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Document 52022AE0256

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Migliori condizioni di lavoro per un'Europa sociale più forte: sfruttare appieno i vantaggi della digitalizzazione per il futuro del lavoro [COM(2021) 761 final] e sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali [COM(2021) 762 final]

EESC 2022/00256

GU C 290 del 29.7.2022, p. 95–108 (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, GA, HR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

29.7.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 290/95


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Migliori condizioni di lavoro per un'Europa sociale più forte: sfruttare appieno i vantaggi della digitalizzazione per il futuro del lavoro

[COM(2021) 761 final]

e sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali

[COM(2021) 762 final]

(2022/C 290/16)

Relatrice:

Cinzia DEL RIO

Consultazione

Parlamento europeo, 17.1.2022

Consiglio dell'Unione europea, 4.5.2022

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali e cittadinanza

Adozione in sezione

7.3.2022

Adozione in sessione plenaria

23.3.2022

Sessione plenaria n.

568

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

149/80/18

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La pandemia ha portato alla luce tutta una serie di cambiamenti già in atto nel mondo del lavoro e ha accelerato l'espansione di tutti i tipi di lavoro tramite piattaforma digitale, rafforzando in tal modo la crescita e l'impatto dell'economia digitale.

1.2.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta di direttiva della Commissione europea relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali [COM(2021) 762], nel quadro dell'attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali. Tale intervento normativo dovrebbe puntare a stabilire definizioni chiare dei criteri per classificare i rapporti di lavoro e disciplinare l'utilizzo degli algoritmi, e dovrebbe fornire accesso ai diritti e alla protezione sociale e del lavoro.

1.3.

In diversi precedenti pareri, il cui contenuto è ancora attuale in relazione al presente parere, il CESE ha già messo in evidenza le opportunità e le sfide che accompagnano il lavoro mediante piattaforme, nonché la necessità di stabilire norme chiare ed eque per garantire una concorrenza leale nel mercato interno, un'attuazione efficace dei diritti dei lavoratori e migliori condizioni di lavoro. L'obiettivo generale è quello di far rispettare le regole del mercato interno e di rafforzarlo garantendo condizioni di parità per tutti gli attori.

1.4.

Il CESE ha sottolineato che l'economia delle piattaforme offre opportunità sia alle imprese che ai lavoratori. Le imprese possono raggiungere nuovi mercati, ridurre i costi e sfruttare le innovazioni nelle tecnologie digitali e l'accesso alla forza lavoro globale e locale per migliorare l'efficienza e aumentare la produttività. Ai lavoratori si aprono nuove opportunità di reddito e occupazione, che rivestono un'importanza sempre maggiore e addirittura cruciale per i gruppi vulnerabili come i giovani, i migranti e le donne. Queste opportunità devono essere sfruttate in modo socialmente sostenibile.

1.5.

Tra le preoccupazioni espresse riguardo alle condizioni di lavoro nell'economia delle piattaforme figurano un accesso più limitato alla protezione sociale e alla copertura previdenziale, una serie di rischi per la salute e la sicurezza, condizioni di lavoro precarie, orari di lavoro frammentati, livelli di reddito inadeguati e difficoltà nel garantire il riconoscimento dei diritti collettivi. Tali preoccupazioni devono essere affrontate, e occorre mettere a punto soluzioni equilibrate ai livelli appropriati — europeo, nazionale e attraverso la contrattazione collettiva con le piattaforme. Il CESE reputa necessario garantire la parità di trattamento tra le imprese «tradizionali» e quelle che fanno uso di strumenti digitali, basati sulle funzioni della gestione algoritmica nei casi in cui essa viene utilizzata per gestire l'organizzazione del lavoro e i rapporti di lavoro: potere direttivo, di controllo e/o organizzativo.

1.6.

Le piattaforme di lavoro digitali hanno dimensioni diverse. Per le PMI che operano tramite piattaforme esistono altre sfide da prendere in considerazione, tra cui quelle relative ai costi associati alle infrastrutture e agli oneri amministrativi, come pure all'adattamento alla trasformazione digitale.

1.7.

Il CESE riconosce che la flessibilità dell'orario di lavoro può essere una caratteristica positiva del lavoro mediante piattaforme, apprezzata in particolare dalle persone che fanno affidamento su questo tipo di lavoro come fonte di reddito supplementare. Tuttavia, la flessibilità dovrebbe sempre essere basata sul rispetto delle norme fondamentali sociali e del lavoro garantite dal diritto dell'UE.

1.8.

Il CESE concorda sul fatto che la classificazione giuridica del rapporto di lavoro e la sua chiara distinzione da un vero e proprio lavoro autonomo sono fondamentali per assicurare la certezza del diritto sia per le imprese che per i lavoratori, oltre che per garantire i diritti e le tutele dei lavoratori. Tuttavia, questa materia viene trattata in modo diverso nei vari Stati membri. Le disposizioni legislative su settori specifici, le decisioni giudiziarie a seguito di vertenze di lavoro e i contratti collettivi in segmenti specifici del lavoro mediante piattaforma sono all'origine di una frammentazione della regolamentazione vigente all'interno dell'UE e di tutta una serie di disparità nel trattamento dei lavoratori delle piattaforme nei vari Stati membri. È necessario individuare chiaramente il datore di lavoro giuridicamente responsabile, sia in termini di imposizione e contributi sociali, sia nella prospettiva di istituire procedure di contrattazione collettiva.

1.9.

L'Europa non può adottare approcci normativi differenti per rispondere a sfide che sono della stessa natura. Il CESE sostiene l'obiettivo della proposta legislativa della Commissione europea di affrontare questa marcata discrepanza normativa tra gli Stati membri.

1.10.

Il CESE sottolinea che le nuove norme della direttiva devono basarsi sull'acquis sociale dell'UE e includere definizioni chiare, che non dovrebbero essere in contrasto con l'acquis giuridico, i contratti collettivi o la giurisprudenza dei tribunali dei singoli Stati membri. La direttiva dovrebbe costituire un quadro giuridico chiaro da adattare a livello nazionale alle legislazioni e prassi del singolo Stato, incoraggiando in particolare le procedure di contrattazione collettiva.

1.11.

Inoltre, il presente parere affronta in particolare i seguenti aspetti della proposta di direttiva:

Criteri di classificazione: il CESE sottolinea che i criteri di classificazione di cui all'articolo 4 della proposta non riflettono la dinamica e rapida evoluzione del mercato digitale e dovrebbero essere costantemente aggiornati, e di conseguenza risultano vaghi e ambigui. Sarebbe più opportuno affermare che la presunzione dell'esistenza di un rapporto di lavoro («presunzione legale») opera a favore dei singoli lavoratori che prestano il proprio lavoro e/o i propri servizi nell'ambito delle specifiche funzioni di potere direttivo, di controllo e/o organizzativo svolte attraverso la gestione algoritmica esercitata dalla piattaforma digitale in questione, e quindi stabilire i criteri in base a tali funzioni. Il CESE concorda sul fatto che le piattaforme debbano avere la possibilità di confutare la presunzione legale.

1.12.

Il CESE sottolinea che la dimensione specifica della gestione algoritmica, che esercita un'influenza considerevole sui lavoratori, potrebbe non applicarsi alla definizione della presunzione di un rapporto di lavoro che coinvolga lavoratori iscritti ad albi professionali o membri di associazioni professionali nazionali, laddove esistano.

1.13.

Norme sulla gestione algoritmica: il CESE concorda sul fatto che la gestione algoritmica ha un impatto significativo sulle condizioni di lavoro e dovrebbe essere trasparente e responsabile per lavoratori e imprese. La gestione algoritmica supervisiona, assegna compiti, fornisce istruzioni dirette che limitano il livello di autonomia e valuta i lavoratori, comprese le loro prestazioni e il loro comportamento, nonché le loro retribuzioni e condizioni di lavoro, e può persino portare al licenziamento. La direttiva dovrebbe stabilire esplicitamente che i diritti di cui al capo III si applicano a tutte le situazioni in cui la gestione algoritmica è utilizzata in un contesto di lavoro.

1.14.

Il CESE ritiene che tutti i lavoratori delle piattaforme dovrebbero avere il diritto garantito alla portabilità dei dati e allo scaricamento dei loro dati dalle piattaforme, compresi i dati relativi alle competenze. Inoltre, dovrebbero essere aggiunte ulteriori disposizioni che consentano di esercitare il diritto di riesame di una decisione automatizzata o semi-automatizzata. Le decisioni che potrebbero avere un impatto sostanziale sul rapporto di lavoro dovrebbero essere prese da esseri umani. Il CESE si rallegra che la proposta della Commissione europea vada in questa direzione.

1.15.

Il CESE sottolinea l'importanza di garantire un'applicazione efficace attraverso una più stretta cooperazione tra le autorità di protezione dei dati e gli ispettorati del lavoro, e insiste sulla necessità di chiarire la ripartizione delle responsabilità, anche nelle situazioni transfrontaliere.

1.16.

Diritti collettivi: il CESE sottolinea che l'articolo 14 della direttiva dovrebbe fare esplicito riferimento ai sindacati, che hanno il diritto di condurre la contrattazione collettiva. Inoltre, i diritti di informazione e consultazione e il diritto alla contrattazione collettiva dovrebbero essere estesi a tutti i lavoratori delle piattaforme digitali.

1.17.

La direttiva dovrebbe garantire procedure eque di risoluzione del rapporto di lavoro per i lavoratori delle piattaforme digitali e procedure di informazione e consultazione in caso di licenziamenti collettivi.

1.18.

In linea con gli obiettivi dell'agenda per le competenze per l'Europa, il CESE sottolinea l'importanza di una formazione e di informazioni adeguate per i lavoratori delle piattaforme, che potrebbero essere disponibili in varie lingue, su come utilizzare la piattaforma e lavorare al suo interno e su come migliorare le loro competenze digitali.

2.   Introduzione — Il contesto generale

2.1.

La pandemia di COVID-19 ha accelerato il ricorso al lavoro mediante piattaforme e ha reso più palesi alcuni cambiamenti nel mondo del lavoro che si stavano già profilando. Il CESE ha già sottolineato che l'economia delle piattaforme offre opportunità sia alle imprese che ai lavoratori. Le piattaforme di lavoro digitali che fungono da intermediarie del lavoro sono rapidamente penetrate in diversi settori economici. Le imprese possono raggiungere nuovi mercati, ridurre i costi e sfruttare le innovazioni nelle tecnologie digitali e l'accesso alla forza lavoro globale e locale per migliorare l'efficienza e aumentare la produttività. Ai lavoratori si aprono nuove opportunità di reddito e occupazione, che rivestono un'importanza sempre maggiore e addirittura cruciale per i gruppi vulnerabili come i giovani, i migranti e le donne.

2.2.

Tuttavia, vi sono anche delle sfide legate ai diritti dei lavoratori, alla fiscalità, alla distribuzione della ricchezza e alla sostenibilità, che devono essere affrontate a livello europeo (1). Il lavoro mediante piattaforme digitali diventa un elemento importante della nuova mappa produttiva delle attività economiche correlate allo sviluppo e alla transizione digitali. In diversi precedenti pareri, il cui contenuto è ancora attuale in relazione al presente parere, il CESE ha già sottolineato le opportunità e i rischi (2), e ha invocato un intervento normativo a livello europeo con chiare definizioni dei criteri di classificazione dei rapporti di lavoro, con cui disciplinare l'utilizzo degli algoritmi e fornire accesso ai diritti e alla protezione sociale e del lavoro.

2.3.

La debole posizione economica di un gran numero di lavoratori che operano su un'ampia varietà di piattaforme di lavoro digitali accresce i rischi per la salute e la sicurezza (3) e aggrava la precarietà del lavoro (4), un fenomeno difficile da delimitare entro specifici e ben precisi confini geografici nazionali. Inoltre, nella maggior parte degli ordinamenti giuridici dell'UE si osserva un indebolimento dei meccanismi di protezione generale e di protezione sociale per i lavoratori non standard e atipici.

2.4.

Il CESE riconosce che la flessibilità dell'orario di lavoro può essere una caratteristica positiva del lavoro mediante piattaforme, apprezzata in particolare dalle persone che fanno affidamento sul lavoro su piattaforma come fonte di reddito supplementare, soprattutto i giovani. Tuttavia, la flessibilità dovrebbe sempre essere basata sul rispetto delle norme fondamentali sociali e del lavoro garantite dal diritto dell'UE e può essere disciplinata dal diritto nazionale o da contratti collettivi sulla base del quadro giuridico pertinente dell'UE. Ciò è particolarmente necessario per i giovani che si trovano ad avere periodi di lavoro frammentati e livelli di reddito bassi e inadeguati, e che hanno bisogno di riscuotere i contributi sociali per le loro pensioni future (5).

2.5.

La natura estremamente diversificata dei rapporti di lavoro che si creano e si sviluppano sulle piattaforme di lavoro digitali all'interno di ciascuno Stato membro non favorisce l'adozione di una soluzione nazionale uniforme per quanto riguarda il riconoscimento della necessaria protezione sociale, delle necessarie misure in materia di salute e sicurezza sul lavoro, di livelli di reddito adeguati, di orari di lavoro adeguati e di condizioni di lavoro dignitose. Queste diverse forme di rapporti di lavoro — e di scarsa protezione individuale e collettiva a livello nazionale — si moltiplicano a livello dell'UE, creando così le condizioni per il dumping sociale e la concorrenza sleale che minacciano l'efficacia stessa delle norme europee e nazionali in materia di protezione del lavoro.

2.6.

Le piattaforme di lavoro digitali possono essere suddivise in due grandi categorie: piattaforme online basate sul web e piattaforme basate sull'ubicazione. Questi tipi di piattaforme hanno dimensioni diverse. Per le PMI che operano tramite piattaforme esistono altre sfide da prendere in considerazione, tra cui quelle relative ai costi associati alle infrastrutture e agli oneri amministrativi, come pure all'adattamento alla trasformazione digitale.

2.7.

Il numero di persone che lavorano per datori di lavoro che ricorrono a piattaforme digitali è in costante crescita, non solo nell'Unione europea, ma in tutto il mondo (6). Come hanno dimostrato l'OIL e Eurofound, le sfide per le imprese tradizionali comprendono la concorrenza sleale delle piattaforme, alcune delle quali non sono soggette alla tassazione ordinaria e ad altre normative relative alla loro forza lavoro. Inoltre, una consistente giurisprudenza ha dimostrato che alcuni modelli imprenditoriali delle piattaforme costruiscono il loro vantaggio competitivo cercando di aggirare le normative applicabili, che si tratti di legislazioni sociali, ambientali o economiche (7). Tale strategia non favorisce la sostenibilità economica nel lungo termine e va a scapito di una concorrenza leale tra le aziende che lavorano mediante piattaforme, in particolare tra le grandi imprese, da un lato, e le microimprese o le piccole imprese, dall'altro.

2.8.

Con la transizione digitale, fortemente sostenuta dall'UE, in futuro un numero sempre maggiore di settori e professioni risentirà del modello delle «piattaforme online». Il CESE ha sottolineato a più riprese (8) che occorre attuare e rafforzare una valida regolamentazione del mercato interno, garantendo condizioni di parità per tutti gli attori interessati, e che la digitalizzazione deve andare a vantaggio dei lavoratori e delle imprese. È fondamentale elaborare un quadro normativo che garantisca un ambiente e condizioni di lavoro sane, sicure ed eque attraverso un sistema di diritti, responsabilità e doveri chiaramente definiti.

2.9.

Tutti i lavoratori hanno diritto a condizioni di lavoro eque e dignitose: questo è un principio fondamentale del diritto internazionale del lavoro e del diritto dell'Unione. Conformemente all'articolo 4 della direttiva 2019/1152, il lavoratore ha il diritto di essere informato dal datore di lavoro in merito agli elementi essenziali del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro. I lavoratori impiegati da una piattaforma devono essere soggetti alle stesse disposizioni di diritto del lavoro in vigore nel paese in cui viene prestato il servizio.

2.10.

La questione centrale risiede dunque in una precisa definizione di «lavoratore dipendente» e nella sua chiara distinzione dal vero e proprio «lavoratore autonomo». L'efficacia e l'efficienza dell'intero quadro normativo del progetto di direttiva dipendono dalla chiarezza di tali definizioni. Gli studi citati (9) mostrano che, in molti casi, i lavoratori sono invitati a registrarsi come lavoratori autonomi, e la sfida consiste nell'evitare il lavoro autonomo fittizio. I lavoratori dovrebbero ottenere le informazioni necessarie per poter scegliere se essere realmente lavoratori autonomi o meno. Lo studio della Commissione europea citato nel documento di lavoro dei servizi della Commissione «Relazione sulla valutazione d'impatto sul miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro su piattaforma digitale» mostra che, secondo le stime, 5,5 milioni di lavoratori delle piattaforme sono erroneamente classificati come lavoratori autonomi.

2.11.

La questione relativa alla classificazione giuridica del rapporto di lavoro viene affrontata nei vari Stati membri in maniera diversa. Il rischio di errori nella classificazione giuridica del rapporto di lavoro è principalmente dovuto alla scarsità della legislazione pertinente negli ordinamenti giuridici nazionali e alla mancanza di chiarezza giuridica. Nessuno Stato membro ha affrontato finora in modo globale la questione della classificazione giuridica del lavoro mediante piattaforme digitali. Alcuni Stati membri (Italia, Spagna e Francia) hanno optato per una normativa settoriale incentrata sulle piattaforme di trasporto e consegna di merci. Numerosi Stati membri (Belgio, Germania, Grecia, Spagna, Francia, Irlanda, Italia, Paesi Bassi e Svezia) hanno tentato di chiarire i rapporti di lavoro con classificazione incerta attraverso un'apposita legislazione, atti amministrativi o la giurisprudenza, ma ciò si riferisce alle situazioni generali del mercato del lavoro e non tiene conto delle peculiarità del lavoro mediante piattaforme digitali. In Italia e Spagna la contrattazione collettiva ha svolto un ruolo importante in un contesto in cui accordi e protocolli specifici hanno anticipato specifiche disposizioni di legge.

2.12.

L'opinione secondo cui il sistema normativo esistente a livello nazionale, nei vari paesi dell'UE, non è attualmente idoneo a regolamentare i diversi profili del lavoro svolto attraverso le piattaforme digitali trova conferma nelle quasi 100 vertenze legali sottoposte dai lavoratori e/o dai loro rappresentanti sindacali, come pure nel contesto della varietà di soluzioni fornite dalla giurisprudenza di diversi paesi europei, divise tra quelle che ribadiscono il carattere autonomo del rapporto di lavoro e quelle che, in misura sempre crescente, ne riconoscono il carattere subordinato, senza escludere le soluzioni che collocano il caso specifico del lavoro tramite piattaforma nel quadro di una situazione giuridica intermedia (10). Sebbene tali procedure abbiano spesso comportato risultati contraddittori, esse riguardano per lo più servizi di consegna e di autista (servizi di piattaforme basate sull'ubicazione) e la maggior parte di esse concorda nel definire come lavoratori dipendenti le persone che lavorano nelle piattaforme (in particolare nei settori del trasporto e della consegna di merci, che sono probabilmente gli ambiti in cui vi è una maggiore tutela contrattuale e sindacale).

2.13.

Un'altra questione fondamentale riguarda l'impatto della gestione algoritmica sulle condizioni di lavoro, che è inerente al modello aziendale delle piattaforme di lavoro digitali (11). Occorre avere cura di garantire la trasparenza e la responsabilità in relazione agli algoritmi per i lavoratori e le imprese.

2.14.

Singoli Stati membri hanno adottato misure volte a migliorare la situazione, attuando iniziative legislative che affrontano appositamente la questione della gestione algoritmica sul posto di lavoro (IT, ES). Nel frattempo, una serie di Stati membri (AT, BE, CY, CZ, DK, EE, FI, DE, IE, LV, LT, LU, NL, SE) affronta la problematica della gestione algoritmica adottando misure nel quadro delle politiche in materia di tutela della vita privata, protezione dei dati e non discriminazione. In diversi paesi i tribunali si sono pronunciati in merito a questi temi (FR, IT, NL, PL e LU) (12). La frammentazione della regolamentazione esistente nell'UE comporta anche il fatto che le piattaforme di lavoro digitali operano nei vari paesi in base a normative differenti. Tenuto conto della natura flessibile, mobile e in rapida evoluzione dell'economia delle piattaforme, questa mancanza di un approccio comune creerà delle difficoltà per mantenere condizioni di parità tra i vari Stati membri.

2.15.

In tale contesto, l'iniziativa delle istituzioni europee va accolta con favore, con specifico riferimento al pacchetto di misure presentato dalla Commissione europea il 9 dicembre 2021 per migliorare le condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme, nel quadro dell'attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali. L'iniziativa della Commissione europea riconosce l'urgenza di affrontare le disparità di trattamento tra gli Stati membri, affronta gli aspetti problematici di cui sopra e presenta una proposta di regolamentazione mediante direttiva.

3.   Considerazioni generali

3.1.

Il CESE concorda con la decisione della Commissione in merito all'elaborazione di una proposta di direttiva, il cui ambito di applicazione si estende al lavoro basato sulle piattaforme digitali sviluppate attraverso piattaforme online basate sul web (servizi legali, servizi di traduzione, liberi professionisti ecc.) e attraverso piattaforme basate sull'ubicazione, che prevedono che il lavoratore fornisca un servizio fisico (ad es. taxi, consegne, servizi a domicilio). Come chiaramente indicato nel considerando 49 della proposta di direttiva, la necessità di una direttiva piuttosto che di strumenti giuridici non vincolanti è giustificata dall'estrema diversità delle situazioni, delle condizioni di lavoro e della legislazione di ciascuno Stato membro, in particolare per quanto riguarda la garanzia di una copertura formale ed effettiva, nonché l'adeguatezza e la trasparenza dei sistemi di protezione sociale, soprattutto in quanto gli Stati membri prevedono livelli diversi di protezione sociale. L'elevato e crescente numero di procedimenti giudiziari e sentenze giudiziarie a favore della classificazione di tale attività come lavoro dipendente dimostra con evidenza che la questione non è regolamentata in modo sufficientemente chiaro negli ordinamenti giuridici nazionali dei singoli Stati membri. L'obiettivo di migliorare le condizioni di lavoro attraverso piattaforme digitali non può dunque essere conseguito in misura sufficiente da ciascuno Stato membro da solo, ma, conformemente al principio di sussidiarietà, può essere realizzato più efficacemente a livello dell'UE.

3.2.

A ragione, nel considerando 9 della proposta di direttiva si osserva quanto segue: «Quando le piattaforme digitali operano in più Stati membri o a livello transfrontaliero, spesso non è chiaro dove e da chi viene svolto il lavoro mediante piattaforme digitali. Le autorità nazionali non hanno inoltre facile accesso ai dati sulle piattaforme di lavoro digitali, ad esempio per quanto riguarda il numero di persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali, la situazione occupazionale di queste persone e le loro condizioni di lavoro. Questo elemento rende più complessa l'applicazione delle norme pertinenti, anche per quanto concerne il diritto del lavoro e la protezione sociale». Il CESE ha già sottolineato (13) che sarebbe necessario istituire un registro delle piattaforme in ciascuno Stato membro e creare a livello europeo una banca dati delle piattaforme di piccole e grandi dimensioni.

3.3.

Tali incertezze giuridiche possono, in alcune situazioni, favorire l'emergere e la proliferazione di forme di lavoro sommerso, nonché deplorevoli situazioni di sfruttamento e concorrenza tra i lavoratori stessi, che potrebbero essere oggetto di pratiche illegali di subappalto. Tali lavoratori sono spesso migranti, oggettivamente deboli e ignari dei diritti minimi di protezione previsti. La direttiva proposta non contiene una disposizione in materia di subappalto e pertanto non offre a tali lavoratori mediante piattaforme alcuna protezione contro le suddette pratiche (14).

3.4.

Il testo della proposta della Commissione, tuttavia, appare vago, generico e ambiguo su diversi punti. Esso non riflette gli obiettivi di tutela e garanzia dei diritti sociali e del lavoro chiaramente enunciati nei considerando, in particolare la definizione di lavoratore che opera attraverso piattaforme digitali (articoli 2 e 5) e i diritti sia dei lavoratori che dei rappresentanti sindacali all'informazione e alla consultazione (articolo 9, che, tuttavia, rimanda esplicitamente solo alla direttiva 2002/14/CE). A titolo preliminare, occorre osservare che la proposta di direttiva equipara spesso la protezione dei diritti dei lavoratori al principio della libertà d'impresa. I diritti dei lavoratori e le libertà fondamentali devono essere adeguatamente tutelati, conformemente alla legislazione e in linea con la Carta dei diritti fondamentali dell'UE.

3.5.

Il CESE reputa necessario che la direttiva comprenda disposizioni specifiche sulle condizioni di lavoro e sulla sicurezza sociale sulla base del principio di non discriminazione, anche per quanto concerne i lavoratori di pari livello e comparabili occupati nello stesso settore. Ciò incentiverebbe lo sviluppo di una protezione contrattuale uniforme per i settori e contrasterebbe le forme di dumping sociale e fiscale.

3.6.

Il CESE accoglie con favore gli sforzi proposti dalla Commissione per sostenere la condivisione di buone pratiche nel contesto del suo programma di apprendimento reciproco, nonché contribuire alle attività dell'Autorità europea del lavoro nell'ambito del suo mandato; sostenere gli Stati membri nell'applicazione delle norme di coordinamento della sicurezza sociale e nell'elaborazione di orientamenti al riguardo, ove necessario, e attraverso i programmi dell'UE (come Orizzonte Europa) (15).

3.7.

Il CESE ritiene che la proposta di direttiva dovrebbe stabilire principi e criteri di riferimento chiari per guidare i legislatori nazionali e incoraggiare la contrattazione collettiva al fine di stabilire norme che garantiscano certezza, sicurezza e prevedibilità a un contesto di produzione altamente digitalizzato. Tali norme devono mirare a creare condizioni di parità tra le piattaforme di lavoro digitali e i fornitori di servizi offline. Non dovrebbero entrare in conflitto con l'acquis giuridico, né modificare il contenuto e l'ambito di applicazione delle norme che definiscono il carattere subordinato di un rapporto di servizio conformemente alle leggi nazionali, ai contratti collettivi, ai sistemi nazionali di classificazione o alla giurisprudenza dei tribunali dei singoli Stati membri, e neppure pregiudicare la concorrenza leale tra le imprese.

3.8.

Il CESE reputa altresì necessario garantire un trattamento equo tra le aziende «tradizionali» e quelle che ricorrono ai mezzi di controllo digitali fondati sulla gestione algoritmica dei dati, sulla base di una concorrenza leale e trasparente tra di esse, chiarendo lo status di lavoratore dipendente in relazione ai lavoratori che forniscono servizi e/o svolgono attività in tali settori. Il CESE accoglie con favore anche l'obiettivo della Commissione di fornire chiarimenti e sostegno ai lavoratori veramente autonomi. «Qualora necessario, i lavoratori autonomi riceveranno inoltre sostegno per chiarire la loro condizione occupazionale. La direttiva dovrebbe rafforzare l'autonomia dei lavoratori autonomi e sostenerne la capacità di sfruttare le loro possibilità imprenditoriali, ad esempio sviluppando il loro bacino di clienti. Coloro che sono già classificati come veri lavoratori autonomi manterranno i benefici connessi alla loro situazione occupazionale» (16).

3.9.

È pertanto fondamentale che l'ambito di applicazione (articolo 1) venga migliorato e reso meno ambiguo, al fine di garantire che la direttiva si applichi a tutte le piattaforme digitali che forniscono un'offerta di lavoro mediata. È necessario individuare chiaramente il datore di lavoro reale e giuridicamente responsabile anche in termini di imposte e contributi sociali e al fine di istituire procedure di contrattazione collettiva, tenendo conto delle specificità delle micro e delle piccole piattaforme.

Il riferimento al concetto di organizzazione del lavoro svolto dalle persone fisiche può comportare un'esclusione non voluta di determinate piattaforme digitali.

4.   Capitolo 4 — Considerazioni specifiche

4.1.

Nel presente parere saranno esaminati in particolare i seguenti aspetti della proposta di direttiva:

criteri relativi alla classificazione come lavoratore dipendente;

gestione algoritmica;

diritti collettivi.

4.2.   Criteri di classificazione

4.2.1

Nell'articolo 4 della proposta si definiscono i criteri in base ai quali viene posta in essere la presunzione del rapporto di lavoro. Il CESE osserva che i criteri proposti dovrebbero riflettere la dinamica del mercato digitale e l'evoluzione dei modelli aziendali e dei metodi di lavoro, e che dovrebbero essere costantemente aggiornati. Il CESE constata con rammarico che i criteri stabiliti all'articolo 4 sono, in misura prevalente, ancora espressione di diverse forme di controllo esercitato dalla piattaforma digitale sull'attività lavorativa del lavoratore. Il CESE ritiene che ancorare la protezione del lavoro all'esercizio del controllo non tenga adeguatamente conto dello squilibrio di potere tra la piattaforma e i lavoratori né vi ponga rimedio.

4.2.2

Inoltre, l'articolo 4 della proposta lascia alle piattaforme un potere discrezionale eccessivo per decidere — poiché la presunzione di rapporto di lavoro è legata alla presenza di almeno due dei cinque criteri —, ma in un contesto in costante evoluzione sarebbe facile aggirare tali criteri. Il CESE ritiene che uno status occupazionale chiaramente definito, anche per coloro che lavorano poche ore, garantirebbe il diritto alla protezione sociale, alla salute e alla sicurezza, il diritto di organizzazione e il diritto alla contrattazione collettiva in relazione all'orario di lavoro svolto, assicurando in tal modo la necessaria flessibilità.

4.2.3

I criteri dovrebbero affrontare più nello specifico il rischio di norme del lavoro al ribasso. A tal fine, sarebbe auspicabile disporre di un unico criterio per la presunzione del rapporto di lavoro che possa essere confutato dalla piattaforma, sulla base dell'articolo 5, in virtù del quale l'inversione dell'onere della prova incomberà alla piattaforma stessa, la quale dovrà dimostrare il carattere autonomo del rapporto di lavoro. Il CESE concorda con la proposta della Commissione europea secondo cui dovrebbero essere le piattaforme a confutare la presunzione di rapporto di lavoro.

4.2.4

Di fatto, occorre tutelare in modo adeguato anche i lavoratori autonomi e i veri e propri rapporti di lavoro autonomo, per i quali la direttiva non fornisce alcuna definizione. Esistono molte forme diverse di lavoro su piattaforma, che non possono rientrare in un'unica categoria. Vi sono forme di occupazione assimilabili al lavoro subordinato e forme di occupazione che richiedono professionisti qualificati, anche altamente qualificati, che in alcuni paesi sono paragonabili a quelli iscritti agli albi professionali o membri di associazioni professionali nazionali. La dimensione specifica della gestione algoritmica, che ha un'influenza considerevole sui lavoratori, potrebbe non applicarsi alla definizione della presunzione di un rapporto di lavoro che coinvolga professionisti iscritti agli albi o membri di associazioni professionali nazionali, laddove esistano.

4.2.5

Sarebbe pertanto più appropriato stabilire che la presunzione di rapporto di lavoro nel settore delle piattaforme di lavoro digitali operi a favore dei singoli lavoratori che prestano il loro lavoro e/o i loro servizi sotto il potere direttivo, di controllo e/o organizzativo di una piattaforma digitale che fa uso della gestione algoritmica.

Le piattaforme dovrebbero essere in grado di confutare la presunzione del rapporto di lavoro dimostrando di non esercitare alcun potere commerciale organizzativo, neanche in modo indiretto o in forma implicita, in relazione alla prestazione del servizio/lavoro da parte del lavoratore (17).

4.2.6

Un'argomentazione comune addotta nelle sentenze giudiziarie che riconoscono il carattere subordinato del rapporto di lavoro — pronunciate di fatto dalle corti supreme nazionali — richiama il fatto che la piattaforma, e più specificamente la gestione algoritmica, esercita pienamente una forma di supervisione sull'esecuzione del servizio prestato dal lavoratore. Ciò, di fatto, indica che il servizio prestato dal lavoratore è completamente integrato nell'attività della piattaforma. Tale elemento rafforza di per sé la necessità di controbilanciare il potere di controllo summenzionato fornendo garanzie individuali e collettive adeguate a tutti i lavoratori che prestano il loro lavoro e/o i loro servizi attraverso piattaforme digitali.

5.   Commenti specifici e raccomandazioni sulla gestione algoritmica

5.1.

La gestione algoritmica elabora una quantità significativa di dati, supervisiona, assegna compiti, fornisce istruzioni dirette che limitano il livello di autonomia e valuta i lavoratori, comprese le loro prestazioni e il loro comportamento, nonché le loro retribuzioni e condizioni di lavoro, e può persino portare al licenziamento. Il CESE plaude al fatto che il progetto di direttiva adotta i princìpi sanciti nel regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR), e in linea con l'articolo 9 di quest'ultimo la direttiva dovrebbe chiaramente vietare il trattamento di dati personali sensibili, tra cui le opinioni politiche e l'appartenenza sindacale. La direttiva dovrebbe espressamente stabilire che i diritti contemplati al capo III si applicano in tutti i casi di gestione algoritmica, anche nel caso in cui la piattaforma riesca a dimostrare di non esercitare poteri commerciali di organizzazione, neanche in modo indiretto o in forma implicita, in relazione alla prestazione del servizio da parte del lavoratore, e quindi nel caso di presunzione da parte della piattaforma che non sussista un rapporto di lavoro.

5.2.

I sistemi utilizzati dalle piattaforme di lavoro digitali si basano spesso su elementi dell'intelligenza artificiale (IA). Le piattaforme dovranno attenersi sia alle disposizioni della direttiva sia alla legge sull'IA (una regolamentazione dei mercati dei prodotti), e pertanto il CESE invita la Commissione a effettuare riferimenti incrociati tra la direttiva proposta e la legge sull'IA, e viceversa, al fine di evitare o chiarire possibili incongruenze ed eventuali lacune.

5.3.

Il CESE incoraggia nuovamente (18) la Commissione a chiarire le responsabilità di tutte le parti coinvolte in aspetti quali la salute e la sicurezza, la protezione dei dati, le assicurazioni e la responsabilità giuridica, al fine di valutare, adeguare e armonizzare le regolamentazioni vigenti. Il CESE ha già osservato che gli algoritmi utilizzati dalle piattaforme dovrebbero essere considerati alla stregua delle istruzioni scritte o orali vigenti nel rapporto di lavoro di tipo convenzionale o tradizionale (19).

5.4.

Il diritto di riesaminare una decisione automatizzata o semi-automatizzata è fortemente auspicabile. Tuttavia, il CESE ritiene che, al fine di esercitare tale diritto nella pratica, la Commissione dovrebbe inserire apposite disposizioni in base alle quali le piattaforme di lavoro digitali siano tenute a: a) sviluppare algoritmi e sistemi secondo il principio della «sicurezza sin dalla progettazione» e b) secondo la logica della legge proposta sull'intelligenza artificiale (IA), contemplare disposizioni che prevedano che le piattaforme di lavoro digitali siano sottoposte a una valutazione di conformità dei loro algoritmi, non solo prima di metterli in applicazione, ma anche durante la prestazione del lavoro o del servizio da parte del lavoratore. La valutazione di conformità dovrebbe essere effettuata adottando un approccio multidisciplinare, al fine di promuovere una valutazione congiunta da parte di esperti nominati dai sindacati, dalla piattaforma e dalle altre autorità pertinenti preposte, tra l'altro, alla protezione sociale e del lavoro. Laddove emerga un conflitto nell'ambito del riesame di una decisione adottata con l'ausilio degli algoritmi, ai lavoratori dovrebbe essere concessa la possibilità di avere accesso a un arbitrato indipendente.

5.5.

Il CESE ritiene tuttavia che l'articolo 8 dovrebbe prevedere che il lavoratore possa essere rappresentato dal sindacato in caso di riesame umano di una decisione significativa.

5.6.

Dato che il modello di lavoro mediante piattaforme digitali si basa sulle recensioni dei clienti, i lavoratori delle piattaforme digitali dovrebbero avere la capacità di trasferire e utilizzare tali recensioni da una piattaforma all'altra come elemento fondamentale dei dati. Il CESE è dell'opinione che il diritto alla portabilità dei dati dovrebbe essere garantito a tutti i lavoratori delle piattaforme digitali. Ancora più importante, la direttiva dovrebbe garantire che i lavoratori delle piattaforme digitali abbiano la possibilità di utilizzare il loro profilo, incluse le relative competenze, per ottenere un impiego al di fuori dell'economia delle piattaforme.

5.7.

Il successo della proposta della Commissione dipenderà dalla sua applicazione efficace. La direttiva proposta prevede una cooperazione tra le autorità competenti in materia di lavoro e di protezione dei dati. Tuttavia, il CESE desidera attirare l'attenzione della Commissione sul fatto che, in diversi paesi, le autorità preposte alla protezione dei dati non hanno il compito di condurre esami approfonditi delle questioni inerenti al lavoro, e viceversa, in particolare per quanto concerne la sorveglianza e i mezzi di ricorso. Il CESE invita pertanto la Commissione a chiarire ulteriormente la ripartizione delle competenze, comprese eventuali considerazioni transfrontaliere, e a tenere conto degli ispettorati del lavoro.

6.   Diritti collettivi

6.1.

Nel capo incentrato sull'applicazione, l'articolo 14 della direttiva fa riferimento ai rappresentanti dei lavoratori e non ai sindacati. Questo è un punto critico, poiché è importante formulare un riferimento esplicito ai rappresentanti sindacali, in modo da evitare di creare sindacati «di comodo» e conferire ai lavoratori il diritto alla rappresentazione collettiva, anche in caso di vertenze.

6.2.

Il CESE osserva che la direttiva contempla i diritti di informazione e consultazione. Tuttavia, nell'articolo 9 si fa riferimento solo alla direttiva 2002/14/CE che istituisce un quadro generale. È opportuno inserire anche un riferimento diretto alla direttiva 2001/23/CE sui trasferimenti di imprese, alla direttiva 98/59/CE sui licenziamenti collettivi e alla direttiva 2009/38/CE sull'istituzione di un comitato aziendale europeo. Il CESE rileva che l'articolo 10, che estende i diritti del lavoro contemplati al capo III della direttiva a tutti i lavoratori delle piattaforme digitali (anche alle persone che non hanno un rapporto di lavoro), esclude i diritti di informazione e consultazione stabiliti nell'articolo 9. Tale deroga non può essere giustificata. È necessaria una definizione più chiara dei diritti di informazione e consultazione per sostenere la contrattazione collettiva, che è un diritto che deve essere riconosciuto anche a tutti i lavoratori delle piattaforme (20).

6.3.

Il CESE sottolinea che il diritto di informazione e consultazione dei rappresentanti sindacali dei lavoratori (articolo 9) dovrebbe essere garantito, anche in relazione ai parametri, alle norme e alle istruzioni che sono alla base degli algoritmi o dei sistemi di intelligenza artificiale che influenzano il processo decisionale o l'adozione di decisioni che possono incidere sulle condizioni di lavoro, sull'accesso al lavoro e sul mantenimento del posto di lavoro, tra cui la profilazione.

6.4.

Il CESE osserva che i lavoratori delle piattaforme dovrebbero ricevere una formazione adeguata e specifica, disponibile in varie lingue europee, su come utilizzare la piattaforma e lavorare nel suo ambito, e dovrebbero essere formati sulle competenze digitali pertinenti. Come sottolineato in un precedente parere (21), l'attuazione del piano d'azione per l'istruzione digitale 2021-2027 deve garantire un dialogo sociale e una consultazione efficaci con le parti interessate, il rispetto e l'applicazione dei diritti dei lavoratori e il diritto dei lavoratori all'informazione, alla consultazione e alla partecipazione, nonché la capacità dei lavoratori di sviluppare le proprie competenze digitali e imprenditoriali, in particolare attraverso l'istruzione e la formazione professionale (IFP), l'apprendimento degli adulti e la formazione dei lavoratori, al fine di ridurre le carenze di competenze che le imprese si trovano ad affrontare.

6.5.

Come è stato affermato in un precedente parere, di fronte all'introduzione di nuove tecnologie come i robot o le macchine intelligenti, nel suo studio il CESE ricorda l'importanza di informare e consultare «a monte» i rappresentanti dei lavoratori e la necessità della contrattazione collettiva per accompagnare i cambiamenti indotti da queste tecnologie (22), e ricorda inoltre come tale consultazione sia obbligatoria ai sensi della direttiva sui comitati aziendali europei (23).

6.6.

La contrattazione riguarda anche la contrattazione collettiva di categoria, che costituisce un'ampia parte della definizione dei diritti dei lavoratori, ma nella proposta di direttiva non vi è alcun riferimento agli accordi settoriali.

6.7.

Garantire procedure eque di risoluzione del rapporto di lavoro per i lavoratori delle piattaforme e l'accesso a meccanismi indipendenti di risoluzione delle controversie sono obiettivi importanti che dovrebbero essere inclusi in un quadro normativo. La direttiva proposta si riferisce solo ai licenziamenti individuali, mentre dovrebbe anche affrontare la questione delle procedure di informazione e consultazione in caso di licenziamenti collettivi, facendo riferimento alla legislazione vigente dell'Unione (24).

Bruxelles, 23 marzo 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  GU C 286 del 16.7.2021, pag. 70, punto 2.7.

(2)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 173, GU C 220 del 9.6.2021, pag. 1, GU C 194 del 12.5.2022, pag. 50, GU C 517 del 22.12.2021, pag. 61, GU C 286 del 16.7.2021, pag. 70.

(3)  Sondaggio COLLEEM II del JRC.

(4)  Studio della Commissione (2021).

(5)  Forum europeo della gioventù — Documento di sintesi sul lavoro delle piattaforme.

(6)  Relazione dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), The role of digital labour platforms in transforming the world of work (Il ruolo delle piattaforme di lavoro digitali nella trasformazione del mondo del lavoro); relazione Eurofound del 2018; documento di lavoro dei servizi della Commissione europea — dati sulle cifre e il fatturato che sono triplicati con la pandemia (in base ai dati forniti dall'OIL, nel 2020 è stato registrato un fatturato pari a 12 miliardi); relazione finale 2021 del Centro per gli studi politici europei (CEPS); Piattaforme di lavoro digitali nell'UE; studio dell'Istituto sindacale europeo (ETUI) 2021; The definition of worker in the platform economy: exploring workers' risks and regulatory solutions (La definizione di lavoratore nell'economia della piattaforme: esplorare i rischi per i lavoratori e le soluzioni normative).

(7)  GU C 123 del 9.4.2021, pag. 1, punto 3.2.7.

(8)  GU C 440 del 6.12.2018, pag. 1; GU C 123 del 9.4.2021, pag. 1; GU C 286 del 16.7.2021, pag. 70; GU C 367 del 10.10.2018, pag. 15.

(9)  Cfr. nota 6.

(10)  Tra le sentenze pronunciate a favore del carattere subordinato del rapporto di lavoro, è sufficiente ricordare, a titolo esemplificativo, le seguenti decisioni: la sentenza della Corte di cassazione francese (Chambre sociale, n. 374 del 4 marzo 2020), che ha riconosciuto il carattere subordinato del lavoro svolto da un conducente Uber; la sentenza della Corte suprema spagnola (Tribunal Superior de Justicia de Madrid, Sala de lo Social, Sentencia 40/2020 del 17 gennaio 2020), che ha riconosciuto il carattere subordinato del rapporto di lavoro tra i «rider» e la piattaforma Deliveroo; la sentenza del tribunale di Barcellona, del 13 gennaio 2021, che ha riconosciuto il carattere subordinato del rapporto di lavoro di ben 748 rider. Secondo quest'ultima decisione, è necessario esaminare nuovi indici sui quali basare il giudizio sul carattere del rapporto; si giunge dunque alla conclusione che la flessibilità oraria, in ogni caso, è il risultato di una scelta che mira a individuare le fasce orarie più redditizie per l'azienda e non è certamente finalizzata a mantenere per i rider una migliore condizione di conciliazione tra lavoro e vita privata e, di conseguenza, i rider sono considerati lavoratori dipendenti. Oltre alle sentenze summenzionate, i tribunali belgi, italiani e olandesi hanno escluso che il rapporto di lavoro sia un'attività autonoma, sulla base della relativizzazione della presunta libertà dei rider nell'esecuzione concreta del servizio.

(11)  Commission Study to support the impact assessment on improving working conditions in platform work (Studio della Commissione a sostegno della valutazione d'impatto sul miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali).

(12)  Commission Study to support the impact assessment on improving working conditions in platform work (Studio della Commissione a sostegno della valutazione d'impatto sul miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali).

(13)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 173, punto 1.15.

(14)  Relazione Fairwork (2021); Fairwork response to the European Commission's Proposal for Directive on Platform Work (Risposta di Fairwork alla proposta di direttiva della Commissione europea relativa al lavoro mediante piattaforme).

(15)  Cfr. la comunicazione della Commissione.

(16)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Migliori condizioni di lavoro per un'Europa sociale più forte: sfruttare appieno i vantaggi della digitalizzazione per il futuro del lavoro, del 9.12.2021 [COM(2021) 761 final], pag. 11, riquadro in basso.

(17)  Cfr. la definizione fornita nel considerando 30 degli orientamenti della Commissione sull'applicazione del diritto della concorrenza e la contrattazione collettiva: «iii) comporta, quale componente necessaria ed essenziale, l'organizzazione del lavoro svolto dalle persone fisiche, indipendentemente dal fatto che tale lavoro sia svolto online o in un determinato luogo». Le piattaforme che non organizzano il lavoro delle persone fisiche, ma si limitano a offrire un mezzo tramite il quale i lavoratori autonomi senza dipendenti possono raggiungere gli utilizzatori finali, non si configurano come piattaforme di lavoro digitali. Ad esempio, una piattaforma che si limita ad aggregare e presentare i prestatori di servizi (come gli idraulici) disponibili in un'area specifica, consentendo così ai clienti di utilizzare i loro servizi su richiesta, non è considerata una piattaforma di lavoro digitale, poiché non organizza il lavoro dei prestatori di servizi.

(18)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 173.

(19)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 173, punto 1.8.

(20)  GU C 123 del 9.4.2021, pag. 1, punto 3.2.8.

(21)  GU C 286 del 16.7.2021, pag. 27.

(22)  Studio del CESE (2017).

(23)  GU L 122 del 16.5.2009, pag. 28.

(24)  Direttiva 98/59/CE e direttiva 2001/23/CE.


ALLEGATO

Il seguente controparere è stato respinto nel corso del dibattito, pur avendo ottenuto almeno un quarto dei voti espressi (articolo 43, paragrafo 2, del Regolamento interno):

EMENDAMENTO 1

SOC/709 — Pacchetto sulle condizioni di lavoro — lavoro mediante piattaforme digitali

Sostituire l'intero parere con il seguente testo:

1.   Conclusioni

1.1.

Le piattaforme di lavoro digitali promuovono servizi innovativi e nuovi modelli commerciali/imprenditoriali e creano numerose opportunità per i consumatori, le imprese e i lavoratori, inclusi i lavoratori autonomi. Il concetto di piattaforma digitale si riferisce ad un ampio ventaglio di attività, servizi, mansioni e modelli commerciali/imprenditoriali, e questo significa che l'adozione di soluzioni universali «adatte» per tutti i contesti può costituire un ostacolo all'innovazione e agli investimenti nella creazione e nello sviluppo di piattaforme digitali nell'UE.

1.2.

Il CESE riconosce che occorre affrontare alcune delle sfide legate al lavoro tramite piattaforme digitali qualora tali sfide esistano. Tuttavia, qualsiasi regolamentazione del lavoro tramite piattaforme digitali dovrebbe essere concepita in modo da preservare la flessibilità in quanto fattore motivante essenziale, pur offrendo le garanzie di base di un'adeguata protezione dei lavoratori, e tenendo anche conto del fatto che per molti di loro il lavoro tramite piattaforma rappresenta un'attività complementare (1). Per questo motivo il CESE sostiene in linea di principio l'approccio adottato dalla Commissione europea nel Pacchetto sulle condizioni di lavoro, vale a dire il ricorso a differenti strumenti per creare l'ambiente necessario e propizio atto a migliorare le condizioni di lavoro delle piattaforme digitali. Anche in questo ambito lavorativo è indispensabile un accesso adeguato alla protezione sociale e alle condizioni di salute e sicurezza attraverso la corretta attuazione delle due raccomandazioni del Consiglio (2).

1.3.

Benché uno dei nodi sia quello della corretta determinazione del rapporto di lavoro e sebbene si debba affrontare il problema di eventuali errate classificazioni dello status occupazionale, la questione riguarda solo una minoranza dei lavoratori delle piattaforme, come evidenziato anche dai dati della Commissione, secondo i quali sono 5,5 milioni sui 28,8 milioni di lavoratori delle piattaforme quelli che potrebbero essere a rischio di errata classificazione del loro status o situazione occupazionale.

1.4.

Tuttavia, il CESE ritiene che gran parte delle questioni trattate nella proposta di direttiva sia già contemplata in normative dell'UE in vigore o di prossima adozione, come ad es. la protezione dei dati, il diritto all'informazione e alla consultazione dei lavoratori, ecc. Ciò significa che occorre rafforzare e migliorare, laddove necessario, l'attuazione della legislazione vigente. Una nuova direttiva che ribadisca diritti che già esistono non fa che generare confusione e frammentazione dell'acquis dell'UE. Qualora fosse necessario chiarire taluni punti o aspetti delle normative, individuati nel corso del processo di attuazione, gli adeguamenti dovranno essere apportati nei pertinenti atti dell'UE. A tale riguardo, il CESE ricorda alle istituzioni europee che, soprattutto oggi, l'UE ha bisogno di una regolamentazione veramente intelligente e di verifiche della competitività che consentano alle imprese di innovare, di svilupparsi e di creare occupazione e valore aggiunto per la nostra società e la nostra economia.

1.5.

Per rafforzare la certezza del diritto ed evitare inutili controversie, è opportuno dedicarsi con particolare attenzione al compito di chiarire le norme e le definizioni esistenti a livello nazionale riguardo allo status di lavoratore subordinato, nel rispetto delle norme che consentono l'autonomia degli imprenditori e di altre forme di lavoro autonomo. Una definizione giuridica in ambito UE di chi sia un lavoratore subordinato e chi un lavoratore autonomo delle piattaforme non sarebbe né appropriata né efficace, dal momento che non potrebbe tenere debitamente conto dei diversi modelli in uso negli Stati membri né potrebbe stare al passo con l'evoluzione dinamica dei mercati del lavoro. Una tale definizione a livello dell'Unione accrescerebbe la confusione e l'incertezza giuridica e minerebbe le definizioni a livello nazionale introducendo una definizione specifica per un gruppo limitato di lavoratori delle piattaforme digitali.

1.6.

Un altro elemento che ingenera confusione è il tentativo della proposta di direttiva di includere sia i lavoratori subordinati che i lavoratori autonomi introducendo due definizioni distinte, una per le «persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali» e un'altra per i «lavoratori delle piattaforme digitali». Associare tra loro categorie differenti, assoggettate all'ambito di applicazione della direttiva, assegnando loro serie distinte di diritti e di obblighi è, anche qui, fonte di incertezze e complessità sul piano giuridico.

1.7.

Non vi è alcun motivo di rendere meno netta la linea di demarcazione tra autentico lavoro autonomo e lavoro subordinato introducendo norme che hanno un impatto sugli imprenditori/sui lavoratori autonomi sulla base dell'articolo 153 del TFUE: quest'ultimo infatti non costituisce affatto la base giuridica appropriata per regolamentare i rapporti tra imprese.

1.8.

La presunzione legale di cui alla proposta di direttiva prevede che, se sono soddisfatti due dei cinque criteri elencati, qualsiasi rapporto contrattuale debba essere giuridicamente considerato un rapporto di lavoro. Allo stesso tempo, una buona parte dei criteri proposti all'articolo 4, paragrafo 2, contiene clausole standard dei contratti tra imprese (business-to-business — B2B), ad esempio alle lettere a) [fissazione dei limiti massimi della retribuzione] e c) [verifica della qualità dei risultati del lavoro], e alle lettere d) [orario di lavoro] ed e) [possibilità di costruire una propria clientela]. Ciò significa che anche autentici lavoratori autonomi potrebbero essere erroneamente classificati come lavoratori subordinati, e saranno quindi obbligati a confutare tale presunzione se intendono continuare ad esercitare la loro attività. Lo status di lavoratore autonomo potrebbe essere confermato solo con la decisione di un tribunale o nell'ambito di un procedimento amministrativo, il che imporrebbe un inutile onere amministrativo a tutte le parti in causa, comprese le autorità.

1.9.

L'istituzione del meccanismo per confutare la presunzione legale è fonte di confusione, in quanto un meccanismo analogo figura già nella direttiva relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili (3) come una delle opzioni per gli Stati membri.

1.10.

Anziché la verifica dei due criteri su cinque, il CESE ritiene che la strada giusta da seguire sia quella di una valutazione dei criteri per definire l'esistenza dello status di lavoratore subordinato a livello di Stati membri e conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea. A tale riguardo, il CESE accoglie con favore gli sforzi proposti dalla Commissione per sostenere la condivisione di buone pratiche.

1.11.

Il CESE ritiene che adottare una serie di norme distinte sulle questioni relative al lavoro tramite piattaforme e alla gestione algoritmica non sia né appropriato né necessario. Le norme stabilite nel regolamento generale sulla protezione dei dati (RGPD) (4) e l'imminente legge sull'intelligenza artificiale (IA) garantiranno anche ai lavoratori un'ampia gamma di diritti per quanto riguarda i loro dati personali, unitamente a una serie completa di requisiti in materia di gestione del rischio, controllo umano e trasparenza al fine di attenuare i rischi per la salute e la sicurezza e per i diritti fondamentali. Occorre pertanto evitare inutili sovrapposizioni e duplicazioni.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Nel processo di rapida trasformazione dell'economia e delle imprese, il ruolo della digitalizzazione ha assunto una funzione strategica fondamentale, tanto da essere pervasiva in tutti i settori di attività arrivando ad interessare l'intero ciclo della catena del valore di prodotti e servizi, coinvolgendo sia le grandi imprese sia le piccole e le microimprese. Le ripercussioni sul mondo del lavoro, derivanti dalle nuove forme di lavoro e di organizzazione delle imprese, sono rilevanti sia sul piano dei contenuti sia per la velocità con cui avvengono le mutazioni.

2.2.

Le piattaforme di lavoro digitali sono in grado di gestire in modo efficiente la messa in corrispondenza tra domanda e offerta di lavoro, e offrono la possibilità di vivere del proprio lavoro o di percepire un reddito aggiuntivo. Per i consumatori questo si traduce in un migliore accesso a prodotti e servizi che sarebbero altrimenti difficili da ottenere, nonché nell'accesso a una scelta di servizi nuova e più diversificata (5). Tuttavia, il lavoro tramite piattaforme digitali, oltre a offrire delle opportunità, essendo parte integrante del processo di evoluzione delle forme di lavoro, genera una serie di possibili sfide che possono richiedere delle soluzioni ad hoc.

2.3.

Lo status dei lavoratori delle piattaforme digitali sul mercato del lavoro è un nodo fondamentale che è stato affrontato dagli Stati membri, anche nell'ambito della giurisprudenza nazionale. Questi sviluppi hanno portato all'adozione o all'emanazione di una serie di norme e decisioni giudiziarie diverse basate su concetti, modelli e definizioni nazionali differenti, che quindi semplicemente rispecchiano e tengono conto dei diversi sistemi e pratiche del mercato del lavoro nei vari Stati membri. È opportuno dedicarsi con particolare attenzione al compito di chiarire le norme e le definizioni esistenti a livello nazionale riguardo allo status di lavoratore subordinato, nel rispetto delle norme che consentono l'autonomia degli imprenditori e di altre forme di lavoro autonomo. A tale riguardo potrebbero essere promosse anche delle azioni a livello europeo, quali lo scambio di informazioni, l'istruzione e la formazione nonché la cooperazione tra le autorità. Anche alle parti sociali spetta un ruolo importante, così come alle stesse piattaforme. Il quadro normativo potrebbe essere adattato al livello adeguato, senza tuttavia compromettere prassi e normative nazionali che funzionano già correttamente. Laddove necessario, si dovrà migliorare la protezione dei lavoratori delle piattaforme.

3.   Osservazioni generali sulla proposta di direttiva

3.1.

Il 9 dicembre la Commissione europea ha proposto una serie di misure volte a migliorare le condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali e a promuovere la crescita sostenibile delle piattaforme di lavoro digitali nell'UE (6). Il parere della sezione SOC (documento SOC/709), adottato il 7 marzo 2022, riguarda unicamente la proposta di direttiva relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali. Anche il presente controparere si concentra pertanto su tale proposta.

3.2.

Il CESE riconosce che i recenti sviluppi dell'economia delle piattaforme di lavoro hanno comportato nuove sfide per coloro che lavorano mediante tali piattaforme. Come osserva la Commissione, queste sfide possono spaziare dalla mancanza di trasparenza e prevedibilità degli accordi contrattuali a problemi legati alla salute e alla sicurezza, all'errata classificazione della situazione occupazionale o all'inadeguatezza dell'accesso alla protezione sociale (7), nonché alle sfide in materia di gestione algoritmica del lavoro mediante piattaforme digitali.

3.3.

Tuttavia, la direttiva proposta non è lo strumento adeguato per rispondere alle suddette sfide. Inoltre, sembra che l'attenzione principale della proposta sia chiaramente rivolta alle attività degli addetti alle consegne, dei rider e dei servizi in loco meno qualificati in generale, omettendo il fatto che la varietà del lavoro mediante piattaforme è molto più ampia. La regolamentazione proposta non è affatto adatta a coloro che lavorano tramite piattaforme per il lavoro online. Inoltre, non si tiene conto dei possibili effetti della legislazione dell'UE sulle piattaforme online che possono fornire i loro servizi dall'esterno dell'Unione (8). Occorre valutare almeno la possibile perdita e delocalizzazione di tali attività al di fuori dell'UE (ad esempio nel Regno Unito).

3.4.

Le sfide dovrebbero essere affrontate principalmente attraverso l'attuazione dei regolamenti e delle pratiche esistenti, rafforzandola ove necessario. Esiste inoltre un ampio potenziale per la realizzazione di azioni da parte delle piattaforme stesse, di concerto con i partner locali e le parti sociali e con il sostegno della Commissione.

3.5.

Una definizione giuridica in ambito UE di chi sia un lavoratore subordinato e chi un lavoratore autonomo delle piattaforme non sarebbe né appropriata né efficace, dal momento che non potrebbe tenere debitamente conto dei diversi modelli in uso negli Stati membri né potrebbe stare al passo con l'evoluzione dinamica dei mercati del lavoro. Una tale definizione a livello dell'Unione accrescerebbe la confusione e l'incertezza giuridica e minerebbe le definizioni a livello nazionale introducendo una definizione specifica per un gruppo limitato di lavoratori.

4.   Osservazioni particolari sulla proposta di direttiva

4.1.   Ambito di applicazione e definizioni

4.1.1

Vi è il rischio evidente che l'ambito di applicazione della direttiva proposta e le definizioni in essa contenute coprano una gamma molto più ampia di attività delle piattaforme digitali rispetto a quanto previsto. L'obiettivo principale sembrano essere le attività scarsamente qualificate, ma le definizioni e i criteri proposti coprirebbero tutte le categorie di lavoro tramite piattaforme digitali, anche se svolte da veri lavoratori autonomi.

4.2.   Corretta determinazione della situazione occupazionale e presunzione legale

4.2.1

Il CESE concorda sul fatto che gli Stati membri dovrebbero disporre dei meccanismi necessari per garantire «la corretta determinazione della situazione occupazionale delle persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali (…)». Tuttavia, il CESE nutre seri dubbi in merito al quadro proposto per la presunzione legale di un rapporto di lavoro se sono soddisfatti due dei cinque criteri elencati nella direttiva.

4.2.2

Il CESE ritiene che i criteri, specialmente quelli di cui ai punti a) [fissazione dei limiti massimi della retribuzione], c) [verifica della qualità dei risultati del lavoro], d) [orario di lavoro] ed e) [possibilità di costruire una propria clientela], siano regolarmente impiegati nei contratti tra imprese (B2B) e porterebbero ad una situazione in cui i veri lavoratori autonomi sarebbero soggetti alla presunzione di rapporto di lavoro e quindi costretti a diventare dipendenti.

4.2.3

Questo approccio è in contraddizione con la prassi della valutazione globale dei criteri relativi al rapporto di lavoro applicata dalla giurisprudenza degli Stati membri. Inoltre, come indicato in precedenza, i lavoratori delle piattaforme sarebbero automaticamente classificati come lavoratori dipendenti e sarebbe preclusa la scelta individuale di essere lavoratori autonomi. Ostacolare l'attività imprenditoriale non dovrebbe essere nell'interesse di nessuno. Dato che gran parte dei lavoratori delle piattaforme si considerano e vogliono essere considerati lavoratori autonomi, tale approccio sarebbe in contrasto con i diritti e le libertà fondamentali, come il diritto di scegliere un'occupazione, il diritto di lavorare e la libertà d'impresa.

4.2.4

In considerazione della diversità dei sistemi nazionali del mercato del lavoro, delle tradizioni e della giurisprudenza in materia di diritto del lavoro, nonché delle diverse definizioni, ad esempio nel diritto del lavoro o nei sistemi fiscali e di sicurezza sociale, vi è il rischio che i cinque criteri della direttiva proposta non rispecchino adeguatamente la complessa realtà di diverse situazioni. Anziché i due criteri su cinque, il CESE sarebbe favorevole a una valutazione globale dei criteri per definire l'esistenza dello status di lavoratore dipendente come approccio generalmente applicabile negli Stati membri e nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea.

4.3.   Possibilità di confutare la presunzione legale

4.3.1

Il CESE ritiene che la possibilità di confutare la presunzione legale sia uno strumento che, anziché chiarire situazioni giuridiche complesse, rischia di creare più problemi. L'istituzione di tale meccanismo è fonte di confusione, in quanto un meccanismo analogo figura già nella direttiva relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili come una delle opzioni per gli Stati membri.

4.3.2

La possibilità di confutare la presunzione legale non assicura un corretto equilibrio tra le parti del processo di confutazione, in quanto, con l'onere della prova a carico della piattaforma, la presunzione legale quale definita dai cinque criteri sarebbe difficile da contestare nella pratica. Vista la diversità delle definizioni nazionali, è probabile che i cinque criteri e la loro importanza rispettiva siano interpretati in modi diversi negli Stati membri, il che darebbe luogo a un mosaico di giurisprudenza ancora più complesso in tutta Europa. Poiché questo processo potrebbe essere portato avanti sia presso i tribunali che si occupano di questioni di diritto del lavoro sia presso i tribunali amministrativi che si occupano di questioni fiscali e di sicurezza sociale, il risultato potrebbe essere quello di diminuire la chiarezza giuridica anziché aumentarla.

4.4.   Gestione algoritmica

4.4.1

Il CESE condivide l'obiettivo della Commissione di aggiungere informazioni e trasparenza per quanto riguarda l'uso degli algoritmi nel lavoro mediante piattaforma. Il CESE ritiene tuttavia che adottare una serie di norme distinte sulle questioni relative al lavoro mediante piattaforme non sia né appropriato né necessario. Le norme stabilite nel regolamento generale sulla protezione dei dati (9) e l'imminente legge sull'IA (10) garantiranno anche ai lavoratori un'ampia gamma di diritti per quanto riguarda i loro dati personali, unitamente a una serie completa di requisiti in materia di gestione del rischio, controllo umano e trasparenza al fine di attenuare i rischi per la salute e la sicurezza e per i diritti fondamentali. Occorre pertanto evitare inutili sovrapposizioni e duplicazioni.

4.4.2

Per quanto riguarda la forma e il contenuto delle informazioni che le piattaforme devono fornire, va garantito che esse dispongano del margine di manovra necessario nella definizione dei mezzi tecnici per fornire le informazioni. Lo stesso vale per i metodi per la valutazione dei rischi e il riesame umano delle decisioni significative. Inoltre, si dovrebbe garantire che gli obblighi di divulgazione relativi agli algoritmi non si applichino ad alcun tipo di segreto commerciale o ad informazioni riservate di qualsiasi genere. Il CESE sottolinea inoltre la necessità di consentire misure di attenuazione adattate alle PMI riguardo alle procedure amministrative richieste dalle misure sulla gestione algoritmica (11). In particolare, esse prevedono termini più lunghi per le richieste di riesame delle decisioni algoritmiche e la riduzione della frequenza di aggiornamento delle informazioni pertinenti.

4.5.   Diritti collettivi

4.5.1

La proposta mira a garantire l'informazione e la consultazione dei lavoratori delle piattaforme o dei loro rappresentanti sulle decisioni che possono comportare l'introduzione di modifiche sostanziali nell'uso dei sistemi automatizzati di monitoraggio e decisione di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva. A tal fine la proposta fa riferimento alla direttiva 2002/14/CE (12). Poiché questo riferimento consente l'applicazione dei meccanismi di informazione e consultazione esistenti definiti a livello nazionale e anche la promozione del dialogo sociale senza istituire meccanismi nuovi o doppioni, questa soluzione può essere sostenuta. Tuttavia, la responsabilità della piattaforma di lavoro digitale di sostenere le spese per l'esperto (articolo 9, paragrafo 3) non è compatibile con le norme generali in materia di informazione e consultazione basate sulla direttiva 2002/14/CE.

4.6.   Mezzi di ricorso

4.6.1

Il CESE sottolinea la necessità di chiarire la distinzione tra «lavoratori» e «persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali», in particolare per quanto riguarda i mezzi di ricorso e l'applicazione della direttiva. L'articolo 18 contiene norme simili di tutela contro i licenziamenti per entrambe le categorie, il che può generare confusione e incertezza giuridica, in quanto i ricorsi giurisdizionali in materia di diritto del lavoro e diritto contrattuale negli Stati membri si basano su normative diverse e pertanto non sono simili. Analogamente, l'articolo 17 (Protezione da trattamento o conseguenze sfavorevoli) potrebbe comportare conseguenze indesiderate e creare problemi nei sistemi giudiziari degli Stati membri se viene introdotto l'obbligo di trattare rapporti contrattuali diversi secondo le stesse norme.

4.7.   Non regresso e disposizioni più favorevoli

4.7.1

Per la promozione di condizioni di lavoro eque nel lavoro mediante piattaforme digitali, il CESE evidenzia il ruolo del dialogo sociale e dei contratti collettivi ai livelli appropriati e nei limiti delle competenze, del mandato e dell'autonomia delle parti sociali negli Stati membri. Il CESE si interroga quindi sulla limitazione dell'applicazione dei contratti collettivi soltanto a quelli che sono più favorevoli ai lavoratori delle piattaforme digitali (articolo 20). Tale limitazione interferisce con l'autonomia delle parti sociali.

Motivazione

Il presente testo contiene un emendamento che punta ad esprimere una posizione globalmente divergente da quella espressa nel parere presentato dalla sezione e va pertanto considerato un controparere. Illustra i motivi per cui la proposta della Commissione non è lo strumento adeguato per affrontare le sfide del lavoro tramite piattaforme digitali e non rispecchia adeguatamente la complessa realtà della varietà di situazioni del mondo in rapida evoluzione delle piattaforme. Inoltre, il controparere è inteso a evidenziare le principali lacune e sfide del progetto di direttiva, in particolare per quanto riguarda la presunzione legale dello status di lavoratore dipendente e la gestione algoritmica.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

149

Voti contrari:

80

Astensioni:

17


(1)  Per quanto riguarda il ritmo di sviluppo, i dati raccolti dalle indagini COLLEEM I e II portano a concludere che il fenomeno del lavoro tramite piattaforme digitali è in lenta ma costante crescita in Europa. In secondo luogo, solo una piccola percentuale (circa l'1,4 %) della popolazione in età lavorativa svolge un lavoro tramite piattaforme digitali come principale forma di occupazione. Inoltre, secondo lo studio citato nella «Relazione sulla valutazione d'impatto» della Commissione, circa 5,5 milioni sui 28,8 milioni di lavoratori delle piattaforme potrebbero essere a rischio di errata classificazione del loro status o situazione occupazionale. Cfr. JRC Publications Repository — Platform Workers in Europe Evidence from the COLLEEM Survey (europa.eu) (Repertorio delle pubblicazioni del JRC — Lavoratori delle piattaforme digitali in Europa — Dati scientifici tratti dall'indagine COLLEEM) JRC Publications Repository — New evidence on platform workers in Europe (europa.eu) (Repertorio delle pubblicazioni del JRC — Nuovi dati scientifici relativi ai lavoratori delle piattaforme digitali in Europa); e cfr. Commission staff working document impact assessment report (Documento di lavoro dei servizi della Commissione — Relazione di valutazione d'impatto). Nello studio commissionato da Delivery Platforms Europe la maggior parte (72 %) dei corrieri/fattorini (o «rider») dichiara che il lavoro tramite piattaforma costituisce un'attività complementare: il 34 % dichiara di effettuare consegne mentre prosegue gli studi, e all'incirca un altro terzo del campione (34 %) afferma di accettare lavoro tramite piattaforma per integrare il reddito derivante da altri lavori a tempo pieno o parziale. Per due terzi dei partecipanti al sondaggio (67 %), la flessibilità è il motivo principale che li spinge a lavorare come rider, poiché consente loro di conciliare il lavoro di consegna con altri lavori, con lo studio o con l'assistenza da prestare ai familiari, ed è un modo per fruire di un altro reddito oltre a quelli che già hanno. La flessibilità è inoltre la caratteristica più apprezzata del lavoro di rider (per il 58 % degli intervistati).

(2)  Raccomandazione del Consiglio sull'accesso alla protezione sociale per i lavoratori subordinati e autonomi e Raccomandazione del Consiglio relativa al miglioramento della protezione della salute e della sicurezza sul lavoro dei lavoratori autonomi.

(3)  Direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell'Unione europea.

(4)  Regolamento (UE) 2016/679 e COM/2021/206 final.

(5)  Cfr. COM(2021) 762 final, Relazione, pag. 1.

(6)  Tali misure includono: 1) una proposta di direttiva relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme; 2) un progetto di orientamenti sull'applicazione del diritto dell'UE in materia di concorrenza ai contratti collettivi per quanto riguarda le condizioni di lavoro dei lavoratori autonomi individuali, compresi coloro che lavorano mediante piattaforme di lavoro digitali; 3) l'invito, rivolto alle autorità nazionali, alle parti sociali e a tutte le parti interessate, ad attuare nuove misure, come indicato di seguito, per conseguire migliori condizioni di lavoro per coloro che lavorano mediante piattaforme di lavoro digitali (comunicazione «Migliori condizioni di lavoro per un'Europa sociale più forte: sfruttare appieno i vantaggi della digitalizzazione per il futuro del lavoro»).

(7)  Ibidem (Comunicazione), pag. 2.

(8)  Secondo lo studio della Commissione, anche se tutti i servizi freelance forniti tramite piattaforme venissero interrotti in tutta l'UE-27, queste imprese potrebbero ancora fare affidamento su lavoratori freelance in altre parti del mondo. Cfr. Commission Study to support the impact assessment on improving working conditions in platform work (Studio della Commissione a sostegno della valutazione d'impatto sul miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali).

(9)  Regolamento (UE) 2016/679.

(10)  COM(2021) 206 final.

(11)  Cfr. COM(2021) 762 final, Relazione, pag. 13.

(12)  Direttiva 2002/14/CE.


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