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Doiciméad 62003CJ0453
Massime della sentenza
Massime della sentenza
1. Atti delle istituzioni — Scelta del fondamento normativo — Criteri — Atti che riguardano gli alimenti composti per animali — Misura che contribuisce direttamente alla protezione della salute — Adozione sulla base dell’art. 152, n. 4, lett. b), CE — Legittimità
(Art. 152, n. 4, lett. b), CE; direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2002/2)
2. Protezione della salute — Alimenti composti per animali — Direttiva 2002/2 — Obiettivo di protezione della salute — Disparità di trattamento obiettivamente giustificata
(Art. 152, n. 1, CE; direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2002/2, art. 1, punti 1, lett. b), e 4)
3. Protezione della salute — Alimenti composti per animali — Direttiva 2002/2 — Principio di proporzionalità — Obbligo per i fabbricanti di fornire ai clienti l’indicazione esatta dei componenti di un alimento — Violazione — Obbligo di indicare le percentuali dei componenti di un alimento — Violazione — Assenza
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2002/2, art. 1, punti 1, lett. b), e 4)
4. Protezione della salute — Alimenti composti per animali — Direttiva 2002/2 — Applicazione — Presupposto — Adozione di un elenco positivo di materie prime indicate con i loro nomi specifici — Assenza
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2002/2, decimo ‘considerando‘)
5. Atti delle istituzioni — Concessione della sospensione dell’applicazione di un atto comunitario da parte del giudice nazionale — Rinvio pregiudiziale alla Corte per esame di validità — Potere delle autorità amministrative degli altri Stati membri di sospendere l’applicazione di tale atto in attesa della sentenza della Corte — Assenza
1. Nell’ambito del sistema di competenze della Comunità, la scelta del fondamento giuridico di un atto deve basarsi su elementi oggettivi suscettibili di sindacato giurisdizionale. Tra tali elementi figurano, in particolare, lo scopo e il contenuto dell’atto. La direttiva 2002/2, relativa alla circolazione dei mangimi composti per animali, è basata sull’art. 152, n. 4, lett. b), CE, che consente l’adozione di misure nei settori veterinario e fitosanitario il cui obiettivo primario sia la protezione della salute. Dall’esame dei citati ‘considerando’ di tale direttiva risulta che l’obiettivo perseguito dal legislatore comunitario, allorché ha adottato le disposizioni relative alle indicazioni dei componenti dei mangimi che figurano all’art. 1, punti 1, lett. b), e 4, era quello di rispondere alla necessità di disporre di informazioni più dettagliate in materia di indicazioni di componenti di alimenti per animali al fine in particolare di assicurare la rintracciabilità di materie prime potenzialmente contaminate per risalire alle partite specifiche, il che è benefico per la sanità pubblica. Queste disposizioni possono contribuire quindi direttamente al perseguimento dell’obiettivo di tutela della salute e hanno potuto così essere validamente adottate sulla base dell’art. 152, n. 4, lett. b), CE.
(v. punti 54-57, 60)
2. L’obiettivo perseguito dalla direttiva 2002/2, relativa alla circolazione dei mangimi composti per animali, ossia la tutela della sanità pubblica, potrebbe giustificare un’eventuale disparità di trattamento, soprattutto in considerazione dell’obbligo, risultante dall’art. 152, n. 1, CE, di assicurare un livello elevato di protezione della salute umana nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche e attività della Comunità. Peraltro, quand’anche si giungesse a dimostrare che misure così restrittive come quelle che figurano all’art. 1, punti 1, lett. b), e 4, di tale direttiva si giustificano anche in settori in cui simili misure non sono ancora state adottate, come nel settore degli alimenti destinati al consumo umano, ciò non rappresenterebbe una ragione sufficiente per considerare che le misure adottate nel settore oggetto dei provvedimenti comunitari di cui è causa non sono legittime a causa della loro natura discriminatoria. In caso contrario, ciò avrebbe l’effetto di portare la protezione della sanità pubblica al livello della normativa esistente che fornisce la protezione meno elevata.
(v. punti 64-65)
3. L’art. 1, punto 1, lett. b), della direttiva 2002/2, relativa alla circolazione dei mangimi composti per animali, che impone ai produttori di mangimi composti di fornire, dietro richiesta del cliente, la composizione esatta di un alimento, è invalido in relazione al principio di proporzionalità. Infatti, tale obbligo lede gravemente gli interessi economici dei produttori, giacché li costringe a divulgare la formula di composizione dei loro prodotti, con il rischio che i prodotti siano utilizzati come modelli, eventualmente anche dai clienti stessi, e che i produttori non possano trarre profitto dagli investimenti che hanno effettuato in materia di ricerca ed innovazione.
Ora, un tale obbligo non può giustificarsi con l’obiettivo di protezione della salute perseguito ed eccede manifestamente la misura necessaria per conseguire quest’obiettivo. Innanzi tutto, tale obbligo è indipendente da ogni problema di contaminazione degli alimenti e deve essere soddisfatto su semplice richiesta del cliente. Inoltre, l’indicazione, sull’etichetta, delle percentuali all’interno di fasce dovrebbe normalmente consentire l’identificazione di un alimento che si sospetta sia contaminato, al fine di valutare la sua pericolosità in funzione del peso indicato e di disporre eventualmente il suo ritiro provvisorio in attesa dei risultati delle analisi di laboratorio o per consentire la rintracciabilità del prodotto da parte delle autorità pubbliche interessate. Infine, indipendentemente dalle procedure di controllo relative alla sicurezza alimentare istituite nell’ambito del regolamento n. 178/2002, adottato lo stesso giorno della direttiva 2002/2, l’art. 1, punto 5, di quest’ultima prevede che i produttori di mangimi composti sono tenuti a mettere a disposizione delle autorità incaricate di effettuare i controlli ufficiali, su richiesta di queste, qualsiasi documento relativo alla composizione degli alimenti destinati ad essere immessi in circolazione che consenta di verificare la correttezza delle informazioni fornite sull’etichetta.
Per contro, l’art. 1, punto 4, della detta direttiva, che impone l’obbligo di indicare, all’interno di fasce, le percentuali dei componenti di un alimento, non viola il principio di proporzionalità, poiché, nell’ambito di un ampio potere discrezionale riconosciuto al legislatore comunitario in tale settore, tale obbligo costituisce una misura idonea a contribuire all’obiettivo di protezione della salute animale ed umana. Essa consente infatti di identificare i componenti di un alimento che si sospetta siano contaminati senza attendere i risultati delle analisi di laboratorio e di ritirare rapidamente tale alimento dal consumo.
(v. punti 69, 76, 82-86, dispositivo 3)
4. La direttiva 2002/2, relativa alla circolazione dei mangimi composti per animali, dev’essere interpretata nel senso che la sua applicazione non è subordinata all’adozione dell’elenco positivo di materie prime designate con i loro nomi specifici di cui al decimo ‘considerando’ della detta direttiva.
Infatti, dal testo di tale ‘considerando’ risulta che esso costituiva il semplice auspicio del legislatore comunitario che si stilasse una proposta di elenco positivo delle materie prime. Infatti, esso prevede solamente la realizzazione di uno studio di fattibilità, la stesura di una relazione e la presentazione di una proposta adeguata che tenga conto delle conclusioni di tale relazione. Peraltro, il contenuto di tale ‘considerando’ non è riprodotto nel dispositivo della direttiva e l’esame di questa non indica in alcun modo che la sua attuazione sia subordinata all’adozione dell’elenco positivo. In particolare, non risulta che l’obbligo di etichettatura sia impossibile da rispettarsi in mancanza di tale elenco né che l’abrogazione della direttiva 91/357, che stabilisce le categorie di materie prime per mangimi che possono essere utilizzate per l’indicazione della composizione degli alimenti composti destinati ad animali diversi da quelli familiari, abbia reso impossibile l’attuazione della detta direttiva 2002/2, poiché i produttori possono, in mancanza di normativa comunitaria o persino di normativa nazionale in materia, utilizzare denominazioni specifiche correnti delle materie prime.
(v. punti 95-98, dispositivo 4)
5. Anche quando un giudice di uno Stato membro ritenga che ricorrano i presupposti in base ai quali esso può sospendere l’applicazione di un atto comunitario, in particolare quando la questione riguardante la validità di tale atto è già stata sottoposta alla Corte di giustizia, le competenti autorità amministrative nazionali degli altri Stati membri non possono sospendere l’applicazione di tale atto finché la Corte non si sia pronunciata riguardo alla sua validità. Spetta infatti al solo giudice nazionale verificare, prendendo in considerazione le circostanze del caso di specie che gli è sottoposto, se siano soddisfatte le condizioni per la concessione di provvedimenti provvisori.
Infatti, la coerenza del sistema di tutela cautelare impone che il giudice nazionale possa disporre la sospensione dell’esecuzione di un atto amministrativo nazionale fondato su un regolamento comunitario la cui legittimità sia in contestazione. Tuttavia, l’applicazione uniforme del diritto comunitario, che costituisce un’esigenza fondamentale dell’ordinamento giuridico comunitario, implica che la sospensione dell’esecuzione di provvedimenti amministrativi basati su un regolamento comunitario, pur essendo disciplinata dalle norme di diritto nazionali, in particolare per ciò che attiene alla proposizione e all’istruzione della domanda, sia quantomeno assoggettata in tutti gli Stati membri a condizioni di concessione uniformi e identiche a quelle previste per le domande di provvedimenti urgenti dinanzi alla Corte. Per verificare in particolare se le condizioni relative all’urgenza e al rischio di un danno grave e irreparabile siano soddisfatte, il giudice del procedimento sommario deve esaminare le circostanze del caso di specie, valutando gli elementi che consentono di accertare se l’immediata esecuzione dell’atto in ordine al quale è formulata l’istanza di provvedimenti provvisori possa comportare in capo al richiedente danni irreversibili, che non potrebbero essere riparati qualora l’atto comunitario dovesse essere dichiarato invalido. In quanto giudice chiamato ad applicare le norme comunitarie nell’ambito della propria competenza e tenuto, quindi, a garantire la piena efficacia del diritto comunitario, il giudice nazionale investito della domanda di provvedimenti provvisori deve tener conto del pregiudizio che il provvedimento urgente può arrecare al regime giuridico istituito da un atto comunitario in tutta la Comunità. Esso è tenuto a prendere in considerazione, da una parte, l’effetto cumulativo provocato nell’ipotesi in cui numerosi giudici emanassero anch’essi provvedimenti urgenti per motivi analoghi e, dall’altra, la specificità della situazione del richiedente, che lo differenzia dagli altri operatori economici interessati. In particolare, qualora la concessione di provvedimenti provvisori possa comportare per la Comunità un rischio finanziario, il giudice nazionale deve poter imporre al richiedente la prestazione di sufficienti garanzie.
Ora, le autorità amministrative nazionali non sono in grado di adottare provvedimenti provvisori rispettandone le condizioni di concessione definite dalla Corte. Innanzi tutto, lo status stesso di queste autorità non può di regola garantire che esse abbiano lo stesso grado di indipendenza e di imparzialità riconosciuto ai giudici nazionali. Parimenti, non è certo che tali autorità beneficino del contraddittorio che è proprio del dibattito giudiziario, che consente di ascoltare gli argomenti presentati dalle diverse parti prima di ponderare gli interessi contrapposti al momento dell’adozione di una decisione.
(v. punti 103-109, 111, dispositivo 5)