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Document 52007IE1262

    Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le conseguenze economiche e sociali dell'evoluzione dei mercati finanziari

    GU C 10 del 15.1.2008, p. 96–105 (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

    15.1.2008   

    IT

    Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

    C 10/96


    Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le conseguenze economiche e sociali dell'evoluzione dei mercati finanziari

    (2008/C 10/23)

    Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 gennaio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio regolamento interno, di elaborare un parere sulle «Conseguenze economiche e sociali dell'evoluzione dei mercati finanziari».

    La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 settembre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore DERRUINE.

    Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 115 voti favorevoli, 25 voti contrari e 13 astensioni.

    1.   Raccomandazioni

    Informazione, trasparenza e protezione degli investitori e dei consumatori

    1.1.

    È importante mettere a punto strumenti statistici diretti a definire meglio il settore degli hedge funds e dei fondi di private equity e creare degli indicatori relativi alla corporate governance. Tutto questo deve poi formare oggetto di un'armonizzazione per lo meno a livello europeo.

    1.2.

    Per dissipare la diffidenza che grava sempre di più su una parte del settore finanziario, per limitare il rischio di shock sistemici causati dall'assunzione di rischi eccessivi (in particolare l'indebitamento) e per assicurare il rispetto di una concorrenza leale tra i tipi d'investimento, bisognerebbe applicare norme prudenziali agli hedge funds e ai fondi di private equity (un «Accordo di Basilea III»).

    1.3.

    «Il CESE sollecita la Commissione a presentare al più presto le sue proposte legislative per migliorare le informazioni fornite dagli investitori istituzionali sulle loro politiche in materia di investimenti e di voto. La presentazione di tali proposte sarebbe in linea con il piano di azione Modernizzare il diritto delle società e rafforzare il governo societario nell'Unione europea» (1).

    1.4.

    Allo scopo di rafforzare la protezione degli investitori che investono il loro capitale nei fondi di private equity, bisognerebbe modificare la direttiva OICVM (2) in modo che essa copra anche questi fondi e li obblighi ad una maggiore trasparenza. Promesse di un rendimento elevato costituiscono un fattore d'attrazione, ma l'investitore finale potrebbe ignorare il rischio cui si espone.

    1.5.

    La Commissione dovrebbe incoraggiare e proseguire con le parti interessate (banche, associazioni di consumatori, pubblici poteri e prestatori di servizi, ecc.) le iniziative volte a rafforzare il livello d'informazione e soprattutto di comprensione dei consumatori di servizi finanziari, i quali, in generale, non hanno sempre la cultura finanziaria necessaria e quindi la consapevolezza dei rischi cui si espongono (3).

    1.6.

    Le imprese quotate, che sono state oggetto di acquisizione, ma il cui fatturato o numero di lavoratori superi una determinata soglia, dovrebbero essere sempre tenute a pubblicare un minimo di informazioni anche quando, essendo state ritirate dal listino, non sono più soggette agli inerenti obblighi di pubblicità.

    Gestione e diversificazione dei rischi

    1.7.

    Sarebbe opportuno riflettere sulla possibilità di imporre una diversificazione del portafoglio dei fondi in cui si investe, soprattutto nel caso del risparmio salariale, basandosi sui modelli esistenti (cfr. anche il punto 1.2).

    1.8.

    La crisi dei mutui subprime americani si è propagata ad altri segmenti del mercato finanziario e all'UE. Sembra che, in caso di crisi bancaria europea, i costi da sopportare sarebbero sostanziali a causa della frammentazione della vigilanza che rallenterebbe i tempi di una reazione appropriata. In base al principio di sussidiarietà, le grandi banche dovrebbero essere oggetto di una vigilanza a livello europeo. Il Comitato invita tali banche, la Commissione e il Committee of European Banking Supervisors — CEBS (comitato degli organismi di vigilanza bancaria europei) a consultarsi per precisarne le modalità e definire i criteri che permettano di identificare le banche interessate.

    1.9.

    In caso di gestione delegata, che permette di diversificare il rischio di gestione, un prolungamento della durata dei mandati di gestione favorirebbe un approccio più a lungo termine e limiterebbe la speculazione che va al di là dell'arbitraggio, allo scopo di ridurre la distorsione di una visione di breve periodo e la corsa ai rendimenti, alimentate dagli atteggiamenti speculativi dei prestatori dei servizi di gestione.

    1.10.

    Le agenzie di rating, che sono allo stesso tempo giudici e parti in causa, nel senso che aiutano le banche d'investimento a concepire i prodotti derivati, a valorizzarli e a collocarli, dovrebbero essere soggette a una maggiore trasparenza.

    Conciliare la strategia finanziaria e il modello sociale europeo

    1.11.

    La concessione di agevolazioni fiscali potrebbe spingere i fondi pensione, che perseguono una strategia più a lungo termine, ad integrare la qualità e la responsabilità sociale nelle loro politiche di investimento finanziario, dato che oggi gli investimenti socialmente responsabili (4) rappresentano solo una quota limitata del totale (5).

    1.12.

    La Commissione e gli Stati membri devono far sì che la responsabilità sociale delle imprese coinvolga effettivamente tutte le parti interessate, compresi i fondi di investimento, i quali esercitano un'influenza sulle società in cui acquisiscono una partecipazione e che talvolta dirigono. A questo proposito, il CESE solleva il problema dell'applicazione alle holding della direttiva riguardante l'informazione e la consultazione dei lavoratori (6) e chiede che tale direttiva venga riveduta nel caso in cui le holding non rientrino nel suo campo di applicazione.

    1.13.

    La direttiva sul mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese (7) andrebbe inoltre aggiornata in modo da includervi il trasferimento d'imprese effettuato attraverso un'operazione di trasferimento delle loro azioni. In questo modo sarebbe meglio garantito il rispetto dei diritti all'informazione e alla consultazione dei lavoratori.

    1.14.

    Le statistiche relative ai salari (o ai redditi) dovrebbero essere modulate almeno per quintili, in modo da poter stimare con maggiore precisione l'impatto della politica salariale sulla stabilità dei prezzi.

    1.15.

    I servizi di interesse economico generale sono un pilastro fondamentale del modello sociale europeo, ma sono anche un bersaglio privilegiato per i fondi di private equity, che ricorrono all'indebitamento con l'effetto leva: tali servizi, infatti, generano molto cash flow e i loro fornitori godono di una posizione di (quasi) monopolio, sono poco indebitati e hanno elevati costi di esercizio. Per evitare inconvenienti per i consumatori e per i cittadini, oltre che i danni che possono essere causati alla coesione, «il Comitato ribadisce pertanto la richiesta che vengano definiti a livello comunitario i principi fondamentali comuni da applicare a tutti i SIG, da enunciare in una direttiva quadro e, eventualmente, da modulare a seconda del settore disciplinato in una serie di direttive settoriali» (8).

    Equità fiscale

    1.16.

    Come hanno fatto, o sono sul punto di fare, alcuni paesi (Danimarca, Repubblica federale di Germania, Regno Unito), è opportuno valutare, nel rispetto del principio di sussidiarietà, la possibilità di introdurre regole che limitino la deducibilità fiscale degli interessi sul debito in caso di acquisizione di un'impresa.

    1.17.

    Nel quadro dei lavori già avviati nell'ambito dell'OCSE, e con l'obiettivo di continuare la lotta contro la concorrenza sleale dei paradisi fiscali, bisognerebbe riflettere alla possibilità di modificare le regole fiscali nel senso che nella pratica la base imponibile degli hedge funds sia determinata in funzione della sede dove il gestore svolge effettivamente le sue attività, dato che, solitamente, si tratta delle grandi città dei paesi dell'OCSE. Pertanto, l'aliquota applicabile non dovrebbe essere quella delle plusvalenze bensì quella del reddito normale.

    1.18.

    Poiché molte decisioni d'investimento a brevissimo termine sono prese in paradisi fiscali (offshore), il Comitato invita il Consiglio, la Commissione e la BCE a riflettere sulla possibilità di un'azione basata sull'articolo 59 del Trattato (9).

    1.19

    Il Comitato sottolinea l'importanza di rafforzare il coordinamento delle politiche fiscali, con norme de minimis, in particolare per le diverse forme di imposizione del capitale. Tale politica si giustifica con il duplice obiettivo dell'equità e dell'efficacia economica.

    2.   Introduzione

    2.1.

    Negli ultimi 25 anni l'economia mondiale ha subito un profondo sconvolgimento. Se, in generale, ci si accontenta di spiegare questo fenomeno con la globalizzazione, non si ha però consapevolezza sufficiente della dimensione finanziaria che esso comporta e della creazione di un mercato finanziario globale.

    2.2.

    Così, mentre i mezzi di informazione e i responsabili politici continuano a concentrare l'attenzione sull'indicatore rappresentato dal PIL, è necessario mettere le cose in prospettiva per dare adeguatamente conto della realtà. Nel 2002, il PIL mondiale era pari a 32 000 miliardi di dollari e, benché tale cifra sembri astronomica, non è nulla in confronto a quella che esprime il valore delle operazioni finanziarie non comprese nel PIL (1 123 000 miliardi di dollari), che è 35 volte superiore!

    L'economia mondiale (in migliaia di miliardi di dollari USA, 2002)

    Scambi e produzione

     

    Valuta di regolamento

     

    Operazioni su derivati

    699

    Stati Uniti (dollari)

    405,7

    Operazioni di cambio

    384,4 (10)

    Sistema dell'euro (euro)

    372,9

    Operazioni finanziarie

    39,3

    Giappone (yen)

    192,8

    Operazioni su beni e servizi

    (PIL mondiale)

    32,3

    Altre aree monetarie

    183,6

    Totale (operazioni interbancarie)

    1 155

    Totale (regolamenti interbancari)

    1 155

    Fonte: François Morin, Le Nouveau mur de l'argent: Essai sur la finance globalisée, 2006.

    2.3.

    Gli investitori istituzionali sono considerati come il principale vettore della globalizzazione finanziaria. La loro entrata in scena è stata accompagnata da una diffusione delle pratiche anglosassoni della gestione delle grandi società, ovvero della corporate governance (tutela degli azionisti di minoranza, obblighi di trasparenza, attivismo istituzionale nelle assemblee delle società e modifica del rapporto azionisti-manager-dipendenti), e dalla comparsa dei derivati su crediti, nuovi strumenti finanziari che consentono oggi l'attenuazione dei rischi un tempo ritenuti inseparabili da determinati titoli. Tali cambiamenti sono stati resi possibili o accelerati dalle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC).

    2.4.

    Va sottolineato a questo punto che gli investitori istituzionali in senso lato adottano delle strategie diverse a seconda del loro orizzonte d'investimento. Mentre alcuni si dedicano ad attività di arbitraggio che tendono a stabilizzare i mercati finanziari, altri, come i fondi pensione, devono far fronte ad impegni a lunghissimo termine. Grandi differenze possono rilevarsi sotto una stessa denominazione: è il caso dei fondi di private equity, alcuni dei quali sono specializzati nelle operazioni di acquisizione di società finanziate con capitale di prestito (leveraged buyout) ed investono in un'impresa per una durata da 3 a 5 anni, mentre altri fungono da business angel (investitori informali) e apportano capitale di rischio a PMI innovative in cui possono restare anche per una quindicina d'anni (11).

     

    Durata del possesso di

     

    Azioni

    Obbligazioni

    Hedge funds

    Da 1 a 5 mesi

    Da 1 a 5 mesi

    Altri fondi di investimento

    Da 9 a 12 mesi

    Da 1 a 6 mesi

    Assicurazioni

    Da 20 a 40 mesi

    Da 6 a 30 mesi

    Famiglie

    Da 3 a 5 anni

    Da 8 mesi a 4 anni

    Fonte: Natixis, L'effet de la présence des hedge funds sur l'équilibre des marchés financiers, Recherche économique, n. 2007-04.

    2.4.1.

    Detto ciò, questi operatori possono intrattenere rapporti molto stretti tra loro. Così, per fare un esempio, il 24 % del capitale raccolto nel 2005 dai fondi di private equity proveniva dai fondi pensione, il 18 % dalle banche commerciali e d'investimento e l'11 % dalle assicurazioni (12). Una delle funzioni dei fondi d'investimento e delle altre imprese di gestione patrimoniale che acquista sempre maggiore importanza è quella di prestare servizi di gestione ai fondi pensione e alle assicurazioni sulla base di mandati.

    2.5.

    Gli investitori istituzionali, che già 20 anni fa facevano registrare un certo livello di sviluppo nei paesi anglosassoni, si sono progressivamente interessati anche ai paesi dell'Europa continentale. Dei fondi d'investimento sono sorti anche in diversi Stati membri. Attualmente, comunque, la metà degli attivi patrimoniali gestiti dai fondi comuni rimane sotto il controllo degli investitori statunitensi.

    2.6.

    Si calcola attualmente che gli investitori istituzionali rappresentino l'80 % delle operazioni di borsa. Non sembra pertanto realistico assumere posizioni di investimento opposte a quelle di questi grandi organismi d'investimento. Inoltre, a detenere azioni transfrontaliere sono principalmente proprio questi fondi. Un'inchiesta di Eurobarometro (autunno 2005) ha rivelato che solo l'1 % delle famiglie possedevano azioni di un'impresa di un altro paese e che solo il 3 % pensava di acquistare azioni estere. In aggiunta, pochi di questi azionisti partecipano attivamente alle assemblee generali delle società, mentre da qualche anno a questa parte la presenza degli investitori istituzionali è più assidua e decisiva.

    2.7.

    Il presente parere si occupa in primo luogo delle imprese quotate in borsa, dato che esse sono attive sui mercati borsistici. In generale, si tratta di imprese di grandi dimensioni. Dato però che esse esercitano un'influenza decisiva sull'occupazione e sul comportamento delle altre imprese, le loro «trasformazioni» interessano l'insieme dell'economia e della società. Infatti, le società quotate:

    generano 1 posto di lavoro su 3 in Europa e 1 su 2 negli Stati Uniti,

    sono presenti soprattutto nell'industria estrattiva, nei trasporti, nelle telecomunicazioni e nei servizi alle imprese, ossia in settori di importanza nevralgica,

    influenzano anche il modo di funzionamento delle PMI, attraverso i rapporti di subfornitura e l'acquisizione di partecipazioni finanziarie.

    3.   Convergenza dei sistemi di corporate governance  (13)

    3.1.

    Generalmente si distinguono due sistemi di direzione, amministrazione o controllo delle imprese, ciascuno caratterizzato da diverse istituzioni e pratiche, relazioni tra le parti e obiettivi assegnati alle imprese (corporate governance).

    Il modello anglosassone è caratterizzato da imprese la cui proprietà è molto frammentata e da investitori istituzionali molto presenti anche se non si assumono responsabilità nella gestione delle imprese. Benché in generale essi non possiedano più del 3 % del capitale, tali investitori esercitano la loro influenza tramite la vendita, annunciata o effettiva delle rispettive azioni. Questo sistema è tipico dei paesi in cui il numero di società quotate è elevato.

    Il modello dell'Europa continentale e della maggior parte degli altri paesi, tra cui il Giappone, è caratterizzato dalla presenza di azionisti che detengono pacchetti azionari compresi tra il 10 e il 20 % del capitale che garantiscono loro un controllo effettivo sull'impresa. Questi investitori (che possono essere lo Stato, le banche o altre imprese) partecipano direttamente alla gestione delle imprese. A differenza del modello precedente, questo prevede un certo livello di partecipazione dei lavoratori negli affari dell'impresa, che trova la sua massima espressione nella Mitbestimmung (cogestione) tedesca.

    3.2.

    Nei due ultimi decenni si è constatata una convergenza del modello europeo-continentale verso il modello anglosassone. Tra i fattori alla base di questa convergenza vanno citati l'Atto unico europeo e la privatizzazione delle imprese pubbliche, le riforme fiscali, segnatamente in Germania in tema di plusvalenze di borsa (capital gain) che hanno indotto le banche a vendere le loro partecipazioni industriali, l'obbligo imposto dal Dipartimento del Lavoro degli USA agli investitori istituzionali di esercitare i loro diritti di voto (nel 1988 e nel 1994), il dinamismo economico degli Stati Uniti negli anni Novanta, in contrasto con la relativa stagnazione dei paesi dell'Europa continentale, la quotazione di grandi imprese in diverse piazze borsistiche e i nuovi principi contabili internazionali.

    3.3.

    Permangono tuttavia diverse forme nazionali/regionali di capitalismo, e ciò si spiega con:

    la differenza delle istituzioni economiche nazionali: il diritto, la politica e la cultura e la disponibilità di risorse,

    l'interdipendenza dei mercati dei capitali e del lavoro, delle normative giuridiche e di quelle che strutturano il funzionamento delle imprese,

    il costo del passaggio a un nuovo sistema, dato che la modifica di uno degli elementi summenzionati mette in pericolo la coerenza dell'insieme.

    4.   Conseguenze economiche

    4.1.

    L'espansione degli investitori istituzionali ha permesso la democratizzazione dell'accesso ai mercati finanziari e alla diversificazione dei rischi di portafoglio, mettendo a disposizione le conoscenze specifiche collettive di gestione. La messa in comune del risparmio delle famiglie ha fatto aumentare i fondi disponibili, permettendo una maggiore diversificazione che riduce il rischio individuale sostenuto dai privati. Gli OICVM offrono l'accesso a una redditività dei capitali potenzialmente elevata a privati con risorse finanziarie modeste e con conoscenze del mercato poco sviluppate. La concentrazione dei capitali nelle mani degli investitori istituzionali riduce i costi di negoziazione delle imprese e delle amministrazioni pubbliche grazie al fatto che in questo modo esse hanno un interlocutore unico.

    4.2.

    Gli investitori istituzionali, indipendentemente dalla loro natura (hedge funds, fondi pensione, banche e assicurazioni, fondi di private equity, ecc.), gestiscono il patrimonio finanziario di circa 300 milioni di famiglie, concentrate essenzialmente negli Stati Uniti, in Europa e in Giappone (14). Il loro obiettivo consiste nel massimizzare il rendimento dei risparmi dei loro clienti, tenuto conto del livello di rischio che questi ultimi sono disposti ad assumersi.

    4.3.

    Dal punto di vista dei consumatori e delle famiglie, il peso crescente delle quote di fondi d'investimento nei loro patrimoni finanziari comporta per forza di cose una maggiore esposizione di tali patrimoni al rischio di mercato (15).

    4.4.

    I fondi pensione, insieme con gli OICVM e le assicurazioni, sono ben conosciuti dal grande pubblico. Essi sono presentati come una delle soluzioni capaci di alleggerire il costo dell'invecchiamento demografico. Esistono due tipi di fondi pensione: quelli a prestazioni definite e quelli a contribuzione definita. Nel primo caso, il rischio è a carico degli sponsor del fondo, i datori di lavoro, nel secondo caso è sopportato dal risparmiatore finale. Pur essendo caratterizzato da una struttura patrimoniale più rischiosa, questo secondo tipo di fondi fa segnare un'espansione perché gli sponsor cercano di minimizzare il rischio generato dai loro impegni a lungo termine e i lavoratori dipendenti sono attratti sempre più da strumenti di risparmio che possono offrire una redditività superiore e diritti più facilmente trasferibili tra datori di lavoro (16).

    4.5.

    I fondi pensione gestiscono direttamente il loro patrimonio, ma molto spesso tale gestione è anche delegata a fondi comuni d'investimento o ad altre società di gestione (interamente o parzialmente). Inoltre, se gli orizzonti d'investimento sono teoricamente di lungo periodo, i risultati della gestione vengono giudicati a breve e sulla base esclusiva del rendimento. Ciò spiega perché la quota delle azioni sul totale degli attivi sia sensibilmente cresciuta ed abbia contribuito a gonfiarne il prezzo.

    4.6.

    La convergenza dei modelli di corporate governance, accompagnandosi allo sviluppo delle TIC, a un maggiore attivismo da parte degli investitori istituzionali e ai loro standard di redditività ha indotto alcune grandi imprese a massimizzare ad ogni costo il rendimento (dividendi e plusvalenze) dei loro titoli. Le considerazioni relative alla capacità di generare flussi di cassa futuri (cash flow) o al principio di partenariato valorizzato dal modello sociale europeo sono state relegate in secondo piano.

    4.7.

    È nato così un nuovo tipo dinamico di governance, volto più ad indurre proattivamente dei cambiamenti di strategie al fine di creare continuamente valore per l'azionista (shareholder value) che a migliorare nel medio/lungo periodo la competitività, che anzi può soffrirne: il riacquisto da parte dell'impresa di azioni proprie (share buyback), per gonfiare l'indicatore della redditività netta dei capitali propri, le fusioni-acquisizioni, a volte avulse da qualsiasi logica industriale, la riduzione dell'ambito di attività di un'impresa e dell'integrazione dei compiti nell'attività del gruppo per facilitare la diversificazione del portafoglio di investimenti, le delocalizzazioni, le riduzioni di personale e la flessibilità dei contratti di lavoro al fine di ridurre le spese fisse o di convertirle in costi variabili (17).

    4.8.

    In generale, il requisito di un tasso di rendimento effettivo (return on equity — ROE) elevato, dal 10 al 20 % a seconda dei settori, ha effetti macroeconomici destabilizzanti: una redditività così elevata comporta un incremento dei profitti di gran lunga superiore al PIL. Ciò ha contribuito insieme ad altri fattori (migrazione, delocalizzazioni, maggiore penetrazione delle importazioni …) a far aumentare la quota relativa della ricchezza che va ai detentori dei capitali. Si constata, infatti, una nuova ripartizione del valore aggiunto nei paesi europei. Secondo i dati della Commissione europea, dell'OCSE e della BRI, la quota media dei salari e stipendi in % del PIL per i paesi dell'UE a 15 è passata dal 71,5 % nel decennio degli anni '80 al 66,7 % nel 2004. Questo slittamento di quasi 5 punti percentuali del PIL si è tradotto in un incremento simmetrico dei redditi da capitale (profitti).

    4.8.1.

    L'impatto macroeconomico di un cambiamento del genere nella ripartizione della ricchezza ha un effetto deflazionistico: accresce il risparmio complessivo, ma poiché l'aumento del potere d'acquisto dei salariati è scarso, la loro domanda non è dinamica e ciò a sua volta non incoraggia le imprese a realizzare investimenti. D'altra parte, dato che gran parte degli utili è stata ridistribuita agli azionisti (dividendi e il riacquisto di azioni proprie), vi è una creazione di liquidità in eccesso e il fenomeno si autoalimenta.

    4.8.2.

    Inoltre, dal momento che i principali paesi dell'OCSE sono entrati in concorrenza per attirare gli investimenti diretti esteri stimolati dalle liquidità in eccesso, ma frenati dal dinamismo rallentato del loro mercato interno, essi si sono lanciati in politiche di riduzione delle imposte che potrebbero avere effetti negativi sulle finanze pubbliche, a meno che non si riesca a comprimere la spesa pubblica, ad eccezione di quella sociale (visto l'invecchiamento demografico).

    4.8.3.

    Inoltre, dato che in numerosi paesi gli interessi pagati sul debito sono esenti da imposta, l'acquisizione effettuata usando l'indebitamento (leveraged buyout) equivale ad una forma di sovvenzione, da parte dei pubblici poteri, delle operazioni dei fondi di private equity, che in tal modo finiscono per essere privilegiati. Al di là della questione relativa alle pratiche di concorrenza sleale rispetto ad altri operatori economici che non usano tali metodi, le acquisizioni attraverso l'indebitamento hanno delle ripercussioni sulle pubbliche finanze. Uno studio condotto dal ministero danese delle Finanze (18) prevede che, ceterisparibus, in Danimarca, nel giro di due anni tali perdite potrebbero rappresentare il 25 % del gettito totale proveniente dall'imposta sulle società. La situazione risulterebbe identica nella maggior parte dei paesi europei e della zona euro soggetti ai criteri di bilancio fissati dal Patto di stabilità e di crescita.

    4.8.4.

    Per quanto concerne la remunerazione dei gestori di fondi, il 20 % di carried interest (o commissione di performance), che essi sono soliti far pagare sul rendimento che supera una certa soglia, è generalmente tassato con l'aliquota più bassa, quella applicata alle plusvalenze, e non con l'aliquota più elevata, prevista per la normale imposta sul reddito. Ciò è del tutto ingiustificato, dato che essi contribuiscono solo in minima parte al capitale. Questa situazione solleva un problema di equità di trattamento fiscale tra tali soggetti e gli altri lavoratori, cui si applica un'imposizione fiscale più alta.

    4.9.

    Ad evolvere sono stati non solo la natura e la strategia dell'impresa, ma anche il ruolo del responsabile della gestione o chief executive officer (CEO). Dieci anni fa, infatti, il compito di quest'ultimo consisteva nel gestire l'impresa e i suoi attivi per conto delle diverse parti interessate, mentre oggi la sfida principale per il CEO consiste nel produrre un risultato netto per gli investitori. Il tasso di dimissioni imposte a seguito di risultati giudicati insufficienti dagli azionisti ha raggiunto il culmine nel 2005, anno in cui il numero di CEO estromessi è stato quattro volte superiore a quello del 1995. Oltre un'impresa su sette ha visto un mutamento di management, contro una su undici dieci anni fa. Inoltre, anche la durata del mandato si è abbreviata. Questa rotazione sempre più rapida può porre dei problemi, perché occorrono di solito tre o quattro anni per attuare le trasformazioni necessarie per le imprese.

    4.9.1.

    Di conseguenza, il fatto che numerosi consigli di amministrazione non hanno candidati sufficienti alla successione del CEO licenziato si traduce, per un effetto a cascata, in un ulteriore aumento della retribuzione dei CEO perché, da un lato, le imprese che intendono assumerli cercano di motivarli a lasciare le società in cui attualmente svolgono le loro funzioni e, dall'altro lato, queste ultime cercano di trattenerli. Eppure, la schiacciante maggioranza degli investitori istituzionali deplora il livello ritenuto eccessivo delle remunerazioni dei manager (90 %) e l'assenza di effetti positivi sui risultati dell'impresa (78 %) (19).

    4.9.2.

    Se le imprese sembrano prendere le distanze rispetto alla prassi delle stock option che ha portato a conflitti di interesse e a scandali clamorosi, la prassi di attribuire delle liquidazioni dorate (golden parachute) e altre remunerazioni a CEO che invero non sono riusciti a migliorare i risultati delle loro imprese (in termini di competitività e posti di lavoro) è sconcertante per l'opinione pubblica.

    5.   Coesione/disuguaglianze sociali

    5.1.

    Se è vero che in passato l'elevata remunerazione degli azionisti è stata spesso giustificata con la rischiosità delle operazioni in cui impegnavano i loro capitali, la fondatezza di tale argomento è messa a dura prova dagli sviluppi degli ultimi anni.

    5.1.1.

    La responsabilità limitata soltanto ai capitali investiti e la negoziabilità del loro attivo legata ad una crescente liquidità dei mercati finanziari e borsistici, grazie alle nuove tecnologie e alla globalizzazione, riducono considerevolmente il livello di rischio cui gli azionisti sono esposti, dando loro una capacità di uscita dall'investimento e di diversificazione senza precedenti.

    5.2.

    D'altro canto, alcuni economisti hanno osservato una stagionalità dei licenziamenti economici, che registrano un picco in gennaio e giugno, ossia in occasione della definizione e della revisione dei bilanci annuali delle imprese, e ne hanno concluso che tali licenziamenti trovano la loro giustificazione nel desiderio di migliorare i risultati finanziari piuttosto che in esigenze dell'attività aziendale (20).

    5.2.1.

    Inoltre, la personalizzazione dei contratti di lavoro e delle retribuzioni è ormai una realtà, al pari della diffusione di contratti atipici come quelli a tempo determinato e a tempo parziale, con l'obiettivo di convertire in costi variabili una parte dei costi fissi legati alle retribuzioni e in definitiva aumentare l'utile e, quindi, il rendimento per azione (return on equity — ROE). Nel 1992, i contratti a tempo determinato o a tempo parziale riguardavano il 25,4 % dei lavoratori. Nel 2005, tale percentuale era salita al 33 %. In tutto il periodo considerato (salvo che nel 2005) la diffusione di questo tipo di contratti «precari» è avvenuta a un ritmo più rapido di quello della creazione di posti di lavoro e, per quanto riguarda i contratti a tempo determinato, solo nel 33 % dei casi porta a un contratto a tempo indeterminato (contro il 22 % dei casi in cui si conclude con la cessazione del rapporto di lavoro e il 39 % dei casi in cui porta a un nuovo contratto dello stesso tipo) (21).

    5.2.2.

    Ne derivano nuovi rischi per i lavoratori e per le imprese:

    le imprese non investono in questi lavoratori «mobili», che a loro volta non s'impegnano, sentendosi meno coinvolti nell'impresa e temendo che i benefici netti attualizzati della formazione non si rivelino positivi (22)  (23),

    il capitale umano, che nella «società della conoscenza» è sempre più calibrato sulle esigenze specifiche delle singole imprese, è scarsamente «ricollocabile» (ossia non facilmente «trasferibile» da un'impresa all'altra) (24),

    i rappresentanti dei lavoratori non riescono più a identificare gli interlocutori ai quali rivolgersi nel quadro del dialogo sociale e non possono «attribuire un volto» al loro management, che si risolve in una miriade di azionisti fluttuanti,

    i lavoratori sono messi in concorrenza tra loro:

    a livello mondiale, a causa della grande mobilità del capitale produttivo e di quello finanziario e al raddoppio del numero dei lavoratori inseriti nell'economia di mercato in seguito al collasso del blocco sovietico e all'ingresso nella scena internazionale della Cina e dell'India,

    a livello nazionale, a causa del tasso di disoccupazione, della proliferazione di posti di lavoro di scarsa qualità — che accresce il valore di quelli di qualità — e del paradosso della formazione: da un lato, è segno di un certo stile denunciare il bisogno di formazione e l'inadeguatezza delle competenze, dall'altro, quasi un lavoratore su tre si dichiara sovraqualificato rispetto alle mansioni imposte dalla sua attività lavorativa, e ai lavoratori meno qualificati e a quelli temporanei non viene offerta una formazione sufficiente,

    questa concorrenza tra lavoratori è tanto più intensa in quanto la loro mobilità è relativamente ridotta a causa del mantenimento dei periodi transitori nella legislazione in materia di migrazione economica, la quale subordina l'accesso degli stranieri al mercato del lavoro alla scarsità di lavoratori in determinati gruppi professionali (restrizioni politiche), a causa dell'assenza di progressi concreti in tema di portabilità delle pensioni e del rincaro dei prezzi del mercato immobiliare (restrizioni socioeconomiche), oppure ancora a causa dell'insufficienza delle competenze linguistiche (restrizioni culturali).

    5.2.3.

    Va trovato un nuovo equilibrio tra gli azionisti e i lavoratori. Oltre allo sbilanciamento nel PIL tra «capitale» e «lavoro» e agli elementi menzionati in precedenza, lo squilibrio si riflette anche in un andamento esponenziale dei mercati finanziari e borsistici nel corso degli ultimi anni, fenomeno che contrasta con un'evoluzione in senso contrario del diritto del lavoro, il quale non offre ai lavoratori tutele sufficienti (sia sotto l'aspetto contrattuale sia per quello della formazione continua (25), ad esempio). Per questi motivi la flessibilità (e l'accresciuta precarizzazione) del lavoro diventa una variabile d'aggiustamento per le imprese.

    Evoluzione per «sottomodello» sociale

     

     

    Capitalizzazione di borsa/PIL

    Protezione dei lavoratori

    Media

    Paese

    1990

    2003

    1990

    2003

    Modello anglosassone

    UK, USA, CAN, AUS

    54

    119

    0,63

    0,73

    Modello scandinavo

    FI, DK, SE

    28

    85

    2,71

    1,89

    Modello continentale

    FR, DE, AT, BE, NL

    30

    59

    2,79

    2,30

    Modello mediterraneo

    IT, ES, EL

    16

    57

    3,67

    2,61

    Giappone

     

    98

    70

    2,10

    1,84

    NB: Non esistono dati disponibili per i nuovi Stati membri.

    La protezione dei lavoratori è misurata dall'indicatore «EPL (employment protection legislation) versione 1» calcolato (per gli anni 1990, 1998 e 2003) dall'OCSE. Esso copre la regolamentazione sulla tutela dei posti di lavoro regolari e temporanei. Più si avvicina allo 0, più la regolamentazione della protezione dei lavoratori è debole (l'EPL versione 2 include le informazioni relative ai licenziamenti collettivi, ma non permette di risalire al 1990).

    5.2.4.

    Se è vero che l'azionariato dei dipendenti è cresciuto, questo sviluppo non può correggere la situazione in quanto esso riguarda essenzialmente e in misura sproporzionata (considerato quanto essi possano essere rappresentativi di tutti i lavoratori) i lavoratori percettori dei redditi più alti (in generale i quadri superiori).

    5.2.5.

    Tenendo presente che ogni sistema economico è un prodotto della storia (cfr. punto 3.3), si comprende facilmente come nell'Europa continentale la convergenza dei modelli di corporate governance (cfr. punti 3.1 e 3.2) non abbia prodotto effetti particolarmente evidenti in termini di lotta contro la disoccupazione, fondandosi il modello sociale europeo soprattutto su un'economia sociale di mercato, la quale presuppone un approccio di partenariato in senso ampio che va al di là degli interessi dei soli azionisti.

    5.3.

    Da diversi anni siamo entrati, sotto la duplice pressione di una concorrenza internazionale sempre più intensa e degli standard di redditività, in una fase di forte moderazione salariale (26). Tuttavia, non tutte le categorie socioprofessionali sono colpite da questo fenomeno.

    5.3.1.

    Di conseguenza, sull'esempio degli Stati Uniti (27), la Commissione, Eurostat e la BCE dovrebbero affinare i loro dati statistici, modulandoli (almeno) per quintili (28) onde individuare meglio le categorie di persone (salari molto elevati, salari molto bassi, fasce intermedie) che sono all'origine della crescita della massa salariale globale e più in generale dei redditi. In questo modo, tenendo conto del fatto che tali diverse fasce di reddito non hanno la stessa propensione al consumo, si potrebbero valutare meglio i rischi per la stabilità dei prezzi (29) (cfr. anche il punto 4.8.4).

    6.   R&S e innovazione

    6.1.

    Poiché gli investitori istituzionali tendono a dar prova di mimetismo nelle loro decisioni di investimento, rimane possibile un sovrainvestimento in determinati settori e, nel contempo, un sottoinvestimento in altri, come testimoniato dalla crisi borsistica del 2000-2001.

    6.2.

    L'esempio dei paesi scandinavi mostra che è possibile combinare prestazioni sociali e tecnologiche avanzate e un sistema finanziario a prevalenza bancaria piuttosto che borsistica.

    6.3.

    Quanto ai fondi di private equity, se è vero che essi apportano capitale di rischio indispensabile per avviare nuove attività da parte di imprese di modeste dimensioni (start up), è anche vero che da alcuni anni questa filiera d'investimento è in declino (nel 2003 costituiva meno del 10 % dei loro investimenti) (30). L'attività di tali fondi è invece sempre più imperniata sui buyout, ossia sulle acquisizioni di società (che nel 2003 rappresentavano oltre il 60 % dei loro investimenti) (cfr. qui di seguito la sezione intitolata «Effetti leva & rischi sistemici»). Questa tendenza non favorisce peraltro neppure gli investimenti, poiché, dato il rischio connesso con tale attività, il fondo di private equity privilegerà il rimborso e la remunerazione degli azionisti rispetto all'investimento a lungo termine.

    6.4.

    Oltre alla R&S, le interazioni che vengono definite «tacite» (31) sono un fattore di competitività sempre più importante per il mondo imprenditoriale nel suo complesso. Tali interazioni tacite implicano lo scambio di informazioni, la formulazione di opinioni, il coordinamento e il monitoraggio di altre attività, e combinano diverse forme di conoscenza negli scambi (di beni, servizi e informazioni) con gli altri lavoratori, i clienti e i fornitori. I dipendenti che esplicano questo tipo di capacità rappresentano oggi tra il 25 % e il 50 % della forza lavoro.

    6.4.1.

    Se vogliono essere più competitive, le imprese non possono più puntare sulla standardizzazione del lavoro dei dipendenti o sulla loro sostituzione con le macchine. Al contrario, esse devono rimuovere le barriere organizzative, instaurare un clima di fiducia a livello del personale, ma anche un rapporto di fiducia tra il personale e l'impresa stessa e permettere al personale di assumere delle decisioni e di comunicare rapidamente e agevolmente. Da ciò consegue che la forza di un'impresa risiede ormai nella conoscenza collettiva che le è propria ed emerge con il tempo.

    6.4.2.

    Le imprese godono oggi di un ampio margine di manovra per migliorare la produttività dei lavoratori coinvolti in interazioni tacite, cosa che non avviene nella stessa misura per gli altri lavoratori. Ciò dà luogo a una grande disparità di prestazioni nei settori in cui questo tipo di posti di lavoro è importante. Il dialogo sociale settoriale ha una sua funzione in questo contesto, permettendo di procedere a scambi di esperienze tra imprese, in particolare nel quadro di seminari e di studi.

    6.4.3.

    L'importanza data alle competenze che sono specifiche delle singole imprese solleva interrogativi relativamente alla flessicurezza, dato che quest'ultima presuppone piuttosto una formazione generica, che consenta di trovare una nuova occupazione in un'altra impresa, operante eventualmente in un settore diverso da quello che il lavoratore lascia.

    7.   Effetti leva & rischi sistemici

    7.1.

    Le operazioni di buyout effettuate da certi tipi di private equity sono un'attività di natura speculativa che si basa sull'indebitamento e che punta sulla possibilità di impiegare il reddito generato dalla società «obiettivo» dell'operazione per rimborsare il prestito e per generare un plusvalore significativo in 5 anni.

    7.2.

    Nel 1995, tali operazioni rappresentavano, per i paesi dell'Europa continentale, lo 0,6 % del PIL e nel 2005 non meno del 3 % (32) (per il Regno Unito, le cifre sono rispettivamente dell'1 % e del 7 %). Le operazioni di buyout costituiscono la parte essenziale (70 %) delle attività condotte dai fondi di private equity, mentre l'apporto di capitale di rischio rappresenta una quota decrescente (5 % per il 2005).

    7.2.1.

    Nel secondo semestre del 2006 le banche centrali (BCE, Banca d'Inghilterra) e le agenzie di rating (Standard and Poor's) hanno moltiplicato i segnali d'allarme dinanzi all'effervescenza che caratterizza questo settore (500 miliardi di dollari), il quale ha raccolto, nel 2005, 70 miliardi di dollari più che nell'anno precedente. Essi segnalano un rischio sistemico derivante dal forte aumento dei debiti delle società, come pure una moltiplicazione dei junk bond (obbligazioni «spazzatura»), che raggiunge livelli preoccupanti.

    7.2.2.

    Tutto ciò pone un dilemma alle autorità monetarie, dato che ogni rialzo dei tassi che frenasse questa attività metterebbe simultaneamente fuori gioco le imprese che oggi sopravvivono grazie all'eccesso di liquidità globale.

    7.2.3.

    I buyout pongono inoltre due problemi di natura completamente diversa ma non meno fondamentali:

    nella misura in cui l'operazione viene realizzata mediante la costituzione di una holding, la direttiva sull'informazione/consultazione dei lavoratori non trova applicazione. Ne deriva una minore partecipazione di questi lavoratori che in Europa sono parecchie centinaia di migliaia,

    mediante i leveraged buyout — LBO (operazioni di acquisizione effettuate usando capitale di prestito, cioè indebitandosi), i rappresentanti dei fondi d'investimento possono sedere, a nome della società di cui detengono il controllo, nel consiglio di amministrazione di un grande gruppo europeo che opera in un settore cruciale come quello aerospaziale. Dato che determinati fondi di origine statunitense mantengono legami particolarmente stretti con il potere politico e i servizi di intelligence degli Stati Uniti, l'indipendenza tecnologica, militare e politica dell'UE è minacciata nella misura in cui la partecipazione a quel consiglio di amministrazione dà accesso ad informazioni riservate (33).

    7.3.

    Vi sono in genere molti elementi distorsivi che gonfiano il rendimento medio indicato dai fondi di private equity. Dato che non sono soggetti ad alcun obbligo di reporting, solo i fondi di private equity con le performance più brillanti danno conto dei loro risultati e i fondi che scompaiono perché i loro risultati sono cattivi vengono ritirati dalle basi di dati; uno studio di Citygroup rileva che, tenuto conto di questi aspetti, il rendimento calcolato su un periodo di 10 anni è inferiore a quello di un paniere d'azioni mid-cap, cioè a media capitalizzazione. Anche la presa in considerazione delle spese di gestione e dell'investimento in attivi non liquidi contribuisce a ridurre i risultati indicati (34).

    7.4.

    Il settore degli hedge funds è valutato in oltre 1 500 miliardi di dollari USA. Benché non rappresentino una novità, negli ultimi 20 anni questi fondi hanno assunto un rilievo particolare. Gli hedge funds sono sottoposti a pressioni da parte degli investitori (come i fondi pensione) perché accrescano la loro trasparenza. Questa richiesta ha recentemente condotto alla messa a punto di valutazioni del credito e del rischio degli hedge funds da parte di diverse agenzie di rating.

    7.4.1.

    A loro volta, grazie al loro enorme peso finanziario, gli hedge funds esercitano una notevole influenza sui mercati finanziari, borsistici e monetari, che potrebbe essere oggetto di riflessioni approfondite:

    recentemente, ancora una volta, le autorità di regolamentazione degli Stati Uniti, del Regno Unito e dei paesi dell'Europa continentale hanno espresso la loro preoccupazione sulla possibilità che le banche d'investimento possano consentire agli hedge funds di accrescere la loro capacità di indebitamento utilizzando garanzie relativamente non liquide, il cui valore potrebbe quindi cadere rapidamente in caso di crisi finanziaria. Tali autorità esprimono inoltre perplessità sulle strutture offshore (offshore vehicles) che sfruttano l'effetto leva e che consentono alle banche statunitensi di estendere i crediti agli hedge funds al di là dei limiti di legge,

    gli hedge funds sono attivi anche nel segmento del carry trade, ossia nelle operazioni con cui gli investitori prendono in prestito valuta a basso tasso di interesse (come lo yen o il franco svizzero) per investire in valuta che corrisponde tassi di interesse superiori (come il dollaro australiano). Un numero crescente di banche (fra cui la Banca dei regolamenti internazionali — BRI) e di economisti sono convinti che tale attività, molto remunerativa per gli hedge funds, sia uno dei fattori che spiegano la debolezza dello yen, il quale alla fine di gennaio ha raggiunto il tasso di cambio più basso (da 4 anni a questa parte) rispetto al dollaro statunitense. Una improvvisa perdita di interesse per lo yen (dovuta a un rialzo dei tassi giapponesi in risposta al vigore dell'economia nipponica) potrebbe degenerare in una crisi finanziaria. Secondo Barclays Capital, il carry trade di natura speculativa è ormai al livello più alto mai raggiunto dopo la crisi russa del 1998.

    7.5.

    I derivati consentono alle banche di scaricare i rischi dal loro bilancio convertendoli in prodotti finanziari complessi negoziabili. Così facendo, il rischio viene parcellizzato, ma anche diffuso nell'intero sistema verso operatori che possono non essere soggetti a regole prudenziali.

    7.5.1.

    Se, con il tempo, è diminuita la probabilità statistica di un grave shock finanziario con ripercussioni sull'intero sistema economico, la probabilità che uno shock si verifichi rimane e in questo caso i danni sarebbero più gravi che in passato a causa, in particolare, dei legami più stretti tra le istituzioni e i mercati dovuti alle innovazioni finanziarie che hanno reso possibile una migliore integrazione dei mercati e alle operazioni di fusione-acquisizione nei settori bancario e assicurativo (35).

    7.5.2.

    A causa di un effetto leva, che è aumentato negli ultimi anni e, per definizione, non figura nei bilanci, è impossibile stimare quali siano gli importi realmente in gioco e valutare quale sia il rischio cui è esposto il sistema economico.

    Bruxelles, 26 settembre 2007.

    Il presidente

    del Comitato economico e sociale europeo

    Dimitris DIMITRIADIS


    (1)  Parere del CESE sul tema Riesame del mercato unico (INT/332), doc. CESE 89/2007 del 17 gennaio 2007.

    (2)  Direttiva 85/611/CEE del Consiglio del 20 dicembre 1985 concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative in materia di taluni organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) — GU L 375 del 31.12.1985, pag. 3.

    (3)  Come è emerso dalla conferenza organizzata nel marzo 2007 dalla Commissione europea Increasing financial capability, la relazione Sandler presentata a Gordon Brown, all'epoca cancelliere dello Scacchiere britannico, contiene linee di riflessione interessanti.

    (4)  Cfr. in particolare i lavori condotti nel quadro dell'Iniziativa finanziaria del programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (United Nations Environment Programme Finance Initiative — Unepfi) e la sua relazione A legal framework for the integration of environmental, social and governance issues into institutional investment (2005).

    (5)  Ibidem.

    (6)  Direttiva 2002/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2002, che istituisce un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori — Dichiarazione congiunta del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione sulla rappresentanza dei lavoratori — GU L 80 del 23.3.2002, pag. 29.

    (7)  Direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti — GU L 82 del 22.3.2001, pag. 16.

    (8)  GU C 309 del 16.12.2006Il futuro dei servizi di interesse generale.

    (9)  Qualora, in circostanze eccezionali, i movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti causino o minaccino di causare difficoltà gravi per il funzionamento dell'Unione economica e monetaria, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione e previa consultazione della BCE, può prendere nei confronti di paesi terzi, e se strettamente necessarie, misure di salvaguardia di durata limitata, per un periodo non superiore a sei mesi.

    (10)  Di cui 8 per le operazioni commerciali internazionali.

    Fonte: François Morin, Le Nouveau mur de l'argent: Essai sur la finance globalisée, 2006.

    (11)  Ecco, in parole povere, alcune caratteristiche che aiutano a capire la differenza tra gli hedge funds e i fondi di private equity. I primi operano su attivi negoziabili, vale a dire azioni, ma anche materie prime, derivati su crediti, ecc., e ricorrono a diversi tipi di strategie per raggiungere il loro obiettivo, il rendimento assoluto. Quando investono in un'impresa, si accontentano di una quota azionaria bassa, ma sono molto attivi nell'influenzare le scelte dell'impresa. I private equity mirano ad ottenere valore e procedono soprattutto mediante acquisizione di imprese, usando l'indebitamento. L'impresa non più quotata non è dunque più soggetta agli obblighi d'informazione. Alcuni anni più tardi i private equity disinvestono dopo aver ristrutturato l'impresa da cima a fondo.

    (12)  Cfr. M. Aglieta, The surge in private equity, 2007.

    (13)  James Shinn, Private profit or public purpose? Shallow convergence on the shareholder model, Princeton University, 2001. Studi riguardanti 14 paesi (Stati Uniti, Regno Unito, Belgio, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Spagna, Cina, Giappone, Corea del Sud, Malesia, Singapore e Taiwan); Roger M. Baker, Insiders, outsiders, and change in European corporate governance, University of Oxford, 2006.

    (14)  Cfr. J. Peyrelevade, Le capitalisme total, 2005, pagg. 39-42.

    (15)  Cfr. BIPE, op. cit. La quota del patrimonio finanziario delle famiglie investita in azioni, fondi comuni, assicurazioni vita e pensioni è più che raddoppiata in Germania, Italia e Francia tra il 1980 e il 1998, raggiungendo quasi il 50 % nei primi due paesi e il 66 % nel terzo. Nel Regno Unito, che pure partiva da un livello più elevato, questi prodotti hanno continuato a crescere dal 52 % al 76 %.

    (16)  Cfr. BIPE, La montée en puissance des investissements institutionnels: implications réglementaire. Studio realizzato per il Senato francese, gennaio 2003.

    (17)  Cfr. in particolare S. M. Bilger et K. F. Hallock, Mass layoffs and CEO turnover, 2005 e Chicago Fed Letter Assessing the impact of job loss on workers and firms, aprile 2006.

    (18)  Ministero danese delle Finanze, Status pa SKATs kontrolindsats verdrrorende kapitalfondes overtagelse af 7 danske koncerner, marzo 2007.

    (19)  Watson Wyatt, Corporate directors give executive pay model mixed reviews, giugno 2006.

    (20)  D. Plihon, Précarité et flexibilité du travail, avatars de la mondialisation du capital, 2006.

    (21)  COM(2003) 728 def., Migliorare la qualità del lavoro: un'analisi degli ultimi progressi.

    (22)  È sorprendente che il capitale umano non figuri all'attivo nei bilanci delle imprese, ora che si tende sempre più a considerarlo un fattore di competitività in una economia basata sulla conoscenza.

    (23)  European Working Conditions Observatory, Fourth European Working Conditions Survey, 2007, pag. 49.

    (24)  Cfr. punto 6.4 e segg.

    (25)  European Working Conditions Observatory, Fourth European Working Conditions Survey, 2007, pag. 49.

    (26)  Commissione europea, The contribution of labour cost developments to price stability and competitiveness adjustment in the Euro Area in Quarterly Report on the Euro Area, volume 6, n. 1, 2007.

    (27)  Cfr. le inchieste annuali US Survey of Consumer Finances.

    (28)  Distribuzione dei redditi, classificati in ordine crescente, divisa in 5 parti che contengono un uguale numero di osservazioni.

    (29)  Studi recenti indicano questa direzione. Ci si riferisce in particolare a T. Piketty e E. Saez, The evolution of top incomes: a historical and international perspective, American Economic Review, 2006.

    (30)  Deutsche Bank Research, Private equity in Europe, gennaio 2005.

    (31)  The McKinsey Quarterly, Competitive advantage from better interactions, 2006, n. 2.

    (32)  Adrian Blundell-Wignall, Private Equity Trends and Issues, OCSE, 2007.

    (33)  B. Carayon, Patriotisme économique: de la guerre à la paix économique, 2006, pag. 119.

    (34)  House of Commons, Treasury Committee, Private equity: tenth report of session 2006-07.

    (35)  Financial Times, 30 gennaio 2007.


    ALLEGATO

    al parere del Comitato economico e sociale europeo

    Emendamenti respinti

    L'emendamento che segue è stato respinto nel corso della discussione, ma ha ottenuto almeno un quarto dei voti espressi (articolo 54, paragrafo 3, del regolamento interno).

    Punti 5.1 e 5.1.1

    Sostituire i due punti con un punto 5.1 così formulato:

    « Se è vero che in passato l'elevata remunerazione degli azionisti è stata spesso giustificata con la rischiosità delle operazioni in cui impegnavano i loro capitali, la fondatezza di tale argomento è messa a dura prova dagli sviluppi degli ultimi anni.

    La responsabilità limitata soltanto ai capitali investiti e la negoziabilità del loro attivo legata ad una crescente liquidità dei mercati finanziari e borsistici, grazie alle nuove tecnologie e alla globalizzazione, riducono considerevolmente il livello di rischio cui gli azionisti sono esposti, dando loro una capacità di uscita dall'investimento e di diversificazione senza precedenti.

    5.1.

    La remunerazione degli azionisti deve essere in linea con i risultati delle imprese.»

    Motivazione

    I due punti appaiono troppo critici rispetto al ruolo degli azionisti come parte importante dello sviluppo delle imprese. Il testo, affermando che la responsabilità si limita soltanto ai capitali investiti, sembra sminuire l'importanza del rischio che comporta investire nei mercati finanziari e borsistici. L'ultima crisi di tali mercati smentisce inoltre l'affermazione secondo cui le nuove tecnologie e la globalizzazione riducono l'intensità del rischio. Limitare la remunerazione degli azionisti potrebbe ripercuotersi negativamente sull'evoluzione dei mercati dei valori azionari.

    Esito della votazione

    Voti contrari: 70

    Voti favorevoli: 65

    Astensioni: 13


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