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Document 52006IE1369

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Gli indirizzi di massima per le politiche economiche e la governance economica — Le condizioni per una maggiore coerenza delle politiche economiche in Europa

GU C 324 del 30.12.2006, p. 49–56 (ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, IT, LV, LT, HU, NL, PL, PT, SK, SL, FI, SV)

30.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 324/49


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Gli indirizzi di massima per le politiche economiche e la governance economica — Le condizioni per una maggiore coerenza delle politiche economiche in Europa

(2006/C 324/21)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema: Gli indirizzi di massima per le politiche economiche e la governance economicaLe condizioni per una maggiore coerenza delle politiche economiche in Europa.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 settembre 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore NYBERG.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 ottobre 2006, nel corso della 430a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 86 voti favorevoli, 9 voti contrari e 10 astensioni.

Sintesi e raccomandazioni

Il Comitato economico e sociale europeo ha deciso di non pronunciarsi, nel parere di quest'anno sulla politica economica, in merito agli indirizzi di massima per le politiche economiche, bensì di esaminare la base formale su cui poggiano gli indirizzi medesimi. La base dell'azione comunitaria in materia di politica monetaria e finanziaria va ricercata, per la moneta unica, nelle disposizioni del Trattato di Maastricht e, per gli indirizzi di massima per le politiche economiche, nel Patto di stabilità e di crescita e nelle disposizioni del Trattato. L'obiettivo è quello di individuare disposizioni che contribuiscano nel modo più efficace possibile alla realizzazione degli obiettivi globali in materia di stabilità dei prezzi, crescita e occupazione.

Per evitare che uno dei due ambiti politici imponga vincoli eccessivamente stretti all'altro, la Banca centrale europea e l'Ecofin devono stabilire gli stessi obiettivi politici. È particolarmente importante che i membri dell'Eurogruppo in sede di Consiglio Ecofin e la Banca centrale europea adottino il medesimo approccio.

Il presente parere è suddiviso in diverse sezioni: politica monetaria, Patto di stabilità e di crescita, indirizzi di massima per le politiche economiche, formazione dei salari e legame tra inflazione e crescita. Nelle raccomandazioni verrà invece indicato quali attività dovranno svolgere i diversi attori, come il Consiglio Economia e Finanze (Ecofin), la BCE, la Commissione e le parti sociali.

BCE

L'obiettivo della stabilità dei prezzi andrebbe ridefinito e fissato sotto forma di obiettivo simmetrico con un margine di oscillazione del 2 % ±1 punto percentuale. Un tale obiettivo che prevede un valore intermedio consente di valutare con più facilità la distanza esatta dall'obiettivo perseguito e può essere importante se si vuole che la BCE sia in grado di controbilanciare eventuali modifiche del tasso dell'inflazione dovute a un calo o a un aumento della domanda.

Per una politica che si prefigge di tenere maggiormente conto del nesso tra le misure di politica monetaria e quelle di politica finanziaria, è opportuno utilizzare come riferimento l'inflazione di fondo. Non tenendo conto delle variazioni dei prezzi che la BCE non può influenzare e che possono essere casuali, questo concetto di inflazione è più adatto per misurare le variazioni tendenziali dei prezzi. Tuttavia la BCE, nel valutare l'andamento dei prezzi, dovrebbe valutare fino a che punto tali variazioni possono dipendere da eventuali cambiamenti intervenuti a livello fiscale.

L'obbligo relativo alla stabilità dei prezzi per i candidati alla moneta unica va riveduto e, a tal fine, è formalmente necessario modificare il Trattato. Tenuto conto però del fatto che una tale modifica non è prevista nemmeno dal Trattato costituzionale, sarebbe opportuna un'interpretazione più flessibile del Trattato, in base alla quale il criterio decisivo per un'eventuale adozione della moneta unica siano gli obiettivi perseguiti applicando un determinato criterio e non la situazione del momento. Sarebbe logico che, in materia di stabilità dei prezzi, per i paesi candidati alla moneta unica valesse il medesimo obiettivo previsto per i paesi della zona euro.

La stabilità e una politica monetaria credibile non dipendono da un tasso d'inflazione inferiore al 2 %. Un livello leggermente più elevato come livello di riferimento per la stabilità dei prezzi non pregiudicherebbe la stabilità. È più importante sapere di poter contare sulla volontà e la capacità di controllare l'inflazione, in modo da poter conseguire l'obiettivo stabilito.

La BCE dovrebbe pubblicare i verbali delle sue riunioni.

Ecofin

Fino a quando l'utilizzo delle capacità disponibili non avrà raggiunto un livello tale da provocare pressioni inflazionistiche, l'applicazione di una politica prociclica sarà poco probabile. La disoccupazione è ancora a livelli eccessivi e c'è un notevole margine per aumentare il tasso di attività. Negli anni caratterizzati da uno sviluppo economico favorevole, la politica economica dovrebbe concentrarsi soprattutto sulla pianificazione per far fronte ai problemi economici che si verificheranno a causa dello sviluppo demografico. In un contesto economico favorevole, gli obiettivi generali dell'UE in materia di bilancio e di debito pubblico non sono sufficienti. Gli Stati membri che hanno già conseguito tali obiettivi non possono adagiarsi sugli allori.

A giudizio del CESE, i criteri dell'equilibrio di bilancio e del debito pubblico vanno mantenuti, ma la discussione va portata avanti tenendo conto dei veri obiettivi della politica economica.

Gli orientamenti economici triennali dovrebbero prevedere come obiettivi centrali, accanto al tasso di occupazione stabilito nel quadro della strategia di Lisbona, un livello minimo di crescita economica e una percentuale per la riduzione della disoccupazione. Andrebbero inoltre fissati degli obiettivi nazionali, che però non dovranno essere meno ambiziosi di quelli stabiliti per l'UE nel suo insieme.

I ministri delle Finanze devono essere coerenti e non possono fare delle dichiarazioni a Bruxelles e poi agire diversamente nel proprio paese.

Politica relativa al mercato del lavoro/processo di Colonia

Nell'intervallo fra le riunioni organizzate nel quadro del processo di Colonia andrebbero elaborati studi congiunti sulle interazioni economiche, sull'effetto di diverse misure politiche e su questioni analoghe.

Il processo di Colonia può essere la sede giusta per far comprendere nel modo adeguato a tutte le parti interessate l'importanza di rispettare gli obblighi in materia di statistiche economiche.

Prima di ogni riunione, il Parlamento dovrebbe presentare una risoluzione sulla situazione economica e sulla politica auspicata.

Dovrebbero essere presenti sia l'Ecofin che l'Eurogruppo, in modo che non siano rappresentati solo i ministri delle finanze ma anche i ministri direttamente responsabili della politica finanziaria che va combinata con la politica monetaria della BCE.

Commissione

L'analisi sull'inflazione di fondo andrebbe approfondita. Uno studio più dettagliato delle politiche attuate da paesi in cui si registra un rapporto positivo tra inflazione e crescita (un'inflazione bassa rispetto al ritmo di crescita) dovrebbe offrire una buona base per una futura operazione di benchmarking.

Effettuando degli studi si potrebbe stabilire, ad esempio, fino a che punto le variazioni della produttività abbiano inciso sul tasso di crescita, in che misura il diverso tasso di aumento della produttività dipenda da differenze a livello dell'innovazione e degli investimenti, o quali altre procedure esistano per aumentare la produttività. Il CESE invita pertanto la Commissione ad esaminare il nesso tra gli obiettivi globali in materia di crescita e di occupazione e, ad esempio, l'aumento della produttività e i tassi di inflazione.

Riepilogo

È necessario migliorare il coordinamento tra la politica monetaria e quella finanziaria, in modo tale che la stabilità dei prezzi, la crescita e l'occupazione rappresentino degli obiettivi importanti per tutti i responsabili della politica economica: BCE, Commissione, Consiglio Ecofin, parti sociali e Stati membri. Se tutte le parti coinvolte considereranno questi tre obiettivi come punto di partenza per proporre delle misure, esse saranno poi obbligate anche a tener conto di tutte le conseguenze derivanti dalle proposte avanzate. Ne risulterà una politica più uniforme, che avrà risultati più coerenti.

1.   Introduzione

1.1

Gli orientamenti economici dell'UE — i cosiddetti indirizzi di massima per le politiche economiche — coprono ora un periodo di tre anni. Gli orientamenti definiti quest'anno presentano solo modifiche minori rispetto a quelli stabiliti nel 2005.

1.2

Il CESE ha pertanto deciso di non esprimersi in merito a tali modifiche nel parere previsto quest'anno sul tema della politica economica, bensì di esaminare la base formale su cui poggiano gli orientamenti medesimi. Uno studio di questa natura non può limitarsi al contenuto formale degli orientamenti economici: deve contemplare anche la politica monetaria e i relativi nessi con la politica finanziaria.

1.3

La base dell'azione comunitaria in materia di politica monetaria e finanziaria va ricercata, per la moneta unica, nelle disposizioni del Trattato adottate a Maastricht sulla moneta unica, nel Patto di stabilità e di crescita e nelle disposizioni del Trattato sugli orientamenti di massima per le politiche economiche. A seguito delle modifiche introdotte nel 2005, gli indirizzi di massima vengono esaminati con cadenza annuale nel quadro del processo di Lisbona.

1.4

Ci si propone quindi di esaminare l'interazione tra dette disposizioni ed il loro impatto sulla politica in termini concreti, sia nell'Unione europea nel suo insieme che a livello nazionale. Affinché l'analisi sia esaustiva, si terrà conto anche dell'aspetto riguardante la formazione delle retribuzioni. L'analisi dovrà necessariamente presentare un carattere piuttosto teorico per portare avanti il dibattito e migliorare le politiche in atto. Si intende infatti appurare se le disposizioni attuali contribuiscano nel modo più efficace possibile alla realizzazione degli obiettivi globali in materia di stabilità dei prezzi, crescita e occupazione.

1.5

Le raccomandazioni del CESE non si limitano tuttavia alla politica attuale bensì comprendono anche modifiche alle disposizioni vigenti che possono essere apportate immediatamente, soprattutto se i decisori politici cambiano atteggiamento. Solo una delle proposte formulate nel presente parere richiede una modifica del Trattato.

2.   Maastricht e la politica monetaria comune

2.1

Il principale obiettivo che si prefigge la BCE è la stabilità dei prezzi. Un secondo obiettivo attribuito alla BCE dalle disposizioni del Trattato adottate a Maastricht è quello di sostenere la crescita, una volta raggiunta la stabilità dei prezzi. A tale proposito, si è soliti effettuare un confronto con la Riserva federale statunitense, il cui obiettivo si fonda piuttosto su una visione globale che comprende la stabilità dei prezzi, l'occupazione e la crescita. Dalla formulazione adottata si potrebbe pensare solo a una differenza di grado, ma se ci si sofferma sulla politica monetaria effettivamente condotta, emergono differenze più nette. A giustificazione delle modifiche dei tassi di interesse, la Riserva federale adduce più sovente l'evoluzione dell'occupazione, mentre per la BCE l'unico motivo alla base delle variazioni dei tassi sembra essere la stabilità dei prezzi.

2.2

Oltre alle attuali misure in materia di politica monetaria, anche la formulazione stessa dell'obiettivo incide quindi sul modo in cui essa influisce sulla politica globale.

2.3

In una concezione globale della politica economica (che include quindi sia la politica monetaria che quella finanziaria) la politica dei tassi d'interesse non costituisce l'unico elemento determinante per la politica finanziaria: la scelta degli obiettivi in materia di politica monetaria è altrettanto importante. Un ministro delle finanze si porrà spesso la seguente domanda: «Se opto per questa manovra, è possibile che la misura sia neutralizzata da modifiche dei tassi volte a controbilanciare l'effetto ottenuto?» Per evitare che un ambito politico imponga vincoli eccessivamente stretti ad un altro, la Banca centrale europea e l'Ecofin devono stabilire gli stessi obiettivi politici. È particolarmente importante che l'Eurogruppo creato all'interno dell'Ecofin e la Banca centrale europea adottino il medesimo approccio. L'obiettivo della politica monetaria va definito nel lungo periodo. La Banca centrale europea ha più volte ribadito che l'obiettivo del 2 % si fondava sulle precedenti posizioni dell'Ecofin. È probabile che i diversi punti di vista sul livello di inflazione da perseguire non si differenzino in maniera significativa, ma l'obiettivo e le misure devono essere alla portata di tutti.

2.4

Al momento di stabilire l'obiettivo della stabilità dei prezzi, la BCE ha optato per un tasso d'inflazione inferiore al 2 %. Già nel 2003 l'obiettivo è stato modificato in modo da fissarlo al di sotto del 2 %, precisando tuttavia che non ci si doveva scostare molto da tale livello. In questo modo l'obiettivo è un po' più realistico visto che stabilirne uno inferiore al 2 %, come era stato fatto inizialmente, poteva significare che anche la deflazione poteva essere considerata una situazione accettabile.

2.5

Questa definizione pone, tuttavia, altri due problemi: è quasi impossibile decidere a quale distanza ci si trovi dall'obiettivo e quale sia la distanza accettabile. Fissando un obiettivo simmetrico si consente un certo margine di oscillazione intorno al livello d'inflazione auspicabile. Considerata l'aspirazione della BCE di raggiungere un livello del 2 % circa, la soluzione migliore sarebbe quella di fissare l'obiettivo al 2 percento ±1 punto percentuale. Questo permetterebbe di rimuovere buona parte delle preoccupazioni dovute a modificazioni occasionali di qualche punto per mille. Secondo il CESE, vi sono innumerevoli buoni motivi a favore della fissazione di un obiettivo simmetrico per la BCE. Potrebbe inoltre essere importante fare riferimento a un obiettivo che preveda un valore intermedio se si vuole che la BCE sia in grado di controbilanciare eventuali modifiche del tasso dell'inflazione dovute a un calo o a un aumento della domanda. In passato, quando l'economia era fiorente negli anni precedenti l'inizio del nuovo millennio, i tassi d'interesse sono saliti rapidamente, mentre durante il periodo del ristagno economico, due o tre anni più tardi, i tassi sono scesi in maniera notevolmente più lenta.

2.6

L'altro problema che si pone è il seguente: qual è l'inflazione che si misura? Nel quadro degli obiettivi formali della BCE si tratta dell'indice armonizzato dei prezzi al consumo (IAPC), vale a dire la misura del tasso d'inflazione generale. Da tale indice si possono escludere, ad esempio, i prezzi dell'energia o dei prodotti alimentari per far apparire livelli d'inflazione che si possono considerare maggiormente esposti agli effetti della politica monetaria e che non dipendono da fattori che sfuggono al nostro controllo. E ciò soprattutto per compensare l'impatto dell'aumento dei prezzi del petrolio, che hanno fluttuazioni passeggere suscettibili di ripartire rapidamente nella direzione opposta. Un indice dei prezzi modificato è particolarmente importante per evitare che le variazioni passeggere dei prezzi abbiano un impatto diretto sulle politiche praticate dalla Banca centrale europea. Anche nel probabile caso di un aumento a lungo termine dei prezzi del petrolio, le variazioni passeggere non potranno mai essere controbilanciate da modifiche dei tassi di interesse, il cui effetto si fa sentire generalmente solo dopo uno o due anni.

2.7

La cosiddetta inflazione «di fondo» è un concetto creato per permettere di misurare la tendenza inflazionistica interna all'economia (la zona euro per la BCE). Le variazioni dei prezzi presentano maggiormente il carattere di tendenze ed è su queste ultime che la Banca centrale europea deve concentrarsi. L'impatto più diretto delle variazioni dei tassi di interesse sul ritmo dell'aumento dei prezzi dovrebbe logicamente situarsi tra tale misura dell'inflazione e la politica praticata dalla BCE in materia di tassi di interesse. Se la Banca centrale europea accetta un tasso d'inflazione al di sopra dell'obiettivo stabilito, ciò è probabilmente dovuto al fatto che ha anche tenuto conto di uno di questi scenari di inflazione ridotta. Facendo riferimento anche all'inflazione di fondo, per la BCE sarebbe più facile spiegare la propria politica. Per una politica che si prefigge di tenere maggiormente conto del nesso tra le misure di politica monetaria e quelle di politica finanziaria, è opportuno utilizzare come indicatore l'inflazione di fondo. Ciò permetterebbe alla politica macroeconomica di incidere in maniera più positiva sulla crescita e sull'occupazione.

2.8

Un confronto tra l'inflazione ufficiale misurata dallo IAPC e i livelli di inflazione misurati a partire dall'inflazione di fondo mostra, nel corso della maggior parte degli anni esaminati (cfr. allegato), solo variazioni minori. L'unica variazione di rilievo si è registrata nel 2005 quando i prezzi dell'energia hanno influito sui prezzi generali. Un raffronto tra l'inflazione e l'obiettivo della Banca centrale europea mostra che solo nel 2000 e nel 2005 l'inflazione di fondo è scesa a livelli eccessivamente bassi rispetto all'obiettivo stabilito. Se ci si fosse basati sul concetto di «inflazione di fondo», nel 2005, ad esempio, si sarebbe dovuta attuare una politica meno restrittiva.

2.9

Un altro fattore che incide sul tasso d'inflazione, senza tuttavia essere una conseguenza diretta del livello della domanda interna, è quello determinato dai cambiamenti delle imposte e delle tasse. Se, ad esempio, gli Stati membri aumentano l'IVA per ridurre il deficit di bilancio, l'inflazione cresce. Nell'ipotesi in cui si ricorra allo IAPC per misurare l'inflazione, la BCE potrebbe essere indotta ad alzare i tassi d'interesse. L'aumento dell'IVA, però, frena la domanda dei consumatori e, in una visione globale della politica economica, dovrebbe essere accompagnata da un taglio dei tassi d'interesse. In situazioni di questo tipo, come ad esempio quella che verrà a crearsi in Germania con l'aumento dell'IVA dal 16 al 19 % il 1o gennaio 2007, la BCE dovrebbe pertanto esaminare attentamente le cause dell'inflazione e valutare se si tratti di un fatto isolato che non comporta alcun aumento della tendenza inflazionistica. Occorre però tenere conto anche di un altro aspetto: se la BCE permette che un simile aumento delle imposte in un determinato paese abbia delle ripercussioni sulla politica monetaria, questo avrà un impatto negativo anche sugli altri paesi della zona euro.

2.10

Per poter adottare la moneta unica, gli Stati membri che non rientrano ancora nella zona euro devono, conformemente al Trattato, presentare «un tasso di inflazione prossimo a quello dei tre Stati membri' al massimo' che hanno conseguito i migliori risultati in termini di stabilità dei prezzi». Nella disposizione citata, «prossimo» significa che la differenza non deve superare l'1,5 %, mentre «migliori» si riferisce al tasso di inflazione più basso. Attualmente questo obiettivo non è logico quanto lo era all'inizio degli anni '90. Alla luce della situazione creatasi negli ultimi anni in diversi paesi della zona euro, ciò potrebbe significare un tasso di inflazione inferiore a quello che si registra nei paesi che hanno adottato l'euro. L'obbligo risulta ancora più assurdo in quanto si basa sull'inflazione registrata in tutti gli Stati membri dell'UE e non solo in quelli della zona euro. Recentemente fra i tre paesi presi in considerazione per la definizione del criterio della stabilità dei prezzi applicabile ai paesi che desiderano adottare l'euro c'erano degli Stati membri dell'UE-15 che non fanno parte della zona dell'euro. L'obbligo relativo alla stabilità dei prezzi per i candidati alla moneta unica va pertanto riveduto e, a tal fine, è necessaria una modifica formale del Trattato. Tenuto conto però del fatto che una tale modifica non è prevista neanche nel Trattato costituzionale, essa potrebbe richiedere talmente tanto tempo che la maggior parte dei paesi che desiderano introdurre l'euro si vedrebbero costretti a cercare di soddisfare i requisiti vigenti attualmente. Si dovrebbe piuttosto ricorrere a un'interpretazione più flessibile del Trattato, in base alla quale il criterio decisivo per un'eventuale adozione della moneta unica siano gli obiettivi perseguiti applicando un determinato criterio e non la situazione del momento. Sarebbe logico che, in materia di stabilità dei prezzi, per i paesi candidati alla moneta unica valesse il medesimo obiettivo previsto per i paesi della zona euro. Se tale obiettivo dovesse essere fissato al 2 % ±1 punto percentuale, questo valore dovrebbe valere anche per i paesi candidati all'euro.

2.10.1

Nei paesi che registrano una crescita economica particolarmente sostenuta potrebbe inoltre essere necessario adottare un approccio più flessibile in materia di stabilità dei prezzi. Un'inflazione piuttosto elevata può costituire un aspetto inevitabile dell'adeguamento che un'economia in rapida crescita comporta e l'Irlanda è un valido esempio di questo fenomeno.

2.11

L'inflazione è una misura di natura statistica necessaria per definire la politica economica. I cittadini, tuttavia, vivono l'aumento dei prezzi in maniera diversa, risentendo pesantemente degli aumenti degli affitti, dei prodotti alimentari, dei prezzi del petrolio, ecc. Ben pochi, invece, notano che il prezzo di alcuni prodotti scende. L'aspetto più grave, comunque, è costituito dal fatto che persone diverse reagiscano in maniera molto diversa. Quando l'aumento dei prezzi riguarda essenzialmente i beni di prima necessità, sono le fasce meno abbienti ad essere maggiormente colpite, dal momento che un aumento generale dei prezzi del 2-3 % può determinare un considerevole aumento del costo della vita. I politici devono tenere conto di questi effetti e contrastarli con varie misure politiche. Non si tratta tanto di una questione di ambito di applicazione della politica del bilancio quanto del suo contenuto specifico.

3.   Il Patto di stabilità e di crescita del 2005

3.1

È cambiata la politica degli Stati membri dalla revisione del Patto di stabilità e di crescita, ed è cambiata la valutazione dei diversi paesi effettuata dalla Commissione e successivamente dal Consiglio? In linea di massima la risposta è negativa. Sembrerebbe che solo la Lituania si sia riferita esplicitamente alle definizioni di deficit stabilite dal nuovo Patto. In seguito alla nuova versione del Patto tutti gli Stati membri, nel frattempo, hanno fissato degli obiettivi nazionali a medio termine in materia di finanze pubbliche. Tali obiettivi si basano sull'attuale situazione di ciascun paese.

3.2

A seguito degli sviluppi economici successivi alla revisione del Patto, è logico che quest'ultimo non abbia avuto effetti visibili. Le modifiche introdotte si riferivano per lo più a periodi di congiuntura sfavorevole, mentre recentemente si sono registrati una ripresa dell'economia e miglioramenti rivelati anche dagli indicatori stabiliti dal Patto.

3.3

In base alle prospettive economiche per il 2005 e 2006, soprattutto alla luce degli sviluppi più positivi intervenuti in Germania, ci si può attendere, in generale, un maggiore rispetto degli indicatori del Patto di stabilità e di crescita. Il fatto che ciò avvenga in presenza di prezzi del petrolio estremamente elevati dimostra che i miglioramenti sul piano economico sono alquanto seri. Le conseguenze dell'aumento del prezzo del petrolio possono avere ripercussioni diverse nei vari paesi, a seconda del grado di dipendenza dalle importazioni di greggio. Anche nei periodi di congiuntura favorevole, però, alcuni paesi sono ancora lungi dal realizzare l'equilibrio di bilancio; essi dovrebbero però beneficiare della tendenza positiva registrata in altri paesi dell'UE.

3.4

Nella maggior parte dei paesi, il tasso di crescita realizzato o previsto non è però tale da richiedere l'adozione della linea dura in termini di bilancio prevista dal Patto per migliorare l'equilibrio di bilancio nei periodi di congiuntura favorevole. Fino a quando l'utilizzo delle capacità disponibili non avrà raggiunto un livello tale da provocare pressioni inflazionistiche, l'applicazione di una politica prociclica sarà poco probabile. La disoccupazione è ancora a livelli eccessivi e vi è un notevole margine per una maggiore partecipazione al mercato del lavoro. L'interazione tra politica finanziaria e politica monetaria è soggetta a nuove pressioni rispetto alla congiuntura estremamente sfavorevole degli anni precedenti. Nei periodi caratterizzati da uno sviluppo economico favorevole, la politica economica dovrebbe concentrarsi soprattutto sulla pianificazione per far fronte ai problemi economici che si verificheranno a causa dello sviluppo demografico.

3.5

In un contesto economico favorevole, gli obiettivi generali dell'UE in materia di bilancio e di debito pubblico non sono sufficienti. Gli Stati membri che hanno già conseguito tali obiettivi non possono adagiarsi sugli allori: è di fondamentale importanza che gli obiettivi nazionali fissati a norma del nuovo Patto di stabilità e di crescita vengano utilizzati anche per migliorare la situazione economica.

3.6

Oltre al fatto che alla base dei problemi incontrati nel rispettare gli indicatori del Patto vi era soprattutto la congiuntura sfavorevole nel periodo precedente al 2005, ci sono delle spiegazioni statistiche di cui solo raramente si tiene conto. In un'economia contraddistinta da un'inflazione bassa, se non addirittura estremamente bassa, il valore reale del debito pubblico rimane invariato. Si tratta di una situazione senza facili soluzioni, ragion per cui è necessario piuttosto introdurre misure concrete per ridurre il debito. Il contrario vale invece in assenza di crescita economica. In presenza di una crescita sostenuta il debito pubblico in quanto percentuale del PIL si riduce senza necessità di intervenire. Per l'equilibrio di bilancio le conseguenze sono simili. In presenza di un'inflazione elevata il valore degli aiuti pubblici si riduce, per cui da un punto di vista statistico l'equilibrio di bilancio migliora. In caso di crescita, le entrate pubbliche aumentano senza bisogno di ricorrere alla pressione fiscale. Negli ultimi tempi l'impatto statistico negativo sul debito pubblico e sull'equilibrio di bilancio è stato soppiantato in una certa misura da effetti statistici positivi.

3.7

Tra le conseguenze degli anni bui vi è la tendenza a un risparmio insolitamente alto. La mancanza di possibilità di investimento in Europa ha determinato una fuga di capitali verso gli Stati Uniti. Con un aumento della fiducia nell'economia derivante da una congiuntura più favorevole, ci si può aspettare che la gente risparmi di meno perché nutrirà minori preoccupazioni per il futuro. Dovrebbe quindi attivarsi un circolo virtuoso grazie ad una domanda sempre più sostenuta.

3.8

Va segnalato infine che la politica finanziaria dell'UE presenta un problema particolare, dovuto al fatto che le persone responsabili della sua definizione ed applicazione cambiano continuamente. Può succedere che in un anno venga sostituito un quarto dei ministri delle finanze, e che i nuovi ministri non si identifichino pienamente con le politiche introdotte dai loro predecessori. L'Ecofin deve quindi prendere un maggior numero di decisioni a lungo termine in modo da evitare che una nuova serie di ministri possa rendere vana una politica già introdotta. Il costante susseguirsi di ministri impedisce anche il costituirsi di un Ecofin dotato della volontà politica di attuare una politica comune.

4.   Gli orientamenti economici e il processo di Lisbona

4.1

«Gli indirizzi di massima per le politiche economiche» esistono dal 1993. Mentre inizialmente vertevano esclusivamente sulla politica finanziaria, si sono successivamente estesi alle questioni occupazionali per inglobare poi, a partire dal 2005, anche gli orientamenti per l'occupazione e l'agenda di Lisbona in modo da costituire un processo unico. Si tratta in pratica di politiche nazionali in merito alle quali la Commissione e il Consiglio formulano degli orientamenti, mentre non sono previste sanzioni pecuniarie come invece avviene nel caso del Patto di stabilità e di crescita.

4.2

La discussione che ha preso piede dalla creazione dell'UEM è stata dominata dallo squilibrio tra una politica monetaria centralizzata e una politica finanziaria di natura prettamente nazionale. Il Patto di stabilità e di crescita è un «ibrido» all'interno del quale esistono anche elementi sanzionatori e di politica comune, mentre gli orientamenti economici si fondano su raccomandazioni che gli Stati membri possono scegliere se seguire o meno.

4.3

Quali sono gli strumenti che permetterebbero di sviluppare gli orientamenti economici? Per individuarli è necessario effettuare una chiara distinzione tra la fissazione degli obiettivi di politica economica e la scelta degli strumenti da adottare per cercare di conseguire tali obiettivi.

4.4

Per quanto riguarda il Patto di stabilità e di crescita, nel dibattito pubblico l'equilibrio di bilancio e il debito pubblico in percentuale del PIL sono ormai considerati dei veri e propri obiettivi. Tuttavia questi due criteri di per sé non rappresentano degli obiettivi ma piuttosto degli indicatori che mostrano in che direzione si orienta la politica. Grazie all'equilibrio o al disavanzo dei bilanci pubblici si creano delle disponibilità di cui ci si può avvalere in caso di recessione economica. Il saldo di bilancio è quindi uno strumento che consente di utilizzare, in un secondo momento, delle risorse finanziarie per stimolare l'economia. A giudizio del CESE, gli indicatori dell'equilibrio di bilancio e del debito pubblico vanno mantenuti, mentre la discussione va portata avanti tenendo conto dei veri obiettivi della politica economica.

4.5

Gli obiettivi globali della politica economica nel suo insieme, vale a dire sia di quella monetaria che di quella finanziaria, sono la stabilità dei prezzi, la crescita e la piena occupazione. Sono questi gli obiettivi che vanno formulati. Il tema della stabilità dei prezzi è già stato affrontato. È pertanto opportuno che gli orientamenti economici poggino anche su definizioni della crescita auspicata e della piena occupazione messe a punto a livello europeo. Ciò solleva seri problemi sul piano pratico. Affinché gli obiettivi siano realistici, vanno messi in relazione con la situazione economica attuale. Ciò significa che può essere necessario modificarli con una certa frequenza e che non possono essere fissati nel lungo periodo, contrariamente all'obiettivo della stabilità dei prezzi.

4.6

Si può discutere dell'opportunità di ricorrere alla crescita come indicatore dello sviluppo economico, dato che il metodo generalmente utilizzato non tiene conto dell'impatto sociale e ambientale. Se invece si prende in considerazione unicamente la crescita economica, esistono due indicatori ormai riconosciuti: la crescita del PIL reale pro capite e la medesima crescita misurata in termini di parità di potere d'acquisto (PPA). Quest'ultima si propone di portare a un denominatore comune la situazione economica effettiva di paesi diversi. L'indicatore prescelto non riveste alcuna importanza dal momento che ciò che si vuole stabilire è il tasso di crescita. Le differenze da un anno all'altro a seconda del tipo di PIL misurato sono minime. Qualche anno fa si è tentato di stabilire il tasso di crescita necessario per determinare un calo della disoccupazione. L'obiettivo era quello di realizzare almeno tale crescita (3 % circa), obiettivo che però può variare col tempo e non dev'essere necessariamente identico per tutte le economie. Tuttavia, alla luce dei problemi incontrati nel ridurre la disoccupazione, è difficile immaginare che essa possa diminuire a partire da un obiettivo di crescita inferiore. Eppure, nel corso degli ultimi anni, solo pochi paesi hanno raggiunto questo livello minimo di crescita.

4.7

Nel confronto tra paesi e scelte politiche intese a promuovere la crescita, è importante effettuare una distinzione tra i due metodi principali adottati per realizzare la crescita. Quest'ultima si realizza infatti grazie ad un aumento della produzione avvalendosi delle stesse tecnologie, solitamente aumentando la manodopera, oppure accrescendo la produttività. In tal caso si produce di più avvalendosi della stessa manodopera. Nei prossimi anni sarà ancora possibile utilizzare il primo metodo, mentre in futuro si potrà ricorrere solo al secondo, a causa delle tendenze demografiche.

4.8

Per quanto riguarda l'occupazione, è decisamente più difficile stabilire un obiettivo. Esso deve infatti presentare due aspetti: da un lato, deve indicare, in proporzione, quanta parte della popolazione in età lavorativa è attiva sul mercato del lavoro (tasso di occupazione) e, dall'altro, deve indicare quante di queste persone sono disoccupate. L'agenda di Lisbona ha fissato degli obiettivi relativi alla proporzione della forza lavoro complessiva (70 %), relativa alle donne (60 %) e alle persone di età compresa tra i 55 anni e l'età pensionabile (50 %).

4.9

Per quanto riguarda la disoccupazione, non sono stati fissati obiettivi espressi in percentuale. Anzitutto, esistono vari metodi per calcolare chi va inserito tra i disoccupati. Tuttavia occorre stabilire almeno due obiettivi, considerato che, da un lato, esiste una disoccupazione aperta e, dall'altro, vi sono persone che rientrano in una qualche forma di iniziativa politica in materia di mercato del lavoro. Dal momento che il numero dei paesi che si avvicinano alla cosiddetta piena occupazione (vale a dire una percentuale minima di disoccupati, che è inevitabile in un'economia dinamica in cui devono esserci dei mutamenti costanti) è estremamente basso, potrebbe invece essere opportuno fissare come obiettivo più a lungo termine una certa riduzione, in percentuale, della disoccupazione.

4.10

In base a tale ragionamento si può concludere che gli orientamenti economici triennali dovrebbero proporre anzitutto un livello minimo di crescita economica e un tasso di riduzione della disoccupazione. Come obiettivo di partecipazione al mercato del lavoro, fino a nuovo ordine si potrebbero mantenere invariate le percentuali definite nel quadro dell'agenda di Lisbona. Per quanto riguarda la politica finanziaria, è necessario un quadro simile a quello della politica monetaria, con obiettivi chiari che consentano di valutare le politiche attuate.

4.11

Il ruolo degli orientamenti economici dovrebbe essere quindi essenzialmente quello di indurre gli Stati membri a riferire in merito alle misure adottate per realizzare gli obiettivi stabiliti, e far sì che in un secondo momento la Commissione e il Consiglio possano valutare fino a che punto i risultati sono stati soddisfacenti. Nel caso della mancata realizzazione degli obiettivi stabiliti, l'UE dovrebbe poter criticare le misure adottate e presentare proposte prendendo come riferimento le politiche che hanno dato risultati positivi in altri paesi. Ogni paese va tuttavia valutato in funzione delle circostanze specifiche in cui si trova e della situazione economica in cui versa al momento della valutazione.

4.12

Dal momento che la politica finanziaria continua a rientrare tra le competenze nazionali, non è del tutto giustificato porre l'accento, come si fa attualmente, sulla situazione economica generale dell'UE al momento di valutare la politica attuata dai singoli paesi. Gli orientamenti di massima per le politiche economiche vanno quindi modificati. Gli orientamenti futuri dovranno fissare degli obiettivi nazionali di natura generale che non dovranno, tuttavia, essere meno ambiziosi di quelli stabiliti per l'UE nel suo insieme, e i singoli paesi andranno valutati in funzione della misura in cui avranno realizzato tali obiettivi.

4.13

Ponendo maggiormente l'accento sulle azioni intraprese dai singoli Stati membri, alla luce della loro situazione economica, e stabilendo legami più stretti con i chiari obiettivi in materia di occupazione fissati dall'agenda di Lisbona, gli orientamenti economici potrebbero trovare un più stretto aggancio con le altre iniziative previste dall'agenda di Lisbona. La politica economica globale potrebbe integrarsi in maniera più naturale nei programmi nazionali di riforma previsti dall'agenda di Lisbona, accelerando così l'attuazione dell'intera agenda.

5.   La formazione dei salari e gli orientamenti economici

5.1

Nel 1999 fu avviato quello che ora viene chiamato il processo di Colonia. Questo forum di discussione sulla politica in corso, che riunisce annualmente l'Ecofin, la BCE, la Commissione e le parti sociali (la CES e l'UNICE/CEEP), pur essendo poco conosciuto, probabilmente ha contribuito in maniera significativa a far sì che i partecipanti acquisissero una maggiore conoscenza reciproca delle loro politiche e delle loro posizioni in materia di politica economica.

5.2

Tale discussione si svolge a due livelli: quello degli esperti e quello di un gruppo di alto livello. Generalmente le riunioni si tengono ogni sei mesi e vertono sull'analisi della situazione economica attuale, nonché sulla politica da attuare.

5.3

Dalle discussioni e conclusioni raggiunte nel 2005 emerge il grado di divergenza tra le parti, sia per quanto riguarda le analisi effettuate che per le misure proposte. Mentre la Commissione sottolinea che la situazione economica ha registrato un miglioramento, la BCE ribadisce l'importanza di attuare una politica di moderazione salariale, concetto che si ritrova naturalmente anche nei contributi dell'UNICE. Il CEEP, inoltre, rammenta la necessità di effettuare investimenti pubblici, mentre l'Ueapme non parla solo dell'importanza di tenere conto delle piccole imprese, ma segnala anche che forse occorrerà accettare un tasso di inflazione più elevato. La CES evidenzia la necessità di stimolare l'economia in generale per dare un impulso alla domanda interna, ribadendo che i salari non rappresentano solamente un costo bensì anche la condizione principale per la domanda e che per molti anni i salariati hanno fatto del loro meglio per contenere l'inflazione accettando degli aumenti salariali inferiori agli aumenti della produttività.

5.4

Vista la situazione appena descritta, ci si può legittimamente chiedere se non sia opportuno rilanciare il processo di Colonia. Ma come si può procedere? Finora il dialogo portato avanti dal processo di Colonia verteva sull'organizzazione di riunioni finalizzate allo scambio di punti di vista. Una possibilità consisterebbe nell'elaborare, nell'intervallo fra le riunioni, studi congiunti sulle interazioni economiche, sull'effetto di diverse misure politiche e su questioni analoghe. Ciò potrebbe contribuire ad avvicinare le parti per quanto riguarda la loro percezione della realtà economica che deve servire da punto di partenza. Questa proposta può essere collegata anche con la precedente proposta del CESE relativa alla creazione di un organismo di studi economici indipendenti. (1)

5.5

Una questione che non ha la stessa valenza ideologica ma che riveste comunque un'importanza determinante per il tipo di politica attuata, è quella dell'attendibilità delle statistiche. La capacità di tutti gli Stati membri di mettere simultaneamente a disposizione le statistiche necessarie dovrebbe essere scontata. Valutare il tipo di politica da attuare in base a dati statistici errati dà risultati catastrofici. Le discussioni che si svolgono nel quadro del processo di Colonia rappresentano forse la sede più opportuna per far comprendere nel modo più adeguato a tutte le parti interessate l'importanza di rispettare gli obblighi in materia di statistiche economiche. Anche il Parlamento europeo ha ripetutamente sottolineato la necessità di statistiche migliori.

5.6

Forse anche il fatto di modificare la struttura formale permetterebbe di animare la discussione. Si dovrebbe rafforzare il ruolo del Parlamento europeo, passando da una presenza formale ad una situazione in cui, in vista di ogni riunione, il Parlamento presenta una risoluzione sulla situazione economica e sulla politica auspicata. Tale valutazione potrebbe essere confrontata con il resoconto più formale che molto probabilmente sarà presentato dalla Commissione. Dovrebbero essere presenti sia l'Ecofin che l'Eurogruppo in modo che non siano rappresentati solo i ministri delle finanze, ma anche i ministri direttamente responsabili della politica finanziaria che va combinata con la politica monetaria della BCE.

5.7

Anche se ogni parte interessata (la BCE, i ministri delle finanze e le parti sociali) risponde della propria politica in maniera indipendente, è assolutamente necessario realizzare una maggiore cooperazione, come del resto auspica il CESE stesso. Essere indipendenti non significa non partecipare al dibattito generale e non vuol dire nemmeno che non bisogna seguire i consigli validi. L'indipendenza non viene meno neanche se una parte si esprime pubblicamente invece di continuare ad affermare che effettua tutte le valutazioni indipendentemente e in piena autonomia. I ministri delle finanze devono essere coerenti e non possono fare delle dichiarazioni a Bruxelles e poi agire diversamente nel loro paese. La Banca centrale europea dovrebbe poter pubblicare i verbali delle sue riunioni, come già fanno le banche centrali di Gran Bretagna e Svezia.

6.   Qual è il legame tra inflazione e crescita?

6.1

A proposito degli orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione, il 26 maggio 2005 il Parlamento europeo scriveva che: «(…) la crescita nella zona euro e quella dell'Unione europea a 25 non riescono a conseguire stabilmente il loro livello potenziale e restano troppo deboli, segnatamente nelle quattro principali economie della zona euro; che i consumi dei nuclei familiari restano poco sostenuti e le prospettive economiche per il 2005 e 2006 sono insoddisfacenti, che tali fattori contribuiscono a mantenere alto il tasso di disoccupazione, destinato a calare soltanto lentamente; che malgrado tassi di interesse a livelli minimi dopo la seconda guerra mondiale resta fiacca la propensione agli investimenti (…)».

6.2

La classica dicotomia che ricorre nella letteratura economica è quella tra l'inflazione e la disoccupazione. Sembra che, in termini statistici, buoni risultati su un versante implichino risultati insoddisfacenti sull'altro. Il Comitato, basandosi fra l'altro su considerazioni come quelle del Parlamento, ha preferito invece cercare di mettere in evidenza le relazioni tra inflazione e crescita.

6.3

In una determinata situazione economica si può paragonare la crescita dei paesi con un basso tasso di inflazione con quella dei paesi che presentano un tasso di inflazione elevato. È inoltre possibile osservare come nello stesso paese, con il variare dell'inflazione, vari anche la crescita. Le nostre tabelle non saranno forse scientificamente rigorose, tuttavia mostrano chiaramente che è importante essere consapevoli del legame tra i due fattori per trovare il policy mix più adeguato.

6.4

Osservando che vi sono paesi che presentano un tasso d'inflazione relativamente elevato e un tasso di crescita sostenuto, e altri in cui il tasso d'inflazione è ridotto e il tasso di crescita limitato, sembrerebbe logico chiedersi se vi sia qualcosa di più di un nesso statistico tra inflazione e crescita. Per stabilire se si tratta veramente di nessi casuali, occorre introdurre qualche correzione di carattere statistico, visto che le situazioni economiche e soprattutto i livelli di sviluppo (PIL) possono variare. Occorre altresì accertare se siano state attuate misure economiche particolari che avrebbero potuto determinare una crescita più o meno bassa/alta in presenza di un tasso di inflazione diverso. Ciò significa che ci si concentra spesso su determinati paesi, motivo per cui forse non è possibile giungere ad una conclusione sui nessi generali tra inflazione e crescita.

6.5

Il tasso di crescita pone un vero e proprio problema, almeno per i «vecchi» paesi dell'UE a 15. Secondo le statistiche della Commissione, sembra che la crescita in questi paesi abbia toccato un livello talmente basso da far loro perdere annualmente circa mezzo punto percentuale del PIL rispetto ad altri paesi industrializzati (1995-2005) (2). Nello stesso periodo la domanda interna in tali paesi ha subito un crollo di un punto percentuale circa rispetto agli altri paesi industrializzati. La congiuntura favorevole che ha segnato i primi anni del nuovo millennio era interamente dovuta a un aumento della domanda di prodotti europei in altri paesi. Al fine di mettere a punto una politica più vantaggiosa per il futuro, occorre analizzare le cause di questa evoluzione quasi catastrofica del tasso di crescita.

6.6

Possiamo confrontare questa descrizione dei «costi» di un basso livello di inflazione con un'altra descrizione dei costi di un'inflazione elevata che figura in una lettera trasmessa al Parlamento dall'ex presidente della BCE Wim DUISENBERG: «La definizione quantitativa data dalla BCE della stabilità dei prezzi si riferisce a criteri economici sani e consolidati. Autorizzando solo un tasso di aumento limitato del livello dei prezzi, questa definizione permette di ridurre al minimo i costi dell'inflazione che sono ben noti all'opinione pubblica e ampiamente documentati nella letteratura economica.»

6.7

Nel mettere a punto l'obiettivo ottimale per l'inflazione, è essenziale tenere presente la necessità di evitare i costi dovuti ad un'elevata inflazione, nonché quelli risultanti dalla difficoltà di garantire una crescita soddisfacente. È inoltre importante riconoscere che l'inflazione di per sé non rappresenta né una soluzione né un problema; si tratta piuttosto della flessibilità apportata all'economia da un determinato tasso di inflazione e dell'impatto catastrofico di un'inflazione eccessivamente elevata sulla fiducia, sulla visione a lungo termine e sulla distribuzione del reddito.

6.8

L'allegato riporta i dati sull'inflazione (IAPC e inflazione di fondo) e sulla crescita (crescita reale del PIL) negli Stati membri dell'UE. I dati risalgono all'anno in cui iniziò ad operare la Banca centrale europea.

6.8.1

In linea di massima emerge un periodo contraddistinto da un basso livello di inflazione e da una crescita limitata. Solo nel corso del 2001 e 2002 il tasso di crescita ha raggiunto un livello quasi accettabile, fenomeno questo che in alcuni paesi si è verificato nel 2004. Per quasi tutti questi paesi l'inflazione e la crescita vanno di pari passo. Dopo i tassi di crescita registrati nei primi anni (1999-2000) a seguito della domanda sostenuta sui mercati mondiali, la domanda interna dell'UE non è stata capace di generare un tasso di crescita adeguato. Comunque l'inflazione non ha superato di molto il 2 % né in quel periodo né in questi ultimi anni segnati da una ripresa economica.

6.8.2

Potremmo commentare la situazione nei diversi paesi, ma ci limiteremo a quanto segue:

 

alcuni paesi non rientrano nel quadro contraddistinto da un basso livello di inflazione e da un tasso di crescita limitato, situazione che interessa gran parte dei paesi. L'Irlanda, dove si registra un elevato tasso di inflazione e di crescita, è stata in grado di mantenere un tasso di crescita più sostenuto mentre l'inflazione ha rallentato. La Grecia combina un'elevata inflazione con un elevato tasso di crescita, mentre in Italia e in Portogallo si registra un tasso di inflazione leggermente troppo alto con una crescita virtualmente inesistente. La Spagna registra una crescita soddisfacente con un'inflazione al di sopra del 2 %. Dal dibattito pubblico che vi è in tale paese risulta evidente che la crescita suscita l'interesse dell'opinione pubblica, mentre l'elevato tasso di inflazione preoccupa solo gli economisti. La Finlandia costituisce un caso estremamente insolito in quanto nel 2004 combinava una crescita sostenuta con un'inflazione a tasso 0 (in parte dovuto alla riduzione dell'imposta sugli alcolici). La Slovenia è riuscita a ridurre costantemente l'inflazione mantenendo al medesimo tempo un tasso di crescita abbastanza elevato. La Lituania presenta invece una crescita elevata accompagnata da un'inflazione modesta, ma in aumento. La Repubblica ceca è riuscita ad aumentare la crescita senza far lievitare l'inflazione, mentre in Lettonia si è registrato il maggiore tasso di crescita di tutta l'UE, accompagnato però da un aumento estremamente elevato del tasso di inflazione.

6.8.3

Se l'inflazione costituisce il metro per misurare la domanda globale di una determinata economia, allora si deve dedurre che, fatte salve poche eccezioni, sia l'una che l'altra sono state troppo basse. Dal momento che è difficile realizzare degli adeguamenti sufficienti in economia se la variazione globale dei prezzi è minima, si può dire che l'inflazione abbia costituito un ostacolo alla crescita. Si tratta di un'affermazione politicamente scorretta, nonostante sia generalmente accettato che un certo livello di inflazione è indispensabile per lubrificare gli ingranaggi di un'economia dinamica. Nell'attuale economia globalizzata i cambiamenti dinamici sono diventati un presupposto indispensabile per far fronte alla concorrenza internazionale.

6.8.4

La stabilità e una politica monetaria credibile non dipendono da un tasso d'inflazione al di sotto del 2 %. Un livello leggermente più elevato come misura della stabilità dei prezzi non pregiudicherebbe la stabilità stessa. È più importante sapere di poter contare sulla capacità e sulla volontà di controllare l'inflazione, in modo da poter conseguire l'obiettivo stabilito.

6.9

È possibile approfondire questa analisi ricorrendo a serie temporali riferite all'inflazione di fondo. Ad eccezione del 2005, il differenziale tra l'indice dei prezzi al consumo e l'evoluzione dei prezzi (esclusi i prezzi dell'energia) è stato abbastanza limitato. Uno studio più dettagliato delle politiche specifiche attuate da paesi in cui si registra un rapporto positivo inflazione/crescita (ad esempio inflazione bassa rispetto al tasso di crescita) dovrebbe offrire una buona base per una futura operazione di benchmarking.

6.10

L'allegato riporta inoltre dati relativi alla produttività per ora lavorata. Si tratta di dati che si riferiscono non tanto alle tendenze registrate in singoli paesi quanto alla loro evoluzione rispetto alla media dell'UE-15. La tabella mostra anche se ogni singolo paese si è avvicinato a tale media.

6.10.1

La situazione non dovrebbe registrare rapidi cambiamenti nell'arco di sei anni, e ciò vale per la maggior parte dei paesi. Vi sono tuttavia diverse eccezioni, tra cui la Grecia, ad esempio, che, nonostante il basso livello di produttività, si sta rapidamente portando al livello degli altri paesi. L'Irlanda, poi, ha attualmente superato la media e continua a far registrare un incremento della produttività. Nello stesso periodo l'Italia ha perso terreno, come pure il Portogallo, che oltretutto era partito da un livello assai basso.

6.10.2

Anche in questo caso potrebbe essere utile procedere ad un'analisi più approfondita. Sarebbe ad esempio interessante stabilire fino a che punto le variazioni della produttività abbiano inciso sul tasso di crescita, in che misura i diversi tassi di aumento della produttività dipendano da differenze a livello dell'innovazione e degli investimenti, in che misura le differenze dei sistemi di istruzione determinino differenze sul piano dell'innovazione o che altre procedure esistano per aumentare la produttività. Il CESE invita pertanto la Commissione ad esaminare il nesso tra gli obiettivi relativi alla crescita globale e all'occupazione e, ad esempio, l'aumento della produttività e i livelli di inflazione.

6.11

Una conclusione preliminare che fin d'ora si può trarre dalle statistiche relative all'inflazione e alla crescita è che occorre migliorare il coordinamento tra la politica monetaria e quella finanziaria, in modo che la stabilità dei prezzi, la crescita e l'occupazione siano obiettivi importanti per tutti i responsabili della politica economica: Banca centrale europea, Commissione, Ecofin, parti sociali e Stati membri. Se tutte le parti coinvolte si propongono lo stesso obiettivo, cioè se fondano le misure proposte sui tre obiettivi di cui sopra, esse saranno poi obbligate anche a tenere conto di tutte le conseguenze derivanti dalle proposte avanzate. Le misure più indicate per conseguire la stabilità dei prezzi in una data situazione economica possono essere totalmente inadeguate in un'altra. In determinati contesti possono promuovere la crescita e l'occupazione, mentre in altri possono avere esattamente l'effetto opposto.

6.12

Nel Bollettino mensile della BCE del 24 febbraio 2004 si ritrova il segno di una nuova consapevolezza in seno alla BCE, consapevolezza che potrebbe rappresentare la base di una nuova politica globale. Nel documento vengono indicati i principali fattori intesi ad incentivare gli investimenti, ovvero una redditività soddisfacente, sufficienti possibilità di accedere ai finanziamenti e condizioni tali da garantire la domanda.

Bruxelles, 26 ottobre 2006

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU C/2006/88/68 «Il rafforzamento della governance economica — La riforma del Patto di stabilità e di crescita».

(2)  Base dati Ameco della Commissione europea

(http://ec.europa.eu/economy_finance/indicators/annual_macro_economic_database/ameco_en.htm). Confronto tra la crescita del PIL nell'UE 15 e quella registrata in un gruppo di paesi industrializzati di riferimento (costituito da USA, Canada, Giappone, Corea, Australia, Nuova Zelanda, Norvegia e Svizzera).


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