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Document 62006CJ0372

Sentenza della Corte (Quarta Sezione) del 13 dicembre 2007.
Asda Stores Ltd contro Commissioners of Her Majesty’s Revenue and Customs.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: VAT and Duties Tribunal, London - Regno Unito.
Codice doganale comunitario - Misure di applicazione - Regolamento (CEE) n. 2454/93 - Allegato 11 - Origine non preferenziale delle merci - Apparecchi riceventi per la televisione - Nozione di trasformazione o lavorazione sostanziale - Criterio del valore aggiunto - Validità ed interpretazione - Accordo di associazione CEE-Turchia - Decisione n. 1/95 del consiglio di associazione - Effetto diretto - Interpretazione.
Causa C-372/06.

Raccolta della Giurisprudenza 2007 I-11223

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2007:787

Parti
Motivazione della sentenza
Dispositivo

Parti

Nel procedimento C‑372/06,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal VAT and Duties Tribunal, London (Regno Unito), con decisione 6 settembre 2006, pervenuta in cancelleria l’11 settembre 2006, nella causa

Asda Stores Ltd

contro

Commissioners of Her Majesty’s Revenue and Customs,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dai sigg. G. Arestis, E. Juhász, J. Malenovský (relatore) e T. von Danwitz, giudici,

avvocato generale: sig. J. Mazák

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 13 giugno 2007,

considerate le osservazioni presentate:

– per l’Asda Stores Ltd, dai sigg. P. De Baere e M. Kuschewsky, advocaten;

– per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra E. O’Neill, in qualità di agente, assistita dal sig. K. Beal, barrister;

– per il governo italiano, dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. G. Albenzio, avvocato dello Stato;

– per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. X. Lewis e dalla sig.ra J. Hottiaux, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Motivazione della sentenza

1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sulla validità delle disposizioni contenute nella colonna 3, voce 8528, della nomenclatura combinata, di cui all’allegato 11 del regolamento (CEE) della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454, che fissa talune disposizioni d’applicazione del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio che istituisce il codice doganale comunitario (GU L 253, pag. 1; in proseguo: le «disposizioni controverse dell’allegato 11 del regolamento n. 2454/93»).

2. La detta domanda riguarda altresì l’interpretazione di tali disposizioni.

3. Essa concerne inoltre l’interpretazione dell’art. 47 del protocollo addizionale, firmato il 23 novembre 1970 a Bruxelles e concluso, approvato e confermato in nome della Comunità dal regolamento (CEE) del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 2760 (GU L 293, pag. 1; in prosieguo: il «protocollo addizionale»), allegato all’accordo che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia firmato ad Ankara il 12 settembre 1963 dalla Repubblica di Turchia, nonché dagli Stati membri della Comunità economica europea e dalla Comunità, concluso, approvato e confermato a nome della Comunità con la decisione del Consiglio 23 dicembre 1963, 64/732/CEE (GU 1964, n. 217, pag. 3685; in prosieguo: l’«accordo di associazione CEE‑Turchia»).

4. La detta domanda verte infine sull’interpretazione degli artt. 44‑47 della decisione del consiglio di associazione CE‑Turchia 22 dicembre 1995, n. 1, relativa all’attuazione della fase finale dell’unione doganale (GU 1996, L 35, pag. 1; in prosieguo: la «decisione n. 1/95»).

5. Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra l’Asda Stores Ltd (in prosieguo: l’«Asda») ed i Commissioners of Her Majesty’s Revenue and Customs (autorità doganali del Regno Unito; in prosieguo: le «autorità doganali»), in merito a dazi antidumping e all’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA») all’importazione relativi ad apparecchi riceventi per la televisione a colori (in prosieguo: i «TVC») assemblati in Turchia ed importati nel Regno Unito.

Contesto normativo

L’accordo di associazione CEE‑Turchia

6. A norma del suo art. 2, n. 1, l’accordo di associazione CEE‑Turchia ha lo scopo di promuovere un rafforzamento continuo ed equilibrato delle relazioni commerciali ed economiche tra le parti contraenti, tenendo pienamente conto della necessità di assicurare un più rapido sviluppo dell’economia della Repubblica di Turchia ed il miglioramento del livello di occupazione e del tenore di vita del popolo turco. Il n. 3 dello stesso articolo prevede che tale associazione comprenda una fase preparatoria, una fase transitoria e una fase definitiva.

7. L’art. 3, n. 1, dell’accordo di associazione CEE‑Turchia dispone quanto segue:

«Durante la fase preparatoria, la [Repubblica di] Turchia rafforza la propria economia, con l’aiuto della Comunità, in modo da poter assumere le obbligazioni che le incomberanno nelle fasi transitoria e definitiva.

Le modalità di applicazione relative alla fase preparatoria, e in particolare all’aiuto comunitario, sono definite nel Protocollo provvisorio e nel Protocollo finanziario allegato all’accordo».

8. L’art. 6 dell’accordo di associazione CEE‑Turchia è formulato nei seguenti termini:

«Per assicurare l’applicazione ed il progressivo sviluppo del regime di associazione, le parti contraenti si riuniscono in un [c]onsiglio di associazione che agisce nei limiti delle attribuzioni conferitegli dall’accordo».

9. L’art. 30 dell’accordo di associazione CEE‑Turchia così recita:

«I protocolli che le Parti contraenti convengono di allegare all’accordo ne costituiscono parte integrante».

10. Ai sensi dell’art. 47 del protocollo addizionale:

«1. Qualora, durante un periodo di ventidue anni, il consiglio di [a]ssociazione, su domanda di una delle parti contraenti, accerti l’esistenza di pratiche di dumping esercitate nelle relazioni tra la Comunità e la [Repubblica di] Turchia, rivolge raccomandazioni all’autore o agli autori di tali pratiche per porvi termine.

2. La parte lesa può, dopo averne informato il consiglio di [a]ssociazione, adottare le idonee misure di protezione qualora:

a) il consiglio di [a]ssociazione non abbia preso alcuna decisione a norma del primo comma entro tre mesi dalla presentazione della domanda;

b) pur essendo state trasmesse le raccomandazioni previste dal primo comma, le pratiche di dumping continuino a sussistere.

Inoltre, quando l’interesse della parte lesa richieda un’azione immediata, detta parte può, dopo averne informato il consiglio di [a]ssociazione, istituire, a titolo conservativo, misure provvisorie di protezione, ivi compresi dazi anti-dumping. La durata di queste misure non può superare tre mesi dalla presentazione della domanda o dalla data in cui la parte lesa avrà preso misure di protezione in virtù della lettera b) del comma precedente.

3. Quando le misure di protezione siano state prese nell’ipotesi di cui alla lettera a), primo comma del paragrafo 2 o al secondo comma dello stesso paragrafo, il consiglio di [a]ssociazione può, in qualsiasi momento, decidere che tali misure di protezione siano sospese in attesa che siano trasmesse le raccomandazioni di cui al paragrafo 1.

Quando le misure di protezione siano state prese nell’ipotesi di cui al paragrafo 2, primo comma, lettera b), il consiglio di [a]ssociazione può raccomandare di sopprimere o modificare dette misure di protezione.

4. I prodotti originari di una delle parti contraenti o che in essa si trovino in libera pratica e che siano stati esportati nell’altra parte contraente, sono ammessi alla reimportazione sul territorio della prima, senza che essi possano essere sottoposti ad alcun dazio doganale, restrizione quantitativa o misura di effetto equivalente.

Il consiglio di [a]ssociazione può formulare tutte le raccomandazioni utili per l’applicazione delle disposizioni del presente paragrafo, ispirandosi all’esperienza acquisita dalla Comunità in detto settore».

11. La decisione n. 1/95 istituisce un’unione doganale tra la Comunità e la Repubblica di Turchia per le merci, in linea di principio, diverse dai prodotti agricoli. Essa prevede l’eliminazione dei dazi doganali e degli oneri di effetto equivalente, nonché l’abolizione delle restrizioni quantitative e delle misure di effetto equivalente.

12. La sezione III, intitolata «Strumenti di difesa commerciale», figurante al Capitolo IV di tale decisione, contiene i seguenti articoli:

«Articolo 44

1. Il consiglio di associazione riesamina, su richiesta di una delle parti, il principio dell’applicazione degli strumenti di difesa commerciale diversi dalle misure di salvaguardia ad opera di una parte contraente nelle sue relazioni con l’altra parte. Nel quadro di questo esame, il consiglio di associazione può decidere di sospendere l’applicazione di detti strumenti a condizione che la [Repubblica di] Turchia adotti, garantendone l’effettiva applicazione, le norme in materia di concorrenza e di controllo degli aiuti di Stato nonché le altre parti pertinenti dell’acquis comunitario connesse al mercato interno, in modo da assicurare una protezione contro la concorrenza sleale paragonabile a quella esistente nell’ambito del mercato interno.

2. Rimangono in vigore le modalità di applicazione delle misure antidumping di cui all’articolo 47 del protocollo aggiuntivo.

Articolo 45

In deroga alla sezione II del capitolo V, le procedure di consultazione e di decisione menzionate in detta sezione non si applicano alle misure di difesa commerciale prese da ciascuna parte.

Nell’applicare misure di politica commerciale nei confronti dei paesi terzi, le parti si sforzano, mediante scambi di informazioni e consultazioni, di coordinare la loro azione quando lo consentano le circostanze e gli obblighi internazionali di entrambe.

Articolo 46

In deroga al principio della libera circolazione delle merci di cui al capitolo I una parte che abbia preso o prenda misure antidumping o di altro tipo in virtù degli strumenti di politica commerciale di cui all’articolo 44 nelle relazioni con l’altra parte o con i paesi terzi può assoggettare le importazioni dei prodotti in questione dal territorio dell’altra parte all’applicazione di queste misure, nel quale caso ne informa il comitato misto dell’unione doganale.

Articolo 47

Nell’espletare le formalità d’importazione per i prodotti non contemplati dalle misure di politica commerciale di cui agli articoli precedenti, le autorità dello Stato d’importazione chiedono all’importatore di indicare l’origine dei prodotti in questione nella dichiarazione doganale.

In caso di assoluta necessità, possono essere richieste prove supplementari qualora si nutrano seri e fondati dubbi in merito all’effettiva origine del prodotto in questione».

Il codice doganale comunitario

13. L’art. 22 della sezione 1, intitolata «Origine non preferenziale delle merci», del capitolo 2, del titolo II del regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, che istituisce un codice doganale comunitario (GU L 302, pag. 1; in prosieguo: il «codice doganale comunitario»), stabilisce quanto segue:

«Gli articoli da 23 a 26 definiscono l’origine non preferenziale delle merci per:

a) l’applicazione della tariffa doganale delle Comunità europee, escluse le misure di cui all’articolo 20, paragrafo 3, lettere d) ed e);

b) l’applicazione delle misure diverse da quelle tariffarie stabilite da disposizioni comunitarie specifiche nel quadro degli scambi di merci;

c) la compilazione e il rilascio dei certificati d’origine».

14. Ai sensi dell’art. 23 del codice doganale comunitario:

«1. Sono originarie di un paese le merci interamente ottenute in tale paese.

2. Per merci interamente ottenute in un paese s’intendono:

a) prodotti minerali estratti in tale paese;

b) prodotti del regno vegetale ivi raccolti;

c) gli animali vivi, ivi nati ed allevati;

d) i prodotti che provengono da animali vivi, ivi allevati;

e) i prodotti della caccia e della pesca ivi praticate;

f) i prodotti della pesca marittima e gli altri prodotti estratti dal mare, al di fuori delle acque territoriali di un paese, da navi immatricolate o registrate in tale paese e battenti bandiera del medesimo;

g) le merci ottenute a bordo di navi-officina utilizzando prodotti di cui alla lettera f), originari di tale paese, sempreché tali navi-officina siano immatricolate o registrate in detto paese e ne battano la bandiera;

h) i prodotti estratti dal suolo o dal sottosuolo marino situato al di fuori delle acque territoriali, sempreché tale paese eserciti diritti esclusivi per lo sfruttamento di tale suolo o sottosuolo;

i) i rottami e i residui risultanti da operazioni manifatturiere e gli articoli fuori uso, sempreché siano stati ivi raccolti e possano servire unicamente al recupero di materie prime;

j) le merci ivi ottenute esclusivamente dalle merci di cui alle lettere da a) ad i) o dai loro derivati, in qualsiasi stadio essi si trovino.

3. Per l’applicazione del paragrafo 2, la nozione di paese comprende anche il rispettivo mare territoriale».

15. Secondo l’art. 24 del codice doganale comunitario:

«Una merce alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi è originaria del paese in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo od abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione».

16. L’art. 25 del codice dispone quanto segue:

«Una trasformazione o lavorazione per la quale è accertato o per la quale i fatti constatati giustificano la presunzione che sia stata effettuata per eludere le disposizioni applicabili nella Comunità alle merci di determinati paesi, non può in alcun modo essere considerata come conferente, ai sensi dell’articolo 24, alle merci così ottenute l’origine del paese in cui è effettuata».

17. A norma dell’art. 26 di detto codice:

«1. La normativa doganale o altre normative comunitarie specifiche possono prevedere che l’origine de lle merci debba essere comprovata mediante presentazione di un documento.

2. Nonostante la presentazione di detto documento l’autorità doganale può richiedere, in caso di seri dubbi, qualsiasi altra prova complementare per accertarsi che l’origine indicata risponda alle regole stabilite dalla normativa comunitaria».

18. L’art. 249 del codice doganale comunitario prevede che la Commissione delle Comunità europee adotti le misure necessarie all’applicazione di detto codice.

Il regolamento n. 2454/93

19. Ai sensi dell’art. 39 del regolamento n. 2454/93:

«Per i prodotti ottenuti, elencati nell’allegato 11, sono considerate lavorazioni o trasformazioni che conferiscono il carattere originario ai sensi dell’articolo 24 del codice [doganale comunitario], le lavorazioni o trasformazioni che figurano nella colonna 3 di detto allegato.

Le modalità di applicazione delle regole contenute in detto allegato 11 sono illustrate nelle note introduttive di cui all’allegato 9».

20. L’allegato 9 del regolamento n. 2454/93, intitolato «Note introduttive agli elenchi delle lavorazioni o trasformazioni alle quali devono essere sottoposti i materiali non originari affinché il prodotto finito possa avere il carattere dl prodotto originario», comprende le seguenti note 2 e 3:

«Nota 2

2.1. Per “fabbricazione” si intende qualsiasi tipo di lavorazione o trasformazione, inclusi l’“assiemaggio” o le operazioni specifiche.

2.2. Per “materiale” si intende qualsiasi “ingrediente”, “materia prima”, “componente” o “parte” ecc., impiegato nella fabbricazione del prodotto.

2.3. Per “prodotto” si intende il prodotto ottenuto, anche se esso è destinato ad essere a sua volta successivamente impiegato in un’altra operazione di fabbricazione.

Nota 3

3.1. La lavorazione o la trasformazione richiesta da una regola della colonna 3 deve essere eseguita soltanto in relazione ai materiali non originari impiegati. Analogamente, le restrizioni che figurano in una regola della colonna 3 si applicano soltanto ai materiali non originari impiegati.

3.2. Se un prodotto, fabbricato con materiali non originari e che ha ottenuto il carattere di prodotto originario nel corso della fabbricazione, viene utilizzato come materiale nel processo di fabbricazione di un altro prodotto, non gli si applica la regola dell’elenco applicabile al prodotto finito in cui esso è incorporato.

Ad esempio, i tessuti non ricamati possono acquisire il carattere di prodotto originario se tessuti a partire da filati. Quando essi vengono successivamente utilizzati nella fabbricazione di biancheria da letto ricamata, il limite espresso in percentuale di valore prescritto per l’utilizzazione di tessuto non ricamato non si applica al caso particolare».

21. L’allegato 11 del regolamento n. 2454/93 così recita:

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Il regolamento n. 2584/98

22. L’art. 1 del regolamento (CE) del Consiglio 27 novembre 1998, n. 2584, che modifica il regolamento (CE) n. 710/95 che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di apparecchi riceventi per la televisione a colori originari della Malaysia, della Repubblica popolare cinese, della Repubblica di Corea, di Singapore e della Thailandia e che decide la riscossione definitiva del dazio provvisorio (GU L 324, pag. 1), ha fissato l’aliquota del dazio antidumping applicabile ai detti apparecchi, rientranti nella voce 8528.

Causa principale e questioni pregiudiziali

23. L’Asda, una società costituita nel Regno Unito, ha importato in tale Stato membro, nel periodo compreso tra giugno 2000 e aprile 2001, TVC assemblati in Turchia dalla società di diritto turco Vestel, Electronik Sanayi re Ticavet AS (in prosieguo: la «Vestel»). Le dichiarazioni di importazione presentate dall’Asda indicavano che tali merci erano originarie della Turchia.

24. Le spedizioni erano accompagnate da contestuali certificati A. TR1 emessi dalle autorità doganali turche, che attestavano che le merci erano immesse in libera pratica conformemente alla decisione n. 1/95. Tali documenti indicavano che era stato riscosso un prelievo compensativo in Turchia.

25. Le autorità doganali del Regno Unito ritenevano però che le condizioni alle quali la Vestel procedeva all’assemblaggio dei TVC in Turchia inducessero a considerare che questi ultimi fossero in realtà – ed applicando il criterio contenuto nelle disposizioni controverse dell’allegato 11 del regolamento n. 2454/93 – originarie della Cina e della Corea, paesi destinatari delle misure antidumping previste dal regolamento n. 2584/98.

26. Le importazioni dell’Asda davano quindi luogo, nel mese di giugno 2003, poi nel mese di ottobre dello stesso anno, ad ingiunzioni di recupero ex post per l’importo di GBP 410 786,52 di dazi antidumping e di IVA all’importazione.

27. Questi dazi venivano contestati dall’Asda dinanzi alle autorità doganali del Regno Unito, poi, dopo il rigetto dei suoi ricorsi amministrativi, dinanzi al VAT and Duties Tribunal, London.

28. Poiché l’Asda ha messo in dubbio la validità delle disposizioni controverse dell’allegato 11 del regolamento n. 2454/93, nonché l’interpretazione fatta dalle autorità doganali di tali norme, di quelle del protocollo addizionale, nonché della decisione n. 1/95, il VAT and Duties Tribunal, London ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se le norme per determinare l’origine non preferenziale contenute nel[le disposizioni controverse dell’allegato 11 del regolamento (CEE) n. 2454/93] siano invalide per quanto riguarda i [TVC] fabbricati in Turchia che rientrano nella [voce] 8528 della nomenclatura combinata come definita nella colonna 3 della tabella relativa tale voce, in quanto incompatibili con le disposizioni dell’art. 24 del (…) codice doganale comunitario (…).

2) Qualora la regola d’origine specifica applicabile ai TVC di cui [alle disposizioni controverse dell’allegato 11 del regolamento n. 2454/93] sia valida, se l’origine non preferenziale di un componente separato, come lo chassis, che è incorporato in un TVC finito, debba essere determinata separatamente e, in tal caso, se tale origine non preferenziale debba essere determinata:

a) in base alla trasformazione o alla lavorazione fisica del prodotto, per verificare dove il prodotto in questione abbia subito la sua ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata (supponendo che siano soddisfatti gli altri requisiti di cui all’art. 24 del codice doganale comunitario), oppure

b) in base a regole specifiche e residue concordate dalla Commissione europea e dagli Stati membri ai fini della posizione negoziale della Comunità (…) dinanzi all’Organizzazione mondiale del commercio nell’ambito dell’armonizzazione in materia di regole d’origine non preferenziale, laddove, nelle circostanze della fattispecie, la regola specifica è quella del criterio del valore aggiunto del 45% e la regola residua è quella in base alla quale il paese di origine della merce è il paese da cui proviene la maggior parte dei materiali non originari, determinata sulla base indicata in ogni capitolo, con la specificazione, tuttavia, che, qualora i materiali originari rappresentino almeno il 50% di tutti i materiali utilizzati, il paese di origine della merce è il paese di origine di quei materiali, oppure

c) su altra base.

3) Qualora un componente di un TVC, come uno chassis, abbia ottenuto l’origine locale ai sensi dell’art. 24 del codice doganale comunitario sulla base del criterio della trasformazione o della lavorazione sostanziale, se sia ancora necessario determinare un valore per tale componente per poter applicare al TVC la regola d’origine specifica applicabile ai TVC contenuta nell’allegato 11 del regolamento [n. 2454/93].

4) Qualora le regole concordate per la posizione negoziale della Comunità dinanzi al[l’Organizzazione mondiale del commercio] possano essere utilizzate nell’ambito dell’applicazione dell’allegato 11 [del regolamento n. 2454/93], se sia necessario che un componente di un TVC, come lo chassis, debba avere il suo prezzo franco fabbrica reale oppure se possa essergli attribuito un valore equivalente ad un prezzo franco fabbrica.

5) Se la risposta alla terza questione o alla quarta questione richiede che si debba considerare un valore equivalente ad un prezzo franco fabbrica reale, in che modo debba essere determinato tale valore.

In particolare:

a) Se sia corretto applicare:

i) gli artt. 29 o 30 del codice doganale comunitario;

ii) uno tra gli artt. 141‑153 del regolamento [n. 2454/93], e

iii) una delle note interpretative in materia di valore in dogana contenute nell’allegato 23 del regolamento [n. 2454/93].

b) Quale mezzo di prova sia richiesto per determinare il valore o il costo.

c) In quali circostanze si possa fare ricorso al costo calcolato o costruito di un componente di un TVC per valutare la sua origine non preferenziale.

d) Che genere di costi possano essere presi in considerazione per determinare il valore calcolato o costruito di un componente.

e) Se si possano applicare valori medi calcolati su un determinato periodo di tempo per stabilire l’esigibilità di un dazio su un prodotto preciso in un momento preciso.

f) Se si possano usare metodi differenti per calcolare costi o valori quando si confronta il costo o il valore di un componente con il costo o il valore di un prodotto finito esportato.

6) Se il combinato disposto dell’art. 44, n. 2, della decisione n. 1/95 (…) e dell’art. 47 del protocollo addizionale (…) imponga alla Comunità di inoltrare al consiglio di associazione [CEE]‑Turchia una richiesta di rivolgere raccomandazioni e di procedere alla notifica al detto consiglio prima di rendere applicabili i dazi antidumping istituiti dal regolamento (…) n. 2584/98 ai prodotti importati dalla Turchia e che erano in libera pratica.

7) Se l’art. 46 della decisione n. 1/95 imponga alla Comunità, la quale ha modificato, mediante il regolamento (…) n. 2584/98 (…), la gamma dei prodotti e le aliquote dei dazi istituiti da tre precedenti regolamenti del Consiglio [dell’Unione europea] relativi alle importazioni di taluni TVC originari della Cina e della Corea, di informare il comitato misto dell’unione doganale che essa intende applicare tali misure anche alle importazioni dalla Turchia, prima di poter assoggettare le importazioni dalla Turchia di TVC originari della Cina e della Corea ed in libera pratica all’applicazione di nuovi dazi antidumping istituiti con il regolamento (…) n. 2584/98 (…).

8) Se gli artt. da 44 a 47 della decisione n. 1/95 richiedano che gli operatori commerciali siano informati, o altrimenti edotti, delle informazioni fornite ai sensi dell’art. 46 della decisione n. 1/95 o di una notifica effettuata ai sensi dell’art. 47, n. 2 del protocollo addizionale (…).

9) In caso di obbligo di domanda, di notifica o di informazione:

a) Quale forma debba assumere tale atto di domanda e di notifica ai sensi dell’art. 44 della decisione n. 1/95, in combinato disposto con l’art. 47 del protocollo addizionale (…).

b) Quale forma debba assumere un’informazione fornita ai sensi dell’art. 46 della decisione n. 1/95.

c) Se i provvedimenti presi dalla Commissione nella presente fattispecie rispettino i criteri di forma necessari per simili domande, notifiche e informazioni.

d) Quali siano le conseguenze di una mancata osservanza di tali forme.

10) Se gli artt. 44, 46 e 47 della decisione n. 1/95 e l’art. 47 del protocollo addizionale (…) siano direttamente applicabili o abbiano effetto diretto dinanzi ai giudici nazionali, così da conferire ai singoli operatori commerciali il diritto di far valere la loro violazione per opporsi al pagamento di dazi antidumping altrimenti esigibili».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione

29. Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se le disposizioni controverse dell’allegato 11 del regolamento n. 2454/93 siano invalide in quanto incompatibili con l’art. 24 del codice doganale comunitario.

30. L’Asda afferma che le disposizioni controverse dell’allegato 11 del regolamento n. 2454/93 sono invalide dato che, esigendo che il valore acquisito in conseguenza delle operazioni di montaggio e, se del caso, di incorporazione dei pezzi originari costituisca almeno il 45% del prezzo franco fabbrica dei TVC affinché la loro fabbricazione conferisca ad essi l’origine del paese ove ha avuto luogo tale montaggio, ricorrono in tal modo ad un criterio basato sul valore aggiunto, che essa definisce «quantitativo» e che sarebbe incompatibile con i criteri, a suo parere «qualitativi», fatti propri dall’art. 24 del codice doganale comunitario. L’Asda sostiene che, adottando tali disposizioni, la Commissione ha ecceduto i poteri conferitile dal Consiglio per l’applicazione delle norme da esso stabilite nel detto codice.

31. Occorre ricordare innanzi tutto che, ai sensi dell’art. 24 del codice doganale comunitario, una merce alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi è originaria del paese in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo od abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione.

32. Tale art. 24 riprende la formulazione dell’art. 5 del regolamento (CEE) del Consiglio 27 giugno 1968, n. 802, relativo alla definizione comune della nozione di origine delle merci (GU L 148, pag. 1), applicabile prima dell’entrata in vigore del codice doganale comunitario. Nell’interpretare questo regolamento, la Corte ha ritenuto che da detto art. 5 risulta che il criterio determinante è quello dell’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale (sentenza 13 dicembre 1989, causa C‑26/88, Brother International, Racc. pag. 4253, punto 15).

33. Va rammentato, in secondo luogo, che l’art. 249 del codice doganale comunitario rappresenta un fondamento sufficiente per delegare alla Commissione l’adozione delle modalità di attuazione di detto codice (sentenza 11 novembre 1999, causa C‑48/98, Söhl & Söhlke, Racc. pag. I‑7877, punto 35).

34. Dalla giurisprudenza della Corte risulta che la Commissione è autorizzata ad adottare tutti i provvedimenti necessari o utili per l’attuazione della disciplina di base, purché essi non siano contrastanti con tale disciplina o con le norme d’attuazione stabilite dal Consiglio (v., in particolare, sentenza Söhl & Söhlke, cit., punto 36).

35. Inoltre la Commissione, nell’esercitare il potere conferitole dal Consiglio per l’attuazione dell’art. 24 del codice doganale comunitario, dispone di un margine discrezionale che le consente di precisare le nozioni astratte di questa disposizione in considerazione di trasformazioni o di lavorazioni specifiche (v. sentenza 23 marzo 1983, causa 162/82, Cousin e a., Racc. pag. 1101, punto 17).

36. Per quanto riguarda la questione se un’operazione di assemblaggio di diversi elementi costituisca una trasformazione o una lavorazione sostanziale, la Corte ha già giudicato che una siffatta operazione è idonea ad essere considerata come conferente l’origine allorché rappresenta, sotto un profilo tecnico e rispetto alla def inizione della merce in questione, lo stadio produttivo determinante durante il quale si concretizza la destinazione dei componenti utilizzati e nel corso del quale sono conferite alla merce in questione le sue proprietà qualitative specifiche (sentenze 31 gennaio 1979, causa 114/78, Yoshida, Racc. pag. 151, e Brother International, cit., punto 19).

37. La Corte, tuttavia, ha dichiarato che, tenuto conto della varietà delle operazioni che rientrano nella nozione di assemblaggio, vi sono situazioni nelle quali l’esame in base a criteri d’ordine tecnico può non essere decisivo per la determinazione dell’origine di una merce. In questi casi è d’uopo prendere in considerazione il valore aggiunto per effetto dell’assemblaggio come criterio sussidiario (sentenza Brother International, cit., punto 20).

38. La Corte ha precisato che la pertinenza di questo criterio è d’altra parte confermata dalla Convenzione internazionale per la semplificazione e l’armonizzazione dei regimi doganali (Convenzione di Kyoto) della quale sono stati accettati a nome della Comunità vari allegati con decisione del Consiglio 3 giugno 1977, 77/415/CEE (GU L 166, pag. 1), e le cui note relative alla norma 3 dell’allegato D.1 precisano che il criterio della trasformazione sostanziale può esprimersi in pratica nella regola della percentuale ad valorem, allorché la percentuale del valore dei prodotti utilizzati o la percentuale del maggior valore acquisito raggiunge un determinato livello (v. sentenza Brother International, cit., punto 21).

39. Va altresì rilevato che, con decisione 22 dicembre 1994, 94/800/CEE, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986‑1994) (GU L 336, pag. 1), il Consiglio ha approvato, tra l’altro, l’accordo relativo alle regole in materia di origine allegato all’atto finale firmato a Marrakech il 15 aprile 1994 (GU L 336, pag. 144), secondo il quale in occasione dell’elaborazione delle dette regole può essere utilizzato il criterio della percentuale ad valorem.

40. Si deve a questo proposito ricordare che gli accordi internazionali, sin dalla loro entrata in vigore, costituiscono parte integrante dell’ordinamento giuridico comunitario (v., tra l’altro, sentenza 10 febbraio 2006, causa C‑344/04, IATA e ELFAA, Racc. pag. I‑403, punto 36). Secondo una costante giurisprudenza, le norme di diritto comunitario derivato devono essere interpretate, per quanto possibile, alla luce di tali accordi (v., in particolare, sentenza 9 gennaio 2003, causa C‑76/00 P, Petrotub e Republica/Consiglio, Racc. pag. I‑79, punto 57).

41. Da quanto sopra considerato consegue che la scelta del criterio del valore aggiunto non è di per sé incompatibile con l’art. 24 del codice doganale comunitario e che il ricorso a tale criterio non può, di per sé, dimostrare che la Commissione ha ecceduto i poteri di applicazione che le derivavano dall’art. 249 del detto codice (sentenza 8 marzo 2007, cause riunite C‑447/05 e C‑448/05, Thomson e Vestel France, Racc. pag. I‑2049, punto 31).

42. Va inoltre ricordato che, ai fini dell’applicazione del regolamento n. 802/68, la Commissione aveva adottato il regolamento (CEE) 23 dicembre 1970, n. 2632, relativo alla determinazione dell’origine degli apparecchi riceventi per la radiodiffusione e la televisione (GU L 279, pag. 35), le cui disposizioni, che fanno riferimento al criterio del valore aggiunto, sono state in sostanza riprese nelle disposizioni controverse dell’allegato 11 del regolamento n. 2454/93.

43. Dal secondo ‘considerando’ del regolamento n. 2632/70 si evince che il montaggio di apparecchi riceventi per la radiodiffusione e la televisione può consistere in procedimenti più o meno complessi secondo il tipo dell’apparecchio e secondo i mezzi utilizzati o il modo in cui è effettuato. Il terzo ‘considerando’ del detto regolamento rileva altresì che le operazioni di montaggio «allo stato attuale della tecnica in questo ramo industriale» non costituiscono in genere da sole una fase di fabbricazione importante ai sensi dell’art. 5 del regolamento n. 802/68, ma che in taluni casi la situazione può essere diversa, ad esempio, quando dette operazioni riguardano apparecchi ad alto rendimento o che richiedano controlli rigorosi dei pezzi utilizzati, oppure quando comprendono anche il montaggio dei singoli elementi costitutivi dell’apparecchio. Il quarto ‘considerando’ del regolamento n. 2632/70 aggiunge che la diversità delle operazioni attinenti alla nozione di montaggio non consente di determinare secondo un criterio di carattere tecnico i casi in cui dette operazioni rappresentano una fase di fabbricazione importante e che, per tale motivo, conviene tener presente il valore aggiunto per effetto di dette operazioni.

44. Orbene, siffatti motivi sono idonei a giustificare il mantenimento del criterio del valore aggiunto nelle disposizioni controverse di cui all’allegato 11 del regolamento n. 2454/93 (sentenza Thomson e Vestel Francia, cit., punto 35).

45. Spetta infatti alla Commissione, nell’ambito del margine di valutazione discrezionale di cui dispone per emanare i provvedimenti necessari per l’applicazione delle disposizioni del codice doganale comunitario, in particolare di quelle relative all’origine delle merci, adottare disposizioni a carattere generale che, per garantire la certezza del diritto, tengano conto, nel tempo, della situazione complessiva di un settore industriale e sulle quali non influisca la situazione particolare, in un determinato momento, di questa o quella impresa del settore (sentenza Thomson e Vestel Fracia, cit., punto 36).

46. Ciò considerato, il fatto che la Commissione abbia preso in considerazione la grande varietà di operazioni che rientrano nella complessiva nozione di assemblaggio nel settore industriale di cui trattasi giustificava il ricorso al criterio del valore aggiunto (sentenza Thomson e Vestel Francia, cit., punto 37).

47. Del resto, dalle osservazioni scritte presentate dall’Asda emerge che le operazioni di assemblaggio dei vari componenti dei TVC di cui trattasi nelle cause principali fanno parte di un processo industriale complesso. Peraltro, gli atti sottoposti alla Corte non consentono di considerare che questo procedimento sia identico per tutti i fabbricanti di TVC. Da essi non è comunque dato di concludere che nel settore industriale di cui trattasi, considerato nel suo complesso, la nozione di assemblaggio non includa una grande varietà di operazioni.

48. In un siffatto contesto, la necessità di applicazione uniforme delle norme doganali nell’insieme del territorio doganale della Comunità implicava che le nozioni astratte di ultima trasformazione o di lavorazione sostanziale alle quali l’art. 24 del codice doganale comunitario fa riferimento, per l’insieme delle merci, fossero precisate, per prodotti specifici come i TVC, da disposizioni particolari che potessero prendere in considerazione la diversità dei procedimenti di fabbricazione di tali apparecchi. Di conseguenza, il ricorso a un criterio chiaro ed obiettivo quale quello del valore aggiunto, che consente di definire, per tale tipo di merce dalla composizione complessa, in cosa consiste la trasformazione sostanziale che le conferisce l’origine, non può essere frutto di un errore di diritto (sentenza Thomson e Vestel Francia, cit., punto 39).

49. Si deve inoltre osservare che, se è vero che la situazione invocata dalla ricorrente nella causa a qua è frutto dell’evoluzione delle tecniche di fabbricazione dei TVC, non risulta che questa situazione in tali condizioni abbia un carattere diverso da quello circostanziale. Del resto, l’evoluzione delle attuali tecniche di fabbricazione come quelle degli schermi al plasma è tale da rimettere, se del caso, sostanzialmente in discussione la situazione così dedotta. Da ciò consegue che questa non può essere fruttuosamente invocata per contestare la fondatezza del ricorso al criterio del valore aggiunto (v., in tal senso, sentenza Thomson e Vestel Francia, cit., punto 44).

50. Lo stesso vale per l’argomento vertente sulla fluttuazione dei tassi di cambio, dato che essa, che è puramente congiunturale e può andare verso l’alto o verso il basso, non può implicare che l’applicazione del criterio del valore aggiunto sia necessariamente sfavorevole alle imprese interessate.

51. Alla luce di tutto quanto sopra considerato, la prima questione sollevata va risolta dichiarando che dal suo esame non è emerso nessun elemento idoneo ad inficiare la validità delle disposizioni controverse di cui all’allegato 11 del regolamento n. 2454/93.

Sulle questioni dalla seconda alla quinta

Osservazioni preliminari

52. Le questioni dalla seconda alla quinta, che riguardano l’interpretazione delle disposizioni controverse dell’allegato 11 del regolamento n. 2454/93, sono dirette a determinare le modalità di calcolo del valore aggiunto acquisito dai TVC a seguito della operazioni di montaggio e dell’incorporazione di pezzi originari.

53. Per procedere a tale calcolo, l’Asda sostiene che, tra i pezzi assemblati dal suo fornitore, la Vestel, per realizzare il prodotto finito costituito dai TVC importati, occorre innanzi tutto determinare separatamente l’origine di uno di tali pezzi, ossia lo chassis, esso stesso realizzato da tale medesimo fornitore partendo da pezzi provenienti da diversi paesi. Procedendo in tal modo, secondo l’Asda il detto chassis, ossia l’insieme che controlla tutte le funzioni elettroniche dell’apparecchio, dovrebbe essere considerato, in forza delle regole relative all’origine ad esso applicabili, originario della Turchia. Ne risulterebbe che il valore acquisito grazie alla sua incorporazione e alle operazioni di montaggio rappresenterebbe almeno il 45% del prezzo franco fabbrica dei TVC in questione, che dovrebbero quindi essi stessi essere considerati d’origine turca, come dichiarato in occasione della loro importazione.

54. In tale contesto, con la prima parte della seconda questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se le disposizioni controverse dell’allegato 11 del regolamento n. 2454/93 debbano essere interpretate nel senso che, per procedere al calcolo del valore acquisito dai TVC in occasione della loro fabbricazione alle condizioni della causa principale, l’origine non preferenziale di un componente distinto, quale uno chassis, incorporato nel prodotto finito debba essere determinata separatamente.

55. La seconda parte della seconda questione e le questioni dalla terza alla quinta sono in sostanza dirette ad appurare, qualora l’origine di siffatto componente debba essere determinata separatamente, sul fondamento di quali regole debbano essere fissati l’origine ed il valore del detto componente. Pertanto sarà necessario pronunciarsi su tali regole solo se la prima parte della seconda questione sarà risolta affermativamente. Di conseguenza, quest’ultima dev’essere analizzata per prima.

Sulla prima parte della seconda questione

56. Occorre ricordare che le disposizioni controverse dell’allegato 11 del regolamento n. 2454/93 richiedono che il valore acquisito grazie ad operazioni di montaggio e, eventualmente, all’incorporazione di pezzi originari rappresenti almeno il 45% del prezzo franco fabbrica degli apparecchi riceventi per la televisione affinché la loro fabbricazione conferisca loro l’origine del paese ove ha avuto luogo tale montaggio a partire da materiali o componenti provenienti da due o più paesi.

57. Va innanzi tutto rilevato che le disposizioni in esame nella causa principale sono formulate in termini generali e non conferiscono alcuna importanza decisiva, nella determinazione dell’origine del prodotto di cui trattasi, ad un suo specifico componente, come il tubo catodico (sentenza Thomson e Vestel France, cit., punto 43) o come lo chassis. Ciò che importa è tener conto del complesso dei componenti che intervengono effettivamente e oggettivamente nell’assemblaggio effettuato dall’impresa che fabbrica il prodotto finito.

58. Infatti, da un lato, né le disposizioni dell’art. 24 del codice doganale comunitario né le disposizioni controverse dell’allegato 11 del regolamento n. 2454/93 prevedono che siffatta valutazione possa essere effettuata senza tener conto delle operazioni di assemblaggio intese complessivamente. Tali disposizioni non sono volte a prendere in considerazione, nel procedimento di fabbricazione del prodotto, talune operazioni di montaggio a scapito di talune altre, né ad isolare così artificialmente questo o quest’altro componente esso stesso derivante da un assemblaggio effettuato dallo stesso fornitore.

59. D’altra parte, l’obbligo di applicazione uniforme delle regole doganali in tutto il territorio doganale della Comunità osta ad un’interpretazione diversa delle dette disposizioni. Infatti, ammettere, come sostiene l’Asda, che uno dei componenti assemblati dal fornitore dei televisori, nella specie lo chassis, debba essere considerato separatamente nel procedimento di assemblaggio poiché esso potrebbe allora acquisire di per sé la qualità di prodotto originario equivarrebbe a lasciare alla discrezionalità dell’importatore o del suo fornitore il compito di decidere a che stadio di tale processo di assemblaggio uno dei componenti del prodotto importato acquisisca la qualità di prodotto finito utilizzato come materiale del processo di fabbricazione, nella stessa impresa, di un altro prodotto. Tale impostazione, che farebbe così dipendere l’origine di un prodotto da una valutazione soggettiva, incompatibile con la natura oggettiva e prevedibile delle disposizioni del regolamento in questione, priverebbe di qualsiasi efficacia le disposizioni controverse dell’allegato 11 del regolamento n. 2454/93.

60. Come la disciplina comunitaria in materia di valutazione doganale delle merci, che mira a stabilire un sistema equo, uniforme e neutro che escluda l’impiego di valori arbitrari o fittizi (sentenza 16 novembre 2006, causa C‑306/04, Compaq Computer International Corporation, Racc. pag. I‑10991, punto 30 e giurisprudenza citata), la normativa comunitaria relativa all’origine dei prodotti, che persegue il medesimo obiettivo, non può essere interpretata nel senso che ammette che tale origine possa dipendere da siffatta valutazione soggettiva.

61. È vero che, se un componente, come lo chassis, non è stato assemblato dal fornitore, bensì acquistato da quest’ultimo presso un soggetto terzo, è tale componente, di per sé, e non i pezzi che lo compongono, ad essere preso in considerazione per l’attuazione delle disposizioni controverse dell’allegato 11 del regolamento n. 2454/93. In tal modo, due pezzi tecnicamente simili sarebbero trattati diversamente nell’applicazione della stessa disposizione del diritto comunitario a fornitori di televisori, a seconda che tali pezzi provengano dalle strutture produttive del fornitore interessato o che quest’ultimo li abbia acquistati presso terzi.

62. È altrettanto vero che, per giurisprudenza costante, il rispetto dei principi di eguaglianza e di non discriminazione impone che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (v., tra le altre, sentenze 26 ottobre 2006, causa C‑248/04, Koninklijke Coöperatie Cosun, Racc. pag. I‑10211, punto 72, e 3 maggio 2007, causa C‑303/05, Advocaten voor de Wereld, Racc. pag. I-3633, punto 56).

63. Tuttavia, anche supponendo che la situazione dei prodotti provenienti dalle strutture di produzione del fornitore in questione e la situazione dei prodotti che sono stati acquistati presso un altro fornitore siano tecnicamente identiche, esse non sono giuridicamente paragonabili, in particolare ai fini dell’applicazione di regole relative all’origine. La transazione commerciale di cui sono stati oggetto, presso un soggetto terzo, questi ultimi prodotti, infatti, consente di determinare, in linea di principio oggettivamente, il momento in cui essi acquisiscono la qualità di prodotto finito e il luogo in cui può essere fissata, in maniera altrettanto oggettiva, la loro origine. Per gli altri prodotti, al contrario, non è possibile determinare in anticipo tale momento, che è quindi lasciato alla discrezionalità del fornitore a condizioni che presentano, come spiegato al punto 59 di questa sentenza, un carattere soggettivo incompatibile con l’applicazione delle disposizioni del regolamento oggetto della causa principale.

64. Non si può escludere che il fornitore sia allora indotto a creare un siffatto soggetto terzo incaricato di effettuare tale assemblaggio, allo scopo di creare l’apparenza di un acquisto di tale bene presso un terzo.

65. Va però ricordato che, in forza dell’art. 25 del codice doganale comunitario, una trasformazione o lavorazione per la quale è accertata – o per la quale i fatti constatati giustificano – la presunzione che sia stata effettuata per eludere le disposizioni applicabili nella Comunità alle merci di determinati paesi non può in alcun modo essere considerata come conferente, ai sensi dell’art. 24 del detto codice, alle merci così ottenute l’origine del paese in cui è effettuata.

66. L’Asda ritiene tuttavia che, in applicazione delle disposizioni della nota introduttiva 3.2 dell’allegato 9 del regolamento n. 2454/93 (in prosieguo: la «nota introduttiva 3.2»), l’origine dello chassis debba essere determinata prima di stabilire l’origine del televisore in cui è incorporato il detto chassis.

67. Tali disposizioni, riprodotte al punto 20 di questa sentenza, hanno origine in quelle dell’allegato I del regolamento (CEE) della Commissione 24 maggio 1991, n. 1364, relativo alla determinazione dell’origine delle materie e dei manufatti tessili di cui alla sezione XI della nomenclatura combinata (GU L 130, pag. 18), regolamento abrogato ex art. 913 del regolamento n. 2454/93. Dette disposizioni sono state riprese nell’allegato 9 di quest’ultimo regolamento e di conseguenza si applicano, in via di principio, sia ai prodotti tessili oggetto dell’allegato 10 del detto regolamento, sia ai prodotti diversi dai tessili considerati all’allegato 11 di quest’ultimo.

68. Ciò nonostante, il contenuto delle disposizioni della nota introduttiva 3.2, chiarito dall’esempio che segue il testo stesso di tale nota, implica necessariamente che la loro applicazione sia riservata al caso in cui per il prodotto indicato nelle colonne 1 e 2 degli allegati 10 e 11 del regolamento n. 2454/93 sia prevista, alla colonna 3 di tali allegati, una regola che fissa un valore limite di un componente incorporato in tale prodotto (ad esempio, le disposizioni figuranti nella colonna 3, alle posizioni da 6301 a ex 6306 della nomenclatura combinata, menzionata all’allegato 10 del regolamento n. 2454/93).

69. L’applicazione di tali disposizioni non può invece essere estesa ai prodotti del detto allegato 11 per i quali, come nel caso degli apparecchi riceventi per la televisione, è prevista nella colonna 3 dello stesso allegato una regola che fissa non tanto un valore limite di un componente incorporato in tale prodotto, bensì una soglia di valore acquisito dal prodotto grazie alle operazioni di montaggio ed eventualmente all’incorporazione di pezzi originari.

70. Se così fosse, l’applicazione delle disposizioni della nota introduttiva 3.2 ad un prodotto come quello oggetto della causa principale sarebbe infatti del tutto priva di senso. Dato che le disposizioni controverse dell’allegato 11 del regolamento n. 2454/93 determinano le regole d’origine degli apparecchi riceventi per la televisione, esse non sono applicabili alla determinazione dell’origine di altri prodotti, quindi non a quella dello chassis in questione nella causa principale. Se le disposizioni di tale nota dovessero quindi essere lette nel senso che escludono un componente di tali televisori dall’applicazione della regola d’origine relativa a questi ultimi, esse risulterebbero assolutamente superflue.

71. In ogni caso, dalle stesse disposizioni della nota introduttiva 3.2 risulta che essa riguarda l’ipotesi in cui il prodotto in questione abbia ottenuto il carattere di prodotto originario nel corso della sua fabbricazione. Ne consegue che per tale prodotto la questione dell’origine non si pone più e che, di conseguenza, la regola che fissa la sua origine, come appare nella colonna 3 dell’allegato 11 del regolamento n. 2454/93, non può essergli applicata, ma è applicabile solo al prodotto nella cui composizione esso interviene.

72. L’interpretazione secondo cui le disposizioni della nota introduttiva 3.2 significano che il criterio del maggior valore non è applicabile alla determinazione dell’origine dello chassis e che, per la determinazione di quest’ultima, occorre applicare solo le disposizioni dell’art. 24 del codice doganale comunitario presenterebbe interesse solo qualora lo chassis stesso fosse oggetto di un’importazione e se ne dovesse quindi determinare l’origine, il che non corrisponde alla situazione di cui alla causa principale.

73. In tali condizioni, la prima parte della seconda questione deve essere risolta dichiarando che le disposizioni controverse dell’allegato 11 del regolamento n. 2454/93 devono essere interpretate nel senso che, per procedere al calcolo del valore acquisito dai TVC in occasione della loro fabbricazione alle condizioni della causa principale, l’origine non preferenziale di un componente distinto, quale uno chassis, non deve essere determinata separatamente.

Sulla seconda parte della seconda questione e sulle questioni dalla terza alla quinta

74. Alla luce delle considerazioni che precedono, non occorre risolvere tali questioni.

Sulle questioni dalla sesta alla decima

Osservazioni preliminari

75. Con le questioni dalla sesta alla nona, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, quale sia la portata degli obblighi che incombono alle parti contraenti dell’accordo di associazione CEE‑Turchia, in applicazione dell’art. 47 del protocollo addizionale e degli artt. 44‑47 della decisione n. 1/95. L’Asda sostiene infatti che i dazi antidumping che le sono stati richiesti sono stati fondati su disposizioni adottate dalla Comunità in violazione di tali obblighi.

76. Occorre rilevare, da un lato, che, come afferma il governo del Regno Unito, e come emerge dall’art. 47, n. 1, del protocollo addizionale, firmato nel 1970, le modalità di applicazione delle misure antidumping definite al detto art. 47 sono state concepite solo per un periodo di ventidue anni. Ne consegue che, se le disposizioni di tale articolo rimangono comunque idonee ad essere eventualmente applicate in una causa come quella principale, ciò è per effetto dell’art. 44, n. 2, della decisione n. 1/95, che mantiene espressamente in vigore tali modalità di applicazione. 

77. Va rilevato, d’altra parte, che, se le disposizioni dei primi tre numeri dell’art. 47 del protocollo addizionale sono relative alle pratiche di dumping, e per tale motivo potrebbero eventualmente essere pertinenti ai fini della soluzione della controversia nella causa principale, il n. 4 del detto articolo, invece, concerne la situazione, assolutamente estranea alla detta controversia, di prodotti oggetto di una reimportazione. 

78. In tali condizioni, le questioni dalla sesta alla nona devono essere considerate come se si riferissero all’interpretazione delle disposizioni dell’art. 44 della decisione n. 1/95, letto in combinato disposto con gli artt. 47, nn. 1‑3, del protocollo addizionale e gli artt. 45‑47 della decisione n. 1/95.

79. Con la decima questione, il giudice del rinvio chiede tuttavia, in sostanza, se tali disposizioni abbiano effetto diretto dinanzi ai giudici nazionali e consentano quindi ai singoli operatori di far valere proficuamente la loro violazione per opporsi al pagamento di dazi antidumping di norma esigibili.

80. Orbene, se tale questione dovesse essere risolta nel senso che le dette disposizioni non hanno effetto diretto, la loro interpretazione non presenterebbe alcun interesse per gli operatori coinvolti e non sarebbe più necessario risolvere le questioni dalla sesta alla nona.

81. In tale contesto, occorre invertire l’ordine delle questioni ed esaminare per prima la decima questione, riformulata, e nel prosieguo, se necessario, le questioni dalla sesta alla nona.

Sulla decima questione

82. Secondo una giurisprudenza costante, una disposizione di un accordo concluso dalla Comunità con paesi terzi dev’essere considerata dotata di effetto diretto quando, avuto riguardo alla sua lettera, nonché all’oggetto e alla natura di tale accordo, stabilisce un obbligo chiaro e preciso che non è subordinato, nel suo adempimento o nei suoi effetti, all’intervento di alcun atto ulteriore. Ne risulta che, quando un accordo istituisce una cooperazione tra le parti, talune disposizioni in esso contenute, alle condizioni sopramenzionate e considerati la natura e l’oggetto di tale accordo, possono disciplinare direttamente la situazione giuridica dei privati (v. in tal senso, sentenza 12 aprile 2005, causa C‑265/03, Simutenkov, Racc. pag. I‑2579, punti 21 e 28).

83. Le disposizioni di una decisione del consiglio di associazione CEE‑Turchia possono avere effetto diretto (v., in tal senso, sentenze 20 settembre 1990, causa C‑192/89, Sevince, Racc. pag. I‑3461, punti 14 e 15, nonché 4 maggio 1999, causa C‑262/96, Sürül, Racc. pag. I‑2685, punto 60).

84. Ai punti 23 e 25 della sentenza 30 settembre 1987, causa 12/86, Demirel (Racc. pag. I-3719), la Corte ha inoltre dichiarato che disposizioni del protocollo addizionale che abbiano portata essenzialmente programmatica e non costituiscano disposizioni sufficientemente precise e incondizionate non possono essere considerate norme di diritto comunitario direttamente applicabili nell’ordinamento interno degli Stati membri.

85. In primo luogo, va constatato che, anche se le disposizioni dell’art. 44, n. 1, della decisione n. 1/95 assegnano al consiglio di associazione la facoltà di sospendere l’applicazione degli strumenti di difesa commerciale, esse presentano comunque carattere condizionato, in quanto subordinano l’esercizio di tale competenza alla condizione che la Repubblica di Turchia abbia adottato le norme in materia di concorrenza e di controllo degli aiuti di Stato, nonché le altre disposizioni dell’acquis comunitario connesse al mercato interno, garantendone l’effettiva applicazione.

86. Siffatte disposizioni richiedono quindi l’intervento di altre misure affinché siano prodotti effetti sui diritti degli operatori. Tali disposizioni, prive di carattere incondizionato, non sono idonee a disciplinare direttamente la situazione giuridica dei privati e quindi non possono avere effetto diretto.

87. In secondo luogo, le disposizioni dell’art. 47, nn. 1‑3, del protocollo addizionale e quelle dell’art. 46 della decisione n. 1/95, lasciando alle parti contraenti la possibilità di adottare misure di protezione adeguate, non comportano alcun obbligo (v., in tal senso, per l’applicazione dell’art. 25 dell’accordo di associazione CEE‑Turchia, sentenza 14 novembre 2002, causa C‑251/00, Ilumitrónica, Racc. pag. I‑10433, punto 73). La giurisprudenza della Corte relativa all’effetto diretto, quindi, non è applicabile a tali disposizioni.

88. Inoltre, anche se queste disposizioni prevedono che, qualora sia data attuazione a tale possibilità, la parte contraente interessata notifichi la misura al consiglio di associazione, in applicazione dell’art. 47 del protocollo addizionale, o al comitato misto dell’unione doganale, in applicazione dell’art. 46 della decisione n. 1/95, in tal modo esse creano obblighi solo rispetto alle parti dell’accordo di associazione CEE‑Turchia. Questa semplice formalità di informazione interistituzionale, che non incide affatto sui diritti e sugli obblighi dei singoli e la cui violazione sarebbe priva di conseguenze sulla situazione di questi ultimi, non è pertanto idonea a conferire effetto diretto alle dette disposizioni.

89. Per quanto riguarda, in terzo luogo, l’art. 45 della decisione n. 1/95, basta constatare che esso si limita ad invitare le parti contraenti a coordinare la loro azione mediante scambi di informazioni e consultazioni, e quindi non contiene neanch’esso alcun obbligo. La giurisprudenza della Corte relativa all’effetto diretto, quindi, non si applica neppure a questa disposizione.

90. Per quanto concerne, da ultimo, le disposizioni dell’art. 47 della decisione n. 1/95, occorre rilevare che, al contrario, esse soddisfano le condizioni poste dalla citata giurisprudenza in materia di effetto diretto. Esse enunciano in termini chiari, precisi ed incondizionati,e senza essere subordinate, nella loro esecuzione o nei loro effetti, all’intervento di qualsiasi altro atto, un obbligo a carico delle autorità dello Stato d’importazione di chiedere all’importatore di indicare l’origine dei prodotti in questione nella dichiarazione doganale. Ebbene, considerati l’oggetto e la natura delle disposizioni in esame, siffatto obbligo, che esprime la volontà delle parti contraenti di esigere dagli importatori la comunicazione di talune informazioni, è idoneo a disciplinare direttamente la situazione giuridica degli operatori. Si deve quindi riconoscere a tali disposizioni un effetto diretto che comporta che i privati ai quali esse si applicano hanno diritto di avvalersene dinanzi ai giudici degli Stati membri.

91. In tali condizioni, occorre risolvere la decima questione nel senso che, da una parte, le disposizioni dell’art. 44 della decisione n. 1/95, lette in combinato disposto con quelle dell’art. 47, nn. 1‑3, del protocollo addizionale, e le disposizioni degli artt. 45 e 46 della decisione n. 1/95, non possiedono effetto diretto dinanzi ai giudici nazionali e non consentono quindi ai singoli operatori di far valere la loro violazione per opporsi al pagamento di dazi antidumping di norma esigibili. Dall’altra parte, le disposizioni dell’art. 47 della decisione n. 1/95 sono dotate di effetto diretto e i singoli ai quali esse si applicano hanno il diritto di farle valere dinanzi ai giudici degli Stati membri.

Sulla sesta, settima e nona questione

92. Alla luce della soluzione fornita alla decima questione, non è necessario rispondere alla sesta, alla settima e alla nona questione, che vertono sull’interpretazione di disposizioni diverse da quelle dell’art. 47 della decisione n. 1/95.

Sull’ottava questione

93. Con l’ottava questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se le disposizioni dell’art. 47 della decisione n. 1/95 vadano interpretate nel senso che richiedono che siano portate a conoscenza degli operatori le informazioni che le parti contraenti che hanno adottato misure antidumping devono fornire al comitato misto dell’unione doganale in forza dell’art. 46 della decisione n. 1/95 o al consiglio di associazione a norma dell’art. 47, n. 2, del protocollo addizionale.

94. A tale proposito occorre constatare che le suddette disposizioni dell’art. 47, n. 2, del protocollo addizionale e quelle dell’art. 46 della decisione n. 1/95 istituiscono, come spiegato al punto 88 di questa sentenza, una semplice formalità di informazione interistituzionale. Posto che esse disciplinano unicamente le relazioni di diritto internazionale tra la Comunità e la Repubblica di Turchia, non si può presumere che implichino anche un obbligo in capo alle parti contraenti di informare i privati assoggettati alla loro giurisdizione. Pertanto, in assenza di espresse disposizioni contrarie, le norme dell’art. 47 della decisione n. 1/95 non possono essere interpretate nel senso che esigono implicitamente che le parti contraenti portino tali informazioni a conoscenza degli operatori economici.

95. È vero che gli operatori interessati hanno il diritto di pretendere di essere informati preventivamente ed in modo chiaro e preciso sulle misure antidumping alle quali potranno essere assoggettati ed è vero che, di conseguenza, tali misure devono essere oggetto di adeguata pubblicazione, in particolare nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea , tuttavia tali obblighi non implicano affatto che i detti operatori siano inoltre informati su formalità che sono state istituite solo nell’interesse delle parti contraenti.

96. Peraltro, la circostanza che misure antidumping come quelle in esame nella causa principale siano state oggetto, come sostiene l’Asda, di una pubblicità insufficiente, anche ritenendola dimostrata, e per quanto riprovevole, resterebbe in ogni caso priva di effetto sulla portata degli obblighi di informazione incombenti alle parti contraenti nei confronti degli unici organi da esse istituiti per garantire il buon funzionamento dell’accordo di associazione CEE‑Turchia e dell’unione doganale instaurata tra la Comunità economica europea e la Repubblica di Turchia.

97. Alla luce di quanto precede, occorre risolvere l’ottava questione dichiarando che le disposizioni dell’art. 47 della decisione n. 1/95 devono essere interpretate nel senso che non richiedono che siano portate a conoscenza degli operatori le informazioni che le parti contraenti che hanno adottato misure antidumping devono fornire al comitato misto dell’unione doganale in forza dell’art. 46 della decisione n. 1/95, o al consiglio di associazione a norma dell’art. 47, n. 2, del protocollo addizionale.

Sulle spese

98. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Dispositivo

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

1) Dall’esame della prima questione sottoposta non è emerso nessun elemento idoneo ad inficiare la validità delle disposizioni di cui alla colonna 3, voce 8528, della nomenclatura combinata, menzionata all’allegato 11 del regolamento (CEE) della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454, che fissa talune disposizioni d’applicazione del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio che istituisce il codice doganale comunitario.

2) Le disposizioni figuranti nella colonna 3, voce 8528, della nomenclatura combinata, menzionata all’allegato 11 del regolamento n. 2454/93, devono essere interpretate nel senso che, per procedere al calcolo del valore acquisito dagli apparecchi riceventi per la televisione a colori in occasione della loro fabbricazione alle condizioni della causa principale, l’origine non preferenziale di un componente distinto, quale uno chassis, non deve essere determinata separatamente.

3) Le disposizioni dell’art. 44 della decisione del consiglio di associazione CEE‑Turchia 22 dicembre 1995, n. 1, relativa all’attuazione della fase finale dell’unione doganale, lette in combinato disposto con quelle dell’art. 47, nn. 1‑3, del protocollo addizionale, firmato il 23 novembre 1970 a Bruxelles e concluso, approvato e confermato in nome della Comunità dal regolamento (CEE) del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 2760, allegato all’accordo che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia firmato ad Ankara il 12 settembre 1963 dalla Repubblica di Turchia, nonché dagli Stati membri della Comunità economica europea e dalla Comunità, concluso, approvato e confermato a nome della Comunità con la decisione del Consiglio 23 dicembre 1963, 64/732/CEE, e le disposizioni degli artt. 45 e 46 della decisione n. 1/95 non possiedono effetto diretto dinanzi ai giudici nazionali e non consentono quindi ai singoli operatori di far valere proficuamente la loro violazione per opporsi al pagamento di dazi antidumping di norma esigibili. Le disposizioni dell’art. 47 della decisione n. 1/95 sono dotate di effetto diretto e i singoli ai quali esse si applicano hanno il diritto di farle valere dinanzi ai giudici degli Stati membri.

4) Le disposizioni dell’art. 47 della decisione n. 1/95 devono essere interpretate nel senso che non richiedono che siano portate a conoscenza degli operatori le informazioni che le parti contraenti che hanno adottato misure antidumping devono fornire al comitato misto dell’unione doganale in forza dell’art. 46 della decisione n. 1/95, o al consiglio di associazione a norma dell’art. 47, n. 2, del protocollo addizionale.

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