Causa T‑235/07

Bavaria NV

contro

Commissione europea

«Concorrenza — Intese — Mercato olandese della birra — Decisione con cui viene constatata un’infrazione all’art. 81 CE — Prova dell’infrazione — Accesso al fascicolo — Ammende — Principio della parità di trattamento — Termine ragionevole»

Massime della sentenza

1.      Concorrenza — Intese — Accordi fra imprese — Nozione — Concorso di volontà riguardo al comportamento da adottare sul mercato

(Art. 81, n. 1, CE)

2.      Concorrenza — Intese — Pratica concordata — Nozione — Contatto incompatibile con l’obbligo di ogni impresa di determinare autonomamente il suo comportamento sul mercato — Scambio di informazioni — Presunzione — Presupposti

(Art. 81, n. 1, CE)

3.      Concorrenza — Procedimento amministrativo — Decisione della Commissione con cui viene constatata un’infrazione — Modalità di prova — Ricorso a un insieme di indizi

(Art. 81, n. 1, CE)

4.      Concorrenza — Procedimento amministrativo — Decisione della Commissione con cui viene constatata un’infrazione — Modalità di prova — Prove documentali

(Art. 81, n. 1, CE)

5.      Diritto comunitario — Principi — Diritti fondamentali — Presunzione d’innocenza — Procedimento in materia di concorrenza — Applicabilità

(Art. 81, n. 1, CE)

6.      Concorrenza — Procedimento amministrativo — Decisione della Commissione con cui viene constatata un’infrazione — Uso come mezzi di prova di dichiarazioni presentate nell’ambito della comunicazione sulla cooperazione da altre imprese che hanno partecipato all’infrazione — Ammissibilità — Presupposti

(Artt. 81 CE e 82 CE)

7.      Concorrenza — Intese — Accordi fra imprese — Prova della violazione a carico della Commissione — Limiti

(Art. 81, n. 1, CE)

8.      Concorrenza — Intese — Pratica concordata — Lesione della concorrenza — Criteri di valutazione — Oggetto anticoncorrenziale — Constatazione sufficiente

(Art. 81, n. 1, CE)

9.      Concorrenza — Procedimento amministrativo — Decisione della Commissione con cui viene constatata un’infrazione — Onere della prova dell’infrazione e della sua durata incombente alla Commissione — Forza probatoria delle deposizioni volontarie contro un’impresa da parte dei principali partecipanti a un’intesa al fine di beneficiare dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione

(Art. 81, n. 1, CE; comunicazione della Commissione 96/C 207/04)

10.    Concorrenza — Intese — Infrazione complessa comprendente elementi dell’accordo ed elementi della pratica concordata — Qualificazione unica come «accordo e/o pratica concordata» — Ammissibilità

(Art. 81, n. 1, CE)

11.    Concorrenza — Procedimento amministrativo — Decisione della Commissione con cui viene constatata un’infrazione nei confronti di un’impresa, adottata successivamente a un’altra decisione della Commissione che menziona detta impresa unicamente nell’ambito dell’esposizione dei fatti ma che non la indica come destinataria né la sanziona — Violazione del principio del ne bis in idem — Insussistenza

(Art. 81, n. 1, CE)

12.    Concorrenza — Procedimento amministrativo — Decisione della Commissione con cui viene constatata un’infrazione — Onere della prova dell’infrazione e della sua durata incombente alla Commissione — Portata dell’onere della prova

(Art. 81, n. 1, CE)

13.    Concorrenza — Intese — Prova — Risposta di un’impresa alla richiesta di informazioni da parte della Commissione — Valore probatorio — Valutazione

(Regolamenti del Consiglio n. 17, art. 11, e n. 1/2003, art. 18)

14.    Concorrenza — Procedimento amministrativo — Decisione della Commissione con cui viene constatata un’infrazione — Obbligo della Commissione di esaminare in modo accurato e imparziale tutti gli elementi rilevanti della fattispecie

15.    Concorrenza — Procedimento amministrativo — Manifestazione anticipata da parte della Commissione del proprio convincimento circa la sussistenza della violazione

16.    Concorrenza — Procedimento amministrativo — Rispetto dei diritti della difesa — Accesso al fascicolo — Portata — Diniego di comunicazione di un documento — Conseguenze — Necessità di distinguere, a livello di onere della prova incombente all’impresa interessata, tra i documenti a carico e quelli a favore

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 27, n. 2)

17.    Concorrenza — Procedimento amministrativo — Accesso al fascicolo — Documenti non ricompresi nel fascicolo istruttorio e non presi in considerazione dalla Commissione per essere utilizzati a carico — Documenti che possono essere utili alla difesa delle parti

(Artt. 81, n. 1, CE e 82 CE; accordo SEE, artt. 53, 54 e 57; regolamento del Consiglio n. 139/2004; comunicazione della Commissione 2005/C 325/07, punto 27)

18.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Margine di discrezionalità riservato alla Commissione — Limiti — Rispetto degli orientamenti adottati dalla Commissione — Sindacato giurisdizionale

(Art. 81 CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

19.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Considerazione dell’impatto concreto sul mercato — Portata

(Art. 81 CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A)

20.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Potere discrezionale della Commissione

(Regolamenti del Consiglio n. 17 e n. 1/2003; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

21.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Ripartizione delle imprese interessate in diverse categorie — Presupposti

(Comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A, sesto e settimo comma)

22.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Ripartizione delle imprese interessate in diverse categorie — Fatturato preso in considerazione

(Comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A, sesto e settimo comma)

23.    Concorrenza — Procedimento amministrativo — Obblighi della Commissione — Osservanza di un termine ragionevole — Criteri di valutazione — Violazione — Conseguenze

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003)

24.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Possibilità di innalzare il livello delle ammende per rafforzarne l’effetto dissuasivo

(Art. 81 CE)

25.    Concorrenza — Procedimento amministrativo — Obblighi della Commissione — Osservanza di un termine ragionevole — Violazione — Conseguenze — Riduzione secondo equità dell’importo dell’ammenda

(Art. 81 CE)

1.      Perché ci sia accordo, ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE, è sufficiente che le imprese in causa abbiano espresso la loro volontà comune di comportarsi sul mercato in un modo determinato. Può ritenersi concluso un accordo ai sensi di tale disposizione quando sussista una comune volontà sul principio stesso della restrizione della concorrenza, anche se gli elementi specifici della restrizione considerata costituiscono ancora oggetto di negoziazioni. L’esistenza di un accordo ai sensi dell’art. 81 CE non è rimessa in questione né dalla circostanza che il concorso di volontà tra le imprese interessate non si estenda alle modalità concrete dell’attuazione dell’aumento dei prezzi né dal fatto che quest’ultimo, in effetti, non si sia mai prodotto sul mercato.

(v. punti 34-35, 175)

2.      La nozione di pratica concordata corrisponde ad una forma di coordinamento tra imprese che, senza spingersi fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce scientemente una cooperazione pratica tra di loro ai rischi della concorrenza. A tal riguardo, l’art. 81, n. 1, CE osta a qualsivoglia contatto diretto o indiretto tra operatori economici che possa influenzare il comportamento sul mercato di un concorrente attuale o potenziale, o rivelare a tale concorrente la condotta che l’operatore economico interessato ha deciso o intende seguire sul mercato quando tali contatti abbiano lo scopo o l’effetto di limitare la concorrenza.

Si deve presumere, fatta salva la prova contraria il cui onere incombe agli operatori interessati, che le imprese partecipanti alla concertazione e che rimangono presenti sul mercato tengano conto degli scambi di informazioni con i loro concorrenti per decidere il proprio comportamento sul mercato stesso. Ciò a maggior ragione allorché la concertazione abbia luogo su base regolare nel corso di un lungo periodo.

(v. punti 36-37, 178)

3.      Sotto il profilo della produzione della prova relativa ad una violazione dell’art. 81, n. 1, CE, spetta alla Commissione fornire la prova delle infrazioni che essa constata e produrre gli elementi di prova idonei a dimostrare in termini sufficientemente validi l’esistenza dei fatti che integrano l’infrazione. A tal fine è necessario che la Commissione raccolga elementi di prova precisi e concordanti per dimostrare l’esistenza dell’infrazione.

Tuttavia, occorre sottolineare che non tutte le prove prodotte dalla Commissione devono necessariamente rispondere a tali criteri con riferimento ad ogni elemento dell’infrazione. È sufficiente che il complesso degli indizi richiamato dall’istituzione, valutato globalmente, risponda a tale requisito.

In considerazione della notorietà del divieto degli accordi anticoncorrenziali, non può imporsi alla Commissione di produrre documenti attestanti in modo esplicito un contatto tra gli operatori interessati. Gli elementi frammentari e sporadici di cui potrebbe disporre la Commissione dovrebbero, in ogni caso, poter essere completati per via di deduzioni che consentano di ricostruire circostanze rilevanti. L’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale può pertanto essere dedotta da un certo numero di coincidenze e di indizi i quali, considerati nel loro insieme, possono costituire, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle regole sulla concorrenza.

(v. punti 38-41)

4.      Qualora la Commissione abbia fatto valere elementi di prova documentali a sostegno del suo accertamento dell’esistenza di un accordo o di una pratica anticoncorrenziale, le parti che contestano tale accertamento dinanzi al Tribunale sono tenute non semplicemente a presentare un’alternativa plausibile alla tesi della Commissione, ma anche a sollevare l’insufficienza delle prove prese in considerazione nella decisione impugnata per dimostrare l’esistenza dell’infrazione.

(v. punto 42)

5.      Quanto alla portata del controllo giurisdizionale, allorché è adito con una domanda d’annullamento di una decisione emessa a norma dell’art. 81, n. 1, CE, il Tribunale deve in generale esercitare un controllo completo relativamente al punto se ricorrano congiuntamente o meno i requisiti di applicazione dell’art. 81, n. 1, CE.

L’esistenza di un dubbio nella mente del giudice deve andare a vantaggio dell’impresa destinataria della decisione con cui si constata un’infrazione, conformemente al principio della presunzione d’innocenza, il quale, in quanto principio generale del diritto dell’Unione europea, si applica, segnatamente, alle procedure relative a violazioni delle regole di concorrenza applicabili alle imprese che possono sfociare nella pronuncia di multe o ammende.

(v. punti 43-44)

6.      Nessuna disposizione né alcun principio generale del diritto dell’Unione vieta alla Commissione di avvalersi, nei confronti di un’impresa, delle dichiarazioni di altre imprese incriminate. Se così non fosse, l’onere della prova dei comportamenti contrari agli artt. 81 CE e 82 CE, incombente alla Commissione, sarebbe insostenibile e incompatibile con il compito di vigilanza sulla corretta applicazione di tali disposizioni ad essa attribuita dal Trattato CE.

Certamente la dichiarazione di un’impresa accusata di aver partecipato ad un’intesa, la cui esattezza viene contestata da varie altre imprese accusate, non può essere considerata una prova sufficiente dell’esistenza di un’infrazione commessa da queste ultime senza essere suffragata da altri elementi di prova. Una siffatta dichiarazione non può pertanto essere sufficiente, di per sé sola, per acclarare l’esistenza dell’infrazione, ma deve risultare corroborata da altri elementi di prova. Occorre tuttavia considerare che il grado di corroborazione richiesto, sia in termini di precisione sia in termini d’intensità, nell’ipotesi di una dichiarazione particolarmente credibile è minore di quanto non lo sarebbe riguardo ad una dichiarazione non particolarmente affidabile.

In tal senso, se si dovesse ritenere che un complesso di indizi concordanti consenta di corroborare l’esistenza e taluni aspetti specifici delle pratiche richiamate da una siffatta dichiarazione particolarmente credibile, essa potrebbe bastare di per sé, in tal caso, ad attestare altri aspetti della decisione della Commissione.

Inoltre, purché un documento non contrasti manifestamente con la dichiarazionε sull’esistenza o sul contenuto essenziale delle pratiche incriminate, è sufficiente che attesti elementi significativi delle pratiche da esso descritte per avere un certo valore a titolo di elemento di corroborazione nell’ambito del complesso delle prove dedotte a carico.

(v. punti 60, 79-81)

7.      La Commissione è spesso tenuta a provare l’esistenza di un’infrazione in condizioni poco favorevoli a tale compito, in quanto possono essere passati diversi anni dall’epoca dei fatti costitutivi dell’infrazione e diverse tra le imprese oggetto della verifica non hanno collaborato attivamente con la stessa.

Anche se spetta necessariamente alla Commissione dimostrare che sia stato concluso un accordo illecito di ripartizione dei mercati, sarebbe eccessivo richiedere che essa fornisca inoltre la prova del meccanismo specifico mediante il quale tale scopo doveva essere raggiunto. Infatti, un’impresa colpevole di un’infrazione potrebbe sfuggire troppo facilmente a qualsiasi sanzione qualora potesse appellarsi alla vaghezza delle informazioni presentate quanto al funzionamento di un accordo illecito in una situazione in cui l’esistenza dell’accordo ed il suo scopo anticoncorrenziale risultino tuttavia sufficientemente dimostrati. Le imprese possono difendersi utilmente in una tale situazione, a condizione che abbiano la possibilità di commentare tutti gli elementi di prova dedotti a loro carico dalla Commissione.

(v. punto 69)

8.      Dal disposto stesso dell’art. 81 CE risulta che gli accordi e le pratiche concertate tra imprese sono vietati, indipendentemente da qualsivoglia effetto sul mercato, quando possiedano un oggetto anticoncorrenziale. In tal senso, ove la Commissione abbia accertato l’esistenza di accordi e di pratiche concertate aventi un oggetto anticoncorrenziale, tale accertamento non può essere contraddetto dalle indicazioni relative alla mancata applicazione degli accordi collusivi o all’assenza di effetti sul mercato.

(v. punti 70-71)

9.      Benché una certa diffidenza nei confronti di deposizioni volontarie dei principali partecipanti ad un’intesa illecita sia generalmente opportuna, vista la possibilità che tali soggetti tendano a minimizzare l’importanza del loro contributo all’infrazione e ad esagerare quella del contributo degli altri, il fatto di chiedere il beneficio dell’applicazione della comunicazione sulla non imposizione di ammende o sulla riduzione del loro importo nei casi d’intesa tra imprese al fine di ottenere una riduzione dell’ammenda non crea necessariamente un incentivo a presentare elementi probatori deformati sugli altri partecipanti all’intesa incriminata. Infatti, ogni tentativo di indurre la Commissione in errore potrebbe rimettere in discussione la sincerità e la completezza della cooperazione del richiedente e, pertanto, mettere in pericolo la possibilità che questi possa beneficiare pienamente della comunicazione sulla cooperazione.

(v. punto 78)

10.    A fronte di una situazione di fatto complessa, la duplice qualifica dei comportamenti anticoncorrenziali come «un complesso di accordi e/o pratiche concordate», in quanto tali comportamenti presentavano sia elementi da qualificare come «accordi» sia elementi da qualificare come «pratiche concordate», deve essere intesa non come una qualifica che richieda simultaneamente e cumulativamente la prova che ciascuno di tali elementi di fatto integri gli elementi costitutivi di un accordo e di una pratica concordata, ma nel senso che essa designi un complesso unico di elementi di fatto, taluni dei quali sono stati qualificati accordi ed altri pratiche concordate ai sensi dell’art. 81 CE, il quale non prevede qualifiche specifiche per questo tipo di infrazione complessa.

(v. punto 183)

11.    Il principio del ne bis in idem, che costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, del quale il giudice garantisce il rispetto, vieta di sanzionare lo stesso soggetto più di una volta per un medesimo comportamento illecito, al fine di tutelare lo stesso bene giuridico. L’applicazione di tale principio è soggetta ad una triplice condizione, vale a dire, di identità dei fatti, di unità del contravventore e di unità dell’interesse giuridico tutelato.

Qualora la Commissione sanzioni un’impresa per comportamenti anticoncorrenziali, tale principio non è affatto violato dalla circostanza che i comportamenti in questione siano già stati oggetto di una precedente decisione della Commissione, qualora l’impresa di cui trattasi non fosse sanzionata da tale precedente decisione né ricompresa tra i suoi destinatari, né d’altronde tra i destinatari della comunicazione degli addebiti adottata nel contesto del procedimento sfociato nella decisione medesima, e la sua partecipazione ai comportamenti illeciti fosse menzionata solo nel contesto dell’esposizione dei fatti, senza essere oggetto di una qualsivoglia valutazione giuridica da parte della Commissione.

(v. punti 186-188)

12.    La durata dell’infrazione è un elemento costitutivo della nozione di infrazione ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE; l’onere della prova di tale elemento incombe in via principale alla Commissione. A questo proposito, in mancanza di elementi di prova tali da dimostrare direttamente la durata dell’infrazione, la Commissione si deve fondare quantomeno su elementi di prova riferiti a fatti sufficientemente ravvicinati nel tempo, in modo tale che si possa ragionevolmente ammettere che l’infrazione sia durata ininterrottamente tra due date precise.

(v. punto 198)

13.    Una dichiarazione data a nome dell’impresa come risposta alla domanda di informazioni posta dalla Commissione ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 17 e dell’art. 18 del regolamento n. 1/2003, in quanto tale, riveste una credibilità superiore a quella che potrebbe presentare la risposta fornita da un suo dipendente, indipendentemente dall’esperienza e dall’opinione personali di quest’ultimo.

(v. punto 217)

14.    Tra le garanzie conferite dall’ordinamento giuridico dell’Unione nei procedimenti amministrativi, si annovera, in particolare, l’obbligo dell’istituzione competente di esaminare in modo accurato e imparziale tutti gli elementi rilevanti della fattispecie.

(v. punto 222)

15.    L’esistenza di un’infrazione deve essere valutata unicamente in funzione degli elementi di prova raccolti dalla Commissione. Quando la concreta esistenza di un’infrazione è effettivamente accertata al termine del procedimento amministrativo, la prova di una prematura dichiarazione della Commissione, resa durante detto procedimento, riguardante la sua opinione sull’esistenza della detta infrazione, non può eliminare la veridicità della prova dell’infrazione stessa.

(v. punto 226)

16.    Il diritto di accesso agli atti, corollario del principio del rispetto dei diritti della difesa, comporta che la Commissione deve dare all’impresa interessata la possibilità di procedere ad un esame della totalità dei documenti presenti nel fascicolo istruttorio che potrebbero essere rilevanti per la sua difesa. Questi comprendono tanto i documenti a carico quanto quelli a favore, fatti salvi i segreti aziendali di altre imprese, i documenti interni della Commissione e le altre informazioni riservate.

Quanto ai documenti a carico, la mancata comunicazione di un documento costituisce una violazione dei diritti della difesa solo se l’impresa interessata dimostra, da un lato, che la Commissione si è basata su tale documento per suffragare il suo addebito relativo all’esistenza di un’infrazione e, dall’altro, che l’addebito può essere provato solo facendo riferimento al documento stesso. All’impresa interessata spetta altresì dimostrare che il risultato al quale è pervenuta la Commissione nella sua decisione sarebbe stato diverso se tale documento non comunicato avesse dovuto essere eliminato dai mezzi di prova.

Per contro, quanto alla mancata trasmissione di un documento a favore, l’impresa interessata deve solo provare che la sua mancata divulgazione ha potuto influenzare, a suo discapito, lo svolgimento del procedimento ed il contenuto della decisione della Commissione. È sufficiente che l’impresa dimostri che avrebbe potuto utilizzare detti documenti a favore per la sua difesa, dimostrando, in particolare, che avrebbe potuto far valere elementi che non concordavano con le deduzioni operate dalla Commissione nello stadio della comunicazione degli addebiti e avrebbe potuto quindi influenzare, in una qualsiasi maniera, le valutazioni svolte nella decisione.

(v. punti 236-239)

17.    La comunicazione degli addebiti è un atto volto a circoscrivere l’oggetto del procedimento avviato contro un’impresa e a garantire l’efficace esercizio dei diritti della difesa. È in questa prospettiva che la comunicazione degli addebiti è circondata da garanzie procedurali che applicano il principio del rispetto dei diritti della difesa, tra le quali figura il diritto di accesso ai documenti che fanno parte del fascicolo della Commissione.

Le risposte alla comunicazione degli addebiti non fanno parte del fascicolo dell’istruttoria propriamente detto. Quanto ai documenti non appartenenti al fascicolo costituito al momento della notifica della comunicazione degli addebiti, la Commissione è tenuta a divulgare dette risposte ad altre parti interessate solo nel caso in cui risulti che esse contengono nuovi elementi a carico o a favore. Del pari, a termini del punto 27 della comunicazione della Commissione riguardante le regole per l’accesso al fascicolo istruttorio della Commissione nei casi relativi all’applicazione degli articoli 81 CE e 82 CE, degli articoli 53, 54 e 57 dell’accordo SEE e del regolamento n. 139/2004, come regola generale, le parti non hanno accesso alle risposte che le altre parti interessate dall’indagine hanno inviato alla comunicazione degli addebiti. Una parte può avere accesso a tali documenti solo se essi possono costituire nuove prove, di natura incriminante o assolutoria, riguardo agli elementi a carico della parte in questione, addotti dalla Commissione nella comunicazione degli addebiti.

Al riguardo, quanto, da una parte, ai nuovi elementi a carico, qualora la Commissione intenda basarsi su un passo di una risposta ad una comunicazione degli addebiti per dimostrare l’esistenza di un’infrazione, le altre imprese coinvolte in detto procedimento devono essere messe in condizione di pronunciarsi riguardo a tale nuovo elemento di prova.

Per quanto riguarda, d’altra parte, i nuovi elementi a favore, la Commissione non ha l’obbligo di renderli accessibili di sua iniziativa. Nell’ipotesi in cui la Commissione abbia respinto, nel corso del procedimento amministrativo, la domanda di un ricorrente diretta ad ottenere l’accesso a documenti che non compaiono nel fascicolo dell’istruttoria, la violazione dei diritti della difesa può essere constatata solo se sia dimostrato che il procedimento amministrativo avrebbe potuto concludersi con un risultato diverso nell’ipotesi in cui il ricorrente avesse avuto accesso ai documenti di cui trattasi nel corso di tale procedimento.

(v. punti 241-246, 249)

18.    La Commissione gode di un ampio potere discrezionale per quanto riguarda il metodo di calcolo delle ammende. Tale metodo, delimitato dagli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA, prevede vari elementi di flessibilità che consentono alla Commissione di esercitare il proprio potere discrezionale in conformità al disposto del regolamento n. 1/2003.

Inoltre, in settori quali la determinazione dell’importo di un’ammenda ai sensi del regolamento n. 1/2003, in cui la Commissione dispone di tale potere discrezionale, il controllo di legittimità operato su tali valutazioni si limita a quello dell’assenza di errore manifesto nella valutazione. Il margine di discrezionalità della Commissione ed i limiti che essa vi ha apportato non pregiudicano, per contro, l’esercizio, da parte del giudice dell’Unione, della sua competenza giurisdizionale estesa al merito che lo abilita a sopprimere, ridurre o aumentare l’importo dell’ammenda inflitta dalla Commissione.

(v. punti 265-267)

19.    La gravità di un’infrazione è accertata in funzione di un gran numero di elementi, quali le circostanze proprie del caso di specie, il contesto in cui questo si inserisce e l’efficacia dissuasiva delle ammende, rispetto ai quali la Commissione dispone di un ampio margine di discrezionalità.

In particolare, ai sensi del punto 1 A, primo comma, degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA, ai fini della valutazione della gravità dell’infrazione occorre prenderne in considerazione la natura, l’impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante. Nell’ambito del suo sindacato esteso al merito, tuttavia, spetta al Tribunale verificare se l’importo dell’ammenda irrogata sia proporzionato alla gravità dell’infrazione e soppesare la gravità dell’infrazione e le circostanze invocate dall’impresa.

Ai sensi del punto 1 A, secondo comma, terzo trattino, di detti orientamenti, le infrazioni molto gravi sono costituite essenzialmente, in particolare, da «restrizioni orizzontali, quali cartelli di prezzi e di ripartizione dei mercati». Le intese di questo tipo rientrano tra le forme più gravi di pregiudizio alla concorrenza, in quanto sono dirette, per il loro oggetto, alla pura e semplice eliminazione di quest’ultima tra le imprese partecipanti, ponendosi in contrasto, in tal modo, con gli obiettivi fondamentali dell’Unione. Le intese orizzontali sui prezzi o di ripartizione dei mercati possono essere qualificate come infrazioni molto gravi sul solo fondamento della loro stessa natura, senza che la Commissione sia tenuta a dimostrare un impatto concreto dell’infrazione sul mercato.

Se è vero che l’esistenza di un impatto concreto dell’infrazione sul mercato è un elemento da prendere in considerazione per valutare la gravità dell’infrazione stessa, si tratta di un criterio che si accompagna ad altri, quali la natura propria dell’infrazione e l’ampiezza del mercato geografico. Del pari, dal punto 1 A, primo comma, degli orientamenti risulta che tale impatto deve essere preso in considerazione solo quando sia misurabile.

(v. punti 270-272, 275-276, 280-281)

20.    La Commissione dispone, nel contesto del regolamento n. 17 e del regolamento n. 1/2003, di un margine di discrezionalità nel fissare gli importi delle ammende al fine di orientare il comportamento delle imprese verso il rispetto delle regole di concorrenza e di poter sempre adeguare il livello delle ammende alle esigenze di questa politica.

La precedente prassi decisionale della Commissione non funge da contesto normativo per le ammende in materia di concorrenza.

Le decisioni relative ad altri casi hanno solo un carattere indicativo dell’eventuale esistenza di discriminazioni, dato che è poco verosimile che le relative circostanze, quali i mercati, i prodotti, le imprese e i periodi in questione, siano identiche.

La Commissione valuta la gravità delle infrazioni in funzione di un gran numero di elementi che non derivano da un elenco vincolante o esauriente di criteri da tenere in considerazione; inoltre, non è tenuta ad applicare una formula matematica precisa, che si tratti dell’importo totale dell’ammenda applicata ovvero della sua scomposizione in diversi elementi. Ciò premesso, la comparazione diretta delle ammende imposte ai destinatari delle due decisioni relative a infrazioni distinte rischia di snaturare le funzioni specifiche svolte dalle diverse fasi del calcolo di un’ammenda. Gli importi finali delle ammende, infatti, riflettono circostanze specifiche proprie di ogni intesa.

(v. punti 288, 290, 293-294)

21.    In conformità degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA, in caso di infrazioni che coinvolgono più imprese, la Commissione può ponderare gli importi iniziali in modo da tenere conto del peso specifico di ciascuna impresa suddividendo i membri dell’intesa in gruppi, in particolare qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione. Negli stessi orientamenti si precisa peraltro che il principio di parità della sanzione per un medesimo comportamento può dar luogo, in determinate circostanze, all’applicazione di importi differenziati per le imprese interessate, senza che tale differenziazione derivi da un calcolo aritmetico.

Nella fase di determinazione della gravità dell’infrazione, la Commissione non è tenuta a garantire, nel caso in cui siano inflitte ammende a diverse imprese coinvolte in una stessa infrazione, che gli importi finali delle ammende scaturiti dal suo calcolo per le imprese interessate rendano conto di ogni differenza tra le imprese stesse in ordine al loro fatturato complessivo. Essa può invece procedere a ripartizioni in gruppi.

Una ripartizione per categoria delle imprese interessate deve tuttavia rispettare il principio della parità di trattamento, secondo cui è vietato trattare situazioni analoghe in maniera differente e situazioni diverse in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato. Inoltre, l’importo delle ammende deve quanto meno essere proporzionato rispetto agli elementi presi in considerazione per valutare la gravità dell’infrazione.

(v. punti 298-300)

22.    Nonostante la sua natura approssimativa, il fatturato è considerato come un criterio adeguato, nel contesto del diritto della concorrenza, per valutare le dimensioni e la potenza economica delle imprese interessate.

Quanto all’uso di un fatturato inclusivo delle accise ai fini del calcolo degli importi di base individualizzati, si deve sottolineare che, in quanto tale calcolo implichi la ponderazione del peso relativo degli altri partecipanti all’intesa su tale mercato, la mancata inclusione delle tasse o accise non modifica la conclusione finale della Commissione. Solo nell’ipotesi in cui la Commissione calcoli gli importi di base individualizzati delle altre parti interessate sulla base di un fatturato che non include le accise potrebbe essere constatata una violazione del principio di parità di trattamento.

(v. punti 304, 306)

23.    L’osservanza di un termine ragionevole nella conduzione dei procedimenti amministrativi in materia di politica della concorrenza costituisce un principio generale di diritto dell’Unione, del quale i giudici dell’Unione assicurano il rispetto.

Ai fini dell’applicazione di tale principio, occorre operare una distinzione tra le due fasi del procedimento amministrativo, vale a dire la fase istruttoria antecedente alla comunicazione degli addebiti e quella corrispondente al resto del procedimento amministrativo. La prima fase, che si estende fino alla comunicazione degli addebiti, ha come termine iniziale la data in cui la Commissione, facendo uso dei poteri conferitile dal legislatore, adotta misure che implicano l’addebito di una violazione e deve consentire a detta istituzione di prendere posizione circa il seguito del procedimento. La seconda fase si estende invece dalla comunicazione degli addebiti fino all’adozione della decisione finale. Essa deve consentire alla Commissione di pronunciarsi definitivamente sulla violazione contestata.

Una durata della prima fase del procedimento di 65 mesi, in mancanza di informazioni o di giustificazioni complementari da parte della Commissione relativamente agli atti di indagine condotti durante tale periodo, deve essere ritenuta eccessiva. Tuttavia, la constatazione di una violazione del principio del termine ragionevole può determinare l’annullamento della decisione che accerta un’infrazione solo se la durata del procedimento ha influito sull’esito del procedimento.

(v. punti 316-318, 320, 322, 325)

24.    Il fatto che la Commissione abbia inflitto, in passato, ammende di una certa entità per determinati tipi di infrazioni non può impedirle di aumentare tale entità entro i limiti stabiliti dal regolamento n. 1/2003 se ciò è necessario per garantire l’attuazione della politica della concorrenza. Al contrario, l’efficace applicazione delle norme della concorrenza esige che la Commissione possa sempre adeguare il livello delle ammende alle esigenze di questa politica.

(v. punto 335)

25.    Un’irregolarità procedurale, anche se non è tale da sfociare nell’annullamento della decisione adottata dalla Commissione nei confronti di una società per una violazione delle norme sulla concorrenza, può giustificare una riduzione dell’ammenda. Il superamento del termine ragionevole può fondare la decisione della Commissione di ridurre secondo equità l’importo di un’ammenda, dal momento che la possibilità di accordare una tale riduzione rientra nell’ambito dell’esercizio delle sue prerogative.

(v. punti 337-338)







SENTENZA DEL TRIBUNALE (Sesta Sezione ampliata)

16 giugno 2011 (*)

«Concorrenza – Intese – Mercato olandese della birra – Decisione che accerta una violazione dell’art. 81 CE – Prova della violazione – Accesso agli atti – Ammende – Principio della parità di trattamento – Termine ragionevole»

Nella causa T‑235/07,

Bavaria NV, con sede in Lieshout (Paesi Bassi), rappresentata inizialmente dagli avv.ti O. Brouwer, D. Mes, A. Stoffer, successivamente dagli avv.ti Brouwer, Stoffer e P. Schepens,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata inizialmente dai sigg A. Bouquet, S. Noë e A. Nijenhuis, successivamente dai sigg. Bouquet e Noë, in qualità di agenti, assistiti dall’avv. M. Slotboom,

convenuta,

avente ad oggetto, in via principale, la domanda di annullamento parziale della decisione della Commissione 18 aprile 2007, C (2007) 1697, relativa a una procedura di applicazione dell’art. 81 [CE] (procedimento COMP/B/37.766 – Mercato olandese della birra) e, in subordine, la domanda di riduzione dell’ammenda inflitta alla ricorrente,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione ampliata),

composto dai sigg. V. Vadapalas (relatore), facente funzione di presidente, A. Dittrich e L. Truchot, giudici,

cancelliere: sig. J. Plingers, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 24 marzo 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        La ricorrente, Bavaria NV, è una società la cui attività consiste nella produzione e nella commercializzazione della birra e di bevande rinfrescanti analcoliche.

2        Essa è uno dei quattro principali operatori del mercato olandese della birra. Gli altri birrifici principali su tale mercato sono, in primo luogo, il gruppo Heineken (in prosieguo: la «Heineken»), guidato dalla società Heineken NV e in cui la produzione è affidata alla società controllata Heineken Nederland BV, in secondo luogo, il gruppo InBev (in prosieguo: la «InBev») conosciuto, prima del 2004, con il nome Interbrew, guidato dalla società InBev NV e in cui la produzione è affidata alla società controllata InBev Nederland NV e, in terzo luogo, il gruppo Grolsch (in prosieguo: la «Grolsch») diretto dalla società Koninklijke Grolsch NV.

3        La ricorrente e gli altri tre birrifici principali di questo mercato vendono la loro birra al cliente finale, segnatamente, mediante due canali di distribuzione. In tal senso, occorre distinguere, da una parte, il circuito di stabilimenti «horeca», vale a dire gli alberghi, i ristoranti e i bar, in cui la consumazione si effettua in loco e, dall’altra, il circuito «food» dei supermercati e dei negozi di vini e di alcolici, in cui l’acquisto della birra è destinato al consumo a domicilio. Quest’ultimo segmento comprende, del pari, il segmento della birra venduta con i marchi dei distributori. Dei quattro birrifici interessati, solo la InBev e la Bavaria operano in questo segmento.

4        Questi quattro birrifici sono membri della Centraal Brouwerij Kantoor (in prosieguo: la «CBK»), un’organizzazione federatrice che, a termini del suo statuto, rappresenta gli interessi dei suoi membri ed è composta da un’assemblea generale e da varie commissioni, come quella incaricata delle questioni «horeca» e la commissione finanziaria, divenuta il comitato dirigente. Per le riunioni che si svolgono nell’ambito della CBK, la sua segreteria redige le convocazioni e i verbali ufficiali numerati progressivamente inviati ai membri partecipanti.

 Procedimento amministrativo

5        Con lettere del 28 gennaio 2000 nonché del 3, 25 e 29 febbraio 2000, la InBev forniva una serie di dichiarazioni relative a informazioni su talune prassi commerciali restrittive sul mercato olandese della birra. Tali dichiarazioni venivano effettuate nell’ambito di un’indagine svolta dalla Commissione delle Comunità europee, in particolare nel 1999, su talune pratiche di intese e su un eventuale abuso di posizione dominante nel mercato belga della birra. Unitamente a tali dichiarazioni, la InBev presentava domanda di trattamento favorevole conformemente alla comunicazione della Commissione sulla non imposizione di ammende o sulla riduzione del loro importo nei casi d’intesa tra imprese (GU 1996, C 207, pag. 4; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»).

6        Il 22 e il 23 marzo 2000, in esito alle dichiarazioni della InBev, la Commissione effettuava ispezioni nei locali della ricorrente e di altre imprese interessate. Peraltro, altre richieste di informazioni supplementari venivano inviate alla ricorrente dal 2001 al 2005.

7        Il 30 agosto 2005 la Commissione inviava una comunicazione degli addebiti alla ricorrente e alle altre imprese interessate. Con lettera 24 novembre 2005, la ricorrente presentava osservazioni scritte in merito a detta comunicazione. Nessuna delle parti interessate chiedeva di essere sentita.

8        Con lettere del 7 marzo e dell’8 maggio 2006, la Commissione trasmetteva alla ricorrente documenti supplementari. Si trattava, in particolare, delle richieste di informazioni inviate alla InBev e delle risposte ad esse fornite, nonché di una nota interna proveniente dalla Heineken. 

9        Il 18 aprile 2007, la Commissione emanava la decisione C (2007) 1697 relativa a un procedimento ai sensi dell’art. 81 [CE] (procedimento COMP/B/37.766 – Mercato olandese della birra; in prosieguo: la «decisione impugnata»), una sintesi della quale è pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee 20 maggio 2008 (GU 2008, C 122, pag. 1), notificata alla ricorrente con lettera del 24 aprile 2007.

 Decisione impugnata

 Infrazione in esame

10      Ai sensi dell’art. 1 della decisione impugnata, la ricorrente e le società InBev NV, InBev Nederland, Heineken NV, Heineken Nederland e Koninklijke Grolsch partecipavano, nel periodo intercorrente dal 27 febbraio 1996 al 3 novembre 1999, a un’infrazione unica e continuata all’art. 81, n. 1, CE, consistita in un complesso di accordi e/o pratiche concordate aventi per oggetto di restringere la concorrenza nel mercato comune.

11      L’infrazione è consistita, in primo luogo, nel coordinamento dei prezzi e degli aumenti di prezzi della birra nei Paesi Bassi, sia nel segmento «horeca» sia in quello del consumo a domicilio, ivi incluso quello riguardante la birra venduta con marchi dei distributori, in secondo luogo, nel coordinamento occasionale di altre condizioni commerciali offerte ai singoli clienti nel segmento «horeca» nei Paesi Bassi, come i prestiti agli stabilimenti e, in terzo luogo, nella concertazione occasionale della ripartizione della clientela sia nel segmento «horeca», sia in quello del consumo a domicilio nei Paesi Bassi (art. 1 e punti 257 e 258 della decisione impugnata).

12      I comportamenti anticoncorrenziali dei birrifici hanno avuto luogo, secondo la decisione impugnata, nel corso di un ciclo di riunioni multilaterali ufficiose nelle quali si incontravano regolarmente i quattro principali operatori del mercato olandese della birra, nonché durante incontri bilaterali complementari con i medesimi birrifici riuniti nelle varie combinazioni. Secondo la decisione impugnata, tali incontri si sono svolti deliberatamente in segreto, ove i partecipanti sapevano di non essere autorizzati (punti 257‑260 della decisione impugnata).

13      In tal senso, in primo luogo, una serie di riunioni multilaterali chiamate «Catherijne overleg» (concertazione Catherijne) o «agendacommissie» (commissione dell’ordine del giorno), si svolgeva tra il 27 febbraio 1996 e il 3 novembre 1999. Secondo la decisione impugnata, tali riunioni, incentrate sul segmento «horeca», ma eventualmente anche attinenti al segmento del consumo a domicilio, hanno avuto ad oggetto, essenzialmente, il coordinamento dei prezzi e l’aumento dei prezzi della birra, la discussione del limite dell’entità degli sconti e della ripartizione della clientela, nonché un accordo relativo ad altre condizioni commerciali. Nel corso di tali riunioni sarebbero stati parimenti discussi i prezzi della birra venduta con marchi dei distributori (punti 85 e 90, 98, 115‑127 e 247‑252 della decisione impugnata).

14      In secondo luogo, per quanto riguarda i contatti bilaterali tra birrifici, la decisione impugnata rileva che, il 12 maggio 1997, la InBev e la ricorrente si incontravano discutendo l’aumento dei prezzi della birra venduta con marchi dei distributori (punto 104 della decisione impugnata). Peraltro, secondo la Commissione, la Heineken e la ricorrente si incontravano nel 1998 per discutere in ordine alle restrizioni relative ai punti vendita nel segmento «horeca» (punto 189 della decisione impugnata). La Commissione fa presente che nel mese di luglio 1999 si svolgevano parimenti contatti bilaterali tra la Heineken e la Grolsch a proposito delle compensazioni concesse a taluni clienti nel segmento del consumo a domicilio che effettuavano riduzioni temporanee dei prezzi (punti 212 e 213 della decisione impugnata).

15      Infine, secondo la decisione impugnata, nel 1997 si svolgevano tra la InBev e la ricorrente contatti bilaterali e scambi di informazioni aventi ad oggetto discussioni generali relative al prezzo della birra nonché discussioni attinenti soprattutto ai marchi dei distributori. I contatti bilaterali, sotto forma di scambi di informazioni, attinenti ai marchi dei distributori, avrebbero parimenti interessato birrifici belgi nei mesi di giugno e luglio 1998 (punti 105, 222‑229 e 232‑236 della decisione impugnata).

 Ammenda inflitta alla ricorrente

16      L’art. 3, lett. c), della decisione impugnata infligge alla ricorrente un’ammenda di EUR 22 850 000.

17      Ai fini del calcolo dell’importo di tale ammenda, la Commissione ha applicato l’art. 23, n. 2, del regolamento (CE) del Consiglio 16 dicembre 2002, n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 [CE] e 82 [CE] (GU 2003, L 1, pag. 1), e della metodologia di cui agli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5 [CECA] (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti») (punti 436 e 442 della decisione impugnata). Conformemente a tale metodologia, la determinazione dell’ammenda imposta alla ricorrente è stata operata sulla base della gravità e della durata dell’infrazione (punto 437 della decisione impugnata).

18      In particolare, l’infrazione è stata qualificata «molto grave» essendo consistita, essenzialmente, nel coordinamento regolare dei prezzi, degli aumenti dei prezzi e di altre condizioni commerciali nonché nella ripartizione della clientela (punto 440 della decisione impugnata). La Commissione ha parimenti tenuto conto del carattere segreto e doloso dei comportamenti anticoncorrenziali, nonché del fatto che l’infrazione ha inciso su tutto il territorio dei Paesi Bassi e sul complesso del mercato della birra, vale a dire sia sul segmento «horeca» sia sul segmento del consumo a domicilio (punti 453 e 455 della decisione impugnata). Inoltre, la Commissione ha precisato che l’effetto reale dei comportamenti anticoncorrenziali sul mercato olandese non è stato preso in considerazione nel caso di specie, dal momento che non era misurabile (punto 452 della decisione impugnata).

19      Peraltro, la Commissione ha applicato un trattamento differenziato alla ricorrente per tener conto della sua capacità economica reale e del suo peso individuale nei comportamenti costitutivi di infrazione accertati. A tal fine, la Commissione ha utilizzato i fatturati della birra realizzati dalla ricorrente nei Paesi Bassi nel 1998, vale a dire l’ultimo anno civile completo dell’infrazione. Su tale base, la ricorrente è stata classificata nella terza ed ultima categoria, corrispondente all’importo di partenza di 17 milioni di euro (punti 462 e 464 della decisione impugnata).

20      Inoltre, dal momento che la ricorrente ha partecipato all’infrazione nel periodo compreso dal 27 febbraio 1996 al 3 novembre 1999, ossia per un periodo di 3 anni e otto mesi, tale importo di partenza è stato maggiorato del 35% (punti 465 e 469 della decisione impugnata). L’importo di base è stato pertanto fissato in EUR 22 950 000 (punto 470 della decisione impugnata).

21      Infine, la Commissione ha concesso una riduzione di EUR 100 000 dell’importo dell’ammenda, in quanto ha riconosciuto che, nel caso di specie, la durata del procedimento amministrativo non era stata ragionevolmente contenuta (punti 495‑499 della decisione impugnata).

 Procedimento e conclusioni delle parti

22      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 4 luglio 2007, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

23      Con decisione 10 febbraio 2010, il Tribunale ha rinviato la causa dinanzi alla Sesta Sezione ampliata ai sensi degli artt. 14, n. 1, e 51, n. 1, del suo regolamento di procedura.

24      Nel contesto delle misure di organizzazione del procedimento del 12 febbraio 2010, il Tribunale ha formulato quesiti scritti alla Commissione, ai quali l’istituzione ha risposto entro il termine impartito.

25      Le parti sono state sentite nelle proprie difese orali e nelle risposte ai quesiti loro posti dal Tribunale all’udienza del 24 marzo 2010.

26      A causa di un impedimento del giudice relatore verificatosi successivamente alla chiusura della fase orale del procedimento, la causa è stata riassegnata a un nuovo giudice relatore, e la presente sentenza è stata deliberata dai tre giudici che l’hanno sottoscritta, conformemente al disposto dell’art. 32 del regolamento di procedura.

27      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare in toto o in parte la decisione impugnata, nella parte in cui riguarda la ricorrente;

–        in subordine, ridurre l’ammenda inflittale;

–        condannare la Commissione alle spese.

28      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

29      A sostegno del suo ricorso, la ricorrente deduce sei motivi attinenti, in primo luogo, alla violazione del principio di buona amministrazione, in secondo luogo, alla violazione dell’art. 81 CE, della presunzione di innocenza, del principio di legalità e dell’obbligo di motivazione, in terzo luogo, ad un errore di diritto e di fatto nella determinazione della durata dell’infrazione, in quarto luogo, alla violazione dell’art. 23 del regolamento n. 1/2003, degli orientamenti nonché dei principi di parità di trattamento e di proporzionalità nella determinazione dell’importo dell’ammenda, in quinto luogo, alla violazione del principio del termine ragionevole e, in sesto luogo, alla violazione di forme sostanziali, del principio di buona amministrazione e dei diritti della difesa, consistente nel diniego di accesso alle risposte alla comunicazione degli addebiti delle altre parti interessate nonché a un documento appartenente agli atti.

30      Il Tribunale afferma che occorre esaminare, anzitutto, il secondo e il terzo motivo, intesi, in sostanza, a contestare l’infrazione, quindi il primo e il sesto motivo, attinenti a pretesi vizi procedurali e, infine, il quarto e il quinto motivo, concernenti, rispettivamente, la determinazione dell’importo dell’ammenda e la durata del procedimento amministrativo.

 Sul secondo motivo, attinente alla violazione dell’art. 81 CE, della presunzione di innocenza, del principio di legalità e dell’obbligo di motivazione

 Argomenti delle parti

31      In sostanza, la ricorrente sostiene, da una parte, che la Commissione abbia erroneamente interpretato ed applicato le nozioni di «accordo», di «pratica concordata» e di «infrazione unica e continuata» e, dall’altra, che l’istituzione sia incorsa in errori di diritto e di valutazione dei fatti quanto all’accertamento dell’infrazione relativa sia al segmento «horeca» sia al segmento del consumo a domicilio, ivi compreso il segmento della birra venduta con marchi dei distributori.

32      La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

 Giudizio del Tribunale

33      A tenore dell’art. 81, n. 1, CE, sono incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune.

34      Perché ci sia accordo, ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE, è sufficiente che le imprese in causa abbiano espresso la loro volontà comune di comportarsi sul mercato in un modo determinato (sentenze del Tribunale 17 dicembre 1991, causa T‑7/89, Hercules Chemicals/Commissione, Racc. pag. II‑1711, punto 256, e 20 marzo 2002, causa T‑9/99, HFB e a./Commissione, Racc. pag. II‑1487, punto 199).

35      Un accordo ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE può ritenersi concluso quando sussiste una comune volontà sul principio stesso della restrizione della concorrenza, anche se gli elementi specifici della restrizione considerata costituiscono ancora oggetto di negoziazioni (v., in tal senso, sentenza HFB e a./Commissione, punto 34 supra, punti 151‑157 e 206).

36      La nozione di pratica concordata corrisponde ad una forma di coordinamento tra imprese che, senza spingersi fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce scientemente una cooperazione pratica tra di loro ai rischi della concorrenza (sentenze della Corte 8 luglio 1999, causa C‑49/92 P, Commissione/Anic Partecipazioni, Racc. pag. I‑4125, punto 115, e causa C‑199/92 P, Hüls/Commissione, Racc. pag. I‑4287, punto 158).

37      A tal riguardo, l’art. 81, n. 1, CE osta a qualsivoglia contatto diretto o indiretto tra operatori economici che possa influenzare il comportamento sul mercato di un concorrente attuale o potenziale, o rivelare a tale concorrente la condotta che l’operatore economico interessato ha deciso o intende seguire sul mercato quando tali contatti abbiano lo scopo o l’effetto di limitare la concorrenza (v., in tal senso, sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, punto 36 supra, punti 116 e 117).

38      Si deve ricordare che, sotto il profilo dell’onere della prova relativa a una violazione dell’art. 81, n. 1, CE, spetta alla Commissione fornire la prova delle infrazioni che essa constata e produrre gli elementi di prova idonei a dimostrare in termini sufficientemente validi l’esistenza dei fatti che integrano l’infrazione (sentenze della Corte 17 dicembre 1998, causa C‑185/95 P, Baustahlgewebe/Commissione, Racc. pag. I‑8417, punto 58, e Commissione/Anic Partecipazioni, punto 36 supra, punto 86).

39      A tal fine è necessario che la Commissione raccolga elementi di prova precisi e concordanti per dimostrare l’esistenza dell’infrazione (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 6 luglio 2000, causa T‑62/98, Volkswagen/Commissione, Racc. pag. II‑2707, punto 43, e la giurisprudenza ivi citata).

40      Tuttavia, occorre sottolineare che non tutte le prove prodotte dalla Commissione devono necessariamente rispondere a tali criteri con riferimento ad ogni elemento dell’infrazione. È sufficiente che il complesso degli indizi richiamato dall’istituzione, valutato globalmente, risponda a tale requisito (v. sentenza del Tribunale 8 luglio 2004, cause riunite T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00, JFE Engineering e a./Commissione, Racc. pag. II‑2501, punti 179 e 180, nonché la giurisprudenza ivi citata).

41      In considerazione della notorietà del divieto degli accordi anticoncorrenziali, non può imporsi alla Commissione di produrre documenti attestanti in modo esplicito un contatto illegittimo tra gli operatori interessati. Gli elementi frammentari e sporadici di cui potrebbe disporre la Commissione dovrebbero, in ogni caso, poter essere completati per via di deduzioni che consentano di ricostruire circostanze rilevanti. L’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale può pertanto essere dedotta da un certo numero di coincidenze e di indizi i quali, considerati nel loro insieme, possono costituire, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle regole sulla concorrenza (sentenza della Corte 7 gennaio 2004, cause riunite C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, Aalborg Portland e a./Commissione, Racc. pag. I‑123, punti 55‑57).

42      Qualora la Commissione abbia fatto valere elementi di prova documentali a sostegno del suo accertamento dell’esistenza di un accordo o di una pratica anticoncorrenziale, le parti che contestano tale accertamento dinanzi al Tribunale sono tenute non semplicemente a presentare un’alternativa plausibile alla tesi della Commissione, ma anche a sollevare l’insufficienza delle prove prese in considerazione nella decisione impugnata per dimostrare l’esistenza dell’infrazione (sentenza JFE Engineering e a./Commissione, punto 40 supra, punto 187).

43      Quanto alla portata del controllo giurisdizionale, secondo una costante giurisprudenza, allorché è adito con una domanda d’annullamento di una decisione emessa a norma dell’art. 81, n. 1, CE, il Tribunale deve, in generale, esercitare un controllo completo relativamente al punto se ricorrano congiuntamente o meno i requisiti di applicazione dell’art. 81, n. 1, CE (v. sentenza del Tribunale 26 ottobre 2000, causa T‑41/96, Bayer/Commissione, Racc. pag. II‑3383, punto 62, e la giurisprudenza ivi citata).

44      L’esistenza di un dubbio nella mente del giudice deve andare a vantaggio dell’impresa destinataria della decisione con cui si constata un’infrazione, conformemente al principio della presunzione d’innocenza, il quale, in quanto principio generale del diritto dell’Unione europea, si applica, segnatamente, alle procedure relative a violazioni delle regole di concorrenza applicabili alle imprese che possono sfociare nella pronuncia di multe o ammende (sentenza Hüls/Commissione, punto 36 supra, punti 149 e 150, e sentenza del Tribunale 27 settembre 2006, cause riunite T‑44/02 OP, T‑54/02 OP, T‑56/02 OP, T‑60/02 OP e T‑61/02 OP, Dresdner Bank e a./Commissione, Racc. pag. II‑3567, punti 60 e 61).

45      È alla luce di tali considerazioni che occorre esaminare se, nel caso di specie, la Commissione abbia provato in termini sufficientemente validi che il comportamento della ricorrente costituiva una violazione dell’art. 81, n. 1, CE.

–       Sulla dichiarazione della InBev

46      Occorre rilevare, anzitutto, che la Commissione si fonda, in larga misura (v., in particolare, punti 40‑62 della decisione impugnata), sulla dichiarazione fornita dalla InBev, nel contesto della sua domanda di trattamento favorevole, con lettere del 28 gennaio nonché del 3, 25 e 29 febbraio 2000, completate dalle dichiarazioni allegate di cinque dei suoi direttori (punti 34 e 40 della decisione impugnata, in prosieguo, congiuntamente considerate, la «dichiarazione della InBev»).

47      Dalla decisione impugnata risulta che la dichiarazione della InBev indicava l’esistenza di «diverse forme di concertazione […] tra i birrifici sul mercato olandese della birra», operando una distinzione tra le riunioni ufficiali dell’assemblea generale della CBK, le riunioni informali della commissione finanziaria della CBK e le «altre riunioni» parallele note con la denominazione «concertazione Catherijne», la cui composizione era variabile e di cui la InBev dichiara di non aver rinvenuto tracce scritte. Le «altre riunioni» potevano essere classificate, in particolare, in: «i) riunioni dei direttori horeca dei quattro principali birrifici (Heineken, Interbrew, Grolsch e Bavaria) […]; ii) riunioni ordinarie dei direttori horeca e dei direttori responsabili del consumo a domicilio (due nel 1998) e iii) riunioni dei direttori responsabili del consumo a domicilio (una nel 1999 […])» (punti 41‑46 della decisione impugnata).

48      Secondo la dichiarazione della InBev, la commissione finanziaria «prevedeva un ordine del giorno ufficiale, ma costituiva anche un forum di discussione sulla fissazione dei prezzi per il segmento del consumo a domicilio e il segmento horeca[; t]ali discussioni non sono state oggetto di alcun resoconto» (punto 43 della decisione impugnata).

49      Secondo la medesima dichiarazione, gli argomenti trattati nelle «altre riunioni» hanno parimenti riguardato sia il segmento «horeca» sia quello del consumo a domicilio nonché la birra venduta con marchi dei distributori (punto 47 della decisione impugnata).

50      Per quanto riguarda, in primo luogo, il segmento «horeca», sono stati trattati due argomenti principali: «sussisteva un accordo fondamentale quanto alla fissazione di sconti massimi per volume per il segmento horeca (…) un altro argomento di consultazione riguardava gli investimenti realizzati nel settore horeca[; l]’idea consisteva nel mantenere lo status quo nel segmento e nell’evitare che si riprendessero clienti di altri birrifici» (punto 48 della decisione impugnata).

51      Un direttore della InBev fa presente di non conoscere il contenuto esatto di tale accordo e un altro direttore lo descrive come «un accordo molto complesso e vago quanto alle scale (sconti concessi all’horeca), al quale non abbiamo mai preso parte», indicando che «[l]a concertazione consisteva in una riunione bimensile dei direttori horeca durante la quale discutevano sulle infrazioni note alla ‘regola’ (ancorché questa fosse vaga; si parlava di eccesso di mercato)» (punto 48 della decisione impugnata).

52      Per quanto riguarda, in secondo luogo, il segmento del consumo a domicilio, secondo la dichiarazione della InBev, le discussioni vertevano sia sul livello dei prezzi in genere sia sull’argomento specifico della birra venduta con i marchi dei distributori.

53      Quanto al livello dei prezzi in genere, uno dei direttori della InBev ha dichiarato che «sussisteva la consuetudine secondo la quale un birrificio aumenta i propri prezzi dopo averlo annunciato previamente agli altri birrifici operanti sul mercato (…) l’iniziativa proveniva sempre da uno dei grandi birrifici e, in genere, dalla Heineken[; i]n tal caso, gli altri birrifici disponevano del tempo necessario per prendere una posizione[; s]e i birrifici allineavano i propri prezzi gli uni agli altri nelle grandi linee, ciascuno aveva e manteneva tuttavia la propria politica di prezzi» (punto 51 della decisione impugnata).

54      Per quanto riguarda la birra venduta con i marchi dei distributori, la InBev fa presente che dal 1987 le discussioni sui prezzi venivano condotte dagli olandesi del segmento (Bavaria e Oranjeboom, poi acquistate dalla Interbrew). Essa aggiunge che «[l]e due parti hanno compreso, dopo averne anche discusso insieme, che non avrebbero accettato alcuna intrusione nelle loro rispettive sfere di clientela di marchi dei distributori che si saldasse con una perdita di volume» (punto 52 della decisione impugnata).

55      Quanto all’implicazione della Heineken e della Grolsch in tale segmento, secondo la dichiarazione InBev, «[i]l mercato olandese è caratterizzato da un divario significativo tra i prezzi delle birre vendute con marchi dei distributori (‘marchi B’) e [di altri marchi (‘marchi A’);] la Heineken, che non è presente nel segmento dei marchi del distributore, ha sempre rifiutato aumenti di prezzi per i marchi A sinché il prezzo delle birre vendute con marchi dei distributori non aumentava[; i]n tal modo, essa esercitava una pressione indiretta, in particolare sui produttori di marchi dei distributori, come Bavaria e Interbrew» (punto 53 della decisione impugnata).

56      La InBev dichiara che i prezzi dei marchi dei distributori erano parimenti discussi tra i quattro birrifici, in altri termini anche in presenza della Grolsch, nel contesto del tema più generale degli scarti da mantenere tra i prezzi dei marchi delle birre. Secondo la dichiarazione della InBev, «la Heineken e la Grolsch non hanno aumentato i loro prezzi per anni, così come non sono aumentati nemmeno i prezzi delle birre di marca e di quelle contrassegnate dai marchi dei distributori degli altri birrifici[; in q]uesti ultimi anni, la Bavaria e la Interbrew hanno aumentato i loro prezzi, seguiti dalla Grolsch» (punto 54 della decisione impugnata). Viene parimenti rilevato che, «[d]a 3/4 anni a questa parte, tali consultazioni informali sono state integrate con la concertazione Catherijne sull’horeca, alla quale partecipavano anche taluni rappresentanti della CBK[; d]opo alcune riunioni, si è deciso di scindere nuovamente tali riunioni in riunioni consumo a domicilio e riunioni horeca» (punto 54 della decisione impugnata).

57      Inoltre, la InBev dichiara che il conseguimento di una certa parte di mercato da parte del birrificio belga Martens dal 1996-1997 ha comportato «un accordo tra birrifici belgi e olandesi attivi sul mercato dei marchi del distributore[; d]ue riunioni si sono svolte [in un hôtel a] Breda nel 1998[; è stato ivi] convenuto di rispettare i volumi rispettivi dei marchi dei distributori venduti ai clienti stabiliti nei Paesi Bassi e in Belgio» (punto 55 della decisione impugnata).

58      Secondo le dichiarazioni dei direttori della InBev, le «altre riunioni» erano organizzate per rassicurarsi reciprocamente in ordine ad una «aggressività di carattere limitato» sul mercato (punto 46 della decisione impugnata).

59      Nella sua risposta alla domanda di informazioni del 19 dicembre 2001, la InBev fa presente che «agende degli anni precedenti e annotazioni prese in occasione delle riunioni informali sono state distrutte alla fine del mese di novembre 1998[; è] intorno a tale periodo che l’esistenza di una concertazione tra birrifici olandesi ha iniziato ad essere rivelata sul mercato ed è sorto il timore di un controllo da parte dell’autorità olandese della concorrenza[; a]lcune agende sono ancora state distrutte negli anni successivi» (punto 61 della decisione impugnata).

60      Si deve osservare, anzitutto, che nessuna disposizione né alcun principio generale del diritto dell’Unione vieta alla Commissione di avvalersi, nei confronti di un’impresa, delle dichiarazioni di altre imprese incriminate. Se così non fosse, l’onere della prova dei comportamenti contrari agli artt. 81 CE e 82 CE, incombente alla Commissione, sarebbe insostenibile e incompatibile con il compito di vigilanza sulla corretta applicazione di tali disposizioni ad essa attribuita dal Trattato CE (v. sentenza JFE Engineering e a./Commissione, punto 40 supra, punto 192, e la giurisprudenza ivi citata).

61      Nel caso di specie, la ricorrente non contesta quanto dichiarato dalla InBev, secondo cui hanno avuto luogo riunioni tra taluni rappresentanti dei produttori olandesi di birra. Essa non contesta nemmeno di essere stata rappresentata nella maggior parte di tali riunioni e che, nel corso di queste ultime, si sono svolte discussioni sul livello dei prezzi sul mercato olandese, nonché sull’applicazione di sconti ai clienti del segmento «horeca».

62      Ciò premesso, la Commissione ha potuto rilevare, correttamente, che le riunioni richiamate nella dichiarazione della InBev hanno avuto luogo e che alcuni rappresentanti della ricorrente hanno effettivamente partecipato, quantomeno, a un certo numero di tali riunioni.

63      La ricorrente contesta, tuttavia, che le discussioni svoltesi durante le riunioni di cui è causa siano sfociate nella conclusione di un accordo o nell’avvio di una pratica concertata di natura anticoncorrenziale. Essa fa valere che dette riunioni vertevano su argomenti legittimi e che, ove sia stata discussa la situazione sul mercato, ciò non è stato a fini anticoncorrenziali. Al riguardo, la ricorrente contesta l’affidabilità della dichiarazione della InBev affermando che essa è vaga, incoerente e intrinsecamente contraddittoria.

64      In particolare, quanto al carattere contraddittorio della dichiarazione della InBev, la ricorrente rileva che questa contiene una serie di dichiarazioni ad essa favorevoli.

65      Da una parte, si tratterebbe dei passi della dichiarazione complementare della InBev del 3 febbraio 2000, in cui si legge quanto segue: «‘[S]i è discusso soprattutto per darsi reciprocamente l’impressione che ci saremmo mantenuti stabili sul mercato. Non sono sorte, o solo in misura ridotta, questioni relative a scale e punti vendita. Infatti, ciascuno considerava l’altro come un idiota’. In questi ultimi anni, tali riunioni hanno via via perduto di sostanza e la concertazione ha acquisito un carattere più vago» (punto 46 della decisione impugnata).

66      D’altra parte, la ricorrente si riferisce a taluni passi delle dichiarazioni dei dirigenti della InBev, secondo i quali, in particolare: «non esisteva un accordo per il segmento dell’alimentazione»; «gli aumenti di prezzo tuttavia non sono stati applicati nel contesto di accordi»; «non sono a conoscenza di accordi nel segmento dei ‘marchi del distributore’»; «tale riunione non era di rilevante consistenza. Si trattava, piuttosto, di una riunione gradevole, senza un ordine del giorno particolare. Sono stati fatti commenti generali sugli sconti. Avevo l’impressione che già esistesse da anni una sorta di sistema di scala o una regola per gli sconti, ma questo non è mai stato detto in modo specifico. Si parlava solo degli importi globali degli sconti in termini estremamente generici, ciò che ha costituito l’occasione di sottolineare alcuni incidenti»; «[la Interbrew] non ha partecipato ad alcun accordo sui prezzi»; «non sussiste, inoltre, alcuna concertazione. Abbiamo agito in modo del tutto indipendente e durante gli aumenti di prezzo di tutte le birre nel 1999, abbiamo aumentato i marchi A (dopo che la Bavaria e la Grolsch lo avevano fatto qualche mese prima) e i nostri clienti ci hanno opposto forte resistenza per i marchi dei distributori […] pertanto abbiamo agito in modo perfettamente legittimo». 

67      La ricorrente sostiene che le summenzionate dichiarazioni siano incompatibili con le conclusioni della Commissione in ordine all’esistenza di una violazione dell’art. 81 CE. Secondo la ricorrente, ne risulta che gli aumenti di prezzo applicati nel segmento del consumo a domicilio non erano concordati né coordinati, che la Interbrew determinava in modo del tutto indipendente i suoi prezzi di vendita, che i birrifici olandesi si sono sempre fatti un’accesa concorrenza, e che non vi è stato alcun accordo tra i birrifici sulle riduzioni concesse al segmento «horeca».

68      Anzitutto, si deve rilevare che quanto dedotto dalla ricorrente sulla base di alcuni elementi della dichiarazione della InBev, in cui si faceva presente la natura generica delle discussioni, l’assenza di accordi quanto a taluni segmenti e l’assenza di effetti delle discussioni sul comportamento dei birrifici sul mercato, non possono, di per sé, rimettere in questione l’affermazione della Commissione quanto all’esistenza dell’infrazione.

69      Infatti, quanto all’asserito carattere generico di detta dichiarazione, occorre ricordare che la Commissione è spesso tenuta a provare l’esistenza di un’infrazione in condizioni poco favorevoli a tale compito, in quanto possono essere passati diversi anni dall’epoca dei fatti costitutivi dell’infrazione e diverse tra le imprese oggetto della verifica non hanno collaborato attivamente con la stessa. Anche se spetta necessariamente alla Commissione dimostrare che sia stato concluso un accordo illecito di ripartizione dei mercati, sarebbe eccessivo richiedere che essa fornisca inoltre la prova del meccanismo specifico mediante il quale tale scopo doveva essere raggiunto. Infatti, un’impresa colpevole di un’infrazione potrebbe sfuggire troppo facilmente a qualsiasi sanzione qualora potesse appellarsi alla vaghezza delle informazioni presentate quanto al funzionamento di un accordo illecito in una situazione in cui l’esistenza dell’accordo ed il suo scopo anticoncorrenziale risultino tuttavia sufficientemente dimostrati. Le imprese possono difendersi utilmente in una tale situazione, a condizione che abbiano la possibilità di commentare tutti gli elementi di prova dedotti a loro carico dalla Commissione (sentenza JFE Engineering e a./Commissione, punto 40 supra, punto 203; v. anche, in tal senso, sentenza della Corte 25 gennaio 2007, cause riunite C‑403/04 P e C‑405/04 P, Sumitomo Metal Industries e Nippon Steel/Commissione, Racc. pag. I‑729, punto 50).

70      Per quanto riguarda, poi, l’asserita contraddittorietà della dichiarazione della InBev, in quanto essa conterrebbe indicazioni circa l’assenza di effetti sul mercato del comportamento controverso, si deve ricordare che dal disposto stesso dell’art. 81 CE risulta che gli accordi e le pratiche concertate tra imprese sono vietati, indipendentemente da qualsivoglia effetto sul mercato, quando possiedano un oggetto anticoncorrenziale (sentenze della Corte Hüls/Commissione, punto 36 supra, punti 163‑166, e 4 giugno 2009, causa C‑8/08, causa T‑Mobile Netherlands e a., Racc. pag. I‑4529, punto 29).

71      In tal senso, ove la Commissione abbia accertato l’esistenza di accordi e di pratiche concertate aventi un oggetto anticoncorrenziale, tale accertamento non può essere contraddetto dalle indicazioni relative alla mancata applicazione degli accordi collusivi o all’assenza di effetti sul mercato.

72      Per quanto riguarda le asserite indicazioni relative all’assenza di accordo nel segmento del consumo a domicilio e nel segmento «horeca», si deve rilevare che dai passi richiamati dalla ricorrente, letti nel loro contesto, non risulta in alcun modo l’effetto di escludere l’esistenza di un accordo o di una pratica concertata nei segmenti interessati.

73      Infatti, quanto al segmento del consumo a domicilio (vendita al dettaglio), l’affermazione di uno dei direttori della InBev, secondo la quale «[n]on sussisteva un accordo per [tale] segmento», è seguita da una descrizione concreta del meccanismo di coordinamento dei prezzi applicato dai birrifici. Il passaggio relativo così recita:

«Non sussistevano accordi per il segmento della vendita al dettaglio (‘Food’). Quanto agli aumenti del prezzo della birra, vi era la consuetudine secondo la quale un birrificio non aumenta i suoi prezzi se non dopo averlo annunciato previamente agli altri birrifici operanti sul mercato. Quando una delle parti faceva un tale annuncio, ne conseguiva un dibattito sull’impatto di tale aumento sul mercato; l’aumento di prezzo della birra veniva tuttavia attuato. L’iniziativa proveniva sempre da uno dei grandi birrifici e, in genere, dalla Heineken. In tal caso, le altre birrerie avevano il tempo necessario per prendere una posizione. Se i birrifici allineavano i loro prezzi gli uni agli altri nelle grandi linee, ciascuno aveva e manteneva, tuttavia, la propria politica dei prezzi».

74      In tale contesto, il solo fatto che il direttore della InBev abbia fatto riferimento all’assenza di «accordi» non può costituire un argomento valido, in quanto spetta alla Commissione e, eventualmente, al Tribunale, procedere alla qualifica giuridica dei comportamenti descritti nelle dichiarazioni compiute dai responsabili delle imprese interessate.

75      Per quanto riguarda l’asserita assenza di accordi e di rispetto di un accordo nel segmento «horeca», è giocoforza rilevare che dai passi della dichiarazione complementare della InBev del 3 febbraio 2000 e delle dichiarazioni dei dirigenti della InBev, citate supra ai punti 65 e 66, non deriva, come effetto, l’esclusione dell’esistenza di un accordo quanto agli sconti concessi ai clienti di tale segmento. Tali passi, laddove evidenziano come le discussioni fossero di carattere generico e avessero raramente ad oggetto scale e punti vendita precisi, riguardano i dettagli delle discussioni, senza tuttavia contraddire l’esistenza di un accordo ai sensi dell’art. 81 CE. In tal senso, tali passi non si possono considerare in contraddizione con l’indicazione, compiuta nel contesto della dichiarazione della InBev, secondo la quale «[s]ussisteva un accordo fondamentale quanto alla fissazione di sconti massimi per volume per il segmento horeca» (punto 48 della decisione impugnata).

76      Alla luce di quanto precede, l’argomento della ricorrente relativo all’asserito carattere vago e contraddittorio della dichiarazione della InBev e, pertanto, alla pretesa selettività con cui la Commissione avrebbe fatto uso di tale dichiarazione, risulta infondato.

77      Infine, quanto alla valutazione generale dell’affidabilità della dichiarazione della InBev, si deve ritenere che, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la Commissione ha potuto, correttamente, attribuire alla dichiarazione della InBev un valore probatorio particolarmente elevato, trattandosi di una risposta data a nome dell’impresa in quanto tale, che riveste una credibilità superiore a quella che potrebbe presentare la risposta fornita da un suo dipendente, indipendentemente dall’esperienza o dalle opinioni personali di quest’ultimo. Occorre parimenti osservare che la dichiarazione della InBev costituisce il risultato di un’indagine interna condotta dall’impresa e che è stata presentata alla Commissione da un avvocato, che aveva l’obbligo professionale di agire nell’interesse di tale impresa e non poteva, pertanto, affermare l’esistenza di un’infrazione con leggerezza, senza valutare le conseguenze di tale atto (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑23/99, LR AF 1998/Commissione, Racc. pag. II‑1705, punto 45, e JFE Engineering e a./Commissione, punto 40 supra, punto 206).

78      Risulta peraltro dalla giurisprudenza che, benché una certa diffidenza nei confronti di deposizioni volontarie dei principali partecipanti ad un’intesa illecita sia generalmente opportuna, vista la possibilità che tali soggetti tendano a minimizzare l’importanza del loro contributo all’infrazione e ad esagerare quella del contributo degli altri, il fatto di chiedere il beneficio dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione al fine di ottenere una riduzione dell’ammenda non crea necessariamente un incentivo a presentare elementi probatori deformati sugli altri partecipanti all’intesa in esame. Infatti, ogni tentativo di indurre la Commissione in errore potrebbe rimettere in discussione la sincerità e la completezza della cooperazione del richiedente e, pertanto, mettere in pericolo la possibilità che questi possa beneficiare pienamente della comunicazione sulla cooperazione (sentenza del Tribunale 16 novembre 2006, causa T‑120/04, Peróxidos Orgánicos/Commissione, Racc. pag. II‑4441, punto 70).

79      Occorre certamente ricordare che la dichiarazione di un’impresa accusata di aver partecipato ad un’intesa, la cui esattezza viene contestata da varie altre imprese accusate, non può essere considerata una prova sufficiente dell’esistenza di un’infrazione commessa da queste ultime senza essere suffragata da altri elementi di prova (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑337/94, Enso-Gutzeit/Commissione, Racc. pag. II‑1571, punto 91, e JFE Engineering e a./Commissione, punto 40 supra, punto 219).

80      La dichiarazione della InBev non può pertanto essere sufficiente, di per sé sola, per acclarare l’esistenza dell’infrazione, ma deve risultare corroborata da altri elementi di prova.

81      Occorre tuttavia considerare che il grado di corroborazione richiesto nella fattispecie, sia in termini di precisione sia in termini d’intensità, a causa dell’affidabilità della dichiarazione della InBev, è minore di quanto lo sarebbe se questa non fosse particolarmente credibile. Si deve quindi rilevare che, se si dovesse ritenere che un complesso di indizi concordanti consentisse di corroborare l’esistenza e taluni aspetti specifici delle pratiche richiamate dalla dichiarazione della InBev e menzionate all’art. 1 della decisione impugnata, la dichiarazione medesima potrebbe bastare di per sé, in tal caso, ad attestare altri aspetti della decisione impugnata. Inoltre, purché un documento non contrasti manifestamente con le dichiarazioni della InBev sull’esistenza o sul contenuto essenziale delle pratiche incriminate, è sufficiente che esso attesti elementi significativi delle pratiche da esso descritte per avere un certo valore a titolo di elemento di corroborazione nell’ambito del complesso delle prove dedotte a carico (v., in tal senso, sentenza JFE Engineering e a./Commissione, punto 40 supra, punto 220, e la giurisprudenza ivi citata).

82      Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre esaminare gli argomenti della ricorrente relativi agli altri elementi di prova, invocati dalla Commissione nella decisione impugnata per corroborare i rilievi tratti dalla dichiarazione della InBev.

–       Sugli altri elementi di prova

83      Nella decisione impugnata, la Commissione afferma che la dichiarazione della InBev risulta corroborata da una serie di documenti interni provenienti dalla ricorrente e dagli altri tre birrifici olandesi, da appunti manoscritti di riunioni, note di onorari e copie di agende ottenuti in esito a indagini e domande di informazioni.

84      Al punto 67 della decisione impugnata, la Commissione si richiama agli appunti manoscritti di un direttore commerciale della Grolsch, relativi alla riunione del 27 febbraio 1996, ove l’oggetto di tale riunione era designato con la menzione «CBK cie HOR cath». Tali appunti comprendono il seguente passo: «Cauzioni/finanziamenti: fin[anziamenti] per (...) superiori a quanto necessario per punti precisi. Pertanto (…) mil[ioni]».

85      Secondo la Commissione, da tale passo risulta che i quattro birrifici in questione hanno discusso, nel contesto di una riunione «Catherijne», le condizioni finanziarie applicate o da applicare a taluni clienti «horeca» (punto 72 della decisione impugnata) e, più in particolare, agli stabilimenti gestiti da un proprietario di numerosi stabilimenti «horeca» nei Paesi Bassi.

86      Al punto 76 della decisione impugnata la Commissione richiama gli appunti manoscritti di un direttore «horeca» della Bavaria relativi alla riunione del 19 giugno 1996. Gli appunti sono riprodotti come segue:

«- adattare prezzi

consumo a domicilio elevato – ridotto

concertazione Bavaria – Interbrew

[…] e […] -> problema […]

      Martens

            Schultenbrau !! 89 ct

- aumento solo del prezzo al barile

argomenti

solo integralmente Hein + Grolsch

      Frise US Heit

Interbrew \

      |      aumentano insieme

Bavaria /

-> […] anche

il basso aumenta più dell’alto

-pompare aria

-accordi

risanare sconto debito di bevande 7,5 a barile Heineken

preparare rappresentanti quanto a accordi eventuali

Interbrew \

      |      si può utilizzare aria

Grolsch /».

87      Secondo la Commissione, tali appunti dimostrano che i birrifici presenti hanno discusso dettagliatamente i prezzi, sia della birra venduta con marchi dei distributori sia della birra venduta in barili, e che il prezzo delle birre meno care, prodotte dalla Interbrew e dalla Bavaria, doveva aumentare più di quello delle birre più care, prodotte dalla Heineken e dalla Grolsch (punto 85 della decisione impugnata).

88      Al punto 89 della decisione impugnata, la Commissione richiama una lettera che il direttore generale della Interbrew Nederland ha inviato il 25 marzo 1997 alla sede della InBev in Belgio:

«Sussiste ora un consenso tra i principali birrifici per procedere a un aumento di prezzo prima del 1998. Ciò consentirà ai birrifici di aumentare il loro margine per i bilanci promozionali supplementari necessari. Gli attori del marchio A tentano di differenziare l’aumento di prezzi tra i marchi A (più 2 NLG / hl) e i marchi B (più 4 NLG / hl). Questo mi pare estremamente poco realistico – noi tutti dobbiamo sostenere un aumento integrale di 4 NLG. Escluderei dall’aumento di prezzo le nostre birre speciali ‘che si fanno bere’ (DAS, Hoegaarden, Leffe). Le negoziazioni sono iniziate».

89      Sulla base di questa lettera la Commissione ha concluso che, in esito alle negoziazioni dei prezzi tra i principali produttori, un aumento dei prezzi era previsto prima del 1998. Inoltre, la stessa lettera confermava l’esistenza di una distinzione tra produttori e marchi di birra più e meno cari (punto 90 della decisione impugnata).

90      Al punto 92 della decisione impugnata, la Commissione richiama gli appunti manoscritti di un membro del consiglio di amministrazione della Bavaria relativi alla riunione del 1° maggio 1997. Essa cita i seguenti passi:

«Catherijne Club 1/5 - 97

trasferimenti ‘interni’ al gruppo

devono anche rispettare la ‘scala’

[…] ‘La Haye’

Monster ZH [Olanda meridionale] offre concorrente più elevato».

91      Secondo la Commissione, tali appunti confermano che i birrifici discutevano di una «scala» relativa alle condizioni commerciali concesse ai punti vendita individuali, in caso di trasferimento da un gruppo a un altro, ma anche in caso di trasferimento nell’ambito del medesimo gruppo (punto 99 della decisione impugnata).

92      Al punto 100 della decisione impugnata, la Commissione rileva che gli appunti citati supra contengono anche i nomi «Heineken/Amstel/Brand/Grolsch» alla prima riga e i nomi «Interbrew/Bavaria» alla seconda riga, ove tali due righe sono unite da una parentesi a seguito della quale si trova la menzione «assenza di aumenti di prezzo». La Commissione ne deduce che la distinzione tra i marchi A, detenuti dalla Heineken e dalla Grolsch, e i marchi B, detenuti dalla Interbrew e dalla Bavaria, era il punto nodale delle discussioni tra i birrifici sugli aumenti dei prezzi della birra (punto 103 della decisione impugnata).

93      Al punto 117 della decisione impugnata, la Commissione invoca gli appunti manoscritti di un membro del consiglio di amministrazione della Bavaria relativi alla riunione del 17 dicembre 1997. Essa cita il seguente passo:

«2) Situazione dei prezzi: marzo/aprile

fusello a un piano /fusello a due piani

a) la Heineken prevede poco scalpore ! ! Heineken 18.59

b) in caso di aumento: molto negoziabile; di tutto cuore; vi sarà un supporto».

94      La Commissione ne deduce che i birrifici presenti alla riunione del 17 dicembre 1997, segnatamente la Bavaria, la Grolsch e la Heineken, discutevano gli aumenti di prezzo, nonché le possibili reazioni agli aumenti di prezzo (punto 127 della decisione impugnata).

95      Al punto 129 della decisione impugnata, la Commissione invoca un passo degli appunti manoscritti di un direttore «horeca» della Bavaria relativi alla riunione del 12 marzo 1998:

«- Pochi accadimenti dal 1° gennaio

- Marchi A niente panico rispetto al prezzo Hein

9.95 scendere da 11,49 ha poco senso      Int

9.75      9.36 Bavaria

2x      4.95 4.75 }→

marchi dei distributori

prezzo al ribasso del mercato

[…] metà marzo Bavaria qualcosa

sotto Amstel (17) Bavaria (15)

da 9.75 a 10.75 se non

accade nulla, allora Grolsch e Hein

aumenti pocket birreria

→ fissare accordo […] e Dick

Questo deve essere ‘dimostrabile’ tramite la Nielsen altrimenti

non accadrà nulla».

96      Secondo la Commissione, ne risulta che i birrifici presenti alla riunione del 12 marzo 1998 hanno discusso le riduzioni concesse ai supermercati olandesi (punto 137 della decisione impugnata) e che gli aumenti di prezzo praticati dalla Bavaria dovevano risultare dimostrabili nei dati delle casse dei supermercati compilati dalla AC Nielsen (punto 133 della decisione impugnata).

97      Al punto 138 della decisione impugnata, la Commissione richiama un secondo passo degli appunti manoscritti citati supra:

«Bav      interesse      4% ?               6 1/2

salvo:

se vi è indennità di pubblicità».

98      Secondo la Commissione, tale passo dimostra che si è svolta una discussione relativa al livello dei tassi di interesse praticati sui prestiti consentiti ai punti vendita «horeca» (punto 142 della decisione impugnata).

99      Al punto 143 della decisione impugnata, la Commissione invoca un terzo passo dei menzionati appunti manoscritti:

«Clubs di football Sale di spettacoli Teatri

Associazioni di studenti

(…)

      Grolsch

Al di sopra/fuori dalla scala

      130

(…)                        (125) 124,5».

100    Secondo la Commissione, ne risulta che i birrifici hanno avuto una discussione specifica su taluni clienti «horeca» determinati, relativa ad una «scala», che corroborava la dichiarazione della InBev quanto all’esistenza di un accordo indicato con il termine «scala» (punto 147 della decisione impugnata).

101    Al punto 156 della decisione impugnata, la Commissione richiama un passo degli appunti manoscritti di un membro del consiglio di amministrazione della Bavaria, relativi alla riunione del 3 luglio 1998:

«(…) Heineken aumentata

(…) >> Heineken birra in barile».

102    La Commissione deduce da questo passo che i birrifici hanno discusso i prezzi praticati sia con clienti del segmento del consumo a domicilio sia con un cliente «horeca» (punti 162‑164 della decisione impugnata).

103    Al punto 165 della decisione impugnata, la Commissione invoca un altro passo degli appunti manoscritti citati supra:

«Caffè      (…)      1800      (…)

(…)      400      (…)

60 per hl 

650.000,- V.B.K.».

104    Secondo la Commissione, da tale passo discende che i birrifici hanno discusso uno sconto determinato e/o una copertura per uno sconto applicato o da applicare a punti vendita «horeca» specifici (punto 171 della decisione impugnata).

105    Al punto 174 della decisione impugnata, la Commissione richiama un documento datato 30 giugno 1998 e un elenco di prezzi della Heineken che annuncia i nuovi prezzi applicabili per la birra in bottiglia e la birra alla spina (birra in cisterna e birra in barile) a decorrere dal 1° giugno 1998, rinvenuti nell’ufficio di un direttore delle vendite «consumo a domicilio» della Grolsch, recanti la menzione «agenda c[ommiss]ie CBK» (commissione dell’ordine del giorno CBK). Secondo la Commissione, tali documenti corroborano la dichiarazione della InBev secondo la quale sia i prezzi «consumo a domicilio» sia la concorrenza sul mercato «horeca» sono stati trattati durante le riunioni in questione (punto 175 della decisione impugnata).

106    Al punto 179 della decisione impugnata, la Commissione invoca una nota interna della Heineken del 14 ottobre 1998, inviata alla direzione della Heineken, così redatta: «l’aumento di prezzo promesso dalla Bavaria nell’ambito della CBK non risulta chiaramente nelle [cifre] di Nielsen». Secondo la Commissione, tale nota rafforza la conclusione secondo la quale la Bavaria aveva comunicato, nella riunione del 12 marzo 1998, il proprio intento di aumentare in primo luogo i suoi prezzi nel segmento del consumo a domicilio, ove gli altri birrifici dovevano seguire successivamente, e gli aumenti praticati dalla Bavaria dovevano essere «dimostrabili» nelle cifre di Nielsen (punto 180 della decisione impugnata).

107    Al punto 184 della decisione impugnata, la Commissione richiama una lettera inviata a un direttore dell’unità «horeca» Paesi Bassi della Heineken da un direttore del marketing e del consumo a domicilio del birrificio Brand BV di Heineken, a proposito del suo colloquio con un membro del consiglio di amministrazione della Bavaria:

«Durante il salone dell’alimentazione di Noordwijk, il 9 settembre [1998], [un membro del consiglio di amministrazione della Bavaria] mi ha parlato della questione (…) e della reazione della Heineken. In sintesi, è risultato a suo avviso che la Heineken avrebbe potuto sedersi molto più presto al tavolo delle negoziazioni con i primi responsabili della Heineken e della Bavaria sul mercato olandese horeca. Gli ettolitri persi, allora, avrebbero potuto essere compensati in un altro modo. Peraltro, ha aggiunto che, a termine, la Bavaria aveva in vista, forse, altri clienti potenziali del segmento horeca che desideravano passare volontariamente (ove l’accento era posto sul termine volontariamente, come nel caso di […], a suo avviso) presso la Bavaria [nome di un responsabile horeca Paesi Bassi della Heineken], evidentemente tali propositi si iscrivono in toto nella ben nota retorica degli (…). Non volevo privarti di tale informazione. Buona fortuna per il tuo colloquio».

108    La Commissione ritiene che questa lettera confermi la dichiarazione della InBev secondo la quale i birrifici discutevano non solo dei limiti alle riduzioni, ma anche dei limiti relativi ai punti vendita optando per un altro birrificio, e non solo durante le riunioni multilaterali, ma anche in occasione di incontri bilaterali (punto 189 della decisione impugnata).

109    Al punto 193 della decisione impugnata, la Commissione invoca gli appunti manoscritti di un direttore generale della Grolsche Bierbrouwerij Nederland sull’invito alla riunione dell’8 gennaio 1999:

«-vendita ’98

-prezzo della birra →

- cassa del tipo “pinool”            |      azioni / cat II

-casse                                     |       basso

                  |      barile

                  |      NMA».

110    Secondo la Commissione, risulta da tali appunti che le discussioni sui prezzi della birra si sono concentrati su quattro elementi: in primo luogo, le azioni promozionali sul mercato del consumo a domicilio, in secondo luogo, i prezzi delle birre meno care e vendute coi marchi dei distributori, in terzo luogo, il prezzo della birra in barili, i grandi contenitori utilizzati nel segmento «horeca» del mercato olandese della birra e, in quarto luogo, l’autorità olandese della concorrenza «NMA» (punto 194 della decisione impugnata).

111    Ai punti 197 e 199 della decisione impugnata, la Commissione richiama l’elenco degli argomenti da evocare alla riunione dell’8 gennaio 1999, sulla quale un rappresentante della Grolsch aveva annotato l’abbreviazione «BP», interpretata dalla Commissione come «prezzo della birra» (bierprijs) o «prezzo base» (bodemprijs), nonché «P[rivate] L[abel] 50 ct. in più». La Commissione deduce da tali menzioni che, per quanto riguarda la birra in barile, i birrifici hanno discusso i prezzi in modo dettagliato (punto 203 della decisione impugnata).

112    Ai punti 212 e 213 della decisione impugnata, la Commissione richiama un documento contenente il riferimento a tre contatti al livello della direzione tra la Heineken e la Grolsch, intorno al 5 luglio 1999, recante menzione di una «guerra dei prezzi» tra i due birrifici. La Commissione ne deduce che la Heineken ha preso contatto direttamente con la Grolsch riguardo alle riduzioni, un mese e mezzo prima che le riduzioni temporanee, applicate da una catena di negozi alla quale la Grolsch ha rifiutato di concedere una compensazione, fossero effettivamente attuate (punto 213 della decisione impugnata).

113    Al punto 224 della decisione impugnata, la Commissione richiama una serie di documenti inclusi nei propri atti da cui emergono i temi trattati durante le riunioni bilaterali tra la Bavaria e la InBev dell’8 marzo 1995, della seconda metà di marzo 1997, del 12 maggio 1997, del 19 giugno 1997 e dell’8 settembre 1997. Essa ne cita i seguenti passi:

–        riunione dell’8 marzo 1995: «[la Bavaria] e [la Interbrew Nederland] hanno entrambe affermato di aver seri problemi con il sig. (…) nei Paesi Bassi» (nota a pie’ di pagina n. 491 della decisione impugnata);

–        riunione del 12 maggio 1997: sono stati evocati l’«aumento di prezzi» e «i marchi del distributore come una spada di Damocle (…) pressione psicologica della Grolsch e soprattutto della Heineken per aumentare i prezzi della birra venduta con marchio del distributore» (nota a pie’ di pagina n. 493 della decisione impugnata);

–        riunione del 19 giugno 1997: sono stati trattati «il comportamento da adottare nel segmento dei marchi dei distributori e, in relazione a ciò, la posizione della Interbrew nei confronti della Martens (considerata come un ospite non desiderato nel mondo della birra olandese» (nota a pie’ di pagina n. 494 della decisione impugnata);

–        riunione dell’8 settembre 1997: sono stati evocati «la situazione del mercato dei marchi dei distributori nei Paesi Bassi e il fatto che la Bavaria aveva preso un cliente alla Interbrew (…) offerta di base fatta al [cliente] (…) ove la Bavaria alterava lo status quo (…)» (nota a pie`di pagina n. 495 della decisione impugnata).

114    La Commissione interpreta tali documenti come la prova del fatto che le consultazioni bilaterali tra la Bavaria e la InBev hanno consentito di mantenere una «pace armata» o un «patto di non-agressione» concernente la birra venduta con i marchi dei distributori (punto 223 della decisione impugnata).

115    Al punto 227 della decisione impugnata, la Commissione si richiama alla lettera datata 26 settembre 1997, inviata da un direttore delle esportazioni della Interbrew Nederland a un direttore delle esportazioni alla sede centrale della Interbrew con riguardo alle «vendite di birra in Germania e dei marchi del distributore»:

«Ho recentemente avuto un incontro al riguardo con il nostro principale concorrente nei Paesi Bassi e ho appreso, in tale circostanza, che si dovevano incontrare (…) per progredire o meno sul volume della birra TIP per il 1998. Mi sono informato quanto al livello di prezzo al quale contavano di lavorare e mi ha confermato esattamente lo stesso prezzo, diminuito di un contributo destinato alla sede centrale di (…), e il fatto che accetterebbe un volume di circa 200 000 hl a quel prezzo».

116    Secondo la Commissione, ne risulta che la Interbrew ha sollecitato e ottenuto presso la Bavaria informazioni dettagliate sul prezzo e i volumi relativi ad un’eventuale consegna, da parte della Bavaria, di birra con marchio del distributore ad una catena tedesca di distribuzione all’ingrosso. La Commissione ritiene che tale elemento confermi la dichiarazione della InBev secondo la quale la Interbrew e la Bavaria si sono scambiate informazioni sui livelli dei prezzi proposti ai clienti di birra con marchio del distributore. La Commissione fa valere, inoltre, che questo fatto è stato riconosciuto dalla InBev in una lettera datata 21 febbraio 2006 (punto 228 della decisione impugnata).

117    Al punto 234 della decisione impugnata la Commissione richiama la seguente dichiarazione del birrificio Haacht quanto alla riunione del 14 o 15 giugno 1998 tra Bavaria, Interbrew Nederland e i birrifici belgi Interbrew Belgique, Alken-Maes, Haacht e Martens:

«Nel corso di tale riunione, i birrifici olandesi sono stati informati del contenuto dello scambio di informazioni svoltosi tra i partecipanti belgi. I birrifici olandesi hanno prestato il loro accordo per lo scambio dei dati relativi ai volumi, ai tipi di condizionamento, alla durata dei contratti e di eventuali termini di scadenza e ai clienti. Quanto ai prezzi, i partecipanti hanno convenuto per principio di non scambiare informazioni a tal proposito (…)

I partecipanti alla riunione hanno ritenuto che occorresse incaricare una parte neutra di centralizzare lo scambio di informazioni. Tale domanda è stata presentata poiché le parti presenti sul mercato olandese non avevano fiducia nelle altre parti. La Haacht è stata invitata a centralizzare le informazioni in quanto non era attiva sul mercato olandese».

118    La Commissione ritiene che tale dichiarazione confermi, sul punto affrontato, la dichiarazione della InBev (punto 235 della decisione impugnata).

119    Al punto 236 della decisione impugnata, la Commissione invoca i menzionati appunti manoscritti della riunione del 14 o 15 giugno 1998, rinvenuti nell’ufficio della segretaria di un presidente del comitato di direzione della Bavaria:

«Martens → nulla è mai stato concretizzato nei Paesi Bassi

→ basso – mercato – price cutter

|→ sono sottoposte offerte di prezzo

Interbrew Nederland – Martens -> offerta sottoposta a un importante cliente dei marchi di distributori

(…)

                        7,68 [apprezzato]

Martens – ‘diminuzione dei prezzi Belgio’

a oggi NL → (…)

Interbrew Belgique ha fatto il primo passo quanto alla P[rivate] L[abel]

solo per                   (…)

Pilsener                            […]

/ \                         /        \

      multiplo unico

[…] – “deciso” |→ presso Interbrew

      CAT I+II».

120    Secondo la Commissione, tali appunti confermano che la Interbrew Belgio ha assunto l’iniziativa di indire una riunione sulla birra con marchi dei distributori nel corso della quale si è deciso che il contratto con un consorzio di acquisto di rivenditori al dettaglio «sarebbe stato attribuito alla Interbrew nei Paesi Bassi» (punto 237 della decisione impugnata).

121    Quanto a quest’ultima riunione, la Commissione invoca anche la seguente dichiarazione di un direttore «consumo a domicilio» della InBev, presentata dalla InBev, il 21 febbraio 2006, in risposta a una domanda di informazioni (punto 238 della decisione impugnata):

«Un certo momento, (…), il sig. (...) di (…) mi ha messo a confronto con un prezzo basso che gli aveva proposto la Martens. Ha affermato di aver ottenuto un prezzo di NLG 0,32 per bottiglia, il che corrisponde all’importo di NLG 7,68 per cassa di 24 bottiglie menzionato negli appunti del sig. [responsabile della Bavaria]. Nel contesto di tali discussioni, che sono proseguite da aprile all’inizio di giugno 1998, gli ho suggerito di passare alla categoria II e di beneficiare in tal modo di una riduzione delle accise. Infine, all’inizio del giugno 1998, abbiamo concluso un accordo con (…) relativo alla consegna di una nuova (…) birra di categoria II (…). Grazie alla riduzione delle accise derivante dal passaggio a una birra di categoria II, ci è stato possibile proporre un importo di NLG 6,36 (comprensivo della riduzione delle accise di NLG 0,84) e di far fronte così all’offerta della Martens.

(…)

All’epoca della riunione del 14 o 15 giugno 1998, (…) la Interbrew si era messa d’accordo con (…) quanto a talune consegne di birra di categoria I (…) e di categoria II. Nel corso di tale riunione, ho preso atto delle discussioni e dell’accordo intervenuto con (…) per due ragioni. In primo luogo, volevo mettere a confronto la Martens con l’offerta che essa aveva sottoposto a (…), dato che essa aveva sempre negato di aver presentato offerte di prezzo nei Paesi Bassi. In secondo luogo, intendevo informare gli altri partecipanti del fatto che non dovevano più sottoporre offerte a (…), in considerazione dell’accordo concluso tra Interbrew e (…). La riga n del [documento di cui al punto 236 della decisione impugnata] costituisce testimonianza della mia comunicazione relativa alla conclusione del contratto di fornitura di birre di categoria I e di categoria II tra (…) e la Interbrew. L’esistenza di tale accordo (…) risulta dal fax del 24 giugno 1998».

122    Al punto 240 della decisione impugnata, la Commissione richiama una dichiarazione del birrificio belga Haacht relativa alla seconda riunione belgo-olandese del 7 luglio 1998, ai sensi della quale:

«È l’ultima riunione che è stata organizzata tra le parti, durante la quale la Haacht ha proceduto alla distribuzione delle informazioni raccolte sul mercato olandese.

Le parti hanno poi cambiato argomento per trattare alcuni punti meno importanti, ma il rappresentante della Haacht non ha partecipato a questa discussione. In ogni caso, non è stata scambiata alcuna informazione importante quanto a detti argomenti. Tale riunione ha dato l’impressione di non apportare nulla di concreto».

123    Secondo la Commissione, la dichiarazione di un direttore «consumo a domicilio» della Interbrew confermava la dichiarazione della Haacht secondo la quale si trattava dell’ultima riunione belgo-olandese. La Commissione considera che la decisione di porre termine a tali riunioni si fonda su un motivo preciso, vale a dire il timore di assistere ad un’incursione dell’autorità olandese della concorrenza in uno o più birrifici, ciò che risulta confermato dalla dichiarazione della InBev (punto 241 della decisione impugnata).

124    Al punto 248 della decisione impugnata la Commissione richiama una dichiarazione interna della Heineken a termini della quale «i prezzi estremamente bassi praticati attualmente dal birrificio belga Martens (…) contrastano con la politica consistente nel rilevare la fascia inferiore del mercato a un livello di prezzo superiore».

125    Infine, al punto 249 della decisione impugnata, la Commissione richiama la dichiarazione compiuta durante la sua ispezione il 23 marzo 2000 e firmata da un direttore generale della Grolsche Bierbrouwerij Nederland, divenuto presidente del consiglio di amministrazione presso la Koninklijke Grolsch:

«Ha portato con sé il documento (…) intitolato ‘Scenari di prezzo basati su un aumento netto dei prezzi all’ingrosso di NLG 2,00 per hl’, che presenta l’appunto ‘CBK – Fie – portare sempre’, alle riunioni della commissione finanziaria della CBK. Ha utilizzato tale documento per attirare l’attenzione della Interbrew e della Bavaria (i produttori di birre vendute con marchi del distributore nei Paesi Bassi) sulla fissazione dei prezzi, a suo avviso ingiustificabile, della birra venduta con marchi dei distributori (meno di 10 fiorini per cassa)».

126    Nello stesso punto della decisione impugnata, la Commissione invoca anche la seguente dichiarazione di un direttore generale della Heineken Nederland:

«Sono già stato presente ad una riunione della CBK in cui altri hanno parlato della fissazione dei prezzi dei marchi del distributore. Considerazioni del genere sarebbero state formulate per esprimere inquietudine. Non ho reagito perché, in linea di principio, la Heineken non è associata alla produzione con marchi dei distributori».

127    Dai passi citati la Commissione deduce, ai punti 248 e 249 della decisione impugnata, che i produttori di birra venduta con marchi dei distributori (Interbrew e Bavaria) avevano svelato la loro strategia di prezzo alla Heineken e alla Grolsch, non attive in detto segmento (punto 248 della decisione impugnata) e ne trae la conclusione che le discussioni bilaterali tra la Interbrew e la Bavaria, intese a far aumentare i prezzi della birra venduta con marchi dei distributori, facevano parte delle menzionate discussioni generali tra i quattro birrifici (punto 252 della decisione impugnata).

128    Si deve rilevare che gli indizi elencati supra corroborano la dichiarazione della InBev e giustificano il rilievo secondo il quale taluni rappresentanti della Heineken, della Grolsch, della Interbrew e della Bavaria si riunivano regolarmente nel contesto di un ciclo di riunioni informali note con la denominazione «concertazione Catherijne» o «commissione dell’ordine del giorno» la cui composizione variava (dichiarazione della InBev citata al punto 45 della decisione impugnata; altri elementi di prova esaminati ai punti 65‑222 della decisione impugnata). Le 18 riunioni menzionate nella decisione impugnata, che si iscrivono in questo ciclo, si sono svolte in data 27 febbraio 1996, 19 giugno 1996, 8 ottobre 1996, 8 gennaio 1997, 1° maggio 1997, 2 settembre 1997, 16 dicembre 1997, 17 dicembre 1997, 12 marzo 1998, 9 aprile 1998, 3 luglio 1998, 15 dicembre 1998, 8 gennaio 1999, 4 marzo 1999, 10 maggio 1999, 11 agosto 1999, 19 agosto 1999 e 3 novembre 1999.

129    Per quanto riguarda il contenuto delle discussioni svoltesi nel contesto di dette riunioni, i menzionati indizi corroborano la dichiarazione della InBev e fissano i seguenti elementi:

– quanto al segmento consumo a domicilio:

–        i quattro birrifici discutevano i prezzi (dichiarazione della InBev citata al punto 51 e altri elementi di prova citati ai punti 76, 129, 156, 174, 193, 212 e 213 della decisione impugnata) e gli aumenti di prezzo della birra nei Paesi Bassi (dichiarazione della InBev citata al punto 51 e altri elementi di prova citati ai punti 76, 89, 117 e 179 della decisione impugnata);

–        discussioni sui prezzi erano parimenti condotte mediante contatti bilaterali, segnatamente, tra la Grolsch e la Heineken nel luglio 1999 (documento citato ai punti 212 e 213 della decisione impugnata);

–        proposte concrete in materia di prezzo erano discusse (lettera interna della Interbrew richiamata al punto 89 della decisione impugnata) e le informazioni scambiate erano a volte piuttosto dettagliate (documenti richiamati ai punti 129 e 174 della decisione impugnata);

–        esisteva, nel 1997 e nel 1998, un consenso tra i birrifici per procedere a un aumento dei prezzi prima o durante il 1998 (documenti richiamati ai punti 89, 174 e 179 della decisione impugnata);

–        i produttori di birra dei «marchi A» (Heineken e Grolsch) hanno insistito, e i produttori dei «marchi B» (birre vendute con marchi dei distributori) (Interbrew e Bavaria) si sono opposti, perché l’aumento dei prezzi venisse operato «in due fasi», inizialmente, per i marchi B e, poi, per i marchi A, e che il tasso di aumento fosse differenziato tra i marchi A e i marchi B (dichiarazione della InBev citata al punto 53; altri elementi di prova richiamati ai punti 76, 89, 100, 117 e 193 della decisione impugnata);

–        la Bavaria ha comunicato (probabilmente durante la riunione del 12 marzo 1998) la propria intenzione di aumentare i propri prezzi (elementi di prova richiamati ai punti 129 e 179 e dichiarazione della InBev citata al punto 51 della decisione impugnata). Gli altri birrifici dovevano probabilmente seguire la Bavaria, aumentando poi i loro prezzi (dichiarazione della InBev citata al punto 51 della decisione impugnata);

–        per quanto riguarda il meccanismo del controllo, si è convenuto che gli aumenti praticati dalla Bavaria dovessero essere dimostrabili nelle cifre della banca dati dei supermercati compilate dalla AC Nielsen (documenti richiamati ai punti 129 e 179 della decisione impugnata);

–        non sussiste alcuna prova che l’aumento dei prezzi previsto per il 1998 si sia verificato;

–        nel contesto delle consultazioni sui prezzi i birrifici hanno discusso la situazione di taluni supermercati specifici (appunti manoscritti richiamati ai punti 76 e 156 della decisione impugnata);

–        durante alcune discussioni i partecipanti quantificavano i prezzi in termini concreti (documenti richiamati ai punti 76, 89, 117, 129 e 174 della decisione impugnata);

– quanto alla birra venduta con marchi dei distributori:

–        a decorrere dal 1995, i due produttori olandesi di birra venduta con marchi dei distributori (Interbrew e Bavaria) hanno espresso a più riprese le loro preoccupazioni connesse ai progetti del birrificio belga Martens di penetrare nel mercato olandese in questo segmento (dichiarazione della InBev citata al punto 55; altri elementi di prova citati ai punti 224, 236, 238 e 248 della decisione impugnata);

–        tali preoccupazioni sono state discusse nel contesto delle consultazioni bilaterali tra la Bavaria e la InBev (dichiarazione della InBev citata al punto 52; lettera interna della Interbrew citata al punto 227 della decisione impugnata) e delle cinque riunioni bilaterali (dell’8 marzo 1995, della seconda metà del marzo 1997, del 12 maggio 1997, del 19 giugno 1997 e dell’8 settembre 1997) dedicate a tale problema (documenti richiamati al punto 224 della decisione impugnata);

–        due riunioni «belgo-olandesi» si sono parimenti svolte il 14 o il 15 giugno 1998 (documenti richiamati ai punti 234, 236 e 238 della decisione impugnata) e il 7 luglio 1998 (dichiarazione della Haacht citata al punto 240 della decisione impugnata) a Breda tra la Interbrew Nederland, la Bavaria e i birrifici belgi Interbrew Belgique, Alken-Maes, Haacht e Martens (dichiarazione della InBev citata al punto 55 della decisione impugnata);

–        i temi connessi alla birra venduta con marchi dei distributori sono stati del pari discussi in presenza della Heineken e della Grolsch (non attive in tale segmento) nel contesto della discussione generale (dichiarazione della InBev citata al punto 54; altri elementi di prova richiamati ai punti 156, 193, 248 e 249 della decisione impugnata);

–        i birrifici discutevano i prezzi della birra venduta con marchio del distributore (dichiarazione della InBev citata al punto 54; altri elementi di prova richiamati ai punti 193, 199, 227, 236, 238 e 249 della decisione impugnata);

–        la Heineken e la Grolsch esercitavano una «pressione psicologica» sulla Bavaria e la Interbrew per aumentare i prezzi della birra venduta con marchio del distributore (documenti richiamati al punto 224, nella nota a pie’ di pagina n. 493 e al punto 248 della decisione impugnata) rifiutando di aumentare i prezzi dei marchi A (dichiarazione della InBev citata al punto 53 della decisione impugnata);

–        si era convenuto, sia a livello bilaterale tra la Interbrew Nederland e la Bavaria, sia a livello multilaterale tra i birrifici olandesi e belgi attivi nel segmento di non tentare di sviare clienti e di rispettare i volumi rispettivi di marchi del distributore nei Paesi Bassi e in Belgio; si è deciso, in particolare, che il contratto con un consorzio di acquisto di rivenditori al dettaglio sarebbe stato attribuito alla Interbrew Nederland (dichiarazione della InBev citata al punto 55; documenti richiamati ai punti 224, 236 e 238 della decisione impugnata);

–        i birrifici scambiavano informazioni sulle condizioni commerciali proposte a taluni clienti determinati (lettera richiamata al punto 227 della decisione impugnata e documenti di cui ai punti 236 e 238 della decisione impugnata);

–        durante le discussioni i partecipanti quantificavano concretamente i prezzi (documenti richiamati ai punti 236, 238 e 249 della decisione impugnata);

– quanto al segmento «horeca»: 

–        i quattro birrifici discutevano i prezzi (documenti richiamati ai punti 174, 193 e 197 della decisione impugnata) e gli aumenti di prezzo (appunti manoscritti richiamati al punto 76 della decisione impugnata) nel segmento «horeca»;

–        sussisteva tra i birrifici un accordo, indicato con la denominazione «scala», che riguardava l’importo degli sconti da concedere ai clienti «horeca» (dichiarazione della InBev citata al punto 48; appunti manoscritti richiamati ai punti 92, 143 e 165 della decisione impugnata) e che i birrifici dovevano «rispettare» (appunti manoscritti di cui al punto 92 della decisione impugnata); il rispetto di tale accordo era controllato e le infrazioni note erano oggetto di discussioni svolte nel contesto delle riunioni «Catherijne» (dichiarazione della InBev citata al punto 48 della decisione impugnata);

–        le consultazioni vertevano del pari sull’attuazione di restrizioni intese a mantenere lo status quo nel segmento evitando sottrazioni di clientela da altri birrifici (dichiarazione della InBev citata al punto 48; nota interna della Heineken concernente lo sviamento, da parte della Bavaria, di un’associazione di studenti, citata al punto 184 della decisione impugnata);

–        le discussioni su tali restrizioni si svolgevano parimenti mediante contatti bilaterali; in tal senso, il 9 settembre 1998, taluni dirigenti della Heineken e della Bavaria hanno discusso tra di loro lo sviamento, da parte della Bavaria, di un cliente «horeca» della Heineken (nota interna della Heineken citata al punto 184 della decisione impugnata);

–        i birrifici scambiavano informazioni su taluni clienti e punti vendita precisi (documenti richiamati ai punti 92, 143, 156, 165 e 184 della decisione impugnata);

–        nel contesto delle discussioni, i birrifici menzionavano cifre concrete concernenti il livello degli sconti e delle provvigioni per riduzione (appunti manoscritti richiamati ai punti 143 e 165 della decisione impugnata).

130    È alla luce di tali elementi che occorre esaminare l’argomentazione della ricorrente relativa alle tre componenti del comportamento censurato, concernente, in primo luogo, il coordinamento dei prezzi e degli aumenti di prezzo della birra nei Paesi Bassi, sia nel segmento «horeca» sia in quello del consumo a domicilio, ivi incluso quello riguardante la birra venduta con marchi dei distributori, in secondo luogo, il coordinamento occasionale di condizioni commerciali diverse dai prezzi offerte ai singoli clienti nel segmento «horeca» nei Paesi Bassi e, in terzo luogo, il coordinamento occasionale della ripartizione della clientela sia nel segmento «horeca», sia in quello del consumo a domicilio nei Paesi Bassi (art. 1 e punti 257 e 258 della decisione impugnata).

–       Sugli elementi di fatto relativi agli accertamenti, da una parte, di un coordinamento dei prezzi e degli aumenti di prezzo della birra e, dall’altra, di un coordinamento occasionale sulla ripartizione della clientela

131    La ricorrente sostiene, in sostanza, che gli appunti manoscritti redatti dai rappresentanti dei birrifici nel contesto delle riunioni censurate siano interpretati dalla Commissione in modo parziale e anche estremamente tendenzioso in diverse occasioni.

132    Essa contesta, in particolare, l’interpretazione degli elementi invocati ai punti 76, 89, 92, 100, 117, 129, 143, 156, 179, 184, 193, 199, 227, 228, 236 e 238 della decisione impugnata (v. supra punti 86‑95, 99‑101, 106‑111, 115, 117, 119 e 121).

133    Prima di esaminare gli argomenti della ricorrente concernenti i summenzionati elementi, si deve rilevare che la maggior parte dei rilievi in fatto elencati supra, ai punti 128 e 129, si fondano su diversi elementi di prova.

134    In primo luogo, in diverse parti del ricorso, la ricorrente fa riferimento alle prove documentali richiamate ai punti 76, 100, 117, 156, 193 e 199 della decisione impugnata per sostenere, in sostanza, che esse non sono tali da dimostrare un coordinamento dei prezzi sia nel segmento del consumo a domicilio, ivi incluso quello della birra venduta con i marchi dei distributori, sia nel segmento «horeca».

135    Su tale punto, occorre rilevare, anzitutto, che il fatto che i birrifici abbiano discusso i prezzi ed eventuali aumenti di prezzo in tali segmenti risulta dimostrato anche dai documenti menzionati ai punti 174, 212, 213 e 249 della decisione impugnata. Orbene, se è pur vero che tali documenti riguardano soprattutto le discussioni tra la Heineken e la Grolsch, tuttavia la ricorrente era al corrente di tali discussioni, che si sono svolte quantomeno in parte in sua presenza (v. il documento citato al punto 249 della decisione impugnata e al punto 125 supra), e può pertanto esserne ritenuta responsabile (v., in tal senso, sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, punto 36 supra, punti 80‑83).

136    Si deve poi rilevare che, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, dai documenti citati ai punti 76, 100, 117 e 156 della decisione impugnata risulta che sussisteva ben più di un semplice scontento dei birrifici quanto al livello dei prezzi al consumo. Tali documenti provano, infatti, che nel contesto delle loro discussioni, essi hanno evocato la situazione di alcuni clienti e punti vendita specifici e menzionato cifre concrete di prezzi e di sconti.

137    In secondo luogo, la ricorrente sostiene che la nota interna della Heineken concernente lo sviamento, da parte della Bavaria, di un’associazione di studenti (punto 184 della decisione impugnata) sia l’unico elemento di prova che fornisce una testimonianza concreta delle discussioni tra i birrifici (nella specie, la Heineken e la Bavaria) quanto alla sottrazione della clientela «horeca» (v. punto 107 supra). Secondo la ricorrente, da tale nota si può dedurre, tutt’al più, che il rappresentante della Heineken ha espresso il proprio malcontento quanto alla perdita di un cliente «horeca» molto importante. La ricorrente nega, peraltro, l’esistenza di un sistema di compensazioni tra i birrifici nell’ipotesi di sviamento di clienti facendo valere che l’esistenza di un tale sistema sarebbe incompatibile con l’esistenza dell’asserita concertazione sulla ripartizione della clientela.

138    Tali affermazioni della ricorrente non sono plausibili. Nella decisione impugnata, la Commissione rileva, correttamente, che la frase «[g]li ettolitri persi, allora, avrebbero potuto essere compensati in un altro modo», nel testo della nota in questione, indica che non vi è stata una discussione tra la Heineken e la Bavaria in ordine alla necessità di una compensazione, ma solo in ordine al modo di ottenere una compensazione (punto 185 della decisione impugnata) e che l’uso delle espressioni «ben nota retorica», «accento» e «volontariamente» significa che, secondo l’autore, che appartiene alla Heineken, si sospetta che la Bavaria non rispetti una norma ai sensi della quale i birrifici non sollecitano attivamente clienti «horeca» degli altri birrifici (punto 188 della decisione impugnata).

139    Pertanto, l’elemento richiamato ai punti 184‑188 della decisione impugnata corrobora le affermazioni contenute nella dichiarazione della InBev, citate al punto 48 della decisione impugnata, quanto all’esistenza di un accordo di non-sottrazione di clienti «horeca».

140    In terzo luogo, la ricorrente fa valere che, nonostante le menzioni di un «consenso» nella lettera del 25 marzo 1997 (citata al punto 89 della decisione impugnata), di una promessa della Bavaria nella nota interna della Heineken del 14 ottobre 1998 (citata al punto 179 della decisione impugnata) quanto all’aumento dei prezzi nel segmento del consumo a domicilio, e della percentuale esatta di tale aumento negli appunti manoscritti di un direttore horeca della Bavaria (citate al punto 129 della decisione impugnata), e nonostante la discussione sugli sconti, concessi al segmento «horeca», riflessa negli appunti manoscritti citati ai punti 92 e 143 della decisione impugnata, i birrifici hanno continuato ad applicare in modo indipendente le proprie strategie sul mercato.

141    Quanto all’indicazione, nella nota interna della Heineken (richiamata al punto 179 della decisione impugnata) secondo la quale «l’aumento di prezzo promesso dalla Bavaria nell’ambito nella CBK non risulta chiaramente nelle [cifre] della Nielsen», la ricorrente rileva che il fatto di utilizzare il termine «promessa» per designare la propria comunicazione di aumento di prezzo, nota al mercato già da mesi, non costituisce la prova convincente di un’intesa.

142    Orbene, si deve rilevare che, come correttamente indicato dalla Commissione al punto 182 della decisione impugnata, interpretare il termine «promettere» come il fatto di «menzionare» semplicemente un aumento di prezzo si discosta dal suo senso ordinario. La conclusione sull’esistenza di un impegno della ricorrente di aumentare i propri prezzi è avvalorata dalla menzione del fatto che l’aumento «non risulta chiaramente nelle [cifre] della Nielsen». Infatti, i dati delle casse dei supermercati in questione sono stati utilizzati come uno strumento di controllo mediante il quale l’aumento di prezzo della Bavaria doveva essere reso «dimostrabile» (punto 133 della decisione impugnata). Il riferimento a tali dati, che figura anche negli appunti manoscritti del direttore horeca della Bavaria (citati al punto 129 della decisione impugnata), si colloca più logicamente nel contesto del controllo dell’attuazione di un impegno che in quello della verifica di una semplice menzione.

143    Inoltre, l’esistenza di un consenso per aumentare i prezzi prima del 1998 risulta in modo estremamente chiaro dalla lettera interna della Interbrew del 25 marzo 1997 (citata al punto 89 della decisione impugnata). Quanto all’argomento della ricorrente relativo al fatto che, in realtà, nessun aumento di prezzi sarebbe stato applicato precedentemente al 1998, è sufficiente rilevare che la semplice mancata esecuzione di un accordo sui prezzi non implica, di per sé, che l’accordo stesso non sia mai esistito.

144    Nemmeno il fatto che l’aumento di prezzo di cui alla detta lettera dovesse intervenire «prima del 1998», mentre i menzionati elementi di prova di cui è causa sono stati redatti nel 1998, è tale da confutare l’esistenza di un nesso tra tali documenti. Si può ben concepire, infatti, che, a causa delle difficoltà connesse alla negoziazione delle modalità della sua attuazione (in particolare, dell’aumento differenziato dei prezzi dei marchi A e B di cui alla lettera interna della Interbrew), l’aumento di prezzo inizialmente previsto per una data nel 1997 sia stato inizialmente rimandato all’anno successivo e poi abbandonato dai birrifici.

145    Quanto all’affermazione della ricorrente secondo la quale, nonostante la discussione in ordine agli sconti, concessi al segmento «horeca», i birrifici avrebbero continuato ad applicare in modo indipendente le proprie strategie sul mercato, è sufficiente ricordare che si deve presumere, salvo prova contraria che spetta agli operatori interessati fornire, che le imprese partecipanti alla concertazione e che restano attive sul mercato tengano conto delle informazioni scambiate con i loro concorrenti per determinare il proprio comportamento su tale mercato. Ciò vale a maggior ragione allorché la concertazione ha luogo su base regolare nel corso di un lungo periodo, come avvenuto nel caso di specie (v., in tal senso, sentenza Hüls/Commissione, punto 36 supra, punto 162).

146    In quarto luogo, quanto alla sua concertazione bilaterale con la Interbrew nel segmento della birra venduta con marchi dei distributori, anzitutto, la ricorrente fa valere che la lettera interna della Interbrew datata 26 settembre 1997 (citata al punto 227 della decisione impugnata) e la dichiarazione della InBev del 21 febbraio 2006 (citata al punto 228 della decisione impugnata) riguardano un cliente stabilito in Germania e non possono pertanto costituire, di per sé, un elemento di prova relativo a un’infrazione concernente il mercato olandese. Inoltre, per quanto riguarda gli elementi relativi alla riunione del 14 o del 15 giugno 1998, vale a dire gli appunti manoscritti di uno dei dirigenti della ricorrente (citati al punto 236 della decisione impugnata) e il passo della dichiarazione della InBev del 21 febbraio 2006 (citato al punto 238 della decisione impugnata), da cui risulta la decisione di attribuire un contratto con un consorzio di acquisto di rivenditori al dettaglio alla Interbrew nei Paesi Bassi e che, in seguito, il dirigente della InBev ha informato gli altri partecipanti che non dovevano più sottoporre offerte a tale organizzazione, la ricorrente fa valere che dagli elementi in questione discende che tale decisione era stata già adottata al momento della riunione. Secondo la ricorrente, tali elementi non dimostrano, pertanto, la concertazione tra la medesima e gli altri birrifici quanto al fornitore che avrebbe rifornito l’organizzazione in questione pro futuro.

147    Al riguardo, si deve osservare che gli elementi di prova considerati dalla Commissione al fine di dimostrare une concertazione bilaterale tra la ricorrente e la Interbrew non si limitano a quelli richiamati al precedente punto 146, ma includono anche i documenti richiamati al punto 224 della decisione impugnata, concernenti une serie di riunioni bilaterali tra la ricorrente e la Interbrew, la cui interpretazione non è contestata dalla ricorrente. In particolare, da tali documenti risulta che tra gli argomenti discussi figuravano «la situazione del mercato dei marchi del distributore nei Paesi Bassi e il fatto che la Bavaria aveva preso un cliente alla Interbrew (…) [nonché l’]offerta di base fatta al [cliente]» (punto 224 e nota a pie’ di pagina n. 495 della decisione impugnata).

148    Inoltre, anche se gli elementi richiamati ai punti 227 e 228 della decisione impugnata riguardano un cliente stabilito in Germania e quelli richiamati ai punti 236 e 238 evocano un fatto già compiuto, tali elementi, tuttavia, forniscono un’indicazione pertinente dell’esistenza di una prassi tra la ricorrente e la Interbrew di scambiare informazioni sensibili sul mercato e, pertanto, corroborano gli elementi richiamati al punto 224 della decisione impugnata a sostegno dell’accertamento di una concertazione bilaterale tra tali imprese nel segmento della birra venduta con marchio del distributore.

149    In quinto luogo, quanto alla sua partecipazione alle riunioni a Breda con la Interbrew Nederland e i birrifici belgi Interbrew Belgique, Alken-Maes, Haacht e Martens, la ricorrente fa osservare che tali riunioni sono state organizzate su iniziativa della Interbrew e fa riferimento alle seguenti dichiarazioni del birrificio belga Alken-Maes e del Groupe Danone SA, citate ai punti 160 e 177 della decisione della Commissione 5 dicembre 2001, 2003/569/CE, relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81 [CE] (Caso IV/37.614/F3 PO/Interbrew e Alken-Maes) (JO 2003, L 200, pag. 1):

–        Alken-Maes: «Riguardo al mercato olandese, qualsiasi scambio d’informazioni è stato respinto»;

–        Groupe Danone: «Non si aveva inoltre una visione completa del mercato dei prodotti a marchio privato, poiché i produttori stranieri hanno rifiutato di collaborare».

150    Tali dichiarazioni devono, tuttavia, essere interpretate alla luce degli elementi dedotti dalla Commissione ai punti 234, 240 e 241 della decisione impugnata.

151    Anzitutto, dalla dichiarazione della Haacht relativa alla prima riunione del 14 o 15 giugno 1998 risulta che il rifiuto di scambiare informazioni si riferiva, in effetti, unicamente ai prezzi: «quanto ai prezzi, i partecipanti hanno convenuto, per principio, di non scambiare informazioni a tal proposito (…)». I birrifici olandesi, per contro, hanno «(…) prestato il loro accordo per lo scambio dei dati relativi ai volumi, ai tipi di condizionamento, alla durata dei contratti e di eventuali termini di scadenza e ai clienti». Risulta, inoltre, da tale dichiarazione che «i partecipanti alla riunione hanno ritenuto che occorresse incaricare una parte neutra di centralizzare lo scambio di informazioni[; t]ale domanda è stata presentata poiché le parti presenti sul mercato olandese non avevano fiducia nelle altre parti[; l]a Haacht è stata invitata a centralizzare le informazioni in quanto non era attiva sul mercato olandese».

152    Inoltre, risulta dalla dichiarazione della Haacht relativa alla seconda riunione del 7 luglio 1998 che, durante tale riunione, «la Haacht ha proceduto alla distribuzione delle informazioni raccolte sul mercato olandese».

153    Infine, risulta dalla dichiarazione di un direttore «consumo a domicilio» della InBev (punto 241 della decisione impugnata) che «la Bavaria e la Interbrew hanno comunicato solo i volumi per marchio del distributore e per cliente, ove i birrifici avevano parimenti indicato gli sconti[; t]ale quadro d’insieme è stato redatto dal direttore commerciale della Haacht[; e]sso è stato inviato agli indirizzi privati dei presenti».

154    Alla luce di tali elementi, gli argomenti della ricorrente quanto all’assenza di un accordo con gli altri partecipanti alle riunioni ai fini di scambiare informazioni professionali riservate non possono essere accolti.

155    Da tutte le suesposte considerazioni risulta che, nella decisione impugnata, la Commissione ha dedotto un complesso di prove precise e concordanti, che dimostrano, in termini sufficientemente validi, gli accertamenti di fatto relativi alle componenti dell’infrazione in questione quanto al coordinamento dei prezzi e degli aumenti di prezzo e alla ripartizione della clientela. La validità di tali accertamenti, d’altronde, non è rimessa in questione dagli argomenti della ricorrente relativi agli elementi elencati al precedente punto 132.

156    Si deve pertanto respingere l’argomento della ricorrente relativo ad un errore nella valutazione dei fatti quanto a queste due componenti dell’infrazione in causa.

–       Sugli elementi di fatto relativi all’accertamento di un coordinamento occasionale di altre condizioni commerciali offerte ai singoli clienti nel segmento «horeca»

157    La ricorrente sostiene che la Commissione non ha dimostrato che le imprese interessate abbiano coordinato le condizioni commerciali, diverse dai prezzi, offerte ai clienti del segmento «horeca».

158    La Commissione ritiene che gli appunti manoscritti richiamati ai punti 67 e 138 della decisione impugnata contengano la prova di un coordinamento occasionale, tra i quattro birrifici, di talune condizioni commerciali, quali le condizioni dei prestiti, proposte ai clienti individuali «horeca» (punto 258 della decisione impugnata).

159    Gli appunti manoscritti citati al punto 67 della decisione impugnata presentano la seguente menzione: «Cauzioni/finanziamenti: fin[anziamenti] per (...) superiori a quanto necessario per punti precisi. Pertanto (…) mil[ioni]».

160    Secondo la Commissione, tale citazione significa pertanto che, nella riunione del 27 febbraio 1996, i birrifici hanno discusso in ordine alle cauzioni e ai finanziamenti applicati o da applicare da parte di uno o più birrifici a favore di particolari aspetti di gestione (punto 68 della decisione impugnata).

161    Orbene, si deve osservare che la ricorrente propone un’alternativa plausibile all’interpretazione del passo invocata dalla Commissione, sostenendo che questo si collocherebbe nel contesto di un dibattito sui «debitori dubbi».

162    Al punto 138 della decisione impugnata, la Commissione invoca gli appunti manoscritti di un direttore «horeca» della Bavaria relativi alla riunione del 12 marzo 1998, contenenti il seguente passo: «Bav interesse (…)%? salvo sussistenza dell’indennità di pubblicità». Secondo la Commissione, tale passo prova che si è svolta una discussione relativa al livello dei tassi di interesse praticati sui prestiti consentiti ai punti vendita «horeca» (punto 142 della decisione impugnata).

163    Orbene, anche a voler ritenere che la Commissione abbia correttamente interpretato gli appunti manoscritti, il carattere isolato e laconico di un tale riferimento e l’assenza di qualsivoglia indicazione concreta quanto alla partecipazione degli altri birrifici ad una discussione sugli argomenti in causa non consentono di considerare tali appunti quale prova sufficiente dell’esistenza di una collusione che abbia avuto ad oggetto un coordinamento occasionale di talune condizioni commerciali.

164    Nelle sue risposte ai quesiti sollevati dal Tribunale, la Commissione sostiene che gli appunti manoscritti, richiamati ai punti 67 e 138 della decisione impugnata, siano corroborati dalla dichiarazione della InBev dalla quale risulterebbe, da una parte, che la riunione «Catherijne» del 12 marzo 1998 sarebbe stata dedicata sia alle questioni connesse all’«horeca» sia al consumo a domicilio, e, dall’altra, che i partecipanti alle riunioni «Catherijne» si sarebbero accordati quanto agli investimenti nell’«horeca» al fine di evitare le sottrazioni di clientela.

165    È giocoforza rilevare, tuttavia, che i due passi citati dalla Commissione, al pari del riferimento della medesima allo «spirito della dichiarazione della InBev», non apportano indizi concreti quanto all’esistenza di discussioni tra i birrifici vertenti sul coordinamento delle condizioni dei prestiti e non sono, pertanto, tali da supportare la conclusione tratta in tal senso dalla Commissione.

166    Si deve pertanto rilevare che la dichiarazione della Commissione relativa al coordinamento occasionale, tra i birrifici, delle condizioni dei prestiti, proposti ai clienti individuali «horeca», si fonda su elementi di prova frammentari e imprecisi.

167    In effetti, in considerazione, da una parte, del carattere isolato e laconico dei riferimenti compiuti negli appunti manoscritti richiamati ai punti 67 e 138 della decisione impugnata, nonché della plausibile interpretazione alternativa sostenuta dalla ricorrente e, dall’altra, dell’assenza di indizi concreti al riguardo nella dichiarazione della InBev, si deve rilevare che la Commissione non ha dimostrato, in termini sufficientemente validi, che l’infrazione in questione abbia incluso un «coordinamento occasionale di altre condizioni commerciali offerte ai singoli consumatori nel segmento horeca nei Paesi Bassi».

168    Il rilievo espresso in tal senso, al punto 258 e all’art. 1 della decisione impugnata, non può pertanto considerarsi dimostrato.

169    Pertanto, l’argomento della ricorrente attinente ad un errore nella valutazione dei fatti quanto al coordinamento occasionale di altre condizioni commerciali offerte ai singoli clienti nel segmento «horeca» deve essere accolto.

–       Sul preteso errore di diritto e di qualificazione dei fatti

170    La ricorrente sostiene che l’accertamento, da parte della Commissione, dell’esistenza di un insieme di accordi e/o di pratiche concertate tra imprese ai sensi dell’art. 81 CE proceda da un errore relativo all’interpretazione e all’applicazione di tale disposizione (punti 337 e 341 della decisione impugnata).

171    Si deve ricordare, anzitutto, che, nel contesto delle riunioni multilaterali e dei loro contatti bilaterali, i quattro birrifici hanno, più volte, scambiato informazioni sensibili sul mercato (i prezzi, l’importo degli sconti e le offerte concrete a taluni clienti), che erano talvolta piuttosto dettagliate (documenti richiamati ai punti 129 e 174 della decisione impugnata) e contenevano cifre concrete quanto ai prezzi (documenti richiamati ai punti 76, 89, 117, 129 e 174 della decisione impugnata), agli sconti e alle provvigioni per le riduzioni (documenti richiamati ai punti 143 e 165 della decisione impugnata), nonché indicazioni concernenti clienti e punti vendita sia nel segmento «horeca» (documenti richiamati ai punti 92, 143, 156, 165 e 184 della decisione impugnata) sia in quello del consumo a domicilio (documenti richiamati ai punti 76 e 156 della decisione impugnata).

172    Alcune proposte concrete concernenti il comportamento sul mercato sono state parimenti dibattute, in particolare la proposta di procedere a un aumento dei prezzi in due fasi nel segmento del consumo a domicilio (documento richiamato al punto 89 della decisione impugnata).

173    Le circostanze che non sia stato redatto alcun verbale ufficiale per le riunioni «Catherijne», che la sostanza delle discussioni non abbia quasi mai avuto riscontro in una nota interna e che alcune agende e note redatte in occasione di tali riunioni siano state distrutte nel novembre 1998 (dichiarazione della InBev citata al punto 61 della decisione impugnata) indicano, inoltre, che, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, le discussioni avevano un carattere segreto e che i partecipanti erano consapevoli dell’illegittimità del loro comportamento e tentavano di dissimularlo.

174    Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, dalle prove documentali esaminate dalla Commissione risulta che si è realizzato un concorso di volontà riguardo a talune proposte, come quelle dell’attribuzione di un contratto con un consorzio di acquisto di commercianti al dettaglio alla Interbrew (documento richiamato al punto 236 e nota a pie’ di pagina n. 531 della decisione impugnata) e dell’aumento concertato dei prezzi prima o durante il 1998 (documento richiamato al punto 89 della decisione impugnata).

175    L’esistenza, in quest’ultimo caso, di un accordo ai sensi dell’art. 81 CE non è rimessa in questione né dalla probabile circostanza che il concorso di volontà tra i birrifici non si estendesse alle modalità concrete dell’attuazione dell’aumento dei prezzi, né dal fatto che quest’ultimo, in effetti, non si sia mai prodotto sul mercato.

176    Infatti, anche a voler ritenere che non sia mai stato raggiunto un accordo quanto agli elementi specifici della restrizione prevista, correttamente la Commissione ha rilevato che, con la regolare prosecuzione delle discussioni, i birrifici avevano chiaramente manifestato la loro comune intenzione di pervenire ad un accordo anticoncorrenziale (punto 341 della decisione impugnata).

177    Del resto, lo scambio continuo di informazioni sensibili, non accessibili al pubblico e che i rappresentanti dei quattro birrifici hanno ritenuto utile annotare nelle loro agende e menzionare nel contesto della loro corrispondenza interna, ha certamente avuto la conseguenza di ridurre, per ciascuno di loro, l’incertezza quanto al comportamento prevedibile dei loro concorrenti.

178    Al riguardo, si deve presumere, fatta salva la prova contraria il cui onere incombe agli operatori interessati, che le imprese partecipanti alla concertazione e che rimangono presenti sul mercato tengano conto degli scambi di informazioni con i loro concorrenti per decidere il proprio comportamento sul mercato stesso. Ciò a maggior ragione allorché la concertazione abbia luogo su base regolare nel corso di un lungo periodo, come avvenuto nel caso di specie (v., in tal senso, sentenza Hüls/Commissione, punto 36 supra, punto 162).

179    La ricorrente ritiene, in sostanza, di aver confutato tale presunzione dimostrando che, nonostante le discussioni, i quattro birrifici abbiano determinato il loro comportamento sul mercato in modo autonomo.

180    Tale argomento non può essere accolto. È pur vero che sia le dichiarazioni dei dirigenti della InBev sia la circostanza che la Heineken abbia aumentato i propri prezzi solo nel febbraio 2000 evidenziano che, durante il periodo contestato, ogni birrificio seguiva la propria politica sul mercato. Tuttavia, anche se quest’ultimo rilievo è tale da dimostrare l’assenza di impegni formali o di un coordinamento effettivo tra i birrifici, esso non è sufficiente per provare che questi non abbiano mai tenuto conto dello scambio di informazioni durante le riunioni censurate per determinare il loro comportamento sul mercato, ciascuno nel modo in cui lo interpreta.

181    Conseguentemente, la ricorrente non è riuscita a confutare la presunzione risultante dalla giurisprudenza citata al precedente punto 178.

182    Si deve pertanto rilevare che, nel caso di specie, ricorrono congiuntamente gli elementi costitutivi di una pratica concertata, risultanti dalla giurisprudenza citata supra ai punti 36 e 37, quanto ai comportamenti relativi, da una parte, al coordinamento dei prezzi e degli aumenti del prezzo della birra e, dall’altra, al coordinamento occasionale sulla ripartizione della clientela.

183    Ciò premesso, occorre rilevare che la Commissione poteva legittimamente qualificare i comportamenti in questione come «un complesso di accordi e/o pratiche concordate», in quanto tali comportamenti presentavano sia elementi da qualificare come «accordi» sia elementi da qualificare come «pratiche concordate». Infatti, a fronte di una situazione di fatto complessa, la duplice qualifica operata dalla Commissione nell’art. 1 della decisione impugnata deve essere intesa non come una qualifica che richieda simultaneamente e cumulativamente la prova che ciascuno di tali elementi di fatto integri gli elementi costitutivi di un accordo e di una pratica concordata, ma nel senso che essa designi un complesso unico di elementi di fatto, taluni dei quali sono stati qualificati accordi ed altri pratiche concordate ai sensi dell’art. 81 CE, il quale non prevede qualifiche specifiche per questo tipo di infrazione complessa (v., in tal senso, sentenza Hercules Chemicals/Commissione, punto 34 supra, punto 264).

184    Infine, la ricorrente contesta, invocando una violazione del principio del ne bis in idem, di poter essere ritenuta responsabile dell’asserita concertazione con i birrifici belgi quanto al segmento della birra venduta con marchio del distributore.

185    Essa fa valere, in particolare, che la concertazione belgo-olandese è già stata oggetto della decisione 2003/569 e che, in quest’ultima decisione, essa non è stata sanzionata per la sua presenza alle riunioni a Breda con la Interbrew Nederland e i birrifici belgi Interbrew Belgique, Alken-Maes, Haacht e Martens, sicché la Commissione non potrebbe sanzionarla nuovamente senza violare il principio del ne bis in idem, il quale vieta che un’impresa venga considerata responsabile a causa di un comportamento per il quale sai stata precedentemente assolta.

186    Si deve rammentare che il principio del ne bis in idem, che costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, del quale il giudice garantisce il rispetto, vieta di sanzionare lo stesso soggetto più di una volta per un medesimo comportamento illecito, al fine di tutelare lo stesso bene giuridico. L’applicazione di tale principio è soggetta ad una triplice condizione, vale a dire, di identità dei fatti, di unità del contravventore e di unità dell’interesse giuridico tutelato (sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, punto 41 supra, punto 338).

187    Nel caso di specie, occorre rilevare che la ricorrente non figura tra i destinatari della decisione 2003/569, né d’altronde della comunicazione degli addebiti adottata nel contesto del procedimento sfociato nell’adozione di detta decisione. Dai punti 250‑260 della decisione 2003/569 risulta chiaramente che la partecipazione della ricorrente alle riunioni a Breda è indicata unicamente nel contesto dell’esposizione dei fatti e non è oggetto di alcuna valutazione giuridica da parte della Commissione. D’altronde, è evidente che detta decisione non aveva affatto come oggetto una pronuncia sull’implicazione della ricorrente nella concertazione belgo-olandese.

188    Pertanto, dal momento che la ricorrente non è stata sanzionata, nel contesto della decisione 2003/569, per il comportamento illecito in causa nella fattispecie in esame, la sua argomentazione relativa alla violazione del principio del ne bis in idem non è fondata.

189    Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, l’argomento della ricorrente relativo ad un errore di diritto non può essere accolto.

190    Infine, non avendo la ricorrente dimostrato che la decisione impugnata sia viziata da un errore di diritto nell’applicazione dell’art. 81, n. 1, CE, va parimenti respinta la sua argomentazione, sostanzialmente fondata sulla medesima premessa, secondo la quale la Commissione avrebbe erroneamente interpretato tale disposizione, in violazione del principio della presunzione di innocenza, e avrebbe omesso di fornire motivi sufficienti a sostegno dell’accertamento dell’infrazione.

–       Conclusione

191    In esito all’esame del secondo motivo, svolto supra, si deve rilevare che la dichiarazione della Commissione quanto all’esistenza di un coordinamento occasionale delle condizioni commerciali, diverse dai prezzi, offerte ai singoli consumatori nel segmento «horeca» nei Paesi Bassi non è provata in termini sufficientemente validi e non può trovare accoglimento (v. punti 159‑169 supra).

192    Conseguentemente, deve essere annullato l’art. 1 della decisione impugnata nella parte in cui considera detta componente dell’infrazione in causa, con riforma dell’importo dell’ammenda conseguentemente inflitta alla ricorrente. Le conseguenze concrete di tale riforma saranno precisate infra ai punti 344 e 345.

193    Il secondo motivo dev’essere respinto quanto al resto.

 Sul terzo motivo, concernente la durata dell’infrazione

 Argomenti delle parti

194    La ricorrente contesta la determinazione del 27 febbraio 1996 e del 3 novembre 1999 come date di inizio e di cessazione dell’infrazione imputatale. Essa ritiene, in particolare, che l’inizio e la cessazione dell’infrazione siano subordinati ad un onere della prova più importante, che non sarebbe soddisfatto nel caso di specie.

195    Quanto alla riunione del 27 febbraio 1996, considerata quale data di inizio dell’infrazione, la ricorrente sostiene che gli appunti manoscritti richiamati dalla Commissione al punto 67 della decisione impugnata riguardino una discussione generale relativa ai «debitori dubbi» nel segmento «horeca», che non potrebbe essere considerata restrittiva della concorrenza.

196    Quanto alla riunione del 3 novembre 1999, considerata quale data di cessazione dell’infrazione, la ricorrente sostiene che la dichiarazione della Commissione relativa al carattere illecito di detta riunione sia contraddetta delle dichiarazioni dei direttori della InBev.

197    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

 Giudizio del Tribunale

198    La durata dell’infrazione è un elemento costitutivo della nozione di infrazione ai sensi dell’art. 81, n. 1, CE; l’onere della prova di tale elemento incombe in via principale alla Commissione. A questo proposito la giurisprudenza esige che, in mancanza di elementi di prova tali da dimostrare direttamente la durata dell’infrazione, la Commissione si fondi quantomeno su elementi di prova riferentisi a fatti sufficientemente ravvicinati nel tempo, in modo tale che si possa ragionevolmente ammettere che l’infrazione sia durata ininterrottamente entro due date precise (v. sentenza Peróxidos Orgánicos/Commissione, punto 78 supra, punto 51, e la giurisprudenza ivi richiamata).

199    Nel caso di specie, la ricorrente contesta la determinazione sia della data di inizio che della data di cessazione dell’infrazione.

–       Sulla determinazione della data di inizio dell’infrazione

200    La Commissione ha considerato il 27 febbraio 1996 quale data di inizio dell’infrazione in questione, essendo questa la data della prima riunione «Catherijne» per la quale essa disponeva di prove dirette della presenza dei quattro birrifici.

201    Come rilevato ai precedenti punti 159‑169, gli appunti manoscritti relativi a tale riunione, citati al punto 67 della decisione impugnata, non costituiscono, di per sé, un complesso di prove tali da fondare, in termini sufficientemente validi, l’accertamento dell’infrazione relativa al coordinamento occasionale di altre condizioni commerciali offerte ai singoli consumatori nel segmento «horeca».

202    Tale considerazione, tuttavia, non esclude, di per sé, che questi stessi elementi siano utilizzati per determinare la data di inizio dell’infrazione complessivamente intesa.

203    Infatti, è giocoforza rilevare che la riunione del 27 febbraio 1996 si iscrive in una serie di riunioni periodiche che coinvolgevano gli stessi partecipanti e si svolgevano in circostanze simili. Tali riunioni erano designate con le denominazioni «concertazione Catherijne» e «commissione dell’ordine del giorno», riunivano rappresentanti dei quattro birrifici olandesi Heineken, InBev, Grolsch e Bavaria, erano organizzate parallelamente alle riunioni ufficiali della CBK e le discussioni svolte nel loro contesto non trovavano mai riscontro nei verbali e quasi mai in note interne. Nella dichiarazione della InBev, tali riunioni sono parimenti presentate come facenti parte di una serie, e una tabella con nomi, indirizzi, date e luoghi di gran parte di esse, compresa quella del 27 febbraio 1996, è fornita in allegato (punto 44 della decisione impugnata).

204    Si è già rilevato, sulla base sia della dichiarazione della InBev sia di numerosi altri elementi di prova, che le riunioni che facevano parte di questa serie avevano un oggetto anticoncorrenziale (v. supra punti 171‑176). In tal senso, da una parte, un complesso di indizi dimostra il carattere sistematico delle riunioni nonché il loro contenuto anticoncorrenziale e, dall’altra, la dichiarazione della InBev, che possiede un importante valore probatorio, consente di dimostrare, salvo prova contraria, che l’oggetto restrittivo della concorrenza riguarda tutte le riunioni in questione, anche in assenza di prova sufficiente quanto al contenuto di alcune di esse.

205    La ricorrente ritiene, in sostanza, che tale logica non possa essere applicata nel contesto della determinazione delle date di inizio e di cessazione dell’infrazione. Essa sostiene, in particolare, che la Commissione debba dimostrare in termini sufficientemente validi la data precisa di inizio dell’infrazione.

206    Deve rilevarsi, al riguardo, che, per determinare la data di inizio dell’infrazione, la Commissione non si è limitata a richiamarsi agli elementi relativi alla riunione del 27 febbraio 1996.

207    Infatti, ai punti 466‑469 della decisione impugnata, l’istituzione afferma, rispetto a ciascuno dei birrifici interessati, compresa la ricorrente, che esso ha partecipato all’infrazione «almeno tra il 27 febbraio 1996 e il 3 novembre 1999». Al punto 56 della decisione impugnata, essa precisa, inoltre, che, secondo la dichiarazione della InBev, l’infrazione ha avuto inizio molto prima del 1996, vale a dire:

–        «nel 1990 o ancora prima» quanto alle discussioni concernenti gli aumenti dei prezzi «horeca»;

–        nel «1993‑1994» quanto alle discussioni concernenti gli sconti e i trasferimenti tra birrifici di punti vendita «horeca»;

–        nel «1987» quanto alle discussioni tra la Oranjeboom-Interbrew e la Bavaria concernenti la birra venduta con marchio del distributore.

208    In considerazione del significativo valore probatorio della dichiarazione della InBev, la Commissione ha potuto accertare che l’infrazione in causa ha avuto inizio almeno alla data delle prime riunioni nel 1996, che figurano nella tabella allegata alla dichiarazione della InBev, alle quali la InBev è stata rappresentata a seguito della sua acquisizione da parte della Oranjeboom nel 1995.

209    Pertanto, considerato che, in primo luogo, è stato dimostrato che la ricorrente era rappresentata alla riunione del 27 febbraio 1996 e che, in secondo luogo, risulta dalla dichiarazione della InBev che la ricorrente era coinvolta nelle riunioni «Catherijne» sin dall’inizio nel 1993 o nel 1994, correttamente la Commissione ha potuto dichiarare che la ricorrente era coinvolta nell’infrazione in causa almeno a decorrere dal 27 febbraio 1996.

210    Il fatto che la decisione impugnata non abbia affermato l’esistenza di un’infrazione precedentemente a tale data costituisce, in effetti, una concessione nei confronti dei destinatari della decisione impugnata. Al riguardo, si deve rilevare che il Tribunale non è chiamato a statuire quanto alla legittimità o all’opportunità di detta concessione (v., in tal senso, sentenza JFE Engineering e a./Commissione, punto 40 supra, punti 340 e 341).

211    Ciò premesso, trattandosi di una riunione che si iscrive in un sistema di riunioni regolari il cui carattere anticoncorrenziale è stato dimostrato in termini sufficientemente validi, l’accertamento della data di inizio dell’infrazione non può essere rimessa in questione dall’argomento della ricorrente relativo all’insufficienza della prova concreta quanto al contenuto della riunione del 27 febbraio 1996.

212    Conseguentemente, deve essere respinta la censura relativa alla determinazione della data di inizio dell’infrazione.

–       Sulla determinazione della data di cessazione dell’infrazione

213    La Commissione ha considerato il 3 novembre 1999 come data di cessazione dell’infrazione per tutti i birrifici interessati (punti 466‑469 della decisione impugnata), trattandosi della data dell’ultima riunione «Catherijne» per la quale la Commissione dispone di prove dirette della presenza dei quattro birrifici. Tale riunione figura alla fine della tabella cronologica allegata alla dichiarazione della InBev. A termini di una risposta della InBev a una domanda di informazioni della Commissione, la riunione del 3 novembre 1999 era una «riunione Catherijne (questioni horeca/commissione dell’ordine del giorno)[; c]ome sempre nelle consultazioni Catherijne, vi si parlava principalmente di accordi eccessivi e di coesistenza pacifica» (punto 221 della decisione impugnata).

214    La ricorrente ritiene che tale dichiarazione sia contraddetta dalle dichiarazioni dei direttori della InBev che hanno assistito alla riunione del 3 novembre 1999, di cui essa richiama i seguenti passi:

–        «Il 19 agosto 1999, si è svolta una concertazione alla quale ho assistito. Il 3 novembre 1999, ha avuto luogo una riunione alla quale il sig. (…) ed io stesso abbiamo assistito. In entrambi i casi, non si è parlato concretamente di comportamenti sul mercato. La riunione aveva piuttosto un carattere informale»;

–        «Vi sono riunioni dei quattro direttori horeca (Heineken, Grolsch, Bavaria e Interbrew). Ho assistito solo ad una di tali riunioni, il 3 novembre 1999 a Enschede. Il sig. (…) mi ci aveva accompagnato per presentarmi. Tale riunione non aveva molta consistenza. Si trattava piuttosto di una riunione gradevole, senza un ordine del giorno particolare. Sono stati compiuti commenti generali relativi agli sconti. Avevo l’impressione che esistesse da anni una sorta di sistema di scala o una regola per gli sconti, ma questo non è mai stato detto in termini specifici. Si parlava solo di importi globali di sconti in termini estremamente generici, ciò che ha costituito l’occasione di fare il punto quanto a alcuni incidenti. La mia impressione è che la scala non funzionasse. Ogni operatore determinava la propria strategia. Vi è stato, forse, un certo tentativo di intimidazione, ma ciascuno si comportava comunque come intendeva fare».

215    Si deve rilevare che, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, le dichiarazioni che essa richiama non si pongono in contraddizione con gli elementi considerati dalla Commissione. I riferimenti agli «accordi eccessivi» e alla «coesistenza pacifica», nonché alla «scala» e alla «regola per gli sconti», si riferiscono chiaramente al coordinamento dei tassi degli sconti applicati ai clienti «horeca». La sola precisazione introdotta dalle dichiarazioni dei direttori della InBev riguarda il livello di dettaglio delle discussioni, asseritamente limitate a «commenti generali», nonché l’assenza di loro effetti sul mercato, vale a dire il fatto che «la scala non funzionasse». Orbene, si è già rilevato che né il carattere generale delle discussioni, né l’assenza di effetti sul mercato sono tali da contraddire il carattere di infrazione della riunione in questione (v. punti 69‑71 supra).

216    La circostanza che la riunione del 3 novembre 1999 si iscrivesse in un sistema di riunioni anticoncorrenziali (v. punti 203 e 204 supra) e che gli argomenti richiamati fossero connessi alle precedenti discussioni restrittive della concorrenza indica, inoltre, che l’oggetto della convocazione stessa della riunione consisteva nel garantire le condizioni necessarie per la prosecuzione di tali discussioni.

217    In ogni caso, anche a voler ritenere che sussista una certa contraddizione tra le dichiarazioni dei dipendenti della InBev richiamate dalla ricorrente, da una parte, e la risposta della InBev alla domanda di informazioni, dall’altra, si deve considerare che il valore probatorio di quest’ultima è superiore, alla luce della giurisprudenza secondo la quale una dichiarazione data a nome dell’impresa in quanto tale riveste una credibilità superiore a quella che potrebbe presentare la risposta fornita da un suo dipendente, indipendentemente dall’esperienza e dall’opinione personali di quest’ultimo (v., in tal senso, sentenza LR AF 1998/Commissione, punto 77 supra, punto 45).

218    Deve conseguentemente essere respinta la censura relativa alla determinazione della data di cessazione dell’infrazione e, pertanto, il terzo motivo in toto.

 Sul primo motivo, attinente alla violazione del principio di buona amministrazione

 Argomenti delle parti

219    La ricorrente sostiene, in sostanza, che la Commissione ha violato il principio di buona amministrazione per non aver condotto un’inchiesta completa, minuziosa e imparziale. In primo luogo, la ricorrente fa valere che la Commissione ha sistematicamente interpretato i documenti che si trovano negli atti dell’inchiesta in modo parziale e tendenzioso. In secondo luogo, essa sostiene che le dichiarazioni che discendono dalla domanda di trattamento favorevole della InBev, essendo il pilastro fondamentale delle prove sulle quali si fonda la Commissione, avrebbero dovuto essere valutate con maggiori riserve. In terzo luogo, la ricorrente fa presente che la Commissione ha manifestamente utilizzato in modo selettivo le altre prove di cui disponeva e, nella decisione impugnata, si è limitata a citare i passi di tali prove che le consentivano di accertare l’esistenza di un’infrazione, facendo deliberatamente astrazione degli argomenti delle altre parti che avrebbero confutato le sue conclusioni. In quarto luogo, la ricorrente critica il membro della Commissione incaricato per la concorrenza per le dichiarazioni che questi avrebbe rivolto al pubblico nel contesto di un programma televisivo olandese immediatamente dopo l’adozione della comunicazione degli addebiti. Tali dichiarazioni evidenzierebbero, in particolare, che, per la Commissione, la colpevolezza dei birrifici era già dimostrata prima che questi avessero l’occasione di difendersi avverso la comunicazione degli addebiti.

220    In quinto luogo, la ricorrente contesta alla Commissione di aver modificato gli addebiti nel corso dell’indagine. In sostanza, fa valere che l’addebito relativo alla concertazione occasionale sull’attribuzione della clientela nel segmento «horeca» e nel segmento del consumo a domicilio non risultava nella comunicazione degli addebiti. In sesto luogo, la ricorrente fa valere che la Commissione non ha analizzato le prove volte a dimostrare come essa avesse condotto una concorrenza vivace fissando i propri prezzi in modo autonomo.

221    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

 Giudizio del Tribunale

222    Risulta da costante giurisprudenza che, tra le garanzie conferite dall’ordinamento giuridico dell’Unione nei procedimenti amministrativi, si annovera, in particolare, l’obbligo dell’istituzione competente di esaminare in modo accurato e imparziale tutti gli elementi rilevanti della fattispecie (sentenza della Corte 21 novembre 1991, causa C‑269/90, Technische Universität München, Racc. pag. I‑5469, punto 14).

223    Nel caso di specie, in primo luogo, quanto all’affermazione secondo la quale la Commissione non avrebbe esaminato in modo accurato e imparziale gli elementi di prova, si deve ricordare che, come già rilevato supra in esito all’esame del secondo motivo, la Commissione ha dedotto prove sufficienti quanto all’esistenza di un’infrazione all’art. 81 CE, per quanto riguarda le due componenti dell’infrazione in esame (v. punto 155 supra). Nel contesto dell’esame di tale motivo, il Tribunale ha già valutato le censure della ricorrente quanto alla valutazione della dichiarazione della InBev, nonché taluni elementi volti a fornire la prova contraria, apportati durante il procedimento amministrativo.

224    Ciò premesso, si deve ritenere che l’argomento della ricorrente relativo alla pretesa assenza di un’indagine completa, minuziosa e imparziale si confonde con gli argomenti esaminati supra, nel contesto del secondo motivo e non richiede un esame autonomo.

225    In secondo luogo, considerato che l’argomento della ricorrente relativo alle dichiarazioni effettuate dal membro della Commissione incaricato per la concorrenza può essere interpretato come attinente, in realtà, ad una violazione del principio della presunzione di innocenza, si deve rilevare che l’argomento dedotto è inconferente ai fini della soluzione della presente controversia.

226    L’esistenza di un’infrazione, infatti, deve essere valutata unicamente in funzione degli elementi di prova raccolti dalla Commissione. Quando la concreta esistenza di un’infrazione è effettivamente accertata al termine del procedimento amministrativo, la prova di una prematura dichiarazione della Commissione, resa durante il detto procedimento, riguardante la sua opinione sull’esistenza della detta infrazione non può eliminare la veridicità della prova dell’infrazione stessa (sentenza del Tribunale 15 marzo 2000, cause riunite T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Cimenteries CBR e a./Commissione, Racc. pag. II‑491, punto 726).

227    In ogni caso, le affermazioni compiute da un membro della Commissione nel corso di una trasmissione televisiva olandese, secondo cui, nel contesto di esempi di intervento della Commissione, i consumatori olandesi «hanno pagato troppo cara la loro birra» a causa del comportamento dei birrifici – per quanto la scelta di tali espressioni sia infelice – non sono tali da dimostrare che la Commissione abbia emesso anticipatamente la sua decisione.

228    Si deve rilevare che la Commissione, in quanto organo collegiale, delibera sulla base di un progetto di decisione. Al riguardo, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, le affermazioni del membro della Commissione in questione, in cui sono menzionate le azioni compiute dalla Commissione, non implicavano affatto che la Commissione considerasse la colpevolezza dei birrifici già provata.

229    In terzo luogo, quanto all’argomento relativo alla pretesa mancanza di concordanza tra la comunicazione degli addebiti e la decisione impugnata, per quanto riguarda la censura relativa alla ripartizione della clientela nei segmenti «horeca» e del consumo a domicilio, si deve rilevare che le censure della ricorrente sono infondate.

230    Dalla comunicazione degli addebiti, infatti, risulta che la Commissione ha chiaramente indicato che le parti si erano rese colpevoli di tale concertazione. In tal senso, da una parte, ai punti 262‑272 della comunicazione degli addebiti, essa ha espressamente indicato che i birrifici si erano accordati quanto alla ripartizione dei clienti nel segmento «horeca». Dall’altra, dai punti 311 e 312 della comunicazione degli addebiti risulta che le censure esposte riguardavano, segnatamente, una ripartizione dei clienti tra i birrifici.

231    Alla luce delle suesposte considerazioni, il primo motivo non può essere accolto.

 Sul sesto motivo, attinente alla violazione di forme sostanziali, del principio di buona amministrazione e dei diritti della difesa della ricorrente, per quanto riguarda il diniego di accesso a un documento del fascicolo nonché alle risposte alla comunicazione degli addebiti date da altre imprese interessate

 Argomenti delle parti

232    In primo luogo, la ricorrente contesta alla Commissione di averle negato l’accesso alle risposte alla comunicazione degli addebiti delle altre parti interessate dal procedimento, ledendo in tal modo i suoi diritti della difesa. Essa sostiene, in particolare, che tali risposte le avrebbero consentito di invocare altri elementi a suo favore a sostegno della conclusione secondo la quale i birrifici non si sarebbero mai accordati sul mercato olandese della birra. Essa fa valere, inoltre, che la Commissione ha utilizzato come prova contro di essa, al punto 203 della decisione impugnata, un elemento della risposta della Heineken, nella quale la Heineken avrebbe ammesso l’esistenza di discussioni sul prezzo della birra in barile, mentre tale elemento non le è stato comunicato.

233    In secondo luogo, la ricorrente fa valere che la Commissione le ha negato l’accesso a un documento degli atti pertinente ai fini della sua difesa, violando in tal modo l’art. 27, n. 2, del regolamento n. 1/2003. Essa fa presente, in particolare, di non aver avuto accesso alla tavola ricapitolativa del numero di clienti del segmento «horeca» che i birrifici hanno acquisito e perso nel periodo compreso tra il 1997 e il 2001. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, essa ritiene che tali informazioni non fossero riservate e che, con tale documento, avrebbe potuto dimostrare che sussistevano cambiamenti costanti nel segmento «horeca» del mercato olandese della birra, che dimostrano una concorrenza viva tra i birrifici.

234    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

 Giudizio del Tribunale

235    Ai sensi dell’art. 27, n. 2, del regolamento n. 1/2003, «[n]el corso del procedimento sono pienamente garantiti i diritti di difesa delle parti interessate[; e]sse hanno diritto d’accesso al fascicolo della Commissione, fermo restando il legittimo interesse delle imprese alla tutela dei propri segreti aziendali (...)».

236    Secondo costante giurisprudenza, il diritto di accesso agli atti, corollario del principio dei diritti della difesa, comporta che la Commissione deve dare all’impresa interessata la possibilità di procedere ad un esame della totalità dei documenti presenti nel fascicolo istruttorio che potrebbero essere rilevanti per la sua difesa (v., in tal senso, sentenza della Corte 2 ottobre 2003, causa C‑199/99 P, Corus UK/Commissione, Racc. pag. I‑11177, punti 125‑128, e sentenza del Tribunale 29 giugno 1995, causa T‑30/91, Solvay/Commissione, Racc. pag. II‑1775, punto 81).

237    Questi comprendono tanto i documenti a carico quanto quelli a favore, fatti salvi i segreti aziendali di altre imprese, i documenti interni della Commissione e le altre informazioni riservate (sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, punto 41 supra, punto 68).

238    Quanto ai documenti a carico, la mancata comunicazione di un documento costituisce una violazione dei diritti della difesa solo se l’impresa interessata dimostra, da un lato, che la Commissione si è basata su tale documento per suffragare il suo addebito relativo all’esistenza di un’infrazione e, dall’altro, che l’addebito possa essere provato solo facendo riferimento al documento stesso. All’impresa interessata spetta altresì dimostrare che il risultato al quale è pervenuta la Commissione nella sua decisione sarebbe stato diverso se tale documento non comunicato avesse dovuto essere eliminato dai mezzi di prova (sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, punto 41 supra, punti 71‑73).

239    Per contro, quanto alla mancata trasmissione di un documento a favore, l’impresa interessata deve solo provare che la sua mancata divulgazione ha potuto influenzare, a suo discapito, lo svolgimento del procedimento ed il contenuto della decisione della Commissione. È sufficiente che l’impresa dimostri che avrebbe potuto utilizzare detti documenti a favore per la sua difesa (sentenza della Corte 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. I‑8375, punto 318, e sentenza Hercules Chemicals/Commissione, punto 34 supra, punto 81), dimostrando, in particolare, che avrebbe potuto far valere elementi che non concordavano con le deduzioni operate dalla Commissione nello stadio della comunicazione degli addebiti e avrebbe potuto quindi influenzare, in una qualsiasi maniera, le valutazioni svolte nella decisione (sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, punto 41 supra, punto 75).

240    Nel contesto del presente motivo, la ricorrente sostiene di non aver avuto accesso, da un lato, alle risposte alla comunicazione degli addebiti date da altre imprese interessate e, dall’altro, a un documento del fascicolo considerato riservato dalla Commissione.

–       Sulle risposte delle altre imprese alla comunicazione degli addebiti

241    Si deve ricordare che la comunicazione degli addebiti è un atto volto a circoscrivere l’oggetto del procedimento avviato contro un’impresa e a garantire l’efficace esercizio dei diritti della difesa (v. sentenza del Tribunale 8 ottobre 2008, causa T‑69/04, Schunk e Schunk Kohlenstoff-Technik/Commissione, Racc. pag. II‑2567, punto 80, e la giurisprudencza ivi richiamata).

242    È in questa prospettiva che la comunicazione degli addebiti è circondata da garanzie procedurali che applicano il principio del rispetto dei diritti della difesa, tra le quali figura il diritto di accesso ai documenti che fanno parte del fascicolo della Commissione.

243    Le risposte alla comunicazione degli addebiti non fanno parte del fascicolo dell’istruttoria propriamente detto (sentenza Cimenteries CBR e a./Commissione, punto 226 supra, punto 380).

244    Quanto ai documenti non appartenenti al fascicolo costituito al momento della notifica della comunicazione degli addebiti, la Commissione è tenuta a divulgare dette risposte ad altre parti interessate solo nel caso in cui risulti che esse contengono nuovi elementi a carico o a favore.

245    Del pari, a termini del punto 27 della comunicazione della Commissione riguardante le regole per l’accesso al fascicolo istruttorio della Commissione nei casi relativi all’applicazione degli articoli 81 [CE] e 82 [CE], degli articoli 53, 54 e 57 dell’accordo SEE e del regolamento (CE) n. 139/2004 del Consiglio (GU 2005, C 325, pag. 7), come regola generale, le parti non hanno accesso alle risposte che le altre parti interessate dall’indagine hanno inviato alla comunicazione degli addebiti. Una parte può avere accesso a tali documenti solo se essi possono costituire nuove prove – di natura incriminante o assolutoria – riguardo agli elementi a carico della parte in questione, addotti dalla Commissione nella comunicazione degli addebiti.

246    Al riguardo, quanto, da una parte, ai nuovi elementi a carico, secondo costante giurisprudenza, qualora la Commissione intenda basarsi su un passo di una risposta ad una comunicazione degli addebiti per dimostrare l’esistenza di un’infrazione, le altre imprese coinvolte in detto procedimento devono essere messe in condizione di pronunciarsi riguardo a tale nuovo elemento di prova (sentenze del Tribunale Cimenteries CBR e a./Commissione, punto 226 supra, punto 386, e 27 settembre 2006, causa T‑314/01, Avebe/Commissione, Racc. pag. II‑3085, punto 50).

247    Nel caso di specie, la ricorrente sostiene che la Commissione abbia utilizzato, come prova contro di essa, al punto 203 della decisione impugnata, un elemento della risposta della Heineken in cui quest’ultima avrebbe ammesso l’esistenza di discussioni sul prezzo della birra in barile, laddove tale elemento non le è stato comunicato.

248    Si deve osservare che, al punto richiamato, la Commissione afferma, in risposta agli argomenti fatti valere dalla ricorrente e dalla Heineken, che l’esistenza di discussioni illecite durante la riunione dell’8 gennaio 1999 risulta dagli elementi precedentemente esposti, vale a dire dalla dichiarazione della InBev e dagli appunti dei rappresentanti della Grolsch e della ricorrente. Al riguardo, nonostante il fatto che la Commissione aggiunga che la stessa Heineken ha riconosciuto l’esistenza di discussioni sui prezzi, «con talune riserve», nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti, quest’ultima indicazione è solo un elemento accessorio in un complesso di indizi considerato dalla Commissione quanto alla riunione in questione, non essendo tale da costituire un nuovo elemento a carico nei confronti della ricorrente.

249    Per quanto riguarda, d’altra parte, i nuovi elementi a favore, dalla giurisprudenza risulta che la Commissione non ha l’obbligo di renderli accessibili di sua iniziativa. Nell’ipotesi in cui la Commissione abbia respinto, nel corso del procedimento amministrativo, una domanda di una ricorrente diretta ad ottenere l’accesso a documenti che non compaiono nel fascicolo dell’istruttoria, la violazione dei diritti della difesa può essere constatata solo se sia dimostrato che il procedimento amministrativo avrebbe potuto concludersi con un risultato diverso nell’ipotesi in cui la ricorrente avesse avuto accesso ai documenti di cui trattasi nel corso di tale procedimento (sentenza Cimenteries CBR e a./Commissione, punto 226 supra, punto 383).

250    Considerato che la ricorrente invoca l’esistenza di asseriti elementi a favore in risposte non divulgate, le incombe di fornire un primo indizio dell’utilità, ai fini della sua difesa, di tali documenti.

251    Essa deve indicare, in particolare, gli elementi a favore potenziali o fornire un indizio che accrediti la loro esistenza e, pertanto, la loro utilità ai fini del giudizio (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 27 settembre 2006, causa T‑43/02, Jungbunzlauer/Commissione, Racc. pag. II‑3435, punti 351‑359).

252    Nel caso di specie, la ricorrente sostiene che le risposte delle altre parti interessate dal procedimento le avrebbero consentito di invocare altri elementi a favore, a sostegno della conclusione secondo la quale i birrifici non si sarebbero mai concertati sul mercato olandese della birra.

253    Orbene, per quanto la ricorrente faccia valere che le altre imprese, nelle loro risposte alla comunicazione degli addebiti, abbiano parimenti esposto argomenti relativi alla contestazione dell’infrazione, si deve osservare che tale indicazione, di per sé, non è sufficiente per considerare tali argomenti come elementi a favore (v., in tal senso, sentenza Jungbunzlauer/Commissione, punto 251 supra, punti 353 e 355).

254    Risulta da quanto precede che la ricorrente non ha indicato potenziali nuovi elementi a carico o a favore che potrebbero emergere dalle risposte invocate alla comunicazione degli addebiti.

255    Pertanto, deve essere respinta la censura relativa al diniego di accesso a tali risposte.

–       Sul documento asseritamente riservato

256    La ricorrente censura il diniego di accesso all’elenco dei clienti del segmento «horeca» che i diversi birrifici hanno acquisito e perso durante il periodo compreso tra il 1997 e il 2001, il quale faceva parte degli atti del procedimento. Essa ritiene che l’accesso a tali informazioni fosse indispensabile per la sua difesa, in quanto essa avrebbe potuto dimostrare che sussistevano cambiamenti nel segmento «horeca» nei Paesi Bassi e che la conclusione della Commissione, secondo la quale la concorrenza era limitata in tale segmento, era inesatta.

257    Orbene, senza che occorra determinare se la Commissione abbia legittimamente qualificato le informazioni richieste come riservate, si deve rilevare che la ricorrente non ha dimostrato che l’elenco di clienti in questione avrebbe potuto essere utile ai fini della sua difesa.

258    Infatti, risulta dal punto 259 della decisione impugnata che la conclusione della Commissione sulla partecipazione della ricorrente a una ripartizione della clientela nel segmento «horeca» si fonda su una lettera interna della Heineken, relativa a un incontro con un membro del consiglio di amministrazione della ricorrente, il cui testo è riprodotto al punto 184 e interpretato ai punti 187‑189 della decisione impugnata. Le informazioni relative ai clienti acquisiti e persi dai birrifici durante il periodo in questione non possono essere considerate, in ogni caso, tali da fornire un elemento a favore rispetto a tale rilievo.

259    Pertanto, la censura relativa al diniego di accesso al documento contenente un elenco di clienti del segmento «horeca», nonché il presente motivo complessivamente inteso, devono essere respinti in quanto infondati.

 Sul quarto motivo, attinente alla violazione dell’art. 23 del regolamento n. 1/2003, degli orientamenti nonché dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento quanto alla determinazione dell’importo dell’ammenda

 Argomenti delle parti

260    In primo luogo, la ricorrente contesta il modo in cui la Commissione ha calcolato l’importo dell’ammenda e, più in particolare, la sua analisi della gravità dell’infrazione. In particolare, essa ritiene che, dato che la Commissione ha attenuato, nella decisione impugnata, le censure estremamente gravi formulate nella comunicazione degli addebiti, avrebbe dovuto qualificare l’infrazione come decisamente meno grave. La ricorrente, inoltre, censura alla Commissione di non aver preso in considerazione, nella valutazione della gravità dell’infrazione, che essa non ha avuto alcun impatto sul mercato olandese della birra. La ricorrente ritiene peraltro che, contrariamente a quanto indicato al punto 452 della decisione impugnata, l’effetto dell’infrazione sul mercato fosse misurabile.

261    In secondo luogo, la ricorrente ritiene che la Commissione abbia violato il principio di parità di trattamento discostandosi in modo considerevole dalla sua precedente prassi decisionale e, in particolare, delle ammende inflitte nel contesto della sua decisione 2003/569, della sua decisione 5 dicembre 2001, 2002/759/CE, relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81 [CE] (Caso COMP/37.800/F3 – Brasseries luxembourgeoises) (GU 2002, L 253, pag. 21), e della sua decisione 29 settembre 2004, 2005/503/CE, relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81 [CE] (Caso COMP/C.37.750/B2 – Brasseries Kronenbourg, Brasseries Heineken) (GU 2005, L 184, pag. 57).

262    In terzo luogo, la ricorrente sostiene che la Commissione ha violato i principi di proporzionalità e di parità di trattamento, in quanto l’ammenda sarebbe sproporzionata rispetto a quelle imposte alla Heineken e alla Grolsch. In sostanza, la ricorrente rileva che, nella fissazione dell’ammenda, la Commissione ha attribuito un’importanza sproporzionata al suo fatturato, il che avrebbe gravemente snaturato i rapporti di forza tra i birrifici e la posizione che essa occupa sul mercato interessato. Peraltro, essa considera che, nella determinazione dell’importo di partenza dell’ammenda, la Commissione avrebbe dovuto prendere in considerazione il suo fatturato senza includere le accise.

263    La Commissione contesta gli argomenti dedotti dalla ricorrente.

 Giudizio del Tribunale

264    In limine, si deve ricordare che, a termini dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, la Commissione può, mediante decisione, infliggere ammende alle imprese ed alle associazioni di imprese quando, intenzionalmente o per negligenza, commettono un’infrazione alle disposizioni dell’articolo 81 CE. Secondo la medesima disposizione, per ciascuna impresa o associazione di imprese partecipanti all’infrazione, l’ammenda non deve superare il 10% del fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente.

265    Peraltro, secondo costante giurisprudenza, la Commissione gode di un ampio potere discrezionale per quanto riguarda il metodo di calcolo delle ammende. Tale metodo, delimitato dagli orientamenti, prevede vari elementi di flessibilità che consentono alla Commissione di esercitare il proprio potere discrezionale in conformità al disposto del regolamento n. 1/2003 (v., in tal senso, sentenza della Corte 3 settembre 2009, cause riunite C‑322/07 P, C‑327/07 P e C‑338/07 P, Papierfabrik August Koehler e a./Commissione, Racc. pag. I‑7191, punto 112).

266    Inoltre, in settori quali la determinazione dell’importo di un’ammenda ai sensi del regolamento n. 1/2003, in cui la Commissione dispone di tale potere discrezionale, il controllo di legittimità operato su tali valutazioni si limita a quello dell’assenza di errore manifesto nella valutazione (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 18 luglio 2005, causa T‑241/01, Scandinavian Airlines System/Commissione, Racc. pag. II‑2917, punto 79).

267    Il margine di discrezionalità della Commissione ed i limiti che essa vi ha apportato non pregiudicano, per contro, l’esercizio, da parte del giudice dell’Unione, della sua competenza giurisdizionale estesa al merito (sentenza JFE Engineering e a./Commissione, punto 40 supra, punto 538), che lo abilita a sopprimere, ridurre o aumentare l’importo dell’ammenda inflitta dalla Commissione (v., in tal senso, sentenza della Corte 8 febbraio 2007, causa C‑3/06 P, Groupe Danone/Commissione, Racc. pag. I‑1331, punti 60‑62).

268    Il presente motivo si articola, in sostanza, su tre capi, relativi, in primo luogo, all’erronea valutazione della gravità dell’infrazione, in secondo luogo, alla violazione del principio di parità di trattamento alla luce della precedente prassi della Commissione e, in terzo luogo, alla violazione dei principi di parità di trattamento e di proporzionalità rispetto alle ammende imposte agli altri destinatari della decisione impugnata.

–       Sul primo capo, relativo all’erronea valutazione della gravità dell’infrazione

269    Ai sensi dell’art. 23, n. 3, del regolamento n. 1/2003, per determinare l’ammontare dell’ammenda, occorre tener conto della durata e della gravità dell’infrazione.

270    Secondo costante giurisprudenza, la gravità di un’infrazione dev’essere accertata in funzione di un gran numero di elementi, quali le circostanze proprie del caso di specie, il contesto in cui questo si inserisce e l’efficacia dissuasiva delle ammende, rispetto ai quali la Commissione dispone di un ampio margine di discrezionalità (sentenze della Corte 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri e a./Commissione, Racc. pag. I‑5425, punto 241, e 24 settembre 2009, cause riunite C‑125/07 P, C‑133/07 P, C‑135/07 P e C‑137/07 P, Erste Group Bank e a./Commissione, Racc. pag. I‑8681, punto 91).

271    In particolare, ai sensi del punto 1 A, primo comma, degli orientamenti, ai fini della valutazione della gravità dell’infrazione occorre prenderne in considerazione la natura, l’impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante.

272    Nell’ambito del suo sindacato esteso al merito, tuttavia, spetta al Tribunale verificare se l’importo dell’ammenda irrogata sia proporzionato alla gravità dell’infrazione e soppesare la gravità dell’infrazione e le circostanze invocate dalla ricorrente (sentenza del Tribunale 25 ottobre 2005, causa T‑38/02, Groupe Danone/Commissione, Racc. pag. II‑4407, punto 136).

273    La ricorrente deduce due argomenti intesi a rimettere in discussione la determinazione, da parte della Commissione, della gravità dell’infrazione.

274    In primo luogo, essa contesta la qualificazione dell’infrazione come molto grave, indicando che la Commissione, nella decisione impugnata, ha rinunciato a diversi elementi dell’infrazione rispetto alla comunicazione degli addebiti.

275    Si deve rammentare che le infrazioni molto gravi ai sensi del punto 1 A, secondo comma, terzo trattino, degli orientamenti sono costituite essenzialmente, in particolare, da «restrizioni orizzontali, quali cartelli di prezzi e di ripartizione dei mercati».

276    Inoltre, secondo costante giurisprudenza, le intese di questo tipo rientrano tra le forme più gravi di pregiudizio alla concorrenza, in quanto sono dirette, per il loro oggetto, alla pura e semplice eliminazione di quest’ultima tra le imprese partecipanti, ponendosi in contrasto, in tal modo, con gli obiettivi fondamentali dell’Unione (v., in tal senso, sentenza Groupe Danone/Commissione, punto 272 supra, punto 147, e la giurisprudenza ivi richiamata).

277    Orbene, dal momento che correttamente la Commissione ha accertato che la ricorrente aveva partecipato ad un’infrazione consistente in un insieme di accordi e/o pratiche concertate aventi ad oggetto la limitazione della concorrenza nel mercato comune, in particolare per mezzo del coordinamento dei prezzi e degli aumenti di prezzo nonché per mezzo della ripartizione della clientela, l’argomento della ricorrente secondo il quale l’infrazione non potrebbe essere considerata molto grave non può essere accolto.

278    L’affermazione di cui al punto 442 della decisione impugnata, secondo la quale l’infrazione in oggetto, per la sua stessa natura, doveva, conformemente agli orientamenti, essere qualificata molto grave, non è pertanto viziato da un errore. Tale conclusione non può essere inficiata dalla circostanza che taluni elementi dell’infrazione indicati nella comunicazione degli addebiti non siano stati presi in considerazione nella decisione impugnata, in quanto quest’ultima espone gli elementi che giustificano la qualifica dell’infrazione come molto grave.

279    In secondo luogo, la ricorrente censura alla Commissione di aver concluso che l’impatto dell’intesa sul mercato non era misurabile e di non aver tenuto conto degli elementi del fascicolo che dimostrano che l’infrazione non ha avuto alcun impatto sul mercato.

280    Si deve ricordare che, se l’esistenza di un impatto concreto dell’infrazione sul mercato è un elemento da prendere in considerazione per valutare la gravità dell’infrazione stessa, si tratta di un criterio che si accompagna ad altri, quali la natura propria dell’infrazione e l’ampiezza del mercato geografico. Del pari, dal punto 1 A, primo comma, degli orientamenti risulta che tale impatto deve essere preso in considerazione solo quando sia misurabile.

281    Si deve parimenti rilevare che le intese orizzontali sui prezzi o di ripartizione dei mercati, quali l’infrazione oggetto del caso di specie, possono essere qualificate come infrazioni molto gravi sul solo fondamento della loro stessa natura, senza che la Commissione sia tenuta a dimostrare un impatto concreto dell’infrazione sul mercato. L’impatto concreto dell’infrazione, se misurabile, costituisce solo uno dei vari fattori che possono consentire alla Commissione di aumentare l’importo di partenza dell’ammenda oltre l’importo minimo applicabile di EUR 20 milioni (sentenza della Corte 3 settembre 2009, causa C‑534/07 P, Prym e Prym Consumer/Commissione, Racc. pag. I‑7415, punti 74 e 75).

282    A tale riguardo, al punto 452 della decisione impugnata la Commissione dichiara quanto segue:

«Nel contesto di questo procedimento, è impossibile misurare l’effetto reale, sul mercato olandese, dell’insieme di accordi di cui è composta l’infrazione e la Commissione non si fonda, pertanto, su un impatto particolare, conformemente agli orientamenti secondo i quali l’impatto concreto deve essere preso in considerazione quando può essere misurato (…). Pertanto, la Commissione non terrà conto dell’impatto sul mercato per determinare le ammende applicabili nel caso di specie».

283    Al punto 455 della decisione impugnata, che contiene la sua conclusione in ordine alla gravità dell’infrazione, la Commissione afferma poi quanto segue:

«Tenuto conto della natura dell’infrazione e del fatto che essa è stata estesa all’insieme del territorio dei Paesi Bassi, le imprese destinatarie della presente decisione hanno commesso un’infrazione molto grave all’art. 81 [CE]».

284    Da tali passi emerge che, al fine di determinare la gravità dell’infrazione, la Commissione non si è fondata sul suo impatto reale, bensì sulla sua natura e sull’estensione del mercato geografico in questione.

285    A tal riguardo, si deve rilevare che, in considerazione della natura dell’infrazione accertata, che ha avuto ad oggetto, segnatamente, un coordinamento dei prezzi e degli aumenti di prezzo nonché un coordinamento occasionale sulla ripartizione della clientela, la Commissione ha potuto legittimamente non prendere in considerazione l’impatto dell’infrazione sul mercato.

286    Ne consegue che, qualificando l’infrazione di cui è causa come molto grave, la Commissione non si è, in effetti, discostata dai suoi orientamenti e non ha violato i principi invocati dalla ricorrente.

287    Pertanto, l’argomento della ricorrente, relativo all’assenza di impatto dell’intesa sul mercato, nonché il presente capo complessivamente inteso, devono essere respinti in quanto infondati.

–       Sul secondo capo, relativo alla violazione del principio di parità di trattamento alla luce della precedente prassi della Commissione

288    In limine, occorre sottolineare, da una parte, che la precedente prassi decisionale della Commissione non funge di per sé da contesto normativo per le ammende in materia di concorrenza (sentenza del Tribunale 30 settembre 2003, causa T‑203/01, Michelin/Commissione, Racc. pag. II‑4071, punto 292) e, dall’altra, che la Commissione dispone, nel contesto del regolamento n. 17 e del regolamento n. 1/2003, di un margine di discrezionalità nel fissare gli importi delle ammende al fine di orientare il comportamento delle imprese verso il rispetto delle regole di concorrenza (sentenza del Tribunale 29 aprile 2004, cause riunite T‑236/01, T‑239/01, da T‑244/01 a T‑246/01, causa T‑251/01 e T‑252/01, Tokai Carbon e a./Commissione, Racc. pag. II‑1181, punto 216) e di poter sempre adeguare il livello delle ammende alle esigenze di questa politica (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 270 supra, punto 169).

289    Nel caso di specie, come si è già rilevato supra, la determinazione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente è stata effettuata, conformemente all’art. 23, n. 3, del regolamento n. 1/2003, in considerazione della gravità e della durata dall’infrazione. A tal riguardo, la ricorrente non può trarre un argomento valido dal solo fatto che, nella sua precedente prassi decisionale, la Commissione ha sanzionato comportamenti simili imponendo ammende inferiori a quella che le è stata inflitta nella specie.

290    Ciò premesso, la ricorrente non può nemmeno invocare una violazione del principio di parità di trattamento. La Corte, infatti, ha ripetutamente affermato che la precedente prassi decisionale della Commissione non funge da contesto normativo per le ammende in materia di concorrenza e che decisioni relative ad altri casi hanno solo un carattere indicativo dell’eventuale esistenza di discriminazioni, dato che è poco verosimile che le relative circostanze, quali i mercati, i prodotti, le imprese e i periodi in questione, siano identiche (v. sentenza Erste Group Bank e a./Commissione, punto 270 supra, punto 233, e la giurisprudenza ivi richiamata).

291    Al riguardo, nella fattispecie, quanto all’argomento della ricorrente con cui si invoca il livello delle ammende imposte dalle tre precedenti decisioni 2003/569, 2002/759 e 2005/503, si deve rilevare, anzitutto, che, a differenza della decisione impugnata, in cui la Commissione ha qualificato l’infrazione in esame «molto grave», nelle decisioni 2002/759 e 2005/503 essa ha ritenuto di trovarsi in presenza di un’infrazione «grave». La ricorrente non può pertanto utilmente avvalersi di dette decisioni ai fini di invocare un preteso trattamento discriminatorio nei suoi confronti.

292    Quanto alla decisione 2003/569, la ricorrente deduce l’esistenza di una violazione del principio di parità di trattamento dal fatto che le ammende inflitte ai birrifici belgi coinvolti siano state significativamente meno elevate di quelle inflitte dalla decisione impugnata, mentre né la natura delle infrazioni né le condizioni dei mercati in questione presentano differenze che giustifichino tale divaricazione.

293    Occorre ricordare, al riguardo, che la Commissione valuta la gravità delle infrazioni in funzione di un gran numero di elementi che non derivano da un elenco vincolante o esauriente di criteri da tenere in considerazione e che, inoltre, essa non è tenuta ad applicare una formula matematica precisa, sia che si tratti dell’importo totale dell’ammenda applicata ovvero della sua scomposizione in diversi elementi (v. sentenza del Tribunale 13 gennaio 2004, causa T‑67/01, JCB Service/Commissione, Racc. pag. II‑49, punti 187 e 188, e la giurisprudenza ivi richiamata).

294    Ciò premesso, la comparazione diretta delle ammende imposte ai destinatari delle due decisioni relative a infrazioni distinte rischia di snaturare le funzioni specifiche svolte dalle diverse fasi del calcolo di un’ammenda. Gli importi finali delle ammende, infatti, riflettono circostanze specifiche proprie di ogni intesa nonché le valutazioni proprie della fattispecie.

295    Risulta da tutto quanto sopra che, quanto al livello delle ammende imposte, la situazione della ricorrente non può essere comparata a quella delle imprese interessate dalle precedenti decisioni invocate.

296    Alla luce di tali considerazioni, la censura relativa alla violazione del principio di parità di trattamento rispetto alla precedente prassi della Commissione deve essere respinta.

–       Sul terzo capo, relativo alla violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento rispetto all’importo delle ammende imposte agli altri partecipanti all’intesa in questione

297    Con il presente capo, la ricorrente contesta, in sostanza, la valutazione della Commissione relativa alla determinazione degli importi di partenza delle ammende, nel contesto del trattamento differenziato applicato dalla Commissione (punto 462 della decisione impugnata).

298    Al riguardo, si deve ricordare che, in conformità degli orientamenti, in caso di infrazioni che coinvolgono più imprese, la Commissione può, come ha fatto nella fattispecie in esame, ponderare gli importi iniziali in modo da tenere conto del peso specifico di ciascuna impresa suddividendo i membri dell’intesa in gruppi «in particolare qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione» (punto 1 A, sesto comma, degli orientamenti). Negli stessi orientamenti si precisa peraltro che «il principio di parità della sanzione per un medesimo comportamento può dar luogo, in determinate circostanze, all’applicazione di importi differenziati per le imprese interessate, senza che tale differenziazione derivi da un calcolo rigorosamente aritmetico» (punto 1 A, settimo comma, degli orientamenti).

299    Conformemente ad una costante giurisprudenza, nella fase di determinazione della gravità dell’infrazione, la Commissione non è tenuta a garantire, nel caso in cui siano inflitte ammende a diverse imprese coinvolte in una stessa infrazione, che gli importi finali delle ammende scaturiti dal suo calcolo per le imprese interessate rendano conto di ogni differenza tra le imprese stesse in ordine al loro fatturato complessivo. Essa può invece procedere a ripartizioni in gruppi (sentenze del Tribunale 19 marzo 2003, causa T‑213/00, CMA CGM e a./Commissione, Racc. pag. II‑913, punto 385, e 27 settembre 2006, causa T‑330/01, Akzo Nobel/Commissione, Racc. pag. II‑3389, punto 57).

300    Tuttavia, una ripartizione per categoria delle imprese interessate deve rispettare il principio della parità di trattamento, secondo cui è vietato trattare situazioni analoghe in maniera differente e situazioni diverse in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato. Inoltre, secondo la giurisprudenza, l’importo delle ammende deve quanto meno essere proporzionato rispetto agli elementi presi in considerazione per valutare la gravità dell’infrazione (sentenza del Tribunale 30 settembre 2009, causa T‑161/05, Hoechst/Commissione, Racc. pag. II‑3555, punto 124).

301    Nel caso di specie, per definire le categorie che dovevano consentire di raggruppare le imprese interessate, si deve rilevare che, come risulta dai punti 457 e 458 della decisione impugnata, la Commissione ha scelto di prendere in considerazione la loro importanza relativa sul mercato in questione fondandosi su un criterio unico, costituito dalle vendite di birra realizzate nei Paesi Bassi durante l’ultimo anno civile completo dell’infrazione, vale a dire il 1998.

302    Su tale base, la Commissione ha fissato tre categorie di imprese. Nella prima categoria ricade la Heineken, che ha effettuato vendite nei Paesi Bassi da EUR 450 milioni a EUR 480 milioni. Nella seconda categoria ricadono la Grolsch e la InBev, che hanno effettuato vendite di birra nei Paesi Bassi da EUR 150 milioni a EUR 180 milioni. La ricorrente ricade nella terza categoria, con vendite nei Paesi Bassi tra EUR 100 milioni e EUR 130 milioni. Gli importi delle ammende fissati per ogni categoria erano, rispettivamente, pari a EUR 65 000 000, EUR 25 000 000 e EUR 17 000 000.

303    Procedendo in tal modo, la Commissione ha scelto un metodo coerente di ripartizione dei partecipanti all’intesa in tre categorie, metodo obiettivamente giustificato dalle differenze tra le quote di mercato detenute da ciascuna delle imprese appartenenti a tali tre categorie (v., in tal senso, sentenza Tokai Carbon e a./Commissione, punto 228 supra, punto 220). Inoltre, è giocoforza rilevare che, così facendo, la Commissione non si è discostata dal suo metodo consueto fissato negli orientamenti. A ciò si aggiunge che, se è pur vero che la ricorrente ritiene che, tra le imprese partecipanti all’intesa, essa occupa la posizione più debole, non si può non rilevare che la sua inclusione nella terza categoria riflette, in effetti, tale considerazione.

304    Quanto all’argomento della ricorrente secondo il quale la considerazione unica del fatturato non ha tradotto con precisione la capacità economica delle imprese di arrecare un danno alla concorrenza sul mercato olandese della birra, si deve ricordare che, nonostante la sua natura approssimativa, il fatturato è considerato come un criterio adeguato, nel contesto del diritto della concorrenza, per valutare le dimensioni e la potenza economica delle imprese interessate (v., in tal senso, sentenza della Corte 7 giugno 1983, cause riunite 100/80‑103/80, Musique Diffusion française e a./Commissione, Racc. pag. 1825, punto 121).

305    Poiché tale criterio è stato correttamente applicato nella fattispecie, non sussiste alcun elemento che consente di concludere che i principi di parità di trattamento e di proporzionalità siano stati violati per quanto riguarda l’importo di partenza dell’ammenda.

306    Quanto all’opposizione della ricorrente all’uso di un fatturato inclusivo delle accise ai fini del calcolo degli importi di base individualizzati, si deve sottolineare che, in quanto tale calcolo implichi la ponderazione del peso relativo degli altri partecipanti all’intesa su tale mercato, la mancata inclusione delle tasse o accise non avrebbe modificato la conclusione finale della Commissione. Solo nell’ipotesi in cui la Commissione avesse calcolato gli importi di base individualizzati delle altre parti interessate sulla base di un fatturato che non include le accise avrebbe potuto essere fondata una violazione del principio di parità di trattamento.

307    Pertanto, dato che la ricorrente non ha dimostrato che la Commissione ha violato i principi di parità di trattamento e di proporzionalità nel contesto del trattamento differenziato, il presente capo deve essere respinto in quanto infondato.

308    Alla luce di quanto precede, occorre respingere il quarto motivo nel suo complesso.

 Sul quinto motivo, attinente alla eccessiva durata del procedimento amministrativo

 Argomenti delle parti

309    La ricorrente sostiene, in primo luogo, che la durata eccessiva del procedimento amministrativo abbia leso i suoi diritti della difesa. Essa fa valere, segnatamente, che, nonostante le ispezioni effettuate dalla Commissione nel 2000 e le risposte che la ricorrente ha presentato alle sue richieste di informazioni, i dati relativi ad ogni riunione non erano chiariti, sicché essa avrebbe potuto, a partire da quel momento, interrogare i direttori coinvolti.

310    La ricorrente fa valere, inoltre, che la durata eccessiva del procedimento amministrativo è sfociata in un’ammenda sproporzionata, dato che la politica della Commissione quanto alla misura delle ammende era frattanto divenuta più rigorosa.

311    In secondo luogo, essa sostiene che la riduzione dell’ammenda di EUR 100 000 in ragione della durata eccessiva del procedimento è troppo debole e sproporzionata rispetto alla durata complessiva del procedimento.

312    La Commissione indica di aver espressamente riconosciuto, ai punti 497‑500 della decisione impugnata, che la lunghezza del procedimento era eccessiva e che essa aveva pertanto concesso una riduzione eccezionale dell’ammenda inflitta alla ricorrente.

313    Inoltre, la Commissione rileva che, nonostante il fatto che l’osservanza di un termine ragionevole nella conduzione dei procedimenti amministrativi sia riconosciuto da costante giurisprudenza, il superamento di tale termine può fondare l’annullamento di una decisione che accerta un’infrazione solo quando sia comprovato che la violazione di tale principio lede i diritti della difesa delle imprese interessate.

314    Al riguardo, la Commissione sostiene che la decisione di ispezione del 17 marzo 2000 inviata alla ricorrente le ha consentito, contrariamente a quanto essa sostiene, di conoscere la maggior parte dell’infrazione, nonché i mercati e il periodo sul quale essa verteva. Secondo la Commissione, tale decisione faceva già riferimento a pratiche anticoncorrenziali relative alla fissazione dei prezzi, alla ripartizione dei mercati e/o allo scambio di informazioni nel segmento olandese della birra, sia per il mercato del commercio al dettaglio sia per il mercato «horeca». L’argomento della ricorrente non potrebbe nemmeno essere ammissibile in ragione della natura dettagliata delle questioni che essa le ha inviato a far data dal 2001.

315    Infine, la Commissione contesta l’argomento della ricorrente secondo il quale la riduzione dell’importo dell’ammenda in ragione della durata eccessiva del procedimento non è proporzionata. Essa ritiene di disporre di un ampio margine di discrezionalità al riguardo e che la possibilità di concedere, di sua iniziativa, una siffatta riduzione costituisce una delle sue prerogative. D’altronde, la Commissione rileva che la durata del procedimento amministrativo effettuato nel caso di specie è stata meno lunga che in altri casi precedenti nei quali essa ha tuttavia applicato la medesima riduzione.

 Giudizio del Tribunale

316    Secondo costante giurisprudenza, l’osservanza di un termine ragionevole nella conduzione dei procedimenti amministrativi in materia di politica della concorrenza costituisce un principio generale di diritto dell’Unione, del quale i giudici dell’Unione assicurano il rispetto (sentenze della Corte Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, punto 239 supra, punti 167‑171, e 21 settembre 2006, causa C‑113/04 P, Technische Unie/Commissione, Racc. pag. I‑8831, punto 40).

317    Ai fini dell’applicazione di tale principio, occorre operare una distinzione tra le due fasi del procedimento amministrativo, vale a dire la fase istruttoria antecedente alla comunicazione degli addebiti e quella corrispondente al resto del procedimento amministrativo, ove ciascuna di tali fasi risponde ad una sua logica interna (sentenza Technische Unie/Commissione, punto 316 supra, punto 42).

318    La prima fase, che si estende fino alla comunicazione degli addebiti, ha come termine iniziale la data in cui la Commissione adotta misure che implicano l’addebito di una violazione e deve consentire a detta istituzione di prendere posizione circa il seguito del procedimento. La seconda fase si estende invece dalla comunicazione degli addebiti fino all’adozione della decisione finale. Essa deve consentire alla Commissione di pronunciarsi definitivamente sulla violazione contestata (sentenza Technische Unie/Commissione, punto 316 supra, punto 43).

–       Sulla durata del procedimento amministrativo

319    Nel caso di specie, occorre rilevare, in limine, che la Commissione ha riconosciuto, al punto 498 della decisione impugnata, che la durata del procedimento amministrativo era stata eccessiva e che tale circostanza le era imputabile.

320    Si deve osservare, in effetti, che, per quanto riguarda la prima fase del procedimento amministrativo, vale a dire quella che va dalla notifica alla ricorrente della decisione di ispezione nel marzo del 2000 sino alla ricezione della comunicazione degli addebiti nell’agosto del 2005, è trascorso un lasso di tempo di 65 mesi.

321    Dato che le ispezioni nel corso dell’indagine sono state effettuate nei mesi di marzo e di aprile del 2000, la durata complessiva di tale fase del procedimento amministrativo non può giustificarsi per il solo fatto che la Commissione ha inviato alle parti una serie di richieste di informazioni tra il 2001 e il 2005.

322    In tal senso, in mancanza di informazioni o di giustificazioni complementari da parte della Commissione relativamente agli atti di indagine condotti durante tale periodo, la durata della prima fase del procedimento deve essere ritenuta eccessiva (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 16 dicembre 2003, cause riunite T‑5/00 e T‑6/00, Nederlandse Federatieve Vereniging voor de Groothandel op Elektrotechnisch Gebied e Technische Unie/Commissione, Racc. pag. II‑5761, punto 77).

323    La seconda fase del procedimento amministrativo, che va dalla ricezione della comunicazione degli addebiti all’adozione della decisione impugnata nel mese di aprile del 2007, è durata 20 mesi, superando in tal modo, in assenza di giustificazione complementare, il termine normalmente necessario all’adozione della decisione.

324    Conseguentemente, si deve rilevare che la durata del procedimento amministrativo in esame è stata eccessiva e risulta da un’inerzia imputabile alla Commissione, che si è risolta in una violazione del principio del termine ragionevole.

–       Sull’incidenza sulla legittimità della decisione impugnata

325    Secondo costante giurisprudenza, la constatazione di una violazione del principio del termine ragionevole può determinare l’annullamento della decisione che accerta un’infrazione solo se la durata del procedimento ha influito sull’esito del procedimento (v., in tal senso, sentenza Technische Unie/Commissione, punto 316 supra, punto 48, e la giurisprudenza ivi richiamata).

326    Nella fattispecie, la ricorrente sostiene che la durata eccessiva della prima fase del procedimento amministrativo abbia leso i suoi diritti della difesa, comportando necessariamente una possibile incidenza sull’esito del procedimento.

327    Essa fa valere, in sostanza, che le sue possibilità di difendersi efficacemente avverso le censure riprese nella comunicazione degli addebiti sono state compromesse in quanto, sino alla ricezione di tale comunicazione, il 30 agosto 2005, essa non ha potuto identificare con esattezza l’oggetto dell’indagine svolta dalla Commissione. Secondo la ricorrente, nel momento in cui essa ha avuto la possibilità di reagire alle censure, erano trascorsi quasi dieci anni dai comportamenti censurati, il che ha compromesso le sue possibilità di raccogliere prove a favore relative al segmento del consumo a domicilio, dato che avevano lasciato l’impresa alcuni dei suoi dipendenti che avevano avuto una conoscenza diretta dei fatti censurati.

328    Si deve rilevare, al riguardo, che erroneamente la ricorrente sostiene di non aver potuto identificare l’oggetto dell’indagine sino alla comunicazione degli addebiti.

329    Da una parte, infatti, la decisione di ispezione, inviata alla ricorrente il 17 marzo 2000, chiariva che l’indagine della Commissione si riferiva a pratiche anticoncorrenziali particolari quali «la fissazione dei prezzi, la ripartizione dei mercati e/o lo scambio di informazioni nel segmento olandese della birra, sia per il mercato del commercio al dettaglio sia per il mercato horeca». Dall’altra, le richieste di informazioni inviate alla ricorrente il mese di ottobre 2001 precisavano i tipi di riunioni, le date, nonché i luoghi oggetto dell’indagine svolta dalla Commissione.

330    Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, tali comunicazioni le hanno consentito di conoscere, in modo sufficientemente preciso, l’oggetto dell’indagine, le infrazioni che potevano esserle imputate nonché i segmenti di mercato in questione e, pertanto, la mettevano in condizione di identificare e raccogliere eventuali prove a favore.

331    La ricorrente peraltro, pur facendo valere un argomento relativo alla difficoltà di raccogliere talune prove a favore, ha omesso di fondare tale affermazione su elementi concreti e, in particolare, ha omesso di precisare la data in cui i suoi dipendenti interessati hanno lasciato l’impresa, le ragioni precise per le quali sarebbe stato cruciale ottenere informazioni da parte di dette persone ai fini dell’esercizio dei diritti della difesa, nonché le circostanze per le quali non era più possibile ottenere informazioni da tali persone (v., in tal senso, sentenza Technische Unie/Commissione, punto 316 supra, punto 64).

332    Ciò premesso, l’affermazione della ricorrente secondo la quale essa non era informata, sin dall’inizio dell’indagine, del suo oggetto nonché di eventuali censure della Commissione, sicché non era in grado di preparare la sua difesa e di raccogliere le prove a favore di cui disponeva, non può essere condivisa.

333    Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve rilevare che la ricorrente non ha dimostrato l’esistenza di una lesione dei suoi diritti della difesa conseguente all’eccessiva durata del procedimento amministrativo.

334    Infine, si deve parimenti respingere l’argomento della ricorrente secondo il quale la sanzione inflittale sarebbe stata meno elevata se la Commissione avesse posto termine al procedimento amministrativo prima.

335    Infatti, anche se la Commissione ha riconosciuto, all’udienza, di aver aumentato il livello generale delle ammende intorno al 2005, e cioè durante il procedimento amministrativo in oggetto, questa circostanza non può essere presa in considerazione nel contesto della valutazione dell’incidenza della durata del procedimento sul contenuto della decisione impugnata. Basta ricordare, al riguardo, che il fatto che la Commissione abbia inflitto, in passato, ammende di una certa entità per determinati tipi di infrazioni non può impedirle di aumentare tale entità entro i limiti stabiliti dal regolamento n. 1/2003 se ciò è necessario per garantire l’attuazione della politica della concorrenza, ma che, al contrario, l’efficace applicazione delle norme della concorrenza esige che la Commissione possa sempre adeguare il livello delle ammende alle esigenze di questa politica (sentenze Musique diffusion française e a./Commissione, punto 304 supra, punto 109, e Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 270 supra, punto 169).

336    Conseguentemente, in considerazione dell’assenza di influenza sull’esito del procedimento in esame, il mancato rispetto del principio del termine ragionevole non può sfociare nell’annullamento della decisione impugnata.

–       Sul livello di riduzione dell’ammenda

337    Quanto all’argomento della ricorrente relativo al livello, asseritamente troppo limitato, della riduzione dell’ammenda concessa dalla Commissione in ragione dell’eccessiva durata del procedimento, si deve rilevare che un’irregolarità procedurale, anche se non è tale da sfociare nell’annullamento della decisione, può giustificare una riduzione dell’ammenda (v., in tal senso, sentenze Baustahlgewebe/Commissione, punto 38 supra, punti 26‑48, e Nederlandse Federatieve Vereniging voor de Groothandel op Elektrotechnisch Gebied e Technische Unie/Commissione, punto 322 supra, punti 436‑438).

338    Il superamento del termine ragionevole è suscettibile di fondare la decisione della Commissione di ridurre secondo equità l’importo di un’ammenda, ove la possibilità di accordare una tale riduzione rientra nell’ambito dell’esercizio delle sue prerogative (v., in tal senso, sentenza Technische Unie/Commissione, punto 316 supra, punti 202‑204).

339    Nella fattispecie, la Commissione ha deciso di concedere alla ricorrente una riduzione dell’ammenda in ragione della durata «irragionevole» del procedimento amministrativo (punti 498 e 499 della decisione impugnata).

340    L’esercizio di tale prerogativa da parte della Commissione non impedisce al Tribunale, nell’esercizio della sua competenza anche nel merito, di concedere un’ulteriore riduzione dell’importo dell’ammenda.

341    Orbene, occorre considerare che la riduzione forfettaria di EUR 100 000, concessa dalla Commissione, non tiene affatto conto dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente, pari, prima di tale riduzione, a EUR 22 950 000, e, pertanto, non costituisce una riduzione della sanzione tale da correggere adeguatamente la violazione che risulta dal superamento del termine ragionevole del procedimento amministrativo.

342    Al riguardo, la ricorrente fa valere, a giusto titolo, che le conseguenze della violazione del principio del termine ragionevole non sono state sufficientemente prese in considerazione dalla Commissione riguardo alla riduzione dell’importo dell’ammenda.

343    In considerazione delle circostanze della fattispecie, il Tribunale ritiene, nell’esercizio della sua competenza anche nel merito, che, al fine di concedere alla ricorrente un risarcimento equo in ragione della durata eccessiva del procedimento, la riduzione di cui è causa deve essere portata al 5% dell’importo dell’ammenda.

 Conclusione sull’ammenda

344    In esito all’esame dei motivi sollevati dalla ricorrente e dell’esercizio, da parte del Tribunale, della sua competenza anche nel merito, occorre riformare l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente, da una parte, fissando l’importo di partenza in EUR 16 150 000, in luogo di EUR 17 000 000, conseguentemente all’annullamento dell’art. 1 della decisione impugnata ove questo considera la componente dell’infrazione consistente nel coordinamento occasionale delle condizioni commerciali, diverse dai prezzi, offerte ai consumatori individuali nel segmento «horeca» nei Paesi Bassi (v. punti 191 e 192 supra) e, dall’altra, portando la riduzione operata in ragione del superamento del termine ragionevole del procedimento al 5% dell’importo finale dell’ammenda, in luogo di EUR 100 000 (v. punto 343 supra).

345    Conseguentemente a tale riforma, l’importo dell’ammenda è calcolato aumentando del 35%, in ragione della durata dell’infrazione, l’importo di partenza riformato, e riducendo del 5%, in ragione del superamento del termine ragionevole del procedimento, l’importo medesimo. Di conseguenza, l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente va fissato in EUR 20 712 375.

 Sulle spese

346    Ai sensi dell’art. 87, n. 3, del regolamento di procedura, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, il Tribunale può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese.

347    Nella specie, poiché le conclusioni della ricorrente sono state dichiarate parzialmente fondate, il Tribunale procederà ad un’equa valutazione delle circostanze della causa decidendo che la ricorrente sopporterà due terzi delle proprie spese nonché un terzo delle spese esposte dalla Commissione e che quest’ultima sopporterà un terzo delle proprie spese nonché di quelle esposte dalla ricorrente.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      L’art. 1 della decisione della Commissione 18 aprile 2007, C (2007) 1697 relativa a una procedura di applicazione dell’art. 81 [CE] (procedimento COMP/B/37.766 – Mercato olandese della birra) è annullato nella parte in cui la Commissione europea ha ivi accertato che la Bavaria NV aveva partecipato ad un’infrazione consistente nel coordinamento occasionale delle condizioni commerciali, diverse dai prezzi, offerte ai consumatori individuali nel segmento «horeca» nei Paesi Bassi.

2)      L’importo dell’ammenda inflitta alla Bavaria all’art. 3, lett. c), della decisione C (2007) 1697 è fissato in EUR 20 712 375.

3)      Il ricorso è respinto quanto al resto.

4)      La Bavaria sopporterà i due terzi delle proprie spese nonché di quelle sostenute dalla Commissione europea.

5)      La Commissione sopporterà un terzo delle proprie spese nonché di quelle sostenute dalla Bavaria.

Vadapalas

Dittrich       

Truchot

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 16 giugno 2011.

Firme


Indice


Fatti

Procedimento amministrativo

Decisione impugnata

Infrazione in esame

Ammenda inflitta alla ricorrente

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

Sul secondo motivo, attinente alla violazione dell’art. 81 CE, della presunzione di innocenza, del principio di legalità e dell’obbligo di motivazione

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

– Sulla dichiarazione della InBev

– Sugli altri elementi di prova

– Sugli elementi di fatto relativi agli accertamenti, da una parte, di un coordinamento dei prezzi e degli aumenti di prezzo della birra e, dall’altra, di un coordinamento occasionale sulla ripartizione della clientela

– Sugli elementi di fatto relativi all’accertamento di un coordinamento occasionale di altre condizioni commerciali offerte ai singoli clienti nel segmento «horeca»

– Sul preteso errore di diritto e di qualificazione dei fatti

– Conclusione

Sul terzo motivo, concernente la durata dell’infrazione

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

– Sulla determinazione della data di inizio dell’infrazione

– Sulla determinazione della data di cessazione dell’infrazione

Sul primo motivo, attinente alla violazione del principio di buona amministrazione

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

Sul sesto motivo, attinente alla violazione di forme sostanziali, del principio di buona amministrazione e dei diritti della difesa della ricorrente, per quanto riguarda il diniego di accesso a un documento del fascicolo nonché alle risposte alla comunicazione degli addebiti date da altre imprese interessate

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

– Sulle risposte delle altre imprese alla comunicazione degli addebiti

– Sul documento asseritamente riservato

Sul quarto motivo, attinente alla violazione dell’art. 23 del regolamento n. 1/2003, degli orientamenti nonché dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento quanto alla determinazione dell’importo dell’ammenda

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

– Sul primo capo, relativo all’erronea valutazione della gravità dell’infrazione

– Sul secondo capo, relativo alla violazione del principio di parità di trattamento alla luce della precedente prassi della Commissione

– Sul terzo capo, relativo alla violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento rispetto all’importo delle ammende imposte agli altri partecipanti all’intesa in questione

Sul quinto motivo, attinente alla eccessiva durata del procedimento amministrativo

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

– Sulla durata del procedimento amministrativo

– Sull’incidenza sulla legittimità della decisione impugnata

– Sul livello di riduzione dell’ammenda

Conclusione sull’ammenda

Sulle spese


* Lingua processuale: l’olandese.