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Document 52004AE1649

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Aumentare il tasso d'occupazione dei lavoratori anziani e differire l'uscita dal mercato del lavoro (COM(2004) 146 def.)

GU C 157 del 28.6.2005, p. 120–129 (ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, IT, LV, LT, HU, NL, PL, PT, SK, SL, FI, SV)

28.6.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 157/120


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Aumentare il tasso d'occupazione dei lavoratori anziani e differire l'uscita dal mercato del lavoro

(COM(2004) 146 def.)

(2005/C 157/22)

Procedura

La Commissione, in data 3 marzo 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla: comunicazione di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 novembre 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore DANTIN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 dicembre 2004, nel corso della 413a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 125 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

Premessa

I.

In un parere di iniziativa dell'ottobre 2000 il Comitato economico e sociale europeo osservava quanto segue: «Il Comitato ha ritenuto che la questione dei lavoratori più anziani rivestisse un'importanza tale da richiedere un parere d'iniziativa che esaminasse i diversi aspetti della problematica. Con tale parere il Comitato ha inoltre voluto sottolineare la necessità di adottare un approccio positivo alla questione dei lavoratori più anziani, dal momento che il trattamento spesso loro riservato non solo si fonda su un concetto di società poco solidale e discriminatoria, ma comporta in molti casi la perdita di personale altamente qualificato, con la conseguenza di un abbassamento del livello globale della competitività. Il Comitato ritiene d'altro canto che, dinanzi all'allungarsi della vita delle persone grazie ai progressi della scienza, per parte sua la società deve fare tutto il possibile per riempire degnamente gli anni così guadagnati» (1).

II.

Le considerazioni espresse in questo parere d'iniziativa, adottato quasi all'unanimità in sessione plenaria, rappresentano un punto fermo nei lavori del Comitato e riflettono lo stadio cui sono pervenuti il suo impegno di riflessione e le sue prese di posizione su questa problematica.

III.

Nel presente parere il Comitato esaminerà la comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «Aumentare il tasso d'occupazione dei lavoratori anziani e differire l'uscita dal mercato del lavoro» alla luce delle premesse, delle analisi, delle raccomandazioni e delle conclusioni formulate nel parere d'iniziativa citato al punto I, allo scopo di richiamare l'attenzione sui nuovi elementi emersi nel frattempo.

1.   Introduzione

1.1

Il Consiglio europeo di Lisbona ha assegnato all'Unione europea un obiettivo ambizioso in materia di tasso occupazionale. Questo dovrebbe salire a una «percentuale che si avvicini il più possibile al 70 % entro il 2010», mentre «il numero delle donne occupate» dovrebbe passare «dall'attuale media del 51 % a una media superiore al 60 % entro il 2010». Questi due obiettivi sono giustificati da ragioni di ordine sia sociale che economico. In effetti, se da una parte l'occupazione resta il migliore antidoto contro l'esclusione sociale, dall'altro, sul fronte delle imprese e dell'economia in generale, l'aumento del tasso occupazionale dei lavoratori anziani è indispensabile per evitare o ridurre la carenza di mano d'opera sfruttando appieno il potenziale delle persone attive disponibili. Visto il calo che si profila nel numero delle persone in età da lavoro, tale aumento servirebbe anche a sostenere la crescita economica, a favorire il gettito fiscale e a salvaguardare i sistemi di protezione sociale.

1.2

Per la maggior parte degli Stati membri la progressiva realizzazione di quest'obiettivo implica inevitabilmente, per prima cosa, l'innalzamento del tasso di occupazione dei lavoratori anziani.

1.2.1

È proprio per questo motivo che la promozione dell'invecchiamento attivo costituisce uno dei due obiettivi complementari fissati dall'Unione europea. Il Consiglio europeo di Stoccolma del 2001 ha in effetti stabilito che entro il 2010 la metà della popolazione europea fra i 55 e i 64 anni di età dovrà avere un lavoro. Il Consiglio europeo di Barcellona del 2002 ha poi concluso che entro il 2010 «occorrerebbe aumentare gradualmente di circa 5 anni l'età media effettiva di cessazione dell'attività lavorativa nell'Unione europea».

1.3

Nella propria relazione di sintesi al Consiglio europeo della primavera 2004 (2) la Commissione ha additato l'invecchiamento attivo come uno dei tre ambiti d'intervento prioritari che richiedono iniziative sollecite per realizzare la strategia di Lisbona.

1.4

La comunicazione oggetto del presente parere mira dunque ad alimentare il dibattito sui progressi realizzati nel raggiungimento degli obiettivi di Stoccolma e di Barcellona e a porre in evidenza il ruolo dei governi e delle parti sociali nella promozione dell'invecchiamento attivo. Essa fa pure seguito alla richiesta, formulata dal Consiglio europeo di Barcellona, di analizzare una volta all'anno, prima di ogni Consiglio di primavera, i progressi compiuti in questo ambito.

1.5

Il presente parere rappresenta il contributo del Comitato al dibattito sul tasso occupazionale dei lavoratori anziani, dibattito già arricchito dalla comunicazione in esame e che dovrà concludersi provvisoriamente nel prossimo mese di dicembre.

2.   La comunicazione

2.1

Secondo la comunicazione, man mano che la popolazione attiva invecchia e si riduce, i lavoratori anziani dovranno essere riconosciuti per ciò che sono: un elemento essenziale dell'offerta di mano d'opera e un fattore chiave per lo sviluppo sostenibile dell'Unione europea.

2.2

La Commissione giudica pertanto essenziale attuare strategie intese a mantenere l'offerta di mano d'opera e a garantire l'occupabilità dei lavoratori rientranti nella fascia d'età considerata, anche durante i periodi in cui la dinamica occupazionale registra battute d'arresto.

2.3

A tal fine essa evidenzia che l'orientamento principale delle politiche da attuare deve basarsi su un approccio preventivo volto a sfruttare appieno, in una prospettiva di ciclo di vita, il potenziale degli individui di tutte le fasce di età.

2.3.1

In tale contesto, propone in sostanza che gli Stati membri definiscano e realizzino strategie globali per l'invecchiamento attivo tali da includere:

incentivi finanziari per scoraggiare i pensionamenti anticipati e rendere la permanenza al lavoro più interessante sotto il profilo finanziario,

l'accesso a strategie di formazione e d'istruzione lungo l'intero arco della vita,

politiche del mercato del lavoro attive ed efficaci,

buone condizioni di lavoro sotto il profilo della salute, della sicurezza e della flessibilità del lavoro, che invoglino a restare occupati.

2.3.2

La comunicazione indica la necessità di un maggiore coinvolgimento e impegno delle parti sociali nella formulazione e nell'attuazione di strategie globali per l'invecchiamento attivo. Queste ultime, precisa, devono svolgere un ruolo particolarmente importante attraverso i contratti collettivi.

2.4

Da parte sua il Comitato rileva che la comunicazione non analizza le cause delle diverse situazioni e dei relativi sviluppi (cause che vengono illustrate in maniera particolareggiata e precisa in altra sede), e che il documento è abbastanza laconico per quanto riguarda le decisioni del Consiglio di Barcellona. Il Comitato si riserva di ritornare su questi punti in un capitolo successivo del presente parere.

3.   I fatti

3.1

Entro il 2030, il numero delle persone di età superiore ai 65 anni nell'Unione europea a 25 passerà dai 71 milioni del 2000 a ben 110 milioni, e la popolazione attiva, attualmente pari a 303 milioni di persone, scenderà a 280 milioni, facendo scendere da 4,27 a 2,55 il rapporto fra questi due fattori.

3.2

Parallelamente a questa evoluzione, negli ultimi vent'anni la distribuzione dell'attività lavorativa nell'arco di una vita ha subito profondi cambiamenti.

3.2.1

I giovani accedono più tardi al mercato del lavoro a causa del prolungamento della scolarità, della formazione e delle difficoltà a trovare un'occupazione appropriata (3).

3.2.2

In questi ultimi 30 anni il tasso occupazionale della popolazione complessiva appartenente alla fascia di età superiore ai 55 anni ha accusato un forte declino in Europa, ma anche una contrazione, seppur meno marcata, oltre Atlantico: nel 1999 era del 37 % nell'Unione europea e del 55 % negli Stati Uniti (4). Nel 2002, in Europa si riscontrava una netta differenza fra gli uomini (50,1 %) e le donne (30,25 %), con una media complessiva del 40,1 %.

3.2.3

Dagli anni '70 fino a poco tempo fa, il tasso degli occupati ha accusato una flessione marcata e continua, accentuatasi sensibilmente fra il 1980 e il 1985 (5): fra il 1971 e il 1999 questo tasso si è contratto del 47,4 % in Francia, del 45,8 % nei Paesi Bassi, del 39 % in Spagna, del 38,7 % in Germania, del 30 % in Irlanda, e, infine, del 29 % in Portogallo e nel Regno Unito. Nel 2002, per la fascia di età compresa fra i 55 e i 64 anni era del 40,1 % nell'UE a 15 e del 38,7 % nell'UE a 25. L'allegato riporta l'andamento globale per i singoli Stati membri nel periodo 1997-2002 (6). Si potrebbe certamente parlare di una tendenza a dinamiche diverse a seconda delle persone, però questo non rispecchia sempre un ampliamento delle possibilità di scelta dei singoli. In taluni Stati membri l'abbandono precoce è, nella maggioranza dei casi, più un'imposizione che una scelta: la flessibilità alla fine della carriera lavorativa riflette piuttosto gli imperativi dettati dalla situazione del mercato del lavoro, le strategie delle politiche attuate dalle imprese e, contestualmente, dai pubblici poteri (7) nei confronti della mano d'opera, e spesso la concezione dei regimi pensionistici.

3.3

La vita lavorativa si è dunque tendenzialmente accorciata per le fasce di età alle due estremità della scala, e riguarda oggi per lo più le fasce intermedie.

3.4

La fascia compresa fra i 50 e i 64 anni presenta un'importanza particolare per la politica occupazionale. Nell'Unione europea a 15 la sua percentuale rispetto alla popolazione totale passerà dal 25 % del 1995 al 34,40 % nel 2025, con un incremento che sarà nettamente più rapido nei paesi scandinavi (8).

3.5

Questa dinamica suscita particolari preoccupazioni nella prospettiva del forte invecchiamento demografico che si profila per l'Unione europea (9). La fine del primo decennio di questo secolo sarà caratterizzata da una tendenza la cui portata simbolica non potrà celarne il carattere inquietante: il fatto, cioè, che il numero delle persone di meno di 20 anni scenderà al di sotto di quello delle persone di oltre 60 anni. È il primo passo di un'evoluzione che nei prossimi cinquant'anni potrebbe comportare il raddoppio della popolazione uscita dal mercato del lavoro rispetto a quella in età lavorativa (la proporzione passerebbe infatti da 4 a 10 a 8 a 10) (10).

3.6

Nella comunicazione in esame si constata tuttavia che di recente sono stati compiuti dei progressi nella realizzazione degli obiettivi di Stoccolma e di Barcellona. In effetti, nel 2002 la percentuale dei lavoratori anziani occupati è aumentata del 5,4 %, comportando un incremento dell'1,3 % del tasso occupazionale, che ha raggiunto il 40,1 %. L'età media di uscita dal mercato del lavoro è passata da 60,4 anni nel 2001 a 60,8 anni nel 2002.

3.6.1

La comunicazione precisa tuttavia che sarebbe prematuro interpretare l'innalzamento dell'età di uscita dal mercato del lavoro come il segno netto di una tendenza positiva, poiché i dati disponibili riguardano solo un biennio.

3.6.2

Malgrado le difficoltà inerenti alla recente attuazione di talune riforme, sarebbe utile procedere a un'analisi quanto più possibile accurata — e più approfondita rispetto a quella della Commissione — dei motivi all'origine di tale miglioramento, allo scopo di individuare eventuali prassi.

3.6.3

In questo contesto sarebbe pure necessario osservare quale parte del miglioramento è legata all'introduzione di dispositivi con l'obiettivo principale — se non unico — d'innalzare il tasso occupazionale dei lavoratori anziani, e quale è piuttosto ascrivibile alle conseguenze, ossia agli effetti indiretti, di modifiche apportate a sistemi sociali nell'intento precipuo di assicurarne la sostenibilità economica destabilizzata dalla situazione e dalle previsioni demografiche.

3.7

Ciò non toglie che, riguardo alla fascia di età 55-64 anni, e durante il periodo 1995-2002, in media solo il 35 % dei lavoratori dipendenti ha lasciato il mercato del lavoro all'età pensionabile prevista dalla legge. In effetti, il 22 % ha ottenuto il pensionamento anticipato, il 17 % ha lasciato il lavoro per invalidità imputabile a malattia, il 13 % ha perduto il lavoro in seguito a licenziamento individuale o collettivo e un altro 13 % per motivi vari (11).

3.7.1

Per quanto siano migliorate in questi ultimi anni, queste statistiche rimangono significative. Infatti, se negli anni '80 si era potuto pensare che il numero considerevole dei pensionamenti anticipati — e degli abbandoni del lavoro per invalidità imputabile a malattia (soluzione che talvolta si può considerare un'alternativa al pensionamento anticipato) — fosse dovuto alle profonde ristrutturazioni industriali di allora, oggi, visto il persistere della situazione, questa spiegazione non sembra sufficiente, dato che solo il 35 % dei lavoratori dipendenti lascia il mercato del lavoro al compimento dell'età pensionabile.

4.   Spunti per soluzioni: le proposte della comunicazione

4.1

Il riequilibrio del rapporto fra attivi e inattivi, l'evoluzione dell'età media di uscita dal mercato del lavoro, il mantenimento di un volume ottimale della mano d'opera rispetto alle previsioni demografiche dell'Unione europea richiedono innanzitutto l'innalzamento del tasso di attività dei lavoratori dipendenti che hanno più di 55 anni, beninteso nel contesto degli equilibri auspicabili fra lavoro e pensionamento, tempo libero e lavoro, che rappresentano i valori del modello sociale europeo.

4.2

Una tale conversione va programmata nel medio periodo, introducendo una politica intesa a salvaguardare l'occupabilità durante tutto l'arco della vita lavorativa e a provvedere alla riqualificazione dei lavoratori dipendenti (uomini e donne) di età superiore ai 40 anni. In proposito non è infatti immaginabile che questo processo si svolga senza scosse, cioè che basti invertire la tendenza del mercato del lavoro per indurre le imprese a mantenere il personale meno giovane.

4.2.1

Al di là delle iniziative concrete da intraprendere, sotto il profilo psicologico è fondamentale fare tutto il necessario per giungere a un cambiamento di mentalità e per sensibilizzare sia le imprese che i dipendenti. Occorre far sì che lavorare dopo i 55 anni sia visto dagli interessati come un fattore valorizzante e che le imprese o i servizi pubblici siano consapevoli dei vantaggi che possono trarre dai lavoratori anziani (esperienza maturata, know-how, capacità di trasmettere le proprie conoscenze ad altri, ecc.). Le misure concrete che si potranno adottare non risulteranno pienamente efficaci se mancherà questo processo di sensibilizzazione collettiva.

4.2.2

A tale scopo, nel proprio parere d'iniziativa dell'ottobre 2000 (12) sull'argomento, il Comitato aveva suggerito alla Commissione di promuovere, con la collaborazione degli Stati membri, un'ampia campagna informativa ed esplicativa per favorire una percezione positiva del ruolo che i lavoratori già maturi possono svolgere nelle imprese come nei pubblici servizi.

4.2.2.1

Il Comitato si compiace che il «Rapporto del gruppo ad alto livello sull'avvenire della politica sociale in un'Unione europea allargata» (trad. provv.), pubblicato alla fine del primo semestre 2004, tenga conto della proposta del Comitato.

4.2.3

Inoltre, occorre dare maggiormente atto dell'importanza che le persone mature hanno nell'economia sociale, sia per il ruolo che svolgono nell'ambito della famiglia, sia per il loro lavoro di volontariato nella società civile, nelle istituzioni democratiche, nelle ONG e più in generale nella vita associativa. Tutto ciò permetterà di valutare concretamente il loro potenziale di dinamismo, innovazione ed efficacia.

4.3

Nella sua comunicazione la Commissione presenta le «Condizioni fondamentali della promozione dell'occupazione dei lavoratori anziani».

4.3.1   Pensionamenti anticipati e incentivi finanziari

Dopo aver constatato che oltre il 20 % dei lavoratori dipendenti (pari a circa 3 milioni di persone) lascia l'ultimo posto di lavoro mediante pensionamenti anticipati, la comunicazione suggerisce di riesaminarne gli «incentivi finanziari» per far sì che la loro permanenza sul mercato del lavoro risulti una soluzione economicamente conveniente.

4.3.1.1

A giudizio del Comitato, questa proposta, comparabile alla comunicazione sul tema «Modernizzazione della protezione sociale: rendere il lavoro proficuo» (13), va considerata positivamente in funzione della qualità e della natura degli elementi da attuare. Tuttavia, per quanto utile, quest'idea non può cancellare il peso determinante degli elementi obiettivi della situazione dei lavoratori dipendenti, cioè il loro livello di occupabilità, la gestione delle risorse umane durante l'intero arco della carriera, specie della sua seconda parte, e più in generale la posizione loro riservata nel quadro della politica attuata nell'impresa. Su un altro piano, si possono prendere anche in considerazione i singoli progetti del lavoratore nel quadro della sua vita privata.

4.3.1.2

Infatti, dinanzi alla dinamica costante ed esponenziale del sistema produttivo e dei processi di fabbricazione, in un'economia in perpetuo sviluppo e sullo sfondo di un mercato anch'esso in continua evoluzione, le imprese devono adattarsi, evolvere, ristrutturarsi per progredire in un contesto globalizzato, e al tempo stesso trovare quell'equilibrio tra fattori sociali ed economici che è l'unico in grado di assicurare loro dinamismo e crescita. Di conseguenza, le imprese sono alla ricerca di margini di manovra e di spazi vitali.

4.3.1.3

Spesso esse trovano questi spazi in termini di quantità e qualità di occupazione nei lavoratori dipendenti anziani. Ciò avviene soprattutto con i cosiddetti «ammortizzatori sociali» successivi alle ristrutturazioni.

4.3.1.4

Al di là di questi «ammortizzatori sociali», l'introduzione dei pensionamenti anticipati consente alle imprese di sostituire i lavoratori anziani giudicati poco produttivi o con competenze obsolete con lavoratori più giovani, ma spesso in numero più ridotto. In questo modo ritengono di poter migliorare la loro competitività, ridimensionando al tempo stesso il monte salari e riequilibrando la piramide di età. Malgrado le difficoltà, questa situazione rispecchia talvolta una gestione inadeguata delle risorse umane e un'insufficiente gestione previsionale degli impieghi e delle qualifiche. In generale, a seconda degli Stati membri, tali situazioni sono state rese possibili dai meccanismi introdotti dai pubblici poteri e/o dai sistemi di sicurezza sociale.

4.3.1.5

Ciò non toglie che anche le scelte degli stessi lavoratori abbiano un loro peso: basti considerare che, tra quanti sono stati posti in pensionamento anticipato, solo 4 su 10 avrebbero voluto proseguire la loro attività professionale (14). In effetti, a parte i lavoratori affetti da una vera invalidità, non si può ignorare il frequente desiderio di partecipare — attraverso il pensionamento anticipato — a una nuova e interessante formula di distribuzione dei benefici della crescita; né si può ignorare il tedio di un lavoro, compiuto magari da oltre quarant'anni, caratterizzato il più delle volte da compiti poco o per nulla diversificati, da mansioni scarsamente o niente affatto valorizzate e da possibilità scarse o inesistenti di avvicendamento nel posto occupato, il che induce molti lavoratori ad aspirare a un altro stile di vita. Ed è spesso con la sensazione di «avere già dato» che tanti optano spontaneamente per il pensionamento anticipato, visto che non viene loro prospettato alcun nuovo posto di lavoro più rispondente alle loro capacità.

4.3.1.6

Attualmente si può dire che tra il lavoratore e la sua impresa spesso esiste una convergenza d'interessi o, in altre parole, un'alleanza obiettiva, la quale si traduce in genere in contratti collettivi stipulati dalle parti sociali ai vari livelli della contrattazione, incluso quello aziendale.

4.3.1.7

I pensionamenti anticipati si «giustificano» con i problemi e le osservazioni finora esposte. Pertanto, se si vuol modificare l'attuale stato di cose, occorre tener presente tale quadro, unitamente alla situazione illustrata qui di seguito al punto 4.3.2.

4.3.2   Riformare i pensionamenti anticipati

La comunicazione in esame accenna anche, in termini generali, alla necessità di riformare il sistema dei pensionamenti anticipati. Dal canto suo il Comitato accoglie con favore questo orientamento generale a condizione che sia volto unicamente a permettere ai lavoratori anziani di mantenere il loro posto di lavoro, e non a lasciarli disoccupati, giacché il fine è proprio quello di accrescere il tasso occupazionale. Infatti, è corretto sottolineare, come fa la Commissione, che tutti gli incentivi al mantenimento dell'occupazione per i lavoratori anziani devono evidentemente trovare riscontro in prospettive di lavoro reali. Fino a ora, infatti, i pensionamenti anticipati hanno costituito in pratica solo uno strumento messo a disposizione del mercato del lavoro per ridimensionarne i costi sociali in termini di disoccupazione di lunga durata e di esclusione. In altri termini, i pensionamenti anticipati sono serviti da strumento per una «politica dell'occupazione» o, meglio ancora, per una politica «anti-disoccupazione». Si può notare che in vari Stati membri essi si sono spesso tramutati in un vantaggio sociale e in un diritto acquisito, e come tali sono stati considerati dalle imprese e dai lavoratori.

4.3.2.1

D'altro canto, però, vi sono due casi di pensionamento anticipato che meritano riflessione, attenzione e soprattutto prudenza:

i pensionamenti anticipati nel contesto di grandi ristrutturazioni, poiché è vero che in termini di coesione sociale un pensionato «giovane» è meglio di un «vecchio» disoccupato di lunga durata senza prospettive di reimpiego. A questo riguardo va tenuto presente che l'epoca delle trasformazioni industriali non è completamente passata, soprattutto se si considera il recente allargamento dell'Unione,

i pensionamenti anticipati, totali o parziali, contro corrispondenti assunzioni di persone in cerca di lavoro, poiché anche in questo caso un pensionato è preferibile a un disoccupato cui non viene offerta alcuna prospettiva d'inserimento nella vita attiva.

4.3.2.2

Inoltre, i pensionamenti anticipati possono offrire una soluzione per i lavoratori anziani che hanno lavorato in condizioni particolarmente difficili. Infatti, per quanto nell'insieme le prospettive di vita si siano allungate, la situazione non è certo uguale per tutti. Forti disparità, ad esempio, si riscontrano a seconda dei gruppi sociali, in particolare fra la categoria dei «dirigenti» e quella degli «operai»: lo dimostra il fatto che nel 1999 l'aspettativa di vita all'età di 35 anni era di 44,5 anni per un dirigente e di 38 anni per un operaio (15). Queste statistiche dovranno essere prese in considerazione in tutte le analisi sulla durata della vita sul lavoro e al di fuori del lavoro. Ridurre queste disuguaglianze rappresenta una sfida importante.

4.3.3   Buone condizioni di salute e di sicurezza sul lavoro

Come la comunicazione sottolinea giustamente, il secondo motivo che induce i lavoratori a lasciare il mercato del lavoro è costituito dalla malattia di lunga durata o dall'invalidità, fenomeni che in effetti interessano oltre il 15 % della popolazione in esame.

4.3.3.1

Questa situazione va sicuramente relativizzata, visto che taluni Stati membri hanno «convogliato» un certo numero di lavoratori verso l'invalidità o si sono serviti di quest'ultima come alternativa ai pensionamenti anticipati (16).

4.3.3.2

In ogni caso, è chiaro che il miglioramento delle condizioni di lavoro porta a una maggiore tutela della salute e dell'integrità fisica nell'intero arco della vita lavorativa, contribuendo così a mantenere l'occupazione. Anche l'ergonomia, lo studio dei posti di lavoro e dello sforzo fisico che comportano, la definizione, la modifica e il miglioramento dei compiti, in sostanza l'obiettivo generale di un impiego di qualità lungo tutta la vita lavorativa, sono tematiche centrali ai fini del mantenimento dei lavoratori anziani al lavoro durante l'ultimo periodo della loro carriera.

4.3.3.3

In ogni caso, l'invalidità non può essere considerata nel complesso una condizione che comporti sistematicamente l'uscita dal mercato del lavoro. In effetti, i lavoratori dipendenti che diventano disabili durante la loro vita professionale rappresentano un capitale umano potenzialmente molto prezioso. Infatti, grazie ai necessari adattamenti, alla riabilitazione e a vari tipi di formazione complementare essi possono conseguire notevoli abilità per espletare compiti diversi da quelli che ormai non possono più svolgere a causa del loro handicap. Sotto questo profilo, e ai fini di una maggiore efficienza, potrebbe essere utile considerare il potenziale impatto cumulativo dei redditi derivanti dalla pensione d'invalidità e dei redditi salariali.

4.3.4   Forme flessibili di organizzazione del lavoro

4.3.4.1

La flessibilità dell'orario lavorativo negli anni precedenti al raggiungimento dell'età pensionabile è un altro aspetto delle condizioni di lavoro che può indurre i lavoratori anziani a proseguire la loro attività. Le statistiche nazionali disponibili mostrano che molti di questi lavoratori preferirebbero un pensionamento graduale, in particolare a causa dei problemi di salute dovuti all'avanzare degli anni, ma anche per rendere meno traumatica la cessazione dell'attività lavorativa. Anziché implicare una cesura netta, il pensionamento anticipato dovrebbe piuttosto diventare un processo scelto dai lavoratori per ridurre progressivamente le ore di lavoro.

4.3.4.2

Nella pratica, sinora, si è presa in considerazione quasi esclusivamente l'età del pensionamento senza mettere in conto le condizioni di lavoro dei lavoratori anziani. Sui provvedimenti positivi per organizzare la fine della carriera lavorativa, come i prepensionamenti progressivi, ha per lo più prevalso il mantenimento dei prepensionamenti totali, per cui non vi è stato alcuno sviluppo auspicabile in materia. Questa situazione deve cambiare: la pensione, infatti, da essere un momento che si cerca di anticipare il più possibile, dovrebbe piuttosto diventare un processo «volontario e progressivo», che consenta ai lavoratori di ridurre progressivamente il tempo di lavoro nel contesto di una serie di garanzie collettive.

4.3.5   L'accesso permanente alla formazione

Per l'avvenire occorrerà tener presente che «il degrado del potenziale produttivo dei lavoratori anziani non è legato al passare degli anni, bensì all'obsolescenza delle qualifiche, situazione alla quale si può ovviare grazie alla formazione» (17).

Detto ciò, va notato che non basta prevedere una politica rivolta ai lavoratori ultraquarantenni e ultracinquantenni. Infatti, come ha osservato giustamente il Consiglio superiore del lavoro belga, «una politica intesa a modificare la problematica dei lavoratori anziani è destinata ad arrivare troppo tardi se contempla unicamente questa categoria di lavoratori. Per questo motivo occorre una gestione del personale che tenga conto dell'età sin dal momento in cui ha inizio la vita lavorativa» (18).

4.3.5.1

Se l'idea dell'istruzione e formazione lungo tutto l'arco della vita è ormai acquisita e costituisce una delle chiavi di volta della politica europea dell'occupazione, è molto preoccupante constatare che la percentuale di mano d'opera che partecipa all'istruzione e alla formazione è, in media, di appena il 14 % per la fascia di età 25-29 anni, e che si riduce progressivamente con l'aumentare dell'età per attestarsi al 5 % circa per la fascia compresa fra i 55 e i 64 anni (19). In questi ultimi anni queste percentuali hanno registrato un aumento estremamente contenuto, per non dire nullo.

4.3.5.2

In un sistema di produzione in cui il lavoro richiede sempre più capacità tecniche e know-how, questo stato di cose appare preoccupante in riferimento non solo al tasso occupazionale dei lavoratori anziani, ma anche alla competitività europea. È auspicabile, per non dire indispensabile, rimediare a questa situazione. A tal fine:

le imprese devono integrare la formazione nella loro strategia alla stessa stregua di un investimento a medio e a lungo termine, senza pretendere che i loro investimenti in questo campo producano un ritorno rapido o addirittura immediato,

i lavoratori dipendenti hanno talvolta difficoltà a seguire corsi di formazione o per mancanza di entusiasmo (è il caso di quelli con qualifiche scarse o nulle), o perché non si sentono all'altezza non avendo completato gli studi, o ancora perché non ne vedono l'utilità data l'imminenza della pensione.

4.3.5.3

Manifestamente, in questa problematica può risultare determinante il ruolo delle parti sociali a tutti i livelli della contrattazione. A tale scopo, il «Quadro d'azione per lo sviluppo delle competenze e delle qualifiche lungo tutto l'arco della vita» convenuto dalle parti sociali europee costituisce un'iniziativa capitale per promuovere l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita e in tutte le fasce di età. Al tempo stesso, un ruolo di primo piano compete anche ai pubblici poteri, i quali devono garantire la creazione di un contesto propizio allo sviluppo della formazione lungo tutto l'arco della vita.

4.3.5.4

Tuttavia, la formazione professionale, la formazione e istruzione lungo tutto l'arco della vita non devono essere viste in forma isolata, bensì come aspetti correlati della gestione della carriera dei lavoratori dipendenti. La loro funzione è quella di assicurare una motivazione, indipendentemente dall'età, valorizzando le competenze e dando impulso ai percorsi professionali. Sotto questo profilo i bilanci delle competenze e la convalida delle conoscenze personali costituiscono altrettanti strumenti da sviluppare nel quadro di progetti professionali individuali, in funzione delle finalità dell'impresa.

4.3.5.5

Sotto questo profilo l'Unione europea si trova di fronte a una sfida non indifferente, dal cui esito dipende in parte il successo della strategia di Lisbona. In generale occorre accrescere la partecipazione dei lavoratori dipendenti alla formazione professionale, innalzando in questo modo il livello generale delle conoscenze e delle competenze dei lavoratori meno giovani.

4.3.6   Politiche attive efficaci del mercato del lavoro

4.3.6.1

Il CESE condivide l'idea, espressa nella comunicazione in esame, secondo la quale «per far sì che i lavoratori possano rimanere più a lungo nel mondo del lavoro, è essenziale anticipare i cambiamenti e gestire con successo le necessarie ristrutturazioni economiche». Quest'analisi è in linea con una delle cause enucleate al punto 4.3.1.4 del presente parere, cioè «un'insufficiente gestione previsionale degli impieghi e delle qualifiche».

4.3.6.2

Il Comitato condivide altresì la conclusione secondo cui «è d'importanza cruciale porre in atto approcci personalizzati che rispondano alle esigenze individuali, in particolare tramite servizi d'orientamento, una formazione specifica e sistemi di riqualificazione esterna». A tal fine può essere utile — come fa la Commissione e come è prassi in taluni Stati membri — far leva sulle prestazioni ai disoccupati in modo che contribuiscano all'offerta e all'aggiornamento delle qualifiche per agevolare l'assunzione dei lavoratori anziani disoccupati, salvaguardando nel contempo il diritto alle indennità di disoccupazione e offrendo un orientamento che incoraggi il passaggio a un altro posto di lavoro o a un'attività autonoma.

4.3.6.3

Attuare «politiche del mercato del lavoro attive ed efficaci» significa puntare al tempo stesso sulla domanda e sull'offerta di lavoro. Il Comitato si compiace che tutte le raccomandazioni che formano il grosso della comunicazione in esame si ispirino a questo principio, perché questo equilibrio è una delle condizioni per realizzare progressi tangibili.

4.3.7   Miglioramento della qualità del lavoro

4.3.7.1

La comunicazione sottolinea a ragione che la qualità del lavoro è, in generale, cruciale per far tornare o mantenere i lavoratori anziani sul mercato del lavoro. In effetti, il numero dei lavoratori anziani che abbandonano un'attività lavorativa di qualità mediocre è di quattro volte superiore a quello dei lavoratori anziani con lavori di qualità superiore, e il doppio di quello dei giovani con impieghi di qualità mediocre (20). Questa parte della comunicazione sarebbe risultata più precisa e avrebbe potuto dar vita a un dibattito se avesse cercato di definire il concetto di «qualità del lavoro» e di tratteggiare una soluzione praticabile. Sarebbe stato utile quanto meno riepilogare le impostazioni adottate in testi precedenti (ad esempio il COM(2003) 728 del 26 novembre 2003 e la relazione «L'occupazione in Europa 2002»).

4.4   Altre proposte e riflessioni

In generale, al pari degli orientamenti di Lisbona, la strategia volta ad «aumentare il tasso d'occupazione dei lavoratori anziani e differire l'uscita dal mercato del lavoro» potrà essere realizzata con maggiore efficacia se andrà di pari passo con un tasso di crescita propizio all'occupazione.

Il metodo aperto di coordinamento viene applicato per i vari aspetti legati alle pensioni. Per quanto riguarda tuttavia «l'invecchiamento attivo», la comunicazione accenna a un «programma di valutazione interpari» attuato nel quadro della strategia europea per l'occupazione. Ora, è difficile comprendere le ragioni che indurrebbero a seguire due diverse procedure. Per praticità, e ai fini di una maggiore efficacia, sembra utile continuare a far leva sul concetto di «età di uscita dal mercato del lavoro», e quindi globalmente dell'età pensionabile, privilegiando quindi il metodo aperto di coordinamento.

Circa gli orientamenti del Consiglio europeo di Stoccolma, e fermo restando quanto è detto nei capitoli che precedono, il Comitato condivide le linee d'azione additate nella comunicazione in esame. Quanto alla task-force Occupazione, si rimanda al parere del Comitato sull'argomento (21).

È tuttavia possibile avanzare e precisare altre proposte e riflessioni.

4.4.1   Le assunzioni

Per quanto le assunzioni costituiscano un fattore strategico nel tasso di occupazione dei lavoratori anziani (22), tale aspetto è stato di recente trascurato nel lavoro di riflessione generale. La comunicazione non concentra la sua attenzione su questo elemento, il quale ha a che vedere con la dimensione psicologica del problema, con la discriminazione, e dunque con il rispetto della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

4.4.1.1

Eppure, è essenziale combattere qualsiasi forma di discriminazione in tema di assunzioni e, in particolare, quelle legate all'età, trattandosi dell'argomento oggetto della comunicazione in esame. Il fattore età non deve essere determinante nei criteri di assunzione: in tale sede, al contrario, si deve cercare di individuare e di valorizzare le competenze individuali acquisite nel corso dell'intera carriera. È beninteso importante tener conto delle aspirazioni e delle scelte dei lavoratori anziani, e in particolare delle richieste di lavoro differenziato (in termini di durata, ripartizione, orari, ecc.).

4.4.1.2

Sotto questo profilo è interessante constatare, ad esempio, che in taluni Stati membri numerosi concorsi per l'accesso al pubblico impiego prevedono spesso, fra i criteri di selezione, anche l'età massima, in genere intorno ai quarant'anni. Ciò significa che una persona proveniente dal privato e che abbia già compiuto i quarant'anni non può aspirare a un posto di lavoro pubblico. Ciò si traduce in una sorta di segregazione tanto più inammissibile in quanto impedisce a un disoccupato — anche se qualificato o altamente qualificato, e rispondente al profilo professionale previsto per il posto da coprire — di aspirare a un tale posto, e priva al tempo stesso il pubblico impiego dell'esperienza di un lavoratore proveniente dal settore concorrenziale. Per quanto riguarda l'Unione europea, si rammenta che solo nell'aprile 2002, in seguito all'intervento del Mediatore europeo, la Commissione ha accettato di sopprimere i limiti di età nelle procedure di assunzione. Più di recente, nel luglio 2004, quest'ultimo, in seguito a un ricorso, ha chiesto alla Commissione di abolire il limite d'età per l'assunzione di tirocinanti, ritenendo che esso costituisse una discriminazione ingiustificata. Del resto, secondo il ricorrente, questo criterio sarebbe incompatibile con la Carta dei diritti fondamentali dell'UE.

4.4.1.3

Inoltre, va notato che il moltiplicarsi delle partenze anticipate ha ulteriormente assottigliato l'interesse per i lavoratori anziani sul mercato del lavoro, e quindi per la loro assunzione. L'abbassamento dei limiti di età per agevolare l'uscita anticipata dal mercato del lavoro ha avuto conseguenze notevoli per questi lavoratori in quanto, agli occhi dei datori di lavoro, ha modificato l'età alla quale possono iniziare a essere considerati «troppo anziani».

4.4.1.4

Al tempo stesso, dal punto di vista psicologico, il comportamento delle imprese ha contribuito a minare la fiducia in se stessi nei lavoratori anziani o non più giovani, i quali finiscono implicitamente per considerarsi non più come prossimi all'età pensionabile e alla quiescenza, bensì come persone «incapaci» di lavorare o ormai «inoccupabili». In effetti, quando quasi la metà dei pensionati lascia il lavoro grazie al sistema dell'invalidità, com'è avvenuto in taluni paesi dell'UE, la pensione viene vista non già come diritto al riposo, bensì come conseguenza dell'incapacità di lavorare. Una tale percezione dell'età, effetto di una tendenza all'incasellamento, incide inevitabilmente sui comportamenti individuali poiché finisce non solo con l'influenzare il lavoratore psicologicamente, ma anche, nella pratica, col farlo sentire marginale tanto sul mercato del lavoro, e quindi sotto il profilo delle possibilità di assunzione, quanto nell'impresa e, in fin dei conti, nella società stessa.

4.4.1.5

La direttiva 2000/78/CE, in sintonia con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ha predisposto un quadro generale a favore della parità di trattamento in materia di occupazione e di lavoro. Essa vieta, a talune condizioni, le discriminazioni fondate, in particolare, sull'età. La direttiva avrebbe dovuto essere recepita nelle legislazioni nazionali entro il dicembre 2003: sarà utile quindi procedere quanto prima a un bilancio della sua applicazione cogliendo l'occasione per misurarne l'efficacia.

4.4.2   La flessibilità

Al punto 4.3.2 si è esaminato il concetto di età flessibile del pensionamento e l'attuazione della flessibilità dell'organizzazione del lavoro per i prepensionamenti. Le medesime osservazioni valgono per l'uscita dal mercato del lavoro al compimento dell'età pensionabile prevista dalla legge. Infatti, dato che quattro lavoratori su dieci avrebbero preferito proseguire la loro attività (23) per ragioni professionali, familiari o d'interesse personale (24), appare opportuno prevedere modalità di pensionamento più flessibili per tener conto di tali aspirazioni.

4.4.2.1

È necessario permettere ai lavoratori dipendenti di lasciare progressivamente il lavoro, e non, come avviene oggi, cessando l'attività all'età prevista per legge, bruscamente, da un giorno all'altro. Alla fine della carriera i lavoratori dovrebbero poter beneficiare di disposizioni tali da consentire loro di lavorare a tempo parziale (tre quarti, un terzo o metà tempo). Per facilitare l'applicazione di questo principio converrebbe valutare il possibile impatto derivante dalla fissazione di una retribuzione proporzionalmente superiore alla percentuale delle ore lavorate.

4.4.2.2

Questa presenza sul posto di lavoro potrebbe ad esempio servire a trasmettere l'esperienza maturata ai collaboratori più giovani, in particolare istituendo una funzione di tutor, di sostegno e di cooperazione al tirocinio (25), e tornare utile a tutti i vari sistemi di formazione in alternanza scuola/lavoro. Soluzioni del genere tornerebbero a beneficio di tutti: del lavoratore volontario, che potrebbe svolgere un'attività gratificante, dell'impresa, che conserverebbe e anzi potrebbe far beneficiare gli altri collaboratori dell'esperienza e del know-how del collega più anziano, grazie alle sue capacità didattiche, e dell'interesse generale, perché aumenterebbe il tasso di occupazione.

4.4.3   Le donne e le pari opportunità

La comunicazione sottolinea il forte divario fra il tasso di occupazione delle donne e degli uomini anziani: rispettivamente 30,5 % e 50,1 %. La disparità tra uomini e donne appare invece modesta per quanto riguarda l'uscita dal mercato del lavoro (26) (Cfr. tabella nell'Allegato 3).

4.4.3.1

La differenza dei tassi occupazionali di questa categoria di età corrisponde a un effetto di coorte che rispecchia la composizione del mercato del lavoro in generale. Merita notare che questa differenza non ha alcuna incidenza e non si ripercuote sull'età media dell'uscita dal mercato del lavoro.

4.4.3.2

L'innalzamento del tasso occupazionale delle donne anziane è un prerequisito per la realizzazione degli obiettivi di Stoccolma. Il tasso di occupazione di tale categoria di età deriva essenzialmente da quelli delle fasce d'età inferiori. Il problema di fondo è dunque il tasso di attività generale delle donne e non già l'età in cui esse lasciano il mercato del lavoro.

4.4.3.3

Al di là dei problemi economici che ne discendono, si tratta anche di una questione legata a motivi di equità, più volte evidenziati dal Comitato, i quali riguardano l'orientamento scolastico, il livello di formazione, la parità salariale o la responsabilità esercitata a parità di qualifiche.

4.4.3.4

Per aumentare il tasso occupazionale femminile è indispensabile migliorare le condizioni di accesso delle donne al mercato del lavoro. A tal fine occorre prevedere dispositivi che permettano sia agli uomini che alle donne, in eguale misura, di conciliare la vita privata e la vita professionale, sviluppando una rete di servizi sociali capaci di fornire quell'attenzione e quelle cure che sono normalmente disponibili nella vita privata: per i minorenni (e in particolare la disponibilità di sistemi di custodia destinati ai bambini: cfr. tabella dell'Allegato 3), per le persone non autonome (anziani, malati, ecc.), e così via.

4.4.4   La contrattazione collettiva

Nella comunicazione della Commissione si afferma che «nonostante la recente evoluzione della situazione, le parti sociali dovranno allargare e intensificare i loro sforzi, sia a livello nazionale che a livello comunitario, per creare una nuova cultura in materia di invecchiamento e di gestione del cambiamento. I datori di lavoro continuano tuttora, troppo spesso, a privilegiare regimi di pensionamento anticipato».

4.4.4.1

In proposito il Comitato si compiace dell'impostazione adottata nel documento, secondo cui il dialogo sociale è in sostanza una condicio sine qua non per poter aspirare a progressi significativi. Il Comitato approva e appoggia l'iniziativa e l'intento della Commissione, ma ritiene che sarebbe opportuno spingersi oltre. Infatti, se il dialogo sociale, anzi la contrattazione collettiva, vanno intensificati a livello nazionale e dell'Unione, la seconda va estesa per poter trovare soluzioni che tengano conto delle esigenze specifiche, visto che sempre di meno è possibile fare affidamento su soluzioni passe-partout generalmente applicabili. Sotto questo profilo le contrattazioni collettive, per tener conto delle specificità professionali (faticosità, condizioni e organizzazione del lavoro, livello di qualificazione, ecc.), devono altresì coinvolgere i settori professionali, europei e nazionali, e di riflesso anche le imprese. Solo così le disposizioni di carattere generale potranno risultare pienamente efficaci.

5.   Innalzamento dell'età media di uscita dal mercato del lavoro

5.1

Il punto 32 delle conclusioni della Presidenza del Consiglio di Barcellona prevede che, riguardo alle attuali politiche in materia di occupazione, occorrerebbe, fra le altre cose,

aumentare gradualmente di circa 5 anni l'età media effettiva di cessazione dell'attività lavorativa nell'Unione europea.

5.2

L'insieme delle analisi e delle disposizioni esaminate nei punti che precedono — e che riguardano più in particolare le decisioni del Consiglio di Stoccolma, il quale «ha convenuto di fissare a livello di Unione un obiettivo di aumento del tasso medio di occupazione nell'UE degli anziani (donne e uomini dai 55 ai 64 anni) fino al 50 % entro il 2010» — contribuiscono all'attuazione degli orientamenti di Barcellona. In effetti, ogni lavoratore di età compresa fra i 55 e 64 anni che rinvia la sua uscita dal mercato del lavoro contribuisce a innalzare l'età media di cessazione dell'attività professionale nell'UE.

5.3

L'applicazione delle decisioni di Stoccolma rappresenta il motore essenziale dell'evoluzione positiva perseguita con l'orientamento del Consiglio di Barcellona. Infatti, l'obiettivo di «aumentare gradualmente di circa 5 anni l'età media effettiva di cessazione dell'attività lavorativa» non può essere esaminato né valutato astraendo dall'obiettivo «di (un) aumento del tasso medio di occupazione nell'UE degli anziani (donne e uomini dai 55 ai 64 anni)».

5.4

Effettivamente, viste le difficoltà constatate per accrescere il tasso di attività dei lavoratori di età compresa fra i 55 e i 64 anni, non sarebbe ragionevole considerare l'obiettivo di Barcellona come a sé stante. Per conseguirlo si potrebbe essere infatti tentati di ritardare l'età pensionabile prevista dalla legge.

5.5

Un'ipotesi del genere non sarebbe coerente, visto che già ora i lavoratori dipendenti che lo desiderino non sempre riescono a portare a termine la loro carriera lavorativa.

6.   Conclusioni e raccomandazioni

6.1

Il Comitato conferma l'orientamento generale del proprio parere d'iniziativa sul tema «I lavoratori anziani» dell'ottobre 2000, in cui tiene a «sottolineare la necessità di adottare un approccio positivo alla questione dei lavoratori più anziani, dal momento che il trattamento spesso loro riservato non solo si fonda su un concetto di società poco solidale e discriminatoria, ma comporta in molti casi la perdita di personale altamente qualificato, con la conseguenza di un abbassamento del livello globale della competitività.»

6.1.1

Nel quadro di questo indirizzo il Comitato si compiace che il Consiglio europeo della primavera del 2004 abbia additato l'invecchiamento attivo come uno dei tre ambiti prioritari che richiedono interventi rapidi per realizzare la strategia di Lisbona. Sotto questo profilo esprime soddisfazione per il fatto che la Commissione abbia scelto, tramite la comunicazione in esame, di alimentare il dibattito sui progressi compiuti nel conseguimento degli obiettivi di Stoccolma e di Barcellona e di evidenziare il ruolo dei governi e delle parti sociali nella promozione dell'invecchiamento attivo.

6.2

In generale il CESE approva la scelta dei grandi temi d'intervento su cui è imperniata la comunicazione in esame. Tali grandi temi corrispondono ad altrettanti approcci risolutivi e possono essere giudicati positivamente, a condizione che le misure che si deciderà di attuare presentino una qualità e una natura soddisfacenti e che si tenga conto delle osservazioni formulate nel presente parere. Ciò vale per tutti gli aspetti esaminati: pensionamenti anticipati e incentivi finanziari, riforma dei prepensionamenti, flessibilità nell'organizzazione del lavoro, condizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro, o ancora il miglioramento della qualità dell'occupazione.

6.2.1

A giudizio del Comitato, tuttavia, al di là dei grandi temi indicati più sopra e delle azioni concrete da intraprendere, è imperativo che, sotto il profilo psicologico, si faccia tutto il possibile per operare un cambiamento di mentalità e creare una maggiore consapevolezza da parte sia delle imprese che dei dipendenti. Occorre che i lavoratori si sentano valorizzati se continuano a lavorare dopo i 55 anni e che le imprese e i pubblici servizi siano consapevoli dei vantaggi che possono trarre dai lavoratori anziani. Senza questa presa di coscienza collettiva le eventuali misure concrete adottate non potranno avere piena efficacia.

6.2.2

A tal fine, come già aveva fatto nel parere d'iniziativa dell'ottobre 2000, il Comitato suggerisce alla Commissione di promuovere, di concerto con gli Stati membri, una vasta campagna di sensibilizzazione, d'informazione e di chiarificazione rivolta ai principali attori e alla società in generale, per contribuire a creare una percezione positiva del ruolo che i lavoratori non più giovani possono svolgere sia nelle imprese che nei servizi pubblici, oltre che per l'insieme della società.

6.2.2.1

Il Comitato è lieto di constatare che il «Rapporto del gruppo ad alto livello sull'avvenire della politica sociale in un'Unione europea allargata» (trad. provv.), pubblicato alla fine del primo semestre 2004, abbia accolto tale suggerimento del Comitato.

6.3

Il Comitato economico e sociale europeo ritiene inoltre che:

6.3.1

Tutte le azioni intraprese per portare avanti la realizzazione delle decisioni di Stoccolma o di Barcellona devono indurre esclusivamente i lavoratori anziani a mantenere il loro lavoro o a trovare una nuova occupazione. L'obiettivo perseguito è quello d'innalzare il tasso occupazionale e ritardare l'età di uscita dal mercato del lavoro, e le modifiche alle situazioni attuali, specie per quanto riguarda i pensionamenti anticipati, non devono assolutamente provocare disoccupazione. In generale è corretto far presente, come fa la Commissione, che con tutta evidenza «gli incentivi a favore dei lavoratori anziani per il mantenimento del posto di lavoro devono essere confermati da prospettive di impiego reali».

6.3.2

Il Comitato ritiene che per accrescere il tasso occupazionale globale, o quello della fascia di età compresa fra i 55 e i 64 anni, occorra anche aumentare il tasso di occupazione delle categorie di potenziali lavoratori dipendenti meno «utilizzati». A tale scopo occorre, da un lato, intervenire energicamente per mobilitare tutte le riserve di manodopera disponibili nell'Unione, in particolare i giovani afflitti da una disoccupazione che non solo è demotivante, ma desta anche preoccupazione per la dinamica futura del tasso di occupazione complessivo, nonché le donne e i disabili.

6.3.3

La formazione professionale e l'istruzione lungo tutto l'arco della vita non possono essere viste in modo isolato, bensì come una componente della gestione della carriera dei lavoratori dipendenti. Ciò che conta in proposito è assicurare, grazie alla formazione, la motivazione a qualsiasi età, valorizzando le competenze e dinamizzando il percorso professionale. Solo a questa condizione sarà possibile assicurare un livello di competenze adeguato e quindi l'occupabilità dei lavoratori anziani.

6.3.3.1

In generale il Comitato sottolinea che, al di là della formazione, tutte le azioni rientranti in una strategia intesa ad accrescere l'occupazione dei lavoratori anziani non vanno intraprese solo per i lavoratori che hanno già superato i 40-50 anni. In effetti, una politica intesa ad affrontare i problemi dei lavoratori anziani interverrebbe troppo tardi se contemplasse solo questa categoria di lavoratori dipendenti: è quindi necessaria una gestione del personale che tenga conto del fattore età sin dalla prima assunzione dei lavoratori.

6.3.4

Al centro di questa problematica va messa la questione delle assunzioni, visto che occorre combattere qualsiasi forma di discriminazione legata all'età. Sotto questo profilo è opportuno fare il punto dell'applicazione della direttiva 2000/78/CE, la quale ha istituito un quadro generale per la parità di trattamento in materia di condizioni di lavoro, che contempla il divieto, a determinate condizioni, di qualsiasi discriminazione basata in particolare sull'età. Ciò vale per tutte le fasce di età, sia che si tratti di lavoratori anziani che di giovani.

6.3.5

Che si tratti di pensionamenti anticipati o di pensionamenti normali, deve essere possibile lasciare progressivamente il lavoro. In effetti, la fine dell'attività lavorativa non deve più costituire uno stacco netto e un evento che si cerca di anticipare il più possibile, bensì diventare un processo scelto liberamente e a carattere graduale, grazie al quale, nel quadro di un complesso di garanzie contrattuali, i lavoratori dipendenti hanno la facoltà di ridurre progressivamente la durata del lavoro. Questo potrebbe costituire un tema prioritario di ricerca e di azione nel quadro degli orientamenti per le politiche a favore dell'occupazione per il 2005.

6.3.6

Occorre intensificare il dialogo sociale, o meglio ancora, le contrattazioni collettive sia al livello dell'Unione europea che a livello nazionale. Dato che le misure generiche risultano sempre meno efficaci, è opportuno estendere tali contrattazioni collettive in modo da trovare soluzioni appropriate per singoli casi specifici. Ciò significa che, per poter tener conto delle specificità professionali (mansioni logoranti, condizioni e organizzazione del lavoro, livello delle qualifiche, ecc.), le contrattazioni collettive devono interessare anche i comparti professionali, a livello europeo e nazionale e, di riflesso, le imprese.

6.3.6.1

A partire dal 2006 sarebbe utile assegnare all'invecchiamento attivo un'importanza prioritaria nel quadro della nuova agenda per la politica sociale.

6.3.7

Il Comitato ritiene che l'orientamento positivo del Consiglio di Barcellona sia stato possibile grazie all'attuazione di quanto era stato deciso dal Consiglio di Stoccolma e reputa che l'innalzamento dell'età media effettiva alla quale cessa l'attività professionale non possa essere esaminato o valutato astraendo dall'aumento del tasso occupazionale dei lavoratori di età compresa fra i 55 e i 64 anni.

Bruxelles, 15 dicembre 2004.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Parere d'iniziativa sul tema «I lavoratori anziani», GU C 14 del 16.1.2001 punto 1.5 (relatore: Dantin).

(2)  Relazione della Commissione al Consiglio europeo di primavera «Promuovere le riforme di Lisbona nell'Unione allargata» (COM(2004) 29).

(3)  Parere CESE in merito alla disoccupazione giovanile, GU C 18 del 22.1.1996 (relatore: Rupp).

(4)  Eurostat, Contributo della Commissione europea al Consiglio sociale di Lisbona.

(5)  Eurostat, Etude de la population active («Analisi della popolazione attiva»), 1999.

(6)  Cfr. Allegato 1.

(7)  Guillemard, 1986; Casey et Laczko, 1989.

(8)  Eurostat, Proiezioni demografiche 1997 (scenario di base).

(9)  Relazione informativa sul tema «La situazione e le prospettive demografiche nell'Unione europea», (relatore: Burnel).

(10)  Consiglio economico e sociale francese, Ages et emplois à l'horizon 2010 («Fasce di età e posti di lavoro nella prospettiva del 2010»), ottobre 2001 (relatore: Quintreau).

(11)  Eurostat, Enquête sur la force de travail, Résultat de Printemps 2003 («Indagine sulla forza lavoro, risultati relativi alla primavera 2003»).

(12)  Sul tema «I lavoratori anziani», GU C 14 del 16.1.2001 (relatore: Dantin).

(13)  Cfr. SOC/162: (Relatrice: St-Hill).

(14)  Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, La lutte contre les barrières d'âge dans l'emploi («La lotta contro i limiti d'età nell'occupazione»), 1999.

(15)  Op. cit.: v. nota 9.

(16)  Op. cit.: v. nota 1 (punto 3.3.3).

(17)  OCSE, International Adult Literacy Survey

(18)  («Indagine internazionale sull'alfabetizzazione degli adulti»).

(19)  Op. cit.: v. nota 1 (punto 4.3.2).

(20)  Op. cit.: v. nota 10.

(21)  «Migliorare la qualità del lavoro: un'analisi degli ultimi progressi» (COM(2003) 728).

(22)  Parere del CESE sul tema «Misure di sostegno all'occupazione», GU C 110 del 30.4.2004 (Relatrice: Hornung-Draus, correlatore: Greif).

(23)  Op. cit.: v. nota 11.

Op. cit.: v. nota 11; Commissione europea, Age and Attitudes-Main Results from a Eurobarometer Survey («Età e comportamenti: principali risultati di un indagine dell'Eurobarometro»), 1993.

(24)  Op. cit.: v. nota 1 (punto 3.3.5).

(25)  Op. cit.: v. nota 1 (punto 4.3.4).

(26)  Cfr. Allegato 2.


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