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Document 52004IE1205

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo delle organizzazioni femminili in quanto attori non statali nell'ambito dell'Accordo di Cotonou

GU C 74 del 23.3.2005, p. 39–44 (ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, IT, LV, LT, HU, NL, PL, PT, SK, SL, FI, SV)
GU C 74 del 23.3.2005, p. 19–19 (MT)

23.3.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 74/39


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo delle organizzazioni femminili in quanto attori non statali nell'ambito dell'Accordo di Cotonou

(2005/C 74/08)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 luglio 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere sul ruolo delle organizzazioni femminili in quanto attori non statali nell'ambito dell'Accordo di Cotonou.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 luglio 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice FLORIO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 settembre 2004, nel corso della 411a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 115 voti favorevoli, 8 contrari e 8 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Nell'ambito delle attività relative alle politiche dell'Unione europea nelle aree in via di sviluppo, ed in particolare nei paesi ACP, il Comitato economico e sociale europeo ha avuto modo di monitorare l'evoluzione della politica di cooperazione dell'UE. Tale evoluzione va sempre più nella direzione di un approccio partecipativo, tendente cioè ad includere e riconoscere il ruolo degli attori non statali (ANS) nella definizione e attuazione delle politiche stesse: istituzioni e ANS assumono così una funzione complementare nell'azione tesa a rafforzare l'impatto dei programmi di sviluppo.

L'Accordo di Cotonou rappresenta al momento l'unico caso in cui tale partecipazione viene istituzionalizzata, richiedendo ai governi il pieno coinvolgimento degli attori non statali nelle diverse fasi relative alle strategie nazionali di sviluppo.

1.2

In considerazione di tali orientamenti e del fatto che il Comitato si è già espresso in un precedente parere sul Ruolo della società civile nella politica europea di sviluppo (REX 097/2003), ci sembra importante approfondire il tema della partecipazione delle donne e il loro contributo fondamentale e specifico nella definizione e attuazione delle politiche di sviluppo nell'area dei paesi ACP compresa negli accordi di Cotonou; crediamo utile sottolineare quanto prezioso possa essere il loro ruolo e come questo debba essere realmente valorizzato nell'ambito degli accordi di Cotonou, così come in tutte le politiche di sviluppo.

1.3

Del resto, in quanto organismo dell'UE rappresentativo della società civile organizzata, il Comitato ha già affermato in passato «il ruolo fondamentale delle donne come protagoniste nei processi di crescita economica e sociale, insistendo sulla necessità di sostenere le organizzazioni femminili e di assicurare loro una partecipazione equa agli organi consultivi e decisionali» (parere sul Libro verde sulle relazioni fra l'Unione europea e i paesi ACP all'alba del XXI secolo - Sfide e opzioni per un nuovo partenariato, relatore MALOSSE, EXT 152/1997).

La reale partecipazione ai processi decisionali da parte degli attori non statali in generale e, fra questi, di quelli al «femminile» in particolare è ancora molto lontana dalla piena attuazione.

2.   Considerazioni generali

2.1

Nell'ultimo rapporto della Banca mondiale (World Development Report 2004) si esplicita il riconoscimento di un mercato globale non più adeguato allo sviluppo economico, sociale, occupazionale, e soprattutto incapace di rimuovere gli ostacoli che intralciano una crescita equa e sostenibile per tutti i paesi del Nord e del Sud del mondo. Nel 2002 il reddito pro capite dei 5/6 della popolazione mondiale non raggiungeva i 1 200 dollari, contro gli oltre 26 000 dollari di media nel residuo sesto della popolazione, che vive peraltro per la stragrande maggioranza nei paesi più ricchi.

2.2

Ad oggi nessuna delle istituzioni internazionali (FMI, BM, OMC, OIL, ONU, ecc.) può operare in assoluto come un «regolatore» democratico e globale, né può limitare di per sé le disuguaglianze di sviluppo economico tra paesi e strati sociali.

2.3

In più, particolarmente in un periodo di scarsa crescita economica, nella maggioranza dei casi i paesi in via di sviluppo sono costretti proprio a quelle politiche economiche di aggiustamento strutturale, suggerite o imposte dagli organismi internazionali, che impongono misure difficilmente sostenibili e penalizzano soprattutto la popolazione povera. Senza adeguate politiche di protezione sociale, i cambiamenti strutturali hanno comportato una crescita della povertà, della precarietà e dell'insicurezza tra le fasce più deboli (sia nel Nord che nel Sud del mondo).

2.4

Nel corso degli ultimi anni si è inoltre accentuata la divisione tra economia globale formale ed economia locale informale. Le persone che vivono nel settore dell'economia informale non godono di diritti né partecipano, anche se contribuiscono di fatto, alla crescita economica del loro paese.

2.5

In questa fascia di popolazione le donne sono la maggioranza e sono, quindi, quelle che maggiormente soffrono di questa condizione. Le donne che vivono in povertà nei paesi in via di sviluppo non solo non sono in grado di accedere a beni e servizi, ma sono anche spesso vittime di gravi violazioni dei loro diritti umani, sociali, economici.

2.6

Povertà, disoccupazione e sottoccupazione colpiscono soprattutto le donne

2.7

Numerose sono le occasioni di elaborazione e di proposta di politiche, azioni e progetti a favore delle donne nell'ambito delle varie conferenze organizzate dalle Agenzie e dalle Commissioni delle Nazioni Unite. L'ultima in ordine di tempo è stata la conferenza sul Millennium Development Goals, dove sono stati approvati due documenti chiave. In entrambi figurano tra i temi più dibattuti i diritti delle donne alla parità di accesso ed alla piena partecipazione ai processi decisionali, oltre che la necessità della prevenzione delle malattie, nonché la difesa della salute.

3.   Le istituzioni europee e le politiche di mainstreaming

3.1

L'art. 3 del Trattato sancisce che in tutte le sue attività, inclusa quella della cooperazione allo sviluppo, l'UE debba operare per eliminare ogni forma di ineguaglianza e per promuovere la parità tra uomini e donne.

3.2

L'UE ed i suoi Stati membri sono firmatari della dichiarazione e della piattaforma d'azione approvata alla quarta conferenza mondiale sulle donne (Pechino 1995): in tali documenti si lanciava una vera e propria strategia per rimuovere tutti gli ostacoli alla parità di genere e si stabiliva il principio del mainstreaming nella promozione della parità di genere. Proprio a seguito dell'impegno preso a Pechino, con la condivisione della Piattaforma, fu approvato anche un regolamento (CE n. 2836/98) per l'integrazione delle questioni di genere nella cooperazione allo sviluppo.

3.3

Tale testo, scaduto nel dicembre del 2003, è stato sostituito da un nuovo regolamento per il biennio 2004-2006 che sostanzialmente ne rafforza e ne conferma gli obiettivi, cioè il sostegno al mainstreaming, combinato con specifiche misure a favore delle donne e con la promozione della parità di genere come importante contributo alla riduzione della povertà. Il documento inoltre riafferma il sostegno alle attività pubbliche e private nei paesi in via di sviluppo che assumono come obiettivo la parità di genere.

3.4

Il regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione della parità di genere nella cooperazione allo sviluppo può essere considerato un punto di riferimento importante per le politiche di cooperazione. I settori di intervento che vengono individuati come prioritari e meritevoli di attenzione sono il controllo delle risorse e dei servizi a favore delle donne, soprattutto nell'area dell'istruzione, dell'occupazione e della partecipazione ai processi decisionali. Nel documento si sottolinea poi la necessità di disporre di statistiche disaggregate per sesso e per età, in modo da potere individuare e diffondere nuove metodologie di intervento, analisi, studi di impatto, ecc.

4.   Cotonou: approccio partecipativo e questioni di genere

4.1

L'Accordo di Cotonou, firmato il 23 giugno del 2000 con i paesi ACP, costituisce un punto di svolta nelle politiche di sviluppo e commerciali della UE perché per la prima volta ha sancito il coinvolgimento degli attori non statali - ANS - nella definizione delle strategie di sviluppo nazionali, dando ad essi un ruolo complementare a quello delle istituzioni statali. Nell'Accordo si definiscono come ANS: il settore privato, i partner economici e sociali, ivi comprese le organizzazioni sindacali, la società civile in tutte le sue forme secondo le caratteristiche nazionali.

4.2

Il testo stabilisce che gli attori non statali: vengono informati e consultati sulle politiche e le strategie di cooperazione, sulle priorità della cooperazione nel settore che li riguarda direttamente e sul dialogo politico; riceveranno le risorse finanziarie per sostenere i processi di sviluppo locale; devono essere coinvolti nell'attuazione di progetti e programmi nelle zone o nei settori che li riguardano; infine, ricevono un supporto per poter potenziare le loro capacità e competenze, in particolare per ciò che riguarda l'organizzazione, la rappresentanza e il ricorso ai meccanismi di consultazione, di scambio e dialogo allo scopo di promuovere alleanze strategiche.

4.3

Inoltre, coerentemente con le politiche dell'Unione, l'Accordo evidenzia il legame che esiste fra politica, commercio e sviluppo. Infatti, l'impianto del partenariato si fonda sull'interdipendenza di cinque pilastri: una dimensione politica globale, la promozione dell'approccio partecipativo, l'obiettivo della riduzione della povertà, lo stabilimento di un nuovo quadro di cooperazione economica e commerciale, e infine la riforma della cooperazione finanziaria.

4.4

Le strategie di sviluppo dovrebbero, inoltre, tenere sistematicamente in considerazione l'eguaglianza di genere che costituisce uno dei tre temi trasversali dell'Accordo (artt. 8 e 31).

4.5

In tale quadro, l'Accordo di Cotonou istituzionalizza il ruolo del Comitato come interlocutore preferenziale dei gruppi di interesse economici e sociali dei paesi ACP, conferendogli un esplicito mandato di consultazione per le organizzazioni della società civile.

5.   Partecipazione delle associazioni, ONG e organizzazioni femminili

5.1

In considerazione di quelli che sono gli orientamenti dell'Unione in materia di partecipazione e di prospettiva di genere e vista la valenza conferita al Comitato dall'Accordo, ci sembra utile approfondire il ruolo specifico delle donne e della loro partecipazione al dialogo civile nell'ambito dell'Accordo stesso.

5.2

Naturalmente, dato che gli ACP costituiscono un gruppo molto vasto di paesi, e per di più appartenenti ad aree diverse, le donne di detti paesi non possono essere considerate come un gruppo uniforme e presentano anzi differenze profonde a seconda della rispettiva regione, contesto culturale, gruppo economico-sociale e livello di reddito, nonché dell'ambiente rurale o urbano in cui vivono. Tuttavia, pur con i limiti delle generalizzazioni a cui siamo costretti, è importante che queste donne possano essere realmente incluse nei processi partecipativi messi in atto dagli accordi di Cotonou.

5.3

Una prima difficoltà nasce dal fatto che nelle Linee guida sui principi e le buone pratiche per la partecipazione degli ANS nelle consultazioni e nel dialogo sullo sviluppo sono menzionate solo marginalmente le questioni di genere, così come nella valutazione preliminare delle disposizioni dell'Accordo di Cotonou sul coinvolgimento degli ANS nei processi di programmazione (23.1.2004) sono ancora assenti dati sia quantitativi che qualitativi sulla presenza femminile.

5.4

In base alle testimonianze raccolte in differenti forum e seminari regionali, la partecipazione delle associazioni, ONG e organizzazioni femminili nei processi di definizione delle strategie nazionali sembra essere stata molto scarsa nella maggior parte dei casi.

5.5

Esiste un ampio divario fra quelle che sono le intenzioni professate e gli enunciati dell'Accordo e la loro messa in pratica. Appaiono del resto scarse anche le azioni e le misure volte a facilitare la partecipazione delle donne.

5.6

Certamente, in contesti in cui è gia difficile creare e strutturare un dialogo con la società civile in generale, la difficoltà è ancora più grande se si vuole aumentare lo spazio delle donne. Inoltre, l'applicazione delle disposizioni contenute nell'Accordo in tema di partecipazione è un processo ancora in fieri che vede come protagonisti sia la Commissione, il cui ruolo può - secondo noi - essere fondamentale, sia l'appoggio dei governi, sia gli stessi ANS le cui potenzialità, competenze e livello di organizzazione variano da area a area.

5.7

Vari e di varia natura sono gli ostacoli riscontrati per l'attuazione di un approccio partecipativo in generale. Fra questi, come già evidenziato in un precedente parere (1), figurano i seguenti:

l'altissima resistenza della maggior parte dei governi nazionali dei paesi terzi a dialogare con gli ANS, la limitatissima possibilità degli ANS, anche laddove previsto, di influire in concreto nella definizione dei programmi e delle strategie di sviluppo,

l'alto grado di accentramento amministrativo di questi paesi che, non favorendo la partecipazione degli ANS in generale, tende a marginalizzare le realtà locali periferiche, e soprattutto quelle rurali che sono le più difficili da raggiungere e spesso anche le più povere,

la mancanza di regole e norme precise che disciplinino un'effettiva partecipazione degli ANS,

lo scarso livello di organizzazione, in molti casi, della società civile dei paesi terzi: spesso il problema principale è quello di sviluppare le potenzialità degli stessi soggetti che dovrebbero partecipare al processo,

l'accesso ai finanziamenti, strettamente legato a quello della diffusione e dell'accesso alle informazioni. Gli ANS dei paesi terzi, infatti, non solo lamentano il fatto che spesso non esiste alcun sistema di diffusione delle informazioni; le procedure previste per la concessione dei finanziamenti sono nella maggior parte dei casi troppo dispendiose e complicate, come spesso evidenziato dagli stessi ANS.

5.8

Nel caso della partecipazione femminile, questi ostacoli vengono aggravati da condizioni oggettive, dovute da un lato a fattori socioeconomici, culturali e religiosi, e dall'altro alla scarsa dimestichezza che hanno molti governi con i diritti fondamentali in generale e con quelli delle donne in particolare.

5.9

Da questo punto di vista, l'Accordo di Cotonou, citando il rispetto dei diritti dell'uomo, dei principi democratici e dello stato di diritto come elementi essenziali del partenariato, prevede che delle misure vengano prese e notificate alla controparte nel caso di violazioni gravi. Tuttavia, come già rilevato in un precedente parere del Comitato (parere sul tema L'accordo di partenariato ACP-UE (521/2002), relatore BAEZA SAN JUAN) sarebbe stata auspicabile la fissazione di criteri più precisi per la salvaguardia di tali principi.

6.   Le donne nei processi di sviluppo e i temi prioritari di intervento

6.1

In realtà, il tema della partecipazione della società civile al femminile è strettamente legato al ruolo della donna nei processi decisionali e nell'intero processo di sviluppo; in questo senso potrebbe rivelarsi utile allargare il campo di riflessione.

6.2

Le donne non solamente possono dare un contributo importante ai processi di sviluppo ma devono anche poter usufruire dei benefici e delle opportunità dello sviluppo stesso.

6.3

Infatti, nei paesi in via di sviluppo ed in particolare nei paesi ACP, le donne costituiscono un segmento debole della società e subiscono maggiormente povertà e privazioni perché non hanno un accesso e un controllo delle risorse sufficiente a consentire loro di migliorare le proprie condizioni di vita e di contribuire allo sviluppo economico del paese.

6.4

Tale accesso e controllo delle risorse sembra quindi essere un prerequisito essenziale se realmente si vuole condurre la lotta alla povertà e innescare dei processi di sviluppo sostenibile e duraturo.

Inoltre, anche laddove le donne sono coinvolte in attività economiche, queste rientrano per lo più nel settore informale, che è anche quello più vulnerabile rispetto alle politiche macroeconomiche di ristrutturazione.

6.5

Nonostante i Millennium Development Goals a cui l'Unione europea ha aderito con l'intento di ridurre alla metà la povertà entro il 2015, c'è il «pericolo» che i negoziatori di entrambe le parti si occupino solo degli effetti delle dimensioni macroeconomiche e politiche dimenticandosi degli obiettivi più vasti e degli impatti delle misure negoziate sui differenti segmenti della popolazione. Andranno sostenute le azioni della Commissione europea volte alla creazione di strumenti di monitoraggio che valutino gli effetti di tali accordi.

6.6

Fra i temi evidenziati nei documenti delle Nazioni Unite, della FAO e di altri organismi internazionali, ci sembra di poter individuare un certo numero di temi prioritari di intervento, che non hanno ovviamente la pretesa di esaurire tutti i settori.

—   Istruzione e formazione

È dimostrato che promuovere l'istruzione e la formazione non significa solo migliorare la vita degli individui ma anche provocare ricadute positive sulla collettività locale. La correlazione tra l'istruzione e le altre aree dell'economia e della società ed il suo effetto sul ruolo delle donne (scolarizzate) è stata evidenziata in molti studi, ricerche e statistiche. Per questo è fondamentale favorire la diffusione di servizi scolastici e formativi anche nelle zone rurali e più povere dei paesi in via di sviluppo, garantendo l'accesso gratuito sia per le donne che per gli uomini. Ancora oggi nel mondo il 24 % delle bambine in età di scuola primaria non è scolarizzato (contro il 16 % dei maschi). Nei paesi in via di sviluppo il 61 % degli uomini ha almeno una scolarizzazione di base, contro il 41 % delle donne.

—   Accesso alle risorse

L'accesso alle risorse finanziarie, e in particolare la possibilità per le donne di ricorrere facilmente a prestiti bancari, microcrediti, possibilità di risparmio e servizi assicurativi, va vista come una delle priorità di intervento. L'informazione su tali strumenti è una delle possibili chiavi di azione. Già una serie di raccomandazioni in questo senso, in particolare sul miglioramento dell'accesso delle donne alle risorse finanziarie, sono state presentate in sede ONU. Anche in considerazione dei rapidi mutamenti dell'economia e del mercato globale, tutti gli aspetti relativi alle risorse a favore dello sviluppo andrebbero analizzati dal punto di vista delle donne. Le differenze tra uomini e donne in relazione all'accesso ed al controllo delle risorse economiche, dei beni pubblici e dei servizi, della proprietà della terra hanno privato le donne di diritti fondamentali e di opportunità economiche, nonché del potere e della possibilità di avere una voce indipendente nei processi politici e decisionali.

—   Politiche per l'occupazione

Nonostante alcuni piccoli passi avanti compiuti in materia di partecipazione delle donne al mercato del lavoro, non si può certo parlare, nei paesi ACP, di pari opportunità nell'accesso ad un lavoro formale ed equamente retribuito. Nei paesi di via di sviluppo il settore informale rappresenta la risorsa più importante di guadagno e di occupazione. Sono soprattutto le donne ad avere pagato per la perdita di posti di lavoro che ha colpito molti paesi ACP: queste donne sono spesso scivolate nella disoccupazione o in forme di lavoro non tutelato, informale e precario, con livelli di remunerazione spesso insufficienti anche per la semplice sopravvivenza. La possibilità di accedere a forme di microcredito, di avere degli aiuti per la microimprenditorialità femminile e di possedere della terra è fondamentale per potersi garantire una vita dignitosa sia per gli uomini che per le donne: secondo tuttavia quanto affermato dalla Food and Agriculture Organization (FAO) delle Nazioni Unite, le donne sono praticamente private di tale diritto in molti paesi in via di sviluppo. Un'analisi fatta su schemi di credito in cinque paesi africani dimostra che le donne ricevono solo il 10 % del credito destinato ai piccoli proprietari terrieri: il rimanente 90 % va infatti agli uomini.

—   Donne e salute

Salute riproduttiva e più in generale diritto alla salute delle donne sono concetti ancora estranei a molti paesi in via di sviluppo: questo ha risvolti estremamente negativi non solo per le singole donne, la cui stessa vita può essere a rischio, ma anche per le società in generale. Come esempio simbolico della criticità della situazione basti pensare alle difficoltà incontrate nella cura e nella prevenzione dell'STI/HIV e all'influenza che la diffusione delle malattie sta avendo sui sistemi economici e sociali in molti paesi soprattutto nell'Africa sub-sahariana.

Le differenze sessuali e biologiche fra uomini e donne si rispecchiano anche nel settore della salute e della cura della persona. Il ruolo e lo status assegnato alle donne non riflettono le loro reali necessità di un accesso adeguato all'assistenza sanitaria e ai farmaci ed, inoltre, non tengono conto delle loro responsabilità nella società. Scarsissima è l'attenzione posta alle differenti necessità proprie del genere femminile, e questo ha ripercussioni negative lungo tutto l'arco dell'esistenza delle donne. Il problema assume una dimensione ancora più allarmante laddove il contesto socioculturale tende a giustificare abusi di tipo fisico, psicologico e sessuale sulle donne.

—   Lotta contro ogni forma di violenza sulle donne

La violenza sulle donne rimane una delle battaglie più difficili da combattere e persino da quantificare. Basti pensare al fenomeno della violenza domestica, già difficile da denunciare nelle società occidentali, alle mutilazioni genitali e alla tratta di esseri umani, che appare in continua espansione. Le prime vittime di questo fenomeno, che si traduce in schiavitù sessuale e altre forme di lavoro forzato nonché di violazione dei diritti umani, sono i bambini e le donne e in particolare quelle che vivono nei paesi devastati da guerre e conflitti.

7.   Raccomandazioni

7.1

Si avverte la necessità di una maggiore chiarezza e determinazione nel definire gli obiettivi mirati al sostegno alle donne e le misure da intraprendere, se l'Unione europea vuole davvero produrre un impatto positivo sulle condizioni di vita delle donne e dei poveri. Soprattutto è necessaria una grande attenzione nei confronti di quelle politiche di aggiustamento i cui effetti hanno penalizzato le donne e, in generale, le fasce più deboli della popolazione, in modo che siano evidenti i vantaggi anche per questi strati sociali.

7.2

In questo senso, ci sembra necessario che la valutazione degli accordi commerciali dell'UE con i paesi terzi, e in particolare con i paesi ACP, includa anche un'analisi specifica dell'impatto che questi avranno sulle condizioni di vita delle fasce più povere della popolazione e sulle questioni di genere.

7.3

Gli investimenti per rafforzare le associazioni e le ONG che operano a favore dell'eguaglianza di genere e dell'empowerment delle donne sono essenziali per migliorare complessivamente le condizioni economiche, sociali e politiche dei paesi in via di sviluppo e per garantire loro una crescita sociale ed economica coerente con lo sviluppo sostenibile.

7.4

In considerazione di quanto precede, non si tratta semplicemente di promuovere una maggiore integrazione della società civile femminile ma anche e soprattutto di creare le condizioni di base per una sua reale partecipazione, valorizzazione e sostegno affinché raggiunga la parità con quella maschile per lo sviluppo dei rispettivi paesi. Il rafforzamento del ruolo delle donne nel processo partecipativo costituisce, infatti, un momento decisivo per l'acquisizione di potere decisionale.

7.5

La condizione base più importante è comunque l'affermazione della parità nel diritto di accesso all'istruzione e alla formazione per le donne. A questo proposito si dovrebbero favorire tutti i programmi e progetti rivolti a tale obiettivo, dalla prima alfabetizzazione al supporto all'informatizzazione e alla messa in rete delle associazioni femminili, come pilastro e garanzia di partecipazione e valorizzazione del ruolo della donna nello sviluppo nazionale.

7.6

Nell'ambito del processo di decentramento avviato dalla Commissione, diventa cruciale il ruolo delle delegazioni, come d'altronde specificato nelle linee guida sui principi e le buone pratiche per la partecipazione degli attori non statali (24.2.2002). Le delegazioni, godendo di grande flessibilità nella scelta dei mezzi, hanno il compito di monitorare e facilitare il più ampio coinvolgimento possibile degli attori non statali. Nonostante nelle suddette linee guida non ci siano espliciti suggerimenti per quanto riguarda la partecipazione e il ruolo delle associazioni femminili, pensiamo che le delegazioni possano avere una parte importante per facilitarne l'individuazione e l'inclusione nel dialogo civile, creare dei network e formulare una strategia di capacity building rivolta specificatamente alle donne.

Alle delegazioni dovrebbe essere affidata una responsabilità specifica per la promozione del mainstreaming di genere: a questo fine almeno un loro rappresentante dovrebbe ricevere un training specifico sulle problematiche legate al genere.

7.7

Particolare attenzione deve altresì essere riservata all'identificazione delle realtà esistenti dell'associazionismo femminile e delle sue caratteristiche: in relazione a questo tema, infatti, spesso mancano informazioni adeguate.

Il Comitato stesso potrebbe contribuire all'identificazione delle associazioni e organizzazioni internazionali europee che operano a favore del sostegno e della partecipazione delle donne nei paesi ACP.

7.8

I documenti relativi alle strategie nazionali dovrebbero prevedere espressamente sia la partecipazione delle donne alla loro redazione che delle misure e azioni positive finalizzate a rafforzare le attività delle associazioni femminili. Riteniamo che in ciò la Commissione possa esercitare una certa influenza.

Il Comitato invita la Commissione a creare una linea di finanziamento specifica per le organizzazioni femminili della società civile dei paesi ACP.

7.9

Più in generale sarebbe importante che venissero creati dei canali preferenziali per le associazioni femminili per quanto riguarda sia i criteri di eleggibilità degli attori non statali che l'accesso ai finanziamenti.

7.10

Corsi di formazione finalizzati alla promozione delle attività di associazioni e organizzazioni femminili che operano nelle realtà locali, proprio nel quadro degli accordi di Cotonou, potrebbero rivelarsi uno strumento utile per la loro stessa implementazione.

7.11

Il Comitato si impegna a promuovere l'organizzazione di seminari che possano individuare e approfondire i temi relativi allo status e alla partecipazione delle donne nei paesi ACP.

7.12

Il Comitato chiederà un'equa partecipazione di delegazioni femminili a detti seminari e promuoverà gli incontri con le donne e loro associazioni sia dei paesi ACP che dei paesi terzi in generale.

7.13

Il Comitato si impegna, entro il primo semestre del 2005, a organizzare con i suddetti interlocutori una conferenza con gli obiettivi seguenti: valorizzazione del ruolo delle donne nei processi decisionali; individuazione degli ostacoli e definizione di strategie che abbiano alla base il punto di vista delle stesse protagoniste dei processi di sviluppo.

Bruxelles, 15 settembre 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Il ruolo della società civile nella politica europea di sviluppo (REX 097/2003).


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