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Document 52007IE1461

    Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Politica comunitaria di immigrazione e di cooperazione con i paesi d'origine per promuovere lo sviluppo

    GU C 44 del 16.2.2008, p. 91–102 (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

    16.2.2008   

    IT

    Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

    C 44/91


    Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Politica comunitaria di immigrazione e di cooperazione con i paesi d'origine per promuovere lo sviluppo

    (2008/C 44/21)

    Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sulla «Politica comunitaria di immigrazione e di cooperazione con i paesi d'origine per promuovere lo sviluppo».

    La sezione specializzata Occupazione, affari sociali e cittadinanza, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 ottobre 2007, sulla base del rapporto introduttivo predisposto dal relatore PARIZA CASTAÑOS.

    Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 ottobre 2007, nel corso della 439a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 94 voti favorevoli, nessun voto contrario e 6 astensioni.

    1.   Introduzione

    1.1.

    A partire dal 2006 è andata consolidandosi una nuova prospettiva nella gestione delle migrazioni e delle politiche in materia, specie grazie al dialogo ad alto livello delle Nazioni Unite sulla migrazione internazionale e lo sviluppo (1). L'analisi delle relazioni tra le migrazioni e lo sviluppo ha dato vita a un nuovo modo di osservare le migrazioni, che tiene conto degli interessi dei paesi di origine e che consente pertanto di superare l'ottica che ha finora dominato in Europa, secondo la quale le politiche migratorie si definivano unicamente in funzione delle necessità e degli interessi delle società di accoglienza.

    1.2.

    Ancora prima che venisse avviato il dialogo ad alto livello delle Nazioni Unite è stata presentata, nell'ottobre del 2005, la relazione conclusiva della Commissione mondiale sulle migrazioni internazionali (GCIM); tale documento stabiliva già le premesse di un visione multidimensionale delle migrazioni internazionali, in cui gli aspetti dello sviluppo dei paesi di origine dei migranti assumevano particolare importanza. La relazione conclusiva è stata seguita da un gran numero di lavori e di incontri svolti nel quadro delle Nazioni Unite o in altri contesti internazionali.

    1.3.

    L'Unione europea ha partecipato a questo dibattito e ha iniziato a considerare le politiche sulla migrazione anche in base alle loro relazioni con quelle di cooperazione allo sviluppo. Già nel 2002 la Commissione aveva pubblicato una relazione sull'emigrazione e le relazioni con i paesi terzi (2), in cui inquadrava in una prospettiva a largo raggio il tema delle migrazioni, per fare in modo che non finisse per coincidere con quello della lotta all'immigrazione irregolare e per fare anzi emergere gli aspetti positivi delle migrazioni e le loro relazioni con gli obiettivi di lotta alla povertà. La comunicazione menzionava l'importanza delle rimesse degli emigrati, la fuga di cervelli dovuta all'attrazione esercitata dai paesi ricchi (tra cui quelli dell'UE), il ritorno in patria e altri aspetti; tutte le questioni venivano considerate in relazione agli obiettivi di sviluppo dei paesi di origine.

    1.4.

    Parimenti, il regolamento del 2004 che istituisce un programma di assistenza finanziaria e tecnica ai paesi terzi in materia di migrazione e asilo (Aeneas) (3) prevede la possibilità di finanziare una gestione delle migrazioni attenta agli interessi dei paesi di origine (il regolamento prevede anzitutto il finanziamento della lotta all'immigrazione irregolare).

    1.5.

    Il documento che tratta la questione nel modo più ampio è stato però la comunicazione sul tema Migrazione e sviluppo, presentata dalla Commissione a fine 2005 (4). Questo documento prosegue il discorso aperto con la comunicazione del 2002, ma a differenza di quest'ultima si concentra maggiormente sui rapporti tra migrazioni e sviluppo, lasciando al margine altri aspetti, come la lotta all'immigrazione irregolare. Vengono trattati nuovi aspetti relativi per esempio alle rimesse, al rafforzamento del ruolo delle organizzazioni di emigrati ai fini dello sviluppo, alla circolazione dei talenti (e alla riduzione degli effetti negativi della fuga di cervelli), ecc.

    1.6.

    Questa comunicazione è integrata da un altro documento, una comunicazione elaborata specificamente in vista della partecipazione al dialogo ad alto livello delle Nazioni Unite sulla migrazione e lo sviluppo (5).

    1.7.

    Una nuova comunicazione (6) della Commissione sviluppa ulteriormente l'approccio di cui sopra, proponendo politiche di immigrazione circolare e associazioni di mobilità tra l'UE e i paesi terzi. Il punto di vista del CESE in materia viene esposto nel capitolo 11 del presente parere.

    1.8.

    Anche il Parlamento europeo ha elaborato un proprio parere (7), che verte sugli stessi temi affrontati dalla comunicazione della Commissione, ma è più incisivo nelle sue proposte. Tale documento critica l'ammissione selettiva dei migranti, o «migrazione scelta», perché favorisce la fuga di cervelli, e propone misure concrete per favorire il ritorno in patria dei più qualificati, ad esempio programmi volti a compensare la differenza di salario in caso di rientro, o misure volte a garantire il trasferimento dei diritti pensionistici e previdenziali per coloro che rientrano nel paese d'origine. Il documento menziona inoltre la circolazione dei cervelli, elogia le politiche di co-sviluppo, propone delle azioni riguardanti le rimesse, ecc.

    1.9.

    Attraverso il presente parere e il parere di iniziativa sul tema Migrazione e sviluppo: opportunità e sfide  (8), il CESE dà un nuovo contributo alle politiche dell'UE in materia di immigrazione, presentando inoltre una nuova prospettiva: una cooperazione con i paesi di origine volta a favorire il loro sviluppo.

    2.   La dimensione globale della disoccupazione, della povertà e della disuguaglianza  (9)

    2.1.

    Negli ultimi decenni si è prodotto, almeno in termini di PIL, un aumento senza precedenti della ricchezza materiale e della prosperità nel mondo. Tuttavia questa prosperità si è ripartita in modo altamente ineguale, dato che numerosi paesi e centinaia di milioni di persone non hanno beneficiato dell'aumento della ricchezza.

    2.2.

    L'incremento del PIL non riflette con esattezza il grado di sviluppo di una determinata società. L'indice di sviluppo umano del programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (10) cerca una definizione più ampia dello sviluppo, che vada al di là del PIL e comprenda tra l'altro l'aspettativa di vita e i livelli di formazione. Tuttavia, anche tale definizione non tiene conto di altri indicatori piuttosto importanti, come il rispetto dei diritti umani, la democrazia, l'accesso a un lavoro dignitoso o l'uguaglianza.

    2.3.

    Una questione preminente è la mancanza di lavoro o di altri mezzi di sostentamento. La disoccupazione è comunemente un fattore chiave nel motivare le persone a spostarsi dove possono trovare migliori opportunità. La popolazione mondiale era pari a 6,7 miliardi di persone nel 2006 ed essa cresce di circa 75 milioni di persone ogni anno, crescita che avviene in gran parte nei paesi in via di sviluppo. Il rapporto dell'OIL, Global employment trends 2007, stima che la forza lavoro mondiale nel 2006 contava circa 2,9 miliardi di persone (11). Per lo stesso anno si è calcolato un numero di disoccupati pari a 195,2 milioni di persone, circa il 6,3 % della forza lavoro totale. Il numero dei cosiddetti «poveri con un'occupazione», ovvero persone che pur lavorando vivono con l'equivalente di 2 dollari USA al giorno o meno, è continuato a crescere per raggiungere 1,37 miliardi nel 2007 (12).

    2.4.

    La disastrosa situazione dei contadini nei paesi in via di sviluppo costituisce un fattore economico potente dietro le migrazioni internazionali — lo è ora e lo sarà in futuro. Nel 2000, circa il 43 % dei lavoratori mondiali erano occupati nell'agricoltura e in genere nei paesi più poveri le condizioni di questi lavoratori sono peggiori rispetto a quelle degli abitanti delle zone urbane. Ciò è in parte il risultato, tra l'altro, di politiche pubbliche. Queste spesso rispecchiano pacchetti di aggiustamento strutturale che hanno spinto i paesi a «modernizzare» la produzione agricola per orientarla maggiormente all'esportazione. Ciò ha avuto come conseguenza quella di pregiudicare la posizione dei piccoli produttori agricoli a causa della crescente liberalizzazione del commercio, che li ha espulsi dall'attività agricola o li ha spinti in una sottooccupazione cronica oppure ad emigrare dal mondo rurale. In effetti, tra il 1980 e il 1999 la quota della popolazione urbana su quella totale è salita dal 32 % al 41 % nei paesi a basso e medio reddito (13).

    2.5.

    Va sottolineato che tra il reddito e lo sviluppo umano non esiste una correlazione automatica. Grazie a politiche pubbliche adeguate o all'assenza di conflitti, si può verificare che paesi con un reddito minore abbiano un indice di sviluppo umano (14) più elevato.

    2.6.

    In questo mondo globalizzato, i paesi che occupano i due estremi della scala dello sviluppo umano sono la Norvegia e il Niger. I cittadini norvegesi sono 40 volte più ricchi di quelli del Niger, la loro aspettativa di vita è doppia e il loro tasso di scolarizzazione cinque volte maggiore.

    2.7.

    Da un esame delle tendenze dagli anni '70 ad ora risulta che la maggior parte dei paesi ha migliorato il proprio indice di sviluppo umano. L'unica eccezione è costituita dall'Africa subsahariana, regione in cui si trovano 28 dei 31 paesi con il più basso livello di sviluppo umano.

    2.8.

    Altri dati significativi sono i seguenti:

    negli ultimi 30 anni la speranza media di vita alla nascita è aumentata di 7 anni nei paesi sviluppati e di 9 anni nei paesi in via di sviluppo. L'unica eccezione è stata l'Africa subsahariana, dove la speranza di vita media in questi 30 anni si è ridotta scendendo di 20 anni in Botswana e di 13 nello Zambia,

    il tasso di mortalità infantile cala più rapidamente nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo,

    nel contesto di un'economia mondiale basata sulla conoscenza, il periodo di scolarizzazione dei minori dei paesi ad alto reddito è di oltre 15 anni. Nel Burkina Faso tale media è inferiore a 4 anni. Nei paesi meno sviluppati il 20 % dei minori non completa gli studi elementari. In Ciad, Malawi o Ruanda tale quota è superiore al 40 %,

    in America Latina, malgrado le nuove tendenze positive, permangono gravi problemi di povertà e di ripartizione ineguale della ricchezza.

    2.9.

    La povertà nel mondo si è ridotta (15), ma tale riduzione è dovuta in gran parte allo sviluppo che ha caratterizzato negli ultimi anni la Cina e l'India. Il 20 % più povero della popolazione dispone solo dell'1,5 % del reddito mondiale e ha un reddito inferiore a 1 dollaro USA al giorno. Il 40 % della popolazione mondiale dispone solo del 5 % del reddito mondiale e vive con meno di 2 dollari al giorno. Il 90 % degli abitanti dei paesi OCSE fa parte del 20 % della popolazione mondiale con il reddito più alto. All'altra estremità della scala, il 50 % degli abitanti dell'Africa subsahariana fa parte del 20 % più povero della popolazione mondiale. Le 500 persone più ricche del mondo hanno redditi (senza contare il patrimonio) superiori a quelli dei 416 milioni di persone più povere.

    2.10.

    I paesi di origine dell'emigrazione sono accomunati dalla povertà, dalla disoccupazione e dalla disuguaglianza. I fattori che inducono molte persone ad abbandonare il proprio paese e ad andare alla ricerca di prospettive migliori sono la mancanza di un lavoro dignitoso, la crisi economica, la mancanza di prospettive di sviluppo, le calamità e le malattie le guerre, la corruzione e l'inefficienza di alcuni governi, la mancanza di libertà e di istituzioni democratiche. La Commissione mondiale sulle migrazioni internazionali, nel rapporto presentato all'ONU nel 2005, osserva che molti flussi migratori di grandi proporzioni, non desiderati e difficili da gestire, sono il risultato del mancato sviluppo sostenibile e dei problemi strutturali di numerosi paesi.

    2.11.

    D'altronde le reti criminali che si dedicano alla tratta e al traffico illegale di esseri umani approfittano di questa situazione per arricchirsi con l'immigrazione irregolare. È perciò importante avviare un'azione concertata appropriata contro tali reti criminali senza scrupoli, che approfittano della difficilissima situazione di persone innocenti. È altrettanto importante che vi siano efficaci controlli di frontiera, comprese le frontiere marittime, adeguatamente coordinati tra i paesi di transito e di destinazione.

    2.12.

    Promuovere la pace, la democrazia, la crescita economica e sociale, lo sviluppo umano, la lotta alla povertà e alla disuguaglianza può contribuire fortemente a ridurre l'emigrazione non desiderata.

    2.13.

    Tuttavia, coloro che emigrano non sono le persone più povere, le quali in effetti non hanno i mezzi per farlo. Emigrano invece quelli che hanno un qualche reddito (personale o familiare), una formazione migliore, un maggior dinamismo o condizioni di salute migliori; spesso si tratta dei più giovani. Almeno nella fase iniziale l'emigrazione contribuisce alla perdita di capitale umano dei paesi di origine.

    2.14.

    Anche se non sempre è così, ciò che induce molte persone a migrare verso l'Europa sono la povertà e la mancanza di opportunità. L'UE deve collaborare attivamente alla lotta contro la povertà nei paesi di origine degli emigranti e applicare un approccio integrale alla politica in materia di immigrazione.

    2.15.

    Il CESE propone all'Unione e ai suoi Stati membri di dare un nuovo impulso politico agli Obiettivi di sviluppo del millennio, che sono stati concordati sette anni fa in sede ONU e debbono essere raggiunti entro il 2015. Questi obiettivi devono essere completati dalla promozione del lavoro dignitoso sostenuta dall'Organizzazione internazionale del lavoro.

    2.16.

    I progressi sono lenti e la comunità internazionale non sta sostenendo i necessari sforzi politici. Ad esempio pochi Stati membri rispettano l'impegno di destinare agli aiuti allo sviluppo lo 0,7 % del loro PIL. La valutazione intermedia presentata nel 2007 dal Segretario generale delle Nazioni Unite (16) è deludente, i progressi sono modesti e addirittura nel periodo 2005-2006 si è registrata una riduzione pari al 5,1 % degli aiuti allo sviluppo.

    2.17.

    Il Comitato invita la Commissione europea ad adottare un preciso calendario per la realizzazione degli otto obiettivi del Millennio:

    eliminare la fame: dimezzare la povertà estrema, ossia la percentuale di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno,

    istruzione universale: garantire l'istruzione elementare a tutti i bambini,

    uguaglianza: eliminare la disuguaglianza di genere e promuovere l'empowerment delle donne,

    mortalità infantile: ridurre di due terzi il tasso di mortalità al di sotto dei cinque anni di età,

    salute materna: ridurre di tre quarti il tasso di mortalità durante la gravidanza,

    pandemie: invertire la tendenza alla diffusione dell'HIV/AIDS, della malaria e di altre malattie,

    sostenibilità: dimezzare la percentuale di persone che non hanno accesso all'acqua potabile e a condizioni igieniche di base,

    commercio: istituire un sistema multilaterale di scambi e in pari tempo contrastare la corruzione e promuovere una buona governance.

    3.   Commercio e sviluppo

    3.1.

    L'apertura commerciale è per molti versi connessa alla crescita economica, allo sviluppo, alla creazione di lavoro e alla riduzione della povertà. I negoziati attualmente in corso in ambito OMC costituiscono l'esempio più chiaro di questo assunto; la tornata attualmente in corso, nota come Doha Round, è dedicata in particolare agli obiettivi dello sviluppo. Lo sviluppo è anche l'obiettivo degli accordi di associazione economica inseriti nell'Accordo di Cotonou tra l'Unione europea e i paesi associati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico; esso costituisce inoltre il tema della recente comunicazione della Commissione Verso una strategia dell'UE in materia di aiuti al commercio  (17).

    3.2.

    L'apertura commerciale viene talvolta messa in relazione con lo sviluppo dei paesi poveri e con la riduzione dell'immigrazione indesiderata. Altre volte l'emigrazione viene spiegata come una conseguenza della chiusura dei mercati dei paesi sviluppati ai prodotti dei paesi in via di sviluppo.

    3.3.

    Bisogna valutare in che modo promuovere il commercio possa contribuire a ridurre la povertà nel mondo. Il CESE ritiene che lo studio eseguito congiuntamente dall'Organizzazione internazionale del lavoro e dall'OMC e intitolato Trade and employment. Challenges for policy research, del marzo 2007, costituisca un punto di riferimento essenziale.

    3.4.

    Negli ultimi decenni la considerevole riduzione degli ostacoli al commercio si è accompagnata ad una diminuzione della povertà nel mondo, anche se questa diminuzione della povertà si è concentrata in Cina e in India, e anche limitatamente a determinate regioni e settori della società. Le esperienze dei paesi che hanno aperto la propria economia sono varie: dove lo sviluppo si è basato sull'esportazione tessile, la povertà non si è ridotta in misura significativa. Altrove si è avuta solamente una crescita dell'economia informale. Il divario salariale tra lavoratori qualificati e non qualificati è diminuito in Asia, mentre è invece aumentato in America Latina (18).

    3.5.

    A differenza delle elite che dirigono alcuni paesi in via di sviluppo, il CESE non crede che vi sia contraddizione tra lo sviluppo e i diritti umani. Dagli studi eseguiti (19) emerge che i paesi che passano ad un sistema politico democratico, promuovono i diritti sul lavoro e migliorano la protezione sociale beneficiano di un aumento degli investimenti esteri e delle esportazioni. Esempi di buona gestione, che il Comitato appoggia, sono il rispetto delle norme internazionali dell'OIL per la promozione del lavoro dignitoso e il sostegno al dialogo sociale delle parti sociali e al dialogo con le organizzazioni della società civile.

    3.6.

    Anche l'apertura dei mercati dei paesi industrializzati può favorire lo sviluppo; tuttavia le conseguenze non sono sempre favorevoli per tutti i paesi, ma anzi solo quelli che sono pervenuti ad un certo livello di sviluppo e presentano mercati nazionali consolidati, infrastrutture efficienti per l'esportazione e sistemi politici stabili possono approfittare delle riduzioni delle tariffe doganali per accrescere il proprio grado di sviluppo e ridurre la povertà.

    3.7.

    Gli effetti della globalizzazione sullo sviluppo dei vari paesi variano considerevolmente, in funzione delle rispettive politiche. Innalzando il livello dell'istruzione, della sanità, delle infrastrutture e delle politiche occupazionali si promuove la crescita e si riducono la povertà e la disuguaglianza.

    3.8.

    Il CESE ritiene che l'UE, nei negoziati in sede OMC, debba impegnarsi per un incremento del commercio internazionale — specie tra UE, Africa e America Latina — e a favore di un'estensione della democrazia e dei diritti umani nel mondo.

    3.9.

    L'UE intrattiene rapporti di associazione con vari paesi del mondo: i paesi euromediterranei, i paesi ACP, la Russia e vicini orientali, i paesi del Mercosur, la Comunità andina, la Cina, l'India ecc. Attraverso i pareri e i comitati misti, il CESE fa in modo che tali accordi vadano al di là delle questioni commerciali e si estendano a varie questioni sociali.

    4.   La cooperazione allo sviluppo

    4.1.

    Attraverso la sua politica di cooperazione allo sviluppo l'UE deve spingere i paesi beneficiari a realizzare politiche pubbliche di formazione e di occupazione in collaborazione con le parti sociali e le organizzazioni della società civile. Politiche di questo tipo, insieme alla promozione della pace e al buon governo, sono fondamentali per lo sviluppo.

    4.2.

    Finora le politiche dell'UE in materia di cooperazione allo sviluppo hanno dato scarsa importanza al ruolo delle migrazioni come fattore di lotta contro la povertà.

    4.3.

    Gli aiuti ufficiali allo sviluppo si basano sui principi della giustizia sociale e della ridistribuzione della ricchezza. La politica di cooperazione allo sviluppo è intesa a lottare contro la povertà e a fare in modo che tutte le persone abbiano una vita dignitosa. Ancorché non sia direttamente finalizzata a favorire o a frenare i movimenti migratori, la lotta alla povertà e alla disuguaglianza può contribuire a ridurre le cause dell'emigrazione non volontaria (20).

    4.4.

    Utilizzare la politica di cooperazione allo sviluppo come fattore di pressione nei negoziati internazionali in materia di migrazione, come hanno prospettato alcuni leader europei al vertice di Siviglia, è inaccettabile.

    4.5.

    Il CESE ritiene che l'UE possa promuovere il coinvolgimento delle comunità di immigrati nei progetti di cooperazione; il contributo di tali comunità può essere infatti molto importante per l'elaborazione delle proposte, messe a punto a volte da esperti dei paesi donatori che conoscono solo in parte le zone beneficiarie, e per la valutazione dei relativi risultati.

    4.6.

    Gli obiettivi primari della cooperazione dell'UE allo sviluppo sono la democrazia e i diritti umani, l'istruzione e la formazione, la promozione dell'indipendenza della donna, la salute e l'ambiente. Il CESE ritiene molto importante anche il rafforzamento e la promozione delle organizzazioni della società civile.

    4.7.

    L'UE, dal canto suo, può offrire un sostegno alla costituzione di reti e di commissioni miste tra le parti sociali e le organizzazioni della società civile dei paesi di origine e di quelli di accoglienza. Per esempio la sensibilizzazione della popolazione costituisce una componente fondamentale delle politiche di cooperazione allo sviluppo. Si dovrebbe inoltre informare l'opinione pubblica dei paesi europei di accoglienza in merito alla cultura, alle condizioni di vita, di lavoro, sociali e politiche dei paesi di origine dell'immigrazione.

    5.   Una politica europea in materia di immigrazione attuata in collaborazione con i paesi di origine

    5.1.

    Sorprende che gli Stati membri dell'UE non abbiano ancora ratificato la Convenzione internazionale sui diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione 45/158 del 18 dicembre 1990 e in vigore dal 1o luglio 2003. Il CESE ribadisce l'invito (21) rivolto all'UE e ai suoi Stati membri a ratificare detto documento. Conformemente a quanto viene sancito nelle conclusioni dei Consigli europei di Tampere e dell'Aia, il CESE ritiene che la politica europea in materia di immigrazione debba basarsi sul rispetto dei diritti umani e sulla parità di trattamento.

    5.2.

    Il CESE propone alla Commissione, al Parlamento e al Consiglio di promuovere, nell'ambito dell'azione esterna dell'Unione, un quadro normativo internazionale per le migrazioni, basato sulla Dichiarazione universale dei diritti umani, sul Patto sui diritti civili e politici e sul Patto sui diritti economici, sociali e culturali. Questo quadro normativo internazionale deve comprendere:

    la Convenzione internazionale dell'ONU sui diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie,

    la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne (CEDAW),

    la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (CERD),

    la Convenzione sui diritti dei minori (CRC),

    le convenzioni dell'OIL sui lavoratori migranti (C 97 e C 143),

    la dichiarazione dell'OIL sui principi e i diritti fondamentali sul lavoro,

    il Quadro multilaterale dell'OIL sulle migrazioni per lavoro,

    la Dichiarazione di Durban e il programma d'azione della Conferenza mondiale contro il razzismo organizzata dall'ONU nel 2001.

    5.3.

    Attualmente le politiche in materia di immigrazione si sono incentrate su questioni pertinenti, che il CESE approva, ma che corrispondono esclusivamente agli interessi dei paesi di accoglienza europei, vale a dire la lotta contro l'immigrazione irregolare e il traffico di esseri umani, il soddisfacimento delle esigenze del nostro mercato del lavoro e del nostro sviluppo economico. Anche i problemi di convivenza o di identità vengono visti nella stessa ottica; le politiche di ammissione sono definite in modo da attirare immigranti altamente qualificati, mentre altri vengono respinti. In funzione di queste considerazioni gli europei adottano politiche di immigrazione più o meno aperte o restrittive, ma sempre tenendo conto soltanto degli effetti dell'immigrazione sulle società europee.

    5.4.

    Nondimeno l'UE e la maggior parte degli Stati membri attuano politiche molto attive di cooperazione allo sviluppo; inoltre l'Europa partecipa ad accordi di vicinato e di associazione con numerosi paesi del mondo. Tuttavia tali politiche sono state applicate finora senza un collegamento adeguato con la politica di immigrazione, come se si trattasse di compartimenti stagni, in base alla considerazione erronea che si possa condurre una politica di immigrazione senza la collaborazione dei paesi di origine.

    5.5.

    Gli effetti delle migrazioni sui paesi in via di sviluppo sono oggetto di numerosi studi, che pervengono tutti ad una conclusione comune: i migranti offrono un utile contributo alle sviluppo economico e sociale dei paesi di origine, sebbene per alcuni paesi vi siano anche effetti negativi. Tra le ripercussioni positive figurano in primo piano le rimesse, tra quelle negative, la fuga di cervelli e la perdita di risorse umane.

    5.6.

    Il CESE è favorevole ad un nuovo approccio per le politiche europee: gestire la politica di immigrazione in collaborazione con i paesi di origine, per fare in modo che per essi le migrazioni siano un fattore di sviluppo. Bisognerà quindi riconsiderare numerosi aspetti di tale politica, tra cui quelli relativi ai criteri di ammissione e alla possibilità di circolazione degli immigranti.

    6.   Le migrazioni sono utili sia ai paesi di origine che a quelli di accoglienza

    6.1.

    I benefici dell'immigrazione per i paesi d'accoglienza sono stati esposti estesamente in altri pareri del CESE. Nel caso dai paesi europei, l'immigrazione ha soddisfatto le necessità createsi nel mercato del lavoro a causa dell'evoluzione demografica (22). Gli immigranti occupano posti di lavoro che non sono coperti da lavoratori autoctoni e contribuiscono allo sviluppo economico, alla creazione di posti di lavoro e al progresso sociale. Come afferma il rapporto del Segretario generale nel quadro del Dialogo ad alto livello delle Nazioni Unite sulla migrazione internazionale e lo sviluppo, gli immigranti contribuiscono alla crescita economica dei paesi di accoglienza perché preservano la vitalità economica di attività che, se non fosse per loro, verrebbero delocalizzate; vi contribuiscono anche per il fatto di accrescere la popolazione attiva e il numero di consumatori, nonché per l'apporto delle loro capacità imprenditoriali (23). Il Comitato ha anche proposto che l'UE rafforzi le politiche di integrazione (24). Le migrazioni possono essere positive per tutti: per i migranti, per le società di accoglienza e per i paesi di origine.

    6.2.

    Per i paesi in via di sviluppo l'emigrazione permette il deflusso della mano d'opera in eccesso e quindi riduce la disoccupazione; inoltre le rimesse inviate alle famiglie costituiscono un importante meccanismo di riduzione della povertà. D'altro canto gli emigrati, quando rientrano nel proprio paese, svolgono un ruolo sempre più importante nell'infondere dinamismo nell'economia, dato che divengono imprenditori o promotori di attività economiche di piccola entità, e trasmettono conoscenze e tecnologie nuove. Vi sono tuttavia effetti negativi dell'emigrazione, come la perdita dei giovani meglio formati e più intraprendenti.

    6.3.

    Il CESE propone di agire attraverso la collaborazione con i paesi di origine per moltiplicare gli effetti positivi e ridurre quelli negativi; si tratta di una delle sfide della nostra epoca. La relazione finale della Commissione mondiale sulle migrazioni internazionali asserisce che la sfida attuale consiste nel formulare delle politiche in grado di accrescere i vantaggi della migrazione per i paesi di origine e di limitarne le conseguenze negative. Sempre secondo tale documento le migrazioni devono essere inserite nelle strategie di sviluppo nazionali, regionali e mondiali, e a tal fine è necessario che i paesi di accoglienza riconoscano chiaramente la loro utilità (25).

    6.4.

    Isolata dagli altri fattori politici, economici e sociali, la migrazione non può fungere da propulsore dello sviluppo. Il CESE ritiene quindi necessario che l'UE metta a punto un nuovo approccio in materia di politica di immigrazione e di sviluppo — in collaborazione con i paesi di origine — e promuova lo sviluppo attraverso degli adeguamenti strutturali che favoriscano la democrazia e il buon governo e aiutino a ridurre la disuguaglianza e a migliorare il capitale umano e le infrastrutture necessarie affinché lo sviluppo sia sostenibile.

    7.   I vantaggi derivanti dalle rimesse

    7.1.

    Le rimesse sono risorse personali degli emigranti, che, tuttavia per alcuni paesi di origine, hanno acquistato grande importanza come fonte di entrate. Le cifre si commentano da sole: secondo stime del Banco mondiale nel 2005 le rimesse affluite nei paesi in via di sviluppo ammontavano a 167 miliardi di dollari, contro 69 miliardi del 1990. Il Segretario generale dell'ONU ha affermato che nel 2006 gli emigranti hanno inviato rimesse per 264 miliardi di dollari, cifra che è pari a quasi il quadruplo dell'aiuto ufficiale allo sviluppo e in alcuni paesi è addirittura superiore agli investimenti esteri.

    7.2.

    Le rimesse costituiscono una aiuto continuo e stabile al mantenimento familiare. Gli immigranti e le loro famiglie sono i protagonisti principali di questi trasferimenti internazionali di denaro. In Europa una quota compresa tra il 60 % e il 70 % degli immigranti invia denaro a propri familiari. Le loro rimesse vengono destinate principalmente al consumo diretto, ma non solo a quello di beni materiali, infatti una parte non trascurabile viene spesa per l'istruzione e la salute, cosa che comporta un miglioramento del capitale umano. L'economia delle zone dove si ricevono le rimesse beneficia dell'aumento dei consumi e degli investimenti in piccole attività economiche e l'aumentata circolazione di denaro favorisce lo sviluppo del settore finanziario. Infine, le entrate in divise europee contribuiscono all'equilibrio finanziario dei paesi di origine.

    7.3.

    Oltre ai vantaggi possono presentarsi anche dei problemi: alcuni prodotti di consumo aumentano di prezzo, e aumentano le difficoltà per le famiglie che non ricevono rimesse; si verifica inoltre l'abbandono di alcune coltivazioni e di alcuni settori di produzione (quelli meno redditizi), come pure di determinati posti di lavoro che producono un reddito molto modesto a confronto di quello derivante dalle rimesse.

    7.4.

    Questi problemi vanno tenuti in considerazione, ma la Commissione mondiale sulle migrazioni internazionali è giunta alla conclusione che le rimesse costituiscono complessivamente un importante fattore positivo per i paesi in via di sviluppo. Infatti, gli invii di denaro attraverso canali ufficiali forniscono un'importante fonte di divise estere per i paesi destinatari, innalzano le capacità del settore finanziario, aiutano ad attirare ulteriori investimenti e forniscono una certa leva finanziaria per i prestiti destinati al settore pubblico (26).

    7.5.

    È necessario ridurre i canali di invio informali, i quali comportano costi e rischi maggiori. In molti casi si creano reti informali a causa dell'assenza di istituzioni finanziarie nelle zone più remote. Il CESE ritiene che per ottimizzare i vantaggi per i paesi di origine sia necessario ridurre i costi di intermediazione finanziaria delle rimesse, che spesso sono esagerati e non corrispondono ai costi di altre transazioni economiche internazionali. Gli esperti calcolano che il costo varia sensibilmente da una regione all'altra, per esempio i trasferimenti dalla Spagna all'America latina e ai Caraibi costano il 2 %, mentre quelli dall'Europa alla maggior parte dei paesi africani costano dall'8 % al 10 %. Le autorità e gli organi di vigilanza del settore finanziario europeo devono promuovere un comportamento etico e socialmente responsabile da parte delle banche europee, che si rifletta in una riduzione dei costi di invio. Tuttavia, anche le banche dei paesi di origine, la cui struttura e le cui garanzie sono spesso insufficienti, dovrebbero divenire più efficaci. L'Europa deve promuovere degli accordi tra i settori finanziari dei due versanti, con la mediazione dei governi e delle organizzazioni internazionali, per ridurre il costo finale dei trasferimenti. Le banche, attraverso accordi di responsabilità sociale, possono promuovere sistemi di buone pratiche.

    7.6.

    La Commissione ha annunciato una direttiva sulla trasparenza delle commissioni applicate dai fornitori di servizi finanziari. Tale direttiva dovrebbe essere molto decisa nel porre fine agli eccessi che caratterizzano attualmente il settore delle rimesse. Le autorità di regolamentazione del sistema finanziario devono anch'esse vigilare affinché nelle transazioni non vengano applicati tassi di cambio inappropriati, con l'effetto di accrescere abusivamente il costo finale delle rimesse.

    7.7.

    Il CESE propone che le rimesse vengano utilizzate per promuovere gli investimenti nelle attività economiche e sociali. Le banche, in collaborazione con le autorità locali, possono sviluppare nuovi sistemi di credito vincolati alle rimesse, per finanziarie attività economiche e iniziative imprenditoriali. Ciò presuppone tuttavia che il settore finanziario locale abbia una struttura e una solvibilità adeguate.

    7.8.

    Le spese più importanti delle famiglie che ricevono le rimesse sono quelle destinate all'istruzione e alla salute. È necessario promuovere degli strumenti finanziari di garanzia e di credito vincolati alle rimesse, al fine di realizzare risultati migliori in termini educativi e di salute.

    8.   Le comunità insediate nei paesi d'accoglienza come reti transnazionali

    8.1.

    Nel contesto globalizzato degli ultimi decenni si è avuto un aumento significativo delle migrazioni internazionali, sono fortemente aumentati il numero dei migranti (27), quello dei paesi di origine, quello dei paesi di accoglienza e quello dei paesi che sono contemporaneamente paesi di emigrazione e paesi di accoglienza. Questo aumento delle migrazioni è reso più facile da una generale discesa dei prezzi dei trasporti e delle comunicazioni. Al giorno d'oggi spostarsi da un paese all'altro, e anche tra punti distanti del pianeta, è facile (fatta eccezione per i controlli di frontiera).

    8.2.

    La riduzione dei costi dei viaggi, specie di quelli aerei, insieme agli attuali sistemi di comunicazione telefonica ed elettronica, sta permettendo un aumento senza precedenti della comunicazione e delle relazioni tra le persone, tra i punti di origine e quelli di destinazione delle migrazioni. Persone che sono emigrate e si sono disperse in differenti destinazioni mantengono oggi delle reti di relazioni molto più strette e fluide di quelle che potevano avere anni fa.

    8.3.

    Le reti di emigranti svolgono un ruolo sempre più importante nei processi migratori: esse aiutano le persone a definire i rispettivi progetti di migrazione e facilitano il viaggio e il transito; esse inoltre contribuiscono all'accoglienza nel paese di destinazione, all'accesso all'alloggio e alla ricerca di lavoro.

    8.4.

    Gli emigranti stanno favorendo l'attività economica nei rispettivi luoghi di origine. Ad esempio, molte attività commerciali aperte da immigranti nelle zone di accoglienza importano prodotti dei paesi di origine e in tal modo contribuiscono alla loro produzione e al loro smercio; inoltre con l'intensificarsi dei viaggi si rafforzano le imprese di trasporto. Spesso gli immigrati che hanno raggiunto la prosperità economica nel paese di accoglienza effettuano investimenti diretti in quello di origine; in questo modo sono nate numerose attività imprenditoriali in alcune regioni della Cina e, per il settore informatico, in India e in Pakistan. Molti immigranti danno vita ad attività economiche e commerciali in Africa e in America latina.

    8.5.

    Sempre più spesso le imprese internazionali si servono di personale immigrate per impiantare la propria attività nei loro paesi di origine. Molte multinazionali europee reclutano tra gli immigranti i propri dirigenti e i propri tecnici allo scopo di rendere più internazionale la propria attività.

    8.6.

    Le comunità emigrate, organizzate in reti transnazionali, possono anch'esse contribuire a fare in modo che una parte delle rimesse confluiscano verso attività economiche e progetti imprenditoriali. Le politiche di cooperazione allo sviluppo dell'UE possono collaborare con le reti di immigranti, poiché queste offrono l'opportunità di canalizzare efficacemente gli aiuti e di moltiplicare la capacità di investimento delle comunità di emigrati.

    8.7.

    Tali comunità presenti in alcuni luoghi agiscono come reti e investono nei rispettivi paesi di origine. Esistono progetti esemplari, come quello in corso in Messico e denominato «tre per uno», in base al quale le associazioni di emigranti originari di una determinata località investono in progetti di sviluppo della stessa località, e ad ogni dollaro da loro investito se ne aggiungono altri tre a carico dei tre livelli di governo, federale, statale e comunale (28).

    8.8.

    L'UE dovrebbe sostenere le reti nazionali di queste comunità di migranti, perché così facendo si contribuisce allo sviluppo dei paesi di origine. Le associazioni in rete di una stessa città di origine possono raggruppare degli investimenti, ai quali si possono aggiungere dei contributi europei e nazionali.

    8.9.

    La Commissione europea e gli Stati membri, in collaborazione con i paesi di origine e con le organizzazioni della società civile, devono contribuire alla creazione di contesti favorevoli, che permettano alle comunità di migranti di ottimizzare l'impatto delle loro attività sullo sviluppo. Il Comitato propone di far sì che una parte dei fondi pubblici dell'UE e degli Stati membri venga destinata alle attività di sviluppo promosse dalle comunità di immigrati. Perché le attività economiche e sociali abbiano successo è fondamentale il partenariato pubblico-privati. Qui di seguito vengono presentati alcuni esempi di buone prassi:

    8.9.1.

    Il programma IntEnt, basato nei Paesi Bassi, ha sostenuto negli ultimi 10 anni quasi 2 000 imprenditori facenti parte delle comunità di emigrati da Suriname, Ghana, Marocco, Antille e Turchia, mobilitando 12,5 milioni di euro per creare 200 imprese, che hanno dato lavoro a 840 persone nei rispettivi paesi di origine.

    8.9.2.

    L'associazione Migrations & Développement, costituita nel 1986 a Marsiglia, aiuta varie organizzazioni di immigranti marocchini (e anche giovani francesi di origine marocchina) a reperire degli aiuti per i rispettivi luoghi di origine in Marocco. Migliaia di immigranti hanno contribuito finanziariamente a vari progetti e di essi 300 hanno partecipato direttamente all'attuazione, beneficiando oltre 50 000 persone in Marocco.

    8.9.3.

    Le organizzazioni di immigrati nel Regno Unito sono state in prima linea nella campagna RemitAid  (29), il cui obiettivo è ottenere degli sgravi fiscali sulle rimesse collettive inviate nei paesi d'origine per scopi connessi allo sviluppo. Grazie ad un capitale comune costituito da rimborsi fiscali sulle rimesse, il programma RemitAid sostiene iniziative di sviluppo promosse da immigrati (analogamente a quanto avviene per le donazioni a livello nazionale con il programma Gift aid).

    8.9.4.

    Il Consorzio filippino per la migrazione e lo sviluppo (Philcomdev) è una rete costituita recentemente da organizzazioni di emigranti e loro familiari, ONG, cooperative, sindacati, organizzazioni di microfinanza, imprese sociali e reti attive nelle Filippine e all'estero, che interviene nel campo della migrazione e dello sviluppo del paese.

    8.10.

    Nel quadro degli aiuti europei allo sviluppo bisognerebbe promuovere fra l'altro l'importazione in Europa di prodotti dei paesi di origine degli immigrati, commercializzati dalle reti dell'immigrazione nel quadro del commercio equo e solidale.

    8.11.

    Il CESE chiede che vengano sostenuti anche gli investimenti diretti effettuati dagli emigranti e dalle loro associazioni. Ad esempio gli investimenti in progetti nel settore turistico o nell'agricoltura offrono ampie possibilità di sviluppo in vari luoghi di origine di emigranti. I finanziamenti concessi a emigranti o a loro associazioni per realizzare progetti commerciali o effettuare investimenti diretti nei rispettivi paesi di origine sono una forma di sostegno che dovrebbe essere rafforzata nei paesi europei grazie alle politiche di cooperazione.

    9.   Il rientro e l'aumento delle possibilità di circolazione, un modo di recuperare il capitale umano

    9.1.

    Una parte dei migranti internazionali è costituita da lavoratori qualificati o altamente qualificati Da ciò deriva una delle ripercussioni più negative delle migrazioni per i paesi in via di sviluppo: la fuga di cervelli. Non tutti i paesi di origine risentono nella stessa maniera dei danni derivanti dalla fuga di cervelli, ma per alcuni essa costituisce un autentico disastro. Come risulta da una rapporto del Sistema di osservazione permanente delle migrazioni dell'OCSE, una percentuale variabile tra il 33 % e il 55 % delle persone con un elevato livello di istruzione di Angola, Burundi, Ghana, Kenya, Maurizio, Mozambico, Sierra Leone, Tanzania e Uganda vive nei paesi dell'OCSE (30). Il settore sanitario è uno di quelli che in Africa risentono maggiormente di questa situazione e altrettanto vale per quello dell'istruzione.

    9.2.

    In altri paesi di origine, invece, l'effetto dell'emigrazione di laureati e di lavoratori altamente qualificati non è altrettanto negativo. Per esempio il fatto che lavoratori specializzati nelle tecnologie dell'informazione abbandonino l'India e il Pakistan non ha ripercussioni negative, perché tali paesi dispongono di efficaci sistemi di istruzione informatica e non risentono quindi della loro partenza.

    9.3.

    La fuga di cervelli, se non ha dimensioni eccessive, può addirittura risultare utile per il paese di origine, perché origina processi di rientro o di circolazione che favoriscono l'apporto di nuove conoscenze e tecnologie e di progetti imprenditoriali; questo sviluppo si sta producendo in paesi come il Brasile e l'India. Tuttavia per numerosi paesi il drenaggio di cervelli comporta una perdita irrimediabile di specialisti e professionisti qualificati.

    9.4.

    Questo drenaggio di cervelli sta arrecando dei vantaggi ai paesi europei di accoglienza. A partire dal 2002 in vari paesi europei sono state modificate le legislazioni sull'immigrazione, per facilitare l'ingresso di lavoratori molto qualificati.

    9.5.

    La stessa Unione europea promuoverà una politica di immigrazione selettiva: il Piano d'azione sull'immigrazione legale (31) prevede l'elaborazione di una direttiva specifica per l'ammissione di lavoratori molto qualificati, che la Commissione presenterà in settembre e che sarà oggetto di un parere del Comitato. Non è tuttavia prevista l'elaborazione di una direttiva generale sull'ammissione. Malgrado le critiche che hanno suscitato da parte del CESE e del Parlamento europeo (32), in Europa saranno sviluppate simili politiche di «immigrazione selettiva», con il rischio di aggravare i problemi di alcuni paesi. Il Comitato ritiene invece che la legislazione in questo campo dovrebbe essere favorevole per tutti, e cioè tanto per i paesi di origine quanto per quelli di accoglienza e per gli stessi immigrati.

    9.6.

    Per ragioni di coerenza tra le politiche in materia di migrazione e quelle in materia di cooperazione allo sviluppo è necessario che i paesi di accoglienza affrontino con decisione e rigore il problema della fuga di cervelli. Pertanto il primo aspetto da tenere in considerazione è che i problemi che il deflusso di lavoratori comporta per il paese di origine potrebbero convertirsi in benefici qualora detti lavoratori rientrassero avendo acquisito conoscenze utili per le imprese, l'economia e i servizi pubblici del loro paese. I migranti che ritornano possono essere un veicolo per il trasferimento non solo di conoscenze e di tecnologie, ma anche di investimenti.

    9.7.

    In questa prospettiva, favorendo il rientro si promuoverà lo sviluppo dei paesi di origine. Deve trattarsi di un rientro pienamente volontario, che avviene quando il lavoratore qualificato trova condizioni favorevoli per proseguire la propria attività professionale nel paese di origine. La sfida consiste pertanto nel creare tali condizioni favorevoli.

    9.8.

    Per favorire il rientro volontario dei lavoratori qualificati occorre garantire che esso non comporti per loro la perdita del permesso di lavoro e di residenza in Europa (o la nuova cittadinanza che hanno acquisito). Solo in questo modo si potrà garantire una migrazione circolare.

    9.9.

    Il rientro può essere favorito anche trasferendo al paese di origine i diritti sociali dei lavoratori coinvolti. Occorre quindi fare in modo che funzioni correttamente il trasferimento delle pensioni e dei diritti di sicurezza sociale, compresa l'assistenza sanitaria. La relazione del Segretario generale in occasione del Dialogo ad alto livello delle Nazioni Unite sulla migrazione internazionale e lo sviluppo segnalava che la grande maggioranza dei migranti internazionali si trova di fronte ad ostacoli alla trasferibilità dei diritti pensionistici; malgrado gli accordi bilaterali conclusi, propone di elaborare un quadro internazionale caratterizzato da un grado più elevato di tutela. La Convenzione OIL n. 157 (1982) sull'istituzione di un sistema internazionale per la conservazione dei diritti di sicurezza sociale è stata ratificata da tre soli paesi (Spagna, Filippine e Svezia) (33), il Comitato propone agli altri Stati membri di ratificarla.

    9.10.

    Bisognerebbe adottare, nel quadro delle politiche europee di cooperazione allo sviluppo, dei programmi intesi ad evitare il drenaggio di cervelli e a facilitare il rientro volontario dei lavoratori qualificati, e al tempo stesso investire nei paesi di origine in attività ad elevata qualificazione.

    9.11.

    Il CESE concorda con la Commissione, la quale ha proposto che gli Stati membri elaborino codici di comportamento per gestire l'ammissione di immigranti molto qualificati in collaborazione con i paesi di origine.

    9.12.

    L'UE deve collaborare molto attivamente alla formazione dei giovani nei paesi di origine dell'immigrazione. Tali paesi soffrono infatti la perdita di gran parte del loro capitale umano meglio formato, a vantaggio delle società europee. La cooperazione in materia di formazione costituisce un modo equo di compensare tali paesi, i quali potranno disporre in futuro del capitale umano richiesto per il loro sviluppo.

    9.13.

    Il CESE desidera sottolineare l'importanza degli accordi e delle associazioni che le università europee, gli ospedali, le imprese e centri tecnologici e di ricerca possono concludere con i paesi di origine onde fare in modo che alcuni professionisti molto qualificati svolgano la propria attività nei rispettivi paesi di origine beneficiando però di un salario, di diritti sociali e di mezzi professionali comparabili a quelli europei.

    10.   Una politica di ammissione di immigranti coerente con gli obiettivi di sviluppo: accogliere significa contribuire allo sviluppo

    10.1.

    L'Unione europea e gli Stati membri devono modificare le politiche di ammissione per consentire l'immigrazione legale attraverso procedure flessibili e trasparenti. Nel parere in merito al Libro verde (34), il CESE ha proposto alla Commissione di adottare delle politiche aperte di ammissione dei lavoratori molto qualificati e di quelli meno qualificati. Il Comitato, pur comprendendo la posizione adottata da alcuni governi, ha anche chiesto agli Stati membri di porre fine al periodo transitorio che limita la libertà di residenza e di lavoro dei cittadini di alcuni nuovi Stati membri.

    10.2.

    Bisogna ridurre l'immigrazione irregolare con politiche dirette all'interno dell'UE, ad esempio misure comunitarie (35), che il Comitato esaminerà in un altro parere ancora in corso di elaborazione, volte a contrastare l'occupazione di immigrati irregolari, provvedimenti sul controllo delle frontiere e sulla lotta al traffico di esseri umani, e cooperazione con i paesi di origine e di transito. L'UE dev'essere solidale, e condividere le spese, con i paesi dell'Europa meridionale impegnati a gestire l'arrivo massiccio di immigranti irregolari e ad eseguire un gran numero di operazioni di salvataggio marittimo, di accoglienza e di soccorso umanitario. In circostanze eccezionali sarà anche necessario regolarizzare la situazione giuridica delle molte persone «senza documenti» che si trovano nell'UE, che sono vittime di sfruttamento sul lavoro e non possono beneficiare delle politiche di integrazione.

    10.3.

    Nel quadro delle politiche di ammissione più flessibili è necessario promuovere i sistemi di immigrazione temporanea e la circolazione degli immigranti, sia per i lavoratori più qualificati che per quelli a bassa qualificazione.

    10.4.

    Affinché il sistema di immigrazione temporaneo sia realistico è necessario che la legislazione comunitaria consenta il rilascio di permessi di breve durata caratterizzati da un'elevata flessibilità e integrati da procedure di rientro nel paese d'origine e da garanzie di nuove assunzioni negli anni successivi. Ciò farà sì che numerosi immigranti utilizzino i canali legali e non si trattengano in Europa in maniera irregolare allo scadere del permesso di residenza.

    10.5.

    Il CESE chiede che l'UE e gli Stati membri concordino con i paesi di origine dei procedimenti di migrazione circolare, per promuovere la mobilità dell'immigrazione grazie a procedure flessibili e trasparenti. Nell'interesse di entrambe le parti questi accordi devono essere equilibrati, affinché l'immigrazione sia anche un fattore di sviluppo per i paesi di origine.

    10.6.

    Può essere utile anche introdurre delle procedure di ammissione temporanea comprendenti accordi in materia di formazione e di riconoscimento delle qualifiche professionali, in modo che gli immigranti temporanei che lavorano in Europa possano migliorare le proprie competenze professionali e, una volta rientrati in patria, estendere le proprie opportunità occupazionali e contribuire allo sviluppo economico e sociale del proprio paese.

    10.7.

    L'attuale rigidità della legislazione europea ostacola considerevolmente la migrazione circolare. Per facilitare la circolazione degli immigranti, il loro rientro e l'attuazione di iniziative imprenditoriali nei paesi di origine, la legislazione europea sull'immigrazione deve consentire di mantenere a lungo termine il diritto alla residenza permanente.

    10.8.

    Il CESE propone pertanto di modificare la direttiva sullo status dei residenti di lungo periodo, estendendo il periodo durante il quale i residenti mantengono i propri diritti permanenti dalla durata attualmente prevista di un anno a quella di cinque anni. Il CESE, nel parere in materia (36), ha osservato che il periodo di un anno (o due, come prevedeva la proposta iniziale della Commissione) era troppo breve perché molti immigrati decidessero di affrontare la sfida e avviassero un progetto professionale di ritorno al proprio luogo di origine.

    10.9.

    Adesso che l'UE sostiene un approccio globale alla politica dell'immigrazione e tiene conto della coerenza di questa con la politica di sviluppo, bisognerebbe prevedere che tutti i residenti di lungo periodo in uno Stato membro possano tornare al proprio paese di origine per un periodo di almeno cinque anni senza perdere il diritto di residenza.

    11.   Promuovere la migrazione circolare e le associazioni di mobilità

    11.1.

    La Commissione europea ha pubblicato lo scorso maggio un'importante comunicazione (37) sulla migrazione circolare e i partenariati di mobilità tra l'Unione europea e i paesi terzi. Il presente parere, pur essendo di iniziativa, costituisce anche il contributo del CESE alla discussione aperta dalla Commissione. In vari punti del presente documento figurano le proposte del CESE in merito ad alcune delle questioni che la Commissione espone nella comunicazione.

    11.2.

    La comunicazione si divide in due parti, la prima illustra la convenienza di costituire dei partenariati di mobilità con paesi terzi, mentre la seconda riguarda più specificamente la migrazione circolare.

    11.3.

    Il Comitato accoglie con favore la proposta relativa ai partenariati di mobilità, nel cui quadro l'UE gli Stati membri offriranno delle opportunità di immigrazione legale, attraverso procedure flessibili e trasparenti. I partenariati vengono istituiti sulla base di impegni assunti sia dai paesi di emigrazione che dagli Stati membri dell'UE.

    11.4.

    Gli impegni che si richiedono ai paesi di provenienza sono quelli già previsti nel quadro della lotta all'immigrazione irregolare. Essi sono molto precisi: riammissione, controllo alle frontiere, sicurezza dei documenti di viaggio, lotta al traffico illecito e alla tratta di esseri umani, ecc. È importante che tali paesi onorino i propri obblighi internazionali derivanti dall'Accordo di Cotonou, e in particolare rispettino il disposto del suo articolo 13. Il Comitato ritiene che alcuni paesi caratterizzati da un apparato statale debole avranno grandi difficoltà a soddisfare le succitate condizioni, e chiede pertanto che i partenariati di mobilità si adeguino in maniera flessibile alle caratteristiche di ciascun paese d'origine.

    11.5.

    Gli impegni degli Stati membri possono essere, tra l'altro, di quattro tipi:

    11.5.1.

    anzitutto, offrire migliori opportunità di migrazione legale, rispettando il principio, che il Comitato condivide, della preferenza comunitaria per i cittadini dell'UE. Il CESE è d'accordo sul fatto che vari Stati membri (nel quadro di una cooperazione rafforzata) possano offrire ai paesi di origine un'offerta d'associazione congiunta che questa offerta costituisca un'offerta complessiva da parte dell'UE, sotto forma di quote e di strumenti di adattamento ai mercati del lavoro europei;

    11.5.2.

    in secondo luogo, la Commissione europea e gli Stati membri forniranno ai paesi terzi assistenza tecnica e finanziaria per gestire i flussi di migrazione legale. Il Comitato ritiene che i fondi comunitari disponibili nel quadro del programma tecnico sulla migrazione e l'asilo saranno insufficienti; propone pertanto alla Commissione, al Parlamento e al Consiglio di aumentare sensibilmente tali fondi per il futuro;

    11.5.3.

    in terzo luogo, e il Comitato è d'accordo anche con questa misura, i partenariati di mobilità, d'accordo con i paesi di origine, potranno limitare l'immigrazione di alcune professioni per evitare la fuga di cervelli (per esempio personale sanitario di alcuni paesi europei). Gli accordi dovranno favorire la migrazione circolare e il ritorno degli immigranti temporanei;

    11.5.4.

    in quarto luogo, l'UE e gli Stati membri miglioreranno le procedure di rilascio dei visti per soggiorni di breve durata. Il CESE ha segnalato in vari pareri che è necessario migliorare l'organizzazione dei servizi consolari degli Stati membri nei paesi di origine; le delegazioni della Commissione devono collaborare con gli Stati membri nelle questioni riguardanti le migrazioni ed occorre utilizzare la rete EURES per conoscere le offerte di lavoro nell'UE. Il Comitato apprezza le proposte, avanzata dalla Commissione, di istituire cooperazioni rafforzate tra vari Stati membri aprendo centri comuni di richiesta di visti, di adeguare le istruzioni consolari comuni per consentire il rilascio di visti per ingressi multipli ai cittadini di paesi terzi che abbiano bisogno di viaggiare con frequenza, e di agevolare il rilascio del visto a specifiche categorie di persone definite negli accordi di mobilità.

    11.6.

    La Commissione sottolinea l'utilità di favorire la migrazione circolare. Il CESE ritiene che le attuali legislazioni in materia di immigrazione siano molto rigide e non risultino soddisfacenti né per gli immigranti né per i loro paesi di origine, né per i paesi europei di accoglienza. In vari pareri il CESE ha proposto l'adozione di legislazioni più flessibili, volte a realizzare sistemi di immigrazione rispettosi della volontà della persona. Devono essere pienamente protetti i diritti fondamentali degli immigranti, specie quelli sociali e quelli relativi al lavoro, e il diritto a vivere con la famiglia.

    11.7.

    La Commissione propone due forme di migrazione circolare: da un lato, quella riguardante cittadini di paesi terzi stabiliti nell'UE, affinché possano svolgere delle attività nei rispettivi paesi di origine conservando il diritto a risiedere in uno Stato membro, dall'altro, la migrazione circolare che offre a coloro che risiedono in un paese terzo l'opportunità di entrare nell'UE per lavoro, studio, formazione o una combinazione di questi motivi, rientrando nel paese di origine alla scadenza del permesso, ma mantenendo la possibilità di ritornare nell'UE usufruendo di una procedura di ammissione semplificata.

    11.8.

    Il Comitato ritiene che un presupposto del sistema di migrazione circolare consista nel fatto che gli emigranti, temporanei o no, che sono rientrati nel proprio paese di origine, mantengano la possibilità di ritornare legalmente nello Stato europeo in cui hanno risieduto. Promuovere la migrazione circolare significa soprattutto definire dei meccanismi che garantiscano un ritorno flessibile nel paese europeo di residenza.

    11.9.

    Il CESE accoglie favorevolmente la proposta della Commissione, di elaborare un quadro legislativo dell'UE che promuova la migrazione circolare. A tal fine occorrerà modificare alcune direttive attualmente in vigore e concordare criteri adeguati per l'elaborazione delle nuove direttive previste nel programma legislativo, tra cui quelle qui di seguito menzionate:

    11.9.1.

    proposta di direttiva sull'ammissione dei migranti altamente qualificati: il Comitato considera adeguata la proposta della Commissione volta a facilitare ulteriormente le procedure di ammissione per coloro che hanno già soggiornato nell'UE per un certo tempo (per un lavoro altamente qualificato, studio, o altri tipi di formazione altamente qualificata);

    11.9.2.

    proposta di direttiva sull'ammissione dei migranti stagionali: il Comitato propone di introdurre un permesso pluriennale di residenza/lavoro per immigranti stagionali, che consenta loro di tornare per cinque anni consecutivi, eventualmente prorogabili per altri cinque anni, per svolgere lavori stagionali;

    11.9.3.

    proposta di direttiva sull'ammissione dei tirocinanti retribuiti: il Comitato reputa utile, per la formazione di cittadini di paesi terzi e per lo sviluppo dei rispettivi paesi, facilitare l'ingresso in Europa per un periodo di formazione; ciò contribuirebbe inoltre a promuovere la circolazione dei cervelli e il trasferimento di conoscenze. Per incrementare la circolarità, la proposta potrebbe prevedere, per le persone che abbiano partecipato a corsi di formazione, la possibilità di tornare per periodi limitati (da uno a cinque anni) per partecipare a ulteriori azioni di formazione, qualora ciò sia utile a migliorare la loro qualificazione;

    11.9.4.

    il CESE invita la Commissione a promuovere l'introduzione di alcune modifiche in varie direttive vigenti, al fine di favorire la migrazione circolare: la direttiva 2003/109/CE relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo dispone attualmente che in linea generale lo status di residente di lungo periodo venga meno in caso di assenza dal territorio comunitario per oltre 12 mesi consecutivi. La Commissione propone di estendere tale periodo a due o tre anni; il Comitato ritiene che un periodo di cinque anni sarebbe più adeguato;

    11.9.5.

    direttiva 2004/114/CE, relativa alle condizioni di ammissione dei cittadini di paesi terzi per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato; direttiva 2005/71/CE, relativa a una procedura specificamente concepita per l'ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica: il Comitato ritiene che tali direttive andrebbero modificate introducendo permessi di residenza con ingressi multipli che permettano al titolare di uscire dal territorio comunitario per lunghi periodi senza perdere il diritto di residenza. Sarebbe inoltre opportuno convertire le clausole opzionali di tali direttive, che permettono agli Stati membri di predisporre procedure accelerate o semplificate di ammissione per le persone che abbiano lavorato in precedenza come ricercatori o che abbiano studiato nell'UE, in un diritto a beneficiare di procedure rapide, a condizione che i beneficiari rientrino nel proprio paese di origine alla scadenza del permesso. Il Comitato ritiene altresì che si dovrebbero collegare tra loro le due direttive menzionate, prevedendo un'ammissione semplificata in qualità di ricercatore (con un numero minore di requisiti preliminari) ai cittadini di paesi terzi che siano stati in precedenza ammessi in qualità di studenti e che, al termine dei loro studi, siano debitamente rientrati nei rispettivi paesi di origine. Questa possibilità potrebbe essere estesa agli studenti che richiedano di essere ammessi come ricercatori, mentre ancora risiedono nello Stato membro in cui studiano, purché essi presentino la relativa richiesta mentre è ancora valido il loro permesso per ragioni di studio.

    11.10.

    Il CESE considera necessario garantire che l'immigrazione circolare realizzi i suoi obiettivi e produca vantaggi a lungo termine, per mezzo di incentivi per promuovere la circolarità, garantire il buon esito del rientro, valutare l'applicazione delle procedure e ridurre il rischio di fuga di cervelli grazie alla collaborazione con i paesi terzi.

    11.11.

    Ai fini della circolazione di cervelli è necessario anche risolvere uno dei problemi più importanti di cui risentono numerosi immigranti in Europa: il mancato riconoscimento dei titoli accademici e professionali. La circolazione di queste persone tra il paese di origine e quello di accoglienza sarà più agevole una volta che i loro titoli vengano riconosciuti in Europa. Il Comitato chiede che vengano proseguiti, malgrado le difficoltà emerse, i negoziati tra l'UE e i principali paesi di provenienza degli immigrati per il riconoscimento dei titoli.

    11.12.

    Parimenti, affinché il sistema di migrazione circolare possa funzionare in maniera adeguata, è necessario che vengano garantiti i diritti pensionistici e di sicurezza sociale acquisiti dai migranti. A tal fine occorrerà negoziare degli accordi di reciprocità tra gli Stati membri dell'UE e i paesi di origine, nonché procedere alla ratifica della convenzione n. 157 dell'OIL.

    11.13.

    Il Comitato propone che nel quadro delle associazioni per la mobilità che verranno istituite l'UE proponga il riconoscimento delle suddette condizioni, onde facilitare il riconoscimento dei titoli professionali e la salvaguardia dei diritti pensionistici.

    12.   Forum globale su migrazione e sviluppo

    12.1.

    Il 10 luglio 2007 si è svolta a Bruxelles la Conferenza intergovernativa Forum globale su migrazione internazionale e sviluppo; la Conferenza, che è stata presieduta dal Segretario generale dell'ONU Ban Ki-Moon ed ha accolto oltre 800 delegati provenienti da più di 140 paesi, è stata la continuazione del vertice delle Nazioni Unite del settembre 2006.

    12.2.

    Il CESE, attraverso il relatore del presente parere, ha partecipato, il 9 luglio, alla giornata della società civile. Le conclusioni, che il Comitato condivide nelle linee generali, sono reperibili nel sito Internet della conferenza (38). L'anno prossimo il Forum globale si riunirà a Manila e il CESE vi prenderà parte.

    12.3.

    Il Comitato incita i governi dell'Unione europea e la Commissione a continuare ad impegnarsi attivamente nel quadro delle Nazioni Unite per inserire la questione delle migrazione come punto importante dell'agenda internazionale, per garantire attraverso un quadro legale internazionale i diritti umani dei migranti e per fare in modo che la gestione condivisa tra paesi d'origine e paesi di destinazione dei processi migratori aiuti lo sviluppo economico e sociale dell'umanità.

    12.4.

    Questo documento rappresenta il primo parere del Comitato sulla migrazione circolare, che verrà completato in futuro da altri pareri.

    Bruxelles, 25 ottobre 2007.

    Il presidente

    del Comitato economico e sociale europeo

    Dimitris DIMITRIADIS


    (1)  14 e 15 settembre 2006.

    (2)  COM(2002) 703 def., del 3 dicembre 2002.

    (3)  Regolamento (CE) n. 491/2004, del 10 marzo 2004.

    (4)  COM(2005) 390 def. del 1o novembre 2005.

    (5)  COM(2006) 409 def. del 14 luglio 2006.

    (6)  COM(2007) 248 def. del 16 maggio 2007.

    (7)  2005/2244 (INI).

    (8)  Parere di iniziativa del CESE sul tema Migrazione e sviluppo: opportunità e sfide, adottato nella sessione plenaria del 12 e 13 dicembre 2007, relatore: SHARMA.

    (9)  Dati ricavati dal Rapporto sullo sviluppo umano 2006 del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo e dal rapporto Per una globalizzazione giusta: creare opportunità per tutti, della Commissione mondiale per la dimensione sociale della globalizzazione (OIL) (2004).

    (10)  Il più recente rapporto sullo sviluppo umano è del 2006 (i dati riportati corrispondono in realtà al 2004).

    (11)  OIL. Global Employment Trends 2007 (Ginevra).

    (12)  Informazioni tratte dai Key Indicators of the Labour Market (Indicatori chiave del mercato del lavoro) OIL.

    (13)  Ibidem.

    (14)  Ultima relazione sullo sviluppo umano.

    (15)  Relazione sullo sviluppo umano 2006, del programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo.

    (16)  Cfr. il sito Internet delle Nazioni Unite:

    www.un.org

    (17)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Verso una strategia dell'UE in materia di aiuti al commercioil contributo della Commissione (COM(2007) 163) def.

    (18)  Relazione citata dell'OIL e dell'OMC.

    (19)  Rapporto del gruppo indipendente di valutazione della Banca mondiale Annual Review of Development Effectiveness 2006. Getting results come pure i rapporti dell'OCSE sui temi del commercio e del lavoro.

    (20)  OXFAM — Intermon: Migrazioni e sviluppo, il ruolo della cooperazione Estudios n. 8 (2001).

    (21)  Parere di iniziativa del 30 giugno 2004 sul tema La convenzione internazionale sui diritti dei lavoratori migranti (relatore: PARIZA CASTAÑOS, GU C 302 del 7.12.2004).

    (22)  Cfr. il parere del CESE, del 9 giugno 2005, in merito al Libro verde sull'approccio dell'Unione europea alla gestione della migrazione economica (relatore: PARIZA CASTAÑOS, GU C 286 del 17.11.2005).

    (23)  Cfr. il Rapporto del Segretario Generale delle Nazioni Unite sulle migrazioni internazionali e lo sviluppo (A/60/871 — 2006)

    http://www.un.org/ga/60/documentation/list.html

    (24)  Parere di iniziativa del CESE, del 21 marzo 2002, sul tema Immigrazione, integrazione e ruolo della società civile organizzata (relatore: PARIZA CASTAÑOS, correlatore: MELÍCIAS, GU C 125 del 27.5.2002); parere di iniziativa del CESE, del 13 settembre 2006, sul tema L'immigrazione nell'UE e le politiche di integrazione: la collaborazione tra le amministrazioni regionali e locali e le organizzazioni della società civile (relatore: PARIZA CASTAÑOS, GU C 318 del 23.12.2006); convegno, organizzato congiuntamente con la Commissione europea nel settembre 2002 sul tema dell'integrazione.

    (25)  Cfr. Commissione mondiale sulle migrazioni internazionali 2005 — Migration in an interconnected world: New directions for action (Le migrazioni in un mondo interdipendente: nuove linee d'azione)

    http://www.gcim.org/en/

    (26)  Idem.

    (27)  Tra il 1990 e il 2005 il numero dei migranti è cresciuto da 155 milioni a 191 milioni.

    (28)  Cfr. Nazioni Unite A/60/871, 2006, 71 Op cit.

    (29)  Cfr. www.RemitAid.org

    (30)  Cfr.: Sopemi 2005, OCSE.

    (31)  COM(2005) 669 def. del 21 dicembre 2005.

    (32)  Cfr. 2005/2244 (INI) e il parere del CESE, del 9 giugno 2005, in merito al Libro verde sull'approccio dell'Unione europea alla gestione della migrazione economica (relatore: PARIZA CASTAÑOS, GU C 286 del 17.11.2005).

    (33)  Cfr. Nazioni Unite A/60/871, 2006, 80 Op cit.

    (34)  Cfr. il parere del CESE, del 10 dicembre 2003, in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni su immigrazione, integrazione e occupazione (relatore: PARIZA CASTAÑOS, GU C 80 del 30.3.2004).

    (35)  Cfr. la Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'UE del 16 maggio 2007 (COM(2007) 249 def.).

    (36)  Cfr. Il parere CESE del 3 ottobre 2001 in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio relativa allo status di cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo (relatore: PARIZA CASTAÑOS, GU C 36 dell'8.2.2002).

    (37)  Migrazione circolare e partenariati per la mobilità tra l'Unione europea e i paesi terzi (COM(2007) 248 def.).

    (38)  Disponibili solo in inglese: http://smooz.gfmd-civil-society.org/gfmd/files/Final_CSD.pdf e in spagnolo: http://smooz.gfmd-civil-society.org/gfmd/files/Final_CSD_espanol.pdf


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