EUR-Lex Access to European Union law

Back to EUR-Lex homepage

This document is an excerpt from the EUR-Lex website

Document 62009CJ0102

Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 29 aprile 2010.
Camar Srl contro Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunale di Firenze - Italia.
Accordi internazionali - Convenzione di Yaoundé - Quarta Convenzione ACP-CEE di Lomé - Clausola di "standstill" - Tributo interno - Banane.
Causa C-102/09.

Raccolta della Giurisprudenza 2010 I-04045

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2010:236

Parti
Motivazione della sentenza
Dispositivo

Parti

Nel procedimento C‑102/09,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunale di Firenze con decisione 20 febbraio 2009, pervenuta in cancelleria il 13 marzo 2009, nella causa

Camar Srl

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. J. Malenovský, T. von Danwitz (relatore) e D. Šváby, giudici,

avvocato generale: sig.ra E. Sharpston

cancelliere: sig.ra R. Şereş, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11 febbraio 2010,

considerate le osservazioni presentate:

– per la Camar Srl, dagli avv.ti W. Viscardini e G. Donà;

– per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dal sig. P. Gentili, avvocato dello Stato;

– per la Commissione europea, dai sigg. L. Prete e A. Bordes, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Motivazione della sentenza

1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 14 della Convenzione di associazione tra la Comunità economica europea e gli Stati africani e malgascio associati a tale Comunità, firmata a Yaoundé il 20 luglio 1963 (GU 1964, n. 93, pag. 1431; in prosieguo: la «prima Convenzione di Yaoundé»), e dell’art. 1 del protocollo n. 5, relativo alle banane, allegato alla quarta Convenzione ACP-CEE, firmata a Lomé il 15 dicembre 1989 (GU 1991, L 229, pag. 3; in prosieguo: la «quarta Convenzione di Lomé»).

2. Tale domanda è stata proposta nell’ambito di un’azione per risarcimento dei danni presentata dalla Camar Srl (in prosieguo: la «Camar») nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri per i danni che tale società sostiene di aver subito per l’asserita violazione del diritto comunitario commessa dalla Corte suprema di cassazione.

Contesto normativo

Le convenzioni internationali

3. L’art. 1 della prima Convenzione di Yaoundé, che compare al titolo I di quest’ultima, rubricato «Scambi commerciali», così dispone:

«Al fine di promuovere l’aumento degli scambi tra gli Stati associati e gli Stati membri, di rafforzare le loro relazioni economiche e l’indipendenza economica degli Stati associati e di contribuire in tal modo allo sviluppo del commercio internazionale, le Alte Parti Contraenti hanno convenuto di adottare le disposizioni seguenti intese a regolare le reciproche relazioni commerciali».

4. L’art. 14 della prima Convenzione di Yaoundé dispone quanto segue:

«Fatte salve le disposizioni particolari previste dalla presente Convenzione e specialmente quelle dell’articolo 3, ciascuna Parte Contraente si impegna a non adottare alcuna misura o pratica di natura fiscale interna che instauri direttamente o indirettamente una discriminazione tra i propri prodotti e i prodotti similari originari delle altre Parti Contraenti».

5. La prima Convenzione di Yaoundé è stata sostituita dalla Convenzione di associazione tra la Comunità economica europea e gli Stati africani e malgascio associati a tale Comunità, firmata a Yaoundé il 29 luglio 1969 (GU 1970, L 282, pag. 2; in prosieguo: la «seconda Convenzione di Yaoundé»). L’art. 5 di quest’ultima, in termini pressoché identici a quelli dell’art. 14 della prima Convenzione di Yaoundé, così recita:

«Fatte salve le disposizioni particolari previste nella presente Convenzione, ciascuna Parte Contraente si astiene dall’adottare misure o dall’introdurre pratiche fiscali interne atte a provocare direttamente o indirettamente una discriminazione fra i propri prodotti e i prodotti similari originari delle altre Parti Contraenti».

6. La Convenzione ACP-CEE di Lomé, firmata il 28 febbraio 1975 (GU 1976, L 25, pag. 2; in prosieguo: la «prima Convenzione di Lomé»), ha sostituito la seconda Convenzione di Yaoundé. Il punto 1 del protocollo n. 6, relativo alle banane, allegato alla prima Convenzione di Lomé, così dispone:

«1. in merito alle esportazioni di banane nella Comunità, nessuno Stato [d’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP)] sarà posto in una situazione meno favorevole di quella passata o presente per quanto concerne l’accesso ai mercati e i vantaggi di cui fruisce nei medesimi».

7. Formulato in termini pressoché identici, l’art. 1 del protocollo n. 5, relativo alle banane, allegato alla quarta Convenzione di Lomé, così dispone:

«Per le esportazioni di banane nei mercati della Comunità, nessuno Stato ACP è posto in una situazione meno favorevole di quella passata o presente per quanto concerne l’accesso ai suoi mercati tradizionali ed i vantaggi di cui fruisce sui medesimi».

8. L’art. 1 del protocollo n. 4, relativo alle banane, allegato alla seconda Convenzione ACP‑CEE, firmata a Lomé il 31 ottobre 1979 (GU 1980, L 347, pag. 140), e alla terza Convenzione ACP‑CEE, firmata a Lomé l’8 dicembre 1984 (GU L 86, pag. 3), è anch’esso formulato in termini quasi identici.

9. In conformità dell’art. 2, n. 1, lett. f), della decisione del Consiglio dei Ministri ACP-CEE 27 febbraio 1990, n. 2, relativa alle misure transitorie applicabili a decorrere dal 1° marzo 1990 (GU L 84, pag. 2), e degli artt. 1 e 2, secondo comma, del regolamento (CEE) del Consiglio 5 marzo 1990, n. 714, riguardante l’applicazione della decisione n. 2/90 (GU L 84, pag. 1), il protocollo n. 5, relativo alle banane, allegato alla quarta Convenzione di Lomé era applicabile a partire dal 1° marzo 1990.

La normativa nazionale

10. La legge 9 ottobre 1964, n. 986 (GURI n. 264 del 27 ottobre 1964), ha istituito un’imposta nazionale sul consumo di banane fresche. Tale legge è stata abrogata dalla legge 29 dicembre 1990, n. 428 (GURI n. 10 del 12 gennaio 1991). Nel corso degli anni, l’importo di tale imposta è stato progressivamente aumentato e, al momento della sua abolizione, esso raggiungeva l’importo di ITL 525 per chilogrammo. All’epoca non esisteva un’imposta sul consumo di frutta tradizionalmente prodotta in Italia.

Causa principale e questioni pregiudiziali

11. Nell’ambito di due procedimenti, la Camar ha contestato l’imposta che le era stata richiesta in forza della legge n. 986/1964 relativamente ad importazioni di banane originarie della Somalia. Tali procedimenti si sono conclusi con due sentenze della Corte suprema di cassazione.

12. Nella sua successiva azione dinanzi al Tribunale di Firenze la Camar ha sostenuto che la Corte suprema di cassazione aveva violato il diritto comunitario, in particolare l’obbligo di cui all’art. 234 CE, respingendo i ricorsi proposti dinanzi ad essa senza sottoporre alla Corte talune questioni pregiudiziali.

13. Dalle informazioni fornite dalla Camar all’udienza risulta che le importazioni di cui alla causa principale sono avvenute dopo il 1° marzo 1990. In tale epoca la produzione italiana di banane era molto scarsa, se non inesistente.

14. Il giudice del rinvio rileva che l’esame della compatibilità della legge n. 986/1964 con gli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali menzionate ai punti 3‑8 della presente sentenza riveste carattere preliminare nell’ambito della valutazione della fondatezza dell’azione per risarcimento dei danni proposta dinanzi ad esso dalla Camar. Il giudice del rinvio ritiene che tale esame sollevi complesse questioni di diritto che non sono state ancora integralmente risolte dalla giurisprudenza della Corte in questa materia.

15. In tale contesto, il Tribunale di Firenze ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) L’art. 14 della prima Convenzione di Yaoundé ostava all’introduzione da parte di uno Stato membro di un tributo interno relativo alle banane originarie della Somalia, di fatto non applicato alle banane nazionali (la cui produzione era del tutto inesistente o irrilevante) e non applicabile a nessun altro tipo di frutta nazionale?

In caso di risposta affermativa al quesito che precede:

2) il [protocollo relativo alle banane] allegato alla Convenzione di Lomé allora in vigore ostava alla riscossione di un tributo incompatibile con l’art. 14 della prima Convenzione di Yaoundé per l’importazione in Italia di banane somale effettuat[a] nel 1990, tenuto conto del combinato disposto di detto protocollo e degli analoghi protocolli allegati alle precedenti convenzioni di Lomé, oltre che all’art. 5 della seconda Convenzione di Yaoundé?

In caso di risposta negativa:

3) si deve ritenere che i protocolli relativi alle banane allegat[i] alle Convenzioni di Lomé ostassero agli aumenti di un tributo quale l’imposta italiana di consumo relativo alle banane originarie della Somalia successivi al 1° aprile 1976, indipendentemente dall’effetto concreto di tali aumenti sull’esportazione di dette banane?».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulle questioni prima e seconda

16. Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 14 della prima Convenzione di Yaoundé ostasse all’introduzione di un’imposta come quella istituita dalla legge n. 986/1964, e che pertanto, anche dopo che le convenzioni di Yaoundé hanno cessato d’essere applicabili, un’imposta sull’importazione di banane originarie di uno Stato associato non poteva essere prelevata da uno Stato membro in forza di una legge siffatta.

17. Per risolvere tale questione, va esaminato, anzitutto, se detto art. 14 ostasse al prelievo da parte di uno Stato membro, in forza di una legge come la legge n. 986/1964, di un’imposta sul consumo di banane originarie della Somalia all’epoca in cui tale misura è stata introdotta. A tal fine occorre analizzare la portata di tale art. 14, senza che sia necessario determinare se tale disposizione abbia effetto diretto. Come risulta, infatti, dai termini in cui è formulata la prima questione, il giudice del rinvio si interroga sulla portata di tale articolo, indipendentemente dal suo eventuale effetto diretto.

18. Ai sensi dell’art. 14 della prima Convenzione di Yaoundé, ciascuna parte contraente si impegna a non adottare alcuna misura o pratica di natura fiscale interna che instauri direttamente o indirettamente una discriminazione tra i propri prodotti e i prodotti similari originari delle altre parti contraenti.

19. Risulta dalla decisione di rinvio che, all’epoca dei fatti di cui alla causa principale, la produzione di banane in Italia era del tutto inesistente o irrilevante e non va quindi presa in considerazione, pertanto l’elemento della similarità su cui si fonda, in base al suo tenore letterale, il divieto ex art. 14 della prima Convenzione di Yaoundé dev’essere valutato rispetto alla frutta da tavola di produzione tipicamente nazionale nello Stato membro interessato (v., per analogia, sentenza 7 maggio 1987, causa 184/85, Commissione/Italia, Racc. pag. 2013, punto 8).

20. In proposito, va ricordato che la Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla similarità tra le banane e l’altra frutta da tavola di produzione italiana nell’ambito di controversie vertenti sull’interpretazione dell’art. 95, primo comma, del Trattato CEE (divenuto art. 95, primo comma, del Trattato CE, a sua volta divenuto art. 90, primo comma, CE). Essa ha statuito che queste due categorie di prodotti non sono similari ai sensi dell’art. 95, primo comma, del Trattato CEE, poiché presentano caratteristiche diverse e non soddisfano le medesime esigenze dei consumatori (v. sentenze Commissione/Italia, cit., punti 9 e 10, e 7 maggio 1987, causa 193/85, Cooperativa Co‑Frutta, Racc. pag. 2085, punti 17 e 18).

21. La Corte ha infatti considerato che le caratteristiche organolettiche e la percentuale d’acqua delle due categorie di prodotti sono diverse e che la banana, perlomeno sul mercato italiano, è considerata un alimento particolarmente nutritivo ed energetico, indicato per la prima infanzia (v. sentenza Commissione/Italia, cit., punto 10).

22. Tale valutazione dei fatti non è rimessa in discussione dalla Camar. Per contro, quest’ultima fa valere argomenti che militano a favore di un’interpretazione più ampia dell’art. 14 della prima Convenzione di Yaoundé rispetto a quella che deve essere presa in considerazione, alla luce delle sentenze menzionate, per l’art. 90, primo comma, CE.

23. La Camar ritiene, infatti, che l’art. 14 della prima Convenzione di Yaoundé debba essere interpretato nel senso che esso vieta non solo una tassazione discriminatoria dei prodotti similari, ma – in quanto sintesi delle disposizioni contenute al primo e al secondo comma dell’art. 90 CE – anche qualsiasi forma di protezionismo fiscale indiretto a favore di prodotti nazionali che si trovano in rapporto di concorrenza con i prodotti importati. Un’interpretazione di detto art. 14 nel senso che esso presuppone che i prodotti importati abbiano le stesse caratteristiche dei prodotti nazionali priverebbe tale disposizione di qualsiasi effetto utile, giacché i prodotti dei paesi africani presi in considerazione dalla prima Convenzione di Yaoundé sarebbero tutti prodotti tropicali, aventi caratteristiche divergenti rispetto ai prodotti degli Stati membri.

24. Si deve nondimeno constatare che l’interpretazione avanzata dalla Camar non trova alcuna conferma nel testo dell’art. 14 della prima Convenzione di Yaoundé. Tale disposizione si limita, infatti, a prevedere il divieto di un’imposizione discriminatoria dei prodotti similari in termini analoghi a quelli dell’art. 90, primo comma, CE. Conformemente alla giurisprudenza relativa a quest’ultima disposizione è assodato che i prodotti similari per i quali vige tale divieto sono prodotti che presentano caratteristiche analoghe e soddisfano le medesime esigenze dei consumatori (v., in questo senso, sentenza Commissione/Italia, cit., punti 9 e 10).

25. Ne consegue che, se la Comunità e gli Stati africani e malgascio associati a quest’ultima avessero inteso disciplinare il problema dei tributi interni riguardanti i prodotti non similari, ma che si trovano in rapporto di concorrenza, essi avrebbero adottato, anziché una disposizione simile al solo primo comma dell’art. 90 CE, una norma modellata anche sull’art. 90, secondo comma, CE (v., per analogia, sentenza 12 dicembre 1995, causa C‑469/93, Chiquita Italia, Racc. pag. I‑4533, punto 43).

26. Si deve quindi necessariamente constatare che l’interpretazione dell’art. 14 della prima Convenzione di Yaoundé avanzata dalla Camar risulta inconciliabile con i termini di tale articolo.

27. Va poi esaminato se la finalità della prima Convenzione di Yaoundé imponga di interpretare l’art. 14 della stessa Convenzione, nonostante la sua formulazione limitata, nel senso che esso riguarda del pari le misure fiscali interne analoghe a quelle vietate dall’art. 90, secondo comma, CE.

28. In proposito, occorre anzitutto constatare che un’interpretazione dell’art. 14 della prima Convenzione di Yaoundé che vada oltre il tenore letterale di tale articolo non è, contrariamente a quanto sostiene la Camar, necessaria per garantirne l’effetto utile.

29. Da un lato, infatti, occorre interpretare l’espressione «prodotti similari» non nel senso che essa impone che i prodotti siano identici, ma solo nel senso che esclude prodotti che presentano caratteristiche diverse e che non soddisfano le medesime esigenze dei consumatori, come è stato ricordato al punto 20 della presente sentenza. Ne consegue che anche i prodotti tipicamente tropicali non possono essere considerati, in maniera generalizzata, come non similari rispetto ai prodotti originari degli Stati membri.

30. D’altro lato, l’art. 14 della prima Convenzione di Yaoundé riguarda, conformemente alla sua formulazione, i prodotti originari delle parti contraenti in generale, senza limitarsi ai prodotti tropicali.

31. In secondo luogo, in una prospettiva più ampia, va constatato che un’interpretazione dell’art. 14 della prima Convenzione di Yaoundé che attribuisca a quest’ultimo una portata che include anche il divieto di misure fiscali interne come quelle previste all’art. 90, secondo comma, CE non può essere ammessa. Alle due disposizioni sono, infatti, sottesi obiettivi diversi, cosicché esse non possono essere assimilate per via interpretativa.

32. Risulta, infatti, dalla giurisprudenza della Corte che l’art. 90 CE ha lo scopo di garantire la libera circolazione delle merci tra gli Stati membri in normali condizioni di concorrenza, mediante l’eliminazione di qualsiasi forma di protezionismo che possa derivare dall’applicazione di tributi interni discriminatori nei confronti dei prodotti originari di altri Stati membri, e di garantire l’assoluta neutralità dei tributi interni riguardo alla concorrenza fra merci nazionali e merci importate (v., in questo senso, sentenza Commissione/Italia, cit., punto 7).

33. Del pari, l’interpretazione di detta disposizione deve tener conto delle finalità del Trattato, quali enunciate agli artt. 2 CE, 3 CE e 14 CE, tra le quali figura, in primo luogo, l’instaurazione di un mercato interno nel quale sia garantita la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali (v., in questo senso, sentenza 25 febbraio 1988, causa 299/86, Drexl, Racc. pag. 1213, punto 24).

34. Orbene, si deve necessariamente constatare che tali obiettivi, sottesi all’art. 90 CE, non sono presenti nella prima Convenzione di Yaoundé. Ai sensi del suo art. 1, che come l’art. 14 della medesima Convenzione fa parte del titolo I, rubricato «Scambi commerciali», l’oggetto di detta Convenzione è, infatti, quello di promuovere l’aumento degli scambi tra gli Stati associati e gli Stati membri, di rafforzare le loro relazioni economiche e l’indipendenza economica degli Stati associati e di contribuire in tal modo allo sviluppo del commercio internazionale.

35. La conclusione secondo cui la finalità della prima Convenzione di Yaoundé non impone di procedere ad un’interpretazione del suo art. 14 che vada oltre il suo tenore letterale, interpretazione che attribuirebbe a tale disposizione una portata analoga a quella dell’art. 90, secondo comma, CE, è inoltre suffragata dall’interpretazione di disposizioni pressoché identiche a detto art. 14 fornita dalla Corte nell’ambito di controversie riguardanti accordi diretti a creare un regime di libero scambio. La Corte ha, infatti, considerato che tali disposizioni impongono alle parti contraenti un principio di non discriminazione in materia fiscale che è subordinato al mero accertamento della similarità dei prodotti soggetti ad un determinato regime tributario (v. sentenze 26 ottobre 1982, causa 104/81, Kupferberg, Racc. pag. 3641, punto 26, e 17 luglio 1997, cause riunite C‑114/95 e C‑115/95, Texaco e Olieselskabet Danmark, Racc. pag. I‑4263, punto 31).

36. Per di più, la Corte ha espressamente giudicato che la portata di una disposizione di un accordo di libero scambio analoga all’art. 14 della prima Convenzione di Yaoundé si limita a vietare una tassazione discriminatoria dei prodotti similari. Infatti, relativamente all’art. 21, primo comma, dell’accordo tra la Comunità economica europea e la Repubblica portoghese, firmato a Bruxelles il 22 luglio 1972, concluso e approvato, a nome della Comunità, dal regolamento (CEE) del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 2844 (GU L 301, pag. 164), al punto 42 della già citata sentenza Kupferberg la Corte ha statuito che non costituisce discriminazione, ai sensi di detto art. 21, la mancata applicazione da parte di uno Stato membro, ai prodotti originari del paese terzo interessato, di una riduzione d’imposta contemplata per taluni gruppi di produttori o tipi di prodotti, qualora sul mercato dello Stato membro di cui trattasi non esista alcun prodotto similare che abbia effettivamente beneficiato di tale riduzione.

37. Si deve quindi concludere che il divieto dettato all’art. 14 della prima Convenzione di Yaoundé è limitato, conformemente al suo tenore letterale, ad una tassazione discriminatoria dei prodotti similari e non riguarda quindi prodotti non similari che si trovano in un rapporto di concorrenza.

38. Alla luce di quanto precede, la prima questione posta va risolta dichiarando che l’art. 14 della prima Convenzione di Yaoundé non ostava ad un tributo relativo alle banane originarie della Somalia come quello istituito dalla legge n. 986/1964.

39. In considerazione della risposta data alla prima questione, non è necessario rispondere alla seconda.

Sulla terza questione

40. Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’applicazione da parte del giudice nazionale della clausola di «standstill» contenuta nei protocolli relativi alle banane allegati alle convenzioni di Lomé presupponga un esame degli effetti concreti degli aumenti di un tributo, come quello istituito dalla legge n. 986/1964, al fine di determinare la compatibilità di tali aumenti con detta clausola.

41. Poiché il giudice del rinvio non ha precisato a quale convenzione di Lomé intendeva riferirsi, va preliminarmente determinato quale delle quattro convenzioni di Lomé debba essere presa in considerazione, tenuto conto delle circostanze della causa principale. In proposito, dalle informazioni fornite dalla Camar in udienza risulta che le importazioni all’origine del prelievo dell’imposta controversa in tale causa sono avvenute dopo il 1° marzo 1990. Giacché il protocollo n. 5, relativo alle banane, allegato alla quarta Convenzione di Lomé era applicabile a partire dal 1° marzo 1990, ai sensi dell’art. 2, n. 1, lett. f), della decisione n. 2/90 e degli artt. 1 e 2, secondo comma, del regolamento n. 714/90, si deve pertanto far riferimento a quest’ultima Convenzione.

42. L’art. 1 di detto protocollo n. 5 assume la forma di una clausola di «standstill». In altre parole, esso mira a garantire l’accesso delle banane provenienti dagli Stati ACP al loro mercato tradizionale a condizioni e secondo modalità che non siano meno favorevoli di quelle vigenti al momento della sua entrata in vigore. Questa garanzia d’accesso giova tuttavia alle banane provenienti dagli Stati ACP soltanto fino a concorrenza dei quantitativi importati al momento dell’entrata in vigore di detta disposizione (sentenza Chiquita Italia, cit., punto 59).

43. Le prime tre convenzioni di Lomé contenevano tutte una clausola di «standstill» redatta in termini analoghi a quelli utilizzati nell’art. 1 del protocollo n. 5, relativo alle banane, allegato alla quarta Convenzione di Lomé (sentenza Chiquita Italia, cit., punto 62). Considerato che la prima Convenzione di Lomé è entrata in vigore il 1° aprile 1976, tale data costituisce il punto di riferimento per l’applicazione della clausola di «standstill» (v., in questo senso, Chiquita Italia, cit., punto 63).

44. Spetta quindi al giudice del rinvio accertare se le importazioni di cui trattasi nella causa principale riguardassero banane importate a concorrenza dei quantitativi importati al momento dell’entrata in vigore della prima Convenzione di Lomé, ossia il 1° aprile 1976.

45. Per quanto riguarda più in particolare la questione del giudice del rinvio vertente sull’esame da effettuare per valutare la compatibilità di aumenti di un’imposta, come quella di cui trattasi alla causa principale, con la clausola «standstill» di cui all’art. 1 del protocollo n. 5, relativo alle banane, allegato alla quarta Convenzione di Lomé, va constatato che tali aumenti comportano aumenti di prezzo per le banane interessate e, conseguentemente, ne rendono più difficile lo smercio sul mercato considerato (sentenza Chiquita Italia, cit., punto 60). Pertanto l’esame di un aumento siffatto sotto il profilo di tale clausola di «standstill» non implica normalmente l’esame degli effetti concreti di tali aumenti sulle importazioni.

46. Nondimeno, ove di tratti dell’ipotesi, dibattuta dalle parti, in cui tali aumenti siano diretti unicamente ad adeguare all’inflazione un’imposta come quella istituita dalla legge n. 986/1964, si deve constatare che detta clausola di «standstill» ha lo scopo di evitare che le importazioni di banane siano poste in una situazione meno favorevole rispetto alla situazione precedente per quanto riguarda l’accesso ai loro mercati tradizionali e i vantaggi di cui fruiscono sui medesimi (v., in tal senso, sentenza Chiquita Italia, cit., punto 63), cosicché essa si riferisce alla situazione reale in tali mercati.

47. Non sono, pertanto, contrari all’art. 1 del protocollo n. 5, relativo alle banane, allegato alla quarta Convenzione di Lomé gli aumenti di un tributo come quelli di cui trattasi nella causa principale, laddove si limitino ad adeguare il tributo stesso all’inflazione, al fine di mantenere ad un livello costante la tassazione effettiva del bene.

48. Alla luce di quanto precede, la terza questione posta dal giudice del rinvio va risolta dichiarando che il giudice nazionale non è tenuto ad esaminare gli effetti concreti degli aumenti di un tributo sulle importazioni di banane originarie della Somalia, come quello istituito dalla normativa di cui trattasi nella causa principale, rispetto alla situazione precedente al 1° aprile 1976 per valutare la compatibilità di tali aumenti con la clausola di «standstill» che compare all’art. 1 del protocollo n. 5, relativo alle banane, allegato alla quarta Convenzione di Lomé. Non sono tuttavia contrari a detta clausola aumenti di un tributo siffatto che si limitino ad adeguarlo all’inflazione.

Sulle spese

49. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Dispositivo

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:

1) L’art. 14 della Convenzione di associazione tra la Comunità economica europea e gli Stati africani e malgascio associati a tale Comunità, firmata a Yaoundé il 20 luglio 1963, non ostava ad un tributo relativo alle banane originarie della Somalia come quello istituito dalla legge 9 ottobre 1964, n. 986.

2) Il giudice nazionale non è tenuto ad esaminare gli effetti concreti degli aumenti di un tributo sulle importazioni di banane originarie della Somalia, come quello istituito dalla normativa di cui trattasi nella causa principale, rispetto alla situazione precedente al 1° aprile 1976 per valutare la compatibilità di tali aumenti con la clausola di «standstill» che compare all’art. 1 del protocollo n. 5, relativo alle banane, allegato alla quarta Convenzione ACP-CEE, firmata a Lomé il 15 dicembre 1989. Non sono tuttavia contrari a detta clausola aumenti di un tributo siffatto che si limitino ad adeguarlo all’inflazione.

Top