Choose the experimental features you want to try

This document is an excerpt from the EUR-Lex website

Document 62007CJ0555

Sentenza della Corte (grande sezione) del 19 gennaio 2010.
Seda Kücükdeveci contro Swedex GmbH & Co. KG.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Landesarbeitsgericht Düsseldorf - Germania.
Principio di non discriminazione in base all’età - Direttiva 2000/78/CE - Legislazione nazionale in materia di licenziamento che, ai fini del calcolo dei termini di preavviso, non tiene conto del periodo di lavoro svolto prima che il dipendente abbia raggiunto l’età di 25 anni - Giustificazione della norma - Normativa nazionale contraria alla direttiva - Ruolo del giudice nazionale.
Causa C-555/07.

Raccolta della Giurisprudenza 2010 I-00365

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2010:21

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

19 gennaio 2010 ( *1 )

«Principio di non discriminazione in base all’età — Direttiva 2000/78/CE — Legislazione nazionale in materia di licenziamento che, ai fini del calcolo dei termini di preavviso, non tiene conto del periodo di lavoro svolto prima che il dipendente abbia raggiunto l’età di 25 anni — Giustificazione della norma — Normativa nazionale contraria alla direttiva — Ruolo del giudice nazionale»

Nel procedimento C-555/07,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Landesarbeitsgericht Düsseldorf (Germania), con decisione 21 novembre 2007, pervenuta in cancelleria il , nella causa

Seda Kücükdeveci

contro

Swedex GmbH & Co. KG,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. J.N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts, J.-C. Bonichot, dalle sig.re R. Silva de Lapuerta, P. Lindh (relatore) e C. Toader, presidenti di sezione, dai sigg. C.W.A. Timmermans, A. Rosas, P. Kūris, T. von Danwitz, A. Arabadjiev, e J.-J. Kasel, giudici,

avvocato generale: sig. Y. Bot

cancelliere: sig. K. Malacek, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 31 marzo 2009,

considerate le osservazioni presentate:

per la Swedex GmbH & Co. KG, dall’avv. M. Nebeling, Rechtsanwalt;

per il governo tedesco, dai sigg. M. Lumma e J. Möller, in qualità di agenti;

per il governo ceco, dal sig. M. Smolek, in qualità di agente;

per il governo danese, dal sig. J. Bering Liisberg, in qualità di agente;

per l’Irlanda, dal sig. D. O’Hagan, in qualità di agente, assistito dai sigg. N. Travers, BL, e A. Collins, SC;

per il governo dei Paesi Bassi, dalle sig.re C. Wissels e M. de Mol, in qualità di agenti;

per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra I. Rao, in qualità di agente, assistita dalla sig.ra J. Stratford, barrister;

per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. V. Kreuschitz e J. Enegren, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 7 luglio 2009,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione del principio di non discriminazione in base all’età e della direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303, pag. 16).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Kücükdeveci e il suo ex datore di lavoro, la Swedex GmbH & Co. KG (in prosieguo: la «Swedex»), in ordine al calcolo dei termini di preavviso applicabili al suo licenziamento.

Contesto normativo

La normativa dell’Unione

3

La direttiva 2000/78 è stata adottata sul fondamento dell’art. 13 CE. I ‘considerando’ primo, quarto e venticinquesimo della direttiva sono del seguente tenore:

«(1)

Conformemente all’articolo 6 del trattato sull’Unione europea, l’Unione europea si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto, principi che sono comuni a tutti gli Stati membri e rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali[, firmata a Roma il 4 novembre 1950,] e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario.

(…)

(4)

Il diritto di tutti all’uguaglianza dinanzi alla legge e alla protezione contro le discriminazioni costituisce un diritto universale riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dalla convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, dai patti delle Nazioni Unite relativi rispettivamente ai diritti civili e politici e ai diritti economici, sociali e culturali e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali di cui tutti gli Stati membri sono firmatari. La Convenzione n. 111 dell’Organizzazione internazionale del lavoro proibisce la discriminazione in materia di occupazione e condizioni di lavoro.

(…)

(25)

Il divieto di discriminazione basata sull’età costituisce un elemento essenziale per il perseguimento degli obiettivi definiti negli orientamenti in materia di occupazione e la promozione della diversità nell’occupazione. Tuttavia in talune circostanze, delle disparità di trattamento in funzione dell’età possono essere giustificate e richiedono pertanto disposizioni specifiche che possono variare secondo la situazione degli Stati membri. È quindi essenziale distinguere tra le disparità di trattamento che sono giustificate, in particolare, da obiettivi legittimi di politica dell’occupazione, mercato del lavoro e formazione professionale, e le discriminazioni che devono essere vietate».

4

Ai sensi del suo art. 1, la direttiva 2000/78 mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento.

5

L’art. 2 di tale direttiva è del seguente tenore:

«1.   Ai fini della presente direttiva, per “principio della parità di trattamento” si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1.

2.   Ai fini del paragrafo 1:

a)

sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga;

(…)».

6

L’art. 3, n. 1, di tale direttiva precisa che:

«1.   Nei limiti dei poteri conferiti alla Comunità, la presente direttiva si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene:

(…)

c)

all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione;

(…)».

7

L’art. 6, n. 1, della stessa direttiva così dispone:

«Fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 2, gli Stati membri possono prevedere che le disparità di trattamento in ragione dell’età non costituiscano discriminazione laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari.

Tali disparità di trattamento possono comprendere in particolare:

a)

la definizione di condizioni speciali di accesso all’occupazione e alla formazione professionale, di occupazione e di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e di retribuzione, per i giovani, i lavoratori anziani e i lavoratori con persone a carico, onde favorire l’inserimento professionale o assicurare la protezione degli stessi;

b)

la fissazione di condizioni minime di età, di esperienza professionale o di anzianità di lavoro per l’accesso all’occupazione o a taluni vantaggi connessi all’occupazione;

c)

la fissazione di un’età massima per l’assunzione basata sulle condizioni di formazione richieste per il lavoro in questione o la necessità di un ragionevole periodo di lavoro prima del pensionamento».

8

Ai sensi dell’art. 18, primo comma, della stessa direttiva, la sua trasposizione nell’ordinamento giuridico degli Stati membri doveva avvenire al più tardi entro il 2 dicembre 2003. Tuttavia, ai sensi del secondo comma dello stesso articolo:

«Per tener conto di condizioni particolari gli Stati membri possono disporre se necessario di tre anni supplementari, a partire dal 2 dicembre 2003 ovvero complessivamente di sei anni al massimo, per attuare le disposizioni relative alle discriminazioni basate sull’età o sull’handicap. In tal caso essi informano immediatamente la Commissione. (…)».

9

La Repubblica federale di Germania si è avvalsa di tale facoltà, di modo che il recepimento delle disposizioni della direttiva 2000/78, relative alla discriminazione in base all’età e sull’handicap, doveva essere effettuato in tale Stato membro entro il 2 dicembre 2006.

La normativa nazionale

La legge generale sulla parità di trattamento

10

Gli artt. 1, 2 e 10 della legge generale 14 agosto 2006, sulla parità di trattamento (Allgemeines Gleichbehandlungsgesetz; BGBl. 2006 I, pag. 1897), che ha trasposto la direttiva 2000/78, così recitano:

«Art. 1 — Finalità della legge

La presente legge ha l’obiettivo di impedire o di eliminare qualsiasi trattamento sfavorevole basato sulla razza o sull’origine etnica, sul sesso, sulla religione o sulle convinzioni personali, sull’handicap, sull’età o sull’identità sessuale.

Art. 2 — Ambito di applicazione

(…)

4)   Ai licenziamenti si applicano esclusivamente le disposizioni relative alla tutela generale e particolare contro i licenziamenti.

(…)

Art. 10 — Ammissibilità di talune disparità di trattamento collegate all’età

Fatto salvo l’art. 8, è ammissibile una disparità di trattamento collegata all’età laddove essa sia oggettiva, ragionevole e giustificata da una finalità legittima. I mezzi per il conseguimento di tale finalità devono essere appropriati e necessari. Tali disparità di trattamento possono comprendere in particolare:

1.

la definizione di condizioni speciali di accesso all’occupazione e alla formazione professionale, di occupazione e di lavoro, comprese le condizioni di retribuzione e di licenziamento, per i giovani, i lavoratori anziani e i lavoratori con persone a carico, onde favorire l’inserimento professionale o assicurare la protezione degli stessi;

(…)».

La normativa relativa al termine di preavviso di licenziamento

11

L’art. 622 del codice civile tedesco (Bürgerliches Gesetzbuch, in prosieguo: il «BGB») così recita:

«1)   Il rapporto di lavoro di un operaio o di un impiegato (lavoratore) può essere risolto rispettando un preavviso di quattro settimane, con effetto al quindicesimo o all’ultimo giorno del mese.

2)   Per il licenziamento da parte del datore di lavoro, si applicano i seguenti termini di preavviso:

se il rapporto di lavoro nell’azienda o nell’impresa è durato 2 anni: 1 mese, con effetto alla fine di un mese di calendario;

se è durato 5 anni: 2 mesi, con effetto alla fine di un mese di calendario;

se è durato 8 anni: 3 mesi, con effetto alla fine di un mese di calendario;

se è durato 10 anni: 4 mesi, con effetto alla fine di un mese di calendario;

se è durato 12 anni: 5 mesi, con effetto alla fine di un mese di calendario;

se è durato 15 anni: 6 mesi, con effetto alla fine di un mese di calendario;

se è durato 20 anni: 7 mesi, con effetto alla fine di un mese di calendario.

Nel calcolo della durata dell’impiego non vanno considerati i periodi di lavoro svolti prima del compimento del venticinquesimo anno di età del lavoratore».

Causa principale e questioni pregiudiziali

12

La sig.ra Kücükdeveci è nata il 12 febbraio 1978. Essa lavorava dal , ossia dall’età di 18 anni, alle dipendenze della Swedex.

13

Con lettera 19 dicembre 2006, la Swedex ha licenziato la dipendente, con effetto, considerato il termine di preavviso legale, al . Il datore di lavoro ha calcolato il termine di preavviso come se la dipendente avesse avuto un’anzianità di 3 anni, benché essa fosse alle sue dipendenze da 10 anni.

14

La sig.ra Kücükdeveci ha contestato il suo licenziamento dinanzi all’Arbeitsgericht Mönchengladbach. Dinanzi a tale organo giurisdizionale essa ha sostenuto che il termine di preavviso nei suoi confronti avrebbe dovuto essere di 4 mesi a decorrere dal 31 dicembre 2006, vale a dire fino al , e ciò in applicazione dell’art. 622, n. 2, primo comma, punto 4, del BGB. Tale termine corrisponderebbe ad un’anzianità di dieci anni. La causa principale vede quindi opposti questi due privati, vale a dire, da un lato, la sig.ra Kücükdeveci e, dall’altro, la Swedex.

15

A parere della sig.ra Kücükdeveci, l’art. 622, n. 2, secondo comma, del BGB, nella parte in cui prevede che per il calcolo della durata del termine di preavviso non sono presi in considerazione i periodi di lavoro svolti prima del compimento del venticinquesimo anno di età, costituisce una misura di discriminazione in base all’età contraria al diritto dell’Unione e va disapplicata.

16

Il Landesarbeitsgericht Düsseldorf, pronunciandosi in appello, ha constatato che alla data in cui è avvenuto il licenziamento il termine per la trasposizione della direttiva 2000/78 era scaduto. Tale giudice ha considerato del pari che l’art. 622 del BGB contiene una disparità di trattamento direttamente collegata all’età, della cui incostituzionalità non è convinto, ma di cui sarebbe invece discutibile la conformità al diritto dell’Unione. Tale giudice si chiede, in proposito, se l’eventuale esistenza di una discriminazione diretta connessa all’età debba essere valutata sulla base del diritto primario dell’Unione, come sembra suggerire la sentenza 22 novembre 2005, causa C-144/04, Mangold (Racc. pag. I-9981), oppure alla luce della direttiva 2000/78. Sottolineando che la disposizione nazionale di cui trattasi è chiara e non potrebbe essere, eventualmente, interpretata in un senso conforme a detta direttiva, il giudice del rinvio si chiede del pari se, per poter disapplicare tale disposizione in una controversia tra privati, esso debba, al fine di garantire la tutela del legittimo affidamento dei destinatari delle norme, sottoporre una questione pregiudiziale alla Corte affinché quest’ultima confermi l’incompatibilità di tale disposizione con il diritto dell’Unione.

17

È sulla scorta di tali premesse che il Landesarbeitsgericht Düsseldorf ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

a)

Se una normativa nazionale, secondo la quale i termini di preavviso di licenziamento che il datore di lavoro deve rispettare si prolungano progressivamente con l’aumentare della durata dell’impiego, senza tuttavia che siano presi in considerazione i periodi di lavoro svolti dal lavoratore prima di aver raggiunto il venticinquesimo anno di età, sia contraria al divieto di discriminazione in ragione dell’età sancito dal diritto comunitario, e segnatamente dal diritto primario della CE o dalla direttiva (…) 2000/78 (…);

b)

se una ragione giustificativa del fatto che un datore di lavoro debba rispettare soltanto un termine di preavviso di base per il licenziamento dei lavoratori più giovani possa essere ravvisata nella circostanza che al datore di lavoro viene riconosciuto un interesse economico ad una gestione flessibile del personale — il quale verrebbe pregiudicato da termini di preavviso di licenziamento più lunghi — e che ai giovani lavoratori non viene accordata la tutela dei diritti quesiti e delle aspettative (garantita ai lavoratori più anziani attraverso termini di preavviso più estesi), ad esempio perché si presume una loro maggiore mobilità e flessibilità professionale e personale in ragione dell’età e/o dei minori obblighi sociali, familiari e privati su di essi incombenti.

2)

In caso di soluzione affermativa della questione sub 1 a) e negativa della questione sub 1 b):

 

Se il giudice di uno Stato membro investito di una causa tra privati debba disapplicare una normativa contraria al diritto comunitario ovvero se debba tenere conto della fiducia riposta dai destinatari delle norme nell’applicazione delle leggi nazionali vigenti, in modo tale per cui l’inapplicabilità sopravvenga soltanto in seguito ad una decisione della Corte di giustizia delle Comunità europee sulla normativa contestata o su una normativa sostanzialmente analoga».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione

18

Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se una normativa nazionale come quella controversa nella causa principale — la quale prevede che i periodi di lavoro compiuti dal dipendente prima del raggiungimento del suo venticinquesimo anno di età non sono presi in considerazione ai fini del calcolo del termine di preavviso di licenziamento — costituisca una disparità di trattamento in base all’età vietata dal diritto dell’Unione, in particolare dal diritto primario o dalla direttiva 2000/78. Tale giudice chiede, in particolare, se una normativa siffatta sia giustificata dalla circostanza che occorrerebbe rispettare unicamente un termine di preavviso di base nel caso di licenziamento di giovani lavoratori, da un lato, per consentire ai datori di lavoro una gestione flessibile del personale, ciò che non sarebbe possibile con termini di preavviso più lunghi, e, dall’altro, in quanto sarebbe ragionevole esigere dai giovani lavoratori una mobilità personale e professionale maggiore di quella richiesta ai lavoratori più anziani.

19

Per risolvere tale questione, occorre anzitutto precisare, come invita a fare il giudice del rinvio, se essa debba essere affrontata alla luce del diritto primario dell’Unione o della direttiva 2000/78.

20

In proposito, va inizialmente ricordato che il Consiglio dell’Unione europea, fondandosi sull’art. 13 CE, ha adottato la direttiva 2000/78 in merito alla quale la Corte ha dichiarato che non sancisce essa stessa il principio della parità di trattamento in materia di occupazione e di lavoro, principio che trova la sua fonte in vari strumenti internazionali e nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, ma che essa ha il solo obiettivo di stabilire, in dette materie, un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate su diversi motivi, tra i quali rientra l’età (v. sentenza Mangold, cit., punto 74).

21

In tale contesto, la Corte ha riconosciuto l’esistenza di un principio di non discriminazione in base all’età che deve essere considerato un principio generale del diritto dell’Unione (v., in questo senso, sentenza Mangold, cit., punto 75). La direttiva 2000/78 dà espressione concreta a tale principio (v., per analogia, sentenza 8 aprile 1976, causa 43/75, Defrenne, Racc. pag. 455, punto 54).

22

Va del pari rilevato che l’art. 6, n. 1, TUE enuncia che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Ai sensi dell’art. 21, n. 1, di tale Carta, «[è] vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, (…) [sul]l’età».

23

Affinché il principio di non discriminazione in base all’età possa applicarsi in una fattispecie come quella di cui alla causa principale, è anche necessario che tale fattispecie rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.

24

A tal proposito, e a differenza della causa conclusasi con la sentenza 23 settembre 2008, causa C-427/06, Bartsch (Racc. pag. I-7245), il presunto comportamento discriminatorio adottato nella presente fattispecie in base alla normativa nazionale controversa ha avuto luogo successivamente alla data limite del termine impartito allo Stato membro per trasporre la direttiva 2000/78, termine che, per quanto riguarda la Repubblica federale di Germania, è scaduto il .

25

In tale data, la direttiva ha avuto l’effetto di far entrare nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione la normativa nazionale di cui trattasi nella causa principale che affronta una materia disciplinata dalla stessa direttiva, vale a dire, nella fattispecie, le condizioni di licenziamento.

26

In effetti, una disposizione nazionale quale l’art. 622, n. 2, secondo comma, del BGB, per il fatto di prevedere che, ai fini del calcolo del termine di preavviso di licenziamento, non siano presi in considerazione i periodi di lavoro compiuti dal dipendente prima di aver raggiunto il venticinquesimo anno d’età, incide sulle condizioni di licenziamento dei dipendenti. Si deve pertanto considerare che una legislazione siffatta detti norme relative alle condizioni di licenziamento.

27

Da tali considerazioni risulta che è in base al principio generale di diritto dell’Unione vietante qualsiasi discriminazione in base all’età, come specificato dalla direttiva 2000/78, che va esaminato se il diritto dell’Unione osti ad una normativa nazionale come quella di cui trattasi nella causa principale.

28

Relativamente, poi, alla questione se la normativa controversa nella causa principale contenga una disparità di trattamento in base all’età, va ricordato che, ai sensi dell’art. 2, n. 1, della direttiva 2000/78, ai fini di quest’ultima, per «principio della parità di trattamento» si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’art. 1 della medesima direttiva. L’art. 2, n. 2, lett. a), della direttiva in questione precisa che, ai fini dell’applicazione del suo n. 1, sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’art. 1 della direttiva in parola, una persona è trattata in modo meno favorevole di un’altra in una situazione analoga (v. sentenze 16 ottobre 2007, causa C-411/05, Palacios de la Villa, Racc. pag. I-8531, punto 50, e , causa C-388/07, Age Concern England, Racc. pag. I-1569, punto 33).

29

Nella fattispecie, l’art. 622, n. 2, secondo comma, del BGB riserva un trattamento meno favorevole ai dipendenti che sono entrati in servizio presso il datore di lavoro prima dei 25 anni di età. Tale normativa nazionale crea quindi una disparità di trattamento tra persone aventi la medesima anzianità a seconda dell’età in cui esse sono state assunte.

30

Così, per due dipendenti aventi ciascuno 20 anni di anzianità, quello assunto all’età di 18 anni avrà diritto ad un termine di preavviso di licenziamento pari a cinque mesi, mentre tale termine sarà pari a sette mesi per colui che è stato assunto all’età di 25 anni. Inoltre, come ha osservato l’avvocato generale al paragrafo 36 della sue conclusioni, la normativa nazionale considerata nella causa principale tratta, in generale, in modo più sfavorevole i giovani lavoratori rispetto ai lavoratori più anziani, in quanto i primi — come illustrato dalla situazione della ricorrente nella causa principale — possono essere esclusi, malgrado un’anzianità di servizio nell’impresa di diversi anni, dal poter beneficiare di un aumento progressivo dei termini di preavviso di licenziamento in funzione della durata del rapporto di lavoro, di cui possono invece giovarsi i lavoratori più anziani aventi un’anzianità equiparabile.

31

Ne consegue che la normativa nazionale considerata contiene una disparità di trattamento fondata sul criterio dell’età.

32

Occorre, in una terza fase, esaminare se tale disparità di trattamento sia atta a costituire una discriminazione vietata dal principio di non discriminazione in base all’età cui ha dato espressione concreta la direttiva 2000/78.

33

Al riguardo, l’art. 6, n. 1, primo comma, della direttiva 2000/78 enuncia che una disparità di trattamento in base all’età non costituisce discriminazione laddove essa sia oggettivamente e ragionevolmente giustificata, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari.

34

Tanto dalle informazioni fornite dal giudice del rinvio, quanto dalle spiegazioni date in udienza dal governo tedesco risulta che l’art. 622 del BGB trae la sua origine in una legge del 1926. La fissazione della soglia di 25 anni ad opera di tale legge sarebbe il frutto di un compromesso tra, in primo luogo, il governo dell’epoca che auspicava una proroga uniforme di tre mesi del termine di preavviso di licenziamento per i lavoratori di età superiore ai 40 anni, in secondo luogo, i fautori di una proroga graduale di tale termine per tutti i lavoratori e, infine, i sostenitori di una proroga graduale della durata del preavviso, che non tenesse però conto del periodo lavorato, avendo tale regola lo scopo di sollevare parzialmente i datori di lavoro dall’onere dei termini di preavviso prolungati per i lavoratori di età inferiore ai 25 anni.

35

Secondo il giudice del rinvio, l’art. 622, n. 2, secondo comma, del BGB rispecchia la valutazione del legislatore secondo cui i giovani lavoratori, in genere, reagiscono più facilmente e più rapidamente alla perdita del loro impiego e ci si può attendere da loro una maggiore flessibilità. Infine, un termine di preavviso più breve per i giovani lavoratori ne favorirebbe l’assunzione aumentando la flessibilità della gestione del personale.

36

Finalità del tipo di quelle menzionate dal governo tedesco e dal giudice del rinvio appaiono rientrare in una politica in materia di occupazione e del mercato del lavoro, ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78.

37

Va però verificato, secondo il tenore stesso di tale disposizione, se i mezzi apprestati per conseguire siffatta finalità legittima siano «appropriati e necessari».

38

Si deve, in proposito, ricordare che gli Stati membri dispongono di un ampio margine di valutazione discrezionale nella scelta delle misure atte a realizzare i loro obiettivi in materia di politica sociale e di occupazione (v. citate sentenze Mangold, punto 63, e Palacios de la Villa, punto 68).

39

Il giudice del rinvio indica che l’obiettivo del provvedimento di cui trattasi è quello di offrire al datore di lavoro una maggiore flessibilità nella gestione del personale, alleviando l’onere per tale datore di lavoro per quanto attiene al licenziamento dei giovani lavoratori, dai quali sarebbe ragionevole attendersi una più elevata mobilità personale e professionale.

40

Nondimeno, tale provvedimento non è appropriato per il conseguimento di detto obiettivo giacché si applica a tutti i dipendenti assunti dall’impresa prima del venticinquesimo anno di età, indipendentemente dalla loro età al momento del licenziamento.

41

Per quanto riguarda l’obiettivo, perseguito dal legislatore nell’adottare la normativa nazionale di cui trattasi nella causa principale e ricordato dal governo tedesco, di rafforzare la tutela dei lavoratori in funzione del tempo trascorso nell’impresa, risulta che, in forza di tale normativa, l’allungamento del termine di preavviso di licenziamento a seconda dell’anzianità del dipendente è ritardato per qualsiasi lavoratore assunto dall’impresa prima dei 25 anni di età, anche laddove l’interessato vanti, al momento del licenziamento, una lunga anzianità di servizio in tale impresa. Tale normativa non può pertanto essere considerata idonea a realizzare la finalità dichiarata.

42

Va aggiunto che la normativa nazionale di cui trattasi nella causa principale, come ricordato dal giudice del rinvio, incide sui giovani dipendenti in modo diseguale, in quanto colpisce i giovani che si impegnano presto nella vita attiva, senza formazione professionale, o dopo una breve formazione professionale, e non coloro che iniziano a lavorare più tardi, dopo una lunga formazione professionale.

43

Risulta da tutte queste considerazioni che la prima questione va risolta dichiarando che il diritto dell’Unione, in particolare il principio di non discriminazione in base all’età, quale espresso concretamente nella direttiva 2000/78, deve essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nella causa principale, che prevede che, ai fini del calcolo del termine di preavviso di licenziamento, non siano presi in considerazione i periodi di lavoro compiuti dal dipendente prima del raggiungimento dei 25 anni di età.

Sulla seconda questione

44

Con la seconda questione il giudice del rinvio si chiede se, allorché è investito di una controversia tra privati, per poter disapplicare una normativa nazionale che ritenga contraria al diritto dell’Unione, egli debba previamente, a fini di tutela del legittimo affidamento dei soggetti di diritto, adire la Corte di giustizia in forza dell’art. 267 TFUE, affinché quest’ultima confermi l’incompatibilità di tale normativa con il diritto dell’Unione.

45

Per quanto riguarda, in primo luogo, il ruolo del giudice nazionale chiamato a dirimere una controversia tra privati nella quale la normativa nazionale appaia contraria al diritto dell’Unione, la Corte ha statuito che spetta ai giudici nazionali assicurare ai singoli la tutela giurisdizionale derivante dalle norme del diritto dell’Unione e garantirne la piena efficacia (v., in questo senso, sentenze 5 ottobre 2004, cause riunite da C-397/01 a C-403/01, Pfeiffer e a., Racc. pag. I-8835, punto 111, nonché , causa C-268/06, Impact, Racc. pag. I-2483, punto 42).

46

A questo proposito, con riferimento a controversie tra privati, la Corte ha dichiarato in maniera costante che una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti (v., in particolare, sentenze 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall, Racc. pag. 723, punto 48; , causa C-91/92, Faccini Dori, Racc. pag. I-3325, punto 20, nonché Pfeiffer e a., cit., punto 108).

47

Tuttavia, l’obbligo per gli Stati membri, derivante da una direttiva, di raggiungere il risultato previsto da quest’ultima, e il loro dovere di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi dei detti Stati, ivi compresi, nell’ambito della loro competenza, quelli giurisdizionali (v., in particolare, in questo senso, sentenze 10 aprile 1984, causa 14/83, von Colson e Kamann, Racc. pag. 1891, punto 26; , causa C-106/89, Marleasing, Racc. pag. I-4135, punto 8; Faccini Dori, cit., punto 26; , causa C-129/96, Inter-Environnement Wallonie, Racc. pag. I-7411, punto 40; Pfeiffer e a., cit., punto 110, nonché , cause riunite da C-378/07 a C-380/07, Angelidaki e a., Racc. pag. I-3071, punto 106).

48

Ne consegue che, nell’applicare il diritto interno, il giudice nazionale chiamato ad interpretare tale diritto deve procedere per quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo di tale direttiva, onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art 288, terzo comma, TFUE (v., in tal senso, sentenze citate von Colson e Kamann, punto 26; Marleasing, punto 8; Faccini Dori, punto 26, nonché Pfeiffer e a., punto 113). L’esigenza di un’interpretazione conforme del diritto nazionale è inerente al sistema del Trattato, in quanto permette al giudice nazionale di assicurare, nel contesto delle sue competenze, la piena efficacia del diritto dell’Unione quando risolve la controversia ad esso sottoposta (v., in questo senso, sentenza Pfeiffer e a., cit., punto 114).

49

Secondo il giudice del rinvio, tuttavia, per la sua chiarezza e precisione, l’art. 622, n. 2, secondo comma, del BGB non si presta ad un’interpretazione conforme alla direttiva 2000/78.

50

A tal proposito, occorre ricordare, da un lato, che, come già si è detto al punto 20 della presente sentenza, la direttiva 2000/78 si limita a dare espressione concreta — senza sancirlo — al principio di parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro e, d’altro lato, che il principio di non discriminazione in base all’età è un principio generale del diritto dell’Unione, in quanto rappresenta un’applicazione specifica del principio generale della parità di trattamento (v., in questo senso, sentenza Mangold, cit., punti 74-76).

51

Ciò considerato, è compito del giudice nazionale, investito di una controversia in cui è messo in discussione il principio di non discriminazione in ragione dell’età, quale espresso concretamente nella direttiva 2000/78, assicurare, nell’ambito delle sue competenze, la tutela giuridica che il diritto dell’Unione attribuisce ai soggetti dell’ordinamento, garantendone la piena efficacia e disapplicando, ove necessario, ogni contraria disposizione di legge nazionale (v., in questo senso, sentenza Mangold, cit., punto 77).

52

Per quel che riguarda, in secondo luogo, l’obbligo che graverebbe sul giudice nazionale, investito di una controversia tra privati, di chiedere alla Corte di pronunciarsi in via pregiudiziale sull’interpretazione del diritto dell’Unione prima di poter disapplicare una norma nazionale che ritenga contraria a tale diritto, si deve rilevare che dalla decisione di rinvio risulta che tale aspetto della questione è motivato dal fatto che, in forza del diritto nazionale, il giudice del rinvio non può disapplicare una disposizione vigente della legislazione nazionale se essa non sia stata previamente dichiarata incostituzionale dal Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale).

53

In proposito, occorre sottolineare che la necessità di garantire piena efficacia al principio di non discriminazione in base all’età, quale espresso concretamente nella direttiva 2000/78, comporta che il giudice nazionale, in presenza di una norma nazionale, rientrante nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, che ritenga incompatibile con tale principio e per la quale risulti impossibile un’interpretazione conforme a quest’ultimo, deve disapplicare detta disposizione, senza che gli sia imposto né gli sia vietato di sottoporre alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale.

54

La facoltà così riconosciuta dall’art. 267, secondo comma, TFUE di chiedere alla Corte un’interpretazione pregiudiziale prima di disapplicare la norma nazionale contraria al diritto dell’Unione non può tuttavia trasformarsi in obbligo per il fatto che il diritto nazionale non consente a tale giudice di disapplicare una norma interna che egli ritenga contraria alla Costituzione, se tale disposizione non sia stata previamente dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale. Infatti, in virtù del principio del primato del diritto dell’Unione, di cui gode anche il principio di non discriminazione in ragione dell’età, una normativa nazionale contraria, rientrante nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, deve essere disapplicata (v., in questo senso, sentenza Mangold, cit., punto 77).

55

Risulta da queste considerazioni che il giudice nazionale, investito di una controversia tra privati, non è tenuto, ma ha la facoltà di sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale sull’interpretazione del principio di non discriminazione in base all’età, quale espresso concretamente dalla direttiva 2000/78, prima di disapplicare una disposizione nazionale che ritenga contraria a tale principio. Il carattere facoltativo di tale rinvio è indipendente dalle modalità che si impongono al giudice nazionale, nel diritto interno, per poter disapplicare una disposizione nazionale che ritenga contraria alla Costituzione.

56

In considerazione di tutto quel che precede, la seconda questione va risolta dichiarando che è compito del giudice nazionale, investito di una controversia tra privati, garantire il rispetto del principio di non discriminazione in base all’età, quale espresso concretamente dalla direttiva 2000/78, disapplicando, se necessario, qualsiasi disposizione contraria della normativa nazionale, indipendentemente dall’esercizio della facoltà di cui dispone, nei casi previsti dall’art 267, secondo comma, TFUE, di sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale sull’interpretazione di tale principio.

Sulle spese

57

Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

 

1)

Il diritto dell’Unione, in particolare il principio di non discriminazione in base all’età, quale espresso concretamente nella direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nella causa principale, che prevede che, ai fini del calcolo del termine di preavviso di licenziamento, non siano presi in considerazione i periodi di lavoro compiuti dal dipendente prima del raggiungimento dei 25 anni di età.

 

2)

È compito del giudice nazionale, investito di una controversia tra privati, garantire il rispetto del principio di non discriminazione in base all’età, quale espresso concretamente dalla direttiva 2000/78, disapplicando, se necessario, qualsiasi disposizione contraria della normativa nazionale, indipendentemente dall’esercizio della facoltà di cui dispone, nei casi previsti dall’art. 267, secondo comma, TFUE, di sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale sull’interpretazione di tale principio.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il tedesco.

Top