Scegli le funzioni sperimentali da provare

Questo documento è un estratto del sito web EUR-Lex.

Documento 62017CJ0447

Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 5 settembre 2019.
Impugnazione – Ricorso per risarcimento danni – Articolo 340, secondo comma, TFUE – Durata eccessiva del procedimento nell’ambito di una causa dinanzi al Tribunale dell’Unione europea – Risarcimento del danno asseritamente subìto dalla ricorrente – Disapplicazione della nozione di “impresa unica” – Danni patrimoniali – Spese di garanzia bancaria – Nesso causale – Lucro cessante – Danno morale – Responsabilità dell’Unione europea per danni causati da violazioni del diritto dell’Unione derivanti da una decisione del Tribunale – Assenza di responsabilità.
Cause riunite C-447/17 P e C-479/17 P.

Raccolta della giurisprudenza - generale

Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2019:672

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

5 settembre 2019 ( *1 )

[Testo rettificato con ordinanza del 15 ottobre 2019]

«Impugnazione – Ricorso per risarcimento danni – Articolo 340, secondo comma, TFUE – Durata eccessiva del procedimento nell’ambito di una causa dinanzi al Tribunale dell’Unione europea – Risarcimento del danno asseritamente subìto dalla ricorrente – Disapplicazione della nozione di “impresa unica” – Danni patrimoniali – Spese di garanzia bancaria – Nesso causale – Lucro cessante – Danno morale – Responsabilità dell’Unione europea per danni causati da violazioni del diritto dell’Unione derivanti da una decisione del Tribunale – Assenza di responsabilità»

Nelle cause riunite C‑447/17 P e C‑479/17 P,

aventi ad oggetto due impugnazioni ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposte, rispettivamente, il 25 luglio 2017 e l’8 agosto 2017,

Unione europea, rappresentata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, rappresentata inizialmente da J. Inghelram e K. Sawyer, successivamente da J. Inghelram, in qualità di agenti,

ricorrente,

procedimenti in cui le altre parti sono:

Guardian Europe Sàrl, con sede in Bertrange (Lussemburgo), rappresentata da C. O’Daly, solicitor, e F. Louis, avocat,

ricorrente in primo grado,

Unione europea, rappresentata dalla Commissione europea, rappresentata da N. Khan, A. Dawes e C. Urraca Caviedes, in qualità di agenti,

convenuta in primo grado (C‑447/17 P),

e

Guardian Europe Sàrl, con sede in Bertrange, rappresentata da C. O’Daly, solicitor, e F. Louis, avocat,

ricorrente,

procedimenti in cui le altre parti sono:

Unione europea, rappresentata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, rappresentata inizialmente da J. Inghelram e K. Sawyer, successivamente da J. Ihghelram, in qualità di agenti,

Unione europea, rappresentata dalla Commissione europea, rappresentata da N. Khan, A. Dawes e C. Urraca Caviedes, in qualità di agenti,

convenute in primo grado (C‑479/17 P),

LA CORTE (Prima Sezione),

[Come rettificato con ordinanza del 15 ottobre 2019] composta da R. Silva de Lapuerta (relatrice), vicepresidente della Corte, facente funzione di presidente della Prima Sezione, J.‑C. Bonichot e E. Regan, giudici,

avvocato generale: Y. Bot

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 16 maggio 2019,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Mediante le rispettive impugnazioni, da un lato, l’Unione europea, rappresentata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (C‑447/17 P), e, dall’altro, la Guardian Europe Sàrl (C‑479/17 P) chiedono l’annullamento parziale della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 7 giugno 2017, Guardian Europe/Unione europea (T‑673/15; in prosieguo: la «sentenza impugnata», EU:T:2017:377), con cui quest’ultimo ha, da un lato, condannato l’Unione europea, rappresentata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, a pagare alla Guardian Europe un risarcimento pari a EUR 654523,43 a titolo del danno patrimoniale subìto da detta società a causa della violazione del termine ragionevole di giudizio nella causa sfociata nella sentenza del 27 settembre 2012, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (T‑82/08, EU:T:2012:494) (in prosieguo: la «causa T‑82/08»), e, dall’altro, respinto il ricorso per il resto.

Contesto normativo

Lo Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea

2

L’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea prevede quanto segue:

«Può essere proposta impugnazione dinanzi alla Corte di giustizia, entro un termine di due mesi a decorrere dalla notifica della decisione impugnata, contro le decisioni del Tribunale che concludono il procedimento nonché contro le pronunzie che decidono parzialmente la controversia nel merito o che pongono termine ad un incidente di procedura relativo ad un’eccezione di incompetenza o di irricevibilità.

L’impugnazione può essere proposta da qualsiasi parte che sia rimasta parzialmente o totalmente soccombente nelle sue conclusioni (…)».

Il regolamento di procedura della Corte

3

Ai sensi dell’articolo 174 del regolamento di procedura della Corte, «[l]e conclusioni della comparsa di risposta tendono all’accoglimento o al rigetto, totale o parziale, dell’impugnazione».

4

L’articolo 176 di tale regolamento è formulato nel modo seguente:

«1.   Le parti menzionate dall’articolo 172 del presente regolamento possono presentare un’impugnazione incidentale nello stesso termine previsto per la presentazione della comparsa di risposta.

2.   L’impugnazione incidentale è proposta con atto separato, distinto dalla comparsa di risposta».

5

L’articolo 178 del suddetto regolamento enuncia quanto segue:

«1.   Le conclusioni dell’impugnazione incidentale tendono all’annullamento, totale o parziale, della decisione del Tribunale.

2.   Esse possono tendere parimenti all’annullamento di una decisione, espressa o tacita, relativa alla ricevibilità del ricorso proposto dinanzi al Tribunale.

(…)».

Fatti

6

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 12 febbraio 2008, la Guardian Industries Corp. e la Guardian Europe hanno proposto un ricorso contro la decisione C(2007) 5791 definitivo della Commissione, del 28 novembre 2007, relativa ad un procedimento di applicazione dell’articolo [101 TFUE] e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (caso COMP/39165 – Vetro piano) (in prosieguo: la «decisione controversa»). Nel ricorso, tali società hanno chiesto al Tribunale, in sostanza, di annullare parzialmente tale decisione, nella parte in cui le riguardava, e di ridurre l’importo dell’ammenda inflitta loro mediante detta decisione.

7

Con la sentenza del 27 settembre 2012, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (T‑82/08, EU:T:2012:494), il Tribunale ha respinto il ricorso di cui trattasi.

8

Con atto introduttivo depositato il 10 dicembre 2012, la Guardian Industries e la Guardian Europe hanno proposto impugnazione avverso la sentenza del 27 settembre 2012, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (T‑82/08, EU:T:2012:494).

9

Con la sentenza del 12 novembre 2014, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (C‑580/12 P, EU:C:2014:2363), in primo luogo, la Corte ha annullato la sentenza del 27 settembre 2012, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (T‑82/08, EU:T:2012:494) nella parte in cui aveva respinto il motivo attinente alla violazione del divieto di discriminazioni riguardo al calcolo dell’importo dell’ammenda inflitta in solido alla Guardian Industries e alla Guardian Europe e aveva condannato queste ultime alle spese. In secondo luogo, la Corte ha annullato l’articolo 2 della decisione controversa nella parte in cui esso fissava l’importo dell’ammenda inflitta in solido alla Guardian Industries e alla Guardian Europe nella somma di EUR 148000000. In terzo luogo, la Corte fissava in EUR 103600000 l’importo dell’ammenda inflitta in solido alla Guardian Industries e alla Guardian Europe per l’infrazione constatata all’articolo 1 della decisione controversa. In quarto luogo, la Corte ha respinto l’impugnazione per il resto. In quinto luogo, la Corte ha ripartito le spese.

Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

10

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 19 novembre 2015, la Guardian Europe ha proposto un ricorso fondato sull’articolo 268 TFUE e sull’articolo 340, secondo comma, TFUE contro l’Unione europea, rappresentata dalla Commissione europea e dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, teso ad ottenere il risarcimento del danno che tale società riteneva aver subìto in conseguenza, da un lato, di una durata eccessiva del procedimento dinanzi al Tribunale nell’ambito della causa T‑82/08 e, dall’altro, di una violazione del principio della parità di trattamento commessa nella decisione controversa e nella sentenza del 27 settembre 2012, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (T‑82/08, EU:T:2012:494).

11

Nella sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato e statuito come segue:

«1)

L’Unione europea, rappresentata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, è condannata a pagare un risarcimento di EUR 654523,43 alla Guardian Europe (…) a titolo del danno materiale subìto da tale società per la violazione della durata ragionevole del processo nella causa [T‑82/08]. Tale risarcimento sarà rivalutato mediante interessi compensativi, a decorrere dal 27 luglio 2010 e fino alla pronuncia della presente sentenza, al tasso d’inflazione annuo constatato, per il periodo di cui trattasi, dall’Eurostat (Ufficio statistico dell’Unione europea) nello Stato membro in cui tale società ha sede.

2)

Il risarcimento di cui al punto 1) sarà maggiorato degli interessi moratori, a decorrere dalla pronuncia della presente sentenza fino al completo pagamento, al tasso fissato dalla Banca centrale europea (BCE) per le sue operazioni principali di rifinanziamento, maggiorato di due punti percentuali.

3)

Il ricorso è respinto quanto al resto.

4)

La Guardian Europe sopporterà le spese sostenute dall’Unione, rappresentata dalla Commissione europea.

5)

La Guardian Europe, da una parte, e l’Unione, rappresentata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, dall’altra, sopporteranno le proprie spese».

Conclusioni delle parti

12

Con la sua impugnazione nella causa C‑447/17 P, l’Unione europea, rappresentata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, chiede che la Corte voglia:

annullare il punto 1 del dispositivo della sentenza impugnata;

respingere, in quanto infondata, la domanda, formulata dalla Guardian Europe in primo grado, diretta ad ottenere il pagamento dell’importo di EUR 936000, relativo a spese di garanzia bancaria, a risarcimento di un danno che essa asserisce di aver subìto a causa della violazione del termine ragionevole di giudizio nell’ambito della causa T‑82/08 oppure, in via del tutto subordinata, ridurre tale risarcimento a un importo di EUR 299251,64, aumentato di interessi compensativi calcolati tenuto conto del fatto che tale importo è composto di somme distinte che sono divenute esigibili in diversi momenti, e

condannare la Guardian Europe alle spese.

13

La Guardian Europe chiede che la Corte voglia:

respingere l’impugnazione e

condannare la ricorrente alle spese.

14

L’Unione europea, rappresentata dalla Commissione, chiede che la Corte voglia:

accogliere l’impugnazione in toto e

condannare la Guardian Europe alle spese.

15

Con la sua impugnazione nella causa C‑479/17 P, la Guardian Europe chiede che la Corte voglia:

annullare la sentenza impugnata nella parte in cui il punto 3 del suo dispositivo ha parzialmente respinto la domanda di risarcimento danni della Guardian Europe fondata sull’articolo 268 TFUE e sull’articolo 340, secondo comma, TFUE;

condannare l’Unione europea, rappresentata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, al risarcimento del danno da essa subìto a causa della violazione, da parte del Tribunale, degli obblighi collegati al rispetto del termine ragionevole di giudizio, tramite versamento dei seguenti importi, maggiorati, da un lato, di interessi compensativi a decorrere dal 27 luglio 2010 fino alla data della pronuncia sulla presente impugnazione, al tasso annuo di inflazione determinato, per il periodo di cui trattasi, dall’Eurostat nello Stato membro in cui la Guardian Europe ha sede e, dall’altro, di interessi di mora a decorrere dalla data della pronuncia sulla presente impugnazione, al tasso fissato dalla BCE per le sue principali operazioni di rifinanziamento, aumentato di due punti percentuali:

EUR 1388000 a titolo di costi di opportunità o di lucro cessante;

EUR 143675,78 a titolo di spese di garanzia bancaria;

un importo equivalente a un’adeguata percentuale dell’ammenda inflitta alla Guardian Europe nella decisione controversa, a titolo di danno morale;

condannare l’Unione europea, rappresentata dalla Commissione e dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, a risarcire il danno da essa subìto a causa della violazione, da parte della Commissione e del Tribunale, del principio della parità di trattamento, mediante versamento dei seguenti importi, maggiorato, da un lato, degli interessi compensativi a decorrere dal 19 novembre 2010 fino alla data della pronuncia sulla presente impugnazione, al tasso annuo di inflazione determinato, per il periodo di cui trattasi, dall’Eurostat nello Stato membro in cui la Guardian Europe ha sede e, dall’altro, di interessi di mora a decorrere dalla data della pronuncia sulla presente impugnazione, al tasso fissato dalla BCE per le sue principali operazioni di rifinanziamento, aumentato di due punti percentuali:

EUR 7712000 a titolo di danno emergente o lucro cessante;

un importo equivalente a un’adeguata percentuale dell’ammenda inflitta alla Guardian Europe nella decisione controversa, a titolo di danno morale;

in via subordinata, rinviare la causa al Tribunale, e

condannare l’Unione europea, rappresentata dalla Commissione e dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, alle spese.

16

L’Unione europea, rappresentata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, chiede che la Corte voglia:

respingere l’impugnazione e

condannare la Guardian Europe alle spese.

17

L’Unione europea, rappresentata dalla Commissione, chiede che la Corte voglia:

respingere l’impugnazione nella parte in cui è diretta contro la Commissione e

condannare la Guardian Europe alle proprie spese nonché a quelle dell’Unione europea, rappresentata dalla Commissione.

18

Con la sua impugnazione incidentale nella causa C‑479/17 P, l’Unione europea, rappresentata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, chiede che la Corte voglia:

annullare la decisione di rigetto dell’eccezione di irricevibilità della domanda di risarcimento del lucro cessante;

dichiarare irricevibile la domanda di risarcimento del lucro cessante formulata dalla Guardian Europe e

condannare la Guardian Europe alle spese.

19

La Guardian Europe chiede che la Corte voglia:

respingere l’impugnazione incidentale e

condannare l’Unione europea, rappresentata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, alle spese.

20

Con decisione della vicepresidente della Corte, facente funzione di presidente della Prima Sezione, del 3 giugno 2019, le cause C‑447/17 P e C‑479/17 P sono state riunite ai fini della sentenza.

Sull’impugnazione nella causa C‑447/17 P

21

Nel suo ricorso di impugnazione nella causa C‑447/17 P, l’Unione europea, rappresentata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, deduce quattro motivi. Tuttavia, con lettera del 7 gennaio 2019, essa ha rinunciato al primo, al terzo e al quarto motivo dedotti a sostegno della sua impugnazione.

Argomenti delle parti

22

A sostegno del suo secondo e, dopo la parziale rinuncia agli atti, unico motivo dedotto a sostegno della sua impugnazione, l’Unione europea, rappresentata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, ricorrente in sede di impugnazione nella causa C‑447/17 P, fa valere che il Tribunale, quando ha ravvisato, al punto 161 della sentenza impugnata, la sussistenza di un nesso causale sufficientemente diretto tra la violazione del termine ragionevole di giudizio nella causa T‑82/08 e il danno subìto dalla Guardian Europe, a causa del pagamento di spese di garanzia bancaria nel corso del periodo corrispondente al superamento di tale termine, ha commesso un errore di diritto nell’interpretazione della nozione di «nesso causale».

23

In particolare, la ricorrente in sede di impugnazione nella causa C‑447/17 P sostiene che il Tribunale si è basato sull’erronea premessa secondo cui la scelta di costituire una garanzia bancaria si esercita in un solo e unico momento nel tempo, ossia nel momento della «scelta iniziale» di costituire tale garanzia. Orbene, dato che l’obbligo di pagare l’ammenda sussisteva durante l’intero procedimento dinanzi ai giudici dell’Unione, la Guardian Europe aveva la possibilità di pagare l’ammenda e di dare così esecuzione all’obbligo ad essa incombente a tale riguardo. Avendo la possibilità di pagare l’ammenda in qualsiasi momento, la scelta personale di tale società di sostituire detto pagamento con una garanzia bancaria costituirebbe una scelta continuata, da essa compiuta lungo l’intero corso del procedimento. Pertanto, la causa determinante del pagamento delle spese di garanzia bancaria risiederebbe nella scelta personale di non pagare l’intero importo dell’ammenda e di sostituire tale pagamento con una garanzia bancaria, e non nella violazione del termine ragionevole di giudizio.

24

Lo svolgimento dei fatti nella presente causa confermerebbe, inoltre, tale interpretazione. Infatti, come risulterebbe dal punto 156 della sentenza impugnata, la Guardian Europe avrebbe annullato la garanzia bancaria il 2 agosto 2013, ad una data che non presentava alcun nesso con il procedimento pendente dinanzi agli organi giurisdizionali dell’Unione, precisamente dieci mesi dopo la pronuncia della sentenza del 27 settembre 2012, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (T‑82/08, EU:T:2012:494), e sedici mesi prima della pronuncia della sentenza del 12 novembre 2014, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (C‑580/12 P, EU:C:2014:2363).

25

L’Unione europea, rappresentata dalla Commissione, aderisce agli argomenti formulati dalla ricorrente nell’impugnazione nella causa C‑447/17 P.

26

La Guardian Europe, convenuta in sede di impugnazione nella causa C‑447/17 P, fa valere che il ritardo del Tribunale è stato, nel caso di specie, l’unico motivo all’origine delle spese di garanzia bancaria supplementari che tale società ha dovuto sostenere, e che non si può ascriverle alcuna responsabilità al riguardo. In siffatto contesto, la Guardian Europe sottolinea di non aver violato alcuna norma giuridica quando ha deciso di fornire alla Commissione una garanzia bancaria, essendo anzi tale scelta del tutto legittima. Pertanto, se la Corte dovesse ritenere che la scelta legittima di costituire una garanzia bancaria facesse sorgere la «responsabilità» della Guardian Europe, il ricorso per la violazione dei diritti tutelati dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») sarebbe privato di qualsiasi effetto nei casi in cui un’impresa abbia scelto di coprire una parte della sua ammenda con una garanzia.

27

La Guardian Europe osserva che esiste una distinzione tra, da un lato, le spese di garanzia bancaria sostenute nel corso del termine ragionevole di giudizio, le quali, in applicazione della giurisprudenza derivante, in particolare, dalla sentenza del 21 aprile 2005, Holcim (Deutschland)/Commissione (T‑28/03, EU:T:2005:139), nonché dall’ordinanza del 12 dicembre 2007, Atlantic Container Line e a./Commissione (T‑113/04, non pubblicata, EU:T:2007:377), non sono recuperabili, e, dall’altro, le spese di garanzia bancaria sostenute dopo detto termine.

28

A tal riguardo, facendo riferimento al punto 62 della sentenza del 21 aprile 2005, Holcim (Deutschland)/Commissione (T‑28/03, EU:T:2005:139), la Guardian Europe sottolinea che una delle ragioni principali per cui i giudici dell’Unione europea hanno dichiarato che le spese di garanzia bancaria non sono recuperabili in caso di annullamento di una decisione della Commissione, che infligge un’ammenda, consiste nel fatto che le spese connesse alla garanzia bancaria già sostenute avrebbero dovuto essere pagate alle banche indipendentemente dall’esito finale del ricorso di annullamento. Tuttavia, tale ragionamento non può chiaramente essere applicabile alla presente causa poiché la Guardian Europe non avrebbe dovuto pagare spese di garanzia bancaria supplementari se il Tribunale avesse statuito sul suo ricorso entro un termine ragionevole.

29

La Guardian Europe invita la Corte a respingere gli argomenti dedotti dalla ricorrente nell’impugnazione nella causa C‑447/17 P, in merito alla qualificazione della scelta di costituire una garanzia bancaria come una «scelta continuata», e a confermare l’analisi effettuata dal Tribunale al punto 160 della sentenza impugnata.

30

La Guardian Europe aggiunge che, secondo il diritto degli Stati membri, il nesso causale viene interrotto solo se la condotta della vittima è caratterizzata da colpa. Tuttavia, nel caso di specie, non si può ritenere che la condotta di tale società sia colpevole, dato che essa avrebbe tentato attivamente di accelerare il procedimento dinanzi al Tribunale e avrebbe contattato più volte la cancelleria per informarsi sullo stato del procedimento.

31

La Guardian Europe chiede pertanto il rigetto di tale motivo.

Giudizio della Corte

32

Occorre ricordare che, come già sottolineato dalla Corte, il presupposto relativo al nesso causale richiesto dall’articolo 340, secondo comma, TFUE concerne l’esistenza di un rapporto di causa-effetto sufficientemente diretto tra il comportamento delle istituzioni dell’Unione e il danno, rapporto di cui spetta al ricorrente fornire la prova, di modo che il comportamento addebitato deve essere la causa determinante del danno (sentenza del 13 dicembre 2018, Unione europea/Kendrion, C‑150/17 P, EU:C:2018:1014, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).

33

Si deve quindi valutare se la violazione del termine ragionevole di giudizio nella causa T‑82/08 sia la causa determinante del danno, derivante dal pagamento di spese di garanzia bancaria nel corso del periodo corrispondente al superamento di detto termine, per stabilire l’esistenza di un nesso diretto di causa-effetto tra il comportamento addebitato all’Unione europea, rappresentata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, e il danno lamentato.

34

A tale riguardo, occorre osservare che, nell’ambito di un ricorso per risarcimento danni proposto contro la Commissione, ai fini, segnatamente, del rimborso delle spese di garanzia sostenute dalle ricorrenti onde ottenere la sospensione delle decisioni di recupero delle restituzioni di cui trattasi, decisioni successivamente oggetto di revoca, la Corte ha dichiarato che, quando una decisione che impone il pagamento di un’ammenda riconosce la facoltà di costituire una cauzione destinata a garantire tale pagamento e gli interessi di mora, in attesa dell’esito di un ricorso proposto avverso detta decisione, il danno consistente nelle spese per la costituzione della garanzia deriva non già da tale decisione, bensì dalla scelta personale dell’interessato di costituire una garanzia piuttosto che di dare immediatamente esecuzione all’obbligo di rimborso. In siffatte circostanze, la Corte ha affermato che non sussisteva alcun nesso causale diretto tra il comportamento addebitato alla Commissione e il presunto danno (v., in tal senso, sentenza del 28 febbraio 2013, Inalca e Cremonini/Commissione, C‑460/09 P, EU:C:2013:111, punti 118120).

35

Orbene, il Tribunale ha considerato, al punto 160 della sentenza impugnata, che il nesso tra il superamento del termine ragionevole di giudizio nella causa T‑82/08 e il pagamento di spese di garanzia bancaria nel periodo corrispondente a tale superamento non poteva essere stato interrotto dalla scelta iniziale, della Guardian Europe, di non pagare immediatamente una parte dell’ammenda inflitta nella decisione controversa e di costituire una garanzia bancaria.

36

In particolare, come emerge dal suddetto punto 160 della sentenza impugnata, le due circostanze su cui il Tribunale si è basato per giungere alla conclusione richiamata al precedente punto della presente sentenza sono, da un lato, che, alla data in cui la Guardian Europe ha presentato il proprio ricorso nella causa T‑82/08 e alla data in cui essa ha costituito una garanzia bancaria, la violazione del termine ragionevole di giudizio non era prevedibile e tale società poteva legittimamente attendersi che detto ricorso fosse esaminato entro un termine ragionevole e, dall’altro, che il superamento del termine ragionevole di giudizio si è verificato dopo la scelta iniziale della Guardian Europe di costituire detta garanzia.

37

Orbene, queste due circostanze non possono assumere rilevanza ai fini della constatazione che il nesso causale tra la violazione del termine ragionevole di giudizio, nell’ambito della causa T‑82/08, e il danno subìto dalla Guardian Europe a causa del pagamento di spese di garanzia bancaria, nel corso del periodo corrispondente al superamento di detto termine, non può essere stato interrotto dalla scelta di detta impresa di costituire tale garanzia (v. sentenza del 13 dicembre 2018, Unione europea/Kendrion, C‑150/17 P, EU:C:2018:1014, punto 57).

38

Infatti, ciò varrebbe solo nel caso in cui il mantenimento della garanzia bancaria rivestisse carattere obbligatorio, con la conseguenza che l’impresa che avesse proposto ricorso avverso una decisione della Commissione che le infliggeva un’ammenda, e che avesse scelto di costituire una garanzia bancaria al fine di non dare immediata esecuzione a tale decisione, non avrebbe avuto il diritto, prima della data di pronuncia della sentenza nell’ambito di detto ricorso, di pagare tale ammenda e di porre fine alla garanzia bancaria da essa costituita (sentenza del 13 dicembre 2018, Unione europea/Kendrion, C‑150/17 P, EU:C:2018:1014, punto 58 e giurisprudenza ivi citata).

39

Tuttavia, come già affermato dalla Corte, così come la costituzione della garanzia bancaria, il mantenimento della stessa rientra nella libera discrezionalità dell’impresa interessata alla luce dei suoi interessi finanziari. Infatti, nessuna disposizione del diritto dell’Unione impedisce a tale impresa di porre fine, in qualsiasi momento, alla garanzia bancaria da essa costituita e di pagare l’ammenda inflitta, quando, alla luce dell’evoluzione delle circostanze rispetto a quelle esistenti al momento della costituzione di detta garanzia, detta impresa consideri tale opzione più vantaggiosa per se stessa. Ciò potrebbe avvenire, in particolare, qualora lo svolgimento del procedimento dinanzi al Tribunale inducesse l’impresa in questione a ritenere che la sentenza sarà pronunciata in data successiva a quella da essa inizialmente preventivata e che, di conseguenza, il costo della garanzia sarà superiore a quello da essa inizialmente previsto al momento della costituzione di tale garanzia (sentenza del 13 dicembre 2018, Unione europea/Kendrion, C‑150/17 P, EU:C:2018:1014, punto 59 e giurisprudenza ivi citata).

40

Nel caso di specie, tenendo conto del fatto che, da un lato, il 12 febbraio 2010, ossia due anni dopo la presentazione del ricorso nell’ambito della causa T‑82/08, l’apertura della fase orale in detta causa non era ancora neppure avvenuta, come emerge da quanto constatato dal Tribunale al punto 133 della sentenza impugnata, e che, dall’altro, il termine che la Guardian Europe stessa aveva considerato, nel suo ricorso di primo grado, quale termine normale per il trattamento di una causa della tipologia della causa T‑82/08 era precisamente di due anni, è necessario constatare che, al più tardi, il 12 febbraio 2010, la Guardian Europe non poteva ignorare che la durata del procedimento nella summenzionata causa avrebbe ampiamente superato quella da essa inizialmente prevista, e che essa poteva riconsiderare l’opportunità di mantenere la garanzia bancaria, alla luce delle spese supplementari che il mantenimento di tale garanzia avrebbe potuto comportare.

41

In siffatto contesto, la violazione del termine ragionevole di giudizio nella causa T‑82/08 non può essere la causa determinante del danno subìto dalla Guardian Europe, in seguito al pagamento di spese di garanzia bancaria nel corso del periodo corrispondente al superamento di tale termine. Infatti, un danno di questo tipo è il risultato della scelta personale compiuta dalla Guardian Europe di mantenere la garanzia bancaria nel corso dell’intero procedimento in detta causa, nonostante le conseguenze finanziarie che ciò implicava (v. sentenza del 13 dicembre 2018, Unione europea/Kendrion, C‑150/17 P, EU:C:2018:1014, punto 61).

42

Dalle suesposte considerazioni deriva che il Tribunale, ravvisando un nesso causale sufficientemente diretto tra la violazione del termine ragionevole di giudizio nella causa T‑82/08 e la perdita subita dalla Guardian Europe in seguito al pagamento di spese di garanzia bancaria nel corso del periodo corrispondente al superamento di tale termine, ha commesso un errore di diritto nell’interpretazione della nozione di «nesso causale».

43

Di conseguenza, dovendo dichiarare fondato il presente motivo, occorre accogliere l’impugnazione nella causa C‑447/17 P ed annullare il punto 1 del dispositivo della sentenza impugnata.

Sull’impugnazione incidentale nella causa C‑479/17 P

Argomenti delle parti

44

Con il suo motivo unico dedotto a sostegno della sua impugnazione incidentale nella causa C‑479/17 P, che occorre analizzare preliminarmente all’impugnazione principale in tale causa, l’Unione europea, rappresentata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, ricorrente in detta impugnazione incidentale, sostiene che il Tribunale ha commesso un errore di diritto quando ha respinto, al punto 65 della sentenza impugnata, l’eccezione di irricevibilità vertente sul fatto che il risarcimento del lucro cessante richiesto dalla Guardian Europe azzererebbe gli effetti giuridici di una decisione divenuta definitiva, vale a dire, in concreto, la decisione della Commissione del 23 dicembre 2014 (in prosieguo: la «decisione del dicembre 2014»).

45

La ricorrente incidentale nella causa C‑479/17 P, partendo dal fatto che gli interessi che la Commissione ha pagato alla Guardian Europe, conformemente alla decisione del dicembre 2014, mirano a risarcire il danno che tale società ha subìto a causa della privazione del godimento dell’importo dell’ammenda indebitamente pagata, sostiene che la domanda di risarcimento a titolo di lucro cessante proposta dalla Guardian Europe mira, in definitiva, ad ottenere il risarcimento di tale danno a un tasso superiore a quello utilizzato dalla Commissione in tale decisione.

46

Orbene, per poter pretendere un tasso di rendimento più elevato sulla somma di cui la Guardian Europe non ha potuto disporre a causa dell’indebito pagamento dell’ammenda inflitta, tale società avrebbe dovuto proporre un ricorso di annullamento contro la suddetta decisione. Pertanto, contrariamente a quanto constatato al punto 64 della sentenza impugnata, tale domanda di risarcimento avrebbe lo stesso oggetto e lo stesso effetto di una domanda di annullamento della decisione del dicembre 2014.

47

In siffatte circostanze, il Tribunale avrebbe dovuto applicare il principio secondo cui una decisione definitiva non può essere rimessa in discussione per mezzo di un ricorso per risarcimento avente lo stesso oggetto e lo stesso effetto di quelli che avrebbe avuto un ricorso di annullamento, principio risultante dalla giurisprudenza della Corte, ed in particolare dalle sentenze del 15 dicembre 1966, Schreckenberg/Commissione (59/65, EU:C:1966:60), e del 14 febbraio 1989, Bossi/Commissione (346/87, EU:C:1989:59, punti da 31 a 35), nonché dall’ordinanza del 4 ottobre 2010, Ivanov/Commissione (C‑532/09 P, non pubblicata, EU:C:2010:577, punti da 23 a 25), e, di conseguenza, respingere in quanto irricevibile la domanda di risarcimento formulata dalla Guardian Europe riguardo a un presunto lucro cessante.

48

La Guardian Europe contesta gli argomenti della ricorrente nell’impugnazione incidentale nella causa C‑479/17 P.

Giudizio della Corte

49

Si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, l’azione di risarcimento danni, fondata sull’articolo 340, secondo comma, TFUE, è stata istituita come mezzo autonomo, dotato di una particolare funzione nell’ambito del regime delle impugnazioni e subordinato, quanto al suo esercizio, a condizioni attinenti al suo specifico oggetto, di modo che la dichiarazione di irricevibilità della domanda di annullamento non comporta automaticamente quella della domanda di risarcimento (ordinanza del 21 giugno 1993, Van Parijs e a./Consiglio e Commissione, C‑257/93, EU:C:1993:249, punto 14 e giurisprudenza ivi citata).

50

Nondimeno, sebbene sia possibile esperire un’azione di risarcimento senza essere contemporaneamente tenuti a chiedere l’annullamento dell’atto illegittimo che ha arrecato il danno, ciò non consente tuttavia di aggirare l’ostacolo dell’irricevibilità di una domanda diretta contro la stessa illegittimità e volta ad ottenere lo stesso risultato patrimoniale (ordinanza del presidente della Corte del 26 ottobre 1995, Pevasa e Inpesca/Commissione, C‑199/94 P e C‑200/94 P, EU:C:1995:360, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

51

Pertanto, un ricorso per risarcimento danni dev’essere dichiarato irricevibile laddove sia, in realtà, diretto alla revoca di una decisione individuale divenuta definitiva e laddove avrebbe per effetto, nell’ipotesi di un suo accoglimento, l’azzeramento degli effetti giuridici della decisione medesima. Ciò si verifica quando il ricorrente miri, attraverso una domanda risarcitoria, a ottenere un risultato identico a quello che avrebbe ottenuto con l’accoglimento di un ricorso di annullamento che non ha presentato in tempo utile (v., in tal senso, ordinanza del 4 ottobre 2010, Ivanov/Commissione, C‑532/09 P, non pubblicata, EU:C:2010:577, punti 2324 nonché giurisprudenza ivi citata).

52

Occorre verificare se, come sostiene la ricorrente nell’impugnazione incidentale nella causa C‑479/17 P, la domanda di risarcimento presentata dalla Guardian Europe, ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, al fine di ottenere il risarcimento del danno derivante dall’asserito lucro cessante, miri ad ottenere un risultato identico a quello che avrebbe ottenuto con la proposizione di un ricorso di annullamento avverso la decisione del dicembre 2014.

53

Come risulta dal punto 24 della sentenza impugnata, nel suo ricorso per risarcimento danni, la Guardian Europe ha chiesto, in particolare, il risarcimento del danno che essa avrebbe subìto a causa, da un lato, della durata del procedimento nella causa T‑82/08 e, dall’altro, della violazione del principio di parità di trattamento commessa nella decisione controversa e nella sentenza del 27 settembre 2012, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (T‑82/08, EU:T:2012:494), consistente in un lucro cessante connesso alla differenza fra, da un lato, gli interessi rimborsati dalla Commissione sulla parte dell’importo dell’ammenda dichiarata alla fine non dovuta dalla Corte nella sentenza del 12 novembre 2014, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (C‑580/12 P, EU:C:2014:2363), e, dall’altro, gli utili che la ricorrente avrebbe potuto ottenere se, invece di pagare alla Commissione la somma dichiarata infine non dovuta dalla Corte, l’avesse investita nelle sue attività.

54

Peraltro, come emerge dai punti 54 e 55 della sentenza impugnata, con la sua decisione del dicembre 2014, la Commissione ha rimborsato la parte dell’importo dell’ammenda dichiarata non dovuta dalla Corte nella sentenza del 12 novembre 2014, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (C‑580/12 P, EU:C:2014:2363) e ha versato su tale somma interessi pari a EUR 988620.

55

Per quanto riguarda tale decisione, va ricordato che, come già rilevato dalla Corte, dall’articolo 266, primo comma, TFUE risulta che l’istituzione da cui emana l’atto annullato deve prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza, con cui detto atto è stato dichiarato nullo e non avvenuto, comporta. Ciò implica, in particolare, il pagamento delle somme dovute e la ripetizione dell’indebito nonché il versamento degli interessi di mora. A tale riguardo, la Corte ha precisato che il versamento di tali interessi costituisce un provvedimento di esecuzione della sentenza di annullamento, ai sensi dell’articolo 266, primo comma, TFUE, in quanto mira a risarcire forfettariamente la privazione del godimento di un credito e a spingere il debitore ad eseguire, nel termine più breve possibile, la sentenza di annullamento (v. sentenza del 12 febbraio 2015, Commissione/IPK International, C‑336/13 P, EU:C:2015:83, punti 2930).

56

Ai fini della determinazione dell’importo degli interessi di mora che devono essere versati a un’impresa che ha pagato un’ammenda inflitta dalla Commissione, in seguito all’annullamento di tale ammenda, tale istituzione deve applicare il tasso a tal uopo fissato dal regolamento delegato (UE) n. 1268/2012 della Commissione, del 29 ottobre 2012, recante le modalità di applicazione del regolamento (UE, Euratom) n. 966/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce le regole finanziarie applicabili al bilancio generale dell’Unione (GU 2012, L 362, pag. 1).

57

Pertanto, se il capitale disponibile di un’impresa sanzionata dalla Commissione le consente di pagare l’ammenda inflitta e tale ammenda è successivamente annullata, il danno consistente nella privazione del godimento di tale capitale sarà di norma coperto dal pagamento, da parte della Commissione, degli interessi di mora sull’importo dell’ammenda indebitamente pagata, calcolati in conformità al regolamento delegato n. 1268/2012, i quali, nel caso di specie, ammontano a EUR 988620.

58

Ciò premesso, non si può escludere che, in circostanze particolari, l’importo di tali interessi sia insufficiente a garantire l’integrale ristoro del danno subìto a causa della privazione del godimento della somma indebitamente pagata.

59

Orbene, in siffatte circostanze, al fine di ottenere il risarcimento del danno derivante dalla privazione del godimento della somma indebitamente pagata non coperta dall’importo corrispondente agli interessi di mora che la Commissione è tenuta a versare, l’impresa interessata deve presentare una domanda di risarcimento, fondata sull’articolo 340, secondo comma, TFUE.

60

Tale valutazione è corroborata dall’articolo 266, secondo comma, TFUE, ai sensi del quale l’obbligo dell’istituzione da cui emana l’atto annullato di prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza stessa comporta, tra i quali figura il versamento degli interessi di mora, non pregiudica quello eventualmente risultante dall’applicazione dell’articolo 340 TFUE.

61

Nel caso di specie, si deve osservare che, con il suo ricorso per risarcimento danni, la Guardian Europe chiede non già il rimborso della parte dell’importo dell’ammenda dichiarata non dovuta nella sentenza del 12 novembre 2014, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (C‑580/12 P, EU:C:2014:2363), né il versamento degli interessi prodotti da tale somma quando quest’ultima era in possesso della Commissione, bensì il lucro cessante menzionato al punto 53 della presente sentenza.

62

Occorre altresì osservare che, per quanto riguarda gli interessi di mora, l’eventuale annullamento della decisione del dicembre 2014 non potrebbe dar luogo al versamento, a favore della Guardian Europe, di un importo diverso dall’importo degli interessi che la Commissione doveva rimborsare, conformemente al regolamento delegato n. 1268/2012.

63

Si deve necessariamente constatare che la domanda di risarcimento presentata dalla Guardian Europe, sul fondamento dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, al fine di ottenere il risarcimento del danno derivante dall’asserito lucro cessante non persegue un risultato identico a quello di un ricorso di annullamento eventualmente proposto avverso la decisione del dicembre 2014.

64

Pertanto, giustamente, al punto 64 della sentenza impugnata, il Tribunale ha constatato che la domanda di risarcimento formulata dalla Guardian Europe riguardo ad un asserito lucro cessante non ha né lo stesso oggetto né lo stesso effetto di un eventuale ricorso di annullamento proposto avverso la decisione del dicembre 2014, e non può dunque essere dichiarata irricevibile a titolo di uno sviamento di procedura.

65

Di conseguenza, non si può addebitare al Tribunale di aver commesso un errore di diritto quando ha respinto, al punto 65 della sentenza impugnata, le eccezioni di irricevibilità vertenti sul fatto che il risarcimento dell’asserito lucro cessante azzererebbe gli effetti di una decisione divenuta definitiva.

66

Occorre quindi respingere in quanto infondato il motivo unico dedotto a sostegno dell’impugnazione incidentale nella causa C‑479/17 P, nonché respingere quest’ultima.

Sull’impugnazione principale nella causa C‑479/17 P

67

A sostegno della sua impugnazione nella causa C‑479/17 P, la Guardian Europe deduce sei motivi.

Sul sesto motivo

Argomenti delle parti

68

Con il sesto motivo, che occorre esaminare per primo, la Guardian Europe sostiene che il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto, quando ha affermato che solo una sentenza pronunciata da un giudice dell’Unione di ultimo grado è idonea a far sorgere la responsabilità dell’Unione europea a causa di una violazione del diritto dell’Unione.

69

Infatti, secondo la Guardian Europe, la giurisprudenza della Corte non esclude espressamente la possibilità che una decisione di un organo giurisdizionale di grado inferiore possa dar luogo a un ricorso per risarcimento danni per violazione del diritto dell’Unione. Il principio stabilito dalla sentenza del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513), non si limiterebbe agli organi giurisdizionali di ultimo grado.

70

Peraltro, anche se si ammettesse che solo una decisione di un organo giurisdizionale di uno Stato membro che statuisce in ultimo grado può dar luogo ad una responsabilità per violazione del diritto dell’Unione, non ne conseguirebbe l’applicabilità di tale principio anche nei confronti del Tribunale, tenuto conto delle differenze esistenti tra quest’ultimo e i giudici degli Stati membri.

71

Inoltre, poiché per definizione la Corte di giustizia non potrebbe commettere una violazione del diritto dell’Unione in una sentenza, la valutazione espressa al punto 122 della sentenza impugnata avrebbe come conseguenza che i giudici dell’Unione non potrebbero mai essere considerati responsabili di una violazione del diritto dell’Unione.

72

Infine, la Guardian Europe contesta al Tribunale di aver dichiarato, al punto 124 della sentenza impugnata, che essa non aveva dedotto alcuna grave disfunzione giurisdizionale, in particolare di natura procedurale o amministrativa.

73

L’Unione europea, rappresentata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, convenuta nell’impugnazione principale nella causa C‑479/17 P, contesta gli argomenti della Guardian Europe.

Giudizio della Corte

74

Per valutare la fondatezza della doglianza della Guardian Europe relativa al punto 122 della sentenza impugnata, occorre ricordare che, nel contesto del principio della responsabilità di uno Stato membro per danni causati ai singoli individui da violazioni del diritto dell’Unione ad esso imputabili, la Corte ha giudicato che tale principio si applica anche quando la violazione di cui trattasi deriva da una decisione di un organo giurisdizionale di detto Stato membro che statuisce in ultimo grado (v. sentenza del 30 settembre 2003, Köbler, C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 50).

75

Per giungere a tale valutazione, la Corte si è basata, in particolare, sul ruolo essenziale svolto dal potere giudiziario nella tutela dei diritti conferiti ai privati dalle norme dell’Unione e sulla circostanza che un organo giurisdizionale che statuisce in ultimo grado costituisce, per definizione, l’ultima istanza dinanzi alla quale i singoli individui possono far valere i diritti ad essi riconosciuti dal diritto dell’Unione. A quest’ultimo proposito, la Corte ha sottolineato che, poiché normalmente una violazione di questi diritti operata in una decisione di un tale organo giurisdizionale che sia divenuta definitiva non può più costituire oggetto di riparazione, i soggetti dell’ordinamento non possono essere privati della possibilità di far valere la responsabilità dello Stato al fine di ottenere in tal modo una tutela giuridica dei loro diritti (v., in tal senso, sentenza del 30 settembre 2003, Köbler, C‑224/01, EU:C:2003:513, punti 3334).

76

Occorre rilevare che, contrariamente a quanto sostiene la Guardian Europe, dalla giurisprudenza della Corte emerge chiaramente che il principio menzionato al punto 74 della presente sentenza, non è applicabile laddove la violazione del diritto dell’Unione sia commessa da un organo giurisdizionale di uno Stato membro che non statuisce in ultimo grado (v., in tal senso, sentenza del 28 luglio 2016, Tomášová, C‑168/15, EU:C:2016:602, punto 36).

77

Infatti, se, in mancanza di una possibilità di ricorsi interni avverso una decisione giurisdizionale che promana da un organo giurisdizionale di ultimo grado, l’azione per responsabilità dello Stato è l’unico mezzo di ricorso che consente di assicurare il ripristino del diritto leso e di garantire, in tal modo, la tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti ai singoli individui dall’ordinamento giuridico dell’Unione, lo stesso non vale per le decisioni pronunciate dai giudici di primo grado, in quanto esse possono essere impugnate mediante mezzi di ricorso interni, così che le violazioni del diritto dell’Unione derivanti da queste ultime decisioni possono essere rettificate o essere oggetto di riparazione.

78

Di conseguenza, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 110 delle sue conclusioni, l’esercizio del ricorso giurisdizionale costituisce la modalità appropriata di riparazione delle violazioni del diritto dell’Unione derivanti dalle decisioni dei giudici nazionali che non statuiscono in ultimo grado.

79

Occorre verificare se il principio che esclude la responsabilità di uno Stato membro per danni causati ai privati da una violazione del diritto dell’Unione da parte di una decisione di un giudice di tale Stato membro, che non statuisce in ultimo grado, possa essere applicato nell’ambito del regime della responsabilità dell’Unione previsto all’articolo 340, secondo comma, TFUE.

80

A tal riguardo, occorre osservare che, da un lato, come risulta dall’articolo 19, paragrafo 1, primo comma, TUE, la Corte di giustizia dell’Unione europea, cui è affidato il compito di assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei Trattati, comprende più organi giurisdizionali, vale a dire la Corte di giustizia, il Tribunale e i tribunali specializzati.

81

Dall’altro lato, l’articolo 256 TFUE prevede che il Tribunale è competente a conoscere «in primo grado» dei ricorsi menzionati in tale disposizione, e che le decisioni emesse da tale giudice nell’ambito di tali ricorsi possono essere oggetto di impugnazione dinanzi alla Corte. La possibilità di esperire un’impugnazione dinanzi a quest’ultima è prevista anche dall’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea.

82

Pertanto, le caratteristiche del sistema giurisdizionale dell’Unione, istituito dai Trattati al fine di assicurare il controllo giurisdizionale nell’ordinamento giuridico dell’Unione, consentono di assimilare il Tribunale ad un organo giurisdizionale di uno Stato membro che non si pronuncia in ultimo grado, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 112 delle conclusioni.

83

Ciò posto, poiché le violazioni del diritto dell’Unione derivanti dalle decisioni del Tribunale che possono essere impugnate dinanzi alla Corte sono atte ad essere rettificate oppure ad essere oggetto di riparazione, ciò che, come emerge dal punto 123 della sentenza impugnata, si è verificato proprio nel caso della sentenza del 27 settembre 2012, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (T‑82/08, EU:T:2012:494), si deve concludere che l’esercizio dell’impugnazione costituisce la modalità appropriata di riparazione degli errori di diritto commessi in tali decisioni, e che il principio menzionato al punto 79 della presente sentenza può dunque essere applicato nell’ambito del regime della responsabilità dell’Unione previsto all’articolo 340, secondo comma, TFUE, alla luce di dette decisioni.

84

Di conseguenza, le violazioni del diritto dell’Unione derivanti da una decisione pronunciata dal Tribunale, quale la sentenza del 27 settembre 2012, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (T‑82/08, EU:T:2012:494), non sono idonee a far sorgere la responsabilità dell’Unione.

85

È pertanto senza commettere errori di diritto che il Tribunale ha dichiarato, al punto 122 della sentenza impugnata, che la responsabilità dell’Unione non può sorgere a causa del contenuto di una decisione giurisdizionale che non sia stata emessa da un organo giurisdizionale dell’Unione che statuisce in ultimo grado e che quindi poteva essere impugnata.

86

Per quanto riguarda l’argomento formulato dalla Guardian Europe, esposto al punto 72 della presente sentenza, relativo alla valutazione del Tribunale di cui al punto 124 della sentenza impugnata, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 121 delle sue conclusioni, dal ricorso proposto dinanzi al Tribunale risulta chiaramente che, contrariamente a quanto affermato da tale società, la domanda di risarcimento dei danni asseritamente causati dalla sentenza del 27 settembre 2012, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (T‑82/08, EU:T:2012:494), si basava unicamente su una violazione, da parte del Tribunale, della giurisprudenza della Corte in tale sentenza. Non si può quindi criticare il Tribunale per aver considerato, al punto 124 della sentenza impugnata, che l’argomentazione della ricorrente a tal riguardo non si fondava sull’esistenza di gravi disfunzioni giurisdizionali atte ad incidere sull’attività di un organo giurisdizionale dell’Unione.

87

Ne consegue che il sesto motivo deve essere respinto in quanto infondato.

Sul primo e sul quarto motivo

Argomenti delle parti

88

Con il primo e il quarto motivo, che occorre esaminare congiuntamente, la Guardian Europe critica il Tribunale per aver affermato, ai punti 103 e 153 della sentenza impugnata, che essa non aveva sopportato personalmente l’onere connesso al pagamento dell’ammenda inflitta dalla Commissione e non poteva dunque sostenere di aver subìto – a causa della violazione del termine ragionevole del giudizio nella causa T‑82/08 nonché della violazione del principio della parità di trattamento nella decisione controversa e nella sentenza del 27 settembre 2012, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (T‑82/08, EU:T:2012:494) – un danno reale e certo consistente nel lucro cessante invocato.

89

La Guardian Europe fa valere, in particolare, che il Tribunale non ha tenuto conto della nozione di «impresa» ai sensi del diritto dell’Unione. Dato che, nel corso del procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione sfociato nella decisione controversa, il gruppo Guardian è sempre stato trattato come un’«impresa unica» ai sensi del diritto dell’Unione, poiché l’ammenda inflitta alla Guardian Europe è stata calcolata sulla base del valore delle vendite del gruppo Guardian e non su quelle della Guardian Europe, il gruppo Guardian avrebbe dovuto essere considerato come un’«impresa unica» anche ai fini della valutazione, nell’ambito dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, del danno derivante dalla violazione, da parte del Tribunale, dell’articolo 47 della Carta e dalla violazione, da parte della Commissione nonché del Tribunale, del principio della parità di trattamento.

90

Inoltre, la Guardian Europe deduce che, per valutare l’esistenza del suo danno personale, il Tribunale non poteva ignorare la realtà dei suoi legami di gruppo con le sue controllate, trattandosi, peraltro, di controllate da essa detenute al 100%.

91

Infine, la Guardian Europe sostiene che la Corte dispone di tutti gli elementi necessari per concedere un indennizzo al fine di riparare il lucro cessante da essa asseritamente subìto a causa di tali violazioni.

92

L’Unione europea, rappresentata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, contesta gli argomenti della Guardian Europe.

93

La Commissione sostiene, in via principale, che il Tribunale avrebbe dovuto considerare prescritta la domanda di risarcimento dei danni causati dalla violazione del principio della parità di trattamento nella decisione controversa. Secondo la Commissione, si tratta di una questione di ricevibilità, e come tale di ordine pubblico, che il giudice dell’Unione può, anzi deve, rilevare d’ufficio.

94

In via subordinata, la Commissione fa valere che il quarto motivo di impugnazione deve essere respinto in quanto irricevibile, dato che la domanda di risarcimento del lucro cessante rivolta contro la Commissione costituisce una contestazione tardiva della decisione relativa al rimborso di quanto versato in eccedenza in sede di pagamento provvisorio dell’ammenda.

95

In via ulteriormente subordinata, la Commissione sostiene che, in ogni caso, il Tribunale non ha commesso alcun errore quando ha concluso che la Guardian Europe non aveva subìto alcun danno pagando provvisoriamente l’ammenda. Infatti, contrariamente a quanto fatto valere dalla Guardian Europe, nella decisione controversa quest’ultima non è stata trattata come un’impresa unica, ai sensi del diritto dell’Unione, ai fini della determinazione dell’ammenda. Secondo la Commissione, solo soggetti dotati di personalità giuridica possono essere considerati responsabili di infrazioni.

96

Infine, in via ulteriormente subordinata, la Commissione sostiene che, anche qualora gli argomenti dedotti nell’ambito del quarto motivo venissero accolti, non consterebbe alcun lucro cessante subìto dalla Guardian Europe a causa di un’asserita violazione sufficientemente qualificata del principio della parità di trattamento commessa nella decisione controversa. A tal riguardo, la Commissione sostiene che, poiché la Guardian Europe non aveva proceduto a vendite vincolate, l’applicazione di un metodo di calcolo delle ammende che includesse tali vendite avrebbe, in realtà, comportato soltanto una maggiorazione delle ammende inflitte ad altri destinatari.

Giudizio della Corte

97

In primo luogo, quanto all’argomentazione della Guardian Europe concernente l’asserito lucro cessante da essa subìto a causa della violazione del principio della parità di trattamento commessa nella sentenza del 27 settembre 2012, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (T‑82/08, EU:T:2012:494), come risulta dai punti da 122 a 125 della sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto la domanda di risarcimento vertente su tale asserita violazione non già basandosi sulle constatazioni effettuate ai punti 103 e 153 di tale sentenza, circa il fatto che la ricorrente non avesse sopportato personalmente l’onere connesso al pagamento dell’ammenda inflitta dalla decisione controversa, bensì per il motivo che la responsabilità dell’Unione non può sorgere a causa di una decisione giurisdizionale che non promana da un organo giurisdizionale dell’Unione che statuisce in ultimo grado. Ne consegue che tale argomentazione si fonda su una lettura erronea della sentenza impugnata ed è quindi priva di fondamento, tanto più che, come risulta dal punto 84 della presente sentenza, è comunque a giusto titolo che il Tribunale ha dichiarato che una violazione siffatta non è idonea a far sussistere la responsabilità dell’Unione, ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE.

98

In secondo luogo, occorre rilevare che, come risulta dai punti 93 e 94 della presente sentenza, nella comparsa di risposta la Commissione contesta il rigetto da parte del Tribunale, ai punti 46 e 65 della sentenza impugnata, delle eccezioni di irricevibilità relative, da un lato, alla prescrizione della domanda di risarcimento dei danni patrimoniali asseritamente subiti a causa della violazione del principio della parità di trattamento commessa nella decisione controversa, nonché, dall’altro, al fatto che il risarcimento del lucro cessante risultante da una tale violazione azzererebbe gli effetti giuridici della decisione del dicembre 2014. Secondo la Commissione, tali eccezioni di irricevibilità sarebbero di ordine pubblico e dovrebbero, pertanto, essere sollevate d’ufficio dalla Corte.

99

Sotto tale profilo, per quanto riguarda, da un lato, l’eccezione di irricevibilità vertente sulla prescrizione della suddetta domanda, si deve ricordare che la Corte ha già giudicato che la prescrizione costituisce un’eccezione di irricevibilità che, a differenza dei termini processuali, non è di ordine pubblico, ma estingue l’azione di risarcimento unicamente su istanza del convenuto (sentenza dell’8 novembre 2012, Evropaïki Dynamiki/Commissione, C‑469/11 P, EU:C:2012:705, punto 54), e che il rispetto del termine di prescrizione non può essere esaminato d’ufficio dal giudice dell’Unione, bensì deve essere sollevato dalla parte interessata (sentenza del 14 giugno 2016, Marchiani/Parlamento, C‑566/14 P, EU:C:2016:437, punto 94 e giurisprudenza ivi citata).

100

Occorre dunque necessariamente constatare che se la Commissione auspicava che la Corte annullasse il punto 46 della sentenza impugnata, il quale decide nel senso del rigetto di tale eccezione di irricevibilità, essa avrebbe dovuto presentare un’impugnazione incidentale a tal fine, come risulta dagli articoli 174, 176 e 178, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte.

101

Per quanto riguarda, dall’altro lato, l’eccezione di irricevibilità vertente sul fatto che l’azione volta al risarcimento del lucro cessante asseritamente subìto a causa della violazione del principio della parità di trattamento commessa nella decisione controversa azzererebbe gli effetti giuridici della decisione del dicembre 2014, senza anticipare il giudizio sulla questione se tale eccezione di irricevibilità possa essere sollevata d’ufficio dalla Corte, occorre osservare che l’argomentazione della Commissione equivale a contestare al Tribunale lo stesso errore di diritto fatto valere nell’unico motivo sollevato a sostegno dell’impugnazione incidentale, nella causa C‑479/17 P, proposta dall’Unione europea, rappresentata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea. Orbene, come indicato al punto 66 della presente sentenza, tale motivo è stato respinto in quanto infondato.

102

In terzo luogo, per quanto riguarda l’argomento della Guardian Europe secondo cui il Tribunale, ai punti 103 e 153 della sentenza impugnata, avrebbe trascurato la nozione di «impresa», ai sensi del diritto dell’Unione, occorre ricordare che la Corte ha già giudicato che gli autori dei trattati hanno scelto di utilizzare la nozione di «impresa» per designare l’autore – sanzionabile in applicazione degli articoli 101 e 102 TFUE – di un’infrazione al diritto della concorrenza, e non la nozione di «società» o di «persona giuridica» utilizzata all’articolo 54 TFUE (sentenza del 18 luglio 2013, Schindler Holding e a./Commissione, C‑501/11 P, EU:C:2013:522, punto 102).

103

Dalla giurisprudenza della Corte si evince che il diritto dell’Unione in materia di concorrenza riguarda le attività delle imprese e che la nozione di «impresa» comprende qualsiasi ente che eserciti un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento (sentenza del 27 aprile 2017, Akzo Nobel e a./Commissione, C‑516/15 P, EU:C:2017:314, punto 47 e giurisprudenza ivi citata).

104

La Corte ha inoltre precisato che la nozione di «impresa», nell’ambito di tale contesto, dev’essere intesa nel senso che essa si riferisce a un’unità economica anche qualora, sotto il profilo giuridico, tale unità economica sia costituita da più persone, fisiche o giuridiche (sentenza del 27 aprile 2017, Akzo Nobel e a./Commissione, C‑516/15 P, EU:C:2017:314, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).

105

Pertanto, la nozione di «impresa», nel senso menzionato al punto precedente della presente sentenza, è utilizzata specificamente al fine di attuare le pertinenti disposizioni del diritto della concorrenza dell’Unione e, in particolare, ai fini della designazione dell’autore di una violazione agli articoli 101 e 102 TFUE.

106

Per contro, tale nozione non è applicabile nell’ambito di un ricorso per risarcimento danni ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE. Infatti, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 73 delle sue conclusioni, questo tipo di ricorso è un’azione di diritto ordinario, disciplinata da norme procedurali generali, soggette, eventualmente, al diritto delle società, indipendenti dalla logica della responsabilità con riferimento al diritto in materia di intese.

107

Pertanto, ai punti 103 e 153 della sentenza impugnata, il Tribunale non ha trascurato la nozione di «impresa», ai sensi del diritto dell’Unione.

108

In quarto luogo, per quanto concerne la critica, da parte della Guardian Europe, riguardo all’esistenza effettiva di legami con le sue controllate, della constatazione operata dal Tribunale ai punti 103 e 153 della sentenza impugnata, secondo cui essa non aveva sopportato personalmente l’onere connesso al pagamento dell’ammenda, occorre ricordare, in via preliminare, che, quando una persona fa valere un diritto al risarcimento che le è proprio, essa ha l’onere di dimostrare, in particolare, che il danno di cui chiede il risarcimento le è stato personalmente causato.

109

Nel caso di specie, per quanto riguarda il danno lamentato dalla Guardian Europe a titolo di lucro cessante, occorre ricordare che, come risulta dal fascicolo agli atti della Corte, è pacifico, da un lato, che una parte dell’ammenda di EUR 148000000 inflitta in solido alla Guardian Europe e alla sua società controllante, precisamente EUR 111000000, è stata immediatamente pagata alla Commissione, nel marzo 2008, mentre il saldo di EUR 37000000 era stato coperto da una garanzia bancaria, e, dall’altro, che, nel luglio 2013, tale garanzia è stata annullata e in seguito è stato pagato alla Commissione un importo complessivo di EUR 48263003, corrispondente all’intero saldo dell’ammenda maggiorato degli interessi.

110

È altresì pacifico che, per effetto della sentenza del 12 novembre 2014, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (C‑580/12 P, EU:C:2014:2363), che ha, in particolare, ridotto la suddetta ammenda a un importo di EUR 103600000, sia l’importo di EUR 7400000, che costituisce l’eccedenza del pagamento iniziale di EUR 111000000 rispetto all’ammenda rettificata da parte della Corte, sia quello di EUR 48263003, versati alla Commissione in seguito all’annullamento della garanzia bancaria, si sono rivelati indebiti, per un importo totale pari a EUR 55663003.

111

In tale contesto, nell’ambito della domanda di risarcimento del danno asseritamente subìto a causa di una violazione del principio di parità di trattamento, dinanzi al Tribunale, la Guardian Europe ha chiesto un risarcimento di importo pari a EUR 9292000, a titolo del lucro cessante che essa avrebbe subìto nel periodo compreso tra il marzo 2008, data del pagamento della somma di EUR 111000000, e il 12 novembre 2014, data della sentenza della Corte che ha ridotto l’ammenda inflitta. Il dedotto lucro cessante consisterebbe, in particolare, nella differenza tra, da un lato, gli interessi rimborsati dalla Commissione, in seguito alla riduzione dell’ammenda da parte della Corte, e, dall’altro, i redditi che la Guardian Europe avrebbe potuto generare, nel corso del periodo indicato, se, invece di effettuare il pagamento indebito di EUR 55663003, essa avesse investito tale somma nelle sue attività.

112

Inoltre, nell’ambito della domanda di risarcimento del danno asseritamente subìto a causa della violazione del termine ragionevole di giudizio nella causa T‑82/08 dinanzi al Tribunale, la Guardian Europe ha reclamato un risarcimento di importo pari a EUR 1671000, a titolo di lucro cessante asseritamente subìto nel periodo compreso tra il 12 febbraio 2010, data in cui, a suo avviso, la sentenza nella causa T‑82/08 avrebbe dovuto essere pronunciata, e il 27 settembre 2012, data della sentenza conclusiva di tale causa, in conseguenza della violazione del termine ragionevole di giudizio in detta causa. Il lucro cessante invocato consisterebbe, in particolare, nella differenza tra, da un lato, la quota degli interessi rimborsati dalla Commissione, in seguito alla riduzione dell’ammenda operata dalla Corte, relativa al suddetto periodo, e, dall’altro, gli utili che la Guardian Europe avrebbe potuto generare, nel corso dello stesso periodo, se, invece di pagare immediatamente l’importo indebito di EUR 7400000, essa avesse investito tale importo nelle sue attività.

113

Tuttavia, come emerge dai rilievi effettuati dal Tribunale, ai punti da 100 a 102 della sentenza impugnata, per quanto riguarda, da un lato, la somma di EUR 111000000 pagata alla Commissione nel marzo 2008, un importo di EUR 20000000 è stato pagato dalla Guardian Industries. In ordine all’importo residuo di EUR 91000000, sebbene il pagamento di quest’ultimo alla Commissione sia stato effettuato dalla Guardian Europe, resta il fatto che, in applicazione di diversi accordi conclusi fra la Guardian Europe e le sue sette controllate, sono queste ultime che, a partire dal 31 dicembre 2007, hanno sostenuto, dal punto di vista contabile e finanziario, la parte dell’ammenda inflitta dalla Commissione corrispondente a tale importo di EUR 91000000, secondo la ripartizione risultante da tali accordi. Per quanto riguarda, dall’altro lato, l’importo di EUR 48263003 pagato nel luglio 2013, sono state le sette controllate della Guardian Europe a versare, ciascuna, direttamente alla Commissione una parte di tale importo.

114

Ne consegue che l’importo indebito di EUR 55663003, ivi compreso l’importo di EUR 7400000 versato alla Commissione nel marzo 2008, è stato, di fatto, pagato non già dalla Guardian Europe, bensì, in parte, dalle sue sette controllate e, in parte, dalla Guardian Industries, circostanza che, peraltro, non è contestata dalla Guardian Europe.

115

Tuttavia, si deve tener conto della circostanza che, come dedotto dalla Guardian Europe tanto nelle sue osservazioni dinanzi alla Corte quanto, in precedenza, dinanzi al Tribunale, tale società deteneva le suddette controllate al 100%. Ciò posto, come affermato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 79 delle sue conclusioni, l’impoverimento di dette controllate conseguente al pagamento dell’ammenda in questione costituisce, in effetti, un danno finanziario subìto dalla società da cui tali filiali dipendono totalmente. In considerazione di ciò, il Tribunale non poteva, senza incorrere in un errore di diritto, trarre dal fatto che le controllate della Guardian Europe avessero pagato siffatta ammenda la conclusione che tale società non aveva sopportato personalmente l’onere connesso al pagamento di detta ammenda, né concludere, per questo motivo, che essa non poteva pretendere di ottenere il risarcimento del lucro cessante menzionato ai punti 111 e 112 della presente sentenza.

116

Nondimeno, siffatto errore di diritto non è tale da rimettere in discussione il rigetto da parte del Tribunale delle domande di risarcimento presentate dalla Guardian Europe a titolo del suddetto lucro cessante. Infatti, tale società può validamente sostenere di aver subìto personalmente un danno certo ed effettivo – consistente nel lucro cessante legato all’impossibilità di investire nelle proprie attività le somme indebitamente versate alla Commissione dalle sue sette controllate e dalla Guardian Industries – solo nei limiti in cui dimostri che, se tali imprese avessero potuto disporre di tali somme, esse le avrebbero investite nelle attività della Guardian Europe.

117

Orbene, la Guardian Europe non ha fornito alcun elemento atto a dimostrare una circostanza del genere, in quanto si è limitata ad affermare che il pagamento dell’ammenda da parte delle sue controllate e della Guardian Industries aveva comportato una diminuzione delle sue risorse, con impatti sulla sua attività in Europa.

118

Da quanto precede risulta dunque che il Tribunale era legittimato a respingere le domande di risarcimento del suddetto lucro cessante.

119

Ne consegue che il primo e il quarto motivo devono essere respinti.

Sul secondo motivo

120

Con il secondo motivo, la Guardian Europe sostiene che, concedendole solo l’82% dell’importo da essa chiesto a titolo di spese di garanzia bancaria pagate oltre il termine ragionevole di giudizio nella causa T‑82/08, per il motivo che la società madre della Guardian Europe, vale a dire la Guardian Industries, aveva pagato il 18% di tale importo, il Tribunale ha trascurato la nozione di «impresa» ai sensi del diritto dell’Unione e ha travisato gli elementi di prova prodotti dalla Guardian Europe.

121

Dato che tale motivo si riferisce all’importo del risarcimento concesso dal Tribunale a titolo del danno patrimoniale subìto a causa del pagamento, da parte della Guardian Europe, di spese di garanzia bancaria nel corso del periodo corrispondente al superamento del termine ragionevole di giudizio nella causa T‑82/08, e che, come emerge dal punto 43 della presente sentenza, il punto 1 del dispositivo della sentenza impugnata è stato annullato, non è più necessario esaminare tale motivo.

Sul terzo e sul quinto motivo

Argomenti delle parti

122

Con il terzo e il quinto motivo, che occorre esaminare congiuntamente, la Guardian Europe addebita al Tribunale di essere incorso in un errore di diritto quando ha respinto le sue domande di risarcimento di un asserito danno alla propria reputazione derivante da una violazione del termine ragionevole di giudizio nella causa T‑82/08, nonché da una violazione del principio della parità di trattamento nella decisione controversa e nella sentenza del 27 settembre 2012, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (T‑82/08, EU:T:2012:494), fondandosi, da un lato, sulla mancanza di prova del danno morale fatto valere, e, dall’altro, sul fatto che qualsiasi danno alla propria reputazione derivante da tali violazioni sarebbe stato sufficientemente riparato dalla constatazione della violazione del termine ragionevole di giudizio nella causa T‑82/08, nonché dall’annullamento della decisione controversa e dalla riduzione dell’importo dell’ammenda operate dalla Corte.

123

La Guardian Europe sottolinea che il diritto al risarcimento di un danno morale si fonda sulla finalità stessa del diritto di essere giudicato entro un termine ragionevole sancito dall’articolo 47 della Carta, e che la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ammette l’esistenza di una presunzione secondo cui la durata eccessiva di un procedimento provoca un danno morale.

124

Peraltro, la Guardian Europe rileva che il fatto che l’ammenda inflittale dalla Commissione, nella decisione controversa, fosse la più elevata, dava l’impressione che tale società fosse il principale partecipante all’intesa contestata in tale decisione, laddove essa era il produttore di minore dimensioni e la sua partecipazione a tale intesa era stata la più breve, impressione che è stata rettificata soltanto quando la Corte, nella sua sentenza del 12 novembre 2014, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (C‑580/12 P, EU:C:2014:2363), ha ridotto l’importo dell’ammenda inflitta alla Guardian Europe al secondo importo più basso, con la motivazione di una violazione del divieto di discriminazioni da parte della Commissione.

125

Pertanto, il «peso relativo» della Guardian Europe nell’infrazione sarebbe stato mantenuto a un livello sproporzionatamente elevato per una durata eccessiva, il che dovrebbe consentire di esigere un risarcimento senza dover fornire una qualsiasi prova supplementare.

126

Infine, secondo la Guardian Europe, né la constatazione della violazione del termine ragionevole di giudizio, né l’annullamento della decisione controversa e la riduzione dell’ammenda operate dalla Corte costituirebbero una riparazione adeguata del danno alla reputazione da essa subìto fino a tale constatazione e a detto annullamento.

127

Sotto tale profilo, la Guardian Europe ricorda che le ammende inflitte dalla Commissione alle imprese che violano le norme del diritto della concorrenza dell’Unione sono oggetto di pubblicazione, così che gli operatori del mercato, inclusi i consumatori, ne sono a conoscenza. Pertanto, la Guardian Europe sarebbe stata erroneamente percepita, durante il periodo in questione, come il principale protagonista dell’intesa contestata nella decisione controversa.

128

Ciò posto, la Guardian Europe ritiene che la sola forma di risarcimento adeguato nella presente causa sia un risarcimento pecuniario calcolato come percentuale della sua ammenda, analogamente a quanto stabilito dal Tribunale nella sentenza del 16 giugno 2011, Bavaria/Commissione (T‑235/07, EU:T:2011:283, punti 342343).

129

L’Unione europea, rappresentata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, contesta gli argomenti della Guardian Europe.

130

La Commissione, basandosi, in particolare, sulla sentenza del 28 febbraio 2013, Inalca e Cremonini/Commissione (C‑460/09 P, EU:C:2013:111, punto 99), fa valere che la domanda di risarcimento a causa di un asserito danno alla reputazione della Guardian Europe derivante dalla decisione controversa è prescritta, poiché un danno di questo tipo non ha carattere ricorrente ed è stato causato interamente alla data di adozione di tale decisione.

131

In via subordinata, la Commissione sostiene che gli argomenti della Guardian Europe non sono fondati.

Giudizio della Corte

132

In primo luogo, per quanto concerne l’argomentazione della Guardian Europa sull’asserito lucro cessante che essa avrebbe subìto a causa della violazione del principio di parità di trattamento commessa nella sentenza del 27 settembre 2012, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (T‑82/08, EU:T:2012:494), come risulta dai punti da 122 a 125 della sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto la domanda di risarcimento, vertente su detta presunta violazione non già basandosi sulla mancanza di prova del danno morale lamentato o sul fatto che qualsiasi danno alla reputazione della ricorrente risultante da tale violazione fosse stato sufficientemente riparato, ma con la motivazione che la responsabilità dell’Unione non può sussistere a causa di una decisione giurisdizionale che non sia stata pronunciata da un giudice dell’Unione che statuisce in ultimo grado. Ne consegue che tale argomentazione si fonda su una lettura erronea della sentenza impugnata ed è quindi priva di fondamento tanto più che, come risulta dal punto 84 della presente sentenza, in ogni caso, giustamente il Tribunale ha giudicato che una violazione siffatta non è atta a far sorgere la responsabilità dell’Unione, ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE.

133

In secondo luogo, per quanto riguarda l’argomentazione della Commissione, relativa alla prescrizione della domanda di risarcimento di un asserito danno alla reputazione della Guardian Europe derivante dalla violazione del principio di parità di trattamento commessa nella decisione controversa, posto che, come risulta dalla giurisprudenza richiamata al precedente punto 99, non si deve esaminare d’ufficio se una domanda siffatta rispetti il termine di prescrizione cui è soggetta, tale argomentazione avrebbe dovuto costituire oggetto di un’impugnazione incidentale da parte della Commissione, conformemente agli articoli 174, 176 e 178, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte.

134

In terzo luogo, la Guardian Europe contesta i motivi che hanno indotto il Tribunale a respingere, ai punti 115 e 148 della sentenza impugnata, le sue domande di risarcimento di un asserito danno alla propria reputazione derivante dalla violazione del principio della parità di trattamento commessa nella decisione controversa nonché dalla violazione del termine ragionevole di giudizio nella causa T‑82/08, vale a dire, da un lato, il fatto che essa non avesse dimostrato che dette violazioni fossero tali da arrecare pregiudizio alla propria reputazione, come è stato constatato ai punti 113 e 145 della sentenza impugnata, e, dall’altro, il fatto che, anche supponendo che tali violazioni avessero leso la reputazione della Guardian Europe, la constatazione della violazione del termine ragionevole di giudizio nella causa T‑82/08, nonché l’annullamento della decisione controversa e la riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta operati dalla Corte sarebbero stati sufficienti per risarcire il danno morale invocato, come è stato constatato ai punti 114 e 146 della sentenza impugnata.

135

Per quanto riguarda, in primo luogo, i motivi esposti ai punti 113 e 145 della sentenza impugnata, si deve ricordare che, conformemente alla giurisprudenza costante della Corte, da un lato, qualsiasi danno di cui viene chiesto il risarcimento nell’ambito di un ricorso per responsabilità extracontrattuale dell’Unione a titolo dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, deve essere certo ed effettivo. Dall’altro, affinché possa sorgere la responsabilità extracontrattuale dell’Unione, il danno deve costituire una conseguenza sufficientemente diretta del comportamento illecito delle istituzioni. In ogni caso, spetta alla parte che adduce la responsabilità extracontrattuale dell’Unione fornire prove concludenti, tanto dell’esistenza quanto dell’entità del danno da essa fatto valere nonché dell’esistenza di un nesso sufficientemente diretto di causa-effetto tra il comportamento dell’istituzione in questione e il danno dedotto (sentenza del 30 maggio 2017, Safa Nicu Sepahan/Consiglio, C‑45/15 P, EU:C:2017:402, punti 6162 e giurisprudenza ivi citata).

136

Ne consegue che l’argomento della Guardian Europe secondo cui sussisteva, nel caso di specie, una presunzione in merito all’esistenza del danno morale dedotto che l’esonerava dall’apportare qualsiasi elemento di prova al riguardo, è privo di fondamento.

137

Inoltre, occorre rammentare che, secondo una consolidata giurisprudenza, il Tribunale è il solo competente ad accertare e valutare i fatti e, in linea di principio, ad esaminare le prove che esso accoglie a sostegno di detti fatti. Invero, qualora tali prove siano state assunte regolarmente e siano stati rispettati i principi generali del diritto nonché le norme procedurali relative all’onere della prova e all’istruttoria, spetta esclusivamente al Tribunale valutare il valore da attribuire agli elementi dinanzi ad esso prodotti. Salvo il caso di snaturamento di detti elementi, tale valutazione non costituisce pertanto una questione di diritto soggetta, di per sé, al sindacato della Corte. Inoltre, un siffatto snaturamento deve risultare manifestamente dai documenti del fascicolo, senza che sia necessario procedere a una nuova valutazione dei fatti e delle prove (sentenza del 16 giugno 2016, Evonik Degussa e AlzChem/Commissione, C‑155/14 P, EU:C:2016:446, punto 23 e giurisprudenza ivi citata).

138

Nel caso di specie, al punto 112 della sentenza impugnata, il Tribunale ha constatato che l’argomento della Guardian Europe secondo cui la decisione controversa aveva creato un’impressione ingannevole circa il ruolo da essa svolto nel cartello del vetro piano non era suffragato da elementi di prova i quali dimostrassero che, per la sua gravità, la violazione del principio della parità di trattamento commessa in tale decisione poteva incidere sulla sua reputazione, al di là dell’incidenza legata alla sua partecipazione all’intesa.

139

Peraltro, al punto 144 della sentenza impugnata, il Tribunale ha constatato che l’argomentazione della Guardian Europe, secondo cui tale società è stata percepita più a lungo come avente una responsabilità particolare nell’infrazione di cui trattasi a causa della violazione del termine ragionevole di giudizio nella causa T‑82/08, non era suffragata da elementi di prova atti a dimostrare che, per la sua gravità, la violazione del termine ragionevole di giudizio potesse incidere sulla reputazione della ricorrente, al di là dell’incidenza causata dalla decisione controversa.

140

Si deve rilevare che la Guardian Europe non ha dimostrato, e neppure affermato, che le valutazioni di cui ai punti 112 e 144 della sentenza impugnata si basassero su un travisamento degli elementi di prova.

141

In tali circostanze, a giusto titolo il Tribunale ha dichiarato, ai punti 113 e 145 della sentenza impugnata, che la Guardian Europe non aveva dimostrato che la violazione del principio di parità di trattamento commessa nella decisione controversa, nonché la violazione del termine ragionevole di giudizio nella causa T‑82/08 fossero idonee ad arrecare pregiudizio alla propria reputazione e conseguentemente ha respinto, ai punti 115 e 148 della sentenza impugnata, le domande di risarcimento presentate a tale titolo.

142

Per quanto riguarda, in secondo luogo, i motivi esposti ai punti 114 e 146 della sentenza impugnata, risulta chiaramente dalla formulazione stessa di tali punti che tali motivi sono esposti ad abundantiam, essendo quelli esposti ai punti 113 e 145 della sentenza impugnata sufficienti per respingere le domande di risarcimento del presunto danno alla reputazione dedotto dalla Guardian Europe.

143

Occorre a tal proposito ricordare che, conformemente alla giurisprudenza della Corte, quando uno dei motivi accolti dal Tribunale è sufficiente a giustificare il dispositivo della sentenza, i vizi che potrebbero inficiare un altro motivo, parimenti contemplato nella sentenza in questione, non hanno comunque alcuna incidenza su detto dispositivo, cosicché il motivo che li evoca è inoperante e dev’essere respinto (sentenza del 29 aprile 2004, Commissione/CAS Succhi di Frutta, C‑496/99 P, EU:C:2004:236, punto 68 e giurisprudenza ivi citata).

144

Di conseguenza, occorre respingere il terzo e il quinto motivo in quanto, in parte, inoperanti e, in parte, infondati.

Sul ricorso dinanzi al Tribunale

145

Ai sensi dell’articolo 61, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, quando l’impugnazione è accolta, la Corte annulla la decisione del Tribunale. In tal caso, essa può statuire definitivamente sulla controversia ove lo stato degli atti lo consenta oppure rinviare la causa al Tribunale affinché sia decisa da quest’ultimo.

146

Nella fattispecie, poiché l’impugnazione nella causa C‑447/17 P è stata accolta e il punto 1 del dispositivo della sentenza impugnata è stato annullato, la Corte ritiene che occorra statuire definitivamente sul ricorso per risarcimento danni proposto dalla Guardian Europe, nella parte in cui è volto a ottenere il risarcimento del danno derivante dal pagamento di spese di garanzia bancaria al di là del termine ragionevole di giudizio nell’ambito della causa T‑82/08.

147

A tale riguardo, occorre rammentare che, secondo una giurisprudenza costante, la sussistenza della responsabilità extracontrattuale dell’Unione, ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, richiede la compresenza di vari presupposti, ossia l’illiceità del comportamento contestato all’istituzione dell’Unione, la realtà del danno e l’esistenza di un nesso causale fra il comportamento dell’istituzione e il danno lamentato (sentenza del 20 settembre 2016, Ledra Advertising e a./Commissione e BCE, da C‑8/15 P a C‑10/15 P, EU:C:2016:701, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).

148

Come già giudicato dalla Corte, quando uno di questi presupposti non è soddisfatto, il ricorso deve essere respinto interamente, senza che sia necessario esaminare gli altri presupposti della responsabilità extracontrattuale dell’Unione (sentenza del 14 ottobre 1999, Atlanta/Comunità europea, C‑104/97 P, EU:C:1999:498, punto 65 e giurisprudenza ivi citata) Inoltre, il giudice dell’Unione non è obbligato a esaminare tali presupposti in un determinato ordine (sentenza del 18 marzo 2010, Trubowest Handel e Makarov/Consiglio e Commissione, C‑419/08 P, EU:C:2010:147, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

149

Per i motivi esposti ai punti da 32 a 41 della presente sentenza, il ricorso per risarcimento danni proposto dalla Guardian Europe dinanzi al Tribunale, nella parte in cui è diretto ad ottenere un risarcimento di importo pari a EUR 936000 a titolo dell’asserito danno patrimoniale consistente nel pagamento di spese di garanzia bancaria al di là del termine ragionevole di giudizio nell’ambito della causa T‑82/08, deve essere respinto.

Sulle spese

150

Ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura, quando l’impugnazione è accolta e la controversia viene definitivamente decisa dalla Corte, quest’ultima statuisce sulle spese.

151

A norma dell’articolo 138, paragrafo 1, di tale regolamento, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, di detto regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

152

Poiché l’Unione europea, rappresentata sia dalla Corte di giustizia dell’Unione europea che dalla Commissione, ha chiesto la condanna alle spese della Guardian Europe, quest’ultima, rimasta soccombente, sia nell’ambito dell’impugnazione nella causa C‑447/17 P sia nell’ambito dell’impugnazione principale nella causa C‑479/17 P, deve essere condannata a sopportare, oltre alle proprie spese, tutte quelle sostenute dall’Unione europea, rappresentata sia dalla Corte di giustizia dell’Unione europea che dalla Commissione, tanto in primo grado quanto nell’ambito di tali due impugnazioni.

153

Peraltro, poiché la Guardian Europe ha chiesto la condanna alle spese dell’Unione europea, rappresentata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, e quest’ultima è risultata soccombente nel suo motivo unico, nell’ambito dell’impugnazione incidentale nella causa C‑479/17 P, occorre condannare quest’ultima a sopportare, oltre alle proprie spese, la totalità delle spese sostenute dalla Guardian Europe nell’ambito di tale impugnazione incidentale.

 

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

Il punto 1 del dispositivo della sentenza del Tribunale dell’Unione Europea del 7 giugno 2017, Guardian Europe/Unione europea (T‑673/15, EU:T:2017:377), è annullato.

 

2)

L’impugnazione principale nella causa C‑479/17 P, proposta dalla Guardian Europe Sàrl, è respinta.

 

3)

L’impugnazione incidentale nella causa C‑479/17 P, proposta dall’Unione europea, rappresentata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, è respinta.

 

4)

Il ricorso per risarcimento danni proposto dalla Guardian Europe Sàrl, nella parte in cui è diretto ad ottenere un risarcimento di importo pari a EUR 936000, a titolo dell’asserito danno patrimoniale consistente nel pagamento di spese di garanzia bancaria al di là del termine ragionevole di giudizio nell’ambito della causa che ha dato luogo alla sentenza del 27 settembre 2012, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (T‑82/08, EU:T:2012:494), è respinto.

 

5)

La Guardian Europe Sàrl è condannata a sopportare, oltre alle proprie spese, tutte quelle sostenute dall’Unione europea, rappresentata sia dalla Corte di giustizia dell’Unione europea che dalla Commissione europea, tanto in primo grado quanto nell’ambito dell’impugnazione nella causa C‑447/17 P e in quello dell’impugnazione principale nella causa C‑479/17 P.

 

6)

L’Unione europea, rappresentata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, si fa carico, oltre che delle proprie spese, di tutte quelle sostenute dalla Guardian Europe Sàrl nell’ambito dell’impugnazione incidentale nella causa C‑479/17 P.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.

In alto