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Document 52003AE1179

    Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema "Il contributo delle politiche comunitarie non strutturali alla coesione economica e sociale"

    GU C 10 del 14.1.2004, p. 92–105 (ES, DA, DE, EL, EN, FR, IT, NL, PT, FI, SV)

    52003AE1179

    Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema "Il contributo delle politiche comunitarie non strutturali alla coesione economica e sociale"

    Gazzetta ufficiale n. C 010 del 14/01/2004 pag. 0092 - 0105


    Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema "Il contributo delle politiche comunitarie non strutturali alla coesione economica e sociale"

    (2004/C 10/20)

    In data 23 luglio 2002, Michel Barnier, membro della Commissione europea per la politica regionale, ha invitato il Comitato economico e sociale europeo, a nome della Commissione, a elaborare un parere esplorativo sul tema "Il contributo delle politiche comunitarie non strutturali alla coesione economica e sociale."

    La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il parere sulla base del rapporto introduttivo del relatore Dassis in data 1o settembre 2003.

    Il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il 25 settembre 2003, nel corso della 402a sessione plenaria, con 66 voti favorevoli, 21 contrari e 10 astensioni, il seguente parere.

    1. Osservazioni preliminari

    1.1. Alcuni recenti avvenimenti della massima importanza mostrano che il cammino verso l'unione politica dell'Europa si prospetta ancora lungo e difficile. I governi di alcuni Stati membri sembrano infatti aver dimenticato la posizione sostenuta negli anni '70 e '80, secondo cui l'integrazione europea costituisce l'unica via praticabile, dato che nessuno dei paesi europei è in grado di influire singolarmente sugli sviluppi a livello mondiale.

    Ad ogni modo, la coesione economica e sociale rappresenta uno degli obiettivi fondamentali introdotti dai trattati e confermati nel progetto di Costituzione europea, assieme all'unione economica e monetaria e al completamento del mercato interno.

    Le nuove condizioni specifiche attuali e in particolare:

    - la crescente globalizzazione dei mercati,

    - l'allargamento dell'UE ai paesi dell'Europa centrale e orientale,

    - l'affermarsi della società, ma anche dell'economia della conoscenza e

    - gli elementi sociali e politici più generali che caratterizzano il XXI secolo,

    impongono l'adozione di un nuovo approccio aggiornato anche in materia di coesione economica e sociale.

    1.2. Per giungere a un tale approccio bisognerà prevedere:

    - un esame dettagliato degli obblighi in materia di coesione economica e sociale per gli Stati membri e la Comunità, derivanti dal Trattato sull'Unione europea e dal Trattato che istituisce la Comunità europea, allo scopo di chiarire in tutta la misura del possibile il senso delle varie disposizioni e normative in materia,

    - l'inventario e l'analisi delle prassi comunitarie e nazionali in materia di interpretazione e di applicazione delle disposizioni e regolamentazioni previste dai trattati e dalla Costituzione europea, quando sarà entrata in vigore, in materia di coesione,

    - l'individuazione delle conseguenze di tali prassi per la coesione economica e sociale e

    - la segnalazione degli eventuali punti su cui potrebbe essere opportuno discostarsi da tali prassi: ciò potrebbe avvenire, ad esempio, modificando le attuali priorità o ampliando la gamma delle opzioni disponibili nella fase di definizione, di elaborazione e di attuazione di ogni singola politica comunitaria.

    1.3. Il Comitato economico e sociale europeo ha già pubblicato una serie di pareri al riguardo, tra cui quello intitolato "Il futuro della politica di coesione nella prospettiva dell'allargamento e del passaggio all'economia della conoscenza"(1), che estende l'esame della problematica ai possibili effetti sulla coesione legati al passaggio all'economia della conoscenza, e quello sulla Strategia di coesione economica e sociale dell'UE(2), che attribuisce particolare importanza al modo in cui le politiche strutturali fondate sull'articolo III-111 del progetto di Costituzione europea concorrono al rafforzamento della coesione.

    1.4. Il presente parere ha carattere complementare e si prefigge, per ragioni che verranno precisate più avanti, di affrontare il tema concreto dell'esigenza di un'impostazione e di una valutazione maggiormente analitica - dal punto di vista della coesione economica e sociale - delle politiche non strutturali, vale a dire le politiche oggetto dell'articolo III-112 del progetto di Costituzione europea.

    2. La definizione del concetto di coesione

    2.1. Le disposizioni e le normative relative alla coesione sono riprese, in modo particolarmente analitico e concreto, nella parte III del progetto di Costituzione europea.

    2.2. A norma dei trattati, prima di prendere qualsiasi decisione nell'ambito delle singole politiche e azioni comunitarie, gli Stati membri e l'Unione sono tenuti a compiere un esame e una valutazione anche alla luce del criterio della coesione economica e sociale. In altri termini, la necessità di potenziare questa forma di coesione non si limita a riguardare alcune specifiche politiche e azioni comunitarie, ma le interessa e le attraversa tutte.

    2.3. Un'analisi maggiormente approfondita consente di giungere alle tre conclusioni seguenti:

    2.3.1. In primo luogo, il testo dei trattati fa riferimento alla coesione economica e sociale senza tuttavia precisare - attraverso disposizioni più specifiche - che cosa si intenda per dimensione economica e sociale della coesione. In ogni caso, appare evidente che tali disposizioni non si limitano a un riferimento globale e complessivo alla coesione, ma inquadrano tale riferimento in una duplice dimensione: quella economica e quella sociale.

    2.3.2. In secondo luogo, l'unica disposizione che faccia riferimento al concetto di coesione nella sua dimensione globale e composita (economica e sociale) figura all'articolo 158 (sviluppo armonioso dell'insieme della Comunità, riduzione del divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e del ritardo delle regioni meno favorite).

    2.3.2.1. Qualora mancasse il riferimento esplicito dell'articolo 159 del Trattato CE, ci si potrebbe chiedere se - prima di essere annunciate, ma anche nella fase di definizione e attuazione - le politiche comunitarie a carattere non strutturale vadano o meno costrette nel "letto di Procuste" dell'adeguamento alle necessità e agli imperativi legati all'obbligo di realizzare la coesione economica e sociale, con l'eventualità di non beneficiare della serie di vantaggi attesi dalla loro attuazione. È lecito chiedersi, in altri termini, se le politiche vadano attuate con l'unico obiettivo di trarre il massimo vantaggio possibile per tutta la Comunità, anche quando la loro applicazione indiscriminata e senza deroghe accresce le disparità tra le regioni, aggrava i ritardi di quelle meno favorite e, in definitiva, produce divergenze regionali e nuovi squilibri, anziché una maggiore coesione.

    2.3.2.2. Tale interrogativo, tuttavia, non ha ragione di essere quando si considera l'enunciato dell'articolo 159: le politiche non strutturali, infatti, devono tenere conto degli imperativi di coesione in fase di definizione e di attuazione, per cui non è da escludere l'eventualità che esse si rivelino incapaci di apportare il massimo vantaggio possibile per l'insieme della Comunità, quando tale vantaggio finisce per accentuare le disparità tra le regioni e per aggravare la situazione di quelle meno favorite.

    2.3.3. In terzo luogo, permane valido l'interrogativo, a tutt'oggi senza risposta, su come la Comunità abbia interpretato e applicato finora nelle proprie modalità di funzionamento le disposizioni dei trattati in materia di coesione. Come si vedrà nel seguito del presente parere, la Comunità ha seguito fino a oggi procedure distinte. Nelle fasi di definizione, elaborazione e attuazione delle politiche comunitarie a carattere non strutturale non procede alla misurazione o alla valutazione del loro eventuale impatto sulla coesione (cioè sulla riduzione delle divergenze e dei ritardi regionali), limitandosi a esaminarne le ripercussioni sull'insieme della Comunità. Ciò significa che, nel dare attuazione ad alcune politiche comunitarie (ad esempio, nel settore della concorrenza, del mercato interno, della politica monetaria, ecc.), la Comunità accetta il rischio di aggravare gli squilibri regionali, cioè di accrescere il divario economico e sociale a scapito della coesione, e solo a posteriori si adopera - attraverso la programmazione e l'applicazione delle politiche strutturali - per eliminare, circoscrivere o ridurre gli effetti dannosi delle politiche non strutturali sulla coesione. Nella prassi comunitaria, quindi, la garanzia della coesione economica e sociale sembra essere successiva, in termini cronologici e come politica strutturale, rispetto alle altre politiche comunitarie.

    3. L'approccio combinato alla coesione economica e sociale

    3.1. Con il termine coesione economica si intende un approccio interregionale relativo a determinati indicatori economici, in particolare quelli riguardanti il PIL pro capite.

    3.2. Quanto al termine coesione sociale, con esso si intende anzitutto il sistema di protezione e di sicurezza sociale nel quadro del modello sociale europeo.

    3.3. Il riferimento congiunto ai due concetti nel testo del Trattato (articoli 158-162), senza però che tra essi sia istituita alcuna distinzione concettuale, non può essere considerato la soluzione migliore, poiché finisce per rivelare una serie di gravi carenze al momento di definire in modo più specifico il contenuto e i limiti delle due dimensioni della coesione.

    3.4. L'interrogativo principale che viene in tal modo sollevato e a cui bisogna dare risposta è se sia possibile (o accettabile) collegare l'approccio ai due concetti (interrelati) di coesione. La questione potrebbe essere anche formulata in modo diverso, chiedendosi cioè se sia lecito attribuire un'eventuale priorità gerarchica alla coesione economica rispetto alla coesione sociale.

    3.5. Il problema va affrontato in base alle disposizioni esplicite degli articoli 158-162 del Trattato che istituisce la Comunità europea, e non a eventuali studi o scelte teoriche. Si tratta in altri termini di stabilire se, stando al disposto degli articoli 158-162, in fase di elaborazione e di attuazione dell'insieme delle politiche comunitarie si debba perseguire - in modo parallelo e simultaneo - la coesione tanto economica quanto sociale o se, viceversa, detti articoli istituiscano una relazione gerarchica di priorità della prima dimensione rispetto alla seconda.

    3.6. Dato che il PIL medio pro capite costituisce, appunto, una media, misurare la coesione basandosi esclusivamente su questa grandezza numerica impone che - prima di giungere a determinate conclusioni - si tenga conto dei ben noti inconvenienti legati ai valori medi nei calcoli statistici.

    3.7. Ne consegue che la coesione e, eventualmente, il suo aumento o la sua diminuzione, non possono essere misurati solo in base al PIL pro capite. È necessario, in altri termini, tenere conto anche di altri parametri e criteri se si vuole conoscere l'autentica ed esatta entità della coesione e i suoi sviluppi, in un senso o nell'altro.

    3.8. Nondimeno, questa indispensabile valutazione congiunta, volta a creare un indicatore più rappresentativo della coesione, presuppone quanto segue:

    - In primo luogo, bisognerà scegliere i parametri, diversi dal PIL, di cui sarà necessario tenere conto. Il nuovo indicatore del livello di coesione dovrà essere misto e composito: oltre al PIL, infatti, dovrà includere anche parametri come il tasso di occupazione e di disoccupazione, il grado di protezione sociale, il livello di accesso ai servizi di interesse generale, ecc.

    - In secondo luogo, sarà necessario risolvere il problema di come soppesare l'apporto di ciascun fattore alla formazione dell'indicatore misto e complesso per misurare la coesione.

    4. Valutazione generale delle ripercussioni delle politiche strutturali sulla coesione economica e sociale

    4.1. Nell'ambito delle definizioni, delle analisi e delle valutazioni della politica regionale si osserva un evidente collegamento tra politica regionale e politiche strutturali.

    4.2. Quanto alla misurazione delle ripercussioni delle politiche strutturali, sono già stati svolti alcuni eccellenti lavori, e altri sono in fase di esecuzione.

    4.3. Ad esempio, è stato possibile integrare la seconda relazione non solo con una serie di dati attendibili sui più svariati parametri, ma anche con un quadro generale delle conseguenze delle politiche strutturali sul rafforzamento della coesione. In particolare, nel periodo 1988-1999 si è riusciti a ridurre di un terzo il divario iniziale tra il PIL pro capite dei quattro Stati membri più poveri e la media comunitaria, divario che è passato infatti da 32 (68 %) a 21 (79 %) punti percentuali.

    4.4. Ciò significa che, in un arco temporale di 11 anni (1988-1999), lo squilibrio tra il PIL medio pro capite dei quattro Stati membri della coesione e la media comunitaria è diminuito a un ritmo annuo dell'1 %.

    5. Valutazione generale del contributo delle altre politiche comunitarie alla coesione economica e sociale

    5.1. L'affermazione formulata in precedenza secondo cui esiste un nesso tra politica regionale e interventi strutturali trae origine dalla constatazione che manca qualunque tipo di rilevazione statistica degli effetti delle politiche non strutturali sul rafforzamento della coesione economica e sociale.

    5.2. È lecito chiedersi quindi in che modo sarà possibile valorizzare l'esperienza già accumulata nel settore degli interventi strutturali riguardo alla scelta di indicatori e di misurazioni quantitative, e trasporla nell'ambito di ciascuna delle altre politiche comunitarie.

    5.3. La necessità di applicare l'articolo 159 diverrà ancora più imperiosa dopo l'allargamento dell'UE. In base a calcoli ben noti, si prevede che con l'adesione all'UE dei nuovi Stati membri il PIL comunitario pro capite si abbasserà del 13 % e che, di conseguenza, 15 regioni europee verranno con ogni probabilità escluse dall'obiettivo 1. La funzione di rafforzamento della coesione economica e sociale che caratterizza le politiche strutturali verrà così a indebolirsi in tali regioni, che comunque resteranno povere.

    5.4. Bisogna dunque evitare che il processo di rafforzamento della coesione economica e sociale si affievolisca nelle regioni che, dopo l'allargamento, si troveranno escluse dall'obiettivo 1. Ciò potrà avvenire in due modi, che peraltro non si escludono a vicenda.

    5.4.1. Il primo consiste nel garantire che queste regioni possano rimanere nell'obiettivo 1, fissando una soglia di ammissibilità inferiore al 75 % del PIL comunitario medio.

    5.4.2. Il secondo consiste nel rafforzare l'apporto delle politiche non strutturali alla coesione economica e sociale.

    5.5. Va da sé che, qualora la prima delle due opzioni non risulti praticabile, l'applicazione dell'articolo 159 e il ricorso alle altre politiche non strutturali per consolidare la coesione (soprattutto nelle regioni povere d'Europa) si riveleranno particolarmente utili e assumeranno quindi un'importanza decisiva ai fini della coesione economica e sociale.

    6. Le contraddizioni insite nell'applicazione delle altre politiche comunitarie. Obiettivo: adeguarle senza metterle in discussione

    6.1. Conviene anzitutto precisare che nessuna norma dei trattati autorizza a sopprimere completamente una politica comunitaria.

    6.2. In effetti, nel quadro specifico dei trattati non avrebbe senso ostacolare deliberatamente l'efficace funzionamento di una data politica comunitaria, in nome del principio che qualunque politica può sortire, accanto ai suoi effetti positivi, anche alcuni effetti negativi (si potrebbe sostenere, ad esempio, che l'introduzione della moneta unica ha avuto anche qualche ricaduta isolata di tipo negativo, ma questo non può offuscare le conseguenze globalmente positive legate all'avvento dell'euro).

    6.3. Nello stesso ordine d'idee, si potrebbe argomentare che le politiche comunitarie ex articolo 159 daranno luogo con molta probabilità - o con relativa certezza - a evoluzioni e sviluppi contradditori: non è da escludere infatti che, accanto a una serie di effetti benefici per l'intera UE, esse possano determinare per talune regioni conseguenze negative.

    6.4. D'altro canto, c'è da aspettarsi che le politiche comunitarie non strutturali producano effetti divergenti - e, anzi, talora fortemente divergenti - nelle varie regioni.

    6.5. Come nota la seconda relazione sulla coesione economica e sociale, si registra allo stesso tempo una convergenza tra gli Stati membri e una divergenza tra le regioni europee.

    6.6. Lo studio della Commissione europea sull'occupazione(3) è ancora più preciso, poiché distingue, nell'arco di tempo complessivo che va dal 1950 ai giorni nostri, tre periodi nettamente caratterizzati.

    6.7. Nel periodo 1950-1970 si osserva una chiara convergenza tra le regioni europee in termini sia di reddito pro capite sia di produttività: in tale contesto, le regioni più povere presentano ritmi di crescita pari a oltre quattro volte quelli delle regioni più ricche.

    6.8. Questo scenario, però, subisce un ribaltamento durante i due periodi successivi (dopo il 1970). In particolare, avviene quanto segue:

    6.8.1. Nel periodo 1971-1994 si osserva un netto rallentamento della convergenza tra le regioni, per cui quelle più povere non riescono in alcun modo ad avvicinarsi alle più ricche.

    6.8.2. Gli anni 1994-1999 segnano un periodo di sviluppo per l'Europa, e - soprattutto nel quinquennio 1995-1999 - un ulteriore rallentamento della convergenza. Dalla crescita, infatti, non traggono beneficio tutte le regioni europee e, anzi, lo studio dimostra che in detto periodo le regioni europee presentano situazioni molto differenziate in termini di:

    - aumento del PIL pro capite (espresso in standard di potere d'acquisto),

    - produttività,

    - tasso d'occupazione e

    - tasso di disoccupazione.

    6.9. Particolare importanza presenta l'osservazione secondo cui l'integrazione europea è ostacolata dalle disparità regionali in termini di:

    - capacità produttiva,

    - struttura delle capacità e delle specializzazioni professionali della popolazione attiva,

    - specializzazioni settoriali dei prodotti realizzati,

    - occupazione e funzionamento del mercato del lavoro.

    6.9.1. Parallelamente, anche la posizione geografica delle singole regioni influisce sulla loro capacità di accedere ai grandi mercati e alla diffusione delle conoscenze.

    6.9.2. Queste differenze portano le regioni a specializzare la loro produzione in funzione dei rispettivi vantaggi comparativi.

    6.9.3. Ciascuna di queste specializzazioni, tuttavia, produce a sua volta una serie di effetti che si possono definire fisiologici. In tale contesto, i comparti produttivi che traggono i massimi vantaggi, beneficiando allo stesso tempo di costi inferiori e di una maggiore mobilità dei lavoratori, sono quelli caratterizzati da una maggiore intensità conoscitiva.

    6.10. Ne consegue che l'evoluzione tecnologica e il perdurare di determinate caratteristiche dell'economia (disoccupazione elevata, basso reddito pro capite, composizione settoriale della produzione) non solo dipendono dalla distribuzione dei fattori produttivi tra le regioni e dal loro grado di mobilità, ma contribuiscono a loro volta - attraverso un processo fortemente dinamico - a plasmare tali fattori in ciascuna regione.

    6.11. La relazione sull'occupazione 2002 attribuisce inoltre un peso particolare ai cosiddetti "choc asimmetrici", ovvero le oscillazioni della domanda per taluni prodotti o talune categorie professionali. Tali oscillazioni, ritenute un fattore determinante nell'andamento degli squilibri regionali, incidono più su determinate regioni che sull'insieme dell'UE, poiché sono legate alle strutture economiche di ciascuna regione.

    6.12. Le regioni colpite da tali choc versano in condizioni più sfavorevoli e sono meno produttive delle altre, soprattutto quando il loro processo di adeguamento procede con lentezza (ad esempio, perché i lavoratori non specializzati o a bassa specializzazione presentano una minore flessibilità rispetto a quelli più specializzati).

    6.13. In conclusione, è lecito affermare che le opportunità di cui ogni regione dispone per creare nuovi posti di lavoro o stimolare il tasso di crescita variano in funzione della combinazione delle varie componenti (fattori produttivi, specializzazione della manodopera, posizione geografica, sviluppo tecnologico, choc asimmetrici).

    6.14. Nel documento si osserva altresì che, se le regioni più povere non riescono ad assicurarsi un livello minimo di input strategici (capitale umano, infrastrutture pubbliche, ecc.), resteranno invischiate in situazioni di scarsa crescita economica e non saranno in grado di avvicinarsi al livello delle regioni più ricche.

    6.15. Ne consegue che le regioni europee dovranno seguire percorsi divergenti e che, in linea di principio, la convergenza verrà raggiunta solo nell'ambito dei gruppi di regioni esistenti, i cui limiti inferiori e superiori sono determinati dai fattori strategici a loro disposizione.

    6.16. Gli sforzi per colmare il divario tra le regioni europee costituiscono una premessa fondamentale per rafforzare la coesione in tutta l'UE, a condizione però che vengano dispiegati in modo da impedire qualunque possibilità di inasprimento delle diseguaglianze e delle divergenze regionali.

    6.17. Non è sempre chiaro se la pianificazione, la concezione e soprattutto l'applicazione delle politiche comunitarie ex articolo 159 del Trattato si riveleranno benefiche per tutte le regioni europee o, viceversa, solo per quelle regioni che dispongono di strutture più adatte a raccogliere i frutti dell'integrazione europea.

    6.18. Dopo aver esaminato le caratteristiche distintive delle varie regioni europee e i rispettivi mercati del lavoro, la relazione sull'occupazione 2002 distingue cinque gruppi di regioni caratterizzati da modelli diversi di utilizzo delle risorse umane e delle competenze professionali.

    6.19. Tuttavia, al di là delle differenze di tali modelli, le disparità tra le regioni europee sono talmente profonde da produrre scarti palesi anche per quanto riguarda gli effetti e le conseguenze delle politiche comunitarie facenti capo all'articolo 159, a seconda della regione o del gruppo di regioni in cui esse si applicano.

    6.20. Questa conclusione, tuttavia, è lungi dall'esaurire il dibattito: infatti, al momento di applicare l'articolo 159 del Trattato, è necessario non solo osservare, ma anche misurare gli effetti positivi o negativi della politica comunitaria per la coesione economica e sociale in ciascuna regione. Finora, però, tale misurazione non è mai stata realizzata o, per essere più precisi, non è stata neanche tentata.

    6.21. Di conseguenza, si deve dare atto che l'affermazione - generica e piuttosto vaga - secondo cui la politica della concorrenza contribuisce alla creazione di nuovi posti di lavoro ormai non basta più, ma che occorre suffragarla con rilevazioni concrete dei potenziali nuovi posti di lavoro per ciascuna regione, poiché proprio tale processo di rilevazione consentirà di appurare se nelle aree in questione siano stati effettivamente creati nuovi posti di lavoro.

    6.22. Neanche il Comitato, nei propri pareri precedenti, è stato in grado di suffragare con sufficienti dati statistici talune affermazioni, ad esempio quelle riguardanti le conseguenze negative delle concentrazioni sulle regioni svantaggiate.

    6.23. Per ovviare a questo problema si potrebbero proporre varie soluzioni, una delle quali è esposta nei quattro punti seguenti:

    6.23.1. In primo luogo si dovranno misurare le conseguenze di una politica comunitaria ex articolo 159 in ciascuna regione.

    6.23.2. In nessun caso si dovrà sopprimere integralmente tale politica, anche quando essa produce effetti negativi sul piano della coesione regionale.

    6.23.3. La politica in questione andrà poi applicata con maggiore flessibilità o gradualità (cioè con un determinato periodo transitorio) in certe regioni, sì da mitigarne gli effetti.

    6.23.4. Infine, qualora la soluzione di applicare la politica comunitaria in modo flessibile o graduale (in virtù di un regime transitorio) in una o più regioni non risulti percorribile, sia giudicata inefficace o, ancora, sia tale da metterne a repentaglio gli effetti attesi per l'intera UE, sarà opportuno adottare e applicare politiche complementari (eventualmente di tipo strutturale) per determinate regioni, al fine di eliminare o attenuare gli effetti avversi alla coesione.

    6.24. Si sottolinea che l'applicazione della soluzione proposta richiede due condizioni preliminari:

    6.24.1. in primo luogo, e come presupposto indispensabile, la misurazione degli effetti della prima politica comunitaria.

    6.24.2. In secondo luogo, l'accertamento dell'efficacia della politica complementare volta a rimuovere le conseguenze avverse alla coesione in una o più regioni, ovvero la sua capacità di coprire l'intera gamma degli effetti negativi rilevati.

    6.25. Si osserva che la relazione sull'occupazione 2002 utilizza alcuni indicatori per valutare i risultati delle regioni per poi classificarle in gruppi di regioni affini, vale a dire gruppi di regioni con caratteristiche simili e dal funzionamento e dai risultati convergenti.

    6.25.1. Il quarto capitolo della relazione può rivelarsi un prezioso ausilio per predisporre un pacchetto di indicatori atti alla misurazione e alla rappresentazione numerica dell'efficacia delle politiche comunitarie non strutturali a favore della coesione.

    7. La correlazione tra le politiche strutturali (ex articolo 158 del Trattato) e le altre politiche comunitarie (ex articolo 159)

    7.1. Come è già stato osservato altrove(4), nel loro funzionamento i quadri comunitari di sostegno (QCS) seguono tre indirizzi:

    - il miglioramento delle infrastrutture fisiche dell'economia,

    - l'aumento del livello del capitale umano (rafforzando le competenze professionali e in generale la formazione della manodopera) e

    - l'assistenza diretta al settore privato attraverso sussidi agli investimenti.

    7.2. Gli studi relativi agli effetti delle politiche strutturali hanno cercato di misurare le conseguenze dei primi due modi di funzionamento dei QCS, elaborando modelli concreti a tal fine.

    7.3. Durante la valutazione di tali effetti è emerso che le politiche strutturali hanno contribuito in modo diseguale allo sviluppo (aumento del PIL pro capite) dei quattro paesi della coesione, e cioè che Grecia e Portogallo hanno tratto maggiori benefici dalle politiche strutturali rispetto a Irlanda e Spagna.

    7.4. Negli stessi studi, però, si osserva anche che Grecia e Portogallo hanno conseguito minori vantaggi in relazione al mercato unico, rispetto a Irlanda e Spagna.

    7.5. Sorge quindi spontaneo l'interrogativo se esista una correlazione tra gli effetti delle politiche strutturali e quelli delle altre politiche comunitarie.

    7.6. Per rispondere in modo definitivo alla questione dell'interdipendenza e degli effetti correlati del mercato unico e dei QCS, i ricercatori che hanno realizzato gli studi del Single Market Review sostengono la necessità di scegliere tra una serie di ipotesi di studio alternative, ad esempio:

    - l'aumento del flusso di investimenti diretti esteri che si osserva in Spagna è ascrivibile al funzionamento del mercato unico europeo? E, se sì, in quale misura?

    - I finanziamenti che fanno capo alle politiche strutturali e ai QCS hanno carattere provvisorio o permanente?

    - I meccanismi economici che, di fronte agli aiuti dei QCS, generano reazioni a lungo termine sul piano dell'offerta sono forti o deboli?

    7.7. Si tratta di questioni complesse alle quali a tutt'oggi non si è risposto in via definitiva: la necessità di farlo riveste tuttavia sempre più un carattere di urgenza in vista dell'ampliamento.

    8. Particolari debolezze delle politiche comunitarie non strutturali rispetto alla coesione economica e sociale

    8.1. La politica agricola comune: la sua revisione parziale e la coesione economica e sociale

    8.1.1. La politica agricola comune (PAC), la prima vera politica comunitaria a essere introdotta dal Trattato di Roma, ha affrontato con pieno successo il problema della mancanza di prodotti alimentari sorto nel secondo dopoguerra, dando inoltre un sostanziale contributo al rafforzamento della coesione economica e sociale(5).

    8.1.2. Una delle caratteristiche essenziali della politica agricola comune adottata il 26 giugno 2003 consiste nel disaccoppiamento anche parziale dei pagamenti diretti dalla produzione, specie per quanto riguarda gli aiuti all'agricoltura, i premi per capo di bestiame e, a partire dal 2005, i pagamenti compensativi per il latte. L'attuale metodo di calcolo (per capo di bestiame o ettaro) per l'attribuzione dei pagamenti compensativi verrà sostituito totalmente o solo in parte da un sistema inteso a sostenere il reddito degli agricoltori (pagamento per azienda agricola). Saranno gli Stati membri a decidere quale disaccoppiamento - se totale o parziale - applicare.

    8.1.3. Il Comitato osserva però che un ruolo importante a questo riguardo è svolto anche da altri strumenti della PAC, come quelli volti a orientare l'offerta dei prodotti agricoli (per esempio, i sistemi di quote). Questo tipo di disposizioni contribuisce in misura fondamentale a frenare la tendenza all'accentramento della produzione agricola nelle zone maggiormente favorevoli, agendo così nell'interesse delle piccole aziende agricole e garantendo altresì la produzione nelle aree svantaggiate.

    8.1.4. Quando si giudicano la PAC e il suo contributo alla coesione economica e sociale, è necessario tenere conto dei decisivi cambiamenti intervenuti con le riforme del 1992 e del 1999. In particolare, le spese per il sostegno ai mercati hanno subito una netta flessione, mentre quelle riguardanti i premi alle superfici e ai capi di bestiame sono notevolmente aumentate. Dato che esse rappresentano la contropartita del calo dei prezzi alla produzione nell'agricoltura, non si è verificato alcun mutamento di rilievo nei trasferimenti tra regioni o settori produttivi. Tuttavia, come il Comitato ha ripetutamente deplorato, permangono talune situazioni di svantaggio, ad esempio per le superfici destinate alla praticoltura.

    8.1.5. Con la riforma intrapresa nel quadro dell'Agenda 2000, le varie misure di accompagnamento riguardanti il sostegno alla politica dei mercati sono state riunite in un unico programma di politica per lo sviluppo delle aree rurali, altrimenti detto 2o pilastro. In diversi pareri, il Comitato ha accolto positivamente questo riorientamento strategico della PAC, ritenendolo in grado di favorire in misura rilevante il consolidamento della multifunzionalità dell'agricoltura europea e il potenziale delle aree rurali. Pertanto, si è anche ripetutamente espresso a favore di un aumento della dotazione finanziaria del 2o pilastro.

    8.1.6. Nel parere del 14 maggio 2003 sulla riforma della PAC(6), il Comitato ha sottolineato tra l'altro la necessità che in occasione di future azioni di riforma si tenga conto, altresì, del loro impatto sulla coesione economica e sociale. L'effettiva portata di una tale analisi di impatto dipenderà in misura sostanziale dall'applicazione degli interventi di riforma da parte degli Stati membri.

    8.1.7. Dato che le misure del 2o pilastro svolgono una funzione di tutto rilievo ai fini della coesione economica e sociale nelle zone rurali, anche con la prevista ripartizione nel quadro della cosiddetta modulazione non sarà possibile soddisfare appieno le esigenze reali. Di conseguenza, nel parere del 14 maggio 2003, il Comitato ha nuovamente rivendicato l'attribuzione di ulteriori risorse finanziarie allo sviluppo agricolo.

    8.1.8. Il rafforzamento della coesione da parte della nuova PAC - rafforzamento che, come è auspicabile, condurrà a una maggiore efficacia - dovrà essere oggetto di una valutazione quantitativa e di una misurazione regione per regione, conformemente all'articolo 159 del Trattato.

    8.2. La politica economica: il Patto di stabilità e crescita e l'introduzione della moneta unica

    8.2.1. La seconda relazione sulla coesione economica e sociale (cfr. Sintesi, Parte II) sostiene che, per mantenere tassi elevati di crescita economica nelle regioni dell'Unione in ritardo di sviluppo, è importante associare le politiche strutturali (quelle ex articolo 158) a politiche macroeconomiche che garantiscano la stabilità finanziaria (quelle ex articolo 159).

    8.2.2. Nella stessa parte del testo, per motivare il giudizio secondo cui la convergenza nominale ha prodotto altresì una convergenza reale, si segnala che il notevole calo dell'inflazione degli anni '90 è stato accompagnato nei quattro paesi della coesione da un aumento del PIL superiore alla media europea durante la seconda metà del decennio.

    8.2.3. Per quanto tale argomentazione sia, in linea di principio, corretta, si potrebbe obiettare che mancano elementi per misurare i potenziali effetti dei criteri di convergenza sull'aumento del PIL nazionale pro capite.

    8.2.4. A tale inconveniente si potrebbe ovviare con la definizione di indicatori atti a misurare fattori economici concreti, e in particolare:

    - il calo della domanda prodotto dal mantenimento in vigore del Patto di stabilità e di crescita,

    - gli effetti di tale calo della domanda sul rendimento economico,

    - gli effetti di tale calo della domanda sugli investimenti economici,

    - le conseguenze della minore produttività sulla riduzione del numero di posti di lavoro e sull'aumento della disoccupazione, e ad esprimere

    - il nesso esistente tra il calo della domanda, da un lato, e la riduzione del numero di posti di lavoro e l'aumento della disoccupazione, dall'altro,

    - il nesso esistente tra il tasso di disoccupazione e l'andamento (positivo o negativo) di salari e retribuzioni (l'introduzione di questo indicatore presuppone l'adozione previa del principio secondo cui ogni aumento o diminuzione dei salari deve accompagnarsi a una variazione inversamente proporzionale - e in ogni caso misurabile - del tasso di occupazione e di disoccupazione).

    8.2.5. Nello stesso capitolo della relazione sulla coesione economica e sociale si afferma in termini generici e astratti che l'introduzione della moneta unica europea ha contenuto l'inflazione e rafforzato la stabilità, con effetti positivi anche sulla coesione. Tuttavia, nessun dato statistico viene fornito a sostegno di tale asserzione. Sarebbe pertanto opportuno che la Commissione elaborasse a questo riguardo uno studio quantitativo.

    8.2.6. Per affrontare il problema in maniera corretta, viceversa, è necessario selezionare ed elaborare una serie di indicatori numerici volti a misurare, ad esempio:

    - il rapporto tra l'inflazione e le variazioni del PIL pro capite in ciascuna regione,

    - il rapporto tra l'inflazione (e/o il PIL pro capite) e le variazioni, in ciascuna regione, dei tassi di occupazione, di disoccupazione e di povertà.

    8.2.7. I recenti dibattiti incentrati sulla necessità di riorientare gradualmente le priorità finanziarie, passando dal criterio del disavanzo a quello del debito pubblico, non possono limitarsi a semplici scambi di opinioni, né tanto meno concludersi con scelte politiche avventate. Al contrario, ogni scelta politica che si voglia adeguata deve sempre presupporre una valutazione degli effetti a cui darà luogo.

    8.2.7.1. Di conseguenza, per quanto riguarda le ripercussioni del Patto di stabilità e, più in particolare, dell'applicazione dei criteri specifici (disavanzo e debito pubblico), bisognerà sforzarsi di compiere ex ante una misurazione quantitativa degli effetti prodotti finora dal primo criterio prioritario (il disavanzo di bilancio), valutando nel contempo, in base all'attuale congiuntura economica, le conseguenze previste sul piano della coesione economica e sociale.

    8.2.7.2. D'altro canto, sarà necessario valutare il riorientamento delle priorità verso il criterio del debito pubblico e le relative conseguenze sulla coesione sociale.

    8.2.8. È opportuno sottolineare che le suddette misurazioni e valutazioni non possono limitarsi ad analizzare la portata generale del mutamento, ma devono anche soppesare nei dettagli i tassi di crescita di ogni singola regione, con particolare attenzione per quelle più povere.

    8.3. L a politica della concorrenza

    8.3.1. Nella seconda relazione sulla coesione economica e sociale figura un chiaro riferimento al modo in cui le politiche nazionali accentuano le divergenze tra i vari paesi. Scopo evidente di tale affermazione è mostrare la necessità di coordinare le politiche degli Stati membri con quelle dell'Unione, onde evitare che le disuguaglianze tra gli Stati diventino più marcate.

    8.3.2. In effetti, il documento distingue (pag. XI, secondo capoverso) tra disparità tra Stati e disparità tra regioni: al riguardo si osserva che queste ultime sono diminuite in misura inferiore, in parte perché sono aumentate le divergenze all'interno di alcuni Stati membri.

    8.3.3. Le politiche nazionali di sviluppo, che vengono poste in atto mediante leggi ad hoc per ciascun paese in funzione delle rispettive peculiarità ed esigenze, comprendono pacchetti di aiuti allo sviluppo con varie combinazioni di incentivi.

    8.3.4. Tali incentivi possono assumere le seguenti forme:

    - esenzioni e riduzioni fiscali,

    - prestiti agevolati (a interessi ridotti o senza interessi),

    - aiuti a fondo perduto o

    - varie combinazioni di misure e incentivi fiscali, di prestito o di capitale.

    8.3.5. È opportuno che la scelta delle singole misure e dei singoli aiuti concreti allo sviluppo si prefigga non solo di contribuire allo sviluppo delle regioni più povere di ciascuno Stato, ma anche:

    - di promuovere l'occupazione e

    - di rafforzare i vantaggi comparativi regionali e nazionali.

    8.3.6. A questo proposito va segnalato che la composizione di ogni pacchetto di aiuti allo sviluppo viene sistematicamente sottoposta all'esame delle autorità dell'Unione per scongiurare il rischio - più o meno probabile - di violazioni delle politiche comunitarie. Tuttavia, questo sforzo di adeguamento alla legislazione comunitaria non comporta una valutazione ex ante degli effetti sulla coesione economica e sociale.

    8.3.7. Pertanto, sarebbe opportuno modificare la prassi seguita finora e sforzarsi di:

    - effettuare una valutazione quantitativa ex ante degli effetti, positivi o negativi, legati alla necessità di adeguare i pacchetti di aiuti allo sviluppo adottati dagli Stati membri alle esigenze delle normative comunitarie a favore della coesione,

    - diversificare a fini correttivi gli interventi di adeguamento delle politiche nazionali, onde evitare quelle scelte che potrebbero accentuare le divergenze o non favorire la coesione.

    8.3.8. Allo stesso tempo va osservato che, in molti casi, sostenere un'impresa o un settore specifico equivale in sostanza ad aiutare una data regione, cosicché la sospensione o il rifiuto di tale sostegno finiscono per accentuare le disparità economiche e sociali di cui soffre la zona interessata.

    8.4. La politica commerciale - Il mercato interno

    8.4.1. La strategia in materia di mercato interno adottata dal Consiglio di Helsinki riveste un'importanza particolare, poiché permette di rivedere e di migliorare costantemente il funzionamento del mercato interno.

    8.4.2. Nel quadro di tale revisione converrebbe vagliare l'opportunità di ricorrere a indicatori specifici e predeterminati per effettuare valutazioni comparative delle disparità regionali.

    8.4.3. Tali valutazioni consentirebbero di determinare in quale misura sono stati conseguiti gli obiettivi della coesione.

    8.5. La politica dei trasporti

    8.5.1. La politica dei trasporti rappresenta uno dei fattori fondamentali di sviluppo delle regioni periferiche dell'UE. La mancanza di collegamenti interregionali (stradali, aerei o marittimi) costituisce, per molte regioni, uno svantaggio considerevole sul piano della crescita. La liberalizzazione dei trasporti non solo non ha migliorato la situazione delle regioni periferiche, ma in alcuni casi rischia di determinarne l'isolamento.

    8.6. La politica in materia di istruzione e formazione professionale

    8.6.1. Le competenze e le conoscenze professionali acquisite dai lavoratori di una data regione, in correlazione con i tipi di lavoro disponibili, sono da considerare variabili chiave nel processo di definizione della competitività regionale, soprattutto alla luce della strategia di Lisbona(7).

    8.6.2. D'altronde, il Consiglio europeo di Nizza ha sottolineato che il perseguimento dell'obiettivo della piena occupazione implica la necessità di adottare politiche ambiziose volte ad accrescere il tasso d'occupazione e a ridurre le disparità regionali.

    8.6.3. Più in particolare, il Consiglio di Nizza ha posto l'accento sulla dimensione locale e regionale della strategia per l'occupazione. Quest'ultima esige un approccio a tutti i livelli (anche quello comunitario), attraverso politiche specifiche e differenziate - sul piano dei contenuti e degli obiettivi - per ciascuna regione, allo scopo di raggiungere gli obiettivi di Lisbona e rafforzare la coesione tra le regioni europee.

    8.6.4. Per trarre profitto da queste osservazioni del Consiglio europeo, sarà opportuno esaminare e valutare nei dettagli le specializzazioni e le competenze professionali disponibili in ciascuna regione, rispetto a quelle richieste, e mettere a punto i necessari meccanismi di sostegno alle regioni svantaggiate, affinché esse possano colmare le loro lacune sul piano dei profili professionali ai ritmi imposti dalla loro capacità produttiva.

    9. Conclusioni

    9.1. Per quanto la situazione economica e, più in generale, il tenore di vita degli abitanti delle regioni periferiche dell'UE abbiano subito un miglioramento negli ultimi due decenni, le disuguaglianze in molti casi sono rimaste identiche o si sono accentuate.

    9.2. Per perseguire in modo efficace l'obiettivo della coesione economica e sociale, la politica regionale europea deve avere un carattere orizzontale per far sì che tutte le politiche comunitarie tengano conto del rispettivo impatto sulle regioni e sul loro sviluppo.

    9.3. Pur senza sottovalutare il ruolo delle altre politiche comunitarie, appare opportuno procedere a un riesame della politica dei trasporti e delle norme della politica della concorrenza riguardanti gli aiuti di Stato finalizzati allo sviluppo regionale. Dato che non esiste ancora una politica fiscale comune, è necessario che le singole politiche fiscali nazionali tengano in ampia considerazione la dimensione regionale allo scopo di rafforzare la coesione, senza per questo trascurare la politica della concorrenza.

    9.4. Le disparità di reddito si accompagnano sempre a diseguaglianze e divari di altro genere, tali da aggravare ulteriormente la situazione delle regioni più povere. A questo riguardo conviene ricordare quanto affermato a chiare lettere nella seconda relazione sulla coesione economica e sociale (pag. XI), e cioè che i più bassi PIL pro capite sono correlati a:

    - una minore produzione per persona occupata,

    - livelli inferiori di istruzione e formazione,

    - una minore attività di ricerca e sviluppo e di innovazione,

    - una più lenta introduzione delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione.

    9.5. Nello stesso contesto è inoltre opportuno segnalare e individuare le carenze delle politiche comunitarie ex articolo 159 (cioè tutte le politiche non strutturali), per ciò che concerne la valutazione quantitativa del loro impatto sulla coesione economica e sociale.

    9.6. Il Comitato propone poi di stabilire una procedura per misurare l'impatto delle politiche dell'articolo 159 sulla coesione economica e sociale e, in particolare, sul PIL pro capite e sul tasso di occupazione, di disoccupazione e di povertà in ciascuna regione (si tratta, peraltro, di una procedura già applicata per le politiche strutturali di cui all'articolo 158).

    9.7. Appare inoltre necessario condurre uno studio specifico con l'obiettivo di predisporre un pacchetto di indicatori atti a misurare, ex ante e ex post, l'efficacia delle politiche non strutturali. Tale pacchetto sarebbe analogo a quello che si applica per misurare l'efficacia delle politiche strutturali(8), con la differenza che la scelta degli indicatori non potrà avere carattere generale per tutte le politiche, ma dovrà essere specifica per ogni singola politica.

    9.8. La definizione di una procedura per misurare l'impatto sulla coesione anche delle politiche dell'articolo 159 e l'elaborazione di uno studio specifico per predisporre un pacchetto di indicatori atti a valutare l'efficacia di tali politiche devono rientrare nel quadro prospettato dalla Seconda relazione intermedia sulla coesione economica e sociale, allineandosi in particolare:

    - all'impegno della Commissione di approfondire la ricerca sulla questione della coerenza e della coesione tra le politiche comunitarie, per garantire la necessaria compatibilità dell'insieme delle politiche del nuovo periodo di programmazione (2007-2013) con l'obiettivo del rafforzamento della coesione economica e sociale,

    - all'intento di rispettare le scadenze per l'adozione dei nuovi strumenti legislativi entro la fine del 2005, in modo da destinare il 2006 ai negoziati con gli Stati membri e le regioni sul periodo di programmazione 2007-2013(9).

    9.9. Appare chiara l'esigenza di introdurre una procedura di revisione e di valutazione triennale degli effetti del patto di stabilità per l'UE nel complesso, come anche per l'economia delle singole regioni europee. Scopo di tale valutazione deve essere il riesame tempestivo ed efficace - che tenga conto in ogni caso degli sviluppi dell'economia reale su scala comunitaria e regionale - delle previsioni e dei vincoli imposti dal Patto di stabilità alle economie nazionali, allo scopo di scongiurare eventuali regressioni, impedire l'ulteriore inasprimento dei periodi di recessione al livello comunitario, ma anche ridurre al minimo i rischi di un aumento del divario tra le regioni.

    9.10. Il collegamento e il congiungimento delle politiche comunitarie non strutturali, e soprattutto della politica economica, con le finalità della coesione è una questione piuttosto complessa che richiederà uno studio approfondito e che, in ogni caso, bisognerà evitare di banalizzare.

    9.11. Nel 1999 le risorse comunitarie destinate al rafforzamento della coesione hanno rappresentato lo 0,45 % del PIL dell'Unione. Il grado di coesione delle regioni dell'Unione è indubbiamente migliorato. In vista dell'adesione dei dieci nuovi paesi, il Comitato è però dell'avviso che occorra valutare con attenzione il livello e l'utilizzo razionale dell'insieme delle risorse necessarie a migliorare ancora tale coesione.

    9.12. Il Comitato potrebbe approfondire ulteriormente la questione nel quadro delle proprie competenze, cercando di rispondere ai seguenti interrogativi:

    - quali sono le politiche comunitarie che contribuiscono alla coesione?

    - In che modo è possibile garantire la massima coesione economica e sociale sul territorio dell'Unione?

    Bruxelles, 25 settembre 2003.

    Il Presidente

    del Comitato economico e sociale europeo

    Roger Briesch

    (1) GU C 241 del 7.10.2002, pag. 66.

    (2) GU C 241 del 7.10.2002, pag. 151.

    (3) "L'occupazione in Europa 2002 - Evoluzione recente e prospettive", cap. 4.

    (4) "The cases of Greece, Spain, Ireland, Portugal" ("Il caso della Grecia, della Spagna, dell'Irlanda e del Portogallo"), in The Single Market Review, serie VI, volume 2.

    (5) Parere CESE dell'11 dicembre 2002 in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo "Revisione intermedia della politica agricola comune"GU C 85 dell'8.4.2003, pag. 76.

    (6) COM(2003) 23 def. - 2003/0006+0007 (CNS).

    (7) "L'occupazione in Europa 2002 - Evoluzione recente e prospettive", cap. 4.

    (8) Commissione Europea - DG XVI, "The New Programming period 2000-2006, Methodological working papers, no. 3, Indicators for monitoring and Evaluation: an indicative methodology" ("Il nuovo periodo di programmazione 2000-2006, documenti metodologici di lavoro, n. 3, Indicatori per il monitoraggio e la valutazione: un metodo indicativo").

    (9) Seconda relazione intermedia sulla coesione economica e sociale (COM(2003) 34 def. del 30.1.2003): III. Principali temi del dibattito sulla futura politica di coesione - Altri aspetti - Il contributo di altre politiche; e IV. Scadenze future.

    ALLEGATO

    al Parere del Comitato economico e sociale europeo

    Gli emendamenti seguenti sono stati messi ai voti e respinti nel corso del dibattito (cfr. articolo 54, paragrafo 3 del Regolamento interno):

    Punto 6.21

    Modificare come segue:

    "Di conseguenza, si deve dare atto che l'affermazione - generica e piuttosto vaga - secondo cui la politica della concorrenza contribuisce alla creazione di nuovi posti di lavoro in tutte le regioni (cfr. seconda relazione sulla coesione) ormai non basta più, ma che occorre suffragarla con una valutazione periodica dell'impatto di tale politica sull'occupazione. rilevazioni concrete dei potenziali nuovi posti di lavoro per ciascuna regione, poiché proprio tale processo di rilevazione consentirà di appurare se nelle aree in questione siano stati effettivamente creati nuovi posti di lavoro".

    Motivazione

    Si vuole così evitare di alimentare la speranza poco realistica di poter valutare agevolmente l'impatto della politica della concorrenza in termini di posti di lavoro.

    Esito della votazione

    Voti favorevoli: 28, voti contrari: 53, astensioni: 6.

    Punti 6.24, 6.24.1, 6.24.2

    Sopprimere i punti di cui sopra.

    Motivazione

    Si vuole così evitare di alimentare la speranza poco realistica che si tratti di proposte concrete. Il principio è comunque illustrato al punto 6.23.4.

    Esito della votazione

    Voti favorevoli: 31, voti contrari: 49, astensioni: 9.

    Punto 8.2.3

    Sostituire il testo del punto con quanto segue:

    "Pertanto sembrerebbe opportuno studiare più approfonditamente l'impatto dell'introduzione della moneta unica e dell'entrata in vigore del Patto di stabilità e crescita sull'evoluzione economica delle regioni europee."

    Esito della votazione

    Voti favorevoli: 38, voti contrari: 52, astensioni: 3.

    Punto 8.2.4

    Sopprimere l'intero punto.

    Motivazione

    Un collegamento con il Patto di stabilità e crescita appare troppo semplicistico; inoltre la ricerca di indicatori economici nella sequenza indicata sarebbe poco realistica.

    Il punto 8.2.4. elenca a priori una serie di relazioni causa/effetto piuttosto discutibili. Inoltre propone una metodologia concreta - la definizione di determinati "indicatori" aritmetici - che potrebbe non essere la più adeguata rispetto a metodi diversi come inchieste, "check lists" o modelli econometrici di vario tipo. Sembra poco logico chiedere ai servizi tecnici della Commissione di approntare uno studio e per di più dettar loro la metodologia da utilizzare.

    Esito della votazione

    Voti favorevoli: 39, voti contrari: 48, astensioni: 2.

    Punto 8.2.6

    Sopprimere l'intero punto.

    Motivazione

    Un rapporto significativo potrebbe essere quello tra la stabilità della moneta unica e l'impatto sulla coesione. I riferimenti alla causalità dell'inflazione non sembrano invece appropriati.

    Spetta ai servizi tecnici della Commissione determinare la metodologia da impiegare.

    Esito della votazione

    Voti favorevoli: 37, voti contrari: 52, astensioni: 4.

    Punto 8.3.7

    Sopprimere il primo trattino.

    Motivazione

    La nuova prassi proposta è difficile, se non addirittura impossibile da attuare. I suoi eventuali vantaggi sarebbero comunque superati dai costi e dalle difficoltà concettuali che essa comporta, ex post o ex ante che sia.

    Esito della votazione

    Voti favorevoli: 31, voti contrari: 53, astensioni: 2.

    Punto 8.3.8

    Sopprimere l'intero punto.

    Motivazione

    Viola il principio delle pari opportunità nel mercato unico.

    Esito della votazione

    Voti favorevoli: 23, voti contrari: 58, astensioni: 4.

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