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Document 52000IE1012

Parere del Comitato economico e sociale sul tema «Le sfide poste dall'UEM ai mercati finanziari»

GU C 367 del 20.12.2000, p. 49–61 (ES, DA, DE, EL, EN, FR, IT, NL, PT, FI, SV)

52000IE1012

Parere del Comitato economico e sociale sul tema «Le sfide poste dall'UEM ai mercati finanziari»

Gazzetta ufficiale n. C 367 del 20/12/2000 pag. 0049 - 0061


Parere del Comitato economico e sociale sul tema "Le sfide poste dall'UEM ai mercati finanziari"

(2000/C 367/14)

Il Comitato economico e sociale, in data 2 marzo 2000, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 23, paragrafo 3, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema "Le sfide poste dall'UEM ai mercati finanziari".

La Sezione "Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale", incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il parere sulla base del rapporto introduttivo del relatore Pelletier, in data 5 settembre.

Il Comitato economico e sociale ha adottato il 21 settembre 2000, nel corso della 375a sessione plenaria, con 73 voti favorevoli, 13 contrari e 10 astensioni, il seguente parere.

1. Introduzione

1.1. La realizzazione dell'Unione monetaria ha costituito per gli operatori dei mercati finanziari una duplice sfida: a livello tecnico è stato necessario accordarsi su comuni modalità di funzionamento, mentre finora i diversi mercati nazionali avevano funzionato secondo metodi e principi che erano il frutto di un lungo processo d'adattamento agli usi nazionali.

1.2. La seconda sfida era posta dall'esiguità del tempo disponibile per prendere le principali misure necessarie, quali la ridenominazione dei titoli negoziati nei diversi mercati (azioni - obbligazioni - titoli del debito pubblico) in un'unica valuta, l'euro, oppure la rapida adozione di comuni regole di funzionamento dei mercati con, tra le altre difficoltà, differenti giorni festivi a seconda del paese della zona euro.

1.3. La Commissione europea ha saggiamente affidato a gruppi di esperti, guidati da Giovannini e da Brouhns, il compito di studiare l'impatto dell'introduzione dell'euro sui mercati finanziari e sulle convenzioni di mercato durante la terza fase dell'UEM(1).

1.4. Le relazioni di questi gruppi di studio sono state preziose per la stesura del presente parere.

1.5. È risultato subito evidente che il Comitato non poteva ripercorrere la strada fatta dagli autorevoli esperti cui aveva fatto ricorso la Commissione.

1.6. Rifare un'analisi dei problemi che non avrebbe potuto minimamente discostarsi da quella del rapporto Giovannini o Brouhns non sarebbe stato di nessuna utilità per il CES, la cui missione è di portare un valore aggiunto ai destinatari dei suoi pareri.

1.6.1. Il Comitato ha adottato non meno di dieci pareri(2) riguardo all'Unione monetaria e all'euro, affrontando i diversi aspetti dell'evoluzione decisiva verso una maggiore integrazione dell'UE. In tali pareri il Comitato ha chiaramente espresso il proprio sostegno all'introduzione dell'euro ed all'Unione monetaria. Con il presente parere non s'intende rimettere in discussione le posizioni assunte dal Comitato, né rilanciare il dibattito sui vantaggi e sugli inconvenienti dell'euro, in quanto questo tipo di discussione è ormai chiusa. L'obiettivo del presente parere, chiaramente espresso dal titolo, è quello di provare a fare il punto sulle sfide, vale a dire i problemi che l'Unione monetaria pone ai mercati finanziari.

1.7. Di conseguenza è stato ritenuto più opportuno menzionare solo brevemente i vari grandi problemi di ordine tecnico, sottolineando i lodevoli sforzi compiuti dalle diverse piazze finanziarie nell'adottare soluzioni comuni ed il ruolo spontaneo e determinante dei mercati per rendere operativi tali adattamenti.

1.8. È parso inoltre utile rilevare i problemi che sono stati mal risolti o che ancora attendono soluzione, facendo particolare riferimento alla data limite del gennaio 2002 in cui le monete nazionali spariranno.

1.9. D'altra parte si deve dare atto che, se l'analisi degli aspetti tecnici dei problemi collegati al funzionamento dei mercati finanziari è stata condotta in modo ammirevole, l'analisi degli effetti economici della creazione di un vasto mercato unificato dell'euro è stata di gran lunga meno approfondita.

1.10. Risulta pertanto essenziale reinserire l'analisi nel contesto più vasto della globalizzazione, della liberalizzazione quasi completa dei movimenti di capitali e dello sviluppo delle nuove tecnologie.

1.11. Sia al livello degli operatori che dei mezzi utilizzati, tenuto conto in particolare dello straordinario movimento di concentrazione delle banche, degli istituti finanziari e delle borse valori in atto, e dell'aumentata potenza dei mezzi elettronici di negoziazione (Internet), ecc., non si può non essere colpiti dal fatto che la zona euro, pur essendo importante per i paesi membri, altro non è che una componente di un mercato mondiale in cui gli Stati Uniti hanno il ruolo di protagonista e fanno sentire tutto il loro peso nella determinazione dei metodi e delle pratiche di funzionamento del mercato finanziario universale.

1.12. La piazza finanziaria europea più importante, vale a dire Londra, pur trovandosi all'esterno della zona euro svolge in pratica un ruolo fondamentale in tutti i vari compartimenti dei mercati finanziari.

1.13. Si deve accettare, senza ulteriori riflessioni, uno degli elementi fondamentali dei commenti di fonte autorizzata: vale a dire che la maggior liquidità e "profondità" del mercato e l'aumentata concorrenza transnazionale produrranno senza alcun dubbio effetti favorevoli per il finanziamento di tutte le imprese, a prescindere dalle dimensioni e dal tipo d'attività?

1.14. Infine, occorre sottolineare che un mercato finanziario non può funzionare bene se quanti vi operano non hanno assimilato a fondo le conseguenze della rivoluzione rappresentata dall'introduzione dell'euro. Sebbene manchino elementi di informazione statistica affidabili per l'insieme della zona euro, sembra che, se si eccettuano i grandi gruppi e le società potenti, entrambi già fortemente internazionalizzati, ed evidentemente anche il settore bancario e finanziario, tutte le piccole e medie imprese devono ancora compiere sforzi rilevanti per adattarsi alle nuove modalità di funzionamento dei mercati prima del fatidico 2002(3).

1.15. Per quanto riguarda i privati cittadini - il cui coinvolgimento nel funzionamento dei mercati è essenziale - tutto fa pensare che nonostante le numerose campagne d'informazione e di formazione promosse dalla Commissione europea e dai diversi enti pubblici e organizzazioni professionali, nell'insieme della zona euro si sia ancora lontani da un perfetto adattamento dei metodi e dei modi di pensare alla scadenza finale, per quanto esistano differenze notevoli in materia a seconda degli Stati(4).

1.16. La Commissione europea ha ricordato agli Stati membri gli obblighi che loro incombono in materia di comunicazione sull'euro, esprimendo la preoccupazione che il passaggio all'euro dia alle PMI l'impressione di non costituire alcun problema, mentre molte di loro non lo hanno ancora integrato nella propria dimensione strategica. La Commissione desidera infatti evitare che le imprese si trovino in una situazione di "big bang". Una seconda fonte d'inquietudine riguarda l'opera di sensibilizzazione delle persone "vulnerabili"(5).

2. Le sfide poste dal settore bancario

2.1. In un contesto di forte internazionalizzazione dei mercati le banche dell'Europa continentale sembrano relativamente svantaggiate rispetto all'accresciuta concorrenza da parte delle banche britanniche ed americane poiché in questi ultimi anni hanno risentito di una congiuntura nel complesso meno favorevole. Tale inferiorità si misura confrontando la redditività rispetto al totale degli impieghi(6) e facendo riferimento alla dinamica dei corsi azionari che ne deriva. Tuttavia queste debolezze vengono ridimensionate se si considera il sistema bancario dell'UE nel suo insieme, includendo in particolare le banche di paesi terzi stabilite a Londra.

2.2. Per quanto si delinei una netta ripresa, i margini operativi continuano a ridursi e gli accantonamenti per rischi si sono considerevolmente accresciuti durante le recenti crisi, in particolare quelle del mercato immobiliare, del finanziamento della Russia, o dell'Asia. Inoltre, l'andamento particolarmente favorevole della congiuntura statunitense ha permesso alle banche americane effettuare, a fronte di prestiti concessi alle PMI ed ai privati, accantonamenti minori rispetto a quelli delle banche europee.

2.3. La ripresa dell'attività economica in Europa dal 1999 permette di ammortare poco a poco le tracce di queste crisi nei bilanci. Le ultime informazioni dell'agenzia di rating specializzata in aziende di credito (Fitch) segnalano una forte ripresa dei risultati per l'ultimo trimestre del 1999 ed il primo del 2000.

2.4. Nel 1999 le attività gestite, i fondi propri e gli utili dopo le imposte dell'insieme del settore bancario dell'UE hanno sorpassato gli stessi dati del settore bancario degli Stati Uniti.

2.5. Una ragione aggiuntiva della disaffezione degli investitori viene dalla sensazione che, nonostante gli sviluppi tecnologici di questi ultimi anni, le banche europee siano tuttora più influenzate dalla "vecchia economia", in contrapposizione ai settori ad alta tecnologia ed alle nuove forme di accesso ai mercati per via elettronica delle non-banche.

2.6. Alcune giovani imprese innovative (start-up) e "non-banche" fanno tutto il possibile per soppiantare i sistemi di marketing e di vendita ormai pesanti e superati. Questa concorrenza aggressiva contribuisce a rendere l'insieme del settore finanziario consapevole della necessità di profondi cambiamenti per quanto riguarda sia la gestione interna che le strutture del settore(7).

2.7. Le alleanze tra banche, le fusioni ma ancor più gli accordi di specializzazione rappresentano le forme più visibili di questa consapevolezza delle nuove sfide.

2.8. Tra i mutamenti di strategia si nota - specialmente in Germania - una diversa allocazione delle attività finanziarie nel portafoglio impieghi delle banche, con un abbandono delle forme tradizionali di sostegno al capitale dell'industria e più in generale delle imprese. Questo fenomeno è stato favorito considerevolmente dalla recente riforma fiscale tedesca sulla tassazione delle plusvalenze di portafoglio.

3. In questo vasto movimento di ristrutturazione quali sono le responsabilità imputabili all'avvento dell'Unione monetaria e dell'euro?

3.1. La maggior parte degli autori concorda nel ritenere che i fattori che hanno effettivamente messo in moto questo processo sono stati:

- la generalizzazione della libertà di movimento dei capitali, le cui tappe principali sono stati l'Atto Unico del febbraio 1988 e il Trattato di Maastricht, che ha fissato lo spazio senza frontiere dell'Unione europea, anche per i capitali, al 1o luglio 1990;

- la liberalizzazione pressoché totale del diritto di stabilimento a partire dal 1o gennaio 1993, con il mutuo riconoscimento delle autorizzazioni rilasciate dai diversi Stati membri dell'Unione europea (passaporto europeo). L'apertura del mercato dell'Unione estesa per legge e di fatto anche alle filiali degli istituti di credito degli Stati Uniti, del Giappone, ecc.

3.2. Queste premesse hanno consentito al gioco della concorrenza e ai meccanismi dei mercati mondiali dei capitali di esplicarsi liberamente, su una scala che va al di là della zona dell'euro.

3.3. La creazione della zona euro - ormai prossima ad essere di 12 paesi su 15 - ha avuto l'effetto di rendere subito evidente che "nulla sarà come prima".

3.4. È tuttavia verosimile che, con o senza Unione monetaria a 11, le correnti che spingono alla globalizzazione dei movimenti di capitali e dell'attività bancaria avrebbero prodotto i medesimi effetti.

4. La sfida dell'armonizzazione delle procedure di vigilanza nel settore bancario

4.1. Il controllo e la vigilanza del rispetto delle regole prudenziali costituiscono uno dei compiti principali che incombono agli Stati, i quali in genere delegano questa responsabilità alle banche centrali o ad organismi vicini ad esse, o, più di rado (ad esempio nel caso della Germania), ad un ente dotato di una grande autonomia.

4.2. Si tratta in ogni caso di organismi ispettivi potenti, che possono avvalersi di numerosi collaboratori altamente qualificati e perfettamente a conoscenza dei metodi di gestione delle banche, delle loro peculiarità, dei loro punti di forza e delle loro debolezze, in particolare sotto il profilo dell'assunzione di rischi.

4.3. Per effetto del numero dei depositanti, dell'importanza delle attività gestite, degli intrecci delle relazioni economiche e finanziarie, ecc., le grandi banche hanno sui mercati nazionali un'influenza tale che eventuali loro difficoltà possono influire sull'economia nazionale (o persino internazionale) come anche sull'occupazione.

4.4. A questo livello di rischio il problema delle banche leader interessa da vicino i governi: è a questo proposito che si applica in maniera esemplare la formula "too big to fail" (troppo grandi per lasciarle fallire).

4.5. Qualora si verifichino problemi di rilievo le commissioni di controllo bancario, per quanto istituite come organi indipendenti, sono comunque tenute a mettere al corrente i governi e a prestare attenzione alle loro raccomandazioni.

4.6. Gli interventi delle autorità politiche nell'ambito del controllo bancario non si verificano unicamente in Europa. In Giappone, quando il sistema bancario ha cominciato a vacillare, il governo, per il tramite della Banca del Giappone, è intervenuto massicciamente per salvare le banche talvolta sull'orlo del fallimento.

4.6.1. Anche il governo americano e la FED sono intervenuti energicamente dinanzi alla crisi di alcuni "hedge fund" come lo LTCM (Long term capital management) che avrebbe potuto provocare una caduta rovinosa a catena, per effetto della portata dei reciproci impegni assunti da banche ed istituti non regolamentati.

4.7. Quanto alla Francia, la Commission de contrôle bancaire e la Direzione del Tesoro francese hanno individuato in tempo le gravi difficoltà del Crédit Lyonnais: un crollo avrebbe sicuramente compromesso tutta la piazza finanziaria.

4.8. Se si considera la portata dei rischi che investono l'intero sistema, non è né ragionevole né pertinente rinfacciare alle autorità di controllo - in questi casi soggette al potere politico - di non far conoscere al pubblico tutta la gravità delle situazioni.

4.9. Qualora una banca di primaria importanza versi in gravi difficoltà, le autorità di controllo sono tenute a salvaguardare la fiducia del pubblico nella solidità degli istituti della piazza finanziaria.

5. Verso la creazione di un organismo europeo per la supervisione del settore bancario?

5.1. La creazione dell'euro, l'intensificazione spettacolare delle fusioni e degli accordi di cooperazione frontalieri, come anche il moltiplicarsi dei legami fra i mercati finanziari fan sì che la vigilanza bancaria costituisca un problema a livello comunitario.

5.2. Il principio di una rafforzata collaborazione tra gli organismi preposti alla vigilanza bancaria figura nel programma d'azione per i servizi finanziari adottato dalla Commissione europea l'11 maggio 1999.

5.3. Il fatto che le regole prudenziali fondamentali, fra cui quelle relative ai coefficienti di solvibilità, siano ormai stabilite a livello mondiale dal Comitato di Basilea rafforza notevolmente l'idea secondo cui regole comuni devono formare oggetto di una vigilanza anch'essa comune.

5.4. Su iniziativa della BCE, i rappresentanti delle commissioni bancarie dell'UE hanno deciso di comune accordo di creare un comitato di vigilanza bancaria, quest'organo dovrà consentire uno scambio d'informazioni sui metodi di controllo e avviarne l'armonizzazione.

5.5. Tenuto conto dell'estrema complessità del controllo bancario, dell'intensità dei particolarismi nazionali e dell'attaccamento delle autorità nazionali alla propria indipendenza, non è probabilmente ancora il momento d'istituire un vero e proprio organo europeo di vigilanza. Numerosi responsabili del settore bancario ritengono tuttavia che la rotta da seguire sia ormai tracciata e che non rimangano dubbi quanto all'esito, purché non si crei una piramide di controlli a diversi livelli (nazionali, europei, internazionali (BRI), ecc.) che avrebbero effetti paralizzanti.

5.6. Uno dei problemi da risolvere è quello di assoggettare alle stesse regole prudenziali previste per le banche le nuove strutture di contrattazione su Internet e le cosiddette "non banche", sempre più presenti sui vari mercati. Questa preoccupazione era già stata espressa energicamente nei precedenti pareri del Comitato(8).

6. Miglioramento del quadro istituzionale per la regolamentazione europea relativa alle borse

6.1. Gli stessi argomenti addotti per la creazione di un'autorità europea di vigilanza sulle banche possono essere altrettanto pertinenti, anzi più puntuali per quanto riguarda la regolazione e la vigilanza sui mercati finanziari e sulle borse.

6.2. Le alleanze tra le borse e lo sviluppo delle cosiddette ECN(9) sul mercato europeo pongono il problema della regolazione europea relativa alle borse.

6.3. Le basi della regolamentazione sulle borse europee sono stabilite nelle direttive che definiscono, prevedendo requisiti minimi, la nozione di mercato regolamentato, le regole di buon funzionamento dei mercati e la protezione degli investitori. Ciascuna autorità di borsa nazionale precisa poi le proprie regole al livello del proprio mercato nazionale. Le varie autorità nazionali possono cooperare fra di loro.

6.4. Da due anni e mezzo, con la creazione del Forum of European Securities Commission (FESCO), le autorità europee di regolazione hanno intensificato la loro cooperazione in un quadro istituzionale comune, segnatamente per precisare le regole di condotta cui sono sottoposti i prestatori di servizi d'investimento quando offrono servizi transfrontalieri agli investitori.

6.5. Il FESCO ha così proposto una definizione armonizzata degli investitori professionali cui verrebbero applicate solo talune regole di buona condotta. In questo modo verrebbe superato il dibattito fra le regole del paese d'origine e quelle del paese ospitante.

6.6. Inoltre, per agevolare il riconoscimento reciproco dei prospetti di emissione è stato studiato un documento armonizzato di riferimento. Una volta approvato nel paese di quotazione, esso consentirebbe ad un emittente di ampliare la propria offerta sulla base di una semplice nota informativa e di una sintesi in lingua nazionale.

6.7. In questa prospettiva sarebbe utile contemplare una logica di regolazione sovranazionale che, senza sovrapporre un nuovo livello a quello nazionale, eserciti progressivamente talune competenze che gli Stati membri decideranno eventualmente di affidargli sottraendole alle autorità nazionali.

6.8. La rete delle autorità europee di regolazione si occuperebbe rapidamente, e con maggiore flessibilità, delle divergenze d'applicazione fra le direttive. Occorrerebbe probabilmente conferire valore giuridico alle norme predisposte dai regolatori e mettere a punto un meccanismo che prenda nota delle divergenze nell'applicazione delle direttive e sia in grado di reagire sollecitamente. Esso non si sostituirebbe alle direttive, bensì le completerebbe.

7. L'Unione monetaria modifica le modalità di finanziamento delle imprese

7.1. Sebbene si constati una tendenza verso modalità di finanziamento orientate al mercato in particolare tra le imprese europee più grandi, il modello generale di riferimento differisce notevolmente tra l'Europa continentale da un lato e il Regno Unito e gli Stati Uniti (modello anglosassone), dall'altro.

7.2. Nell'Europa continentale la forma più comune di finanziamento delle imprese - escluse le partecipazioni generalmente minoritarie delle banche al capitale di società - si concreta tuttora nel credito intermediato.

7.3. Il ricorso ai mercati finanziari o a sindacati di credito per il finanziamento diretto delle imprese rimane meno sviluppato rispetto agli Stati Uniti o al Regno Unito, in particolare per le PMI. Il costo d'emissione di titoli (regolamentazione, adattamento della contabilità, politica di comunicazione) permane infatti a livelli dissuasivi per le imprese più piccole della "vecchia economia".

7.4. L'internazionalizzazione dei mercati e la creazione della zona euro permettono alle borse valori di assumere un nuovo ruolo, sostituendosi al sistema bancario. Nella relazione annuale 1999 la BCE rileva che: "In linea generale il ruolo dei mercati nell'allocazione dei fondi sta crescendo rispetto a quello degli intermediari"(10). Tuttavia le banche svolgono un ruolo determinante nell'aiutare le imprese ad accedere ai mercati.

7.5. La quotazione in borsa, le emissioni d'azioni per aumenti di capitale e le emissioni d'obbligazioni modificano le modalità di finanziamento.

7.6. Gli investitori istituzionali, i quali gestiscono fondi comuni d'investimento ed i fondi pensione - spesso americani -, hanno assunto un ruolo insostituibile nei mercati finanziari. Questo giustifica le iniziative della Commissione europea volte a favorire lo sviluppo dei fondi pensione nell'Unione economica.

7.7. Si assiste allo spettacolare sviluppo degli organismi specializzati in investimenti a rischio - il cui scarso numero era ancora recentemente riconosciuto quale uno dei punti deboli dell'Europa rispetto agli Stati Uniti.

7.8. La creazione del Nasdaq negli Stati Uniti nel 1971 ha fatto scuola, ed in Europa sono nate nuove strutture di quotazione (Nuovi mercati) con la vocazione principale di finanziare le imprese nascenti specializzate nella new economy e nell'alta tecnologia, apprezzate in particolar modo dagli speculatori attivi su Internet.

7.9. La creazione della zona euro, eliminando la compartimentazione dovuta alle monete nazionali, offre al mercato una profondità ed una liquidità del tutto nuove rispetto al passato recente.

8. Opportunità di prestare comunque attenzione alle condizioni di finanziamento delle piccole e medie imprese

8.1. La maggiore dipendenza delle imprese dal mercato per il loro finanziamento implica profondi mutamenti nelle relazioni tra debitori e investitori.

8.2. Il rapporto annuale della Banca Centrale Europea per il 1999(11) riporta "In passato le banche dell'area dell'euro erano le principali fornitrici di servizi finanziari nell'ambito di mercati nazionali piuttosto frammentati e protetti. Tuttavia con la riduzione delle barriere tra diversi mercati nazionali o locali le banche si trovano ora ad affrontare una maggiore concorrenza, sia tra di loro, sia da parte di altri fornitori di servizi finanziari".

8.3. I progressi delle tecnologie dell'informazione modificano le forme tradizionali delle relazioni tra banca e clienti. È diventato facile e poco costoso ottenere rapidamente le informazioni necessarie per prendere decisioni relative ai finanziamenti.

8.4. Le tecniche informatiche di gestione del rischio di credito, applicate alle imprese, ma ispirate al "credit scoring" (valutazione dell'affidabilità creditizia) in uso per i crediti al consumo o per i mutui ipotecari, stanno modificando la tradizionale pratica bancaria. Queste modalità standardizzate di valutazione del rischio risultano meno favorevoli per le PMI.

8.5. Per quanto riguarda le banche, il rafforzamento delle norme prudenziali collegate ai lavori del Comitato di Basilea sul controllo bancario le spinge ad una maggiore prudenza nella gestione delle esposizioni e a cercare le PMI che godono di una solida reputazione.

8.6. Il fallimento di un grande numero di debitori durante la recente crisi non sarà facilmente dimenticato dai dirigenti, sempre più portati a fidarsi dei modelli informatizzati per il calcolo dei rischi.

8.7. Lo sviluppo delle relazioni finanziarie transfrontaliere si limita ancora - se si escludono le zone di frontiera - alle imprese di dimensioni medie e grandi, che non hanno atteso l'avvento dell'euro per tessere relazioni internazionali.

8.8. In compenso si assiste ad un moltiplicarsi di accordi di cooperazione tra banche e compagnie d'assicurazioni basati sullo scambio di servizi transfrontalieri.

8.9. Tra le possibili spiegazioni di questo ritardo nel rafforzamento della concorrenza intracomunitaria e transfrontaliera, legata all'Unione monetaria, si citano generalmente la lentezza del processo e l'elevato costo di penetrazione dei mercati relativamente saturi dell'Unione economica.

8.10. Come causa gli ostacoli istituzionali vengono menzionati sempre meno, anche se gli esperti sottolineano il peso dei "fattori culturali" e "il persistere di specificità nazionali"(12). Le differenze linguistiche, quelle legate ai regimi fiscali, ai diversi sistemi contabili ed alla mancanza di armonizzazione della normativa fallimentare, ecc., contribuiscono a frenare gli insediamenti ed i finanziamenti transfrontalieri.

9. L'Unione monetaria modifica i canali di vendita dei servizi finanziari

9.1. L'impiego di Internet nella vendita dei servizi finanziari presenta il problema della protezione degli investitori.

9.2. È molto opportuno mantenere il massimo grado di tutela in materia. La proposta di direttiva sulla vendita a distanza dei servizi finanziari tiene conto di questa preoccupazione adottando il principio detto della "massima armonizzazione".

9.3. Questa consiste nel creare una base di norme giuridiche comuni a tutti gli Stati membri, i quali non possono apportarvi né tagli né aggiunte.

9.4. Così facendo la Comunità europea offre agli investitori un livello di tutela indispensabile essendo consapevole che gli investitori professionisti potrebbero trovarsi assoggettati a regole diverse rispondenti al loro livello di competenza e d'informazione.

10. L'influenza dell'Unione monetaria sul mercato obbligazionario

10.1. C'era una generale convergenza di vedute nel riconoscere che l'euro avrebbe creato un mercato unificato dei tassi d'interesse per l'intera zona, con un accentuarsi della concorrenza tra emittenti ed una conseguente diminuzione dei costi per i debitori. Il risparmiatore dovrebbe beneficiare di un sensibile calo dei costi di transazione - e correlativamente le banche tradizionali dovrebbero assistere ad una contrazione del volume delle commissioni percepite.

10.2. Secondo la Commissione europea(13), il volume delle nuove emissioni d'obbligazioni in euro ha superato ogni attesa. In effetti, durante il primo semestre 1999 le obbligazioni internazionali in euro rappresentavano circa il 40 % del totale delle obbligazioni emesse in tutte le valute, contro il 30 % del 1998 ed il 20 % del 1997 (considerando le divise che partecipano all'UEM ed all'ecu). Se a queste si aggiungono anche le emissioni "nazionali" denominate in euro, il valore totale delle emissioni in euro è paragonabile all'importo delle emissioni in dollari degli Stati Uniti. Questo prova la consistenza e la crescente liquidità dei mercati obbligazionari europei, che favoriranno le transazioni internazionali degli investitori europei. Nel 1999 il valore delle emissioni in euro ha sorpassato quello delle emissioni in dollari. Si deve tuttavia notare che i titoli in euro sono spesso oggetto di swap in dollari, il che influisce sull'andamento della quotazione del dollaro sul mercato dei cambi. Secondo le statistiche di "Capital Data Bondware" il dollaro ha riacquistato la posizione dominante sul mercato obbligazionario (con una quota di mercato del 43,87 %, equivalente a 342,9 miliardi di dollari, mentre le emissioni in euro rappresentano il 40,68 % del mercato, equivalente a 317,9 miliardi di dollari)

10.3. A dimostrazione della preferenza del mercato per gli strumenti a basso rischio, si osserva che prevalgono i titoli assimilabili ad obbligazioni di Stato, con il 43 % di emissioni valutate "AAA" e il 44 % valutate "AA" nel secondo trimestre 1999. Quale elemento incoraggiante ed indice dell'ampliamento del mercato, la Commissione nota il fatto che nel corso del secondo trimestre del 1999 le obbligazioni valutate "A" dalle agenzie internazionali sono passate da meno del 2 % nel gennaio 1999 a circa 10 %.

11. L'UEM modifica la configurazione del mercato europeo delle obbligazioni di Stato

11.1. Il mercato paneuropeo delle obbligazioni di Stato occupa ormai il primo posto davanti a quello degli Stati Uniti.

11.2. Con la scomparsa del rischio di cambio e dei differenziali dei tassi d'interesse in seguito all'introduzione dell'euro, la liquidità delle obbligazioni è diventata il fattore determinante nella valutazione del rendimento dei titoli di Stato, mentre il rischio di credito di per sé ha perduto parte della sua importanza(14).

11.3. Le condizioni di finanziamento dei governi dipendono ormai dalla liquidità, vale a dire dal volume delle loro emissioni sul mercato dell'euro. L'analisi delle finanze pubbliche dello stato emittente passa dunque in secondo piano. Questa evoluzione è poco favorevole per le emissioni dei paesi piccoli.

11.4. Contemporaneamente si nota l'aumentare delle emissioni private e delle variazioni dei corsi borsistici, che invece mettono in rilievo le differenze di reputazione tra le aziende(15).

12. L'impatto dell'Unione economica e monetaria sul funzionamento dei mercati finanziari

12.1. Sembra prematuro cercare di valutare in modo serio l'impatto della rivoluzione intervenuta il 1o gennaio 1999 con la ridenominazione in euro dell'insieme dei valori mobiliari, azioni, obbligazioni ed altri titoli di emittenti privati o di debito pubblico.

12.2. Il mercato dell'euro ha così raggiunto un volume simile a quello degli Stati Uniti, con una "massa critica" credibile, e, nonostante le trasformazioni dei mercati siano ancora lontane dall'essere concluse, è possibile farsi un'idea relativamente precisa delle grandi tendenze in atto.

12.3. Tra la maggioranza degli esperti esiste un certo consenso per quanto riguarda gli effetti favorevoli dell'Unione monetaria:

- incremento delle transazioni transfrontaliere in valori mobiliari,

- accelerazione dell'integrazione dei mercati nazionali ed aumento della liquidità dei mercati,

- sviluppo del mercato dei "commercial paper" ("Corporate debt market"), in cui gli emittenti sono sottoposti ai metodi statunitensi di valutazione dei rischi,

- riesame completo delle regole di funzionamento dei mercati (sistemi di liquidazione, compensazione, ecc.).

12.4. La concorrenza tra le diverse piazze finanziarie ed in particolare tra le borse valori è diventata particolarmente aggressiva, con due grandi assi organizzativi:

- un modello di alleanza per segmenti tra il London Stock Exchange e la borsa di Francoforte (completata da una collaborazione con il Nasdaq), progetto che sembra rimesso in causa dalla reazione negativa di una parte notevole dei membri della L.S.E.

- un modello d'integrazione molto avanzato tra le borse di Parigi, Bruxelles ed Amsterdam (Euronext) cui si affianca una interconnessione dei sistemi di contrattazione che raggruppa, oltre a Euronext, sette borse internazionali, fra cui il New York Stock Exchange, le borse di Tokyo, Hong Kong ecc., in un mercato globale dei titoli (Global equity market) che funziona 24 ore su 24 a livello mondiale. Esso totalizzerà 20000 miliardi di dollari US, ossia il 60 % della capitalizzazione borsistica mondiale (Accordo di principio annunciato a Tokyo il 7 giugno)(16).

12.5. In generale gli esperti ritengono che vi sia un numero eccessivo di Borse in seno all'UEM e che s'imponga la loro fusione, incoraggiata dal ruolo unificatore dell'euro. È tuttavia necessario che questa ineluttabile concentrazione avvenga nel rispetto delle regole della concorrenza.

12.6. Queste fusioni si effettuerebbero in base ad una divisione specialistica dei compiti. Per esempio Londra avrebbe una posizione preponderante sul mercato dei titoli principali mentre Francoforte avrebbe quello dei derivati e dei tecnologici.

12.7. Le alleanze a vocazione continentale si farebbero anche in base ad una specializzazione di ogni borsa, ma tutte collegate ad un unico sistema di transazione elettronico.

12.8. Le innovazioni tecnologiche sono il grande motore di questo processo di raggruppamento. L'introduzione della quotazione elettronica continua degli ordini via Internet fa perdere parte del suo significato alla nozione di piazza borsistica locale.

12.9. I meccanismi di invio degli ordini, di compensazione e di liquidazione delle operazioni in titoli assumono un'importanza decisiva in una concorrenza che in definitiva è più globale che europea.

12.10. Non può essere scartato il rischio, che necessita ulteriore valutazione, di vedere una quota rilevante delle transazioni passare da mercati non regolamentati, direttamente oppure indirettamente tramite un numero crescente di "ECN".

12.11. I mercati derivati OTC(17) sono molto dinamici in Europa. Sarebbe necessario che una norma europea disciplinasse i contratti quadro relativi agli strumenti finanziari che si riferiscono a queste operazioni. La Federazione bancaria europea (FBE) ha posto in essere un contratto quadro europeo (l'Euromaster) che è stato approvato da tutte le associazioni bancarie europee: esso adotta clausole uniformi per l'intera Unione europea. La Comunità dovrebbe promuoverne l'adozione.

13. I mercati: banco di prova della parità euro-dollaro

13.1. L'internazionalizzazione del mercato dei valori mobiliari europei - al di là dei tradizionali "blue chips" - è stata considerevolmente rafforzata dall'uniformazione delle quotazioni in euro.

13.2. L'importanza acquistata dai fondi pensione americani nella capitalizzazione delle borse europee rappresenta un aspetto positivo dell'Unione monetaria.

13.3. L'estrema volatilità di tali investimenti suscita delle preoccupazioni.

13.4. Lo scarto dell'euro rispetto al dollaro ha toccato il 25 %. Questo ha indotto gli investitori internazionali ad un consistente abbandono dei titoli europei. La voce della bilancia dei pagamenti relativa alle transazioni in valori mobiliari è negativa. Gli investimenti europei in titoli americani superano gli investimenti americani in Europa.

13.5. Sebbene si debba prendere in considerazione un gran numero di fattori che spiegano questo deficit - tra cui anche il diverso grado di dinamismo delle economie da una parte e dall'altra dell'Atlantico -, si deve dare atto che l'euro ha dato luogo a una maggiore volatilità dei mercati rispetto alla situazione anteriore dei maggiori mercati borsistici nazionali, i quali, pur essendo aperti al mondo esterno, godevano del fedele sostegno degli investitori locali e della loro solida fiducia nel tasso di cambio delle valute nazionali (franco francese e marco tedesco).

13.6. La sfida temporaneamente (?) persa è quella della parità dell'euro rispetto al dollaro, che meglio rispecchierebbe l'andamento dei fondamentali economici. Questo scarto inatteso ha preso alla sprovvista la maggioranza degli esperti.

13.7. La gestione della politica monetaria da parte della BCE, confrontata a questa situazione imprevista, provoca ciò che i mercati odiano di più: un senso d'incertezza.

13.8. I principali operatori economici sembrano però giudicare negativamente la prospettiva che la BCE possa reagire solo con un rialzo dei tassi d'interesse, nell'intento di sostenere la quotazione dell'euro, o almeno di limitare la sua caduta: essi considerano infatti che questo tipo d'intervento sia inadeguato. La BCE ha tenuto conto di queste preoccupazioni procedendo ad aumenti molto contenuti del tasso di interesse sulle principali operazioni di rifinanziamento (+ 0,25 % a fine agosto 2000).

13.9. In effetti l'inflazione è debole, e la ripresa economica, tanto attesa, si conferma. Qualora, dinanzi all'effetto inflazionistico del rincaro del petrolio - del tutto estraneo ai fondamentali della zona dell'euro -, la BCE reagisse come se il rischio d'inflazione meritasse una risposta globale, i mercati potrebbero dare un'interpretazione negativa ad un'iniziativa del genere. In tale contesto diventa essenziale che la BCE fornisca informazioni corrette sulla propria politica.

13.10. In modo a malapena velato alcuni uomini politici si interrogano sulla capacità della BCE di seguire una politica monetaria coerente, capace di equilibrare, da un lato, le esigenze della necessaria ripresa economica e del contenimento della disoccupazione e, dall'altro, il sostegno dell'euro. Nel pieno rispetto dell'indipendenza della BCE, il Consiglio e la sua Presidenza devono ora mettere a punto un discorso complementare coerente.

14. La sfida del mercato dei cambi

14.1. È chiaro che il funzionamento di un mercato libero, esposto ai molteplici scossoni e agli sbalzi d'umore di numerosissimi operatori, non costituisce una sfida vera e propria in quanto rientra nel gioco normale di un'economia di mercato, la quale in linea di massima è governata dalla razionalità dei comportamenti.

14.2. Gli economisti e la stampa rivolta al grande pubblico hanno illustrato con grande dovizia di particolari i motivi della debolezza dell'euro rispetto al dollaro. In questa sede non sarà possibile un'analisi esauriente di tutti i loro commenti, però si possono indicare i fattori che seguono:

- un divario persistente fra la performanceeconomica della zona dell'euro e degli Stati Uniti negli ultimi quattro anni. Il tasso di crescita medio del PIL in termini di volume viene stimato al 3,40 % per il 2000 in Europa contro il 5,30 % negli Stati Uniti (secondo trimestre 2000);

- il divario fra i tassi d'interesse del mercato monetario europeo e quelli del mercato americano: quest'ultimo attira la massa delle liquidità presenti sul mercato mondiale, con conseguenti svantaggi per l'euro(18);

- la fiducia degli ambienti finanziari nella politica del Federal Reserve (FED), il quale cerca di non ostacolare il ritmo dell'espansione controllando al tempo stesso le tensioni inflazionistiche legate alla piena occupazione;

- lo spettacolare risanamento della finanza pubblica americana, la quale, grazie all'espansione, ha cancellato un disavanzo ormai tradizionale, dando anzi luogo a un attivo di bilancio;

- l'estrema facilità con cui gli Stati Uniti finanziano il notevole disavanzo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti (339 miliardi di dollari nel 1999) grazie all'apporto del risparmio mondiale ed all'enorme massa di dollari tesaurizzati nel mondo intero, che equivale ad un prestito a tasso 0 % al governo degli Stati Uniti. Ciò consente agli americani di mantenere una capacità di autonomia unica nella condotta della politica economica, senza doversi occupare dell'equilibrio dei conti con l'estero.

14.2.1. In conclusione, per il medio periodo i fondamentali dell'economia americana, se si astrae dal disavanzo con l'estero, fanno prevedere un protrarsi della forte spinta ad un apprezzamento del dollaro rispetto all'euro.

14.3. La gestione dell'euro non beneficia affatto degli stessi fattori favorevoli. I Trattati non conferiscono alla Banca centrale europea (BCE) competenze in materia di tassi di cambio dell'euro. Se è vero che essa può intervenire sui mercati dei cambi vendendo dollari per il tramite delle Banche centrali europee e di altri intermediari "amici", si tratta in ogni caso di un tipo di intervento che si rivela in genere costoso senza presentare grande efficacia. Nel suo ultimo bollettino mensile (agosto 2000) la BCE sembra riconoscere una certa impotenza nel controllo del tasso di cambio euro-dollaro.

14.4. Il deprezzamento dell'euro favorisce le esportazioni della zona dell'euro ed ha un ruolo non trascurabile nell'attuale ripresa dell'espansione. I governi e i pubblici poteri sono ancora memori degli sforzi compiuti dalle autorità monetarie europee per mantenere, dopo Maastricht, dei tassi di cambio stabili fra i paesi aderenti alla zona dell'euro, sforzi che erano costati una flessione talvolta drammatica delle attività economiche. D'altro canto, il deprezzamento dell'euro offre ai fondi pensionistici e alle imprese americane buone opportunità per impadronirsi a buon mercato del controllo delle imprese europee. Basti pensare che circa il 50 % della capitalizzazione della borsa francese è detenuto dai fondi pensione americani e britannici. E si tratta di un fenomeno che non si limita alla Francia.

14.5. Non è giusto pensare che l'andamento del mercato dei cambi sia imputabile all'incapacità dei governi degli Stati aderenti alla zona dell'euro. Il silenzio persistente dei politici è dettato dalla manifesta preoccupazione di non accrescere le apprensioni degli operatori sul mercato. Su questo punto la regola d'oro è tacere, ma ciò non significa che i Ministri delle finanze dell'Unione europea siano indifferenti all'indebolimento dell'euro, come dimostra peraltro la stretta concertazione quasi permanente del Consiglio euro 11.

14.6. Si sono potuti constatare gli scarsi risultati, o anzi l'effetto controproducente, delle dichiarazioni rilasciate dalle maggiori autorità monetarie sulla solidità dell'euro e sul suo potenziale di recupero a breve. Su un mercato in fibrillazione questo tipo di esternazioni alimenta lo scetticismo e le preoccupazioni degli operatori.

14.7. Nella relazione mensile di maggio la Bundesbank ha manifestato un'opinione molto diffusa, cioè che per una moneta "giovane" come l'euro una tale erosione del valore non è buona cosa. Gli sforzi compiuti per minimizzare l'effetto psicologico del deprezzamento dell'euro nei confronti delle monete non appartenenti al proprio sistema dimostrano che il problema va assumendo contorni sempre più politici.

14.8. Accettare la mondializzazione dei movimenti di capitali significa anche accettare di non poter controllare i corsi dei cambi, i quali altro non sono che una forma di prezzi del mercato. In ogni caso, le autorità monetarie e i governi non dispongono più di strumenti sufficienti per intervenire sui mercati: l'unica possibilità è condurre una politica che consenta il ripristino della fiducia nel dinamismo degli 11.

14.9. L'unica arma a disposizione della BCE consiste in un rialzo dei tassi d'interesse per offrire rendimenti competitivi rispetto al dollaro, ma questo margine di manovra è stretto se non si vuole correre il rischio di bloccare la crescita economica facendo pesare sulla BCE una grave responsabilità.

14.10. In sostanza, appare evidente che al di fuori di una partecipazione degli Stati Uniti e della BCE agli sforzi delle Banche centrali nazionali non esiste alcun altro intervento credibile atto a stabilizzare il mercato mondiale dei cambi. È altrettanto evidente che gli Stati Uniti sono fondamentalmente contrari a qualsiasi intervento che rischi di frapporsi al libero gioco del mercato, visto che per il corso del dollaro si è adottata una politica del "laissez faire".

15. Una solidarietà istituzionalizzata

15.1. La solidarietà tra le piazze finanziarie si è concretata a livello istituzionale. Un Comitato permanente Euromonete è stato istituito sotto l'egida della BRI, con lo scopo di costituire un complesso di dispositivi destinato a prevenire eventuali crisi che punterà sull'aumentata trasparenza dei dati fondamentali delle posizioni delle banche centrali e del settore pubblico e privato della zona dell'euro.

15.2. In fin dei conti tale Comitato permanente ha preso atto che era impossibile isolare il mercato dell'euro dal resto dell'attività monetaria e finanziaria mondiale. All'inizio del febbraio 1999 si è deciso di trasformare il Comitato permanente Euromonete in Comitato del sistema finanziario mondiale (Committee on the global financial system).

15.3. Questo si può considerare come un riconoscimento del carattere illusorio dell'autonomia d'azione e del potere autonomo della zona dell'euro.

16. Una sfida importante: l'istituzione di una politica tributaria coerente con l'UEM

16.1. Il riconoscimento dell'importanza dei sistemi tributari nella realizzazione di un autentico mercato unico dell'UE risale alle origini stesse dell'Unione.

16.2. Risulta impossibile citare tutte le comunicazioni e le relazioni stilate in materia dalla Commissione o dai gruppi di esperti cui sono stati affidati compiti sull'argomento. Dovrebbero anche essere ricordati numerosi pareri che il CES ha dedicato a quello che è incontestabilmente l'aspetto più difficile della costruzione europea.

16.3. Il documento della Commissione del 22.10.1996 sul tema "La politica tributaria nell'Unione europea - Relazione sullo sviluppo dei sistemi tributari"(19) aveva osservato che, col diminuire delle restrizioni di natura normativa, gli ostacoli e le distorsioni fiscali rimasti diventano sempre più evidenti e la politica tributaria viene generalmente percepita come uno degli ambiti più importanti in cui la costruzione del mercato unico rimane incompiuta.

16.4. L'UEM rafforza gli effetti delle distorsioni fiscali sopprimendo il rischio di cambio, facendo convergere i tassi e diminuire i costi di transazione. In presenza di un mercato perfettamente "fluido" il regime fiscale cui sono sottoposti gli investimenti diventa un elemento determinante per il comportamento degli investitori.

16.5. Tuttavia il regime fiscale applicato ai redditi derivanti da valori mobiliari non è che uno degli elementi - benché indubbiamente il più incisivo - per l'allocazione delle risorse e la scelta della localizzazione degli investimenti.

16.6. Il peso dei prelievi obbligatori, tanto fiscali che sociali, le modalità inerenti alla loro base imponibile, le norme vigenti sul calcolo delle imposte sul reddito delle società - d'importanza pari alle aliquote apparenti - non sono privi di effetti sul modo in cui si esercita la concorrenza sui mercati e sul buon funzionamento dell'UEM. Bisogna inoltre riconoscere che la concorrenza tra i diversi regimi fiscali è ben lontana dall'attenuarsi, e che, anzi, tende ad accrescersi.

17. Un'impostazione pragmatica dalla Commissione, nel rispetto delle sovranità nazionali

17.1. Disciplinare la materia fiscale significa attaccare le basi stesse della sovranità nazionale. Esistono notevoli divergenze per quanto riguarda sia l'incidenza dei prelievi rispetto al PIL sia la ripartizione tra imposte dirette, imposte indirette e prelievi sociali.

17.2. Allo stato attuale delle cose una uniformazione o anche solo una profonda armonizzazione delle disposizioni relative alla base imponibile e ai tassi di prelievo obbligatori devono essere considerate un'utopia.

17.3. La Commissione, consapevole dei vincoli cui è soggetta, fra l'altro quello che prevede l'unanimità in sede di Consiglio per le disposizioni in materia fiscale, ha adottato la seguente impostazione pragmatica(20):

1) mettere fine alla concorrenza sleale definendo, nell'ambito di un codice di comportamento, le pratiche accettabili e quelle inaccettabili, anche nel settore degli aiuti di Stato di natura fiscale (risoluzione del Consiglio del 1o dicembre 1997);

2) tener conto della competitività dell'UE a livello mondiale (un problema importante data la presenza di paradisi fiscali extracomunitari e che forma oggetto di concertazione all'interno dell'OCSE);

3) adottare misure per eliminare le distorsioni al livello dell'imposizione dei redditi da capitale:

- il meccanismo dovrebbe riguardare unicamente gli interessi pagati in uno Stato membro alle persone fisiche che, dal punto di vista fiscale, risultano residenti di uno Stato membro diverso;

- dovrebbero coesistere due sistemi, vale a dire l'istituzione di una ritenuta alla fonte minima e la fornitura d'informazioni sui redditi da risparmio agli altri Stati membri.

18. Verso una soluzione minimalista

18.1. La soluzione proposta dalla Commissione, che godeva di un consenso abbastanza ampio, è stata respinta sia al Consiglio europeo di Helsinki del dicembre 1999 sia al Consiglio Ecofin svoltosi a Lisbona il 7 e 8 aprile 2000.

18.2. Il Consiglio di Feira, svoltosi nel giugno 2000, ha permesso di raggiungere un accordo sulla coesistenza di due sistemi per circa dieci anni:

- ritenuta alla fonte, che permette di conservare il segreto bancario durante un periodo di sette anni;

- abolizione del segreto bancario, con scambio d'informazioni tra le amministrazioni fiscali, sistema che dovrebbe essere generalizzato entro il 2010.

18.3. D'altra parte l'accordo di Feira dovrebbe permettere lo sviluppo del "Codice di condotta" che introduce un minimo di disciplina in materia di tassazione delle imprese.

18.4. L'approvazione di un codice di comportamento sulla concorrenza fiscale dannosa nel settore delle imprese sembra dipendere da una riforma del processo decisionale in materia fiscale basato sul voto a maggioranza qualificata; questo provvedimento rientra nella grande riforma istituzionale che sarà discussa al vertice di Nizza del dicembre 2000.

18.5. L'accordo di Feira prevede condizioni vincolanti tra cui l'allineamento della Svizzera, del Liechtenstein e di altre piazze finanziarie internazionali alle soluzioni adottate nell'UE. Si dovranno avviare tempestive discussioni "per promuovere l'adozione di misure equivalenti" nei paesi terzi e nei territori associati agli Stati membri dell'UE (Isola di Man, Isole Normanne, Principato di Monaco, ecc.).

18.6. Una proposta di direttiva basata sull'accordo di Feira sarà presentata al Consiglio entro la fine del 2002. Entro quella data si dovranno prendere decisioni importanti, in particolare per quanto riguarda i tassi della ritenuta alla fonte applicati dai paesi che avranno scelto questa soluzione.

18.7. Sono state espresse opinioni contrastanti sui risultati del Consiglio di Feira. Sembra in ogni caso che l'obiettivo finale d'una armonizzazione fiscale nell'UE sia ancora lontano.

19. Conclusioni

19.1. La sfida principale che l'UEM ha dovuto affrontare è stata quella di garantire il successo di un'unione monetaria che non aveva un'unione politica alle spalle ed era dunque priva di un esempio storico sul quale basarsi.

19.2. La maggioranza degli economisti e degli istituti di analisi economica di fama mondiale, compresi quasi tutti i Premi Nobel per l'economia(21), era convinta che l'euro avrebbe avuto scarse possibilità di successo.

19.3. Il tempo trascorso dall'inizio dell'Unione monetaria è ancora troppo breve per poter dare un giudizio sul suo successo. È però un fatto che l'enorme sfida tecnica rappresentata dall'introduzione dell'euro è stata vinta, e lo stesso si può dire della lotta all'inflazione e dell'allineamento senza traumi degli undici paesi ai criteri e alle regolamentazioni di Maastricht(22).

19.4. Diciotto mesi dopo il passaggio dei mercati finanziari all'euro le borse europee hanno raggiunto livelli record sotto l'influenza congiunta di una ritrovata crescita economica, del dinamismo nascente della "new economy" in Europa e della rivoluzione tecnologica rappresentata dai mezzi elettronici di accesso ai mercati. È generalmente riconosciuto che le borse valori sono capaci di anticipare l'evoluzione futura delle economie. In questo caso si può rilevare che la zona euro è entrata in un lungo ciclo di forte crescita.

19.5. L'UEM ha resistito bene alla crisi asiatica dell'agosto 1997, alla quale hanno fatto seguito, nel 1998, prima la crisi russa e poi quella brasiliana.

19.6. Le preoccupazioni relative ad un effetto di sopravvalutazione dell'euro rispetto al dollaro e allo yen sono state smentite al punto che si assiste ad un'imprevedibile inversione di tendenza.

19.7. Sarebbe tuttavia poco prudente credere che le sfide dell'UEM siano state definitivamente vinte. È vero che si tratta di sfide strettamente collegate al resto dell'economia mondiale, al punto da rendere artificiale la distinzione tra le sfide relative alla globalizzazione del commercio, alla liberalizzazione dei movimenti di capitali e all'Unione monetaria in quanto tale.

19.8. Resta tuttavia il fatto che l'Unione economica e monetaria beneficia di una situazione congiunturale particolarmente favorevole e non ha ancora dovuto dar prova della sua resistenza a un eventuale choc che investa l'intero sistema, o ad una crisi del sistema monetario internazionale. La stessa sfida si pone riguardo alla sua competitività dinanzi al dinamismo dell'economia americana e alla rapida ascesa dei paesi emergenti. Tuttavia il Comitato ha più volte espresso la propria fiducia nella capacità dell'UEM di sormontare tali difficoltà. Per la credibilità dell'euro e dunque per l'attrattiva economica della sua zona saranno cruciali sia il ruolo della BCE, sia la percezione che i mercati avranno della fondatezza della politica monetaria condotta dalla stessa. Dunque la BCE deve adottare la massima trasparenza nel presentare le proprie decisioni per assicurare che i mercati le interpretino correttamente. Inoltre, sebbene il suo obiettivo principale sia il mantenimento della stabilità dei prezzi, viene ugualmente precisato che essa dovrebbe sostenere le politiche economiche in generale nella Comunità. È pertanto necessario che al momento di prendere posizione in materia di politica monetaria si tenga conto di tali preoccupazioni, onde evitare dibattiti dannosi per la stabilità dell'euro.

19.9. È indispensabile che l'Europa approfitti della presente fase congiunturale per creare rapidamente un quadro europeo armonizzato dei mercati finanziari, che rispetti le modalità di finanziamento attualmente in uso nella Comunità e contribuisca alla creazione di un modello di sviluppo europeo.

19.9.1. Diciotto mesi dopo il passaggio dei mercati finanziari di undici paesi all'euro e dopo le conseguenti concentrazioni, bisogna constatare che l'ultima direttiva adottata in materia (la direttiva sui servizi d'investimento del 1993) è vecchia di sette anni.

19.9.1.1. È urgente modificare il processo di adattamento del quadro normativo europeo creando una procedura, più rapida e flessibile delle direttive comunitarie, che permetta di trattare a livello dei legislatori nazionali i punti non precisati o non sviluppati in modo esauriente nelle medesime direttive. Le condizioni di offerta di capitali e le condizioni dell'intermediazione in Europa andrebbero dunque migliorate:

- precisando lo status dei sistemi elettronici di negoziazione "Alternative Trade System" rispetto ai mercati regolamentati;

- creando un modello europeo di prospetto d'emissione;

- definendo in modo pratico lo status degli investitori "sofisticati";

- adottando norme contabili europee adatte alle società quotate.

19.9.1.2. In parallelo bisognerebbe stimolare la domanda di capitali in Europa. Devono essere rapidamente adottate due proposte di direttiva sui temi che seguono:

- la rapida costituzione dei fondi pensione, che diventeranno, a medio e lungo termine, una fonte di capitali per le imprese europee

- l'adozione di un nuovo passaporto europeo per la gestione degli OICVM che tenga conto degli strumenti di una gestione moderna (derivati, fondi di fondi, ecc.), permettendo così ai gestori europei di patrimonio di rivaleggiare con i loro concorrenti americani.

19.9.2. Il ricorso al credito rimane ancora il metodo di finanziamento preferito dalle PMI europee. Spesso per le imprese di piccole dimensioni il credito rappresenta una fonte di finanziamento meno costosa del ricorso ai mercati finanziari.

19.9.2.1. Diventa quindi essenziale che i parametri prudenziali applicati in riferimento al coefficiente di solvibilità non penalizzino il credito rispetto al finanziamento sul mercato. Nello stesso ordine d'idee, sarebbe auspicabile che la Commissione avviasse una riflessione sulla possibilità di permettere una copertura ex ante per attenuare i cicli economici e dunque rendere più stabili le condizioni di concessione di credito alle PMI.

19.9.2.2. Per quanto riguarda le microimprese, che sono una fonte importante di creazione di posti di lavoro in Europa, i parametri prudenziali applicabili a questa categoria di portafoglio bancario dovrebbero essere ridotti per tener conto al tempo stesso della frammentazione del rischio generato dalla diversificazione dei settori d'appartenenza e della scarsa entità degli importi individuali.

19.9.2.3. Su questo ultimo punto le banche europee, attraverso la Federazione bancaria dell'Unione europea, hanno avanzato alcune proposte concrete in occasione della consultazione avviata dalla Commissione sul coefficiente di solvibilità. La Commissione dovrebbe tenere conto di questa preoccupazione.

19.9.3. Il modello di sviluppo europeo non può essere unicamente un modello per il mercato all'ingrosso. La protezione dei consumatori esige l'applicazione di norme, soprattutto per tutelare i consumatori meno sofisticati. In questa stessa logica sembra appropriato l'approccio di massima armonizzazione adottato dalla Commissione per la direttiva sulla vendita a distanza di servizi finanziari. Tale approccio è coerente e si coniuga con la definizione armonizzata di "investitore sofisticato" consigliata in altra sede.

19.10. In maniera più generale ed a medio termine non sono stati valutati gli effetti dell'ampliamento dell'UE e il rischio di una sua frammentazione, che renderebbe la zona euro un club a parte con regole e ambizioni diverse dal resto dell'Unione. Ed è innegabile che questo rappresenta una nuova sfida la cui portata è ben superiore al suo impatto sui mercati finanziari.

19.11. Il Comitato non può che condividere il parere del Presidente della BCE Duisenberg, il quale, nell'ultima relazione della stessa BCE(23), afferma: "Il lancio dell'euro ha avuto successo, ma la riuscita dell'euro e dell'Unione economica e monetaria è manifestamente un'impresa di lungo respiro".

Bruxelles, 21 settembre 2000.

La Presidente

del Comitato economico e sociale

Beatrice Rangoni Machiavelli

(1) L'impatto dell'introduzione dell'euro sui mercati dei capitali ha formato oggetto di una comunicazione della Commissione in data 2 luglio 1997 (COM(97) 337 def.), in cui figuravano le principali raccomandazioni della relazione Giovannini sui compiti da svolgere per quanto riguarda i mercati delle obbligazioni, delle azioni e degli strumenti derivati. Questa comunicazione ha formato oggetto di un parere del Comitato (relatore: Pelletier): GU C 73 del 9.3.1998, pag. 141.

(2) Parere del 26 ottobre 1995 in merito al "Libro verde sulle modalità pratiche per l'introduzione della moneta unica", GU C 18 del 22.1.1996, pag. 112; parere del 26 settembre 1996 in merito a "Gli effetti dell'Unione economica e monetaria: aspetti economici e sociali della convergenza e sensibilizzazione alla moneta unica", GU C 30 del 30.1.1997, pag. 73; parere del 31 ottobre 1996 in merito alle "Implicazioni per il mercato della legislazione e delle regolamentazioni necessarie per la transizione alla moneta unica", GU C 56 del 24.2.1997, pag. 65; parere del 29 maggio 1997 sul tema "Il disposto previsto per la terza fase dell'Unione economica e monetaria: patto di stabilità e di crescita inteso ad assicurare la disciplina di bilancio, rafforzamento delle procedure di convergenza e nuovo meccanismo di cambio", GU C 287 del 22.9.1997, pag. 74; parere dell'11 dicembre 1997 in merito alla "Comunicazione della Commissione dal titolo - Aspetti pratici dell'introduzione dell'euro", GU C 73 del 9.3.1998, pag. 130; parere del 26 marzo 1998 in merito al "Documento di lavoro dei servizi della Commissione: Gli aspetti esterni dell'Unione economica e monetaria", GU C 157 del 25.5.1998, pag. 65; parere del 9 settembre 1998 sul tema "L'occupazione e l'euro", GU C 407 del 28.12.1998, pag. 282; parere del 2 dicembre 1998 sul tema "La politica occupazionale e il ruolo delle organizzazioni socioprofessionali nella terza fase dell'Unione economica e monetaria", GU C 40 del 15.2.1999, pag. 37; parere del 21 ottobre 1999 sul tema "Le ripercussioni dell'attuazione dell'UEM sulla coesione economica e sociale", GU C 368 del 20.12.1999, pag. 87 e, infine, parere del 2 marzo 2000 sul tema "Un bilancio dei primi mesi di applicazione della moneta unica", GU C 117 del 26.4.2000, pag. 23.

(3) Secondo l'inchiesta della Commissione europea pubblicata nel dicembre 1999, l'euro rappresenta in media l'1,9 % dei pagamenti nazionali delle imprese e lo 0,8 % del valore dei pagamenti effettuati dai privati cittadini.

(4) Comunicazione della Commissione sulla strategia di comunicazione nelle ultime fasi della realizzazione dell'UEM (COM(2000) 57 def.).

(5) Il 13 luglio 2000 il Commissario europeo Pedro Solbes ha suonato ancora una volta il campanello d'allarme sul ritardo che le imprese ed i privati cittadini presentano nell'adattamento all'euro. Il Consiglio Ecofin del 17 luglio 2000 ha richiamato l'attenzione sul fatto che i paesi della zona dell'euro non sembrano essere abbastanza consapevoli dell'imminenza del mutamento.

(6) I profitti prima delle imposte conseguiti dalle banche europee nel periodo 1995-1998 rappresentano lo 0,68 % del totale delle attività, mentre negli Stati Uniti sono l'1,58 %. I profitti netti da interessi sono rispettivamente dell'1,83 % nell'UE e del 2,96 negli USA - Cfr. Documento di lavoro della Commissione (SEC(2000) 190) (N.d.T.: traduzione non ufficiale).

(7) Secondo uno studio della DG Bank, nel periodo 1985-1999 il numero delle banche nella zona euro sarebbe sceso da 18851 a 8312 unità. La banca tedesca stima che negli undici paesi il numero totale delle imprese bancarie si ridurrà ulteriormente a 7700 unità entro la fine del 2000.

(8) Parere del 28 gennaio 1998 sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, all'Istituto monetario europeo ed al Comitato economico e sociale: "Accrescere la fiducia dei consumatori negli strumenti di pagamento elettronici nel mercato unico", GU C 95 del 30.3.1998, pag. 15. Parere del 27 gennaio 1999 in merito alla "Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l'avvio, l'esercizio e la vigilanza prudenziale dell'attività degli istituti di moneta elettronica" e alla "Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la Direttiva 77/780/CEE, relativa al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l'accesso all'attività degli enti creditizi e il suo esercizio", GU C 101 del 12.4.1999, pag. 64.

(9) Eletronic communication network.

(10) Rapporto annuale della Banca centrale europea per il 1999, pag. 4.

(11) Rapporto della Banca Centrale Europea 1999, pag. 17.

(12) Cfr. W.R. White - The euro and European financial markets - I.M.F. 1997.

(13) Cfr. Documento di lavoro della Commissione (SEC(2000) 190) pagg. 71-72 (N.d.T.: traduzione non ufficiale).

(14) Cfr. Documento di lavoro della Commissione (SEC(2000) 190) pag. 73 (N.d.T.: traduzione non ufficiale).

(15) Parere del CES sul tema "Il ruolo della Banca europea per gli investimenti (BEI) nella politica regionale europea" riguardante il ruolo della BEI nel sostenere il mercato obbligazionario in euro, CES 1001/2000.

(16) Secondo la Federazione internazionale delle borse valori, alla fine del 1999 la capitalizzazione totale delle borse della zona euro era di 4274430 milioni di dollari, contro i 13935045 milioni di dollari della New York Stock Exchange e del Nasdaq.

(17) Over the counter market (in pratica un tipo di mercato non regolamentato).

(18) È uno scarto che tenderebbe a ridursi sensibilmente: a metà maggio 2000 il rendimento del T-BUND a 10 anni era del 5,40 %, l'OAT (in Francia: obbligazioni assimilabili a quelle del Tesoro) era del 5,50 %, mentre i FED-FUNDS a 10 anni si attestavano al 6,40 %. Il divario si è poi lievemente accentuato con il rialzo dei tassi del FED e con la stabilizzazione dei tassi della BCE. L'8 giugno 2000 la BCE ha portato al 4,25 % (+0,50 %) il tasso di rifinanziamento delle banche. Nel giugno 2000 i depositi a tre mesi rendono il 6,52 % negli Stati Uniti contro il 4,3 % nell'UE. Se si tiene conto dei rispettivi livelli d'inflazione, i tassi reali sono paragonabili.

(19) COM (96) 546 def. (non disponibile in italiano).

(20) Comunicazione della Commissione al Consiglio -Verso il coordinamento fiscale nell'Unione europea - Un pacchetto di misure volte a contrastare la concorrenza fiscale dannosa - COM/97/0495 def. del 1o ottobre 1997.

(21) La sola eccezione notevole è costituita dall'opinione del Prof. Robert Mundell che è favorevole all'euro.

(22) Secondo il Presidente della Bundesbank, il successo della BCE va giudicato più dalla stabilità dei prezzi che dai tassi di cambio.

(23) Rapporto della Banca Centrale Europea 1999, pag. 5.

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