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Document 62009TJ0080

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Sezione delle impugnazioni) 12 luglio 2011.
Commissione europea contro Q.
Impugnazione – Funzione pubblica – Funzionari – Impugnazione incidentale – Molestie psicologiche – Art. 12 bis dello Statuto – Comunicazione sulla politica in materia di molestie psicologiche alla Commissione – Dovere di assistenza dell’amministrazione – Art. 24 dello Statuto – Portata – Domanda di assistenza – Misure provvisorie di allontanamento – Dovere di sollecitudine – Responsabilità – Domanda di risarcimento danni – Competenza estesa al merito – Presupposti di attuazione – Rapporto di evoluzione della carriera – Ricorso di annullamento – Interesse ad agire.
Causa T-80/09 P.

Raccolta della Giurisprudenza 2011 II-04313

ECLI identifier: ECLI:EU:T:2011:347

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Sezione delle impugnazioni)

12 luglio 2011(*)

«Impugnazione – Funzione pubblica – Funzionari – Impugnazione incidentale – Molestie psicologiche – Art. 12 bis dello Statuto – Comunicazione sulla politica in materia di molestie psicologiche alla Commissione – Dovere di assistenza dell’amministrazione – Art. 24 dello Statuto – Portata – Domanda di assistenza – Misure provvisorie di allontanamento – Dovere di sollecitudine – Responsabilità – Domanda di risarcimento danni – Competenza di merito – Condizioni di attuazione – Rapporto di evoluzione della carriera – Ricorso di annullamento – Interesse ad agire»

Nel procedimento T‑80/09 P,

avente ad oggetto l’impugnazione diretta all’annullamento della sentenza del Tribunale della funzione pubblica dell’Unione europea (Prima Sezione) 9 dicembre 2008, causa F‑52/05, Q/Commissione (non ancora pubblicata nella Raccolta),

Commissione europea, rappresentata dai sigg. V. Joris, D. Martin e dalla sig.ra Eggers, in qualità di agenti,

ricorrente,

procedimento in cui l’altra parte è

Q, ex funzionaria della Commissione europea, residente in Domsjö (Svezia), rappresentata dagli avv.ti S. Rodrigues e Y. Minatchy,

ricorrente in primo grado,

IL TRIBUNALE (Sezione delle impugnazioni),

composto dal sig. M. Jaeger, presidente, dalla sig.ra I. Pelikánová (relatore) e dal sig. A. Dittrich, giudici,

cancelliere: sig.ra C. Kristensen, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 21 gennaio 2011,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso, proposto ai sensi dell’art. 9 dell’allegato I dello Statuto della Corte di giustizia, la Commissione europea chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale della funzione pubblica dell’Unione europea (Prima Sezione) 9 dicembre 2008, causa F‑52/05, Q/Commissione (Racc. pagg. I-A-1-263, II-A-1-1485; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), mediante la quale quest’ultimo, da un lato, ha annullato la sua decisione implicita di rigetto della domanda di assistenza presentata da Q il 3 maggio 2004 ai sensi dell’art. 24 dello Statuto dei funzionari delle Comunità europee (in prosieguo, rispettivamente, la «domanda di assistenza» e lo «Statuto»), recante diniego dell’adozione di una misura provvisoria di allontanamento, e, dall’altro, l’ha condannata a versare a Q l’importo di EUR 15 500 in riparazione del danno morale risultante dall’illegittimità di tale decisione, nonché dal venire meno, da parte dell’amministrazione, al dovere di sollecitudine.

 Fatti

2        I fatti all’origine della controversia sono esposti ai punti 18‑101 della sentenza impugnata.

 Il procedimento di primo grado e la sentenza impugnata

3        Con ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 4 luglio 2005, Q chiedeva sostanzialmente, in primo luogo, l’annullamento della decisione con cui la Commissione aveva implicitamente respinto la sua domanda di assistenza, in secondo luogo, l’annullamento dei suoi rapporti di evoluzione della carriera formulati rispettivamente per i periodi 1° gennaio‑31 ottobre 2003 e 1° novembre‑31 dicembre 2003 (in prosieguo: i «REC 2003») e, in terzo luogo, la condanna della Commissione al risarcimento dei danni. Il ricorso è stato inizialmente registrato presso la cancelleria del Tribunale con il numero di ruolo T‑252/05.

4        Con ordinanza 15 dicembre 2005, il Tribunale, in applicazione dell’art. 3, n. 3, della decisione del Consiglio 2 novembre 2004, 2004/752/CE, Euratom, che istituisce il Tribunale della funzione pubblica dell’Unione europea (GU L 333, pag. 7), rinviava la presente causa a quest’ultimo. Il ricorso veniva registrato presso la cancelleria del Tribunale della funzione pubblica con il numero di ruolo F‑52/05.

5        Con la sentenza impugnata, il Tribunale della funzione pubblica accoglieva parzialmente il ricorso annullando la decisione implicita di rigetto della domanda di assistenza, recante diniego di adottare una misura provvisoria di allontanamento, e condannando la Commissione a versare a Q l’importo di EUR 18 000 a titolo di risarcimento dei danni. Il suddetto giudice respingeva il ricorso per il resto.

 Procedimento dinanzi al Tribunale e conclusioni delle parti

6        Con memoria depositata presso la cancelleria del Tribunale il 27 febbraio 2009, la Commissione proponeva la presente impugnazione.

7        In data 9 giugno 2009 Q depositava la propria comparsa di risposta, in cui proponeva altresì impugnazione incidentale avverso la sentenza impugnata, introducendo anche una domanda di anonimato immediatamente accolta dalla cancelleria.

8        Con lettera depositata il 24 giugno 2009 la Commissione chiedeva di poter presentare una breve replica.

9        Con decisione 3 luglio 2009 il presidente della sezione delle impugnazioni accoglieva tale ultima domanda.

10      Il 24 agosto 2009 la Commissione depositava una replica in cui rispondeva altresì all’impugnazione incidentale, conformemente all’art. 143, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale.

11      Con lettera depositata il 24 settembre 2009 Q presentava una domanda di memoria complementare all’impugnazione incidentale.

12      Con decisione 6 ottobre 2009 il presidente della sezione delle impugnazioni accoglieva tale ultima domanda.

13      In data 15 ottobre 2009 Q depositava una controreplica.

14      In data 13 novembre 2009 Q depositava una memoria complementare all’impugnazione incidentale.

15      In data 5 gennaio 2010 la Commissione depositava una comparsa di risposta alla memoria complementare all’impugnazione incidentale. La fase scritta del procedimento si concludeva lo stesso giorno.

16      Con lettera depositata l’11 febbraio 2010 Q formulava una domanda motivata, ai sensi dell’art. 146 del regolamento di procedura, per essere sentita nell’ambito della fase orale del procedimento.

17      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Sezione delle impugnazioni) decideva di aprire la fase orale del procedimento e, nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento ai sensi dell’art. 64 del regolamento di procedura, di porre quesiti per iscritto alle parti, con risposta in udienza.

18      Le difese orali delle parti e le loro risposte ai quesiti scritti e orali del Tribunale venivano sentite nel corso dell’udienza del 21 gennaio 2011. Le risposte ai quesiti scritti del Tribunale venivano registrate nel verbale di udienza.

19      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la sentenza impugnata nella parte in cui accoglie il secondo motivo del ricorso in primo grado, relativo all’illegittimità della decisione implicita di diniego di adottare una misura provvisoria di allontanamento, nonché le conclusioni di tale ricorso volte ad ottenere il risarcimento del danno derivante dalla suddetta illegittimità e dal venir meno, da parte dell’amministrazione, al proprio dovere di sollecitudine;

–        respingere l’impugnazione incidentale;

–        respingere il ricorso in primo grado oppure, in subordine, rinviare la causa dinanzi al Tribunale della funzione pubblica;

–        statuire come di diritto sulle spese del giudizio dinanzi al Tribunale della funzione pubblica, nonché su quelle dell’impugnazione principale o, in subordine, riservare le spese del giudizio dinanzi al Tribunale della funzione pubblica unitamente a quelle dell’impugnazione principale;

–        condannare Q alle spese dell’impugnazione incidentale.

20      Q chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere l’impugnazione principale in quanto irricevibile e, in ogni caso, infondata;

–        dichiarare l’impugnazione incidentale ricevibile;

–        annullare la sentenza impugnata;

–        accogliere le sue domande di annullamento e di risarcimento relative al ricorso in primo grado;

–        condannare la Commissione alla totalità delle spese.

 Sull’impugnazione principale

21      L’impugnazione principale, proposta ai sensi dell’art. 9 dell’allegato I dello Statuto della Corte, mira a ottenere l’annullamento della sentenza impugnata nella parte in cui ha annullato la decisione implicita di rigetto della domanda di assistenza, recante diniego di adottare una misura provvisoria di allontanamento, e ha condannato la Commissione a versare a Q l’importo di EUR 15 500 in riparazione del danno morale derivante dall’illegittimità di tale decisione, nonché dal venir meno, da parte dell’amministrazione, al proprio dovere di sollecitudine.

 Sulla ricevibilità

22      Q eccepisce l’irricevibilità dell’impugnazione principale in quanto la Commissione, nell’ambito dei due motivi invocati a sostegno di quest’ultima, chiederebbe al giudice delle impugnazioni di pronunciarsi nuovamente su fatti che sono stati valutati in via definitiva dal giudice di primo grado. Da un lato, riguardo al primo motivo dell’impugnazione principale, la Commissione non può chiedere al giudice delle impugnazioni di controllare le valutazioni compiute dal Tribunale della funzione pubblica, in virtù delle quali quest’ultimo ha ritenuto che alla ricorrente dovesse essere risarcito il danno morale che le è derivato dalla violazione, da parte della Commissione, del dovere di sollecitudine in ragione di comportamenti denunciati nella domanda di assistenza. Dall’altro, nell’ambito del secondo motivo dell’impugnazione principale, alla luce delle informazioni contenute negli atti di causa, la Commissione non può contestare implicitamente, dinanzi al giudice delle impugnazioni, le valutazioni in base alle quali il giudice di primo grado ha ritenuto che, nella fattispecie, il rifiuto implicito della Commissione di adottare una misura provvisoria di allontanamento fosse atto a far sorgere la responsabilità extracontrattuale della Comunità.

23      La Commissione chiede il rigetto dell’eccezione di irricevibilità sollevata da Q.

24      Ai sensi degli artt. 225 A CE e 11, n. 1, dell’allegato I dello Statuto della Corte, l’impugnazione proposta dinanzi al Tribunale deve limitarsi ai motivi di diritto. Essa può essere fondata su motivi relativi all’incompetenza del Tribunale della funzione pubblica, a vizi di procedura dinanzi a detto Tribunale recanti pregiudizio agli interessi della parte ricorrente, nonché alla violazione del diritto comunitario da parte del Tribunale della funzione pubblica. Inoltre, conformemente all’art. 138, n. 1, primo comma, lett. c), del regolamento di procedura, l’atto d’impugnazione deve precisare i motivi e gli argomenti di diritto fatti valere.

25      Dalle summenzionate disposizioni emerge che il ricorso di impugnazione può essere fondato unicamente su motivi riguardanti la violazione di regole di diritto, ad esclusione di qualsiasi valutazione dei fatti. Il giudice di primo grado è l’unico competente, da un lato, a constatare i fatti, salvo nel caso in cui un’inesattezza materiale delle sue constatazioni risulti dagli atti di causa sottopostigli, e, dall’altro, a valutare tali fatti. La valutazione dei fatti, salvo il caso dello snaturamento degli elementi di prova prodotti dinanzi al giudice di primo grado, non costituisce quindi una questione di diritto, come tale soggetta al sindacato del giudice dell’impugnazione (v. sentenza del Tribunale 12 marzo 2008, causa T‑107/07 P, Rossi Ferreras/Commissione, Racc. pagg. I-B-1-5 e II-B-1-31, punto 29, e giurisprudenza ivi citata).

26      Nella fattispecie, con il primo motivo – esaminato nei suoi due capi – e con il secondo motivo, la Commissione non chiede al giudice dell’impugnazione un riesame dei fatti già accertati e valutati dal giudice di primo grado.

27      Nell’ambito della prima parte del primo motivo, essa censura al Tribunale della funzione pubblica di aver violato, nella sentenza impugnata, la condizione affinché sorga la responsabilità extracontrattuale della Comunità attinente all’esistenza di un comportamento illecito, come interpretata dalla Corte nella sentenza 4 luglio 2000, causa C‑352/98 P, Bergaderm e Goupil/Commissione (Racc. pag. I‑5291, punti 43 e 44), e dal Tribunale nella sentenza 10 dicembre 2008, causa T‑57/99, Nardone/Commissione (Racc. pagg. I-A-2-83 e II-A-2-505, punti 162‑164).

28      La prima parte del primo motivo solleva, dunque, una questione di diritto e pertanto dev’essere dichiarata ricevibile.

29      La seconda parte del primo motivo riguarda, in sostanza, tre principali censure.

30      La prima censura è relativa al fatto che, nella sentenza impugnata, il Tribunale della funzione pubblica avrebbe violato gli artt. 90 e 91 dello Statuto riconoscendo a Q un risarcimento in base a un principio che non sarebbe stato invocato né nella domanda, ai sensi dell’art. 90, n. 1, dello Statuto, né nel reclamo, ai sensi dell’art. 90, n. 2 dello stesso, né, ancora, nel ricorso in primo grado. In sede di udienza, la Commissione ha precisato che ciò equivaleva a contestare al Tribunale della funzione pubblica di aver statuito ultra petita, modificando l’oggetto della controversia.

31      Le seconda censura riguarda la violazione dell’obbligo di motivare le sentenze, nel senso che il Tribunale della funzione pubblica non avrebbe indicato i motivi che l’hanno indotto a qualificare giuridicamente taluni fatti denunciati nella domanda di assistenza, considerati nel loro insieme, come illecito amministrativo idoneo a far sorgere la responsabilità della Comunità.

32      Da ultimo, la terza censura, subordinata alla seconda, riguarda il fatto che il Tribunale della funzione pubblica avrebbe commesso un errore di qualificazione giuridica di taluni fatti denunciati nella domanda di assistenza ritenendo che essi, considerati nel loro insieme, costituissero un illecito amministrativo idoneo a far sorgere la responsabilità della Comunità.

33      La seconda parte del primo motivo solleva quindi questioni di diritto e, pertanto, dev’essere dichiarata ricevibile.

34      Infine, con il secondo motivo, la Commissione contesta al Tribunale della funzione pubblica di aver violato la condizione affinché sorga la responsabilità extracontrattuale della Comunità attinente all’esistenza di un comportamento illecito, gli artt. 7 e 24 dello Statuto, nonché l’obbligo di motivare le sentenze, in quanto, al secondo paragrafo del dispositivo della sentenza impugnata, esso ha parzialmente accolto le richieste di Q miranti al risarcimento del danno derivante dall’illegittimità della decisione implicita di rigetto della domanda di assistenza, dopo aver ritenuto, ai punti 250, 251 e 254 della sentenza impugnata, che la condizione sulla sussistenza di un comportamento illecito fosse stata rispettata, vista l’illegittimità della decisione implicita della Commissione recante rifiuto di adottare una misura provvisoria di allontanamento, come accertata ai punti 209‑214 della sentenza impugnata, nonché, ancora, il ritardo nell’avvio dell’indagine amministrativa.

35      Il secondo motivo del ricorso principale solleva, dunque, questioni di diritto e, pertanto, dev’essere dichiarato ricevibile.

36      Da quanto precede risulta che l’eccezione di irricevibilità sollevata da Q dev’essere respinta in quanto diretta contro l’impugnazione principale e contro i motivi, o parti di questi ultimi, che la sostengono.

 Nel merito

37      Dai punti 27, 29‑32 e 34 supra emerge che, a sostegno dell’impugnazione principale, la Commissione fa valere un primo motivo relativo, nella sua prima parte, alla violazione della condizione affinché sorga la responsabilità extracontrattuale della Comunità attinente all’esistenza di un comportamento illecito e, nella sua seconda parte, alla violazione degli artt. 90 e 91 dello Statuto, dell’obbligo di motivare le sentenze e della condizione affinché sorga la responsabilità extracontrattuale della Comunità attinente all’esistenza di un comportamento illecito, nonché un secondo motivo, derivante dalla violazione della condizione affinché sorga la responsabilità extracontrattuale della Comunità attinente all’esistenza di un comportamento illecito, degli artt. 7 e 24 dello Statuto e dell’obbligo di motivare le sentenze.

 Sulla prima parte del primo motivo, relativo alla violazione della condizione affinché sorga la responsabilità extracontrattuale della Comunità attinente all’esistenza di un comportamento illecito

–       Argomenti delle parti

38      La Commissione contesta al Tribunale della funzione pubblica di aver ritenuto che fosse soddisfatta la condizione affinché sorga la responsabilità extracontrattuale della Comunità attinente all’esistenza di un comportamento illecito, senza prima aver accertato la sussistenza di una violazione sufficientemente qualificata di una regola di diritto avente ad oggetto il conferimento di diritti ai singoli, conformemente alla giurisprudenza applicabile (sentenze Bergaderm e Goupil/Commissione, cit. supra al punto 27, punti 43 e 44, e Nardone/Commissione, cit. supra al punto 27, punti 162‑164).

39      Q chiede il rigetto della prima parte del primo motivo, in quanto esso si baserebbe su una giurisprudenza, tratta dalla sentenza Bergaderm e Goupil/Commissione, cit. supra al punto 27, che non sarebbe applicabile al contenzioso della funzione pubblica.

–       Giudizio del Tribunale

40      Una controversia tra un funzionario e l’istituzione presso cui presta o prestava servizio e vertente sul risarcimento di un danno, allorché trovi origine nel rapporto di impiego che vincola l’interessato all’istituzione, rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 236 CE e degli artt. 90 e 91 dello Statuto e, con particolare riferimento alla sua ricevibilità, non rientra in quello degli artt. 235 CE e 288, secondo comma, CE né dell’art. 46 dello Statuto della Corte (v. ordinanza del Tribunale 26 giugno 2009, causa T‑114/08 P, Marcuccio/Commissione, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 12 e giurisprudenza ivi citata).

41      Lo Statuto è di per sé uno strumento autonomo, le cui disposizioni mirano soltanto a disciplinare i rapporti giuridici fra le istituzioni e i funzionari stabilendo diritti ed obblighi reciproci (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 22 febbraio 2006, causa T‑342/04, Adam/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑2‑23 e II‑A‑2‑107, punto 34). Lo Statuto ha dunque creato, nei rapporti tra le istituzioni e i loro funzionari, un equilibrio dei diritti e degli obblighi reciproci che non dev’essere pregiudicato né dalle istituzioni, né dai funzionari (v., in tal senso, sentenza della Corte 31 maggio 1988, causa 167/86, Rousseau/Corte dei conti, Racc. pag. 2705, punto 13, e sentenza del Tribunale 18 aprile 1996, causa T‑13/95, Kyrpitsis/CES, Racc. PI pagg. I‑A‑167 e II‑503, punto 52). Tale equilibrio di diritti e obblighi reciproci è destinato essenzialmente a preservare il rapporto di fiducia che deve esistere tra l’istituzione e i funzionari di ruolo o agenti della stessa, allo scopo di garantire ai cittadini europei il corretto svolgimento dei compiti di interesse generale assegnati alle istituzioni (v., in tal senso e per analogia, sentenza della Corte 6 marzo 2001, causa C‑274/99 P, Connolly/Commissione, Racc. pag. I‑1611, punti 44‑47).

42      Da una giurisprudenza costante emerge inoltre che, nelle controversie riguardanti i rapporti tra le istituzioni e i rispettivi funzionari, il diritto al risarcimento è riconosciuto se sussistono tre condizioni, ossia l’illegittimità del comportamento addebitato alle istituzioni, l’effettività del danno lamentato, nonché l’esistenza di un nesso di causalità tra il comportamento e il danno fatto valere (sentenza del Tribunale 9 febbraio 1994, causa T‑82/91, Latham/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑15 e II‑61, punto 72; ordinanza del Tribunale 24 aprile 2001, causa T‑172/00, Pierard/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑91 e II‑429, punto 34, e sentenza del Tribunale 12 settembre 2007, causa T‑249/04, Combescot/Commissione, Racc. pagg. I-A-2-181, II-A-2-1219, I-A-2-181 e II-A-2-1219, punto 49).

43      Siffatta soluzione non viene rimessa in discussione dalla sentenza Bergaderm e Goupil/Commissione, cit. supra al punto 27, che, riguardo alla condizione relativa all’illegittimità del comportamento contestato alle istituzioni e con l’obiettivo di armonizzare regimi diversi di responsabilità, impone che sia dimostrata una violazione sufficientemente caratterizzata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli. Invero, dai punti 39‑43 della suddetta sentenza, emerge che siffatto requisito particolare, unitamente all’obiettivo di armonizzazione che lo giustifica, riguardano soltanto la responsabilità extracontrattuale della Comunità, ai sensi dell’art. 288, secondo comma, CE e la responsabilità degli Stati membri per la violazione del diritto comunitario.

44      Inoltre, la differenza fra, da un lato, le condizioni affinché sorga la responsabilità della Comunità per i danni causati ai propri funzionari ed ex funzionari a seguito di una violazione di disposizioni statutarie e, dall’altro, le condizioni che disciplinano la responsabilità della Comunità verso i terzi per la violazione di altre disposizioni del diritto comunitario si spiega, alla luce dell’equilibrio dei diritti e degli obblighi espressamente creati dallo Statuto nei rapporti tra le istituzioni e i loro funzionari, con il desiderio di garantire ai cittadini europei il corretto svolgimento dei compiti di interesse generale assegnati alle istituzioni.

45      Anche se nella sentenza Nardone/Commissione, citata al punto 27 supra (punti 162‑173) il giudice comunitario ha esaminato se l’asserita illegittimità costituisse una violazione sufficientemente caratterizzata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli, tale esame non era necessario giacché, con riferimento alle controversie sui rapporti tra le istituzioni e i loro funzionari, da una giurisprudenza consolidata emerge che la mera constatazione di un’illegittimità è sufficiente per ritenere soddisfatta la prima delle tre condizioni necessarie affinché sorga la responsabilità della Comunità per i danni causati ai propri funzionari ed ex funzionari a causa di una violazione del diritto comunitario relativo alla funzione pubblica (v. punto 42 supra).

46      Occorre dunque respingere la prima parte del primo motivo in quanto infondata.

 Sulla seconda parte del primo motivo, relativo alla violazione degli artt. 90 e 91 dello Statuto, dell’obbligo di motivare le sentenze e della condizione affinché sorga la responsabilità extracontrattuale della Comunità attinente all’esistenza di un comportamento illecito

–       Argomenti delle parti

47      La Commissione contesta al Tribunale della funzione pubblica di aver violato, nella sentenza impugnata, gli artt. 90 e 91 dello Statuto, l’obbligo di motivare le sentenze e la condizione affinché sorga la responsabilità extracontrattuale della Comunità attinente all’esistenza di un comportamento illecito, in quanto esso ha riconosciuto a Q un indennizzo in riparazione del danno derivante dalla violazione del dovere di sollecitudine, dimostrato da determinati comportamenti denunciati nella domanda di assistenza.

48      In primo luogo, la Commissione sostiene che il Tribunale della funzione pubblica avrebbe violato gli artt. 90 e 91 dello Statuto in quanto, nella sentenza impugnata, esso ha concesso alla ricorrente un risarcimento in base a un’irregolarità amministrativa che non era stata invocata né nella domanda di risarcimento presentata il 3 maggio 2004, allegata alla domanda di assistenza (in prosieguo: la «domanda di risarcimento»), né nel reclamo del 26 novembre 2004, e nemmeno nel ricorso in primo grado.

49      In secondo luogo, la Commissione ritiene che il Tribunale della funzione pubblica abbia violato l’obbligo di motivare le sentenze, non avendo illustrato i motivi che, ai punti 236 e 237 della sentenza impugnata, lo hanno indotto a ritenere che taluni comportamenti denunciati nella domanda di assistenza, considerati nel loro insieme, sotto il profilo giuridico potessero essere qualificati come un’irregolarità amministrativa idonea a far sorgere il risarcimento nell’ambito del ricorso di cui era adito. Infatti, la constatazione di «una violazione (…) del suo dovere di sollecitudine» non sarebbe equivalente alla constatazione di una palese e grave violazione del dovere di sollecitudine. Inoltre, il Tribunale della funzione pubblica sarebbe incorso in una contraddizione ritenendo che nessuno dei fatti denunciati nella domanda di assistenza fosse stato lesivo della personalità, della dignità o dell’integrità fisica o psichica di Q.

50      In terzo luogo, la Commissione sostiene che il Tribunale della funzione pubblica ha violato la condizione affinché sorga la responsabilità della Comunità attinente all’esistenza di un comportamento illecito, in quanto, nella fattispecie, ha fatto sorgere la responsabilità della Comunità soltanto sulla base della violazione del dovere di sollecitudine.

51      In ogni caso, la Commissione sostiene che i fatti o i comportamenti che, al punto 236 della sentenza impugnata, il Tribunale della funzione pubblica ha ritenuto rivelatori, considerati nel loro insieme, di una violazione da parte dell’amministrazione del dovere di sollecitudine, non potevano essere qualificati come irregolarità amministrative tali da far sorgere la responsabilità extracontrattuale della Comunità.

52      Q chiede il rigetto della seconda parte del primo motivo.

53      Anzitutto, Q chiede il rigetto della censura relativa alla violazione degli artt. 90 e 91 dello Statuto, invocando, in sostanza, a favore della sua domanda di risarcimento, un pregiudizio derivante dal deterioramento del suo stato di salute a seguito del mancato rispetto da parte dell’amministrazione del dovere di sollecitudine nella domanda di risarcimento, nel reclamo 24 novembre 2004, nonché, espressamente, nel ricorso in primo grado. Inoltre, secondo la giurisprudenza, le censure potrebbero essere sviluppate dinanzi al giudice dell’Unione mediante la deduzione di mezzi ed argomenti che, pur non figurando nel reclamo, vi si ricolleghino tuttavia strettamente.

54      In seguito, Q chiede il rigetto della censura relativa alla violazione dell’obbligo di motivare le sentenze. Al punto 236 della sentenza impugnata, il Tribunale della funzione pubblica avrebbe spiegato i motivi per cui, nel caso di specie, l’amministrazione avrebbe violato il dovere di sollecitudine. Il giudice di primo grado avrebbe in tal modo dimostrato l’esistenza di un’irregolarità amministrativa tale da far sorgere la responsabilità della Comunità.

55      Q conclude, da ultimo, per il rigetto della censura relativa alla condizione affinché sorga la responsabilità della Comunità attinente all’esistenza di un comportamento illecito. La violazione del dovere di sollecitudine potrebbe essere invocata da un funzionario a prescindere dalla violazione di una disposizione precisa dello Statuto, in tutti i casi in cui l’amministrazione abbia statuito sulla sua situazione senza tener conto dei suoi diritti e interessi.

–       Giudizio del Tribunale

56      Ai sensi delle disposizioni combinate dell’art. 236 CE, dell’art. 1 dello Statuto della Corte e dell’art. 91, n. 1, dello Statuto, il Tribunale della funzione pubblica è competente in primo grado a pronunciarsi in merito alle controversie tra le Comunità e una delle persone cui si applica lo Statuto e a quelle relative alla legittimità di un atto recante pregiudizio a detta persona.

57      Ai sensi della seconda frase dell’art. 91, n. 1, dello Statuto, nelle controversie di carattere pecuniario, il Tribunale della funzione pubblica ha una competenza di merito. Quest’ultima conferisce al suddetto giudice l’incarico di risolvere esaustivamente le controversie sottoposte (sentenze della Corte 18 dicembre 2007, causa C‑135/06 P, Weißenfels/Parlamento, Racc. pag. I‑12041, punto 67, e 17 dicembre 2009, causa C‑197/09 RX-II, M/EMEA Riesame, Racc. pag. I-12033, punto 56). Tale competenza mira, in particolare, a consentire al suddetto Tribunale di assicurare l’effetto utile delle sentenze da esso pronunciate nelle cause di funzione pubblica, di modo che, laddove l’annullamento di un atto lesivo illegittimo non sia sufficiente per attuare i diritti della persona cui si applica lo Statuto o per tutelarne efficacemente gli interessi oppure se siffatto annullamento costituirebbe una sanzione eccessiva dell’illecito commesso e l’attribuzione di un indennizzo alla persona interessata rappresenta la forma di risarcimento che meglio risponde agli interessi del ricorrente e alle esigenze del servizio, detto giudice può, d’ufficio, accordare a questi un indennizzo (v., in tal senso, sentenze della Corte 5 giugno 1980, causa 24/79, Oberthür/Commissione, Racc. pag. 1743, punti 13 e 14, e 20 maggio 2010, causa C‑583/08 P, Gogos/Commissione, Racc. pag. I-4469, punto 50; sentenza del Tribunale 31 marzo 2004, causa T‑10/02, Girardot/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑109 e II‑483, punti 86, 87 e 89 e giurisprudenza ivi citata). In tal caso, spetta al Tribunale della funzione pubblica, tenuto conto di tutte le circostanze, valutare equitativamente il danno (sentenze Oberthür/Commissione, cit. supra, punto 14, e Gogos/Commissione, cit. supra, punto 44).

58      Tuttavia, secondo costante giurisprudenza, la prima frase dell’art. 91, n. 1, dello Statuto disciplina la seconda, in maniera che tale disposizione attribuisce al giudice una competenza di merito soltanto in presenza di una controversia sulla legalità di un atto che rechi pregiudizio ai sensi dell’articolo 90, n. 2, dello Statuto (v. sentenze del Tribunale 1° dicembre 1994, causa T‑54/92, Schneider/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑281 e II‑887, punto 49 e giurisprudenza ivi citata, e causa T‑79/92, Ditterich/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑289 e II‑907, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).

59      Peraltro, dall’art. 91, n. 2, dello Statuto deriva che un ricorso può essere proposto dinanzi al Tribunale della funzione pubblica soltanto se l’autorità che ha il potere di nomina (in prosieguo: l’«APN») ha previamente ricevuto un reclamo ai sensi dell’art. 90, n. 2, dello Statuto nel termine ivi previsto, e se tale reclamo è stato oggetto di una decisione esplicita o implicita di rigetto. L’art. 90, n. 2, dello Statuto prevede che qualsiasi persona cui esso si applica può presentare all’APN un reclamo avverso un atto che le arrechi pregiudizio, sia che l’APN abbia preso una decisione, sia che essa non abbia preso una misura imposta dallo Statuto. In particolare, un atto che arreca pregiudizio può consistere nella decisione implicita o esplicita di rigetto di una domanda rivolta previamente all’APN dalla persona interessata conformemente all’art. 90, n. 1, dello Statuto.

60      La persona cui si applica lo Statuto che voglia contestare la legittimità di un atto che le arreca pregiudizio può adire direttamente l’APN con un reclamo e, successivamente, proporre ricorso dinanzi al Tribunale della funzione pubblica qualora il reclamo sia respinto. Secondo una giurisprudenza costante, a seguito del rigetto di un reclamo avverso un atto che arreca pregiudizio alla persona cui si applica lo Statuto, quest’ultima può presentare un ricorso con il quale essa chiede l’annullamento dell’atto lesivo, il versamento di un indennizzo o entrambi (v. sentenze Schneider/Commissione, cit. supra al punto 58, punto 52, e giurisprudenza ivi citata, nonché Ditterich/Commissione, cit. supra al punto 58 supra, punto 40, e giurisprudenza ivi citata).

61      Per contro, anche se l’illegittimità asserita da una persona cui si applica lo Statuto non costituisce un atto lesivo ai sensi dello Statuto medesimo, bensì un’irregolarità amministrativa commessa dall’amministrazione, la suddetta persona può avviare la procedura soltanto con una domanda diretta all’APN ai sensi dell’art. 90, n. 1, dello Statuto, il cui eventuale rigetto costituirà una decisione che arreca pregiudizio, contro la quale potrà proporre un reclamo e successivamente, se del caso, un ricorso (v. sentenze Schneider/Commissione, cit. supra al punto 58, punto 53, e la giurisprudenza ivi citata; Ditterich/Commissione, cit. supra al punto 58, punto 41, e la giurisprudenza ivi citata).

62      Ne consegue che, quando una persona cui si applica lo Statuto chiede di essere risarcita per un pregiudizio che ritiene di aver subito in assenza di un atto lesivo, in linea di principio essa è tenuta a seguire un procedimento precontenzioso in due tappe, ossia una domanda e, successivamente, un reclamo avverso la decisione di rigetto della domanda di risarcimento, conformemente all’art. 90, nn. 1 e 2, dello Statuto.

63      Dagli artt. 90 e 91 dello Statuto emerge dunque che il Tribunale della funzione pubblica adito, da una persona cui si applica lo Statuto, di un ricorso sulla legittimità di un atto che le arreca pregiudizio può, anche d’ufficio, in virtù della competenza di merito di cui all’art. 91, n. 1, seconda frase, dello Statuto, riconoscere un risarcimento a detta persona soltanto se quest’ultimo mira alla riparazione di un danno subito da detta persona a causa dell’illegittimità dell’atto lesivo, che è oggetto del ricorso, oppure, in ogni caso, alla riparazione di un pregiudizio derivante dall’illegittimità strettamente correlata a tale atto (v., in tal senso e per analogia, ordinanza della Corte 14 dicembre 2006, causa C‑12/05 P, Meister/UAMI, Racc. pagg. I-B-2-23 e II-B-2-143, punti 112‑116, e sentenza Gogos/Commissione, cit. supra al punto 57, punti 49‑53).

64      Nella fattispecie, dai punti 232‑242 della sentenza impugnata, riguardo alle «domande dirette al risarcimento del danno derivante dalle asserite molestie psicologiche», emerge che il Tribunale della funzione pubblica ha riconosciuto a Q l’importo di EUR 500 quale riparazione del «danno morale» da essa subito a causa di un’irregolarità amministrativa compiuta dalla Commissione, che avrebbe «contribuito a isolare [Q] all’interno della sua unità di appartenenza». L’irregolarità amministrativa di cui trattasi consiste in «inadempimenti da parte della Commissione del proprio dovere di sollecitudine» o, come indicato al punto 236 della sentenza impugnata, in «una violazione da parte della Commissione del suo dovere di sollecitudine» evidenziata da «determinati fatti invocati [da Q] a sostegno della propria domanda di risarcimento (…) considerati nel loro insieme». Tali inadempimenti sono elencati nei punti 156‑160, 164, 171 e 180 della sentenza impugnata e, con riferimento alla Commissione, in primo luogo e per quanto riguarda il prolungamento del periodo di prova di Q, consistevano nel non aver previamente formulato contestazioni nei suoi confronti e averle fatto perdere l’opportunità di essere ascoltata dal comitato dei rapporti, insieme alle persone che essa intendeva far ascoltare, in secondo luogo, nell’avere assegnato a Q uffici isolati fino all’estate del 2004, in terzo luogo nel non avere assegnato alcun compito a Q nel periodo gennaio‑giugno 2003 e, in quarto e ultimo luogo, nell’aver tardato a rispondere alla domanda di congedo ordinario di Q per il periodo 19 luglio‑27 agosto 2004 e aver infine detratto i giorni corrispondenti a tale domanda dal saldo dei congedi ordinari ancorché Q, a partire dal 5 luglio 2004, avesse presentato un certificato medico per il periodo 17 luglio-27 agosto 2004 che non era stato contestato dall’amministrazione.

65      Dalle constatazioni del Tribunale della funzione pubblica formulate ai punti 112, 115 e 232 della sentenza impugnata, e non contestate dalla Commissione nell’ambito della presente impugnazione, emerge che Q, con la sua domanda di risarcimento, chiedeva la riparazione di un pregiudizio materiale in termini di seria lesione del suo stato di salute, dimostrata da diversi certificati e pareri medici, e di inidoneità al normale esercizio delle sue funzioni all’interno dell’unità di appartenenza in seguito alle molestie psicologiche, ai sensi dell’art. 12 bis, n. 3, dello Statuto, denunciate nella sua domanda di assistenza e che, poiché la Commissione non aveva risposto alla detta domanda nel termine di quattro mesi, la mancata risposta aveva fatto sorgere, in applicazione dell’art. 90, n. 1, dello Statuto, una decisione di rigetto di detta domanda. Inoltre, dalle suddette constatazioni del Tribunale della funzione pubblica, nonché da quelle di cui al punto 117 della sentenza impugnata, emerge che il ricorso in primo grado era diretto, in sostanza, all’annullamento della decisione implicita di rigetto delle domande di assistenza e di risarcimento, ai sensi dell’art. 24 dello Statuto, e, quale conseguenza di tale annullamento, alla condanna della Commissione a risarcire a Q i danni chiesti quale riparazione del «danno derivante dalle asserite molestie psicologiche».

66      Al riguardo occorre rammentare che l’obbligo di assistenza sancito dall’art. 24, primo comma, dello Statuto, contempla la tutela dei funzionari, da parte dell’istituzione, contro comportamenti di terzi e non contro gli atti emanati dall’istituzione stessa, il cui controllo rientra in altre disposizioni dello Statuto (v., in tal senso, sentenze della Corte 17 dicembre 1981, causa 178/80, Bellardi-Ricci e a./Commissione, Racc. pag. 3187, punto 23, e 25 marzo 1982, causa 98/81, Munk/Commissione, Racc. pag. 1155, punto 21). Benché l’art. 24, primo comma, dello Statuto sia in primo luogo inteso a proteggere i funzionari da attacchi e maltrattamenti provenienti da terzi, l’obbligo di assistenza che esso impone all’amministrazione sussiste anche nel caso in cui l’autore dei fatti previsti dalla disposizione sia un altro funzionario (v., in tal senso, sentenza della Corte 14 giugno 1979, causa 18/78, V./Commissione, Racc. pag. 2093, punto 15, e sentenza del Tribunale 9 marzo 2005, causa T‑254/02, L/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑63 e II‑277, punto 85, e giurisprudenza ivi citata).

67      L’art. 24, secondo comma, dello Statuto ha per oggetto il risarcimento del danno arrecato a un funzionario da un comportamento di terzi o di altri funzionari cui si applica il primo comma del medesimo articolo, sempreché egli non abbia potuto ottenerne il risarcimento dal responsabile (v., in tal senso, ordinanza della Corte 5 ottobre 2006, causa C‑365/05 P, Schmidt‑Brown/Commissione, Racc. pagg. I-B-2-17 e II-B-2-107, punto 78). La ricevibilità del ricorso per risarcimento proposto da un funzionario ai sensi dell’art. 24, secondo comma, dello Statuto è dunque subordinata all’esaurimento dei rimedi giurisdizionali nazionali, a condizione che questi garantiscano in maniera efficace la protezione delle persone interessate e possano produrre la riparazione del danno asserito (v. sentenza L/Commissione, cit. supra al punto 66, punto 148, e giurisprudenza ivi citata).

68      Il regime speciale di responsabilità instaurato dall’art. 24, secondo comma, dello Statuto, si fonda sul dovere dell’amministrazione di proteggere la salute e la sicurezza dei suoi funzionari e agenti da attacchi e maltrattamenti provenienti da terzi o da altri funzionari di cui possono essere vittime nell’esercizio delle loro funzioni, segnatamente in forma di molestie psicologiche, ai sensi dell’art. 12 bis, n. 3, dello Statuto. Si tratta di un regime di responsabilità senza colpa, che si distingue dal regime di diritto comune della responsabilità della Comunità nel settore della funzione pubblica, come ricordato al punto 234 della sentenza impugnata, nonché al punto 42 supra, che impone al funzionario che intende ottenere una riparazione dalla Comunità la dimostrazione di aver subito un pregiudizio quale conseguenza di un comportamento errato di una istituzione (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 26 ottobre 1993, causa T‑59/92, Caronna/Commissione, Racc. pag. II‑1129, punti 25 e 68, e L/Commissione, cit. supra al punto 66, punti 143‑146 e 147‑153). Inoltre, siffatto regime speciale di responsabilità senza colpa va distinto dal regime di risarcimento dei funzionari per le malattie da essi contratte o per gli infortuni di cui essi sono stati vittime nell’esercizio delle loro funzioni o per l’aggravamento di tali malattie, ai sensi dell’art. 73 dello Statuto e della regolamentazione comune relativa alla copertura dei rischi di infortunio e di malattia professionale dei funzionari adottata in base a detto articolo. Infatti, in mancanza di qualsiasi disposizione esplicita in tal senso nella summenzionata regolamentazione, non si può ritenere che essa escluda il diritto del funzionario e dei suoi aventi causa di chiedere un risarcimento supplementare se l’istituzione è tenuta alla riparazione, ai sensi del diritto comune, nel caso in cui sia ritenuta responsabile dell’infortunio o della malattia del funzionario, oppure in base all’art. 24, n. 2, dello Statuto, qualora l’infortunio o la malattia derivino da attacchi di terzi o di altri funzionari in relazione con l’esercizio – ad opera del detto funzionario – delle sue funzioni nelle Comunità, né che le prestazioni del regime statutario non sarebbero sufficienti per garantire la piena riparazione del pregiudizio subito (v., in tal senso, sentenza della Corte 8 ottobre 1986, cause riunite 169/83 e 136/84, Leussink/Commissione, Racc. pag. 2801, punti 11 e 12).

69      Dalle constatazioni del Tribunale della funzione pubblica nella sentenza impugnata, come indicate ai punti 64 e 65 supra, emerge che la domanda di risarcimento era fondata unicamente sulla riparazione del pregiudizio di ordine materiale che Q asseriva di aver subito a causa delle molestie psicologiche denunciate nella domanda di assistenza e poste in essere da diversi superiori gerarchici della direzione generale (DG) «Personale e amministrazione» della Commissione, ossia atti personalmente imputabili ad altri funzionari – e non connessi a un’irregolarità amministrativa della Commissione – il cui controllo è contemplato in altre disposizioni dello Statuto, conformemente alla giurisprudenza citata ai punti 42 e 66 supra.

70      Ne consegue che, per quanto riguarda le conclusioni dirette al risarcimento del pregiudizio asseritamente subito da Q, l’oggetto del ricorso in primo grado era soltanto quello illustrato nella domanda di risarcimento, presentata ai sensi dell’art. 24, secondo comma, dello Statuto, e mirante inoltre, in esito al rigetto di quest’ultima, alla condanna della Commissione a versarle l’indennizzo richiesto in riparazione del pregiudizio subito a causa dell’illegittimità di tale decisione e pari a EUR 100 000. Per contro, queste stesse constatazioni non consentono di concludere che, con la sua domanda di risarcimento, Q ha chiesto l’indennizzo di un danno morale derivante da un’irregolarità amministrativa della Commissione costituita dall’inadempimento, da parte di quest’ultima, del dovere di sollecitudine, risultante da taluni fatti denunciati nella domanda di assistenza.

71      Inoltre, non si può ritenere che l’irregolarità amministrativa addebitata alla Commissione nella fattispecie, come descritta al punto 64 supra, sia strettamente correlata alla decisione implicita di rigetto della domanda di risarcimento che, ai sensi dell’art. 24, secondo comma, dello Statuto, riguardava la riparazione del pregiudizio di ordine materiale che Q avrebbe subito a causa delle molestie psicologiche denunciate nella domanda di assistenza. Infatti, mentre i fatti denunciati nella domanda di assistenza come costitutivi di molestie psicologiche ai sensi dell’art. 12 bis, n. 3, dello Statuto, devono essere considerati come atti ascrivibili ai relativi autori, ossia ai superiori gerarchici della DG «Personale e amministrazione» specificatamente chiamati in causa, ciò non accade con riferimento alla decisione implicita di rigetto delle domande di assistenza e di risarcimento, che è un atto ascrivibile alla Commissione. In ogni caso, gli atti di cui il Tribunale della funzione pubblica ha tenuto conto per accertare un’irregolarità amministrativa da parte della Commissione (v. punto 64 supra) precedono la data della decisione implicita di rigetto delle domande di assistenza e di risarcimento, vale a dire il 3 settembre 2004. L’anzidetta irregolarità, dunque preesistente alla decisione implicita di rigetto, non può essere considerata strettamente correlata a quest’ultima, secondo la giurisprudenza citata al punto 63 supra.

72      Pertanto, quand’anche, ai sensi degli artt. 90 e 91 dello Statuto, il Tribunale della funzione pubblica fosse stato legittimamente chiamato a pronunciarsi su un ricorso vertente sulla legittimità della decisione implicita di rigetto della domanda di risarcimento alla luce delle disposizioni di cui all’art. 24, secondo comma, dello Statuto, detto giudice non poteva statuire – senza violare i suddetti articoli – sulla questione se alcuni fatti denunciati nella domanda di assistenza e considerati nel loro insieme, potessero essere qualificati come irregolarità amministrativa della Commissione che ha causato a Q un danno morale che doveva essere risarcito.

73      Il Tribunale della funzione pubblica ha dunque violato gli artt. 90 e 91 dello Statuto e si è pronunciato ultra petita, modificando l’oggetto della controversia, nella parte in cui, come emerge dal punto 242 delle motivazioni e dal punto 2 del dispositivo della sentenza impugnata, ha condannato la Commissione a risarcire il danno morale derivante da un’irregolarità amministrativa che ha contribuito a isolare Q all’interno dell’unità di appartenenza, consistente in inadempimenti da parte della Commissione al dovere di sollecitudine riguardanti taluni comportamenti denunciati nella domanda di assistenza.

74      Conseguentemente, e senza che si debbano esaminare le altre censure o tesi invocate a sostegno della seconda parte del primo motivo, occorre accogliere quest’ultima e annullare il punto 2 del dispositivo della sentenza impugnata nella parte in cui condanna la Commissione a versare a Q un risarcimento pari all’importo di EUR 500.

 Sul secondo motivo, relativo alla violazione della condizione affinché sorga la responsabilità extracontrattuale della Comunità attinente all’esistenza di un comportamento illecito, degli artt. 7 e 24 dello Statuto nonché dell’obbligo di motivare le sentenze

 Argomenti delle parti

75      La Commissione contesta al Tribunale della funzione pubblica di aver violato la condizione affinché sorga la responsabilità extracontrattuale della Comunità attinente all’esistenza di un comportamento illecito, gli artt. 7 e 24 dello Statuto, nonché l’obbligo di motivare le sentenze, in quanto, al punto 2 del dispositivo della sentenza impugnata, detto giudice ha parzialmente accolto le conclusioni di Q miranti al risarcimento del danno derivante dall’illegittimità della decisione implicita di rigetto della domanda di assistenza – dopo aver ritenuto, ai punti 250, 251 e 254 della sentenza impugnata, che fosse soddisfatta la condizione circa l’esistenza di un comportamento illecito, nella fattispecie a motivo dell’illegittimità della decisione implicita recante diniego di adottare una misura provvisoria di allontanamento, come constatato ai punti 209‑212 della sentenza impugnata – nonché dal ritardo con cui è stata avviata l’indagine amministrativa.

76      In primo luogo, la Commissione sostiene che il Tribunale della funzione pubblica ha violato la condizione affinché sorga la responsabilità extracontrattuale della Comunità attinente all’esistenza di un comportamento illecito, gli artt. 7 e 24 dello Statuto e l’obbligo di motivare le sentenze, ai punti 209‑212, 250, 251 e 254 della sentenza impugnata, ritenendo, senza neanche aver accertato una violazione grave e manifesta dei limiti imposti nella fattispecie al suo potere discrezionale, conformemente alla giurisprudenza (sentenza Bergaderm e Goupil/Commissione, cit. supra al punto 27), che la responsabilità extracontrattuale della Comunità sorgesse in quanto essa aveva rifiutato di adottare una misura provvisoria di allontanamento. Poiché si tratta di una misura provvisoria di allontanamento di un funzionario asseritamente vittima di molestie psicologiche, ai sensi dell’art. 7 dello Statuto le istituzioni godrebbero di un ampio potere discrezionale, riconosciuto dalla giurisprudenza (sentenza del Tribunale 5 dicembre 2000, causa T‑136/98, Campogrande/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑267 e II‑1225, punto 42) e dalla comunicazione 22 ottobre 2003 sulla politica in materia di molestie psicologiche alla Commissione [C (2003) 3644] (in prosieguo: la «comunicazione sulle molestie psicologiche»). Non sussisterebbe dunque alcun obbligo generale e assoluto a carico dell’amministrazione di adottare ipso facto una misura preventiva, per esempio una riassegnazione o un trasferimento, al minimo dubbio di molestie psicologiche. A tali riassegnazioni o trasferimenti ipso facto osterebbe, in ogni caso, l’art. 7 dello Statuto, in forza del quale le assegnazioni devono avvenire nell’interesse del servizio.

77      La Commissione sostiene che anche i punti 250, 251 e 254 della sentenza impugnata sono viziati da un difetto di motivazione, giacché il Tribunale della funzione pubblica non avrebbe verificato, conformemente alla giurisprudenza, se, nel caso di specie, l’istituzione avesse violato in maniera grave e manifesta i limiti imposti al suo potere discrezionale (sentenza Bergaderm e Goupil/Commissione, cit. supra al punto 27, punti 43 e 44).

78      In ogni caso, la Commissione ritiene che, alla luce dei comportamenti denunciati nella domanda di assistenza, delle assenze di Q per ragioni mediche o per altri motivi durante la maggior parte del 2004, della cronicità e della imprecisione dei problemi da trattare, dei rifiuti di alcune proposte di riassegnazione già opposti da Q e dei colloqui avuti con quest’ultima al fine di trovarle un posto adeguato in una delle DG da essa scelte, la decisione di non procedere alla riassegnazione unilaterale di Q, bensì di coinvolgerla nella ricerca di una soluzione costruttiva, fosse corretta sia in merito al progetto di favorire la ricostruzione della sua carriera, sia con riferimento all’interesse del servizio. Finito il periodo di prova, Q sarebbe stata già «allontanata» più volte dietro sua richiesta e, nella fattispecie, l’amministrazione avrebbe agito con solerzia, proponendole la riassegnazione in una delle DG di sua scelta.

79      In secondo luogo, la Commissione ritiene, in sostanza, che il Tribunale della funzione pubblica abbia altresì violato la condizione affinché sorga la responsabilità extracontrattuale della Comunità attinente all’esistenza di un comportamento illecito dichiarando, al punto 251 della sentenza impugnata, che, ritardando nell’avviare l’indagine amministrativa sui comportamenti denunciati nella domanda di assistenza, l’amministrazione aveva adottato un comportamento illecito. Da un lato, il Tribunale della funzione pubblica non avrebbe tenuto conto del legame diretto esistente tra l’esito riservato alle richieste di annullamento e quello per le richieste di risarcimento. Poiché, al punto 200 della sentenza impugnata, il Tribunale della funzione pubblica respingeva in quanto irricevibili le richieste di annullamento della decisione implicita di rigetto della domanda di assistenza giacché quest’ultima recava diniego di avviare un’indagine amministrativa, esso avrebbe altresì dovuto respingere, in quanto irricevibili, le richieste di risarcimento che erano strettamente correlate a queste ultime. Dall’altro, la giurisprudenza ammetterebbe un ritardo per l’avvio di un’indagine amministrativa se ciò è giustificato dalle circostanze del caso specifico (sentenza Campogrande/Commissione, cit. supra al punto 76, punto 54). Nella fattispecie, il ritardo di circa quattro mesi per l’avvio dell’indagine amministrativa sarebbe stato giustificato dal fatto che la detta indagine doveva essere affidata a un consigliere auditore dell’Ufficio investigativo e disciplinare (in prosieguo: l’«IDOC»), organismo posto sotto l’autorità del direttore generale della DG «Personale e amministrazione».

80      Q chiede, in primo luogo, il rigetto della censura relativa alla violazione della condizione affinché sorga la responsabilità extracontrattuale della Comunità attinente all’esistenza di un comportamento illecito, degli artt. 7 e 24 dello Statuto nonché dell’obbligo di motivare le sentenze. La giurisprudenza Bergaderm e Goupil/Commissione (punto 27 supra) non troverebbe applicazione nell’ambito del contenzioso della funzione pubblica. Con la comunicazione sulle molestie psicologiche la Commissione si sarebbe impegnata a «vietare la pratica di rappresaglie nei confronti di un membro del personale che ha lamentato una molestia» e, a tal fine e «tene[ndo] conto delle situazioni specifiche», ad adottare misure provvisorie di allontanamento «mira[nti] a separare le parti» e a «consentire alla presunta vittima di ristabilirsi aiutandola a superare la situazione». Nel caso di specie, la Commissione avrebbe dovuto tenere conto non soltanto del carattere durevole e ripetitivo dei comportamenti denunciati nella domanda di assistenza, ma anche delle conclusioni di vari medici e periti che, tutti, avrebbero consigliato di allontanare Q dalla DG «Personale e amministrazione». Inoltre, la misura provvisoria di allontanamento della presunta vittima di molestie psicologiche potrebbe essere considerata un’assegnazione stabilita nell’interesse del servizio, ai sensi dell’art. 7 dello Statuto. La decisione della Commissione 26 aprile 2006, C (2006) 1264/3, relativa alla politica sulla protezione della dignità della persona e sulla lotta contro le molestie psicologiche e sessuali presso la Commissione, che ha annullato e sostituito la comunicazione sulle molestie psicologiche, confermerebbe che una «misura di allontanamento (…) si concretizz[erebbe] in una riassegnazione nell’interesse del servizio». Alla luce dei criteri enunciati nella sentenza Campogrande/Commissione, cit. supra al punto 76, il Tribunale della funzione pubblica non avrebbe viziato la sentenza impugnata con un errore di diritto ritenendo che la Commissione avesse commesso un’irregolarità amministrativa non essendo intervenuta con ogni mezzo e non avendo risposto alla domanda di assistenza con la rapidità e la sollecitudine richieste dalle circostanze del caso di specie.

81      In secondo luogo, Q chiede che venga respinta la censura relativa a errori di diritto che inficiano la valutazione del Tribunale della funzione pubblica secondo cui alla Commissione potrebbe essere contestato il ritardo nell’avvio dell’indagine amministrativa sui comportamenti denunciati nella domanda di assistenza. Il punto 54 della sentenza Campogrande/Commissione, cit. supra al punto 76, non autorizzerebbe la Commissione a ritenere che il ritardo nell’avvio di un’indagine amministrativa avrebbe potuto essere giustificato. La suddetta sentenza insisterebbe, invece, sugli obblighi di sollecitudine, di rapidità e di diligenza inerenti all’obbligo di assistenza ai sensi dell’art. 24 dello Statuto.

 Giudizio del Tribunale

82      In primo luogo, occorre esaminare le censure della Commissione relative alla violazione della condizione affinché sorga la responsabilità extracontrattuale della Comunità attinente all’esistenza di un comportamento illecito e degli artt. 7 e 24 dello Statuto, in quanto il Tribunale della funzione pubblica ha affermato che la responsabilità extracontrattuale della Comunità sussisteva giacché, per effetto della decisione implicita di rigetto della domanda di assistenza, l’APN aveva rifiutato di adottare una misura di allontanamento quando, come osservato al punto 209 della sentenza impugnata, «[l]’importanza e la gravità dei fatti addotti da [Q] nella sua domanda di assistenza avrebbero (…) rivelato (…) un “sospetto di molestie psicologiche” (…) ai sensi della comunicazione (…) sulle molestie psicologiche».

83      Va innanzi tutto sottolineato che l’art. 24 dello Statuto, che impone alle Comunità un dovere di assistenza nei confronti dei loro funzionari, figura nel titolo II relativo ai «doveri e diritti del funzionario». Ne consegue che, in ogni situazione in cui sussistono i necessari presupposti di fatto, tale dovere di assistenza corrisponde a un diritto statutario del funzionario interessato (sentenza Caronna/Commissione, cit. supra al punto 68, punto 58).

84      Secondo una costante giurisprudenza, in virtù dell’obbligo di assistenza ai sensi dell’art. 24, primo comma, dello Statuto, l’amministrazione, di fronte ad un incidente incompatibile con l’ordine e la serenità del servizio, è tenuta ad intervenire con tutta la necessaria energia e rispondere con la rapidità e la sollecitudine richieste dalle circostanze del caso specifico per accertare i fatti e poter quindi trarre, con cognizione di causa, le opportune conclusioni. A tal fine, è sufficiente che il funzionario che chiede la tutela alla quale egli ha diritto fornisca almeno un principio di prova del carattere reale delle aggressioni asseritamente subite. In presenza di tali elementi la Commissione è tenuta ad adottare gli opportuni provvedimenti, in particolare procedendo ad un’indagine amministrativa, al fine di accertare i fatti all’origine delle doglianze, in collaborazione con l’autore di queste ultime (v., in tal senso, sentenza della Corte 26 gennaio 1989, causa 224/87, Koutchoumoff/Commissione, Racc. pag. 99, punti 15 e 16, e sentenza L/Commissione, cit. supra al punto 66, punto 84, e la giurisprudenza ivi citata), in mancanza dei quali essa non può prendere una posizione definitiva, in particolare sulla questione se la denuncia debba essere archiviata oppure se sia necessario avviare una procedura disciplinare e, all’occorrenza, debbano essere adottate sanzioni disciplinari (v., in tal senso, sentenze della Corte 11 luglio 1974, causa 53/72, Guillot/Commissione, Racc. pag. 791, punti 3, 12 e 21, e 9 novembre 1989, causa 55/88, Katsoufros/Corte di giustizia, Racc. pag. 3579, punto 16).

85      Inoltre, allorché l’amministrazione è chiamata da un funzionario a pronunciarsi su una domanda di assistenza ai sensi dell’art. 24, primo comma, dello Statuto, essa, in virtù del dovere di protezione che tale articolo le impone (sentenza V./Commissione, cit. supra al punto 66, punto 16), è tenuta ad adottare le opportune misure preventive, quali la riassegnazione o il trasferimento provvisorio della vittima, miranti a proteggere quest’ultima dalla reiterazione del comportamento denunciato durante l’intera durata necessaria per l’indagine amministrativa (v., in tal senso, sentenza Campogrande/Commissione, cit. supra al punto 76, punto 55).

86      Riguardo alla scelta delle misure, provvisorie o definitive, da adottare ai sensi dell’art. 24 dello Statuto, l’amministrazione dispone di un ampio potere discrezionale, soggetto al sindacato del giudice dell’Unione. Tale sindacato si limita a valutare se l’istituzione interessata abbia rispettato limiti ragionevoli e non abbia usato il suo potere discrezionale in maniera manifestamente errata (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 25 ottobre 2007, causa T‑154/05, Lo Giudice/Commissione, Racc. pagg. -A-2-203 e II-A-2-1309, punto 137, e giurisprudenza ivi citata).

87      Tuttavia, occorre altresì sottolineare che la comunicazione sulle molestie psicologiche era già stata adottata alla data della decisione implicita di rigetto della domanda di assistenza, presentata il 3 maggio 2004, e che, tanto per il testo, quanto per la forma e il contenuto, tale comunicazione aveva valenza di direttiva interna, incombente in capo alla Commissione, non avendo quest’ultima manifestato espressamente la sua intenzione di discostarsene con decisione motivata e circostanziata (v., in tal senso e per analogia, sentenza della Corte 30 gennaio 1974, causa 148/73, Louwage/Commissione, Racc. pag. 81, punto 12, e sentenza del Tribunale 6 febbraio 2007, causa T‑246/04 e T‑71/05, Wunenburger/Commissione, Racc. pagg. I-A-2-21 e II-A-2-131, punto 127).

88      Secondo quanto disposto al punto 4.1.1 della comunicazione sulle molestie psicologiche, dedicato alle «[m]isure da adottare una volta individuata la molestia», la politica di lotta contro le molestie psicologiche doveva essere un nuovo strumento di protezione per i funzionari dell’istituzione e garantire alle presunte vittime e agli eventuali testimoni di usufruire della protezione dell’istituzione. A tal fine di protezione, il punto 4.1.1, lett. i), della comunicazione sulle molestie psicologiche prevedeva, per le «[m]isure d’urgenza», che «[a]l minimo sospetto di molestia psicologica [potevano] essere previste delle misure di allontanamento», che «[t]ali misure [miravano] a separare le parti e non [dovevano] essere confuse con la politica di mobilità», che «[e]sse [potevano] essere proposte all’APN per iscritto da persone di fiducia o dal mediatore» e che, «[p]er quanto riguarda le misure provvisorie, l’allontanamento non [dovrebbe] dipendere dall’esistenza di un posto vacante». Inoltre, tale disposizione prevedeva che «[q]ueste misure di allontanamento, che [dovevano] tenere conto delle circostanze specifiche, [potevano] essere immediate e, se necessario, definitive» e che «esse [avevano] quale obiettivo quello di consentire alla presunta vittima di ristabilirsi aiutandola a superare la situazione».

89      Da queste disposizioni emerge che la comunicazione sulle molestie psicologiche, in seguito annullata e sostituita dalla decisione C (2006) 1264/3, si fondava sull’idea che l’amministrazione non doveva aspettare che la situazione di conflitto cronicizzasse, ma che doveva, invece, intervenire con tutta l’energia necessaria e rispondere con la rapidità e la sollecitudine richieste dalle circostanze del caso di specie adottando, in via preventiva, qualsiasi misura di allontanamento necessaria. A tal proposito, la Commissione non può legittimamente far valere l’uso del verbo «potere» presente nella comunicazione sulle molestie psicologiche allo scopo di pretendere di essere libera, in ogni caso, di valutare la necessità di una misura provvisoria di allontanamento alla luce dei fatti del caso di specie. Invero, nel contesto di tale comunicazione, il verbo «potere» andava inteso nel senso che l’amministrazione aveva la facoltà di adottare, in via preventiva, una misura di allontanamento per tutta la durata necessaria ai fini dell’indagine amministrativa, la quale doveva permetterle di dimostrare i fatti e prendere una posizione definitiva al riguardo. Per contro, ciò non pregiudicava il fatto che la necessità di garantire un effetto utile al dovere di protezione, derivante dall’art. 24, primo comma, dello Statuto, richiedesse che l’amministrazione avrebbe potuto essere obbligata ad assistere un funzionario adottando, preventivamente e in presenza di talune condizioni di fatto, una misura di allontanamento.

90      Ai sensi dell’art. 24, primo comma, dello Statuto e della comunicazione sulle molestie psicologiche, va dunque osservato che, alla data della decisione implicita di rigetto della domanda di assistenza, l’amministrazione era tenuta ad assistere il funzionario che avesse chiesto la sua assistenza, ai sensi del suddetto art. 24, primo comma, dello Statuto, adottando, in via preventiva, una misura provvisoria di allontanamento qualora, da un lato, vi fossero elementi tali da indurla, o che avrebbero dovuto ragionevolmente indurla, a sospettare che il detto funzionario fosse stato oggetto di azioni rientranti nell’ambito dell’art. 24, primo comma, dello Statuto, come le molestie psicologiche, ai sensi dell’art. 12 bis, n. 3, dello Statuto (v. in tal senso, sentenza Lo Giudice/Commissione, cit. supra al punto 86, punto 153), e, dall’altro, tale misura si fosse dimostrata necessaria per proteggere la salute e la sicurezza della persona interessata, in particolare a fronte del rischio di reiterazione delle azioni sospettate (v., in tal senso, sentenza Campogrande/Commissione, cit. supra al punto 76, punto 55; v., in tal senso e per analogia, sentenza del Tribunale 3 marzo 2004, causa T‑48/01, Vainker/Parlamento, causa T‑48/01, Racc. PI pagg. I‑A‑51 e II‑197, punti 92 e 93).

91      Nel caso di specie, anche se, per i motivi già illustrati ai punti 40‑45 supra, la Commissione commette un errore sostenendo che il Tribunale della funzione pubblica avrebbe dovuto verificare la violazione grave e manifesta da parte dell’istituzione dei limiti imposti al suo potere discrezionale, ciò non toglie che, con le sue censure, essa contesti sostanzialmente al Tribunale della funzione pubblica di aver commesso un errore di diritto e di aver violato l’obbligo di motivare le sentenze annullando la decisione implicita di rigetto della domanda di assistenza, in quanto essa rifiutava l’adozione di una misura provvisoria di allontanamento, senza tener conto del potere discrezionale di cui avrebbe disposto per l’adozione di siffatta misura.

92      In via preliminare, va osservato che le misure provvisorie di allontanamento adottate ai sensi dell’art. 24, primo comma, dello Statuto, mirano a proteggere, preventivamente, la salute e la sicurezza del funzionario presunta vittima di uno degli atti indicati in tale disposizione. Conformemente a questo obiettivo di protezione, siffatte misure non possono dipendere dall’esistenza di un posto vacante in seno ai servizi, come giustamente precisato dalla comunicazione sulle molestie psicologiche. Pertanto, tali misure di assistenza non vanno confuse con le decisioni di riassegnazione nell’interesse del servizio, adottate ai sensi dell’art. 7, n. 1, dello Statuto. Queste ultime decisioni mirano al buon funzionamento del servizio, anche quando sono giustificate da difficoltà nelle relazioni interne e rientrano, pertanto, nel vasto potere discrezionale che la giurisprudenza della Corte riconosce alle istituzioni nell’organizzazione dei loro servizi, in funzione dei compiti loro affidati, e nell’assegnazione a determinati posti, in considerazione di detti compiti, del personale disponibile, a condizione tuttavia che detta assegnazione venga effettuata nel rispetto della corrispondenza tra il posto e il grado (v. sentenza della Corte 12 novembre 1996, causa C‑294/95 P, Ojha/Commissione, Racc. pag. I‑5863, punti 40 e 41 e giurisprudenza ivi citata).

93      Resta dunque da esaminare, secondo la giurisprudenza citata supra al punto 86, se il Tribunale della funzione pubblica abbia verificato che la Commissione non aveva rispettato limiti ragionevoli impiegando il proprio potere discrezionale in maniera manifestamente erronea, astenendosi dall’adottare una misura provvisoria di allontanamento giacché sarebbero state presenti le condizioni fattuali di cui al punto 90, supra, che impongono alla Commissione l’adozione di siffatta misura.

94      Una volta riassunti i fatti denunciati nella domanda di assistenza e aver indicato, al punto 208 della sentenza impugnata, che «tra i numerosi documenti che la ricorrente [aveva] allegato alla propria domanda di assistenza vi era anche un elenco di persone che, secondo l’interessata, sarebbero state in grado di confermare l’esistenza delle asserite molestie psicologiche», al punto 209 della detta sentenza il Tribunale della funzione pubblica dichiarava che «l’importanza e la gravità di [tali] fatti (…) avrebbero dunque rivelato almeno un “sospetto di molestie psicologiche” ai sensi della comunicazione (…) sulle molestie psicologiche, e avrebbero imposto alla Commissione di adottare “misure di allontanamento” prima ancora di procedere con un’indagine e di verificare la veridicità delle censure della ricorrente». Al punto 214 della sentenza impugnata, il Tribunale della funzione pubblica ha pertanto ritenuto che la decisione implicita con cui la Commissione non aveva adottato una misura provvisoria di allontanamento fosse illegittima e dovesse essere annullata. Ciò conferma le valutazioni espresse al punto 196 della sentenza impugnata, da cui risulta che «anche prima di prendere definitivamente posizione su[lla] domanda [di assistenza], [la Commissione era] obbligata a compiere determinati atti, almeno a titolo conservativo». Ai punti 250 e 253 della sentenza impugnata, il Tribunale della funzione pubblica ha ritenuto che la responsabilità extracontrattuale della Comunità sorgesse, in particolare, dal rifiuto «della Commissione di adottare misure provvisorie e [dal] ritardo con cui è stata avviata l’indagine amministrativa», comportamenti, questi, che avevano cagionato un «danno morale» consistente «in una condizione di incertezza e di inquietudine [in cui Q si sarebbe trovata], avendo essa stessa potuto temere che l’istituzione non prendesse in considerazione la sua domanda di assistenza e che i comportamenti illegittimi fino a quel momento subiti ad opera dell’istituzione potessero continuare». Al punto 254 della sentenza impugnata, il Tribunale della funzione pubblica ha incluso tale danno morale in quello che, a suo avviso, è stato equamente risarcito con «la condanna della Commissione a versare a [Q] l’importo di EUR 15 000».

95      Dal punto 250 della sentenza impugnata emerge chiaramente che l’unico motivo addotto dal Tribunale della funzione pubblica per concludere che la Commissione era obbligata, nel caso di specie, ad adottare una misura provvisoria di allontanamento era l’esistenza di un «sospetto di molestia psicologica» ai sensi della comunicazione sulle molestie psicologiche.

96      Tuttavia, dai punti 207‑214 e 250 della sentenza impugnata non emerge che il Tribunale della funzione pubblica abbia verificato, nonostante vi fosse tenuto in base alla norma di cui al punto 98 supra, se una misura provvisoria di allontanamento fosse necessaria per proteggere la salute e la sicurezza di Q nel corso dell’intera durata dell’indagine amministrativa.

97      Il Tribunale della funzione pubblica ha pertanto commesso un errore di diritto ritenendo, ai punti 209 e 211 della sentenza impugnata, che la Commissione fosse tenuta ad adottare una misura di allontanamento provvisoria senza verificare se, nella fattispecie, tale misura fosse necessaria per proteggere la salute e la sicurezza di Q nel corso dell’intera durata dell’indagine amministrativa.

98      Tuttavia, conformemente alla giurisprudenza della Corte, l’errore di diritto commesso dal giudice di primo grado non è tale da invalidare la sentenza pronunciata da detto giudice se il dispositivo di quest’ultima appare fondato per altri motivi di diritto (v. sentenze della Corte 10 dicembre 2002, causa C‑312/00 P, Commissione/Camar e Tico, Racc. pag. I‑11355, punto 57, e 30 settembre 2003, causa C‑93/02 P, Biret International/Consiglio, Racc. pag. I‑10497, punto 60 e giurisprudenza ivi citata). Nell’ambito di tale sostituzione di motivi, il giudice dell’impugnazione può prendere in considerazione i fatti come osservati dal giudice di primo grado (sentenza Biret International/Consiglio, cit., punti 60‑66).

99      A tal riguardo, dal punto 41 della sentenza impugnata emerge, innanzi tutto, che a seguito di un controllo clinico effettuato dal medico di fiducia dell’istituzione, questi, con parere 7 maggio 2004, riteneva che Q fosse «completamente idonea al lavoro a partire dal 10 [maggio] 2004» ma che «per motivi di salute, sarebbe stato auspicabile assegnarla ad un altro posto». Successivamente, dal punto 54 della sentenza impugnata risulta che «[i]l 18 maggio 2004 lo psichiatra a cui il servizio medico aveva affidato l’incarico di effettuare una perizia psichiatrica su [Q] sottolineava nella sua relazione che «poiché [i]l problema [era] di ordine sociale (ossia un conflitto in seno all’[i]stituzione di appartenenza), la soluzione d[oveva] pertanto essere cercata a tale livello (vale a dire un reinserimento in un’altra [d]irezione [g]enerale)». Inoltre, il punto 69 della sentenza impugnata indica che «il 6 settembre 2004 il controllo medico a cui [Q] era stata sottoposta a seguito del deposito del certificato medico per il periodo 28 agosto-25 settembre 2004 concludeva che l’interessata era “al momento completamente idonea al lavoro” ribadendo, tuttavia, l’osservazione formulata il 18 maggio 2004 dallo psichiatra che aveva all’epoca visitato [Q], secondo cui “per motivi di salute, [era] auspicabile assegnare [Q] ad altre mansioni”». Infine, dal punto 73 della sentenza impugnata emerge che «[q]uale esito della perizia medico‑psicologica del 6 ottobre 2004, il medico indipendente nominato a seguito della domanda di giudizio indipendente formulata [da Q] (…) constatava che “l’interessata [era] idonea a riprendere l’attività lavorativa purché presso un’altra [DG]” e precisava che “reintegrare (…) presso il suo precedente posto di lavoro non [avrebbe fatto altro] che ravvivare il vissuto di molestie psicologiche e destabilizzar[la] (…)». Dai fatti accertati nella sentenza impugnata emerge che diversi pareri e certificati medici concludevano a favore della necessità di una misura di allontanamento al fine di proteggere lo stato di salute di Q, ciò anche prima che l’amministrazione avviasse l’indagine amministrativa volta a consentire la verifica dell’esistenza delle molestie psicologiche lamentate da Q e, pertanto, che potevano essere considerate eventuali misure definitive al fine di sanzionare gli autori delle suddette molestie e riparare, in subordine, le conseguenze dannose dei loro atti.

100    Alla luce dei pareri e dei certificati formulati da soggetti in grado di vincolare il potere decisionale della Commissione con le loro valutazioni di natura medica, occorre osservare che, almeno a partire dal 6 ottobre 2004, si imponeva una misura provvisoria di allontanamento al fine di garantire la protezione immediata dello stato di salute di Q. Pertanto, nelle circostanze del caso di specie, erano soddisfatte le condizioni fattuali che permettevano di ritenere che alla data dell’adozione della decisione implicita di rigetto della domanda di assistenza l’amministrazione era obbligata ad adottare, preventivamente, la misura provvisoria di allontanamento quale enunciata al punto 98 supra. Pertanto, la Commissione non ha rispettato i limiti ragionevoli e ha impiegato il proprio potere discrezionale in maniera manifestamente erronea non allontanando provvisoriamente Q dalla DG «Personale e amministrazione» o dall’unità D 2 della detta DG, a cui era stata assegnata, sebbene tale misura risultasse necessaria per proteggere il suo stato di salute.

101    Ne consegue che, nonostante l’errore di diritto che vizia la sentenza impugnata a tal riguardo, ai punti 1 e 2 del dispositivo della medesima sentenza impugnata, il Tribunale della funzione pubblica ha potuto correttamente ritenere che la decisione implicita di rigetto della domanda di assistenza dovesse essere annullata nella parte in cui ha rifiutato di adottare una misura provvisoria di allontanamento e che la Commissione dovesse risarcire a Q le conseguenze dannose di tale rifiuto.

102    Pertanto, devono essere respinte le censure sollevate nell’ambito del secondo motivo, relative alla violazione della condizione affinché sorga la responsabilità extracontrattuale della Comunità attinente all’esistenza di un comportamento illecito, nonché degli artt. 7 e 24 dello Statuto, in quanto inoperanti.

103    In secondo luogo, occorre esaminare le censure sollevate nell’ambito del secondo motivo, relative al fatto che, al punto 251 della sentenza impugnata, il Tribunale della funzione pubblica avrebbe violato la condizione affinché sorga la responsabilità extracontrattuale della Comunità attinente all’esistenza di un comportamento illecito, nella parte in cui ha ritenuto che l’amministrazione avesse adottato un comportamento illecito ritardando l’avvio dell’indagine amministrativa, senza tener conto del fatto che tale ritardo nell’avvio di detta indagine sarebbe stato giustificato dalla necessità di garantirne l’imparzialità.

104    Al punto 251 della sentenza impugnata, il Tribunale della funzione pubblica ha osservato che «alla data della decisione implicita di rigetto della domanda di assistenza, l’indagine amministrativa non era ancora stata avviata, giacché solo l’8 settembre 2004 il consigliere auditore veniva incaricato dal segretario generale della Commissione di condurre tale inchiesta e le prime audizioni effettuate da quest’ultimo erano iniziate solo nell’ottobre 2004». Al punto 253 della sentenza impugnata, detto giudice ha ritenuto che il danno morale derivante da siffatto ritardo dovesse essere indennizzato e che ciò, ad avviso del Tribunale della funzione pubblica, sia stato equamente risarcito con «la condanna della Commissione a versare a [Q] l’importo di EUR 15 000».

105    Il dovere di assistenza ai sensi dell’art. 24, primo comma, dello Statuto impone all’amministrazione di rispondere con la rapidità richiesta dalle circostanze, in particolare procedendo ad un’indagine al fine di accertare i fatti all’origine delle doglianze, in collaborazione con l’autore di queste ultime (sentenza Campogrande/Commissione, cit. supra al punto 76, punti 42 e 53). Tuttavia, tale giurisprudenza non esclude motivi oggettivi che, in particolare, potendo riguardare necessità di organizzazione dell’indagine, possano giustificarne l’avvio ritardato (v., in tal senso, sentenza Campogrande/Commissione, cit. supra al punto 76, punto 56).

106    Nella fattispecie, come risulta dal punto 40 della sentenza impugnata, nella domanda di assistenza Q chiedeva che un «organo neutrale», estraneo alla DG «Personale e amministrazione», e pertanto autonomo rispetto all’IDOC, avviasse un’indagine amministrativa. Inoltre, dal punto 59 della sentenza impugnata emerge che con lettera 11 giugno 2004, il direttore dell’IDOC indicava al segretario generale della Commissione che «riguardo alla chiamata in causa da parte della ricorrente di tutti i superiori gerarchici della DG “Personale e amministrazione”, tra cui il suo direttore generale, gli sembrava opportuno che il segretario generale della Commissione esercitasse le funzioni di APN nell’ambito dell’indagine amministrativa e che venisse nominata una persona estranea alla suddetta DG in qualità di “consigliere auditore” per condurre tale indagine». Dal punto 64 della sentenza impugnata emerge, poi, che «[i]l 1° luglio 2004 il segretario generale della Commissione comunicava al direttore dell’IDOC che avrebbe accettato le funzioni di APN nell’ambito dell’indagine amministrativa in questione e indicava il nome del consigliere auditore prescelto per condurla». Infine, dal punto 71 della sentenza impugnata emerge che «[c]on una nota dell’8 settembre 2004, il consigliere auditore nominato dal segretario generale della Commissione nell’ambito dell’indagine amministrativa richiesta dalla ricorrente veniva incaricato da quest’ultimo di “stabilire la veridicità delle affermazioni formulate per quanto riguarda, in particolare, il comportamento del funzionario ovvero dei funzionari i cui nomi figurano nel fascicolo, e consentire in tal modo di valutare la realtà della situazione e le eventuali conseguenze da trarre”».

107    Nella fattispecie, il Tribunale della funzione pubblica non ha tuttavia verificato se la necessità che fosse un «organo neutrale» ad organizzare un’indagine amministrativa, conformemente alla richiesta espressa da Q nella domanda di assistenza, e di affidare quest’ultima non all’IDOC, come di norma previsto, bensì a un consigliere auditore eccezionalmente nominato all’esterno della DG «Personale e amministrazione», non giustificasse il ritardo in parola.

108    Non procedendo a tutte le verifiche cui era tenuto in forza di legge, il Tribunale della funzione pubblica non ha giuridicamente fondato la sentenza impugnata nella parte in cui condanna la Commissione a versare a Q l’importo del risarcimento del danno causato dal ritardo di circa quattro mesi, ossia il periodo trascorso prima dell’avvio dell’indagine amministrativa.

109    Occorre dunque accogliere il secondo motivo e annullare il punto 2 del dispositivo della sentenza impugnata nella parte in cui condanna la Commissione a versare a Q l’importo relativo al risarcimento del danno causato dal ritardo nell’avvio dell’indagine amministrativa. Poiché, come emerge dai punti 250‑254 della sentenza impugnata, il Tribunale della funzione pubblica non ha distinto tra il risarcimento dei danni dovuto a Q per il ritardo anzidetto e quello per il rifiuto della Commissione di adottare una misura provvisoria di allontanamento, va annullato il punto 2 del dispositivo nella parte in cui condanna la Commissione a versare a Q l’importo di EUR 15 000, giacché tale somma riguarda la riparazione del danno morale subito da Q a motivo di un asserito ritardo nell’avvio dell’indagine amministrativa.

110    Alla luce delle precedenti considerazioni, occorre accogliere parzialmente l’impugnazione principale e respingere quest’ultima per il resto.

 Sull’impugnazione incidentale

111    L’impugnazione incidentale, proposta conformemente all’art. 142, n. 2, del regolamento di procedura, è mirata all’annullamento della sentenza impugnata, nella parte in cui respinge le conclusioni del ricorso in primo grado miranti all’annullamento dei REC 2003 e al risarcimento dell’ulteriore pregiudizio derivante dalla decisione implicita di rigetto della domanda di adozione delle misure definitive idonee a punire gli autori delle asserite molestie psicologiche e, in subordine, di risarcire le conseguenze dannose delle loro azioni.

112    A sostegno dell’impugnazione incidentale, Q fa valere nove motivi, i primi otto dei quali riguardano la sentenza impugnata nella parte in cui respinge il petitum del ricorso in primo grado mirante al risarcimento dell’ulteriore pregiudizio derivante dalla decisione implicita di rigetto della domanda di adozione delle misure definitive idonee a punire gli autori delle asserite molestie psicologiche e, in subordine, di risarcire le conseguenze dannose delle loro azioni. Il primo motivo riguarda una violazione dell’art. 12 bis, n. 3, dello Statuto. Il secondo motivo è relativo a un errore nella qualificazione giuridica dei fatti denunciati nella domanda di assistenza, rispetto all’art. 12 bis, n. 3, dello Statuto. Il terzo motivo concerne un’inesattezza materiale dei fatti, fonte di un errore di diritto nella definizione dell’oggetto della controversia. Il quarto motivo riguarda lo snaturamento di alcuni elementi di prova prodotti in primo grado. Il quinto motivo è legato alla violazione, ad opera della Commissione, della comunicazione sulle molestie psicologiche. Il sesto motivo si basa sulla violazione dell’obbligo di motivare le sentenze. Il settimo motivo verte sulla violazione del divieto di statuire ultra petita e, conseguentemente, sulla violazione dei limiti della competenza del Tribunale della funzione pubblica. L’ottavo motivo concerne l’errata interpretazione delle due note amministrative. Il nono motivo riguarda la sentenza impugnata nella parte in cui respinge il petitum del ricorso in primo grado circa l’annullamento dei REC 2003. Esso è relativo a un errore di diritto sull’esistenza di un interesse ad agire per l’annullamento dei REC 2003.

113    La Commissione fa osservare che, per rispondere all’impugnazione incidentale, essa deve pronunciarsi sull’interpretazione della nozione di molestie psicologiche ai sensi dell’art. 12 bis, n. 3, dello Statuto, come enunciata dal Tribunale della funzione pubblica nella sentenza impugnata. L’istituzione sostiene che siffatta interpretazione sia viziata da diversi errori di diritto. Q respinge le osservazioni della Commissione al riguardo.

114    Per ragioni di corretta amministrazione della giustizia, occorre esaminare, in primo luogo, il quinto motivo, in secondo luogo l’ottavo motivo, in terzo luogo il primo, il secondo, il terzo, il quarto e il sesto motivo congiuntamente, nonché le osservazioni della Commissione e di Q relative alla nozione di molestie psicologiche ai sensi dell’art. 12 bis, n. 3, dello Statuto, in quarto luogo il settimo motivo e in quinto e ultimo luogo il nono motivo.

 Sul quinto motivo dell’impugnazione incidentale, relativo a una violazione da parte della Commissione della comunicazione sulle molestie psicologiche

 Argomenti delle parti

115    Q sottolinea che la Commissione avrebbe violato i punti 2.2 e 4.1 della comunicazione sulle molestie psicologiche, in quanto nessuno dei suoi superiori gerarchici si sarebbe adoperato per porre rimedio alle molestie psicologiche denunciate nella sua domanda di assistenza.

116    La Commissione chiede il rigetto del quinto motivo in quanto manifestamente irricevibile. Q non ravviserebbe la presenza di alcun errore di diritto commesso dal Tribunale della funzione pubblica nella sentenza impugnata, limitandosi a ribadire le tesi già sviluppate a sostegno del proprio ricorso in primo grado. In ogni caso, l’interpretazione della comunicazione sulle molestie psicologiche espressa dal Tribunale della funzione pubblica nella sentenza impugnata sarebbe stata favorevole a Q.

117    Q chiede il rigetto dell’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione contro il quinto motivo, poiché l’errore di diritto che vizia la sentenza impugnata sarebbe stato sufficientemente individuato nell’impugnazione incidentale.

 Giudizio del Tribunale

118    Dalle disposizioni citate al punto 24 supra, risulta che l’impugnazione deve indicare in modo preciso gli elementi contestati della sentenza di cui si chiede l’annullamento nonché gli argomenti di diritto dedotti a specifico sostegno di tale domanda (v. ordinanza del Tribunale 10 marzo 2008, causa T‑233/07 P, Lebedef-Caponi/Commissione, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).

119    Non risponde a quest’ultimo requisito un ricorso che si limiti a ripetere o a riprodurre testualmente i motivi e gli argomenti già presentati dinanzi al giudice di primo grado, ivi compresi quelli basati su fatti da questo espressamente disattesi. Infatti, un’impugnazione di tal genere costituisce in realtà una domanda diretta ad ottenere un semplice riesame del ricorso proposto in primo grado, il che esula dalla competenza del giudice delle impugnazioni (v. ordinanza Lebedef-Caponi/Commissione, cit. supra al punto 118, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).

120    Con il quinto motivo, Q fa valere un errore di diritto commesso dalla Commissione e non dal Tribunale della funzione pubblica, in quanto essa indica che «la Commissione ha violato il punto 2.2 della comunicazione sulle molestie psicologiche» o che «la Commissione ha altresì violato [il punto 4.1 della detta comunicazione]».

121    Conseguentemente, va accolta l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione e, pertanto, occorre rigettare il quinto motivo in quanto irricevibile.

 Sull’ottavo motivo dell’impugnazione incidentale, relativo all’errata interpretazione di due note amministrative

 Argomenti delle parti

122    Q sostiene che il Tribunale della funzione pubblica abbia commesso un errore di diritto interpretando in maniera errata due note amministrative contenute negli atti di causa. Da un lato, al punto 64 della sentenza impugnata, detto giudice avrebbe interpretato in maniera errata la nota che il segretario generale ha inviato al direttore dell’IDOC il 1° luglio 2004, osservando che, in essa, il primo avrebbe informato il secondo di accettare di svolgere le funzioni di APN nell’ambito dell’indagine amministrativa. In realtà, in detta nota il segretario generale avrebbe indicato che accettava l’esercizio delle funzioni di APN per quanto riguarda la risposta dell’istituzione alla domanda di assistenza, poiché lo scopo di tale tentativo era evitare qualsiasi contestazione di parzialità in seno alla DG «Personale e amministrazione». Dall’altro, al punto 86 della sentenza impugnata, il Tribunale della funzione pubblica avrebbe interpretato in maniera errata la nota del 16 settembre 2005 che il direttore generale della DG «Personale e amministrazione» gli aveva inviato indicando che essa conteneva una chiara decisione dell’APN di rigetto della domanda di assistenza. Orbene, siffatta nota non sarebbe stata emanata dal segretario generale della Commissione, che esercitava soltanto le funzioni di APN in carica, e nessuna decisione di quest’ultimo vi sarebbe stata allegata, così che l’APN non avrebbe adottato alcuna decisione esplicita sulla domanda di assistenza.

123    La Commissione fa valere che i punti della sentenza impugnata contestati dall’ottavo motivo fanno parte dell’esposizione in fatto, e non rientrano, dunque, nella parte «in diritto» di tale sentenza. Per il resto, questo motivo sarebbe irricevibile, in assenza dell’individuazione dell’errore di diritto asseritamente commesso dal Tribunale della funzione pubblica.

124    Q chiede il rigetto dell’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione contro l’ottavo motivo, giacché l’errore di diritto invocato sarebbe stato sufficientemente individuato nell’impugnazione incidentale.

 Giudizio del Tribunale

125    Come è stato osservato al punto 118 supra, un’impugnazione deve indicare in modo preciso gli elementi contestati della sentenza di cui si chiede l’annullamento, nonché gli argomenti di diritto dedotti a specifico sostegno di tale domanda.

126    Nella fattispecie, nelle sue memorie Q non ha individuato un errore di diritto che vizia il dispositivo della sentenza impugnata, che sarebbe emerso dall’interpretazione errata del contenuto delle due suddette note amministrative, interpretazione che inficia i punti 64 e 86 della sentenza impugnata relativi all’esposizione sommaria dei «[f]atti all’origine della controversia», conformemente all’art. 81, decimo trattino, del regolamento di procedura.

127    Occorre quindi accogliere l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione e, pertanto, respingere l’ottavo motivo in quanto irricevibile.

 Sul primo motivo, relativo alla violazione dell’art. 12 bis, n. 3, dello Statuto, sul secondo motivo, concernente l’errore nella qualificazione giuridica dei fatti denunciati nella domanda di assistenza in rapporto all’art. 12 bis, n. 3, dello Statuto, sul terzo motivo, relativo a un’inesattezza materiale dei fatti, fonte di un errore di diritto nella definizione dell’oggetto della controversia, sul quarto motivo, che riguarda lo snaturamento di alcuni elementi di prova prodotti in primo grado, nonché sul sesto motivo, relativo alla violazione dell’obbligo di motivare le sentenze

128    Il primo, il secondo, il terzo, il quarto e il sesto motivo, unitamente alle osservazioni della Commissione e di Q sulla nozione di molestie psicologiche ai sensi dell’art. 12 bis, n. 3, dello Statuto, sono diretti contro la motivazione della sentenza impugnata, segnatamente i punti 189 e 236 di quest’ultima, con cui il Tribunale della funzione pubblica ha statuito, come indicato al punto 147 della sentenza anzidetta, «sulla censura di molestia psicologica sollevata da [Q]» dichiarando, al punto 189 della medesima sentenza, che Q «non [poteva] fondatamente sostenere di essere stata vittima di molestie psicologiche» né, pertanto, ottenere un risarcimento in virtù di esse. Ciò non incide sul fatto che, ai punti 236 e 238‑242 della sentenza impugnata, il Tribunale della funzione pubblica ha ritenuto che determinati fatti invocati da Q a sostegno della propria domanda di assistenza, considerati nel loro insieme, rivelassero l’esistenza di un’irregolarità amministrativa della Commissione, costituita da una violazione del dovere di sollecitudine, e ha indennizzato Q per il danno morale derivante da detta irregolarità – in quanto ciò aveva contribuito a isolare Q all’interno della sua unità di appartenenza – ma non per il danno materiale corrispondente alla malattia professionale che sarebbe derivata da tale irregolarità, giacché tale risarcimento sarebbe stato prematuro, allorché la procedura di riconoscimento dell’origine professionale delle patologie di cui avrebbe sofferto l’interessata era ancora in corso e non era possibile stabilire se l’intero danno materiale subito da Q non avrebbe potuto essere riparato in base al regime statutario di copertura dei rischi di malattie professionali.

129    In proposito, occorre rammentare che ai sensi dell’art. 113 del regolamento di procedura, il Tribunale può, in qualsiasi momento, esaminare d’ufficio le eccezioni di irricevibilità di ordine pubblico.

130     Poiché le condizioni di ricevibilità di un ricorso ai sensi degli artt. 90 e 91 dello Statuto sono di ordine pubblico, spetta al giudice dell’Unione, in caso di necessità, esaminarle d’ufficio (v. sentenza del Tribunale 8 giugno 2009, causa T‑498/07 P, Krcova/Corte di giustizia, punto 52 e giurisprudenza ivi citata), salvo prima aver invitato le parti a presentare le proprie osservazioni (v., in tal senso, sentenza riesame M/EMEA, cit. supra al punto 57, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).

131    L’esistenza di un atto lesivo ai sensi degli artt. 90, n. 2, e 91, n. 1, dello Statuto costituisce un presupposto indispensabile per la ricevibilità di qualsiasi ricorso dei funzionari avverso l’istituzione cui appartengono (v. sentenza del Tribunale 13 luglio 1993, causa T‑20/92, Moat/Commissione, Racc. pag. II‑799, punto 39 e giurisprudenza ivi citata, e ordinanza del Tribunale 25 marzo 2003, causa T‑243/02, J/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑99 e II‑523, punto 30).

132    Al fine di statuire sull’esistenza delle molestie psicologiche denunciate nella domanda di assistenza, ai punti 118 e 119 della sentenza impugnata il Tribunale della funzione pubblica ha implicitamente, ma necessariamente, postulato di essere stato chiamato a pronunciarsi su un atto lesivo corrispondente a una decisione dell’APN vertente, fosse anche in maniera implicita, sul rigetto della domanda di assistenza, nella parte in cui quest’ultima avrebbe rifiutato di accertare l’esistenza delle asserite molestie psicologiche.

133    Orbene, il postulato su cui il Tribunale della funzione pubblica si è necessariamente fondato per statuire sull’esistenza delle asserite molestie psicologiche è errato, come risulta dalle sue constatazioni nel prosieguo della sentenza impugnata.

134    Invero, al punto 117 della sentenza impugnata, il Tribunale della funzione pubblica ha innanzi tutto constatato che il ricorso in primo grado doveva essere considerato come volto «all’annullamento della decisione implicita di rigetto della domanda di assistenza», all’«annullamento dei REC 2003» e alla «condanna della Commissione a risarcire a [Q] i danni».

135    Dal punto 196 della sentenza impugnata emerge in particolare che, in quest’ultima, il Tribunale della funzione pubblica si è limitato a considerare la decisione implicita di rigetto della domanda di assistenza come atto lesivo nei confronti di Q in quanto rifiutava «[di] compiere determinati atti, almeno a titolo conservativo [per la durata necessaria all’indagine amministrativa]». Così facendo, detto giudice non ha fondato l’esistenza dell’atto lesivo recante diniego di constatare l’esistenza delle molestie psicologiche denunciate nella domanda di assistenza, di cui ha implicitamente ma necessariamente postulato l’esistenza ai punti 118 e 119 della sentenza impugnata, allo scopo di pronunciarsi sulla «censura di molestie psicologiche sollevata da [Q]».

136    In ogni caso, nella fattispecie occorre tener conto del fatto che, nella domanda di assistenza, Q ha essa stessa domandato l’avvio di un’indagine amministrativa per dimostrare la realtà delle molestie psicologiche denunciate nella domanda di assistenza anzidetta, pur invitando la Commissione ad affidarla a un «organo neutrale», diverso dall’IDOC, ossia un organismo di norma autorizzato a condurre tale tipo di indagine. Dai punti 198, 199 e 251 della sentenza impugnata emerge che, anteriormente alla proposta del ricorso in data 4 luglio 2005, l’amministrazione accoglieva tale domanda in quanto, l’8 settembre 2004, veniva avviata un’indagine amministrativa, effettuata tra l’ottobre 2004 e il 21 marzo 2005, conformemente alle norme che disciplinano le indagini amministrative di cui all’allegato IX dello Statuto, esse stesse adottate ai sensi dell’art. 86, n. 3, dello Statuto.

137    Quando si tratta di una procedura d’indagine condotta ai sensi dell’art. 86, n. 3, dello Statuto, per poter statuire sulla domanda di assistenza del funzionario, ai sensi dell’art. 24 dello Statuto, il termine è costituito dalla decisione finale dell’APN, presa in base alla relazione d’indagine, come osservato dal Tribunale della funzione pubblica al punto 196 della sentenza impugnata e come emerge altresì dall’art. 3, dell’allegato IX dello Statuto (v., in tal senso, sentenze della Corte Guillot/Commissione, cit. supra al punto 84, punti 21, 22 e 36, e 1° giugno 1983, cause riunite 36/81, 37/81 e 218/81, Seton/Commissione, Racc. pag. 1789, punti 29‑31). La posizione giuridica del funzionario risulta lesa al momento dell’adozione di tale decisione (v. anche, in tal senso e per analogia, riguardo a una procedura condotta ai sensi dell’art. 73 dello Statuto, sentenza L/Commissione, cit. supra al punto 66, punto 123).

138    Poiché essa si riferisce alle conclusioni della relazione d’indagine amministrativa, formulata dopo la decisione implicita e nel cui ambito le dichiarazioni del funzionario interessato che riguardano l’esistenza di molestie psicologiche sono state esaminate nel dettaglio sulla base dei documenti e delle testimonianze prodotte o raccolte nel corso dell’indagine, la decisione definitiva dell’APN dev’essere considerata non come una decisione di mera conferma della decisione implicita, bensì come una decisione sostitutiva di quest’ultima, al termine del riesame della situazione da parte dell’amministrazione (v., in tal senso, sentenza Lo Giudice/Commissione, cit. supra al punto 86, punti 47 e 48).

139    Nella fattispecie, dal punto 86 della sentenza impugnata risulta che «[c]on lettera 16 settembre 2005 [a Q], l’APN respingeva espressamente la domanda di assistenza presentata da quest’ultima ritenendo che, sulla base delle conclusioni dell’indagine amministrativa, le accuse di molestie psicologiche non fossero fondate o non fossero state dimostrate». Conformemente alla giurisprudenza citata al punto 138, supra, la decisione esplicita dell’APN che respinge in maniera definitiva la domanda di assistenza, il cui contenuto è stato notificato a Q con lettera 16 settembre 2005, nel corso della procedura di primo grado ha sostituito la decisione implicita di rigetto della domanda di assistenza al termine di un riesame della situazione compiuto dall’APN sulla base delle conclusioni dell’indagine amministrativa, conformemente all’art. 3 dell’allegato IX dello Statuto.

140    Orbene, dai punti 117, 196 e 197 della sentenza impugnata non risulta che il Tribunale della funzione pubblica sarebbe stato adito, in primo grado, della decisione esplicita dell’APN che respinge in maniera definitiva la domanda di assistenza. Dalla sentenza impugnata non risulta, peraltro, che il Tribunale della funzione pubblica abbia verificato la legittimità di tale ultima decisione o anche soltanto quella dei motivi su cui si fonda.

141    Interrogata al riguardo in udienza, Q confermava che l’oggetto della controversia di cui essa aveva adito il Tribunale della funzione pubblica era, in particolare, la verifica della legittimità della decisione implicita di rigetto della domanda di assistenza e non della decisione esplicita di rigetto dell’APN della domanda di assistenza, il cui contenuto le era stato notificato con lettera 16 settembre 2005. Q non ha indicato di aver formulato, nel corso della procedura di primo grado, alcuna domanda diretta a poter adattare le proprie richieste e i propri motivi a seguito della sostituzione di tale prima decisione con la seconda (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 26 ottobre 2004, causa T‑55/03, Brendel/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑311 e II‑1437, punto 50, e giurisprudenza ivi citata, e ordinanza del Tribunale 6 luglio 2001, causa T‑161/00, Tsarnavas/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑155 e II‑721, punto 27, e giurisprudenza ivi citata). Da parte sua, la Commissione ha sostenuto che soltanto la decisione esplicita di rigetto dell’APN della domanda di assistenza costituiva l’atto recante pregiudizio a Q, nella parte in cui non constatava le molestie psicologiche denunciate nella domanda di assistenza sulla base delle conclusioni dell’indagine amministrativa. L’istituzione ha altresì fatto valere che, nella sentenza impugnata, il Tribunale della funzione pubblica aveva adottato una decisione autonoma rispetto alla decisione dell’APN in merito all’esistenza delle molestie psicologiche denunciate.

142    Da quanto precede risulta che, poiché non è stato chiamato a pronunciarsi su una controversia il cui oggetto era la valutazione della legittimità della decisione esplicita di rigetto dell’APN della domanda di assistenza, il cui contenuto era stato notificato a Q con lettera 16 settembre 2005, il Tribunale della funzione pubblica ha violato gli artt. 90 e 91 dello Statuto e ha oltrepassato i limiti del sindacato giurisdizionale sostituendosi, in pratica, all’amministrazione, avendo esso statuito, ai punti 147 e 189 della sentenza impugnata, sulla «censura di molestia psicologica sollevata da [Q]» (v., in tal senso, sentenza della Corte 3 aprile 2003, causa C‑277/01 P, Parlamento/Samper, Racc. pag. I‑3019, punti 44 e 50) e dichiarato, al punto 189 della medesima sentenza, che Q non poteva fondatamente sostenere di essere stata vittima di molestie psicologiche ai sensi dell’art. 12 bis, n. 3, dello Statuto (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 16 maggio 2006, causa T‑73/05, Magone/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑2‑107 e II‑A‑2‑485, punti 14‑16, e Lo Giudice/Commissione, cit. supra al punto 86, punti 54‑56).

143    Pertanto, senza bisogno di statuire sul primo, secondo, terzo, quarto e sesto motivo, occorre annullare la sentenza impugnata nella parte in cui essa statuisce sulla «censura di molestia psicologica sollevata da [Q]» e in quella in cui dichiara che quest’ultima non poteva fondatamente sostenere di essere stata vittima di molestie psicologiche ai sensi dell’art. 12 bis, n. 3, dello Statuto.

 Sul settimo motivo, relativo alla violazione del divieto di statuire ultra petita e, conseguentemente, alla violazione dei limiti imposti alla competenza del Tribunale della funzione pubblica

 Argomenti delle parti

144    Q contesta al Tribunale della funzione pubblica di aver statuito ultra petita e, conseguentemente, di aver violato i limiti imposti alla sua competenza avendo respinto, al punto 241 della sentenza impugnata, la propria domanda di risarcimento del pregiudizio di ordine materiale corrispondente alla perdita di retribuzione derivante dall’essere stata collocata a riposo d’ufficio a causa di invalidità conseguente alle molestie psicologiche denunciate nella domanda di assistenza. Infatti, il Tribunale della funzione pubblica avrebbe fondato il suddetto rigetto sulla nota con cui, in data 17 ottobre 2005, la ricorrente aveva proposto una domanda diretta al riconoscimento, quale malattia professionale – ai sensi dell’art. 73 dello Statuto – della sindrome «ansioso-depressiva» di cui riteneva di essere colpita, mentre tale nota non era stata chiaramente sottoposta alla valutazione del Tribunale della funzione pubblica dalle parti in causa, né aveva formato l’oggetto di un dibattito in contraddittorio.

145    La Commissione chiede il rigetto del settimo motivo in quanto manifestamente infondato.

 Giudizio del Tribunale

146    Nel caso di specie, Q non sostiene che il Tribunale della funzione pubblica abbia snaturato gli atti del giudizio di primo grado, al punto 241 della sentenza impugnata.

147    Q sostiene unicamente che, anche se dalla suddetta documentazione emergeva che essa non aveva chiesto l’avvio di una procedura di riconoscimento dell’origine professionale della sua malattia, il Tribunale della funzione pubblica non poteva tener conto di tale elemento di fatto per respingere la sua domanda di risarcimento in quanto irricevibile, nella misura in cui questa mirava alla riparazione di un pregiudizio di ordine materiale corrispondente alla perdita di retribuzione risultante dalla sua collocazione a riposo d’ufficio – a causa di invalidità – poiché siffatto elemento di fatto e le relative conseguenze in termini di ricevibilità della domanda di risarcimento non sarebbero state espressamente invocate dalle parti e discusse dinanzi a detto giudice.

148    Dai punti 232 e 233 della sentenza impugnata emerge che la questione del carattere prematuro e, in quanto tale, irricevibile del capo della domanda di risarcimento controverso non è stata invocata dalla Commissione, né discussa tra le parti in primo grado.

149    Tuttavia, occorre rammentare che, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 130 supra, poiché le condizioni di ricevibilità di un ricorso ai sensi degli artt. 90 e 91 dello Statuto sono di ordine pubblico, spetta al giudice dell’Unione, in caso di necessità, esaminarle d’ufficio.

150    Inoltre, non è possibile contestare a detto giudice di formulare constatazioni di fatto nell’ambito dell’esame d’ufficio delle condizioni di ricevibilità di una domanda di risarcimento che gli è stata presentata nel contesto di siffatto ricorso, giacché esse emergono dagli atti presentati dalle parti al fine di poter statuire sul petitum.

151    Pertanto, Q non può fondatamente contestare al Tribunale della funzione pubblica di aver statuito ultra petita e oltrepassato i limiti della sua competenza, avendo rilevato d’ufficio, al punto 241 della sentenza impugnata, l’irricevibilità del capo della domanda di risarcimento controverso, una volta formulate constatazioni di fatto sulla base degli atti processuali.

152    Per questi motivi, occorre respingere il settimo motivo in quanto infondato.

 Sul nono motivo, relativo a un errore di diritto riguardante l’esistenza di un interesse ad agire per l’annullamento dei REC 2003

 Argomenti delle parti

153    Q ritiene che il rigetto del Tribunale della funzione pubblica al punto 227 della sentenza impugnata della sua richiesta di annullamento dei REC 2003 sia viziata da un errore di diritto poiché ignora una recente giurisprudenza della Corte, secondo cui un funzionario colpito da invalidità permanente totale conserva tuttavia un interesse a contestare i propri rapporti di evoluzione della carriera. Pertanto, occorrerebbe distinguere, come fa la Corte, la situazione del funzionario collocato d’ufficio a riposo in forza degli artt. 53 e 78 dello Statuto, da quella di un funzionario che ha raggiunto l’età della pensione, che si è dimesso o che è stato licenziato. Inoltre, l’art. 53 dello Statuto andrebbe letto in combinato disposto con gli artt. 13 e 15 dell’allegato VII dello Statuto, che stabiliscono che l’attività del funzionario dichiarato invalido è soltanto sospesa e che tale invalidità può essere periodicamente accertata fino a che non abbia compiuto 63 anni. Inoltre, Q ritiene di conservare un interesse certo e concreto a ottenere l’annullamento dei REC 2003, a motivo delle valutazioni negative espresse nei suoi riguardi in essi contenute.

154    Nella sua memoria complementare, Q si basa su un documento di cui afferma avere ignorato l’esistenza alla data della proposta della sua impugnazione incidentale, ossia un documento firmato il 26 luglio 2005 dal medico di fiducia della Commissione, il dott. D, in qualità di membro della commissione d’invalidità, in cui affermava di non concordare con il suo stato di invalidità e con la decisione adottata a maggioranza degli altri membri della commissione, i dott. R e S. A causa del parere contrario del medico di fiducia, le conclusioni della commissione d’invalidità, nonché la decisione sullo stato d’invalidità sarebbero viziate da irregolarità, la cui gravità sarebbe evidente e la legittimerebbe a chiedere che tali atti siano dichiarati inesistenti. Il parere contrario dimostrerebbe il possibile ristabilimento della sua salute nonché, conseguentemente, il fatto di non escludere la reintegrazione presso la Commissione. Essa potrebbe altresì chiedere di essere reintegrata se ritenesse di non rispettare più le condizioni previste per beneficiare dell’indennità di invalidità. Pertanto, il Tribunale della funzione pubblica avrebbe commesso un errore di diritto deducendo che Q non avesse più interesse ad agire contro i REC 2003 e che non occorresse pronunciarsi sulla sua domanda di annullamento di questi ultimi.

155    La Commissione chiede il rigetto del nono motivo in quanto infondato.

 Giudizio del Tribunale

156    Secondo una giurisprudenza costante, nell’ambito di un ricorso proposto ai sensi degli artt. 90 e 91 dello Statuto, affinché una persona cui si applica detto Statuto possa chiedere l’annullamento di un atto che arreca ad essa pregiudizio ai sensi dell’art. 90, n. 2, dello Statuto medesimo, quest’ultima, al momento della proposizione del ricorso, deve possedere un interesse effettivo e concreto, sufficientemente dimostrato all’annullamento di tale atto, in quanto tale interesse suppone che la domanda, in virtù del risultato prodotto, possa procurarle un vantaggio (v., in tal senso sentenza del Tribunale 29 novembre 2006, cause riunite T‑35/05, causa T‑61/05, causa T‑107/05, causa T‑108/05 e T‑139/05, Agne-Dapper e a./Commissione e a., Racc. PI pagg. I‑A‑2‑291 e II‑A‑2‑1497, punto 35, e giurisprudenza ivi citata). Quale condizione di ricevibilità, l’interesse del ricorrente ad agire dev’essere valutato al momento della proposta del ricorso (v., in tal senso, ordinanza del Tribunale 28 giugno 2005, causa T‑147/04, Ross/Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑171 e II‑771, punto 25 e giurisprudenza ivi citata). Tuttavia, come emerge da una giurisprudenza costante, affinché una persona cui si applica lo Statuto possa proporre un ricorso mirante all’annullamento di una decisione dell’APN, essa deve conservare un interesse personale all’annullamento di quest’ultima (v. sentenza del Tribunale 24 aprile 2001, causa T‑159/98, Torre e a./Commissione, Racc. PI pagg. I‑A‑83 e II‑395, punto 30 e giurisprudenza ivi citata). In proposito, in mancanza di un interesse ad agire concreto, non occorre più statuire sul ricorso (v. sentenza Torre e a./Commissione, cit., punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

157    Per quanto riguarda l’interesse di un funzionario o di un ex funzionario a chiedere l’annullamento di un rapporto di evoluzione della carriera che lo riguarda, occorre rilevare, in primo luogo, che il detto rapporto costituisce un giudizio di valore effettuato dai suoi superiori gerarchici sul modo in cui il funzionario scrutinato ha assolto i compiti che gli sono stati attribuiti e sul suo comportamento nel servizio durante il periodo considerato e che, indipendentemente dalla sua utilità futura, costituisce una prova scritta e formale quanto alla qualità del lavoro svolto dal funzionario. Siffatta valutazione non è meramente descrittiva delle mansioni effettuate nel periodo considerato, ma comporta anche una valutazione delle qualità umane mostrate dalla persona scrutinata nell’esercizio della sua attività professionale. Pertanto, ciascun funzionario dispone di un diritto a che il suo lavoro sia sancito da una valutazione stabilita in modo giusto ed equo. Di conseguenza, conformemente al diritto ad un’effettiva tutela giurisdizionale, al funzionario deve essere riconosciuto in ogni caso il diritto di contestare un rapporto di evoluzione della carriera che lo riguarda a causa del suo contenuto o in quanto non è stato redatto secondo le norme prescritte dallo Statuto (sentenza della Corte 22 dicembre 2008, causa C‑198/07 P, Gordon/Commissione, Racc. pag. I‑10701, punti 43‑45).

158    In secondo luogo, anche se un funzionario per il quale la commissione d’invalidità ha dichiarato che si trova in incapacità permanente totale è collocato d’ufficio a riposo in forza degli artt. 53 e 78 dello Statuto, la situazione di tale funzionario si distingue da quella di un funzionario che ha raggiunto l’età della pensione, che si è dimesso o che è stato licenziato, poiché si tratta di una situazione reversibile (sentenza Gordon/Commissione, cit. supra al punto 157, punto 46). Infatti, il funzionario colpito da siffatta invalidità può riprendere un giorno le sue funzioni nell’ambito di un’istituzione dell’Unione. A questo riguardo, la disposizione generale dell’art. 53 dello Statuto dev’essere letta in combinato disposto con le specifiche disposizioni degli artt. 13-15 dell’allegato VIII dello Statuto. L’attività del funzionario dichiarato in stato d’invalidità è soltanto sospesa, essendo l’evoluzione della sua situazione in seno alle istituzioni subordinata alla persistenza delle condizioni che hanno giustificato tale invalidità, che può essere periodicamente accertata (sentenza Gordon/Commissione, cit. supra al punto 157, punto 47). Inoltre poiché un funzionario dichiarato colpito da invalidità permanente considerata totale può essere reintegrato in un impiego presso un’istituzione, ai sensi della giurisprudenza citata al punto 156, supra, dispone dell’interesse di ottenere che il suo rapporto di evoluzione della carriera sia redatto equamente, oggettivamente e conformemente ai criteri di una valutazione regolare. Nel caso di una reintegrazione, detto rapporto sarebbe utile per l’evoluzione del funzionario in seno al suo servizio o alle istituzioni dell’Unione (sentenza Gordon/Commissione, cit. supra al punto 157, punti 46‑51).

159    La situazione potrebbe mutare soltanto in casi particolari, in cui l’esame della situazione concreta del funzionario dichiarato colpito da invalidità dimostri che egli non è più in grado di riprendere un giorno le sue funzioni nell’ambito di un’istituzione, tenuto conto, per esempio, delle conclusioni della commissione d’invalidità incaricata dell’esame della sua situazione di invalidità da cui emerge che la patologia che ha comportato l’invalidità è cronica e che non sarà dunque necessaria alcuna visita medica di revisione (v., in tal senso, ordinanza Ross/Commissione, cit. supra al punto 156, punti 9 e 32) oppure considerate le dichiarazioni del funzionario interessato, da cui emerge che, in ogni caso, egli non riprenderà più le sue funzioni nell’ambito di un’istituzione (v., in tal senso, sentenza Combescot/Commissione, cit. supra al punto 42, punti 27 e 29).

160    Nel caso di specie, al punto 117 della sentenza impugnata, il Tribunale della funzione pubblica ha ritenuto, senza essere contestato da Q nell’ambito della sua impugnazione incidentale, che l’oggetto del ricorso da quest’ultima proposto ai sensi degli artt. 90 e 91 dello Statuto fosse, in particolare, una domanda di annullamento dei REC 2003. Ai punti 218‑224 della sentenza impugnata, il suddetto giudice ha esposto i motivi per cui ha stabilito che la domanda di annullamento dei REC 2003 fosse ricevibile alla data di presentazione del ricorso in primo grado. Tuttavia, ai punti 225‑230 della sentenza impugnata, il Tribunale anzidetto ha ritenuto che non occorresse più pronunciarsi sulla suddetta domanda, poiché Q aveva perso il suo interesse a chiedere l’annullamento dei REC 2003. Per negare, nella fattispecie, ogni interesse ad agire a Q, il Tribunale della funzione pubblica osservava che essa «[era] stata collocata a riposo e ammessa a fruire di un’indennità di invalidità con decisione dell’APN 23 agosto 2005, con effetto a decorrere dal 31 agosto 2005», che, «[i]noltre, la commissione d’invalidità [aveva] stabilito che “stante la cronicità della patologia che ha comportato l’invalidità, non [era] necessaria alcuna visita medica di revisione”», che «la modifica dei REC 2003 non avrebbe dunque potuto comportare alcuna conseguenza per la carriera di [Q]» e che, «[p]eraltro, [Q] non dichiara[va], né tanto meno invoca[va], l’esistenza di una circostanza particolare che dimostrasse la conservazione di un interesse personale ed effettivo a chiedere l’annullamento [dei REC 2003]».

161    Nella valutazione dell’interesse ad agire di Q, il Tribunale della funzione pubblica ha giustamente potuto fondarsi su conclusioni della commissione d’invalidità da cui emergeva, secondo le proprie constatazioni, che l’insieme delle condizioni richieste per giustificare il collocamento d’ufficio a riposo di Q a causa di invalidità permanente totale, conformemente all’art. 13 dell’allegato VIII dello Statuto, poteva essere considerato acquisito in via definitiva, in quanto, da un lato, soltanto la detta commissione, in virtù degli artt. 53 e 78 dello Statuto, era competente a pronunciarsi sulla situazione di invalidità di Q e, dall’altro, le conclusioni di detta commissione non erano illegittime per il semplice fatto che, come risultava dal documento prodotto dalla Commissione, queste erano state adottate unicamente a maggioranza dei membri della commissione e soltanto uno di essi aveva espresso un’opinione contraria. Infatti, le decisioni della commissione di invalidità sono di tipo collegiale, adottate a maggioranza dei suoi membri.

162    Tuttavia, il Tribunale della funzione pubblica non ha tenuto conto, pur essendovi giuridicamente tenuto, dell’interesse che Q avrebbe potuto, in ogni caso, mantenere riguardo alla contestazione dei REC 2003 a motivo del loro contenuto e, in particolare, come osservato al punto 273 della sentenza impugnata, del fatto che questi «conten[essero] valutazioni espressamente negative delle capacità di [Q]», conformemente all’interpretazione della nozione dell’interesse di un funzionario o ex funzionario a chiedere l’annullamento del suo rapporto di evoluzione della carriera considerata dalla Corte nella sentenza Gordon/Commissione, punto 157 supra (punti 43‑45).

163    È ben vero che la sentenza Gordon/Commissione, cit. supra al punto 157, segue di alcuni giorni la sentenza impugnata. Tuttavia, ciò non giustifica che il Tribunale controlli la fondatezza della sentenza impugnata, alla luce della nozione di interesse a chiedere l’annullamento di un rapporto di evoluzione della carriera, senza tener conto dell’interpretazione di questa nozione che la Corte ha fornito nella sentenza Gordon/Commissione, cit. supra al punto 157.

164    Infatti, l’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione data dalla Corte chiarisce e precisa, quando ve ne sia bisogno, il significato e la portata della norma, quale deve, o avrebbe dovuto, essere intesa ed applicata dal momento della sua entrata in vigore. Ne risulta che la norma così interpretata può e deve essere applicata anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza della Corte, se, per il resto, sono soddisfatte le condizioni che consentono di portare alla cognizione dei giudici competenti una controversia relativa all’applicazione di detta norma (v., in tal senso e per analogia, riguardo agli effetti nel tempo delle interpretazioni fornite dalla Corte della competenza ad essa attribuita dall’art. 234 CE, sentenze della Corte 27 marzo 1980, causa 61/79, Denkavit italiana, Racc. pag. 1205, punto 16, e 11 agosto 1995, cause riunite da C‑367/93 a C‑377/93, Roders e a., Racc. pag. I‑2229, punto 42). Alla luce di tali principi, la limitazione degli effetti dell’interpretazione fornita dalla Corte è eccezionale (sentenze Denkavit italiana, cit., punto 17, e Roders e a., cit., punto 43).

165    Nella fattispecie, dalla sentenza Gordon/Commissione, cit. supra al punto 157, emergono unicamente circostanze che giustificano una deroga al principio della retroattività dell’interpretazione data dalla Corte, in questa sentenza, della nozione di interesse a chiedere l’annullamento di un rapporto di evoluzione della carriera.

166    Conseguentemente, si deve accogliere il nono motivo e, pertanto, annullare la sentenza impugnata nella parte in cui pronuncia il non luogo a procedere sulle conclusioni dirette all’annullamento dei REC 2003.

167    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve accogliere parzialmente l’impugnazione incidentale e respingere quest’ultima per il resto.

 Sul rinvio del procedimento dinanzi al Tribunale della funzione pubblica

168    In conformità all’art. 13, n. 1, dell’allegato I dello Statuto della Corte, qualora l’impugnazione sia fondata, il Tribunale annulla la decisione del Tribunale della funzione pubblica e statuisce esso stesso sul ricorso. Tuttavia, esso rinvia la causa dinanzi al Tribunale della funzione pubblica affinché statuisca qualora la controversia non sia matura per la decisione.

169    Nella fattispecie, poiché, come emerge dal punto 230 della sentenza impugnata, il Tribunale della funzione pubblica non ha statuito sulle conclusioni dirette all’annullamento dei REC 2003, la presente controversia non è matura per la decisione in proposito e occorre rinviarla al Tribunale della funzione pubblica affinché si pronunci sulle suddette conclusioni.

170    Inoltre, come emerge dal punto 2 del dispositivo della sentenza impugnata, letto alla luce dei punti 250‑254 della medesima sentenza, poiché il Tribunale della funzione pubblica non ha statuito sulla somma dovuta a Q dalla Commissione per il solo danno morale derivante dal rifiuto di quest’ultima di adottare una misura provvisoria di allontanamento, la presente causa non è matura per la decisione in proposito e occorre rinviarla al Tribunale della funzione pubblica affinché si pronunci sulle suddette conclusioni.

 Sulle spese

171    Poiché la causa è stata rinviata dinanzi al Tribunale della funzione pubblica, occorre riservare le spese relative alla presente impugnazione.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Sezione delle impugnazioni)

dichiara e statuisce:

1)      La sentenza del Tribunale della funzione pubblica dell’Unione europea (prima Sezione) 9 dicembre 2008, causa F‑52/05, Q/Commissione (non ancora pubblicata nella Raccolta), è annullata nella parte in cui, al punto 2 del dispositivo, condanna la Commissione delle Comunità europee a versare a Q un risarcimento pari a EUR 500 oltre alla somma di EUR 15 000, nella misura in cui quest’ultima mira alla riparazione del danno morale subito da Q a motivo di un asserito ritardo nell’avvio dell’indagine amministrativa, e in cui, allo scopo di respingere il ricorso in primo grado per il resto, al punto 3 del dispositivo, ai punti 147‑189 dei motivi, detto giudice statuisce sulla «censura di molestia psicologica sollevata da [Q]» e, al punto 230 dei motivi, pronuncia il non luogo a statuire sulle conclusioni dirette all’annullamento dei rapporti di evoluzione della carriera stabiliti rispettivamente per i periodi 1° gennaio‑31 ottobre e 1° novembre‑31 dicembre 2003.

2)      L’impugnazione principale e quella incidentale sono respinte per il resto.

3)      La causa è rinviata dinanzi al Tribunale della funzione pubblica affinché statuisca sulle conclusioni dirette all’annullamento dei suddetti rapporti di evoluzione della carriera nonché sulla somma dovuta a Q dalla Commissione per il solo danno morale derivante dal rifiuto di quest’ultima di adottare una misura provvisoria di allontanamento.

4)      Le spese sono riservate.

Jaeger

Pelikánová

Dittrich

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 12 luglio 2011.

Firme


* Lingua processuale: il francese.

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