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Documento 62019CJ0930

    Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 2 settembre 2021.
    X contro Stato belga.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil du Contentieux des Étrangers.
    Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2004/38/CE – Articolo 13, paragrafo 2 – Diritto di soggiorno dei familiari di un cittadino dell’Unione – Matrimonio tra un cittadino dell’Unione e un cittadino di un paese terzo – Mantenimento, in caso di divorzio, del diritto di soggiorno di un cittadino di un paese terzo vittima di atti di violenza domestica commessi dal coniuge – Obbligo di dimostrare l’esistenza di risorse sufficienti – Assenza di tale obbligo nella direttiva 2003/86/CE – Validità – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articoli 20 e 21 – Parità di trattamento – Differenza di trattamento a seconda che il richiedente il ricongiungimento sia cittadino dell’Unione o cittadino di un paese terzo – Non comparabilità delle situazioni.
    Causa C-930/19.

    Raccolta della giurisprudenza - generale

    Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2021:657

     SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

    2 settembre 2021 ( *1 )

    «Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2004/38/CE – Articolo 13, paragrafo 2 – Diritto di soggiorno dei familiari di un cittadino dell’Unione – Matrimonio tra un cittadino dell’Unione e un cittadino di un paese terzo – Mantenimento, in caso di divorzio, del diritto di soggiorno di un cittadino di un paese terzo vittima di atti di violenza domestica commessi dal coniuge – Obbligo di dimostrare l’esistenza di risorse sufficienti – Assenza di tale obbligo nella direttiva 2003/86/CE – Validità – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articoli 20 e 21 – Parità di trattamento – Differenza di trattamento a seconda che il richiedente il ricongiungimento sia cittadino dell’Unione o cittadino di un paese terzo – Non comparabilità delle situazioni»

    Nella causa C‑930/19,

    avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso degli stranieri, Belgio), con decisione del 13 dicembre 2019, pervenuta in cancelleria il 20 dicembre 2019, nel procedimento

    X

    contro

    État belge,

    LA CORTE (Grande Sezione),

    composta da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta (relatrice), vicepresidente, J.-C. Bonichot, A. Prechal, M. Vilaras, N. Piçarra e A. Kumin, presidenti di sezione, M. Safjan, D. Šváby, S. Rodin, K. Jürimäe, P.G. Xuereb, L.S. Rossi, I. Jarukaitis e J. Passer, giudici,

    avvocato generale: M. Szpunar

    cancelliere: M. Krausenböck, amministratrice

    vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 7 dicembre 2020,

    considerate le osservazioni presentate:

    per X, da J. Wolsey e E. Didi, avocats;

    per il governo belga, da L. Van den Broeck, M. Jacobs, e C. Pochet, in qualità di agenti, assistite da E. Derriks, K. De Haes e G. van Witzenburg, avocats;

    per il Parlamento europeo, da D. Warin e R. van de Westelaken, in qualità di agenti;

    per il Consiglio dell’Unione europea, da S. Boelaert e R. Meyer, in qualità di agenti;

    per la Commissione europea, da C. Cattabriga e E. Montaguti, in qualità di agenti;

    sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 22 marzo 2021

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    1

    La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sulla validità dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77, e rettifiche in GU 2004, L 229, pag. 35, in GU 2007, L 204, pag. 28 e in GU 2014, L 305, pag. 116), alla luce degli articoli 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

    2

    Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra X e l’État belge (Stato belga) in merito al mantenimento del suo diritto di soggiorno sul territorio belga.

    Contesto normativo

    Diritto dell’Unione

    Direttiva 2004/38

    3

    Ai sensi dei considerando da 1 a 3, 5, 10 e 15 della direttiva 2004/38:

    «(1)

    La cittadinanza dell’Unione conferisce a ciascun cittadino dell’Unione il diritto primario e individuale di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal trattato [FUE] e le disposizioni adottate in applicazione dello stesso.

    (2)

    La libera circolazione delle persone costituisce una delle libertà fondamentali nel mercato interno che comprende uno spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata tale libertà secondo le disposizioni del trattato [FUE].

    (3)

    La cittadinanza dell’Unione dovrebbe costituire lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri quando essi esercitano il loro diritto di libera circolazione e di soggiorno. È pertanto necessario codificare e rivedere gli strumenti comunitari esistenti che trattano separatamente di lavoratori subordinati, lavoratori autonomi, studenti ed altre persone inattive al fine di semplificare e rafforzare il diritto di libera circolazione e soggiorno di tutti i cittadini dell’Unione.

    (...)

    (5)

    Il diritto di ciascun cittadino dell’Unione di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri presuppone, affinché possa essere esercitato in oggettive condizioni di libertà e di dignità, la concessione di un analogo diritto ai familiari, qualunque sia la loro cittadinanza. (…)

    (...)

    (10)

    Occorre tuttavia evitare che coloro che esercitano il loro diritto di soggiorno diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo iniziale di soggiorno. Pertanto il diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari per un periodo superiore a tre mesi dovrebbe essere subordinato a condizioni.

    (...)

    (15)

    È necessario inoltre tutelare giuridicamente i familiari in caso di decesso del cittadino dell’Unione, di divorzio, di annullamento del matrimonio o di cessazione di una unione registrata. È quindi opportuno adottare misure volte a garantire che, in tali ipotesi, nel dovuto rispetto della vita familiare e della dignità umana e a determinate condizioni intese a prevenire gli abusi, i familiari che già soggiornano nel territorio dello Stato membro ospitante conservino il diritto di soggiorno esclusivamente su base personale».

    4

    L’articolo 1 della direttiva 2004/38, intitolato «Oggetto», prevede quanto segue:

    «La presente direttiva determina:

    a)

    le modalità d’esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri da parte dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari;

    b)

    il diritto di soggiorno permanente nel territorio degli Stati membri dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari;

    c)

    le limitazioni dei suddetti diritti per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica».

    5

    L’articolo 7 di tale direttiva, rubricato «Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi», ai paragrafi 1 e 2, così dispone:

    «1.   Ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro, a condizione:

    a)

    di essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante; o

    b)

    di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante; o

    c)

    di essere iscritto presso un istituto pubblico o privato, riconosciuto o finanziato dallo Stato membro ospitante in base alla sua legislazione o prassi amministrativa, per seguirvi a titolo principale un corso di studi inclusa una formazione professionale,

    di disporre di un’assicurazione malattia che copre tutti i rischi nello Stato membro ospitante e di assicurare all’autorità nazionale competente, con una dichiarazione o con altro mezzo di sua scelta equivalente, di disporre, per sé stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il suo periodo di soggiorno; o

    d)

    di essere un familiare che accompagna o raggiunge un cittadino dell’Unione rispondente alle condizioni di cui alle lettere a), b) o c).

    2.   Il diritto di soggiorno di cui al paragrafo 1 è esteso ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro quando accompagnino o raggiungano nello Stato membro ospitante il cittadino dell’Unione, purché questi risponda alle condizioni di cui al paragrafo 1, lettere a), b) o c)».

    6

    L’articolo 13 della direttiva in parola, intitolato «Mantenimento del diritto di soggiorno dei familiari in caso di divorzio, di annullamento del matrimonio o di scioglimento dell’unione registrata», è così formulato:

    «1.   Senza pregiudizio delle disposizioni del secondo comma, il divorzio, l’annullamento del matrimonio dei cittadini dell’Unione o lo scioglimento della loro unione registrata di cui all’articolo 2, punto 2, lettera b), non incidono sul diritto di soggiorno dei loro familiari aventi la cittadinanza di uno Stato membro.

    Prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, gli interessati devono soddisfare le condizioni previste all’articolo 7, paragrafo 1, lettere a), b), c) o d).

    2.   Senza pregiudizio delle disposizioni del secondo comma, il divorzio, l’annullamento del matrimonio o lo scioglimento dell’unione registrata di cui all’articolo 2, punto 2, lettera b), non comportano la perdita del diritto di soggiorno dei familiari del cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro se:

    a)

    il matrimonio o l’unione registrata sono durati almeno tre anni, di cui almeno un anno nello Stato membro ospitante, prima dell’inizio del procedimento giudiziario di divorzio o annullamento o dello scioglimento dell’unione registrata (...)

    (...)

    c)

    situazioni particolarmente difficili, come il fatto di aver subito violenza domestica durante il matrimonio o l’unione registrata, esigono la conservazione del diritto di soggiorno; (...)

    (...)

    Prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, il diritto di soggiorno delle persone interessate rimane subordinato al requisito che esse dimostrino di esercitare un’attività lavorativa subordinata o autonoma, o di disporre per sé e per i familiari di risorse sufficienti affinché non divengano un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il soggiorno, nonché di una assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante, ovvero di fare parte del nucleo familiare, già costituito nello Stato membro ospitante, di una persona che soddisfa tali condizioni. Le risorse sufficienti sono quelle indicate all’articolo 8, paragrafo 4.

    I familiari in questione conservano il diritto di soggiorno esclusivamente a titolo personale».

    7

    Intitolato «Disposizioni nazionali più favorevoli», l’articolo 37 della medesima direttiva prevede quanto segue:

    «Le disposizioni della presente direttiva non pregiudicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di diritto interno che siano più favorevoli ai beneficiari della presente direttiva».

    Direttiva 2003/86/CE

    8

    Ai sensi dei considerando 3, 4, 6 e 15 della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU 2003, L 251, pag. 12):

    «(3)

    Il Consiglio europeo ha riconosciuto, nella riunione speciale svoltasi a Tampere il 15 e 16 ottobre 1999, la necessità di un ravvicinamento delle legislazioni nazionali relative alle condizioni di ammissione e soggiorno dei cittadini di paesi terzi. In tale contesto esso ha affermato che l’Unione europea dovrebbe garantire un trattamento equo ai cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente sul territorio degli Stati membri e che una politica più energica in materia d’integrazione dovrebbe proporsi di offrire loro diritti e doveri comparabili a quelli dei cittadini dell’Unione europea. (...)

    (4)

    Il ricongiungimento familiare è uno strumento necessario per permettere la vita familiare. Esso contribuisce a creare una stabilità socioculturale che facilita l’integrazione dei cittadini di paesi terzi negli Stati membri, permettendo d’altra parte di promuovere la coesione economica e sociale, obiettivo fondamentale della Comunità [europea], enunciato nel trattato [CE].

    (...)

    (6)

    Al fine di assicurare la protezione della famiglia ed il mantenimento o la creazione della vita familiare è opportuno fissare, sulla base di criteri comuni, le condizioni materiali per l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare.

    (...)

    (15)

    Dovrebbe essere incoraggiata l’integrazione dei familiari. A tal fine, dovrebbe essere loro attribuito, dopo un periodo di residenza nello Stato membro, uno statuto indipendente da quello del richiedente il ricongiungimento, in particolare in caso di rottura del matrimonio e della convivenza. Essi dovrebbero avere accesso all’istruzione, all’occupazione e alla formazione professionale allo stesso titolo che il richiedente il ricongiungimento alle pertinenti condizioni».

    9

    L’articolo 15 della medesima direttiva così recita:

    «(...)

    3.   In caso di vedovanza, divorzio, separazione o decesso di ascendenti o discendenti diretti di primo grado, un permesso di soggiorno autonomo può essere rilasciato, previa domanda, ove richiesta, alle persone entrate in virtù del ricongiungimento familiare. Gli Stati membri adottano disposizioni atte a garantire che un permesso di soggiorno autonomo sia rilasciato quando situazioni particolarmente difficili lo richiedano.

    4.   I requisiti relativi al rilascio e alla durata del permesso di soggiorno autonomo sono stabiliti dalla legislazione nazionale».

    Diritto belga

    10

    L’articolo 42 quater, §§ 1 e 4, della legge sull’accesso al territorio, sul soggiorno, lo stabilimento e l’allontanamento degli stranieri, del 15 dicembre 1980 (Moniteur belge del 31 dicembre 1980, pag. 14584), nella versione applicabile alla controversia di cui al procedimento principale (in prosieguo: la «legge del 15 dicembre 1980»), che mira a trasporre nel diritto belga l’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, prevede che il Ministro che ha tra le sue competenze l’accesso al territorio, il soggiorno, lo stabilimento e l’allontanamento degli stranieri (in prosieguo: il «Ministro»), o un suo delegato, può far cessare, entro cinque anni dal riconoscimento del loro diritto di soggiorno, il diritto di soggiorno dei familiari di un cittadino dell’Unione che non siano a loro volta cittadini dell’Unione e che soggiornino in quanto familiari del cittadino dell’Unione, qualora il matrimonio con il cittadino dell’Unione da loro accompagnato o raggiunto sia sciolto, ovvero non vi sia più coabitazione a meno che il familiare interessato dimostri l’esistenza di una situazione particolarmente difficile, quale il fatto di essere stato vittima di atti di violenza domestica nell’ambito del matrimonio o dell’unione registrata e purché l’interessato dimostri di essere lavoratore subordinato o autonomo in Belgio, o di disporre di risorse sufficienti per non divenire un onere per il sistema di assistenza sociale belga nel corso del suo soggiorno, e di disporre di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi in Belgio, o di far parte del nucleo familiare, già costituito in tale Stato membro, di una persona che soddisfa tali condizioni.

    11

    L’articolo 11, § 2, della legge del 15 dicembre 1980, che mira a trasporre nel diritto belga l’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2003/86, prevede che il Ministro o un suo delegato possa far cessare, nei cinque anni successivi, a seconda dei casi, al rilascio del permesso di soggiorno o al rilascio del documento attestante la presentazione della domanda di permesso di soggiorno, il diritto di soggiorno dei familiari di un cittadino di un paese terzo, autorizzato o ammesso al soggiorno, quando non conducono o non conducono più una vita coniugale o familiare effettiva, a meno che il familiare interessato non dimostri di essere stato vittima di violenza domestica durante il matrimonio o l’unione civile.

    Procedimento principale e questione pregiudiziale

    12

    Il ricorrente nel procedimento principale, X, cittadino algerino, sposava una cittadina francese il 26 settembre 2010 ad Algeri (Algeria) prima di recarsi in Belgio, il 22 febbraio 2012, munito di un visto per soggiorno di breve durata al fine di raggiungere sua moglie, che risiedeva nel territorio di tale Stato membro.

    13

    Il 20 aprile 2012 dall’unione tra il ricorrente nel procedimento principale e sua moglie, nasceva una figlia che, come sua madre, possiede la cittadinanza francese.

    14

    Il 7 maggio 2013 il ricorrente nel procedimento principale presentava, in qualità di coniuge di una cittadina francese, una domanda di permesso di soggiorno come familiare di un cittadino dell’Unione, e il successivo 13 dicembre gli veniva rilasciato tale permesso di soggiorno, valido fino al 3 dicembre 2018.

    15

    Dopo quasi cinque anni di matrimonio, di cui due anni di convivenza in Belgio, il ricorrente nel procedimento principale era stato costretto a lasciare il domicilio coniugale a causa di atti di violenza domestica di cui era vittima da parte della moglie. Si trasferiva dapprima in un «centro di accoglienza», per poi trovare un alloggio a Tournai (Belgio), dove fissava il suo domicilio il 22 maggio 2015. Inoltre, il 2 marzo 2015 il ricorrente nel procedimento principale presentava una denuncia per gli atti di violenza domestica di cui era stato vittima.

    16

    A seguito di un rapporto sulla coabitazione redatto il 30 ottobre 2015 che concludeva nel senso dell’assenza di coabitazione tra il ricorrente nel procedimento principale e la moglie, dato che quest’ultima risiedeva in Francia con la loro figlia dal 10 settembre 2015, l’État belge (Stato belga), con una decisione del 2 marzo 2016, revocava il diritto di soggiorno del ricorrente nel procedimento principale ingiungendogli di lasciare il territorio belga. Tuttavia, tale decisione veniva annullata con una sentenza del Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso degli stranieri, Belgio) del 16 settembre 2016.

    17

    Con lettera del 10 marzo 2017 l’État belge (Stato belga) chiedeva al ricorrente nel procedimento principale informazioni integrative, tra cui la prova dei suoi mezzi di sostentamento e del possesso di un’assicurazione malattia. Il 2 maggio seguente il ricorrente nel procedimento principale informava l’État belge (Stato belga) di essere vittima di atti di violenza domestica commessi dalla moglie e chiedeva il mantenimento del suo diritto di soggiorno sul territorio di tale Stato membro, in applicazione dell’articolo 42 quater, § 4, comma 4, della legge del 15 dicembre 1980.

    18

    Con una decisione del 14 dicembre 2017 l’État belge (Stato belga) revocava il diritto di soggiorno del ricorrente nel procedimento principale per il motivo che, sebbene fosse in una situazione difficile, egli non aveva fornito la prova di disporre di risorse sufficienti per mantenersi. Tale decisione non gli ingiungeva tuttavia di lasciare il territorio belga. Il 26 gennaio 2018 il ricorrente di cui al procedimento principale proponeva ricorso avverso tale decisione dinanzi al giudice del rinvio, il Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso degli stranieri).

    19

    Tale giudice rileva che l’articolo 42 quater, § 4, della legge del 15 dicembre 1980, che costituisce la trasposizione nel diritto belga dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, subordina, in caso di divorzio o di cessazione della coabitazione dei coniugi, il mantenimento del diritto di soggiorno di un cittadino di un paese terzo che sia stato vittima di atti di violenza domestica commessi da parte del coniuge cittadino dell’Unione, a talune condizioni, tra cui, in particolare, quella di disporre di risorse sufficienti e di un’assicurazione malattia, mentre, nelle stesse circostanze, l’articolo 11, § 2, della legge del 15 dicembre 1980, che ha trasposto nel diritto belga l’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2003/86, subordina la concessione di un permesso di soggiorno autonomo a un cittadino di un paese terzo che abbia beneficiato del diritto al ricongiungimento familiare con un cittadino di un paese terzo residente legalmente in Belgio alla sola prova dell’esistenza di atti di violenza domestica.

    20

    Pertanto, il giudice del rinvio ritiene che i cittadini di paesi terzi che sono stati vittime di atti di violenza domestica commessi dal coniuge sono oggetto di un trattamento diverso a seconda che essi abbiano beneficiato di un ricongiungimento familiare con un cittadino dell’Unione o con un cittadino di un paese terzo e che una siffatta differenza di trattamento trova la sua origine nelle disposizioni summenzionate delle direttive 2004/38 e 2003/86.

    21

    In tale contesto, il Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso degli stranieri) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

    «Se l’articolo 13, paragrafo 2, della [direttiva 2004/38] violi gli articoli 20 e 21 della [Carta], nella misura in cui prevede che il divorzio, l’annullamento del matrimonio o lo scioglimento dell’unione registrata non comportano la perdita del diritto di soggiorno dei familiari del cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro – in particolare, se situazioni particolarmente difficili, come ad esempio il fatto di aver subito violenza domestica durante il matrimonio o l’unione registrata, esigono la conservazione del diritto di soggiorno – ma soltanto a condizione che gli interessati dimostrino di esercitare un’attività lavorativa subordinata o autonoma o di disporre per sé e per i familiari di risorse sufficienti affinché non divengano un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il soggiorno, nonché di una assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante, ovvero di fare parte del nucleo familiare, già costituito nello Stato membro ospitante, di una persona che soddisfa tali condizioni, mentre l’articolo 15, paragrafo 3, della [direttiva 2003/86], che prevede la medesima possibilità di mantenere un diritto di soggiorno, non subordina detto mantenimento a quest’ultima condizione».

    22

    Con lettera del 9 settembre 2020, pervenuta alla cancelleria della Corte il 17 settembre successivo, in risposta alla richiesta di informazioni che la Corte aveva inviato al giudice del rinvio il 14 agosto precedente, quest’ultimo ha indicato che il ricorrente nel procedimento principale aveva presentato domanda di divorzio il 5 luglio 2018 e che il divorzio tra l’interessato e sua moglie era stato pronunciato il 24 luglio successivo.

    Sulla competenza della Corte

    23

    Il governo belga sostiene che la Corte non è competente a rispondere alla questione sollevata, per il motivo che, in primo luogo, il giudice del rinvio nutrirebbe dubbi sulla validità dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 alla luce non già di una norma del diritto dell’Unione, bensì di una norma giuridica emanata dal legislatore nazionale nell’ambito della competenza riconosciutagli dall’articolo 15, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2003/86, in secondo luogo, l’inosservanza delle condizioni enunciate all’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 pregiudicherebbe le norme sulla ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri e, in terzo luogo, le disposizioni della Carta non possono portare a una modifica delle competenze dell’Unione e, di conseguenza, a interferire con le competenze che, allo stato attuale del diritto dell’Unione, appartengono agli Stati membri, quali quelle riguardanti le condizioni di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che non soddisfano la condizione di essere familiari di un cittadino dell’Unione.

    24

    A tale riguardo, dall’articolo 19, paragrafo 3, lettera b), TUE e dall’articolo 267, primo comma, lettera b), TFUE risulta che la Corte è competente a decidere in via pregiudiziale sull’interpretazione e sulla validità degli atti adottati dalle istituzioni dell’Unione, senza nessuna eccezione, posto che detti atti devono essere pienamente compatibili con le disposizioni dei trattati e con i principi costituzionali che da essi discendono, nonché con le disposizioni della Carta [sentenza del 14 maggio 2019, M e a. (Revoca dello status di rifugiato), C‑391/16, C‑77/17 e C‑78/17, EU:C:2019:403, punto 71 nonché giurisprudenza ivi citata].

    25

    Nel caso di specie, considerando che, per quanto riguarda le condizioni per il mantenimento, in particolare, in caso di divorzio, del diritto di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che sono stati vittime di atti di violenza domestica commessi dal coniuge, il regime istituito dall’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 nei confronti dei cittadini di paesi terzi il cui coniuge è un cittadino dell’Unione è meno favorevole di quello stabilito all’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2003/86 nei confronti dei cittadini di paesi terzi il cui coniuge è anch’esso un cittadino di un paese terzo, il giudice del rinvio invita la Corte a pronunciarsi sulla validità dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 alla luce degli articoli 20 e 21 della Carta, i quali sanciscono il principio di parità di trattamento e di non discriminazione.

    26

    Alla luce di tali considerazioni, la Corte è competente a rispondere alla questione sollevata.

    Sulla questione pregiudiziale

    27

    Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 sia valido alla luce degli articoli 20 e 21 della Carta.

    28

    In particolare, il giudice del rinvio chiede se, subordinando, in caso di divorzio, il mantenimento del diritto di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che sono stati vittime di atti di violenza domestica commessi dal proprio coniuge cittadino dell’Unione alle condizioni previste dall’articolo 13, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2004/38, tra cui, in particolare, la condizione relativa alla sufficienza delle risorse, mentre invece l’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2003/86 non impone siffatte condizioni ai fini della concessione, nelle stesse circostanze, di un permesso di soggiorno autonomo ai cittadini di paesi terzi vittime di atti di violenza domestica commessi dal proprio coniuge, anch’egli cittadino di un paese terzo, il legislatore dell’Unione abbia istituito una differenza di trattamento tra queste due categorie di cittadini di paesi terzi che sono state vittime di atti di violenza domestica, a scapito della prima di esse, in violazione degli articoli 20 e 21 della Carta.

    29

    In via preliminare, occorre rilevare che, senza eccepire formalmente l’irricevibilità della questione pregiudiziale sollevata dal giudice del rinvio, la Commissione europea, nelle sue osservazioni scritte, e il Parlamento europeo, nelle sue osservazioni orali, hanno espresso dubbi sull’applicabilità dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), di tale direttiva 2004/38 in circostanze come quelle del procedimento principale.

    30

    Tali dubbi si basano sulla sentenza del 30 giugno 2016, NA (C‑115/15, EU:C:2016:487, punto 51), in cui la Corte ha dichiarato che tale disposizione deve essere interpretata nel senso che un cittadino di un paese terzo, divorziato da un cittadino dell’Unione dal quale ha subito atti di violenza domestica durante il matrimonio, non può beneficiare del mantenimento del diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante, in base alla suddetta disposizione, qualora l’inizio della procedura giudiziaria di divorzio sia successivo alla partenza da tale Stato membro del coniuge cittadino dell’Unione.

    31

    Orbene, come rilevato ai punti 16 e 22 della presente sentenza, anche se il ricorrente nel procedimento principale è stato vittima, durante il matrimonio, di atti di violenza domestica commessi dalla sua ex moglie, cittadina dell’Unione, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, quest’ultima risiede in Francia, con la loro figlia, dal 10 settembre 2015. La procedura giudiziaria di divorzio è stata avviata solo quasi tre anni dopo la partenza di queste ultime dal Belgio, ossia il 5 luglio 2018, e ha portato al divorzio il 24 luglio successivo.

    32

    È in tale contesto che occorre determinare l’ambito di applicazione dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38 prima di valutare la validità dell’articolo 13, paragrafo 2, secondo comma, di tale direttiva alla luce dei motivi menzionati dal giudice del rinvio.

    33

    A tal riguardo, emerge, innanzitutto, dai termini impiegati sia nel titolo sia nel testo dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 che il mantenimento del diritto di soggiorno di cui beneficiano, sulla base di tale disposizione, i familiari di un cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro è previsto in particolare in caso di divorzio e che, conseguentemente, quando le condizioni enunciate in tale disposizione sono soddisfatte, un siffatto divorzio non comporta la perdita di un tale diritto di soggiorno (sentenza del 30 giugno 2016, NA, C‑115/15, EU:C:2016:487, punto 40).

    34

    Per quanto riguarda poi il contesto di tale disposizione, l’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 costituisce una deroga al principio secondo cui a trarre da tale direttiva diritti di ingresso e soggiorno in uno Stato membro non sono tutti i cittadini di paesi terzi, bensì unicamente quelli che risultino «familiar[i]», ai sensi dell’articolo 2, punto 2, di detta direttiva, di un cittadino dell’Unione che abbia esercitato il suo diritto alla libera circolazione, stabilendosi in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di cui egli ha la cittadinanza e un siffatto principio è stato stabilito nella giurisprudenza costante della Corte (sentenza del 30 giugno 2016, NA, C‑115/15, EU:C:2016:487, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).

    35

    Infatti, l’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 riguarda i casi eccezionali in cui il divorzio non comporta la perdita del diritto di soggiorno dei cittadini di paesi terzi interessati, ai sensi della direttiva 2004/38, quando, a seguito del divorzio, tali cittadini non soddisfano più le condizioni enunciate all’articolo 7, paragrafo 2, di tale direttiva, e in particolare, quella relativa alla condizione di «familiare» di un cittadino dell’Unione, ai sensi dell’articolo 2, punto 2, lettera a), di detta direttiva (sentenza del 30 giugno 2016, NA, C‑115/15, EU:C:2016:487, punto 42).

    36

    Da ultimo, per quanto riguarda la finalità dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, tale disposizione risponde all’obiettivo, enunciato al considerando 15 di tale direttiva, di tutelare giuridicamente i familiari in caso di divorzio, di annullamento del matrimonio o di cessazione di un’unione registrata, adottando a questo proposito le misure volte a garantire che, in tali ipotesi, i familiari che già soggiornano nel territorio dello Stato membro ospitante conservino il diritto di soggiorno su base personale (sentenza del 30 giugno 2016, NA, C‑115/15, EU:C:2016:487, punto 45).

    37

    A tale riguardo, dai lavori preparatori della direttiva 2004/38 e, più in particolare, dall’esposizione dei motivi che accompagna la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri [COM(2001)257 final], emerge che, in forza del diritto dell’Unione anteriore alla direttiva 2004/38, il coniuge divorziato poteva essere privato del diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante (sentenza del 30 giugno 2016, NA, C‑115/15, EU:C:2016:487, punto 46).

    38

    In tale contesto, detta proposta di direttiva precisa che la disposizione considerata, divenuta l’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, mira ad offrire una certa tutela giuridica ai cittadini di paesi terzi il cui diritto di soggiorno discende dal vincolo familiare rappresentato dal matrimonio e che potrebbero, per questo motivo, essere ricattati con la minaccia del divorzio, e che tale tutela è necessaria solo in caso di sentenza irrevocabile di divorzio, poiché, in caso di separazione di fatto, il diritto di soggiorno del coniuge cittadino di un paese terzo non è affatto pregiudicato (sentenza del 30 giugno 2016, NA, C‑115/15, EU:C:2016:487, punto 47).

    39

    Infatti, fintantoché il matrimonio perdura, il coniuge, cittadino di un paese terzo, conserva la sua qualità di familiare del cittadino dell’Unione, come definito all’articolo 2, punto 2, della direttiva 2004/38, e beneficia a tale titolo di un diritto di soggiorno derivato nello Stato membro ospitante o, se del caso, nello Stato membro di cui il cittadino dell’Unione ha la cittadinanza (sentenza del 12 marzo 2014, O. e B., C‑456/12, EU:C:2014:135, punto 61).

    40

    Da quanto precede risulta che dal tenore letterale, dal contesto e dalla finalità dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 emerge che l’applicazione di tale disposizione, ivi compreso il diritto derivante dall’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38, è subordinata al divorzio degli interessati (sentenza del 30 giugno 2016, NA, C‑115/15, EU:C:2016:487, punto 48).

    41

    Al punto 62 della sentenza del 16 luglio 2015, Singh e a. (C‑218/14, EU:C:2015:476), la Corte ha dichiarato che, nel caso in cui, prima dell’inizio della procedura giudiziaria di divorzio, il cittadino dell’Unione lascia lo Stato membro in cui risiede il suo coniuge, per stabilirsi in un altro Stato membro o in un paese terzo, il diritto di soggiorno derivato del cittadino del paese terzo, sul fondamento dell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, è cessato al momento della partenza del cittadino dell’Unione e non può più essere mantenuto sulla base dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera a), di tale direttiva.

    42

    Tuttavia, nel caso previsto dall’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38, esigere, per mantenere il diritto di soggiorno del cittadino di un paese terzo che è stato vittima di atti di violenza domestica commessi dal coniuge cittadino dell’Unione, che la procedura giudiziaria di divorzio sia avviata prima della partenza di tale cittadino dell’Unione dallo Stato membro ospitante potrebbe offrire a quest’ultimo un mezzo di pressione che sarebbe manifestamente contrario all’obiettivo di garantire la tutela della vittima di tali atti ed esporre, per questo, come sottolineato dall’avvocato generale ai paragrafi 87 e 88 delle sue conclusioni, tale vittima a un ricatto con la minaccia del divorzio o della partenza.

    43

    Di conseguenza, contrariamente a quanto dichiarato al punto 51 della sentenza del 30 giugno 2016, NA (C‑115/15, EU:C:2016:487), si deve ritenere che, ai fini del mantenimento del diritto di soggiorno sulla base dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38, la procedura giudiziaria di divorzio può essere avviata dopo la partenza del cittadino dell’Unione dallo Stato membro ospitante. Tuttavia, al fine di garantire la certezza del diritto, un cittadino di un paese terzo che sia stato vittima di atti di violenza domestica commessi dal coniuge cittadino dell’Unione e la cui procedura giudiziaria di divorzio è stata avviata prima della partenza di quest’ultimo dallo Stato membro ospitante può invocare il mantenimento del suo diritto di soggiorno ai sensi di tale disposizione soltanto nella misura in cui tale procedura sia avviata entro un termine ragionevole dopo tale partenza.

    44

    Occorre, infatti, lasciare al cittadino interessato del paese terzo, coniuge di un cittadino dell’Unione, il tempo sufficiente per esercitare la scelta tra le due opzioni che la direttiva 2004/38 gli offre al fine di mantenere un diritto di soggiorno ai sensi di tale direttiva, che sono o l’avvio di una procedura giudiziaria di divorzio al fine di beneficiare di un diritto di soggiorno personale ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), di detta direttiva, o il suo stabilimento nello Stato membro in cui il cittadino dell’Unione risiede al fine di mantenere il suo diritto derivato di soggiorno. Si deve aggiungere al riguardo che il coniuge non deve necessariamente convivere in permanenza con il cittadino dell’Unione per essere titolare di un diritto derivato di soggiorno (sentenze del 13 febbraio 1985, Diatta, 267/83, EU:C:1985:67, punti 2022, nonché dell’8 novembre 2012, Iida, C‑40/11, EU:C:2012:691, punto 58).

    45

    Nel caso di specie, come rilevato al punto 31 della presente sentenza, il ricorrente nel procedimento principale non ha raggiunto la moglie nel suo Stato membro d’origine. Ha avviato la procedura giudiziaria di divorzio il 5 luglio 2018, ossia quasi tre anni dopo che la moglie e la loro figlia avevano lasciato lo Stato membro ospitante, il che non sembra corrispondere a un termine ragionevole.

    46

    Tuttavia, e in ogni caso, dalla decisione di rinvio emerge che, ai sensi della normativa nazionale che mira a trasporre l’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, un cittadino di un paese terzo che si trovi nella situazione del ricorrente nel procedimento principale beneficia del mantenimento del suo diritto di soggiorno, fatto salvo il rispetto dell’obbligo di cui al secondo comma di tale articolo.

    47

    In tali circostanze, non risulta in modo manifesto che la questione sollevata, nella parte in cui verte sulla validità dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, non abbia alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto del procedimento principale.

    48

    Di conseguenza, la questione sollevata è ricevibile.

    Sulla validità dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38

    49

    Si deve anzitutto verificare se gli articoli 20 e 21 della Carta siano pertinenti quando si tratta, come chiede il giudice del rinvio, di esaminare se l’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 possa condurre a una discriminazione dei cittadini di paesi terzi, vittime di atti di violenza domestica, il cui coniuge è cittadino dell’Unione, rispetto a quelli il cui coniuge è anch’esso cittadino di un paese terzo.

    50

    A tal riguardo, per quanto attiene, in primo luogo, all’articolo 21 della Carta, poiché la differenza di trattamento che l’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 stabilirebbe si basa sulla nazionalità del coniuge che ha commesso gli atti di violenza domestica, occorre ricordare che l’articolo 21, paragrafo 2, della Carta, secondo cui «[n]ell’ambito d’applicazione dei trattati e fatte salve disposizioni specifiche in essi contenute, è vietata qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità», corrisponde, secondo le spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (GU 2007, C 303, pag. 17), all’articolo 18, primo comma, TFUE e deve essere applicato conformemente a quest’ultima disposizione.

    51

    Orbene, come dichiarato dalla Corte, l’articolo 18, primo comma, TFUE riguarda le situazioni rientranti nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, nelle quali un cittadino di uno Stato membro subisce un trattamento discriminatorio rispetto ai cittadini di un altro Stato membro per la sola ragione della sua nazionalità, e non trova applicazione nel caso di un’eventuale differenza di trattamento tra i cittadini degli Stati membri e quelli dei paesi terzi (sentenza del 4 giugno 2009, Vatsouras e Koupatantze, C‑22/08 e C‑23/08, EU:C:2009:344, punto 52).

    52

    Di conseguenza, tale disposizione non è neppure destinata ad essere applicata nel caso di un’eventuale differenza di trattamento tra due categorie di cittadini di paesi terzi, quali le due categorie di vittime di atti di violenza domestica di cui, rispettivamente, all’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 e all’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2003/86.

    53

    Ne consegue che l’articolo 21 della Carta è privo di rilevanza ai fini dell’esame di validità richiesto dal giudice del rinvio.

    54

    Per quanto attiene, in secondo luogo, all’articolo 20 della Carta, tale articolo, che dispone che «[t]utte le persone sono uguali davanti alla legge», non prevede nessuna limitazione espressa del suo campo d’applicazione e pertanto si applica a tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione, come quelle che rientrano nelle direttive 2004/38 e 2003/86 [v., in tal senso, parere 1/17 (Accordo CETA UE-Canada), del 30 aprile 2019, EU:C:2019:341, punto 171 e giurisprudenza ivi citata].

    55

    Di conseguenza, l’articolo 20 della Carta è rilevante ai fini dell’esame di validità richiesto dal giudice del rinvio.

    56

    Ciò premesso, è solo alla luce dell’articolo 20 della Carta che si deve valutare la validità dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.

    57

    Come emerge da una giurisprudenza costante della Corte, l’uguaglianza davanti alla legge, sancita dall’articolo 20 della Carta, è un principio generale del diritto dell’Unione il quale esige che situazioni comparabili non siano trattate in modo diverso e che situazioni diverse non siano trattate allo stesso modo, a meno che una differenziazione non sia obiettivamente giustificata (sentenza del 17 ottobre 2013Schaible, C‑101/12, EU:C:2013:661, punto 76 e giurisprudenza ivi citata).

    58

    Il requisito relativo alla comparabilità delle situazioni, al fine di determinare l’esistenza di una violazione del principio di parità di trattamento, deve esser valutato alla luce di tutti gli elementi che le caratterizzano e, in particolare, alla luce dell’oggetto e dello scopo perseguito dall’atto che istituisce la distinzione di cui trattasi, fermo restando che devono essere presi in considerazione, a tal fine, i principi e gli obiettivi del settore in cui rientra tale atto. Nei limiti in cui le situazioni non sono comparabili, una differenza di trattamento delle situazioni in questione non viola l’uguaglianza davanti alla legge sancita dall’articolo 20 della Carta [parere 1/17 (Accordo CETA UE-Canada), del 30 aprile 2019, EU:C:2019:341, punto 177 e giurisprudenza ivi citata].

    59

    Nel caso di specie, il giudice del rinvio si interroga sulla validità dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, nella parte in cui istituirebbe un regime diverso da quello previsto all’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2003/86, sebbene entrambi si applicherebbero, a suo avviso, in situazioni identiche.

    60

    A tal riguardo, per quanto attiene, in primo luogo, al regime stabilito all’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, l’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, di tale direttiva prevede che il divorzio non comporta la perdita del diritto di soggiorno dei familiari di un cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, segnatamente se situazioni particolarmente difficili, quali il fatto di aver subito violenza domestica durante il matrimonio esigono la conservazione del diritto di soggiorno. Come precisato all’articolo 13, paragrafo 2, terzo comma, della direttiva in parola, tali familiari conservano il loro diritto di soggiorno esclusivamente a titolo personale.

    61

    Il beneficio del mantenimento del diritto di soggiorno di tali familiari, prima dell’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente, è tuttavia subordinato alle condizioni di cui all’articolo 13, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2004/38, ossia che l’interessato dimostri di esercitare un’attività lavorativa o di disporre, per sé e per i suoi familiari di risorse sufficienti affinché non divenga un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il soggiorno, nonché di una assicurazione malattia che copra tutti i rischi in tale Stato membro, ovvero di fare parte del nucleo familiare, già costituito nello Stato membro ospitante, di una persona che soddisfa tali condizioni.

    62

    Occorre rilevare che tali condizioni corrispondono a quelle di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettere a), b) e d), della direttiva 2004/38, che gli stessi cittadini dell’Unione sono tenuti a soddisfare per beneficiare di un diritto di soggiorno temporaneo, di durata superiore a tre mesi, nel territorio dello Stato membro ospitante.

    63

    Infine, dal considerando 10 della direttiva di cui trattasi emerge che le stesse condizioni mirano, segnatamente, a evitare che tali persone diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante.

    64

    In secondo luogo, per quanto attiene al regime stabilito dall’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2003/86, emerge da tale disposizione che, in caso di divorzio, un permesso di soggiorno autonomo può essere rilasciato, previa domanda, ove richiesta, alle persone entrate in virtù del ricongiungimento familiare e che gli Stati membri adottano disposizioni atte a garantire che un permesso di soggiorno autonomo sia rilasciato quando «situazioni particolarmente difficili» lo richiedano. A tal riguardo, il punto 5, paragrafo 3, della comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio del 3 aprile 2014 concernente gli orientamenti per l’applicazione della direttiva 2003/86 [COM(2014) 210 final] cita come esempi di «situazioni particolarmente difficili» i casi di violenza domestica.

    65

    L’articolo 15, paragrafo 4, di tale direttiva precisa che i requisiti relativi al rilascio e alla durata di tale permesso di soggiorno autonomo sono stabiliti dalla legislazione nazionale.

    66

    Risulta quindi che l’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 e l’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2003/86 istituiscono regimi e condizioni differenti.

    67

    Si deve, pertanto, verificare se, da un lato, i cittadini di paesi terzi, coniugi di un cittadino dell’Unione, che sono stati vittime di atti di violenza domestica commessi da quest’ultimo e rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, e, dall’altro, i cittadini di paesi terzi, coniugi di un cittadino di un paese terzo, che sono stati vittime di atti di violenza domestica commessi da quest’ultimo e rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2003/86, si trovino in una situazione comparabile per quanto riguarda il mantenimento del loro diritto di soggiorno in uno Stato membro, tenuto conto di tutti gli elementi che caratterizzano le due situazioni.

    Sulle finalità dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 e dell’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2003/86

    68

    Per quanto attiene alla finalità perseguita dall’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38, come rilevato ai punti da 36 a 38 della presente sentenza, tale disposizione mira a tutelare, in caso di divorzio, annullamento del matrimonio o scioglimento dell’unione registrata, un cittadino di un paese terzo, che ha subito atti di violenza domestica da parte del coniuge o del partner, cittadino dell’Unione, durante il matrimonio o l’unione registrata, concedendogli un diritto di soggiorno a titolo personale nello Stato membro ospitante.

    69

    La direttiva 2003/86 condivide questa stessa finalità di tutela dei familiari vittime di violenza domestica, dal momento che prevede all’articolo 15, paragrafo 3, che, in particolare, in caso di divorzio o separazione, un permesso di soggiorno autonomo possa essere rilasciato alle persone entrate a titolo di ricongiungimento familiare e che gli Stati membri adottano disposizioni che garantiscono il rilascio di tale permesso di soggiorno in caso di situazioni particolarmente difficili.

    70

    Di conseguenza, l’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38 e l’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2003/86 condividono l’obiettivo di garantire la tutela dei familiari vittime di violenza domestica. Tuttavia, come emerge dalla giurisprudenza citata al punto 58 della presente sentenza, la comparabilità delle situazioni deve essere valutata alla luce di tutti gli elementi che le caratterizzano.

    Sui settori in cui rientrano le direttive 2004/38 e 2003/86

    71

    Per quanto attiene ai settori in cui rientrano le direttive 2004/38 e 2003/86, va osservato che la direttiva 2004/38 è stata adottata sul fondamento degli articoli 12, 18, 40, 44 e 52 CE, divenuti rispettivamente gli articoli 18, 21, 46, 50 e 59 TFUE, vale a dire nel settore della libera circolazione delle persone, e si inserisce pertanto nell’obiettivo dell’Unione, di cui all’articolo 3 TUE, di instaurare un mercato interno, che comporta uno spazio senza frontiere interne nel quale tale libertà fondamentale è assicurata conformemente alle disposizioni del trattato FUE.

    72

    Si deve rammentare che dai considerando 1 e 2 della direttiva 2004/38 emerge che la cittadinanza dell’Unione conferisce a ciascun cittadino dell’Unione il diritto primario e individuale di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai Trattati e le disposizioni adottate per la loro applicazione, costituendo la libera circolazione delle persone, d’altronde, una delle libertà fondamentali nel mercato interno, sancita all’articolo 45 della Carta [sentenza del 22 giugno 2021, Ordre des barreaux francophones et germanophone e a. (Misure preventive ai fini dell’allontanamento), C‑718/19, EU:C:2021:505, punto 54 nonché giurisprudenza ivi citata].

    73

    Il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri è, inoltre, conferito ai familiari dei cittadini dell’Unione, indipendentemente dalla loro cittadinanza.

    74

    In tale contesto, occorre ricordare che i diritti che i cittadini di paesi terzi traggono dalle disposizioni del diritto dell’Unione relative alla cittadinanza dell’Unione non sono diritti autonomi di tali cittadini, ma diritti derivanti dall’esercizio della libertà di circolazione e di soggiorno da parte di un cittadino dell’Unione. La finalità e la ratio di tali diritti derivati si basano sulla constatazione che il rifiuto del riconoscimento di tali diritti sarebbe in grado di pregiudicare la libertà di circolazione del cittadino dell’Unione, dissuadendolo dall’esercitare i suoi diritti di ingresso e soggiorno nello Stato membro ospitante (sentenza del 16 luglio 2015, Singh e a., C‑218/14, EU:C:2015:476, punto 50 nonché giurisprudenza ivi citata).

    75

    Per quanto riguarda la direttiva 2003/86, quest’ultima è stata adottata sul fondamento dell’articolo 63, paragrafo 3, lettera a), CE, divenuto articolo 79 TFUE, vale a dire in virtù della politica comune dell’immigrazione dell’Unione, che è intesa ad assicurare, in tutte le fasi, la gestione efficace dei flussi migratori, l’equo trattamento dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti nel territorio degli Stati membri e la prevenzione e il contrasto rafforzato dell’immigrazione illegale e della tratta degli esseri umani.

    76

    A tal riguardo, come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 122 delle sue conclusioni, la competenza dell’Unione in materia di migrazione è una competenza di armonizzazione. Norme comuni sono pertanto adottate mediante direttive, quale la direttiva 2003/86, che gli Stati membri hanno l’obbligo di trasporre nel loro diritto interno, anche se questi ultimi possono legiferare sulle questioni che non rientrano nel diritto dell’Unione e derogare alle norme comuni nei limiti in cui tale diritto lo consente.

    Sull’oggetto delle direttive 2004/38 e 2003/86

    77

    Per quanto attiene all’oggetto delle direttive 2004/38 e 2003/86, si deve rilevare che, conformemente all’articolo 1 della direttiva 2004/38, quest’ultima determina le modalità d’esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri da parte dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, il diritto di soggiorno permanente nel territorio degli Stati membri dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari e le limitazioni dei suddetti diritti per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica.

    78

    Infatti, come discende dalla stessa formulazione degli articoli 20 e 21 TFUE, il diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri non è incondizionato, ma subordinato alle limitazioni e alle condizioni previste dal trattato FUE nonché dalle disposizioni di attuazione [sentenza del 22 giugno 2021, Ordre des barreaux francophones et germanophone e a. (Misure preventive ai fini dell’allontanamento), C‑718/19, EU:C:2021:505, punto 45 nonché giurisprudenza ivi citata]. Pertanto, è con la direttiva 2004/38 che il legislatore dell’Unione, conformemente a tali articoli del trattato FUE, ha disciplinato tali limitazioni e tali condizioni.

    79

    Per quanto riguarda la direttiva 2003/86, quest’ultima, conformemente al suo articolo 1, in combinato disposto con il suo considerando 6, mira a fissare, sulla base di criteri comuni, le condizioni materiali dell’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare di cui dispongono i cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio degli Stati membri.

    80

    Pertanto, con la direttiva 2003/86, il legislatore dell’Unione ha inteso garantire il ravvicinamento delle legislazioni nazionali relative alle condizioni di ammissione e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi, come discende dal considerando 3 di tale direttiva.

    Sugli obiettivi delle direttive 2004/38 e 2003/86

    81

    Per quanto riguarda gli obiettivi delle direttive 2004/38 e 2003/86, si deve rilevare che, come emerge dai considerando 3 e 4 della direttiva 2004/38, quest’ultima mira ad agevolare l’esercizio del diritto primario e individuale di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, conferito direttamente ai cittadini dell’Unione dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, e a rafforzare tale diritto primario (sentenza del 2 ottobre 2019, Bajratari, C‑93/18, EU:C:2019:809, punto 47 e giurisprudenza ivi citata).

    82

    Il perseguimento dell’obiettivo di agevolare l’esercizio del diritto primario di ciascun cittadino dell’Unione di circolare e soggiornare liberamente richiede certamente che siano perseguiti anche gli obiettivi di tutela della sua vita familiare e di integrazione della sua famiglia nello Stato membro ospitante. Pertanto, l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 conferisce un diritto di soggiorno ai familiari di tale cittadino. Parimenti, è stato giudicato che condizioni favorevoli all’integrazione nello Stato membro ospitante dei familiari dei cittadini dell’Unione contribuiscono alla realizzazione dell’obiettivo della libera circolazione (v., in tal senso, sentenze del 17 aprile 1986, Reed, 59/85, EU:C:1986:157, punto 28, e del 6 ottobre 2020, Jobcenter Krefeld, C‑181/19, EU:C:2020:794, punto 51). Tuttavia, tali obiettivi di tutela e d’integrazione sono secondari rispetto all’obiettivo primario di tale direttiva, che è quello di favorire la libera circolazione dei cittadini dell’Unione.

    83

    Per quanto riguarda la direttiva 2003/86, quest’ultima persegue l’obiettivo generale di facilitare l’integrazione dei cittadini di paesi terzi negli Stati membri permettendo la vita familiare grazie al ricongiungimento familiare, come risulta dal suo considerando 4 (sentenza del 21 aprile 2016, Khachab, C‑558/14, EU:C:2016:285, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).

    Sul potere discrezionale riconosciuto agli Stati membri nell’ambito dell’applicazione delle condizioni fissate nelle direttive 2004/38 e 2003/86

    84

    Per quanto attiene al potere discrezionale riconosciuto agli Stati membri in sede di applicazione della direttiva 2004/38, tale potere è limitato, fatta salva l’attuazione dell’articolo 37 di quest’ultima (v., in tal senso, sentenza del 15 luglio 2021, The Department for Communities in Northern Ireland, C‑709/20, EU:C:2021:602, punto 83).

    85

    Il potere discrezionale riconosciuto agli Stati membri nell’ambito della direttiva 2003/86, invece, è ampio per quanto riguarda, in particolare, le condizioni per la concessione, sulla base dell’articolo 15, paragrafo 3, di tale direttiva, di un permesso di soggiorno autonomo, in caso di divorzio, al cittadino di un paese terzo entrato nel territorio dello Stato membro interessato in virtù del ricongiungimento familiare e che è stato vittima di atti di violenza domestica commessi dal soggiornante durante il matrimonio.

    86

    Infatti, se è vero che tale disposizione impone agli Stati membri di adottare disposizioni che garantiscano, in una siffatta ipotesi, la concessione di un tale permesso di soggiorno al cittadino di un paese terzo interessato, resta il fatto che, come rilevato al punto 65 della presente sentenza, l’articolo 15, paragrafo 4, di tale direttiva precisa che i requisiti relativi al rilascio e alla durata di tale permesso di soggiorno autonomo sono stabiliti dalla legislazione nazionale.

    87

    Pertanto, effettuando, all’articolo 15, paragrafo 4, della direttiva 2003/86, un rinvio al diritto nazionale, il legislatore dell’Unione ha indicato che intendeva lasciare alla discrezione di ogni Stato membro la cura di determinare a quali requisiti un permesso di soggiorno autonomo doveva essere rilasciato in caso di divorzio a un cittadino di un paese terzo entrato nel suo territorio ai fini del ricongiungimento familiare e che è stato vittima di atti di violenza domestica commessi durante il matrimonio dal suo coniuge (v., in tal senso, sentenza del 7 novembre 2018, C e A, C‑257/17, EU:C:2018:876, punto 49 nonché giurisprudenza ivi citata).

    88

    In ogni caso, il potere discrezionale riconosciuto agli Stati membri non deve essere da essi utilizzato in modo da pregiudicare l’obiettivo di tale direttiva e l’effetto utile di quest’ultima o da violare il principio di proporzionalità (v., in tal senso, sentenza del 9 luglio 2015, K e A, C‑153/14, EU:C:2015:453, punti 5051, nonché giurisprudenza ivi citata).

    89

    Da quanto precede risulta che, nonostante il fatto che l’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38 e l’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2003/86, condividano l’obiettivo di garantire una tutela dei familiari vittime di violenza domestica, i regimi istituiti da tali direttive rientrano in settori diversi i cui principi, oggetto e obiettivi sono anch’essi diversi. Inoltre, i beneficiari della direttiva 2004/38 godono di uno status diverso e di diritti di natura diversa da quelli di cui possono avvalersi i beneficiari della direttiva 2003/86, e il potere discrezionale riconosciuto agli Stati membri per applicare le condizioni fissate da tali direttive non è lo stesso. È segnatamente una scelta operata dalle autorità belghe nell’ambito dell’attuazione dell’ampio potere discrezionale riconosciuto loro dall’articolo 15, paragrafo 4, della direttiva 2003/86 che ha portato al trattamento diverso lamentato dal ricorrente nel procedimento principale.

    90

    Si deve, pertanto, ritenere che, per quanto riguarda il mantenimento del loro diritto di soggiorno nel territorio dello Stato membro interessato, i cittadini di paesi terzi, coniugi di un cittadino dell’Unione, che siano stati vittime di atti di violenza domestica commessi da quest’ultimo e che rientrano nell’ambito della direttiva 2004/38, da un lato, e i cittadini di paesi terzi, coniugi di un cittadino anch’esso di un paese terzo, che sono stati vittime di atti di violenza domestica commessi da quest’ultimo e che rientrano nell’ambito della direttiva 2003/86, dall’altro, non si trovano in una situazione comparabile ai fini dell’eventuale applicazione del principio di parità di trattamento di cui il diritto dell’Unione, e in particolare l’articolo 20 della Carta, garantisce il rispetto.

    91

    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre constatare che dall’esame della questione sollevata dal giudice del rinvio non è emerso alcun elemento tale da inficiare la validità dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 alla luce dell’articolo 20 della Carta.

    Sulle spese

    92

    Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

     

    Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

     

    Dall’esame della questione pregiudiziale sollevata dal giudice del rinvio non è emerso alcun elemento tale da inficiare la validità dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 e abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, alla luce dell’articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

     

    Firme


    ( *1 ) Lingua processuale: il francese.

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