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Document 62014CC0407

Conclusioni dell’avvocato generale P. Mengozzi, presentate il 3 settembre 2015.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2015:534

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 3 settembre 2015 ( 1 )

Causa C‑407/14

María Auxiliadora Arjona Camacho

contro

Securitas Seguridad España, SA

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Juzgado de lo Social n. 1 de Córdoba, Spagna)

«Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile — Condizioni di occupazione — Licenziamento discriminatorio — Parità di trattamento — Violazione — Articolo 6 della direttiva 2006/54/CE — Requisito di riparazione o di risarcimento dissuasivo — Riparazione integrale — Riparazione adeguata — Sanzione — Poteri del giudice nazionale di imporre il risarcimento dei danni punitivi»

1. 

Uno Stato membro soddisfa il requisito di una riparazione o di un risarcimento dissuasivo stabilito dalla direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego ( 2 ), se si limita a prevedere, in caso di licenziamento discriminatorio, la sola riparazione integrale del danno subìto dalla vittima e se il suo diritto nazionale non prevede il risarcimento, in un caso siffatto, dei danni punitivi? Questa è la questione sollevata con il presente rinvio pregiudiziale.

2. 

Se la Corte deve provvedere, per la prima volta, all’interpretazione dell’articolo 18 della direttiva 2006/54, che impone agli Stati membri di attuare le misure necessarie per risarcire il danno subìto in modo dissuasivo e proporzionato, la sua precedente giurisprudenza resa su questioni simili mi consente di chiarire utilmente la portata di tale articolo.

I – Il contesto normativo

A – La direttiva 2006/54

3.

Il considerando 33 della direttiva 2006/54 ricorda che «[l]a Corte di giustizia ha chiaramente stabilito che, per essere efficace, il principio della parità di trattamento comporta che il risarcimento del danno riconosciuto in caso di violazione debba essere adeguato al danno subito».

4.

La direttiva 2006/54 «contiene disposizioni intese ad attuare il principio della parità di trattamento per quanto riguarda (…) le condizioni di lavoro» ( 3 ) e «contiene disposizioni intese a renderne più efficace l’attuazione mediante l’istituzione di procedure adeguate» ( 4 ).

5.

L’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2006/54 stabilisce che «[è] vietata qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene (…) all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento».

6.

L’articolo 18 della direttiva 2006/54 prevede quanto segue:

«Gli Stati membri introducono nei rispettivi ordinamenti giuridici nazionali le misure necessarie per garantire, per il danno subito da una persona lesa a causa di una discriminazione fondata sul sesso, un indennizzo o una riparazione reali ed effettivi, da essi stessi stabiliti in modo tale da essere dissuasivi e proporzionati al danno subito. Tale indennizzo o riparazione non può avere un massimale stabilito a priori, fatti salvi i casi in cui il datore di lavoro può dimostrare che l’unico danno subito dall’aspirante a seguito di una discriminazione ai sensi della presente direttiva è costituito dal rifiuto di prendere in considerazione la sua domanda».

7.

L’articolo 25 della direttiva 2006/54 riguarda le sanzioni. Esso così dispone:

«Gli Stati membri stabiliscono le norme relative alle sanzioni da irrogare in caso di violazione delle disposizioni nazionali di attuazione della presente direttiva e prendono tutti i provvedimenti necessari per la loro applicazione. Le sanzioni, che possono prevedere un risarcimento dei danni, devono essere effettive, proporzionate e dissuasive. Gli Stati membri notificano le relative disposizioni alla Commissione entro il 5 ottobre 2005 e provvedono poi a notificare immediatamente le eventuali modificazioni successive».

8.

L’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 precisa che «[g]li Stati membri possono introdurre o mantenere, per quanto riguarda il principio della parità di trattamento, disposizioni più favorevoli di quelle fissate [in tale direttiva]».

B – Il diritto spagnolo

9.

La legge organica 3/2007, sull’effettiva uguaglianza fra uomini e donne (Ley Orgánica 3/2007 para la igualdad efectiva de mujeres y hombres), del 22 marzo 2007 ( 5 ), ha segnatamente recepito, nell’ordinamento giuridico spagnolo, la direttiva 2006/54. Tale legge dispone, al suo articolo 10, che «[g]li atti e le clausole dei negozi giuridici che costituiscono o comportano una discriminazione fondata sul sesso si devono considerare nulli e privi di effetti e danno luogo a responsabilità [del loro autore] tramite un sistema di riparazioni e indennizzi che devono essere reali, effettivi e proporzionati al danno subito, nonché, se del caso, tramite un sistema di sanzioni efficace e dissuasivo che previene la realizzazione di condotte discriminatorie».

10.

L’articolo 183 della legge 36/2011, recante disciplina della risoluzione dei conflitti in ambito lavorativo (Ley 36/2011 reguladora de la jurisdicción social), del 10 ottobre 2011 ( 6 ), è formulato come segue:

«1.   Quando una sentenza dichiara che vi è stata violazione, il giudice è tenuto a pronunciarsi in merito all’entità dell’indennizzo che, se del caso, spetta alla parte ricorrente per aver subito una discriminazione o un’altra violazione dei suoi diritti fondamentali e delle sue libertà civili, in funzione sia del danno morale e della violazione del diritto fondamentale, sia degli ulteriori danni derivati.

2.   Il tribunale è tenuto a pronunciarsi in merito all’entità dell’indennizzo, determinandolo prudenzialmente quando la prova del suo importo esatto risulti troppo complicata o onerosa, in modo da risarcire la vittima in modo sufficiente e operare, nei limiti del possibile, un’integrale rimessione in pristino della situazione precedente alla violazione, nonché in modo da contribuire alla finalità di prevenire il danno».

II – Procedimento principale, questione pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

11.

La ricorrente nel procedimento principale è stata licenziata dal suo datore di lavoro nel 2014. A seguito di una procedura di conciliazione che non è andata a buon fine, essa ha adito il giudice del rinvio, da un lato, per far dichiarare la nullità del proprio licenziamento, in quanto costituiva una discriminazione fondata sul sesso, e, dall’altro, per ottenerne una riparazione chiedendo il versamento di EUR 6000 a titolo di risarcimento del danno morale.

12.

Il giudice del rinvio ritiene accertato che il licenziamento di cui trattasi costituisce una discriminazione fondata sul sesso, in quanto tale contrario alla normativa spagnola che ha recepito le disposizioni della direttiva 2006/54. Ai sensi del diritto spagnolo, il licenziamento della ricorrente nel procedimento principale dovrebbe essere considerato nullo ( 7 ).

13.

Per alcune ragioni che non sono esposte nella sua decisione di rinvio, il giudice a quo ha comunicato alla Corte di essere in procinto di concedere alla ricorrente nel procedimento principale la somma di EUR 3000 a titolo di risarcimento del danno, somma che, a suo parere e ai sensi del proprio diritto nazionale, si rivela sufficiente ai fini di un’equa riparazione del danno subìto.

14.

Nel fare questo, il giudice del rinvio nutre dubbi circa l’adeguatezza di tale risarcimento, in quanto considera che il risarcimento dei danni persegua solo un obiettivo di riparazione, mentre la direttiva 2006/54, e in particolare l’articolo 18 della stessa, sembra altresì richiedere agli Stati membri misure intese a dissuadere gli autori della discriminazione dall’adottare nuovamente un comportamento del genere.

15.

Il giudice a quo ritiene che un obiettivo di dissuasione siffatto verrebbe conseguito se si potesse condannare il datore di lavoro a versare ulteriori EUR 3000 a titolo di risarcimento dei danni che lo stesso qualifica «punitivi». Tuttavia, tale nozione è estranea alla tradizione giuridica spagnola. Detto giudice non ha quindi il potere, ai sensi del proprio diritto nazionale, di pronunciare una condanna siffatta.

16.

Mettendo così in dubbio la conformità del diritto spagnolo ai requisiti stabiliti dalla direttiva 2006/54, il Juzgado de lo Social n. 1 de Córdoba (giudice del lavoro n. 1 di Còrdoba, Spagna) ha deciso di sospendere il procedimento e, con decisione di rinvio pervenuta presso la cancelleria della Corte il 27 agosto 2014, di sottoporre a quest’ultima, sulla base dell’articolo 267 TFUE, la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 18 della direttiva [2006/54], nella parte in cui prevede il carattere dissuasivo (oltre che effettivo e proporzionato al danno subìto) dell’indennizzo alla vittima di una discriminazione fondata sul sesso, possa essere interpretato nel senso che autorizza il giudice nazionale a pronunciare una condanna veramente addizionale per danni punitivi ragionevoli: vale a dire, per un importo addizionale che, pur essendo superiore alla riparazione integrale dei reali danni subiti dalla vittima, serva come esempio per altri (oltre che per l’autore stesso del danno), mantenendosi tuttavia entro i limiti della proporzionalità, e ciò anche qualora tale figura di danni punitivi sia estranea alla stessa tradizione giuridica del giudice nazionale».

17.

La ricorrente nel procedimento principale, i governi spagnolo e del Regno Unito nonché la Commissione hanno presentato osservazioni scritte dinanzi alla Corte.

III – Analisi giuridica

18.

Basando la propria questione pregiudiziale sull’articolo 18 della direttiva 2006/54, il giudice del rinvio si chiede se la sola riparazione integrale del danno subìto dalla ricorrente nel procedimento principale sia sufficiente a garantire il carattere dissuasivo della riparazione o del risarcimento ai sensi del suddetto articolo o se, al contrario, sia necessario dedurre da tale requisito di dissuasione l’obbligo per il giudice nazionale di condannare il datore di lavoro che si è reso colpevole di una discriminazione fondata sul sesso al risarcimento dei danni punitivi, anche se, in ogni caso, il diritto spagnolo non consente di andare oltre la sola riparazione integrale del danno della vittima.

19.

Per rispondere a tale domanda occorre, in un primo momento, evidenziare che l’articolo 18 della direttiva 2006/54 è in linea con le disposizioni equivalenti contenute nelle direttive precedenti che la direttiva 2006/54 ha integrato e consolidato. In un secondo momento, occorrerà analizzare la giurisprudenza della Corte resa sulla base di tali direttive – giurisprudenza che mantiene tutta la sua rilevanza per la soluzione nel procedimento principale. Le conclusioni tratte dall’analisi testuale, teleologica e giurisprudenziale mi indurranno a ritenere che debba essere data una risposta negativa alla questione pregiudiziale sottoposta alla Corte. Infine, svolgerò due serie di osservazioni finali a favore di una risposta siffatta, che attengono, da un lato, alla mancanza di armonizzazione delle condizioni di riparazione o di risarcimento e, dall’altro, alla problematica dell’effetto diretto dell’articolo 18 della direttiva 2006/54.

A – Analisi testuale e teleologica

20.

Raggiungere la parità fra uomini e donne è sia un compito sia un obiettivo assegnato dai Trattati all’Unione europea ( 8 ). La direttiva 2006/54 ha così ricordato il rango di «principio fondamentale» di una siffatta parità nel diritto dell’Unione ( 9 ). È pertanto logico, e in linea con le direttive che ha rifuso ( 10 ), che il legislatore dell’Unione abbia sancito il divieto di ogni discriminazione basata sul sesso.

21.

Proprio perché, in tale materia, non si tratta di accontentarsi di una dichiarazione di principio, ma, al contrario, di raggiungere i risultati concreti fissati dal diritto primario, «[l’istituzione da parte degli Stati membri] di procedure adeguate» ( 11 ) dirette a far rispettare gli obblighi imposti dalla direttiva 2006/54 è stata considerata essenziale per «l’effettiva attuazione del principio della parità di trattamento» ( 12 ).

22.

Posto che la sola attuazione di procedure non è tuttavia sufficiente a garantire la tutela giurisdizionale effettiva dei diritti degli individui ai sensi della direttiva 2006/54, l’articolo 18 di quest’ultima, inserito nella sezione «Mezzi di tutela» del capo relativo ai mezzi di tutela e all’applicazione del diritto, ribadisce la novità introdotta dalla direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, che modifica la direttiva 76/207 ( 13 ) specificando ciò a cui tali procedure devono condurre, vale a dire il risarcimento o la riparazione ( 14 ) del danno subìto dalla vittima.

23.

Per gli Stati membri si tratta di un obbligo di risultato («garantire, per il danno subito (...), un indennizzo o una riparazione reali ed effettivi»), dal momento che la direttiva 2006/54 lascia ad essi, in sostanza ( 15 ), la scelta dei mezzi («da essi stessi stabiliti in modo tale da essere dissuasivi e proporzionati al danno subito»). Emerge dalla formulazione dell’articolo 18 della direttiva 2006/54 che quest’ultimo non impone agli Stati membri alcuna misura determinata, lasciandoli liberi di scegliere fra le varie soluzioni atte a conseguire lo scopo perseguito dalla direttiva 2006/54 ( 16 ). In tal modo, il criterio rispetto al quale verrà misurata l’azione degli Stati membri nella lotta contro la discriminazione fondata sul sesso risiede nella realizzazione dello scopo perseguito dalla suddetta direttiva e nella garanzia della sua efficacia attraverso la tutela dei diritti dei singoli.

24.

L’articolo 18 della direttiva 2006/54 non può essere analizzato senza considerare l’articolo 25 della stessa direttiva, che richiama l’ambito lessicale di tale articolo 18, dal momento che il legislatore ivi afferma che le sanzioni che si chiede agli Stati membri di applicare «possono prevedere un risarcimento dei danni» e devono essere, come il risarcimento o la riparazione di cui al suddetto articolo 18, «effettive, proporzionate e dissuasive». In tal modo, il legislatore dell’Unione ha richiesto agli Stati membri di prevedere «sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive applicabili in caso di mancata ottemperanza agli obblighi derivanti dalla [direttiva 2006/54]» ( 17 ). è questo, dunque, il requisito specificato dall’articolo 25 della direttiva 2006/54, intitolato «Sanzioni» ( 18 ) ed inserito nel capo del titolo III dedicato alle disposizioni orizzontali generali. Tale articolo 25 impone, altresì, agli Stati membri di comunicare alla Commissione le misure adottate sulla base di detto articolo.

25.

In sintesi, l’articolo 18 della direttiva 2006/54 si limita a esigere che la riparazione o il risarcimento sia effettivo, proporzionato e dissuasivo. Alla sola lettura di tale articolo, risulta chiaramente che il risarcimento o la riparazione non è, in quanto tale, concepito come una sanzione da parte del legislatore. Il carattere punitivo delle misure che gli Stati membri devono adottare è previsto espressamente solo all’articolo 25 della direttiva 2006/54 ( 19 ).

26.

Resta ancora da verificare se l’analisi della giurisprudenza confermi questa prima valutazione derivante dall’analisi letterale e teleologica dell’articolo 18 della direttiva 2006/54, posto che tale direttiva deve essere interpretata tenendo conto dell’intero acquis giurisprudenziale che ha preceduto la sua adozione e al quale essa fa talvolta riferimento in modo esplicito ( 20 ).

B – Stato della giurisprudenza esistente

27.

Sebbene la Corte non si sia mai pronunciata precisamente sull’interpretazione da dare all’articolo 18 della direttiva 2006/54, essa tuttavia ha avuto modo, più volte, di prendere posizione riguardo alle corrispondenti disposizioni delle direttive precedenti alla direttiva 2006/54, in primo luogo riguardo a quelle di cui all’articolo 6 della direttiva 76/207 ( 21 ).

28.

Analizzando la sua giurisprudenza, si potrà concludere che la Corte, sebbene abbia già qualificato come «sanzione» un provvedimento risarcitorio, non ha mai richiesto che quest’ultimo vada oltre una riparazione «adeguata». Orbene, il diritto spagnolo, quale descritto dal giudice nazionale, offre, a mio avviso, tutte le garanzie di una siffatta riparazione.

1. Nella giurisprudenza della Corte il requisito della dissuasione è soddisfatto se la riparazione prevista è «adeguata»

29.

La problematica dei mezzi per lottare contro i comportamenti discriminatori fondati sul sesso nei rapporti di lavoro non è nuova. La Corte è stata più volte interrogata su tale questione. Orbene, a mio avviso, la conclusione alla quale essa è giunta ( 22 ) nell’interpretare l’articolo 6 della direttiva 76/207 vale, mutatis mutandis, ai fini dell’interpretazione dell’articolo 18 della direttiva 2006/54 che essa sostituisce e precisa, posto che quest’ultima lascia la stessa libertà agli Stati membri riguardo al tipo di misure da adottare allo stesso modo, a suo tempo, dell’articolo 6 della direttiva 76/207.

30.

Alla luce di quanto statuito dalla Corte riguardo all’articolo 6 della direttiva 76/207, occorre rilevare che l’articolo 18 della direttiva 2006/54 impone agli Stati membri l’obbligo di adottare nel loro ordinamento giuridico interno i provvedimenti necessari per consentire a chiunque si consideri leso da una discriminazione di ottenere una riparazione. I suddetti Stati sono tenuti ad adottare provvedimenti che siano sufficientemente efficaci per conseguire lo scopo della direttiva di cui trattasi e a far sì che tali provvedimenti possano essere effettivamente fatti valere dinanzi ai giudici nazionali dagli interessati senza che, tuttavia, il diritto dell’Unione prescriva una forma particolare per tali provvedimenti. Detti provvedimenti possono dunque assumere forme diverse, come l’obbligo di assumere il candidato discriminato, il reintegro della persona licenziata per un motivo discriminatorio o, ancora, un adeguato risarcimento pecuniario ( 23 ).

31.

Nel 1984, anno in cui la Corte ha pronunciato le sentenze von Colson e Kamann (14/83, EU:C:1984:153) nonché Harz (79/83, EU:C:1984:155), essa ha rifiutato di interpretare l’articolo 6 della direttiva 76/207 nel senso che esso impone agli Stati membri l’adozione di un particolare provvedimento, nel caso di specie quello di obbligare il datore di lavoro che si era reso colpevole di discriminazione fondata sul sesso di concludere un contratto di lavoro con il candidato all’impiego la cui candidatura era stata esclusa per un motivo discriminatorio.

32.

Nel 2015, nel momento in cui alla Corte è sottoposta la presente questione pregiudiziale, non è intervenuto alcun cambiamento sostanziale nel diritto dell’Unione per cui la Corte debba giungere a un risultato diverso, ossia imporre agli Stati membri l’adozione di provvedimenti specifici come l’applicazione di danni punitivi.

33.

Il riferimento all’effetto dissuasivo contenuto nell’articolo 18 della direttiva 2006/54 non è tale da cambiare detta constatazione.

34.

Il testo dell’articolo 18 della direttiva 2006/54 è, infatti, arricchito di un riferimento all’effetto dissuasivo della riparazione o del risarcimento come predisposti dagli ordinamenti giuridici nazionali. Tuttavia, la dissuasione, sebbene non sia contenuta nel testo dell’articolo 6 della direttiva 76/207, era già presente nell’orientamento della Corte quando essa ha interpretato quest’ultimo statuendo che «[l]’attuazione completa della direttiva [76/207], benché non imponga (…) una forma determinata di sanzione in caso di trasgressione del divieto di discriminazione, implica cionondimeno che la sanzione stessa sia tale da garantire la tutela giurisdizionale effettiva ed efficace. Essa deve inoltre avere per il datore un effetto dissuasivo reale. Ne consegue che, qualora lo Stato membro decida di reprimere la trasgressione del divieto di discriminazione mediante un indennizzo, questo deve essere in ogni caso adeguato al danno subito» ( 24 ).

35.

Da questa giurisprudenza occorre trarre due insegnamenti. Da una parte, le origini del riferimento, contenuto nell’articolo 25 della direttiva 2006/54, al risarcimento come forma di sanzione si trovano chiaramente in tale linea giurisprudenziale. Dall’altra, nell’orientamento della Corte, una riparazione adeguata è, in ogni caso, idonea a garantire una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti ai singoli in materia di lotta contro le discriminazioni fondate sul sesso. È, d’altronde, proprio in ragione del fatto la Corte si è accontentata di una riparazione adeguata, che rimane proporzionata al danno subìto, che essa non costituisce una vera «sanzione», nel senso punitivo del termine ( 25 ).

36.

Inoltre, poiché i requisiti di tutela giurisdizionale effettiva e di dissuasione «presuppongono necessariamente la presa in considerazione delle caratteristiche proprie di ogni singolo caso di trasgressione del principio di parità» ( 26 ), la Corte ha statuito caso per caso sulla sufficienza dei provvedimenti adottati dagli Stati membri ai fini dell’attuazione dell’articolo 6 della direttiva 76/207 e, pertanto, per assicurare una trasposizione efficace della suddetta direttiva.

37.

Pertanto, la legge nazionale la quale limiti il risarcimento delle vittime di discriminazione nell’accesso al lavoro ad un indennizzo puramente simbolico non è conforme alle esigenze di una siffatta trasposizione ( 27 ). Quando la riparazione assume una forma pecuniaria, è escluso che gli Stati membri fissino a priori un massimale per l’indennizzo ( 28 ).

38.

Con riferimento a un licenziamento discriminatorio, la Corte ha altresì statuito che «il ristabilimento della situazione di parità non potrebbe realizzarsi senza una riassunzione del soggetto discriminato, o, alternativamente, un risarcimento in danaro per il danno subito» ( 29 ), a condizione che il suddetto risarcimento sia adeguato ossia «[consenta] una integrale riparazione del danno effettivamente subito a seguito del licenziamento discriminatorio, sulla base delle pertinenti norme nazionali» ( 30 ).

39.

Da quanto precede risulta che, nel giudicare la conformità di una normativa nazionale, che prevedeva un risarcimento in danaro adeguato del danno subìto, all’articolo 6 della direttiva 76/207, la Corte ha considerato che detto risarcimento soddisfaceva il requisito di dissuasione che essa riteneva sotteso all’intenzione del legislatore espressa attraverso l’articolo 6 della direttiva 76/207. In altri termini, in materia di riparazione o di risarcimento, l’effetto dissuasivo non dipende necessariamente, nella giurisprudenza della Corte, dalla previsione di un elemento punitivo diretto.

2. Applicazione al caso di specie

40.

Oggi, mentre il requisito di dissuasione è espresso nella direttiva 2006/54, a mio avviso, non vi è ragione per cui la Corte si discosti da detto orientamento giurisprudenziale. Si tratta, quindi, di verificare se il diritto spagnolo offra alla ricorrente nel procedimento principale tutte le garanzie di una riparazione adeguata.

41.

A tal riguardo, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale emerge che il diritto spagnolo prevede che il giudice pronunci la nullità degli atti adottati in violazione del principio di parità di trattamento fra uomini e donne ( 31 ) e che tale nullità sia corredata di un meccanismo di risarcimento del danno, posto che l’ordinamento giuridico spagnolo ha previsto, come misura per raggiungere l’obiettivo delle pari opportunità effettive assegnato dalla direttiva 2006/54, la forma del risarcimento in danaro. Il giudice a quo ritiene che la somma di EUR 3000 sia sufficiente per l’«adeguata riparazione» del danno della ricorrente nel procedimento principale ( 32 ). Sempre ai sensi del diritto nazionale, il risarcimento dei danni tende a indennizzare la vittima di tutti i danni subiti, ivi compreso il danno morale, ed è calcolato in maniera da rimettere la vittima – per quanto possibile – nella situazione precedente al verificarsi della discriminazione ( 33 ). Essendo il danno morale, per natura, difficile da quantificare, il diritto spagnolo riconosce al giudice il potere di modulare il risarcimento dei danni al fine di poter tener conto del grado di gravità della violazione del principio di parità di trattamento fra uomini e donne. Il risarcimento dei danni consente così di coprire integralmente il valore della perdita subita dalla vittima (damnum emergens), ivi compresi i profitti che ha cessato di produrre o il mancato guadagno (lucrum cessans).

42.

Il meccanismo di riparazione sopra descritto deve essere giudicato conforme all’articolo 18 della direttiva 2006/54 alla condizione sine qua non che il diritto nazionale preveda un risarcimento in danaro integrale di tutti gli aspetti del danno subìto dalla vittima di discriminazione fondata sul sesso e proporzionato a quest’ultimo, il che deve essere confermato dal giudice del rinvio.

43.

La Corte non farebbe così che confermare la propria precedente giurisprudenza costante, nel ritenere che detta compensazione integrale sia adeguata e, pertanto, sufficiente ad assicurare l’effetto dissuasivo reale dei provvedimenti nazionali che gli Stati membri devono adottare per garantire l’effettività del principio di parità di trattamento ai sensi dell’articolo 18 della direttiva 2006/54.

C – Osservazioni finali

44.

In ogni caso, anche se la Corte statuisse in modo diverso – quod non –, essa non potrebbe prendere posizione, come la invita il giudice del rinvio, a favore dell’applicazione al datore di lavoro della ricorrente nel procedimento principale di danni punitivi.

45.

Invero, da una parte, la direttiva 2006/54 non ha effettuato un’armonizzazione delle condizioni di riparazione o di risarcimento del danno subìto a causa di una discriminazione fondata sul sesso in materia di condizioni di lavoro e, dall’altra, nutro seri dubbi riguardo alla capacità dell’articolo 18 della direttiva 2006/54 di produrre un effetto diretto nell’ambito del procedimento principale.

1. Assenza di armonizzazione delle condizioni di riparazione o di risarcimento del danno subìto

46.

Fino ad oggi, la Corte ha ogni volta definito per sottrazione, in negativo, ciò che la direttiva 76/207 ha richiesto agli Stati membri, decidendo ciò che non era conforme. Essa non ha mai dettato la loro condotta. Orbene, la questione del giudice del rinvio equivale a chiedere alla Corte – dal momento che la stessa direttiva 2006/54 non lo ha fatto – di compiere, nella sua giurisprudenza, un salto qualitativo colossale che mi sembra superare di gran lunga l’ambito delle sue competenze.

47.

Il fatto che la Corte si pronunci senza riserve e statuisca che l’articolo 18 della direttiva 2006/54 deve essere interpretato nel senso che esso impone agli Stati membri di prevedere, in caso di discriminazione fondata sul sesso che rientri nel campo di applicazione della suddetta direttiva, il risarcimento dei danni punitivi alle vittime, la indurrebbe a prendere posizione in maniera definitiva in un dibattito che essa, a mio avviso, non può sottrarre agli Stati membri.

48.

Infatti, negli Stati membri che non conoscono un siffatto istituto ( 34 ), l’introduzione di danni punitivi costituisce l’oggetto di dibattiti e la questione è generalmente molto discussa ( 35 ). I danni punitivi sono spesso percepiti come un cambiamento di impostazione nel diritto della responsabilità. Alcuni sistemi giuridici restano molto attaccati all’idea secondo la quale il sistema di responsabilità deve avere una funzione strettamente risarcitoria. Il risarcimento, secondo un metodo quasi contabile, viene riconosciuto per riparare integralmente il danno subìto, né più né meno, poiché si tratta di ristabilire l’equilibrio rotto dal comportamento discriminatorio. Tuttavia, la garanzia di ottenere una riparazione integrale è già concepita, di per sé, come un mezzo di dissuasione dal suddetto comportamento.

49.

Con i danni punitivi, il sistema di responsabilità si arricchisce di una funzione moralizzatrice, propriamente punitiva. Essi sono espressione della teoria della pena privata, non si tratta più soltanto di riparare, bensì anche di risarcire alcuni danni in aggiunta alla riparazione integrale, di cui si spera, per il loro carattere repressivo, che dissuadano non soltanto l’autore del danno dal ripetere, nel caso di specie, il suo comportamento discriminatorio, ma anche gli altri soggetti dall’agire in tal modo.

50.

Per alcuni Stati membri, cominciando dal Regno di Spagna, potrebbe rivelarsi decisamente problematico istituire danni punitivi, in particolare perché ciò potrebbe essere inteso come l’immissione di uno strumento giuridico quasi penale nel campo della responsabilità civile. Peraltro, l’istituzione obbligatoria di danni punitivi potrebbe essere in contrasto, come ha osservato il giudice del rinvio, con il principio del divieto di arricchimento senza giusta causa che prevale nella maggior parte degli Stati membri ( 36 ), a meno che si preveda che i danni punitivi siano versati all’Erario dello Stato, ma in tal caso si pone effettivamente la questione del beneficiario o dei beneficiari di detti danni ( 37 ).

51.

A mio avviso, dichiarare che gli Stati membri sono tenuti, ai sensi dell’articolo 18 della direttiva 2006/54, a prevedere il risarcimento di danni punitivi condurrebbe a un’armonizzazione in via giurisprudenziale delle condizioni di riparazione o di risarcimento nei casi di discriminazione fondata sul sesso, che dubito sia stata auspicata dal legislatore dell’Unione, o quantomeno spinta a tale livello di precisione ( 38 ).

52.

Di ciò ci si può sicuramente rammaricare, perché sono consapevole che il sistema di responsabilità sopra descritto è lungi dall’adempiere in maniera sistematicamente soddisfacente la sua funzione riparatrice. Tuttavia, allo stato attuale del diritto dell’Unione, dubito che la Corte possa spingersi molto oltre riguardo a quanto può richiedere in termini di riparazione o di risarcimento. Aggiungo che le eventuali insufficienze del sistema di responsabilità sono state compensate nella direttiva 2006/54 dal suo articolo 25, che obbliga gli Stati membri ad adottare un regime sanzionatorio.

53.

Infine, secondo la direttiva 2006/54, la lotta contro la discriminazione fondata sul sesso si svolge in due fasi. V’è la fase dell’articolo 18 della medesima, ossia la fase della riparazione o del risarcimento, che, come si è visto, devono essere adeguati. V’è poi la fase dell’articolo 25 della direttiva in parola, ossia la fase della sanzione o della punizione, che non è necessariamente concomitante alla fase della riparazione o del risarcimento, e nemmeno cumulativa ( 39 ). L’applicazione di danni punitivi rientrerebbe piuttosto in questa seconda fase, ma si possono immaginare ben altre forme di sanzioni senza che, anche in quel caso, la Corte possa imporne una in particolare ( 40 ).

2. La problematica dell’effetto diretto dell’articolo 18 della direttiva 2006/54

54.

Riconoscere al giudice a quo la possibilità di applicare danni punitivi al datore di lavoro che si è reso colpevole di una discriminazione fondata sul sesso in ragione dell’effetto utile dell’articolo 18 della direttiva 2006/54 e nel silenzio del diritto nazionale solleva inevitabilmente la questione dell’effetto diretto di detto articolo.

55.

La Corte ha, certamente, già statuito che la vittima di un licenziamento discriminatorio può avvalersi, nei confronti del suo datore di lavoro, delle disposizioni di cui all’articolo 6 della direttiva 76/207, segnatamente per escludere una disposizione nazionale che impone limiti all’ammontare dell’indennizzo che può essere ottenuto a titolo di risarcimento ( 41 ). Tuttavia, da una parte, dubito che una soluzione siffatta possa essere trasposta riguardo all’applicazione di danni punitivi, perché non sembra scontato poter dedurre dalla sola lettura dell’articolo 18 della direttiva 2006/54 che ciò imponga un siffatto obbligo agli Stati membri. Dall’altra parte, occorre constatare che la giurisprudenza che ho appena citato è stata resa in un contesto in cui il datore di lavoro era un’autorità dello Stato, il che non sembra essere il caso di cui alla presente causa. Statuire che, nel procedimento principale, il giudice nazionale è tenuto ad applicare danni punitivi in forza dell’articolo 18 della direttiva 2006/54 potrebbe, dunque, equivalere a sancire l’effetto diretto orizzontale del suddetto articolo.

D – Conclusione dell’analisi

56.

Sulla base della mia analisi, sono incline dunque a concludere che l’articolo 18 della direttiva 2006/54 dev’essere interpretato nel senso che gli Stati membri sono liberi di scegliere i mezzi da adottare per garantire che la riparazione o il risarcimento offerti alle vittime di discriminazione fondata sul sesso rientranti nel campo di applicazione della suddetta direttiva sia dissuasivo, purché il conseguimento dell’obiettivo perseguito da quest’ultima sia assicurato. Senza ostarvi, esso non impone agli Stati membri di prevedere il risarcimento di danni punitivi alla vittima. In ogni caso, esso non può consentire al giudice nazionale di pronunciare la condanna a danni siffatti nel silenzio del diritto nazionale.

57.

Quando gli Stati membri scelgono una riparazione in forma pecuniaria, la suddetta riparazione, per soddisfare il requisito di dissuasione, dev’essere adeguata, ossia dev’essere integrale e prendere in debita considerazione tutte le componenti del danno subito nonché il grado di gravità della violazione del principio di parità di trattamento fra uomini e donne. Spetta al giudice nazionale valutare se ciò avviene.

IV – Conclusione

58.

Alla luce di tutte le precedenti considerazioni, suggerisco alla Corte di rispondere come segue alla questione pregiudiziale sottoposta dal Juzgado de lo Social n. 1 de Córdoba:

L’articolo 18 della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, dev’essere interpretato nel senso che gli Stati membri sono liberi di scegliere i mezzi da adottare per garantire che la riparazione o il risarcimento offerti alle vittime di discriminazione fondata sul sesso rientranti nel campo di applicazione della suddetta direttiva sia dissuasivo, purché il conseguimento dell’obiettivo perseguito da quest’ultima sia assicurato. Senza ostarvi, esso non impone agli Stati membri di prevedere il risarcimento di danni punitivi alla vittima. In ogni caso, esso non può consentire al giudice nazionale di pronunciare la condanna a danni siffatti nel silenzio del diritto nazionale.

Peraltro, quando gli Stati membri scelgono una riparazione in forma pecuniaria, la suddetta riparazione, per soddisfare il requisito di dissuasione, dev’essere adeguata, ossia dev’essere integrale e prendere in debita considerazione tutte le componenti del danno subìto nonché il grado di gravità della violazione del principio di parità di trattamento fra uomini e donne. Spetta al giudice nazionale valutare se ciò avviene.


( 1 )   Lingua originale: il francese.

( 2 )   GU L 204, pag. 23.

( 3 )   Articolo 1, secondo comma, lettera b), della direttiva 2006/54.

( 4 )   Articolo 1, terzo comma, della direttiva 2006/54.

( 5 )   BOE n. 71, del 23 marzo 2007, pag. 12611.

( 6 )   BOE n. 245, dell’11 ottobre 2011.

( 7 )   Ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 2, della legge 36/2011.

( 8 )   V. considerando 2 della direttiva 2006/54. La parità fra uomini e donne è altresì sancita dall’articolo 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (GU 2007, C 303, pag. 1).

( 9 )   V. considerando 2 della direttiva 2006/54.

( 10 )   La direttiva 2006/54 ha, infatti, riunito in un unico testo le principali disposizioni esistenti in materia [e che erano fino a quel momento contenute nelle direttive 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40), 86/378/CEE del Consiglio, del 24 luglio 1986, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale (GU L 225, pag. 40), 75/117/CEE del Consiglio, del 10 febbraio 1975, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile (GU L 45, pag. 19), e 97/80/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, riguardante l’onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso (GU L 14, pag. 6)].

( 11 )   Considerando 28 della direttiva 2006/54.

( 12 )   Considerando 29 della direttiva 2006/54. Il corsivo è mio.

( 13 )   GU L 269, pag. 15.

( 14 )   «Indemnización o reparación» nella versione spagnola della direttiva 2006/54, «Schadenersatz oder Entschädigung» nella versione tedesca della direttiva 2006/54, «Compensation or reparation» nella versione inglese della direttiva 2006/54, «Risarcimento o riparazione» nella versione italiana della direttiva 2006/54 e «indemnização ou reparação» nella versione portoghese della direttiva 2006/54.

( 15 )   V. sentenze von Colson e Kamann (14/83, EU:C:1984:153, punto 15); Harz (79/83, EU:C:1984:155, punto 15), nonché Marshall (C‑271/91, EU:C:1993:335, punti 1718).

( 16 )   V., mutatis mutandis, sentenze von Colson e Kamann (14/83, EU:C:1984:153, punto 18) ; Harz (79/83, EU:C:1984:155, punto 18), nonché Paquay (C‑460/06, EU:C:2007:601, punto 44).

( 17 )   Considerando 35 della direttiva 2006/54.

( 18 )   «Sanciones» nella versione spagnola della direttiva 2006/54, «Sanktionen» nella versione tedesca della direttiva 2006/54, «Penalties» nella versione inglese della direttiva 2006/54, «Sanzioni» nella versione italiana della direttiva 2006/54 e «Sanções» nella versione portoghese della direttiva 2006/54.

( 19 )   Certamente, l’articolo 25 della direttiva 2006/54 tende a considerare che tali sanzioni possono assumere la forma di risarcimenti versati alla vittima. Tuttavia, ciò deriva da una confusione semantica che trae origine dalla giurisprudenza della Corte (v. paragrafo 35 infra delle presenti conclusioni).

( 20 )   V., segnatamente, considerando 33 della direttiva 2006/54. Si noterà, altresì, che sia l’articolo 18 sia l’articolo 25 della direttiva 2006/54, che esaminerò in prosieguo, corrispondono alle disposizioni introdotte dalla direttiva 2002/73.

( 21 )   Ai sensi del quale «[g]li Stati membri introducono nei rispettivi ordinamenti giuridici interni le misure necessarie per permettere a tutti coloro che si ritengano lesi dalla mancata applicazione nei loro confronti del principio della parità di trattamento (...) di far valere i propri diritti per via giudiziaria, eventualmente dopo aver fatto ricorso ad altre istanze competenti». L’articolo 6 della direttiva 76/207 è stato modificato dall’articolo 1, punto 5, della direttiva 2002/73 per fornire allo stesso una formulazione vicina a quella che sarà utilizzata per l’articolo 18 della direttiva 2006/54 (v., in particolare, articolo 6, paragrafo 3, della versione consolidata della direttiva 76/207). La direttiva 2002/73 è altresì all’origine dell’introduzione, nella normativa dell’Unione in materia di lotta contro le discriminazioni fondate sul sesso per quanto riguarda le condizioni di lavoro, di una disposizione diversa relativa alle sanzioni (v. articolo 8 quinquies della versione consolidata della direttiva 76/207, che è divenuto, al momento della rifusione, articolo 25 della direttiva 2006/54).

( 22 )   Ai sensi della quale «discende [dall’articolo 6 della direttiva 76/207] che gli Stati membri sono obbligati ad adottare provvedimenti che siano sufficientemente efficaci per conseguire lo scopo della direttiva ed a far sì che tali provvedimenti possano essere effettivamente fatti valere dinanzi ai giudici nazionali dagli interessati. Detti provvedimenti possono, ad esempio, comprendere disposizioni che prescrivano al datore di lavoro di assumere il candidato discriminato o contemplino un adeguato risarcimento pecuniario (…). Va tuttavia rilevato che la direttiva non impone una sanzione determinata, bensì lascia agli Stati membri la libertà di scegliere fra le varie soluzioni atte a conseguire lo scopo» (sentenze von Colson e Kamann, 14/83, EU:C:1984:153, punto 18, nonché Harz, 79/83, EU:C:1984:155, punto 18).

( 23 )   La Corte ha previsto anche che i diversi provvedimenti potessero essere «sanzionat[i] da un sistema di ammende» (v. sentenza von Colson e Kamann, 14/83, EU:C:1984:153, punto 18)]. A mio avviso, ai sensi della direttiva 2006/54, un siffatto sistema rientra piuttosto nei requisiti fissati dall’articolo 25 di quest’ultima (v. paragrafo 53 infra delle presenti conclusioni).

( 24 )   Sentenze von Colson e Kamann (14/83, EU:C:1984:153, punto 23) nonché Harz (79/83, EU:C:1984:155, punto 23). Sul carattere dissuasivo, v., altresì, sentenza Marshall (C‑271/91, EU:C:1993:335, punto 24). Sul carattere adeguato della riparazione, v., altresì, sentenze von Colson e Kamann (14/83, EU:C:1984:153, punto 28); Harz (79/83, EU:C:1984:155, punto 28); Marshall (C‑271/91, EU:C:1993:335, punto 26), nonché Paquay (C‑460/06, EU:C:2007:601, punti 4649).

( 25 )   Alcuni commentatori vi ravvisano una confusione deplorevole tra i concetti giuridici: v. Van Gerven, W., «Of rights, remedies and procedures», Common Market Law Review 2000, pag. 530 e nota 11.

( 26 )   Sentenze Marshall (C‑271/91, EU:C:1993:335, punto 25) e Paquay (C‑460/06, EU:C:2007:601, punto 45).

( 27 )   V. sentenze von Colson e Kamann (14/83, EU:C:1984:153, punto 24) nonché Harz (79/83, EU:C:1984:155, punto 24).

( 28 )   Sentenza Marshall (C‑271/91, EU:C:1993:335, punti 3032). Il legislatore ha tenuto debitamente conto di tale giurisprudenza (v. considerando 33 e articolo 18, secondo periodo, della direttiva 2006/54).

( 29 )   Sentenza Marshall (C‑271/91, EU:C:1993:335, punto 25). Il corsivo è mio.

( 30 )   Sentenza Marshall (C‑271/91, EU:C:1993:335, punto 26).

( 31 )   Articolo 10 della legge organica 3/2007.

( 32 )   Punto 2.2.2 della domanda di pronuncia pregiudiziale.

( 33 )   Articolo 183 della legge 36/2011.

( 34 )   Da una rapida analisi comparata emerge così che gli Stati membri il cui ordinamento giuridico prevede danni punitivi sono in netta minoranza in seno all’Unione europea.

( 35 )   Per una sintesi della questione per quanto riguarda l’ordinamento giuridico francese, v. Méadel J., «Faut-il introduire la faute lucrative en droit français?», Les Petites Affiches, 17 aprile 2007, n. 77, pag. 6.

( 36 )   Che la Corte non ha mai avuto l’intenzione di rimettere in discussione, avendo statuito ripetutamente che «il diritto [dell’Unione] non osta a che i giudici nazionali vigilino affinché la tutela dei diritti garantiti dall’ordinamento giuridico [dell’Unione] non comporti un arricchimento senza giusta causa degli aventi diritto» [sentenza Manfredi e a. (da C‑295/04 a C‑298/04, EU:C:2006:461, punto 94 e la giurisprudenza ivi citata)].

( 37 )   Pertanto, i danni punitivi possono essere disposti a beneficio sia della vittima sia dell’Erario dello Stato sia, ancora, di entrambi. Tuttavia, secondo l’accezione che sembra essere stata accolta dal giudice del rinvio, tali danni andrebbero a beneficio della vittima del danno.

( 38 )   Tale dubbio è anche dovuto al fatto che, per quanto a mia conoscenza, la Commissione non ha avviato alcun procedimento per inadempimento nei confronti – della maggior parte – degli Stati membri il cui ordinamento giuridico non prevede un siffatto risarcimento dei danni. A tal riguardo è interessante notare che, nella sua relazione sull’applicazione della direttiva 2002/73 – quella che ha introdotto l’equivalente degli articoli 18 e 25 della direttiva 2006/54 nella direttiva 76/207 –, la Commissione ha constatato che la maggior parte degli Stati membri hanno adempiuto al loro obbligo di istituire sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, anche se, come ho precedentemente sottolineato, la grande maggioranza degli Stati membri ignora il meccanismo dei danni punitivi [v. relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo, COM(2009) 409 definitivo, pag. 7].

( 39 )   Nell’ipotesi, ad esempio, in cui il danno non sia causato a una persona in particolare, bensì a un gruppo eventualmente difeso da un’associazione, si può immaginare che non vi sarà una riparazione ai sensi dell’articolo 18 della direttiva 2006/54. Per contro, dovrà esservi una sanzione ai sensi dell’articolo 25 della suddetta direttiva.

( 40 )   Esiste tutta una gamma di sanzioni a disposizione degli Stati membri, indipendentemente dal fatto che si tratti di sanzioni di natura economica (come le ammende o i danni punitivi), o di sanzioni più psicologiche appartenenti al metodo del «name and shame» (come la condanna a presentare le scuse alla vittima, eventualmente accompagnate da misure di pubblicità come la pubblicazione della condanna in un giornale) o, ancora, dell’esclusione dalla concessione delle prestazioni di Stato di ogni persona resasi colpevole di discriminazione.

( 41 )   Qui ancora, la giurisprudenza della Corte resa sulla base dell’articolo 6 della direttiva 76/207 può essere utilmente richiamata. Al punto 27 delle sue due sentenze fondamentali von Colson e Kamann (14/83, EU:C:1984:153) nonché Harz (79/83, EU:C:1984:155), la Corte ha stabilito, in un primo momento, che la direttiva in parola non implicava che, «per quanto riguarda le sanzioni dell’eventuale discriminazione[,] alcun obbligo assoluto e sufficientemente preciso possa essere fatto valere, in mancanza di provvedimenti d’attuazione adottati entro il termine, dal singolo onde ottenere un determinato risarcimento in forza della direttiva [76/207], qualora una conseguenza del genere non sia contemplata o consentita dal diritto nazionale».

In un secondo momento, la Corte ha affinato la sua posizione nella sentenza Johnston (222/84, EU:C:1986:206), nella quale ha statuito, ai punti 58 e 59 della suddetta sentenza, che «risulta dal[l’articolo 6 della direttiva 76/207], interpretato alla luce del principio generale ivi espresso, che chiunque si ritenga leso da una discriminazione basata sul sesso deve poter esperire un rimedio giurisdizionale effettivo, tale disposizione è sufficientemente precisa e assoluta per poter essere fatta valere nei confronti dello Stato membro che non abbia provveduto a darle piena attuazione nel suo ordinamento giuridico interno. (…) La disposizione dell’articolo 6 secondo la quale chiunque si ritenga leso da una discriminazione in base al sesso deve poter esperire un rimedio giurisdizionale effettivo può essere fatta valere dai singoli nei confronti dello Stato membro che non abbia provveduto a darle piena attuazione».

In un terzo momento, la Corte ha statuito, nella sentenza Marshall (C‑271/91, EU:C:1993:335), che l’articolo 6 della direttiva 76/207 poteva essere invocato da un singolo nei confronti di un datore di lavoro pubblico laddove il diritto nazionale, anziché prevedere una riparazione integrale del danno subìto, al contrario, limitava a priori la suddetta riparazione. Poiché l’articolo 6 della direttiva 76/207 rappresenta «un elemento indispensabile per conseguire lo scopo fondamentale della parità di trattamento» (punto 34), «il combinato disposto degli artt. 6 e 5 della [predetta] direttiva crea in capo alla persona lesa a seguito di un licenziamento discriminatorio diritti di cui essa può avvalersi dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato e delle autorità che ne sono emanazione. Il fatto che agli Stati membri sia lasciata una scelta, in relazione alle situazioni che possono presentarsi, fra diverse soluzioni per raggiungere lo scopo perseguito dalla direttiva [76/207], non può avere la conseguenza di impedire ai singoli di avvalersi del medesimo art. 6 in una situazione, come quella della fattispecie in esame nella causa principale, in cui le autorità nazionali non dispongono di alcuna discrezionalità in ordine all’attuazione della soluzione prescelta» (punti 35 e 36). La Corte ha concluso «che una persona pregiudicata a seguito di un licenziamento discriminatorio può far valere le disposizioni dell’art. 6 della [citata] direttiva nei confronti di un’autorità dello Stato che agisca in qualità di datore di lavoro per far disapplicare una disposizione nazionale che fissi limiti all’ammontare dell’indennizzo ottenibile a titolo di riparazione» (punto 38). Sottolineo che l’avvocato generale Van Gerven aveva invitato la Corte a sancire l’effetto diretto orizzontale dell’articolo 6 della direttiva 76/207 [v. conclusioni dell’avvocato generale Van Gerven nella causa Marshall (C‑271/91, EU:C:1993:30, paragrafo 21)].

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