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Document 52005AE0527

    Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2003/88/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro COM(2004) 607 def. — 2004/0209 (COD)

    GU C 267 del 27.10.2005, p. 16–21 (ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, IT, LV, LT, HU, NL, PL, PT, SK, SL, FI, SV)

    27.10.2005   

    IT

    Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

    C 267/16


    Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2003/88/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro

    COM(2004) 607 def. — 2004/0209 (COD)

    (2005/C 267/03)

    Il Consiglio, in data 20 ottobre 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

    La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 aprile 2005, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice ENGELEN-KEFER.

    Il Comitato economico e sociale europeo, in data 11 maggio 2005, nel corso della 417a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 160 voti favorevoli, 101 voti contrari e 8 astensioni.

    1.   Introduzione

    1.1

    La Commissione europea, in data 22 settembre 2004, ha presentato la «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2003/88/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro» (1).

    1.2

    Nella relazione introduttiva alla proposta di modifica la Commissione afferma, da un lato, che la necessità di riesaminare la direttiva è imposta dalla direttiva stessa. Essa contiene infatti due disposizioni che prevedono un riesame entro il 23 novembre 2003. Tali disposizioni riguardano le deroghe al periodo di riferimento per l'applicazione dell'art. 6 (durata massima settimanale del lavoro) e la facoltà di non applicare l'art. 6 qualora il lavoratore interessato dia il proprio assenso (art. 22: opt-out individuale). D'altro lato, la Commissione rileva che l'interpretazione di tali disposizioni data dalla Corte di giustizia ha inciso sulla nozione di «orario di lavoro» e, di conseguenza, su talune disposizioni fondamentali della direttiva, che vanno pertanto riesaminate.

    1.3

    Sempre secondo la relazione introduttiva, dalla consultazione in due fasi prevista dal Trattato risulta che le parti sociali hanno declinato l'invito della Commissione ad aprire negoziati in questo settore e hanno chiesto invece di presentare una proposta di direttiva.

    1.4

    La Commissione sottolinea inoltre la necessità di una soluzione equilibrata che affronti le principali questioni sottoposte all'esame delle parti sociali e soddisfi determinati criteri. In particolare, essa deve:

    garantire una maggiore protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori nel quadro dell'orario di lavoro,

    dare alle imprese ed agli Stati membri una maggiore flessibilità nella gestione dell'orario di lavoro,

    rendere più compatibili la vita professionale e quella familiare,

    evitare di imporre oneri eccessivi alle imprese, soprattutto alle PMI (2).

    1.5

    Secondo la Commissione, la proposta in esame tiene conto dei summenzionati criteri.

    2.   Sintesi della proposta

    2.1   Definizioni (art. 2)  (3)

    2.1.1

    La definizione di «orario di lavoro» rimane invariata. Vengono però inserite due nuove definizioni: «servizio di guardia» e «periodo inattivo del servizio di guardia». Quest'ultimo viene definito come periodo durante il quale il lavoratore è di guardia, «ma non è chiamato dal suo datore di lavoro ad esercitare la propria attività o le proprie funzioni» (art. 2, punto 1 ter).

    2.1.2

    Al tempo stesso, il nuovo testo sancisce che «il periodo inattivo del servizio di guardia non è considerato come orario di lavoro, a meno che la legge nazionale o, conformemente alla legislazione e/o alle pratiche nazionali, un contratto collettivo o un accordo tra parti sociali non dispongano altrimenti» (art. 2 bis).

    2.2   Periodi di riferimento (artt. 16 e 19) e periodo compensativo (art. 17)

    2.2.1

    Il periodo di riferimento per la durata massima settimanale del lavoro di cui all'art. 6 resta fondamentalmente limitato a un arco di tempo «non superiore a quattro mesi». Si propone di integrare il testo della direttiva inserendo una disposizione in base alla quale «gli Stati membri possono, per via legislativa o regolamentare, per ragioni oggettive o tecniche o per ragioni riguardanti l'organizzazione del lavoro, portare tale periodo di riferimento a dodici mesi» (art. 16, lettera b)). In tale contesto vanno però rispettati i principi generali in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, nonché quelli relativi alla consultazione delle parti sociali, ed è necessario promuovere il dialogo sociale.

    2.2.2

    In caso di deroga al periodo di riferimento relativo alla durata massima settimanale del lavoro in virtù di un contratto collettivo, il limite di sei mesi finora previsto non si applica. Gli Stati membri hanno tuttavia la facoltà di consentire che, per ragioni obiettive, tecniche o inerenti all'organizzazione del lavoro, «i contratti collettivi o gli accordi conclusi tra le parti sociali fissino periodi di riferimento, relativi alla durata massima settimanale del lavoro, che non superino in alcun caso i dodici mesi» (art. 19). In tale contesto vanno rispettati i principi generali della protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori.

    2.2.3

    L'art. 3 e l'art. 5 della direttiva prevedono rispettivamente per ogni periodo di 24 ore un periodo di riposo giornaliero di 11 ore consecutive, e per ogni periodo di 7 giorni un periodo di riposo ininterrotto di 24 ore a cui si sommano le 11 ore di riposo giornaliero. In caso di deroga a queste disposizioni, ai lavoratori devono essere concessi periodi di riposo compensativo equivalenti. Per quanto riguarda queste possibilità di deroga ai requisiti minimi previsti dalla direttiva nel caso di determinate attività o categorie di lavoratori, tra cui quelli che operano nel settore sanitario, viene precisato il limite di tempo ragionevole entro il quale vanno concessi equivalenti periodi di riposo compensativo, specificando che non deve essere «superiore a 72 ore» (art. 17, par. 2).

    2.3   Opt-out individuale (art. 22)

    2.3.1

    A norma della direttiva vigente, gli Stati membri, a determinate condizioni, hanno facoltà di non applicare l'art. 6 relativo alla durata massima settimanale del lavoro, purché il lavoratore dia il suo consenso. La proposta di modifica mantiene questa possibilità di opt-out individuale, ma prevede espressamente che vi si possa ricorrere solo a condizione che ciò sia previsto da un contratto collettivo. Qualora non sia in vigore alcun contratto collettivo e non vi sia una rappresentanza aziendale, continuerà ad essere possibile non applicare l'art. 6 relativo alla durata massima settimanale del lavoro mediante un accordo individuale con il lavoratore. Anche in questo caso vanno rispettati i principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori.

    2.3.2

    Per quanto riguarda il ricorso alla facoltà individuale di non applicare talune disposizioni (opt-out), le seguenti condizioni sono nuove rispetto alla direttiva in vigore:

    la validità del necessario accordo del lavoratore non può essere superiore a un anno, rinnovabile; qualora il consenso sia stato dato all'atto della firma del contratto di lavoro o durante il periodo di prova, esso è nullo,

    gli Stati membri devono garantire che nessun lavoratore presti più di 65 ore di servizio alla settimana, a meno che il contratto collettivo o un accordo tra le parti sociali non dispongano altrimenti,

    nei registri che il datore di lavoro è obbligato a tenere va indicato il numero delle ore di servizio effettivamente prestate e il datore di lavoro, su richiesta, deve comunicare tali dati alle autorità competenti.

    2.3.3

    La proposta di modifica prevede inoltre che la Commissione europea, al più tardi cinque anni dopo l'entrata in vigore della direttiva, presenti una relazione sull'attuazione della direttiva, in particolare in merito all'opt-out individuale.

    3.   Valutazione generale

    3.1

    Avendo posizioni molto divergenti in merito alla revisione della direttiva, le parti sociali europee non hanno fatto ricorso alla possibilità di concludere accordi prevista dall'art. 139 del Trattato CE. I punti di vista contrastanti emersi dalla seconda fase di consultazione effettuata dalla Commissione europea vengono presentati nella relazione introduttiva della proposta di direttiva all'esame. Mentre la Confederazione europea dei sindacati (CES) era disposta ad avviare i negoziati, l'UNICE, alla luce delle reazioni della CES ai documenti di consultazione della Commissione, non ha visto alcuna possibilità […] di raggiungere un accordo sulla revisione della direttiva attraverso negoziati nel quadro del dialogo sociale  (4). Il Comitato deplora che non vi siano stati negoziati fra le parti sociali. Ritiene tuttavia che il suo compito non sia quello di sostituirsi a tali negoziati. Piuttosto, ribadisce nuovamente che le parti sociali devono avere un ruolo essenziale proprio per quanto riguarda la questione dell'orario di lavoro (5). A suo giudizio, la Commissione e il Consiglio dovrebbero cercare, assieme al Parlamento europeo, un compromesso che tenga conto in modo equilibrato degli interessi di entrambe le parti sociali. Il Comitato, nel presente parere, si limiterà pertanto a formulare alcune considerazioni e valutazioni di ordine generale sulla proposta di modifica presentata dalla Commissione europea.

    3.2

    La globalizzazione dei mercati e delle relazioni produttive e il conseguente accentuarsi della ripartizione del lavoro a livello internazionale pongono le imprese e l'economia europea nel suo insieme dinanzi a nuove sfide. Senza dubbio la globalizzazione comporta un inasprimento della concorrenza internazionale e rende necessario adeguarsi alle condizioni del mercato in evoluzione. Questi sviluppi mettono sotto pressione anche il modello sociale europeo, la cui caratteristica è quella di combinare la forza economica e il progresso sociale. Il modello di sviluppo europeo, che trova espressione nella strategia di Lisbona, si basa su una strategia integrata per promuovere le prestazioni economiche, gli investimenti sulle risorse umane, la coesione sociale, la qualità del lavoro, un livello di protezione sociale elevato e il riconoscimento dell'importanza del dialogo sociale. Gli standard sociali minimi quale strumento fondamentale della politica sociale europea dovrebbero portare a un miglioramento del livello di protezione, onde limitare la concorrenza in materia di standard sociali ed evitare al tempo stesso distorsioni della concorrenza. La revisione della direttiva sull'orario di lavoro andrebbe esaminata in questo contesto per appurare se soddisfi o meno questo obiettivo.

    3.3

    La direttiva comunitaria sul tempo di lavoro rappresenta una prescrizione minima ai sensi del Trattato per conseguire gli obiettivi della Comunità in campo sociale. Nelle disposizioni sociali del Trattato viene sancito l'obiettivo di un «miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso» (art. 136 TCE). In tale contesto, il Trattato rinvia espressamente alla Carta sociale europea del 1961 e alla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989 e sottolinea che, nel perseguire gli obiettivi sociali della Comunità, si deve tener presente lo spirito di tali testi. A norma della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989 «ogni lavoratore deve beneficiare nell'ambiente di lavoro di condizioni di protezione sanitaria e di sicurezza soddisfacenti» e vanno adottati provvedimenti «al fine di progredire nell'armonizzazione delle condizioni esistenti in tale campo» (6). Nella Carta sociale europea del Consiglio d'Europa del 1961 (riveduta nel 1996), che è stata riconosciuta da tutti gli Stati membri dell'UE, viene sancito il diritto sociale a condizioni di lavoro eque. La Carta sociale sancisce anche l'obbligo per le Parti contraenti di «fissare una durata ragionevole per il lavoro giornaliero e settimanale in vista di ridurre gradualmente la settimana lavorativa» e di «garantire un riposo settimanale» (art. 2). Dal tenore di entrambe le Carte risulta che la limitazione e la graduale riduzione dell'orario di lavoro costituiscono un diritto sociale fondamentale e che l'armonizzazione mediante prescrizioni minime a livello europeo deve condurre al progresso sociale.

    3.4

    Con la Carta dei diritti fondamentali dell'UE, che è parte integrante della futura Costituzione europea, il diritto a una limitazione della durata massima del lavoro viene sancito come un diritto sociale fondamentale, vincolante per l'Unione. Il diritto fondamentale a condizioni di lavoro giuste ed eque viene precisato nei seguenti termini: «Ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite» (7). Il Comitato reputa che la valutazione della proposta di modifica in esame debba prendere le mosse da questa evoluzione avvenuta a livello europeo verso un diritto sociale fondamentale e debba avvenire alla luce di questi sviluppi. C'è però da chiedersi se la proposta di modifica contribuisca ad affermare questo diritto sociale fondamentale mediante prescrizioni minime applicabili in tutta Europa o se non venga introdotto piuttosto un margine di flessibilità più ampio, a vantaggio degli interessi economici, senza tener conto al tempo stesso delle esigenze di tutela dei lavoratori. In questo caso, saremmo ben lontani da una risposta adeguata alla novità dei cambiamenti da realizzare in termini di flessibilità d'impresa e di garanzie di sicurezza dei lavoratori, come esigono una società di servizi e una società della conoscenza. Ciò vale per tutte le imprese ma più particolarmente per le piccole e medie imprese e le imprese dell'economia sociale.

    3.5

    Inoltre, la proposta della Commissione europea va giudicata dalla misura in cui vengono raggiunti gli obiettivi fissati dalla Commissione stessa. Questi ultimi consistono nel fare in modo che il miglioramento della protezione della salute e della sicurezza sul lavoro sia accompagnato da una maggiore flessibilità nella gestione dell'orario di lavoro, soprattutto ai fini di una migliore compatibilità tra lavoro e famiglia, evitando nel contempo di gravare eccessivamente sulle PMI. Il Comitato ha già analizzato tali obiettivi nel proprio parere in merito alla comunicazione della Commissione relativa al riesame della direttiva sull'organizzazione dell'orario di lavoro (8) e ha rilevato che «la direttiva deve essere considerata come uno strumento che offre un margine sufficiente di flessibilità contrattata» (9) e che «la legislazione nazionale in materia di orario di lavoro si fonda generalmente sull'idea che il datore di lavoro e il lavoratore condividono la responsabilità di organizzare in modo soddisfacente il tempo di lavoro. Spetta alle parti sociali dei vari Stati membri risolvere a diversi livelli, sulla base delle norme vigenti in materia e sempre nel quadro dei contratti collettivi, i problemi di orario che emergono sul luogo di lavoro» (10). Il Comitato reputa che spetti in primo luogo agli Stati membri provvedere alla protezione generale della salute e della sicurezza sul lavoro, limitando per via legislativa la durata massima del lavoro settimanale. Le parti sociali possono invece concordare, nel quadro dei massimali fissati mediante leggi o contratti collettivi, forme flessibili dell'organizzazione dell'orario di lavoro che tengano conto delle particolari esigenze di un determinato settore garantendo al tempo stesso la salute e la sicurezza sul lavoro, al fine di conciliare la flessibilità e la sicurezza sociale. A parere del Comitato si tratta di trovare il giusto equilibrio tra flessibilità e protezione sociale, il che può essere garantito al meglio mediante contratti collettivi.

    3.6

    La direttiva in vigore consente di estendere il periodo di riferimento al di là dei 4 mesi, in caso di sovraccarico di lavoro, esclusivamente mediante contratti collettivi. La proposta di modifica in esame consente per la prima volta agli Stati membri di portare il periodo di riferimento a dodici mesi, mediante disposizioni legislative, regolamentari e amministrative.

    Il Comitato ha già affrontato la questione nel suo precedente parere, rilevando quanto segue: «dato che, in virtù dei contratti collettivi, il periodo di riferimento di dodici mesi viene già applicato in numerosi Stati membri, il Comitato ritiene che le parti sociali, grazie alla possibilità di estendere tale periodo, dispongano della flessibilità necessaria per adattare gli orari di lavoro alle diverse realtà dei vari Stati membri, dei loro comparti e delle singole imprese. Tale norma dovrebbe pertanto essere mantenuta» (11). Secondo il Comitato, i modelli di orario di lavoro flessibili concepiti nei limiti previsti dalla direttiva in vigore e sulla base dei contratti collettivi, vanno incontro anche all'interesse dei lavoratori a disporre più liberamente del proprio tempo e, in particolare, permettono di conciliare meglio il lavoro e la famiglia. Inoltre consentono di garantire la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, che è un aspetto d'importanza fondamentale.

    3.7

    Stando alla proposta della Commissione europea, il cosiddetto periodo inattivo del servizio di guardia non va considerato come orario di lavoro. Il criterio di distinzione applicato in questo contesto è quello della richiesta da parte del datore di lavoro. L'inserimento di una definizione di «servizio di guardia» e soprattutto di «periodo inattivo del servizio di guardia» non è compatibile con le sentenze della Corte di giustizia nelle cause Simap, Sergas, Jaeger e Pfeiffer, nelle quali si afferma che il fatto di «tenersi a disposizione sul luogo di lavoro» è di per sé una prestazione lavorativa e va quindi sommato all'orario di lavoro (12). La giurisprudenza della Corte di giustizia non si basa solo su un'interpretazione letterale della direttiva in vigore, ma tiene conto anche del suo significato e del suo obiettivo, nonché di strumenti giuridici internazionali quali le convenzioni ILO sulla durata del lavoro n. 1 (industria) e n. 30 (commercio e uffici) e la Carta sociale europea. Ciò significa che gli Stati membri, nella loro legislazione nazionale in materia di orario di lavoro, avrebbero dovuto uniformarsi a questa interpretazione che la Corte di giustizia ha dato del concetto di orario di lavoro di cui nella direttiva vigente.

    3.7.1

    Il criterio della richiesta del datore di lavoro fa sì che il fatto di «tenersi a disposizione» sul luogo di lavoro non venga più considerato una prestazione lavorativa. Questa posizione non riconosce il fatto che i lavoratori che prestano servizio di guardia non hanno la libertà di scegliere quali attività svolgere sul posto di lavoro, non hanno tempo libero né possono godere di un periodo di riposo. Il fatto che il lavoratore non possa disporre liberamente del proprio tempo, ma debba essere pronto ad intervenire in qualsiasi momento sul luogo di lavoro, cioè che egli debba «tenersi a disposizione», è insito nella natura stessa del servizio di guardia. Equiparando questa situazione particolare al «tempo di riposo», l'orario di lavoro risulterebbe eccessivamente lungo e metterebbe in serio pericolo la protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori interessati. Inoltre appare quasi impossibile, all'atto pratico, subordinare il periodo inattivo all'assenza di una richiesta esplicita da parte del datore di lavoro, in quanto l'esercizio di un'attività concreta dipende dalle necessità puntuali riscontrate sul posto di lavoro e non da una richiesta del datore di lavoro, come è facile comprendere nel caso delle prestazioni ospedaliere o degli interventi dei pompieri.

    3.7.2

    Il Comitato, nel suo precedente parere, ha già riscontrato che «l'elaborazione di norme che disciplinino l'orario di lavoro nei contratti collettivi è di vitale importanza per le parti sociali, che vantano grande esperienza in materia» (13). A parere del Comitato questo vale anche e soprattutto per le disposizioni in materia di organizzazione dell'orario di lavoro nel caso dei servizi di guardia. Questo aspetto dovrebbe pertanto restare di competenza delle parti sociali, fatti salvi i testi fondamentali di cui al punto 3.7, che esse sono tenute a rispettare.

    3.7.3

    Il CESE è consapevole del fatto che le condizioni alle quali viene sollecitato l'intervento del lavoratore durante il servizio di guardia sono diverse per ogni settore, ogni profilo professionale e ogni impresa. Tuttavia, secondo il Comitato, la proposta della Commissione di operare una suddivisione generale in un periodo attivo e uno inattivo del servizio di guardia non contribuisce a risolvere questi problemi pratici. Il servizio di guardia inteso come particolare forma di orario di lavoro deve essere disciplinato da norme specifiche concepite in base alle esigenze dei singoli settori e delle singole attività, che devono essere stabilite dalle parti che negoziano i contratti collettivi. La prassi dei contratti collettivi offre numerosi buoni esempi al riguardo.

    3.8

    Per quanto riguarda la concessione di periodi di riposo compensativo equivalenti in caso di deroga alle norme minime sui tempi di riposo stabiliti, la direttiva in vigore non prevede alcun termine. La precisazione contenuta nella proposta di modifica costituisce quindi un chiarimento che, però, non è in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia in materia. Nella sentenza sul caso Jaeger, la CGCE aveva infatti stabilito che i periodi di riposo compensativo dovessero essere concessi immediatamente. Il CESE ritiene che un certo grado di flessibilità nella concessione del riposo compensativo, come previsto dalla modifica, possa essere positivo sia per l'impresa che per il lavoratore interessato, tenendo conto anche della protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori. Anche in questo caso le soluzioni adeguate alle condizioni specifiche delle varie imprese devono essere stabilite dalle parti che negoziano i contratti collettivi, al livello opportuno, a seconda delle prassi nazionali.

    3.9

    La possibilità di un opt-out individuale costituisce una deroga generale alle prescrizioni minime fissate dalla direttiva in materia di durata massima settimanale del lavoro. Anche se la proposta di modifica introduce alcune condizioni supplementari in grado di limitare gli abusi, il fatto che la possibilità di deroga individuale sia fondamentalmente subordinata a un contratto collettivo non deve però far dimenticare che, in tal modo, la responsabilità in materia di protezione della salute e della sicurezza sul lavoro mediante una limitazione, per via legislativa, della durata massima del lavoro settimanale, passa dagli Stati membri alle parti sociali. Inoltre si può continuare ad applicare questa deroga qualora non sia in vigore alcun contratto collettivo e qualora nell'impresa o nello stabilimento non esista una rappresentanza collettiva.

    3.9.1

    Il Comitato, nel suo precedente parere, si è già soffermato sulle possibili conseguenze di questa deroga sulla protezione della salute e della sicurezza sul lavoro e ha sottolineato che la direttiva «prevede espressamente che uno Stato membro può applicare l'opt-out solo nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori» (14). Il Comitato riconosce che la Commissione europea, con la sua proposta di modifica, cerca di limitare gli abusi. Dubita tuttavia che le ulteriori condizioni proposte siano adeguate a tal fine. Il Comitato segnala che, in linea di massima, mantenere la facoltà di opt-out individuale è contrario all'obiettivo della direttiva stessa quale prescrizione europea minima per la protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori. Il fatto che la Commissione condivida queste perplessità si evince dalla comunicazione stessa presentata nel quadro della prima fase delle consultazioni delle parti sociali, nella quale si legge: «L'obiettivo della direttiva di proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori può essere compromesso dalle disposizioni dell'art. 18, par. 1, lettera b), punto i), che consentono di lavorare — per scelta volontaria e individuale — in media più di 48 ore […] alla settimana su un periodo determinato» (15). E ancora: [L']esperienza disponibile a questo proposito […] rivela anche un effetto imprevisto: per i lavoratori che hanno sottoscritto l'accordo d'opt-out è difficile garantire (o quanto meno controllare) il rispetto delle altre disposizioni della direttiva.« (16) Il Comitato desidera pertanto sollevare la questione del perché la Commissione non abbia applicato l'opzione indicata nel proprio documento di consultazione relativo alla seconda fase delle consultazioni delle parti sociali, che consiste nel dar seguito alla proposta del Parlamento europeo, sopprimendo progressivamente, quanto prima, l'opt-out individuale e fissando, nel frattempo, condizioni più rigorose per la sua applicazione a norma dell'art. 18, par. 1, lettera b), punto i), onde garantirne il carattere volontario e impedire eventuali abusi  (17)».

    3.10

    Un altro obiettivo generale della proposta di modifica è quello di contribuire ad una migliore compatibilità tra la vita professionale e quella familiare. In questo contesto la Commissione rimanda alle modifiche proposte in merito all'art. 22, par. 1 (opt-out individuale), nonché al sesto considerando del testo in esame, che invita le parti sociali a concludere accordi al riguardo. Il CESE ritiene che la Commissione, con questi riferimenti, stia procedendo ad una eccessiva semplificazione del problema. Una migliore compatibilità tra lavoro e famiglia richiede già a priori tempi di lavoro programmabili e calcolabili, una flessibilità cioè che non sia esclusivamente orientata sulle esigenze aziendali, ma che lasci ai genitori la possibilità di distribuire l'orario di lavoro in base alle esigenze familiari. L'opt-out individuale, consentendo di prolungare l'orario di lavoro giornaliero e settimanale oltre il minimo previsto dalla direttiva, non fornisce invece proprio alcun contributo in tal senso. Già nel suo precedente parere il CESE aveva dichiarato che «l'opt-out sembrerebbe dunque avere un effetto negativo sulla parità di opportunità tra uomini e donne» (18). Secondo il CESE la direttiva in vigore prevede già una flessibilità sufficiente per tener conto delle esigenze specifiche delle famiglie; l'opt-out rappresenta più una complicazione che una semplificazione.

    4.   Conclusioni

    4.1

    A giudizio del Comitato, dall'analisi generale della proposta di modifica emergono dubbi fondati circa l'adeguatezza della proposta della Commissione a conseguire realmente gli obiettivi perseguiti. Tali dubbi riguardano in particolare l'auspicato equilibrio tra flessibilità e protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori, e quindi anche la migliore compatibilità tra vita professionale e familiare. Se si giunge alla conclusione che la proposta della Commissione non porta ad un equilibrio tra questi obiettivi, l'unica conseguenza logica consiste nel modificare la proposta stessa. Secondo il CESE spetta adesso al Parlamento europeo, nel quadro della procedura legislativa, presentare gli emendamenti necessari. A questo proposito il CESE ritiene che sia abbastanza legittimo chiedersi se l'opt-out individuale, che offre la possibilità di derogare alla norma minima centrale sull'orario di lavoro massimo settimanale, sia in linea con gli obiettivi dei diritti fondamentali sanciti dalla nuova Costituzione europea.

    4.2

    Il CESE intende sottolineare ancora una volta che il compito precipuo delle parti che negoziano i contratti collettivi nazionali è quello di concordare dei modelli di orario di lavoro flessibili, che tengano conto delle esigenze specifiche di ciascun settore, nel rispetto dei diritti fondamentali. Ciò vale in particolare per le norme che disciplinano il servizio di guardia inteso come particolare forma di orario di lavoro.

    4.3

    Il CESE si rivolge quindi alla Commissione europea, al Parlamento europeo e al Consiglio dell'Unione europea, chiedendo loro di tener conto, nella revisione della direttiva, di quanto segue:

    ruolo primario delle parti sociali nell'esame del periodo di riferimento per il calcolo dell'orario di lavoro massimo settimanale, nei limiti stabiliti dalla direttiva,

    garanzia di un approccio al servizio di guardia compatibile con la giurisprudenza della CGCE, che dia priorità alle soluzioni negoziate mediante contratti collettivi,

    misure adeguate in materia di organizzazione dell'orario di lavoro ai fini di una migliore compatibilità tra la vita professionale e quella familiare,

    valutazione dell'opt-out individuale per stabilire se mantenere questa opzione non sia contrario allo spirito e alle finalità della direttiva stessa.

    Bruxelles, 11 maggio 2005.

    La Presidente

    del Comitato economico e sociale europeo

    Anne-Marie SIGMUND


    (1)  COM(2004) 607 def. - 2004/209 (COD).

    (2)  COM(2004) 607 def. - 2004/209 (COD), pag. 4.

    (3)  Gli articoli citati ai punti 2.1, 2.2 e 2.3 sono quelli della direttiva 2003/88/CE.

    (4)  Lettera dell'UNICE al commissario DIMAS del 2.6.2004 (non disponibile in lingua italiana).

    (5)  Parere del CESE, del 30 giugno 2004, in merito alla «Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni e alle parti sociali a livello comunitario relativa al riesame della direttiva 93/104/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro», punto 2.2.5 (GU C 302 del 7.12.2004, pag. 74).

    (6)  Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, punto 19.

    (7)  Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, art. 31 (art. II-91 del Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa).

    (8)  Comunicazione della Commissione relativa al riesame della direttiva 93/104/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, COM(2003) 843 def. del 15.1.2004.

    (9)  Cfr. il parere del CESE citato alla nota 5, punto 2.2.8.

    (10)  Idem, punto 2.2.7.

    (11)  Idem, punto 3.1.7.

    (12)  Idem, punto 3.2.2.

    (13)  Idem, punto 2.2.6.

    (14)  Idem, punto 3.3.2.

    (15)  COM(2003) 843 def. del 30.12.2003, pag. 22. La citazione si riferisce all'articolo 18 della direttiva 93/104/CE.

    (16)  Idem, pag. 22.

    (17)  Documento di consultazione della Commissione europea: Seconda fase delle consultazioni delle parti sociali a livello comunitario in merito alla revisione della direttiva 93/104/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, pag. 14 della versione francese. Il documento non è disponibile in italiano. La citazione si riferisce all'art. 18 della direttiva 93/104/CE.

    (18)  Cfr. il parere del CESE citato alla nota 5, punto 3.3.6.


    ALLEGATO

    al parere del Comitato economico e sociale europeo

    Qui di seguito si riportano gli emendamenti che, pur avendo ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi, sono stati respinti durante il dibattito.

    (CONTROPARERE)

    Sostituire l'intero parere con il seguente testo:

    Il Comitato, in linea generale, appoggia la proposta della Commissione di modificare la direttiva 2003/88/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro.

    La proposta è basata sull'art. 137, parr. 1 e 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, a norma del quale le direttive adottate dovrebbero migliorare l'«ambiente di lavoro, per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori», evitando di imporre vincoli amministrativi, finanziari e giuridici di natura tale da ostacolare la creazione e «lo sviluppo di piccole e medie imprese». Il Comitato è convinto che la proposta della Commissione garantisca un elevato livello di protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori, consentendo al tempo stesso alle imprese di gestire in modo flessibile l'orario di lavoro.

    Il Comitato è pienamente favorevole ai criteri indicati dalla Commissione, sui quali dovrà basarsi qualsiasi eventuale proposta:

    garantire un elevato livello di protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori nel quadro dell'orario di lavoro,

    dare alle imprese e agli Stati membri una maggiore flessibilità nella gestione dell'orario di lavoro,

    rendere più compatibili la vita professionale e quella familiare,

    evitare di imporre oneri eccessivi alle imprese, soprattutto alle PMI.

    La Commissione ha giustamente sottolineato l'importante ruolo svolto al riguardo dagli Stati membri e dalle parti sociali a livello nazionale, settoriale o aziendale.

    Più precisamente, il Comitato rileva che in numerosi Stati membri viene già applicato un periodo di riferimento di 12 mesi: per questo motivo le attuali disposizioni dovrebbero promuovere un periodo di riferimento di un anno.

    Quanto al servizio di guardia, il Comitato sottolinea che in numerosi Stati membri vigono pratiche e norme nazionali che prevedono disposizioni relative al periodo del servizio di guardia in vari settori, e in particolare in quello sanitario. Tali disposizioni sono per molti aspetti diverse tra loro, ma tutte sono accomunate dal fatto che il servizio di guardia non viene considerato affatto o solo in parte come orario di lavoro.

    Il Comitato condivide la posizione della Commissione, secondo la quale il periodo inattivo del servizio di guardia non va considerato come orario di lavoro. Questo è di fondamentale importanza per il buon funzionamento di tutte le imprese, specialmente delle PMI, e per l'ulteriore sviluppo dell'economia sociale.

    Il Comitato fa inoltre presente che il servizio di guardia non va considerato come un periodo di riposo in quanto, così facendo, l'orario di lavoro risulterebbe eccessivamente lungo e questo potrebbe rendere più difficoltoso conciliare la vita professionale e quella familiare e rischierebbe di mettere in pericolo la salute e la sicurezza dei lavoratori.

    Il Comitato reputa che, se necessario, per il periodo inattivo del servizio di guardia si potrebbe fissare un numero medio di ore, al fine di tener conto delle diverse esigenze dei vari comparti ed imprese.

    A parere del Comitato, la possibilità di opt-out andrebbe mantenuta e l'opt-out collettivo andrebbe posto su un piano di parità con quello individuale. Questo è importante per tener conto delle diverse pratiche in materia di relazioni industriali nell'UE allargata, delle esigenze delle imprese, nonché delle esigenze e dei desideri dei lavoratori, che potrebbero voler lavorare più a lungo in determinati periodi della loro vita.

    Ciononostante, occorre garantire che questa possibilità continui ad essere facoltativa, che non se ne faccia abuso e che i lavoratori, se cambia la loro situazione personale, possano ritirare il proprio consenso a lavorare più a lungo. Pertanto, il Comitato è favorevole alle ulteriori condizioni di applicazione dell'opt-out proposte nel documento della Commissione.

    Esito della votazione:

    Voti favorevoli:

    :

    109

    Voti contrari:

    :

    156

    Astensioni:

    :

    7


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