazione antidiscriminatoria.

6.5

Dopo aver riesaminato la tutela giuridica dalla discriminazione fondata sull'orientamento sessuale in tutta l'UE (23), l'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali ha raccomandato che la legislazione UE assicuri a tutti il diritto alla parità di trattamento per tutti i motivi di discriminazione di cui all'articolo 13 TCE.

6.6

Secondo il CESE non vi è nessuna giustificazione per l'esistenza di un sistema legislativo UE contro la discriminazione, basato sull'impegno sancito nel Trattato a combattere la discriminazione basata sul sesso, sulla razza o sull'origine etnica, sulla religione o sulle convinzioni personali, sugli handicap, sull'età o sulle tendenze sessuali, che consente e mantiene un grado di protezione inferiore e garanzie di parità di trattamento più limitate per taluni di questi motivi di discriminazione.

6.7

In assenza di una legislazione uniforme a livello UE, che copra tutti i motivi di discriminazione, gli Stati membri non sono realmente motivati ad emanare leggi uniformi. La Commissione e il Consiglio non dispongono di basi giuridiche che ne giustifichino l'intervento nei casi in cui la protezione dalla discriminazione si dimostri inadeguata o diseguale, come attualmente avviene.

6.8

Il CESE ammette che emanare leggi contro la discriminazione non è di per sé sufficiente a sradicare tale piaga da un paese. Ritiene però che ciò consentirebbe quanto meno di dimostrare che lo Stato riconosce il pregiudizio arrecato dalla discriminazione ai cittadini e alla società, nonché il proprio impegno a valersi degli strumenti giuridici di cui dispone per porre fine a questa situazione. Viceversa, l'assenza di leggi antidiscriminazione trasmette un messaggio molto diverso, dando l'impressione (erronea) che la discriminazione non esista o non costituisca un problema abbastanza grave da richiedere misure preventive formali, oppure, per dirla in termini politici, dando l'impressione che le obiezioni dei potenziali autori di discriminazione a qualsiasi forma di regolamentazione prevalgano sulla volontà di migliorare la qualità di vita di tutti i cittadini e di creare una più forte coesione sociale.

6.8.1

Vi sono buoni motivi per ritenere che le misure non legislative informali intese a promuovere le buone pratiche non siano riuscite a sradicare comportamenti discriminatori fortemente consolidati.

6.8.2

Comunque sia, la legislazione contro la discriminazione non sarà sufficiente di per sé a conseguire gli obiettivi, se non sarà accompagnata da un programma globale di sensibilizzazione e di educazione, nonché da un'attuazione efficace.

7.   La gerarchizzazione dei diritti alla parità: un ostacolo al conseguimento degli obiettivi comunitari

7.1

Il CESE ritiene che mantenere l'attuale e incoerente sistema gerarchico delle misure comunitarie antidiscriminazione significhi ostacolare il conseguimento degli obiettivi comunitari, in quanto:

si frappone alla libera circolazione dei lavoratori, che in certi Stati membri godono di un numero minore di diritti antidiscriminazione applicabili: ad esempio, il 69,2 % dei partecipanti alla consultazione online lanciata dalla Commissione, dal titolo Discriminazione — È importante?, ha affermato che il livello di protezione giuridica dalle discriminazioni fondate su età, disabilità, religione e orientamento sessuale nei settori al di fuori del lavoro influenzerebbe la sua decisione di trasferirsi in un altro Stato membro (24),

potrebbe ostacolare la libera circolazione delle merci, in quanto nei vari Stati membri i fornitori devono rispettare norme diverse in materia di parità nell'accesso ai beni e ai servizi. Ad esempio, il 26,3 % delle imprese che hanno preso parte alla consultazione del Gruppo pilota di imprese europee sulla discriminazione (25) ha affermato che il livello di tutela legale offerto da un altro Stato membro contro la discriminazione per motivi di età, disabilità, religione e orientamento sessuale, in termini di accesso a beni e servizi, nonché alloggi, è tale da influenzare la capacità delle imprese di esercitare un'attività economica in tale paese,

incide sulla qualità della vita, dato che in assenza di una proibizione vincolante è più probabile che la discriminazione e le molestie sfuggano al controllo, e che restino in piedi le barriere al godimento pieno e paritario dei diritti economici e sociali,

è contrario alla coesione sociale, poiché è incapace di garantire un riconoscimento pieno e paritario a tutte le categorie della società,

riduce il livello di partecipazione alla società civile da parte di gruppi e comunità importanti.

7.2

Date le già espresse preoccupazioni riguardo al persistere della discriminazione, il Consiglio, nella risoluzione sul follow-up dell'Anno europeo delle pari opportunità per tutti:

osserva che «la discriminazione può condurre alla povertà e all'esclusione sociale, impedendo la partecipazione e l'accesso alle risorse»,

rileva che «il Parlamento europeo e la società civile hanno propugnato l'estensione della tutela giuridica contro la discriminazione a settori al di là dell'impiego e dell'occupazione»,

invita gli Stati membri e la Commissione europea a «intensificare gli sforzi volti a prevenire e a combattere le discriminazioni […] nell'ambito del mercato del lavoro o al di fuori di esso» e a «garantire e rafforzare l'efficacia degli enti specializzati per le pari opportunità».

8.   Necessità di una nuova direttiva

8.1

Per rispondere alle apprensioni del Consiglio e garantire uno standard di protezione minimo e uniforme in tutta l'UE, occorre una nuova legislazione che attui il principio della parità di trattamento a prescindere da fattori come la disabilità, la religione o le convinzioni personali, l'orientamento sessuale e l'età al di fuori del settore dell'occupazione.

8.2

Data la natura e la portata delle questioni legate agli attuali livelli di discriminazione, il loro impatto sul conseguimento degli obiettivi dell'UE e la necessità di un livello elevato di protezione comune a tutti gli Stati membri, l'azione degli Stati membri non è sufficiente. Si impone pertanto un'azione a livello comunitario, conformemente ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità di cui all'articolo 5 del TCE.

8.3

Il CESE raccomanda che la nuova legislazione assuma la forma di una direttiva unica che proibisca la discriminazione fondata sulla disabilità, sulla religione o sulle convinzioni personali, sull'orientamento sessuale e sull'età in tutti i settori diversi da quello dell'occupazione coperti dalla direttiva sulla parità di trattamento indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica, e che preveda la creazione o il potenziamento degli enti specializzati per le pari opportunità, in modo che siano pienamente abilitati a lavorare su tutti gli aspetti disciplinati dalla direttiva stessa. È questa una delle principali raccomandazioni formulate dall'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali (26).

8.3.1

Pur riconoscendo che la tutela garantita dalle esistenti direttive contro la discriminazione potrebbe essere migliorata, anche attraverso il riconoscimento più chiaro della discriminazione istituzionale, l'attuale priorità del CESE consiste nel garantire un livello di tutela dalla discriminazione per i motivi di cui sopra pari a quello esistente per la discriminazione fondata sulla razza o l'origine etnica.

8.4

Il CESE riconosce che la reazione iniziale di molte organizzazioni, soprattutto le piccole imprese, di fronte a qualsiasi nuova proposta legislativa, sarà quella di esprimere seria preoccupazione per i costi legati all'adeguamento alle nuove norme. Per le imprese, la stratificazione delle norme rende la conformità «estremamente difficoltosa» (27). Il CESE non è convinto che l'adozione di una direttiva unica volta a creare un quadro comune europeo per la protezione dalla discriminazione al di là del campo dell'occupazione comporterebbe nuovi e considerevoli costi. In molti casi, infatti, i costi di adeguamento alle nuove norme sarebbero ampiamente compensati dall'aumento della clientela conseguente all'avvenuto sradicamento della discriminazione. Dai risultati della consultazione del Gruppo pilota di imprese europee risulta che l'89,9 % delle imprese ritiene che la Commissione europea debba proporre leggi in questo settore per garantire lo stesso livello di tutela contro la discriminazione in tutta l'Europa (28).

8.5

Pur essendo consapevole degli argomenti a favore dell'adozione di direttive singole per ognuno dei fattori di discriminazione, il CESE riterrebbe nettamente preferibile un'unica direttiva che li comprendesse tutti e quattro. Una tale direttiva unica, infatti:

offrirebbe la massima chiarezza e trasparenza ai singoli individui e ai fornitori di beni e servizi. Siamo consapevoli che raramente il settore privato è favorevole a nuove forme di regolamentazione; pertanto, stabilire standard comunitari distinti per ciascun fattore di discriminazione, in momenti diversi e senza alcuna certezza di uniformità, renderà molto più difficile conformarvisi, soprattutto per le piccole imprese con risorse limitate,

consentirebbe di reagire efficacemente e di porre rimedio alla discriminazione multipla. Una protezione uniforme e equivalente per tutti i motivi di discriminazione permetterebbe infatti alle vittime di discriminazioni o di molestie fondate su uno o più aspetti della loro identità di chiedere un giusto e adeguato risarcimento,

renderebbe la legislazione comprensibile e accessibile. Nella risoluzione sul follow-up dell'Anno europeo delle pari opportunità per tutti, il Consiglio accenna al fatto che il pubblico conosce poco la legislazione in materia di discriminazione (29). Accrescere la consapevolezza di tale aspetto è di gran lunga più difficile quando i diritti alla parità di trattamento subiscono complesse variazioni, nella legislazione comunitaria o nazionale, in funzione dei motivi di discriminazione e dei settori,

eviterebbe qualsiasi forma di gerarchizzazione nel quadro del sistema europeo dei diritti alla parità di trattamento. La coesione sociale si basa sull'impegno condiviso e sul senso di appartenenza dei membri della società: essa sarà dunque molto più difficile da realizzare se il contenuto della legislazione trasmetterà ai diversi gruppi il messaggio che i diritti alla parità di trattamento di alcuni sono più importanti di quelli di altri.

8.6

Al di là del settore dell'occupazione, la direttiva sulla parità di trattamento indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica ha stabilito i principali settori di competenza comunitaria per i quali sarebbe utile e necessario prevenire la discriminazione fondata sulla disabilità, la religione o le convinzioni personali, l'orientamento sessuale e l'età. Il CESE raccomanda vivamente di includere a pieno titolo questi stessi settori nel campo di applicazione della nuova direttiva.

8.7

Il CESE ammette che, conformemente al principio di sussidiarietà, in alcuni settori di attività (ad esempio, gli alloggi, l'istruzione e certi altri servizi pubblici), l'organizzazione e la prestazione dei servizi, nonché altri aspetti normativi, sono in primo luogo di competenza degli Stati membri, al livello nazionale o regionale. Il CESE ritiene che, in linea con l'articolo 5 del TCE, solo una legislazione di livello comunitario consentirà di garantire norme comuni generali di alto livello in materia di parità di trattamento in tutti questi settori.

8.8

Il CESE accoglie pertanto con favore la decisione della Commissione, annunciata il 2 luglio 2008, di proporre una nuova direttiva che attui il principio della parità di trattamento indipendentemente dalla religione o dalle convinzioni personali, dagli handicap, dall'età o dalle tendenze sessuali. Visto che la Commissione ha ricevuto le versioni precedenti del presente parere, il CESE si augura che tale decisione sia stata agevolata dalle argomentazioni e dalle conclusioni preliminari del proprio gruppo di studio, che raccomandava una direttiva nella forma adesso proposta dalla Commissione. Si augura inoltre che il presente parere, nella sua versione definitiva, possa incoraggiare gli Stati membri a riconoscere il valore e l'importanza della legislazione UE contro la discriminazione, aiutandoli a contribuire al suo positivo sviluppo e alla sua approvazione.

8.9

Il CESE appoggia la decisione della Commissione di proporre una direttiva che sia quanto più possibile coerente con le altre direttive fondate sull'articolo 13 del TCE, che adotti le stesse definizioni dei concetti di discriminazione diretta e indiretta, di molestie e di azione positiva, che si applichi a tutte le persone presenti in un determinato Stato membro, inclusi i cittadini di paesi terzi, e che imponga agli Stati membri obblighi identici di garantire il diritto al risarcimento, sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, la protezione dalla vittimizzazione e il trasferimento dell'onere della prova. Altrettanto importante è l'obbligo di sensibilizzare i cittadini e di incoraggiare il dialogo con le parti sociali e le ONG.

8.10

Il CESE raccomanda al Consiglio e alle altre istituzioni UE di analizzare la direttiva proposta tenendo conto dei seguenti aspetti, affinché essa, nella sua forma finale, consegua gli obiettivi descritti.

8.10.1

Non regressione: la nuova direttiva non deve essere usata per ridurre il grado di protezione dalla discriminazione insito in qualsiasi legislazione UE, e agli Stati membri dovrebbe essere proibito addurre l'attuazione della nuova direttiva a motivo per ridurre il livello di protezione esistente in ciascuno di essi.

8.10.2

Diritti alla parità e adeguamenti ragionevoli a favore dei disabili: al di fuori del settore dell'occupazione, la piena partecipazione dei disabili è ostacolata da barriere almeno altrettanto forti. La nuova direttiva dovrebbe costituire un quadro di riferimento per gli Stati membri che consenta loro di far fronte agli obblighi di parità di trattamento e di non discriminazione previsti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.

8.10.2.1

La nuova direttiva dovrebbe imporre a tutti coloro che hanno il compito di fornire protezione sociale, compresa la sicurezza sociale e l'assistenza sanitaria, benefici sociali, istruzione o beni e servizi, incluso l'alloggio, di:

a)

prevenire le esigenze di accessibilità delle persone con disabilità, compreso l'accesso all'ambiente fisico, ai trasporti e alle informazioni; e

b)

procedere preventivamente ad adeguamenti ragionevoli, eliminando le barriere che impediscono ai disabili la massima partecipazione e uso.

8.10.2.2

La nuova direttiva dovrebbe definire come forme di discriminazione la mancata garanzia di un livello di accessibilità ragionevole o la mancata introduzione di adeguamenti ragionevoli per uno specifico individuo disabile, a meno che tali misure non impongano al fornitore del servizio un onere sproporzionato.

8.10.3

Discriminazione multipla: la direttiva dovrebbe confermare che il principio della parità di trattamento include la protezione dalla discriminazione multipla, in modo da rendere tale protezione effettiva sia nella legislazione UE che in quella nazionale.

8.10.4

Azione positiva: le disuguaglianze sono assai radicate anche in settori diversi da quello dell'occupazione e delle condizioni di lavoro (ad esempio, l'istruzione, la sanità, gli alloggi e l'accesso a servizi quali alberghi, ristoranti, servizi finanziari e viaggi). Quindi, per garantire nella pratica la parità assoluta, la nuova direttiva dovrebbe esplicitamente consentire agli Stati membri di mantenere o adottare misure intese a prevenire o a compensare gli svantaggi legati alla discriminazione fondate sulla religione o sulle convinzioni personali, sulla disabilità, sull'età o sull'orientamento sessuale.

8.10.5

Trattamento preferenziale sulla base della disabilità o dell'età: la nuova direttiva dovrebbe riconoscere le pratiche esistenti negli Stati membri volte a concedere un trattamento preferenziale sulla base dell'età o della disabilità. Molti di questi benefici contribuiscono a migliorare l'inclusione sociale degli anziani, dei giovani e dei disabili. La nuova direttiva non dovrebbe dissuadere le organizzazioni pubbliche o private dall'offrire tali benefici, quando sono intesi a superare o attenuare gli ostacoli fisici, finanziari o psicologici a una partecipazione paritaria. Essa dovrebbe consentire agli Stati membri di mantenere queste misure, a condizione che rispondano a un obiettivo legittimo e compatibile con il principio di parità di trattamento, e che gli strumenti per conseguire questo obiettivo siano congrui.

8.10.6

Le eventuali eccezioni dovranno essere definite con grande precisione. Il CESE concede che, in determinate circostanze, un trattamento differenziato — sulla base di uno dei motivi di discriminazione che formano oggetto di protezione — possa essere opportuno e necessario, ma respinge l'inserimento di una giustificazione generale alla discriminazione diretta. Le eccezioni al divieto di discriminazione non dovrebbero essere tali da svuotare la direttiva del suo effetto di protezione. D'altra parte, la direttiva non dovrebbe essere inutilmente appesantita da un lungo elenco di eccezioni specifiche applicabili in particolari circostanze. Nel quadro della nuova legislazione, il trattamento differenziato dovrebbe essere consentito soltanto là dove si rivelasse utile a promuovere e migliorare la parità di trattamento e la dignità umana, senza compromettere l'effetto delle disposizioni antidiscriminazione.

8.10.7

Applicazione dei diritti: la nuova direttiva, nel riconoscere l'importanza e il valore della società civile organizzata, dovrebbe prevedere la facoltà di avviare procedimenti legali o amministrativi, a nome o a sostegno di persone oggetto di discriminazione, per le associazioni o le organizzazioni che hanno un interesse legittimo nel garantire il rispetto delle norme.

8.10.8

Enti specializzati: sembra evidente che la conoscenza e l'attuazione delle leggi nazionali e la promozione della parità di trattamento trarrebbero grande beneficio dalla presenza di un ente specializzato indipendente dotato delle risorse e delle competenze necessarie a svolgere le funzioni di cui alla direttiva sulla parità di trattamento indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica (30), e alla direttiva sulla parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi (31). La nuova direttiva dovrebbe richiedere la creazione di un ente o di enti (o l'estensione delle competenze di un ente già esistente) per la lotta contro la discriminazione fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, sulla disabilità, sull'età o sull'orientamento sessuale. Tali enti dovrebbero inoltre essere incaricati di valutare regolarmente i risultati delle politiche di lotta contro le diverse forme di discriminazione.

Bruxelles, 18 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  [2005] CGCE C-144/04 del 22 novembre 2005.

(2)  [2008] CGCE C-303/06 del 31 gennaio 2008.

(3)  Considerando 9.

(4)  Considerando 11.

(5)  Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (versione consolidata modificata dal Trattato di Lisbona), articolo 19.

(6)  Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (versione consolidata modificata dal Trattato di Lisbona), articolo 10.

(7)  Ad esempio, le direttive 76/207/CEE e 2002/73/CE

(8)  Considerando 12.

(9)  Considerando 9.

(10)  Parere del CESE del 30 maggio 2007 sul tema La futura legislazione in materia di e-accessibilità, relatore: HERNÁNDEZ BATALLER (GU C 175 del 27.7.2007)

(11)  Risoluzione del Consiglio del 5 dicembre 2007 sul follow-up dell'Anno europeo delle pari opportunità per tutti (2007), pag. 1.

(12)  Id. pag. 3.

(13)  Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 2007, ISBN 978-92-79-06953-6.

(14)  Id. pag. 7.

(15)  Cfr. M. Bell, I. Chopin e F. Palmer, Developing Anti-Discrimination Law in Europe — The 25 EU Member States Compared (Lo sviluppo delle normative antidiscriminazione in Europa: un raffronto tra i 25 Stati membri), luglio 2007, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 2007, ISBN 978-92-79-06572-9.

(16)  Cfr. A. McColgan, J. Niessen e F. Palmer, Comparative Analyses on National Measures to Combat Discrimination Outside Employment and Occupation («Analisi comparative sulle misure nazionali intese a combattere la discriminazione al di là dell'occupazione e delle condizioni di lavoro»), VT/2005/062, Migration Policy Group and Human European Consultancy, dicembre 2006.

(17)  Id. pag. 3.

(18)  Op. cit., cfr. le tabelle comparative alle pagg. 36-45, e M. Bell, I. Chopin e F. Palmer (nota 13).

(19)  Op. cit., cfr. le tabelle comparative alle pagg. 383-113.

(20)  Direttiva 2006/54/CE.

(21)  Cfr. M. Bell, I. Chopin e F. Palmer, Developing Anti-Discrimination Law in Europe — The 25 EU Member States Compared (Lo sviluppo delle normative antidiscriminazione in Europa: un raffronto tra i 25 Stati membri), luglio 2007, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 2007 — ISBN 978-92-79-06572-9, pagg. 108-113.

(22)  Cfr. www.equineteurope.org.

(23)  Olivier de Schutter, Homophobia and Discrimination Grounds of Sexual Orientation in the EU Member States: Part I — Legal Analysis (Omofobia e discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale negli Stati membri dell'UE — Parte I: Analisi giuridica), 2008, Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali.

(24)  Consultazione on-line, luglio-ottobre 2007.

(25)  12.7.2007-31.8.2007, domanda 4a.

(26)  Olivier de Schutter, Homophobia and Discrimination Grounds of Sexual Orientation in the EU Member States: Part I — Legal Analysis (Omofobia e discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale negli Stati membri dell'UE — Parte I: Analisi giuridica), 2008, Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali.

(27)  Confederazione delle imprese europee: risposta alla consultazione online lanciata dalla Commissione dal titolo Discriminazione — È importante?, 12 ottobre 2007.

(28)  12.7.2007-31.8.2007, domanda 4b.

(29)  Consultazione on-line — ottobre 2007, pag. 1.

(30)  Articolo 13.

(31)  Articolo 12.


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