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Document 62021CJ0175

Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 17 novembre 2022.
Harman International Industries, Inc. contro AB SA.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Sąd Okręgowy w Warszawie.
Rinvio pregiudiziale – Articoli 34 e 36 TFUE – Libera circolazione delle merci – Proprietà intellettuale – Marchio dell’Unione europea – Regolamento (UE) 2017/1001 – Articolo 15 – Esaurimento del diritto conferito dal marchio – Immissione in commercio nello Spazio economico europeo (SEE) – Consenso del titolare del marchio – Luogo di prima immissione in commercio di prodotti da parte del titolare del marchio o con il suo consenso – Prova – Direttiva 2004/48/CE – Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Tutela giurisdizionale effettiva – Dispositivo delle decisioni giudiziarie che non identifica i prodotti di cui trattasi – Difficoltà di esecuzione – Ricorso limitato dinanzi al giudice competente in materia di esecuzione forzata – Processo equo – Diritti della difesa – Principio della parità delle armi.
Causa C-175/21.

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2022:895

 SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

17 novembre 2022 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Articoli 34 e 36 TFUE – Libera circolazione delle merci – Proprietà intellettuale – Marchio dell’Unione europea – Regolamento (UE) 2017/1001 – Articolo 15 – Esaurimento del diritto conferito dal marchio – Immissione in commercio nello Spazio economico europeo (SEE) – Consenso del titolare del marchio – Luogo di prima immissione in commercio di prodotti da parte del titolare del marchio o con il suo consenso – Prova – Direttiva 2004/48/CE – Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Tutela giurisdizionale effettiva – Dispositivo delle decisioni giudiziarie che non identifica i prodotti di cui trattasi – Difficoltà di esecuzione – Ricorso limitato dinanzi al giudice competente in materia di esecuzione forzata – Processo equo – Diritti della difesa – Principio della parità delle armi»

Nella causa C‑175/21,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Sąd Okręgowy w Warszawie (Tribunale regionale di Varsavia, Polonia), con decisione del 3 febbraio 2021, pervenuta in cancelleria il 17 marzo 2021, nel procedimento

Harman International Industries Inc.

contro

AB S.A.,

LA CORTE (Quinta Sezione),

composta da E. Regan, presidente di sezione, D. Gratsias, M. Ilešič (relatore), I. Jarukaitis e Z. Csehi, giudici,

avvocato generale: G. Pitruzzella

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

per la Harman International Industries Inc., da D. Piróg e da J. Słupski, adwokaci;

per la AB S.A., da K. Kucharski e K. Sum, radcowie prawni;

per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;

per la Commissione europea, da É. Gippini Fournier, S.L. Kalėda e B. Sasinowska, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 16 giugno 2022,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 36, seconda frase, TFUE, in combinato disposto con l’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1), nonché dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE.

2

La domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Harman International Industries Inc. con sede negli Stati Uniti (in prosieguo: la «Harman») e la AB S.A., con sede in Polonia, in merito alla contraffazione di diversi marchi dell’Unione europea.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

Il regolamento 2017/1001

3

Ai sensi dell’articolo 9 del regolamento 2017/1001, intitolato «Diritti conferiti dal marchio UE»:

«1.   La registrazione del marchio UE conferisce al titolare un diritto esclusivo.

2.   Fatti salvi i diritti dei titolari acquisiti prima della data di deposito o della data di priorità del marchio UE, il titolare del marchio UE ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio, in relazione a prodotti o servizi, qualsiasi segno quando:

a)

il segno è identico al marchio UE ed è usato in relazione a prodotti e servizi identici ai prodotti o ai servizi per i quali il marchio UE è stato registrato;

b)

il segno è identico o simile al marchio UE ed è usato in relazione a prodotti e a servizi identici o simili ai prodotti o ai servizi per i quali il marchio UE è stato registrato, se vi è rischio di confusione da parte del pubblico; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione tra segno e marchio;

c)

il segno è identico o simile al marchio UE, a prescindere dal fatto che sia usato per prodotti o servizi identici, simili o non simili a quelli per i quali il marchio UE è stato registrato, se il marchio UE gode di notorietà nell’Unione e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio UE o reca pregiudizio agli stessi.

3.   Possono essere in particolare vietati, a norma del paragrafo 2:

(...)

b)

l’offerta, l’immissione in commercio o lo stoccaggio dei prodotti a tali fini oppure l’offerta o la fornitura di servizi sotto la copertura del segno;

c)

l’importazione o l’esportazione dei prodotti sotto la copertura del segno;

(...)».

4

L’articolo 15 di tale regolamento, rubricato «Esaurimento del diritto conferito dal marchio UE», al suo paragrafo 1 prevede quanto segue:

«Il diritto conferito dal marchio UE non permette al titolare di impedirne l’uso per prodotti immessi in commercio nello Spazio economico europeo con tale marchio dal titolare stesso o con il suo consenso».

5

L’articolo 129 di tale regolamento, intitolato «Diritto applicabile», recita:

«1.   I tribunali dei marchi UE applicano le disposizioni del presente regolamento.

2.   Per tutte le questioni sui marchi che non rientrano nell’ambito di applicazione del presente regolamento il tribunale dei marchi UE pertinente applica il pertinente diritto nazionale.

3.   Se il presente regolamento non dispone altrimenti, il tribunale dei marchi UE applica le norme procedurali che disciplinano lo stesso tipo di azioni relative a un marchio nazionale nello Stato membro in cui tale tribunale ha sede».

Direttiva 2004/48/CE

6

Ai sensi dell’articolo 1 della direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (GU 2004, L 157, pag. 45, e rettifica in GU 2004, L 195, pag. 16), intitolato «Oggetto»:

«La presente direttiva concerne le misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale. Ai fini della presente direttiva i termini “diritti di proprietà intellettuale” includono i diritti di proprietà industriale».

7

L’articolo 2 di detta direttiva, intitolato «Campo di applicazione», al paragrafo 1, stabilisce quanto segue:

«Fatti salvi gli strumenti vigenti o da adottare nella legislazione comunitaria o nazionale, e sempre che questi siano più favorevoli ai titolari dei diritti, le misure, le procedure e i mezzi di ricorso di cui alla presente direttiva si applicano, conformemente all’articolo 3, alle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale come previsto dalla legislazione comunitaria e/o dalla legislazione nazionale dello Stato membro interessato».

8

Il capo II di detta direttiva, intitolato «Misure, procedure e mezzi di ricorso», comprende, tra l’altro, l’articolo 3 della medesima, intitolato «Obbligo generale», che prevede, al paragrafo 2, quanto segue:

«Le misure, le procedure e i mezzi ricorso sono effettivi, proporzionati e dissuasivi e sono applicati in modo da evitare la creazione di ostacoli al commercio legittimo e da prevedere salvaguardie contro gli abusi».

Diritto polacco

9

L’articolo 325 dell’ustawa – Kodeks postępowania cywilnego (legge sul codice di procedura civile), del 17 novembre 1964, nella versione applicabile al procedimento principale (in prosieguo: il «codice di procedura civile»), stabilisce che:

«Il dispositivo della sentenza deve contenere il nome del tribunale, i nomi dei giudici, del cancelliere e del pubblico ministero, se quest’ultimo è intervenuto nella causa, la data e il luogo dell’udienza e della pronuncia della sentenza, i nomi delle parti e l’oggetto della causa, nonché la decisione del tribunale sulle richieste delle parti».

10

Secondo l’articolo 758 del codice di procedura civile, i Sądy Rejonowe (Tribunali circondariali, Polonia) così come gli ufficiali giudiziari collegati a tali tribunali sono competenti in materia di esecuzione forzata.

11

Ai sensi dell’articolo 767 di detto codice:

«1.   A meno che la legge non disponga diversamente, gli atti dell’ufficiale giudiziario possono essere appellati dinanzi al Sąd Rejonowy [(Tribunale circondariale)]. Un ricorso è anche possibile contro l’omissione di un documento da parte dell’ufficiale giudiziario. Il ricorso è esaminato dal tribunale nella giurisdizione dell’ufficio dell’ufficiale giudiziario.

2.   Il ricorso può essere presentato da una parte o da un’altra persona i cui diritti sono stati violati o minacciati dall’atto o dall’omissione dell’ufficiale giudiziario.

(...)».

12

L’articolo 840 del suddetto codice prevede nel suo paragrafo 1:

«Il debitore può chiedere in appello l’annullamento totale o parziale o la limitazione dell’esecutività del titolo esecutivo quando:

1) contesta i fatti che hanno giustificato l’apposizione del titolo esecutivo, in particolare quando contesta l’esistenza dell’obbligazione accertata con un titolo esecutivo semplice diverso da una decisione giudiziaria o quando contesta il trasferimento di un’obbligazione nonostante l’esistenza di un documento formale che la attesti;

2) dopo l’emissione di un titolo esecutivo semplice, si è verificato un evento che ha determinato l’estinzione dell’obbligazione o l’impossibilità della sua esecuzione; se il titolo è una decisione giudiziaria, il debitore può anche basare la sua impugnazione su fatti avvenuti dopo la chiusura del procedimento, sull’eccezione di esecuzione della prestazione, quando l’invocazione di tale eccezione nella causa in questione era inammissibile ex lege, e sull’eccezione di compensazione. (...)».

13

L’articolo 843 del medesimo codice prevede nel suo paragrafo 3:

«Nell’atto di appello, l’appellante deve esporre tutti i reclami che possono essere sollevati in questa fase, altrimenti perderà il diritto di farli valere nel procedimento successivo».

14

L’articolo 1050 del codice di procedura civile così dispone:

«1.   Quando il debitore è tenuto a compiere un atto che non può essere compiuto da un’altra persona e il cui compimento dipende esclusivamente dalla sua volontà, il tribunale nella cui giurisdizione l’atto deve essere compiuto, su richiesta del creditore e dopo aver sentito le parti, fissa un termine al debitore per compiere l’atto, sotto pena di una multa, se non lo fa entro il termine stabilito.

(...)

3.   Se il termine concesso al debitore per compiere un atto è scaduto senza che il debitore lo abbia compiuto, il tribunale, su richiesta del creditore, impone al debitore una multa e allo stesso tempo fissa un nuovo termine per il compimento dell’atto, sotto pena di una multa maggiorata».

15

L’articolo 1051 di tale codice stabilisce, al paragrafo 1, che:

«Quando il debitore è vincolato dall’obbligo di non fare o ostacolare gli atti del creditore, il tribunale nella cui giurisdizione il debitore non ha adempiuto al suo obbligo, su richiesta del creditore, lo condanna a pagare una multa, dopo aver sentito le parti e aver constatato che il debitore non ha adempiuto al suo obbligo. Il tribunale procede allo stesso modo in caso di una nuova domanda da parte del creditore».

Procedimento principale e questione pregiudiziale

16

La Harman produce apparecchi audiovisivi, tra cui altoparlanti, cuffie e sistemi audio. Essa ha stipulato un accordo con un distributore per la vendita nel territorio polacco dei suoi prodotti, recanti i marchi dell’Unione europea JBL e HARMAN, di cui è titolare.

17

La AB distribuisce sul mercato polacco i prodotti della Harman, acquistati da un fornitore diverso dal distributore autorizzato dalla Harman su tale mercato.

18

La Harman ha proposto un’azione innanzi al Sąd Okręgowy w Warszawie (Tribunale regionale di Varsavia, Polonia), il giudice del rinvio, volta a far cessare la violazione dei diritti ad essa conferiti dai marchi vietando alla AB in generale di procedere all’introduzione o all’immissione in commercio, all’importazione, all’offerta, alla pubblicizzazione e allo stoccaggio di altoparlanti e di cuffie nonché dei loro imballaggi recanti i detti marchi che non siano stati precedentemente immessi in commercio nello Spazio economico europeo (SEE) dalla Harman o con il suo consenso. Inoltre, la Harman ha chiesto che venga ordinato alla AB di ritirare dal mercato e distruggere detti prodotti e i loro imballaggi

19

Nella sua difesa, la AB ha fatto valere il principio dell’esaurimento del diritto conferito dal marchio e invoca, in sostanza, l’assicurazione ricevuta dal suo fornitore che l’importazione dei prodotti in questione nel mercato polacco non viola i marchi della Harman, in quanto tali prodotti erano stati immessi in commercio nel SEE dalla Harman o con il suo consenso.

20

Il giudice del rinvio osserva che i sistemi di marcatura dei prodotti utilizzati dalla Harman non sono sempre sufficienti a identificare il mercato di destinazione di ciascuno dei suoi prodotti. Per determinare con certezza se un determinato prodotto fosse destinato al mercato SEE, sarebbe necessario ricorrere a una banca dati della Harman.

21

Secondo tale giudice, la AB potrebbe teoricamente rivolgersi al suo fornitore per ottenere informazioni sull’identità degli operatori coinvolti a monte nella catena di distribuzione. Tuttavia, poiché i fornitori di solito non sono disposti a rivelare le loro fonti di approvvigionamento per non perdere le vendite, è improbabile che la AB sia in grado di ottenere tali informazioni.

22

Orbene, la prassi dei giudici polacchi sarebbe quella di fare riferimento, nel dispositivo delle loro sentenze di accoglimento di un’azione per contraffazione di un marchio dell’Unione europea, a «prodotti che non sono stati precedentemente immessi in commercio nel territorio [SEE] dal ricorrente (titolare del marchio dell’Unione europea) o con il suo consenso». Questa formulazione non consentirebbe, in fase di procedimento di esecuzione forzata, di identificare i prodotti oggetto di tale procedimento rispetto a quelli che rientrano nell’eccezione relativa all’esaurimento del diritto conferito dal marchio. Pertanto, il dispositivo di tali decisioni non si discosta di fatto dall’obbligo generale che già deriva dalle disposizioni di legge.

23

In ragione di tale prassi giudiziaria, il convenuto in un’azione per contraffazione non sarebbe in grado di dare volontariamente esecuzione ad una decisione di accertamento della contraffazione e correrebbe il rischio di essere sanzionato sulla base degli articoli 1050 e 1051 del codice di procedura civile. Inoltre, nella maggior parte dei casi, tale prassi porterebbe al sequestro di tutti i prodotti, compresi quelli che circolano in assenza di una violazione del diritto esclusivo conferito dal marchio.

24

Parimenti, come risulta dagli articoli 767, 840 e 843 del codice di procedura civile, nell’ambito dei procedimenti cautelari e di esecuzione forzata, il convenuto in un’azione per contraffazione si troverebbe ad affrontare una serie di ostacoli giuridici per opporsi con successo alle misure ordinate e avrebbe solo garanzie procedurali limitate.

25

In primo luogo, ai sensi dell’articolo 767 di tale codice, il ricorso contro gli atti di un ufficiale giudiziario è possibile solo quando quest’ultimo non ha rispettato le norme procedurali che disciplinano il procedimento di esecuzione forzata. Ad esempio, tale ricorso non consentirebbe di determinare se un prodotto recante un marchio sia stato immesso in commercio nel SEE dal titolare del marchio o con il suo consenso.

26

In secondo luogo, il convenuto in un’azione per contraffazione non avrebbe il diritto di presentare un’opposizione in base all’articolo 840 del codice di procedura civile, poiché tale tipo di ricorso non potrebbe servire a chiarire il contenuto della decisione giudiziaria che costituisce il titolo esecutivo.

27

In terzo luogo, secondo un’opinione prevalente nella dottrina polacca, il giudice competente per l’esecuzione forzata può sentire le parti ma, ai sensi dell’articolo 1051 del codice di procedura civile, non può procedere all’assunzione di prove per determinare se il convenuto nell’azione per contraffazione abbia agito in conformità con il contenuto del titolo esecutivo.

28

In quarto luogo, in virtù dell’articolo 843, paragrafo 3, del Codice di procedura civile, quando presenta un’impugnazione nell’ambito del procedimento esecutivo, il debitore deve menzionare tutte le censure che è in grado di sollevare, altrimenti perde il diritto di sollevarle nel successivo procedimento.

29

Pertanto, secondo il giudice del rinvio, vi è il rischio che la tutela giurisdizionale della libera circolazione delle merci venga limitata a seguito di detta prassi giudiziaria relativa alla formulazione del dispositivo delle decisioni di accertamento della contraffazione.

30

In tale contesto, il Sąd Okręgowy w Warszawie (Tribunale regionale di Varsavia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 36, seconda frase, TFUE, in combinato disposto con l’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento [2017/1001], nonché con l’articolo 19, paragrafo 1 [secondo comma] [TUE], debba essere inteso nel senso che esso osta ad una prassi degli organi giurisdizionali nazionali di Stati membri in forza della quale tali organi giurisdizionali:

nell’esaminare le richieste del titolare di un marchio di vietare l’introduzione, l’immissione in commercio, l’offerta, l’importazione, la pubblicizzazione dei prodotti recanti un marchio dell’Unione europea, di ordinare il ritiro dal commercio o la distruzione di tali prodotti,

nel pronunciarsi sui procedimenti cautelari di sequestro dei prodotti recanti un marchio dell’Unione europea,

fanno riferimento, nelle loro sentenze, ai “prodotti che non sono stati immessi in commercio nel[ SEE] dal titolare del marchio o con il suo consenso”, e in conseguenza di ciò la determinazione a quali prodotti recanti il marchio dell’Unione europea si riferiscano i disposti obblighi o divieti (ossia la determinazione di quali prodotti non siano stati immessi in commercio nel[ SEE] dal titolare o con il suo consenso) viene lasciata, alla luce della formulazione generica della sentenza, all’autorità che effettua l’esecuzione. Tale autorità, nel compiere siffatto accertamento, si basa sulle dichiarazioni del titolare del marchio o sugli strumenti forniti dal titolare (tra i quali strumenti informatici e banche dati) mentre la ricevibilità della contestazione di tali accertamenti dell’autorità esecutiva davanti ad un organo giurisdizionale in un procedimento di merito è esclusa o limitata, in considerazione della natura dei rimedi giuridici spettanti al resistente in un procedimento cautelare o esecutivo».

Sulla questione pregiudiziale

31

Secondo una costante giurisprudenza della Corte, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una soluzione utile che gli consenta di dirimere la controversia di cui è investito. In tale prospettiva, spetta alla Corte, se necessario, riformulare le questioni che le sono sottoposte. Inoltre, la Corte può essere condotta a prendere in considerazione norme del diritto dell’Unione alle quali il giudice nazionale non ha fatto riferimento nella formulazione della sua questione (sentenza dell’8 settembre 2022, RTL Television, C‑716/20, EU:C:2022:643, punto 55 e giurisprudenza citata).

32

Per quanto riguarda l’obbligo degli Stati membri di garantire una tutela giurisdizionale effettiva in un settore disciplinato dal diritto dell’Unione, sancito dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, dalla giurisprudenza costante della Corte risulta che il diritto a un ricorso effettivo può essere invocato sulla sola base dell’articolo 47 della Carta, dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), senza che il suo contenuto debba essere precisato mediante altre disposizioni del diritto dell’Unione o mediante disposizioni del diritto interno degli Stati membri, in quanto il riconoscimento di tale diritto in un determinato caso di specie presuppone, come risulta dall’articolo 47, primo comma, della Carta, che la persona che lo invoca si avvalga di diritti o di libertà garantiti dal diritto dell’Unione [v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2020, État luxembourgeois (Diritto di ricorso contro una richiesta di informazioni in materia fiscale), C‑245/19 e C‑246/19, EU:C:2020:795, punti 5455 nonché giurisprudenza ivi citata].

33

Va inoltre ricordato, da un lato, che, ai sensi dell’articolo 1 della direttiva 2004/48, essa concerne le misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale e, dall’altro, che, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, di tale direttiva, essi si applicano alle violazioni di tali diritti come previsto dalla legislazione dell’Unione e/o dalla legislazione nazionale dello Stato membro interessato.

34

Ai sensi dell’articolo 129, paragrafo 3, del regolamento 2017/1001, un tribunale dei marchi dell’Unione europea applica le norme procedurali che disciplinano lo stesso tipo di azioni relative a un marchio nazionale nello Stato membro in cui tale tribunale ha sede. Ne consegue che le garanzie procedurali di cui dispone il convenuto in un’azione per contraffazione nella fase di esecuzione di una decisione giudiziaria devono essere valutate anche alla luce della direttiva 2004/48.

35

Ciò premesso, occorre considerare che con la sua unica questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001, in combinato disposto con l’articolo 36, seconda frase, TFUE, con l’articolo 47 della Carta e con la direttiva 2004/48, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una prassi giudiziaria in base alla quale il dispositivo della decisione che accoglie un’azione per contraffazione di un marchio dell’Unione europea è redatto in termini che, per il loro carattere generale, lasciano all’autorità competente per l’esecuzione forzata di tale decisione il compito di determinare i prodotti ai quali detta decisione si applica.

36

Occorre ritenere che tale questione comprenda tre parti. La prima riguarda l’esaurimento del diritto conferito dal marchio dell’Unione europea e i requisiti derivanti dalla tutela della libera circolazione delle merci. La seconda si riferisce ai requisiti che, ai sensi della direttiva 2004/48, tutte le misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale devono soddisfare. La terza concerne l’obbligo per gli Stati membri di stabilire, da un lato, i mezzi di ricorso necessari per garantire una tutela giurisdizionale effettiva in un settore disciplinato dal diritto dell’Unione e, dall’altro, di assicurare le condizioni per un processo equo, conformemente all’articolo 47 della Carta.

37

Per quanto riguarda la prima parte, occorre ricordare che l’articolo 9 del regolamento 2017/1001 attribuisce al titolare del marchio dell’Unione europea un diritto esclusivo che gli consente di vietare ai terzi, in particolare, d’importare prodotti recanti il suo marchio, di offrirli, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, senza il suo consenso (v., per analogia, sentenza del 16 luglio 2015, TOP Logistics e a., C‑379/14, EU:C:2015:497, punto 32 e la giurisprudenza ivi citata).

38

L’articolo 15, paragrafo 1, di tale regolamento contiene un’eccezione a tale norma, prevedendo che il diritto del titolare si esaurisce qualora i prodotti siano stati immessi in commercio nel SEE con tale marchio dal titolare stesso o con il suo consenso (v., per analogia, sentenza del 14 luglio 2011, Viking Gas, C‑46/10, EU:C:2011:485, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).

39

Tale disposizione è redatta in termini corrispondenti a quelli utilizzati dalla Corte nelle sentenze che, interpretando gli articoli 30 e 36 del Trattato CE (successivamente, articoli 28 e 30 CE, attualmente, articoli 34 e 36 TFUE), hanno riconosciuto nel diritto dell’Unione il principio dell’esaurimento del marchio. Infatti, detta disposizione riproduce la giurisprudenza della Corte secondo la quale il titolare di un diritto di marchio tutelato dalle norme di uno Stato membro non può invocare tali norme per opporsi all’importazione o allo smercio di un prodotto che è stato immesso in commercio in un altro Stato membro dallo stesso o con il suo consenso (v., per analogia, sentenza del 20 dicembre 2017, Schweppes, C‑291/16, EU:C:2017:990, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).

40

Detta giurisprudenza concernente il principio dell’esaurimento del diritto del marchio, basata sull’articolo 36 TFUE, mira, al pari dell’articolo 15, del regolamento 2017/1001, a conciliare gli interessi fondamentali attinenti alla tutela dei diritti del marchio, da un lato, e quelli relativi alla libera circolazione delle merci nel mercato interno, dall’altro lato, per cui tali due disposizioni, che hanno lo scopo di raggiungere lo stesso risultato, devono essere interpretate in maniera identica (v., per analogia, sentenza del 20 dicembre 2017, Schweppes, C‑291/16, EU:C:2017:990, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

41

Al fine di garantire un giusto equilibrio tra tali interessi fondamentali, la possibilità di invocare l’esaurimento del diritto conferito dal marchio dell’Unione europea, come eccezione a tale diritto, è inquadrata sotto diversi profili.

42

In primo luogo, l’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001 sancisce il principio dell’esaurimento dei diritti conferiti dal marchio per i prodotti immessi in commercio dal titolare o con il suo consenso, non a prescindere dal luogo in cui è stata effettuata l’immissione in commercio, ma solo per i prodotti immessi in commercio nel SEE (v, in tal senso, sentenza del 16 luglio 1998, Silhouette International Schmied, C‑355/96, EU:C:1998:374, punti 21, 2631).

43

Precisando che l’immissione sul mercato al di fuori del SEE non esaurisce il diritto del titolare d’impedire l’importazione di tali prodotti effettuata senza il suo consenso, il legislatore dell’Unione ha così permesso al titolare del marchio di controllare la prima immissione sul mercato nel SEE dei prodotti contrassegnati dal marchio (v., per analogia, sentenza del 20 novembre 2001, Zino Davidoff e Levi Strauss, da C‑414/99 a C‑416/99, EU:C:2001:617, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).

44

In secondo luogo, non si può ritenere che prodotti contrassegnati da un marchio siano stati «immessi in commercio nel SEE» quando il titolare del marchio li abbia importati nel SEE al fine di venderli nel relativo mercato ovvero quando li abbia messi in vendita al consumo nel SEE, nei propri negozi ovvero in quelli di una società collegata, senza peraltro riuscire a venderli (v., in tal senso, sentenza del 30 novembre 2004, Peak Holding, C‑16/03, EU:C:2004:759, punto 44).

45

In terzo luogo, la Corte ha affermato che il consenso del titolare deve, inoltre, riguardare ogni esemplare del prodotto per il quale viene invocato l’esaurimento. Pertanto, il fatto che il titolare del marchio già commercializzi, sul mercato nel SEE, prodotti identici o simili a quelli per i quali viene invocato l’esaurimento non è sufficiente (v., in tal senso, sentenza del 1o luglio 1999, Sebago e Maison Dubois, C‑173/98, EU:C:1999:347, punti 2122).

46

In quarto luogo, il consenso, che equivale a una rinuncia del titolare al suo diritto esclusivo ex articolo 9 del regolamento 2017/1001 di vietare ai terzi di importare prodotti contrassegnati con il suo marchio, deve essere espresso in modo da riflettere con certezza la volontà di rinunciare a tale diritto (v., in tal senso, sentenza del 20 novembre 2001, Zino Davidoff e Levi Strauss, da C‑414/99 a C‑416/99, EU:C:2001:617, punti 4145).

47

Una siffatta volontà risulta normalmente da una manifestazione espressa del consenso. Tuttavia, le esigenze collegate alla tutela della libera circolazione delle merci hanno indotto la Corte a ritenere che una tale regola sia passibile di adattamenti (v., in tal senso, sentenza del 15 ottobre 2009, Makro Zelfbedieningsgroothandel e a., C‑324/08, EU:C:2009:633, punto 23 e giurisprudenza ivi citata).

48

Pertanto, non si può escludere che, in determinati casi, anche nelle ipotesi in cui la prima immissione in commercio nel SEE dei prodotti di cui trattasi sia stata effettuata in assenza di consenso esplicito del titolare del marchio, la volontà di rinunciare a tale diritto possa risultare in modo tacito da elementi e circostanze anteriori, concomitanti o posteriori all’immissione in commercio le quali, valutate dal giudice nazionale, esprimano parimenti, con certezza, una rinuncia del titolare al proprio diritto (v., in tal senso, sentenze del 20 novembre 2001, Zino Davidoff e Levi Strauss, da C‑414/99 a C‑416/99, EU:C:2001:617, punto 46 nonché del 15 ottobre 2009, Makro Zelfbedieningsgroothandel e a., C‑324/08, EU:C:2009:633, punti da 25 a 27).

49

Ciò premesso, il consenso tacito non può risultare dal mero silenzio del titolare del marchio. Parimenti, un siffatto consenso non può risultare dalla mancata comunicazione, da parte del titolare del marchio, della sua opposizione a una messa in commercio all’interno del SEE, né da una mancata indicazione, sui prodotti, di un divieto di immissione in commercio all’interno del SEE in quanto i requisiti applicabili in materia di prova dell’esistenza di un consenso tacito non operano alcuna distinzione di principio a seconda che la commercializzazione iniziale sia intervenuta all’esterno del SEE o al suo interno (v., in tal senso, sentenze del 20 novembre 2001, Zino Davidoff e Levi Strauss, da C‑414/99 a C‑416/99, EU:C:2001:617, punti 5556, nonché del 15 ottobre 2009, Makro Zelfbedieningsgroothandel e a., C‑324/08, EU:C:2009:633, punto 28).

50

In quinto e ultimo luogo, in via di principio, spetta all’operatore che invoca l’esaurimento fornire la prova che le condizioni per l’applicazione dell’esaurimento sono soddisfatte. Tuttavia, tale regola deve essere adattata qualora sia di natura tale da consentire al titolare di isolare i mercati nazionali, favorendo in tal modo la conservazione delle differenze di prezzo tra gli Stati membri (v., in tal senso, sentenza del 20 dicembre 2017, Schweppes, C‑291/16, EU:C:2017:990, punti 5253 nonché giurisprudenza ivi citata).

51

Un siffatto adattamento dell’onere della prova è necessario, in particolare, nel caso di un sistema di distribuzione esclusiva (sentenza dell’8 aprile 2003, Van Doren + Q, C‑244/00, EU:C:2003:204, punto 39).

52

Dall’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001, letto alla luce dell’articolo 36 TFUE e della giurisprudenza della Corte citata ai punti da 38 a 40 della presente sentenza, risulta quindi che un operatore che si trovi di fronte a un’azione per contraffazione da parte del titolare di un marchio dell’Unione europea ha il diritto, per difendersi, di invocare e dimostrare che i prodotti recanti tale marchio, oggetto dell’azione per contraffazione, sono stati immessi in commercio nel SEE da tale titolare o con il suo consenso. Come risulta dalla giurisprudenza citata al punto precedente della presente sentenza, tale operatore deve parimenti poter beneficiare di un adattamento dell’onere della prova a suo favore, qualora siano soddisfatte le condizioni stabilite al riguardo dalla giurisprudenza della Corte.

53

Non risulta, invece, dalla giurisprudenza della Corte citata ai punti 44 e 49 della presente sentenza che il titolare del marchio sia obbligato ad adottare un sistema di marcatura dei suoi prodotti che consenta di stabilire, per ciascun prodotto, se esso sia destinato al mercato SEE.

54

Infatti, come ha rilevato, in sostanza, l’avvocato generale al paragrafo 76 delle sue conclusioni, in assenza di una disposizione del diritto dell’Unione la cui interpretazione possa condurre a una tale soluzione tenendo conto, in particolare, del suo tenore letterale, del contesto in cui si colloca e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui fa parte, una mera constatazione relativa alle difficoltà incontrate dal convenuto in un’azione per contraffazione di reperire informazioni sul fornitore originario di una rete di distribuzione parallela non può costituire il fondamento giuridico che legittimi una tale imposizione in capo al titolare.

55

Inoltre, qualsiasi obbligo di questo tipo limiterebbe indebitamente la possibilità per il titolare di cambiare, all’ultimo momento, il mercato di destinazione inizialmente previsto per un determinato prodotto.

56

Per quanto riguarda la seconda parte della questione proposta, va rilevato che gli aspetti procedurali del rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, compreso il diritto esclusivo previsto dall’articolo 9 del regolamento 2017/1001, sono disciplinati, in linea di principio, dal diritto nazionale, come armonizzato dalla direttiva 2004/48, che, come risulta in particolare dagli articoli da 1 a 3, riguarda le misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari per garantire il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale. Pertanto, qualsiasi procedimento nazionale relativo a un’azione per contraffazione di un marchio dell’Unione europea deve essere conforme alle disposizioni di tale direttiva.

57

Tuttavia, occorre rilevare che l’aspetto procedurale che costituisce l’oggetto specifico della questione sollevata dal giudice del rinvio nel caso di specie non è disciplinato dalla direttiva 2004/48, in quanto quest’ultima non contiene alcuna disposizione relativa alla formulazione del dispositivo delle decisioni giudiziarie relative a un’azione per contraffazione. Tale questione rientra quindi nel principio dell’autonomia procedurale, che è l’oggetto della terza parte della questione proposta.

58

Per quanto riguarda tale terza parte, il giudice del rinvio sembra percepire un nesso di causa ed effetto tra la formulazione del dispositivo della decisione che va adottata per porre fine al procedimento principale e i presunti inconvenienti che il convenuto potrebbe subire nella fase della sua esecuzione forzata. Orbene, è giocoforza constatare che tali inconvenienti derivano dalla procedura di esecuzione forzata, che è a valle dell’azione per contraffazione.

59

È quindi necessario esaminare se il fatto che, nella fase dell’esecuzione forzata, il convenuto disponga di rimedi e garanzie procedurali limitati in base al diritto nazionale sia in contrasto con le esigenze di tutela giurisdizionale effettiva imposte dal diritto dell’Unione e quindi con l’unità e l’efficacia di tale diritto.

60

Il principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione, costituisce un principio generale del diritto dell’Unione derivante dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, che è stato sancito agli articoli 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e che è attualmente affermato all’articolo 47 della Carta (sentenza del 21 dicembre 2021, Randstad Italia, C‑497/20, EU:C:2021:1037, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).

61

Il contenuto essenziale del diritto a un ricorso effettivo, sancito all’articolo 47 della Carta, include, tra gli altri, l’elemento relativo alla facoltà, per il soggetto titolare del diritto stesso, di adire un giudice competente a garantire il rispetto dei diritti che gli sono attribuiti dal diritto dell’Unione e, a tal fine, ad esaminare tutte le questioni di fatto e di diritto rilevanti ai fini della decisione della controversia di cui è investito [sentenza del 6 ottobre 2020, État luxembourgeois (Diritto di ricorso contro una richiesta di informazioni in materia fiscale), C‑245/19 e C‑246/19, EU:C:2020:795, punto 66 e la giurisprudenza ivi citata].

62

Inoltre, il principio della parità delle armi, che è un corollario della nozione stessa di processo equo ed è volto ad assicurare l’equilibrio tra le parti del procedimento, garantendo che qualsiasi documento fornito al giudice possa essere valutato e contestato da qualsiasi parte del procedimento, costituisce parte integrante del principio della tutela giurisdizionale effettiva dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione, sancito dall’articolo 47 della Carta. Tale principio implica, in particolare, che tutte le parti debbano avere una ragionevole possibilità di presentare la propria causa e produrre prove, in condizioni che non le penalizzino nettamente rispetto ai propri avversari [v., in tal senso, sentenze del 17 luglio 2014, Sánchez Morcillo e Abril García, C‑169/14, EU:C:2014:2099, punto 49 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 10 febbraio 2022, Bezirkshauptmannschaft Hartberg-Fürstenfeld, (Termine di prescrizione), C‑219/20, EU:C:2022:89, punto 46 e giurisprudenza ivi citata].

63

Occorre inoltre ricordare che il principio del rispetto del diritto di difesa costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione. Costituirebbe violazione di tale principio fondare una decisione giurisdizionale su fatti e documenti di cui le parti stesse o una di esse non abbiano potuto avere conoscenza e in merito alle quali non abbiano quindi avuto modo di esprimersi (sentenza del 12 novembre 2014, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione, C‑580/12 P, EU:C:2014:2363, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).

64

Secondo una costante giurisprudenza, il rispetto del diritto della difesa, in qualsiasi procedimento promosso nei confronti di una persona e che possa sfociare in un atto per essa lesivo dev’essere garantito anche in mancanza di una specifica normativa (v., in tal senso, sentenza del 13 settembre 2007, Land Oberösterreich e Austria/Commissione, C‑439/05 P e C‑454/05 P, EU:C:2007:510, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).

65

Ciò premesso, fatta salva l’esistenza di norme dell’Unione in materia, come quelle previste dalla direttiva 2004/48, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro, in forza del principio dell’autonomia procedurale, stabilire le modalità processuali dei rimedi giurisdizionali, a condizione, tuttavia, che tali modalità, nelle situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione, non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe disciplinate dal diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’Unione (principio di effettività) (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2021, Randstad Italia, C‑497/20, EU:C:2021:1037, punto 58 e giurisprudenza ivi citata).

66

Dalle informazioni fornite nella decisione di rinvio risulta che le disposizioni pertinenti del diritto processuale nazionale non violano il principio di equivalenza.

67

Per quanto riguarda il principio di effettività, occorre ricordare che il diritto dell’Unione non produce l’effetto di obbligare gli Stati membri a istituire mezzi di ricorso diversi da quelli già contemplati dal diritto interno, a meno che, tuttavia, dalla struttura dell’ordinamento giuridico nazionale in questione risulti che non esiste alcun rimedio giurisdizionale che permetta, anche solo in via incidentale, di garantire il rispetto dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione, o che l’unico modo per poter adire un giudice da parte di un singolo sia quello di commettere violazioni del diritto (sentenza del 21 dicembre 2021, Randstad Italia, C‑497/20, EU:C:2021:1037, punto 62).

68

Inoltre occorre sottolineare che, conformemente alla giurisprudenza della Corte, ogni caso in cui sorge la questione se una norma di procedura nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione deve essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, del suo svolgimento e delle sue peculiarità dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. A tale proposito, si devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento (sentenze del 10 marzo 2022Grossmania, C‑177/20, EU:C:2022:175, punto 51 e la giurisprudenza ivi citata, nonché del 17 maggio 2022, SPV Project 1503 e a., C‑693/19 e C‑831/19, EU:C:2022:395, punto 60 e la giurisprudenza ivi citata).

69

Orbene, un operatore che detiene prodotti immessi sul mercato SEE con un marchio dell’Unione europea dal titolare di tale marchio o con il suo consenso gode dei diritti derivanti dalla libera circolazione dei prodotti, garantiti dagli articoli 34 e 36 del TFUE e dall’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001, che i giudici nazionali devono tutelare (v., in tal senso, sentenze del 19 dicembre 1968, Salgoil, 13/68, EU:C:1968:54, pag. 676, e dell’11 giugno 2015, Berlington Hungary e a., C‑98/14, EU:C:2015:386, punto 105 e giurisprudenza ivi citata).

70

Tuttavia, alla luce del principio dell’autonomia processuale, riconosciuto dalla giurisprudenza citata al punto 65 della presente sentenza, fatte salve le disposizioni della direttiva 2004/48, il diritto dell’Unione non può ostare a una prassi giudiziaria in base alla quale il dispositivo della decisione di accoglimento di un’azione per contraffazione di un marchio dell’Unione è redatto in termini generali, a condizione che il convenuto disponga di una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti che rivendica ai sensi degli articoli 34 e 36 TFUE e dell’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001.

71

Pertanto, se il giudice nazionale è obbligato a designare, nel dispositivo delle sue decisioni di accoglimento di un’azione per contraffazione di un marchio dell’Unione europea, mediante una formulazione generale, i prodotti che non sono stati precedentemente immessi in commercio nel SEE dal titolare o con il suo consenso, il convenuto dovrebbe beneficiare, in fase di esecuzione forzata, di tutte le garanzie di un equo processo per poter contestare efficacemente l’esistenza di una violazione o di una minaccia di violazione dei diritti esclusivi del titolare del marchio e per opporsi al sequestro di esemplari dei prodotti per i quali i diritti esclusivi del titolare sono stati esauriti e che possono quindi circolare liberamente nel SEE.

72

Per quanto riguarda la circostanza indicata dal giudice del rinvio secondo cui, in mancanza di accesso alle banche dati della Harman, non è oggettivamente possibile per la AB dimostrare che i prodotti da essa acquistati erano stati immessi in commercio nel SEE dalla Harman o con il suo consenso, potrebbe essere necessario, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 90 delle sue conclusioni, anche nel caso in cui non sia accertata l’esistenza di una distribuzione esclusiva, che l’autorità competente per l’esecuzione forzata o, a seconda dei casi, il giudice competente a decidere sui ricorsi contro gli atti di tale autorità, procedano all’adattamento dell’onere della prova, qualora ritengano, alla luce delle circostanze specifiche relative alla commercializzazione dei prodotti in questione, che la regola relativa all’onere della prova, ricordata al punto 50 della presente sentenza, sia idonea a consentire al titolare di compartimentare i mercati nazionali, favorendo così il mantenimento delle differenze di prezzo tra gli Stati membri.

73

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione proposta dichiarando che l’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001, in combinato disposto con l’articolo 36, seconda frase, TFUE, con l’articolo 47 della Carta e con la direttiva 2004/48, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una prassi giudiziaria in base alla quale il dispositivo di una decisione di accoglimento di un’azione per contraffazione di un marchio dell’Unione europea è redatto in termini che, per il loro carattere generale, lasciano all’autorità competente per l’esecuzione forzata di tale decisione il compito di determinare a quali prodotti si applichi la decisione stessa, a condizione che, nell’ambito del procedimento di esecuzione forzata, il convenuto sia autorizzato a contestare la determinazione dei prodotti oggetto di tale procedimento e che un giudice possa esaminare e decidere, in osservanza delle disposizioni della direttiva 2004/48, quali prodotti siano stati effettivamente immessi in commercio nel SEE dal titolare del marchio o con il suo consenso.

Sulle spese

74

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:

 

L’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea, in combinato disposto con l’articolo 36, seconda frase, TFUE, con l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e con la direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale

 

deve essere interpretato nel senso che:

 

esso non osta a una prassi giudiziaria in base alla quale il dispositivo di una decisione di accoglimento di un’azione per contraffazione di un marchio dell’Unione europea è redatto in termini che, per il loro carattere generale, lasciano all’autorità competente per l’esecuzione forzata di tale decisione il compito di determinare a quali prodotti si applichi la decisione stessa, a condizione che, nell’ambito del procedimento di esecuzione forzata, il convenuto sia autorizzato a contestare la determinazione dei prodotti oggetto di tale procedimento e che un giudice possa esaminare e decidere, in osservanza delle disposizioni della direttiva 2004/48, quali prodotti siano stati effettivamente immessi in commercio nello Spazio economico europeo dal titolare del marchio o con il suo consenso.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il polacco.

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