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Document 62019CC0303

    Conclusioni dell’avvocato generale E. Tanchev, presentate l'11 giugno 2020.
    Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) contro VR.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte suprema di cassazione.
    Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2003/109/CE – Status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo – Articolo 11 – Diritto alla parità di trattamento – Sicurezza sociale – Normativa di uno Stato membro che esclude, per la determinazione dei diritti a una prestazione familiare, i familiari del soggiornante di lungo periodo che non risiedono nel territorio di tale Stato membro.
    Causa C-303/19.

    Court reports – general – 'Information on unpublished decisions' section

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2020:454

     CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    EVGENI TANCHEV

    presentate l’11 giugno 2020 ( 1 )

    Causa C‑303/19

    Istituto Nazionale della Previdenza Sociale

    contro

    VR

    [domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte suprema di cassazione (Italia)]

    «Domanda di pronuncia pregiudiziale – Direttiva 2003/109/CE – Diritti dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo – Articolo 11 – Diritto alla parità di trattamento per quanto riguarda le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale – Deroga – Legislazione nazionale che esclude i familiari non residenti di cittadini di paesi terzi ai fini dell’accertamento del diritto a prestazioni familiari»

    I. Introduzione

    1.

    Con la sua domanda di pronuncia pregiudiziale, la Corte suprema di Cassazione (Italia) chiede alla Corte indicazioni circa l’interpretazione dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo ( 2 ).

    2.

    L’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109 conferisce al cittadino di paese terzo che sia soggiornante di lungo periodo il diritto allo stesso trattamento dei cittadini dello Stato membro ospitante per quanto riguarda le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale. Il tema principale sollevato nella presente causa verte sulla circostanza se detto articolo osti a una legislazione nazionale che, al contrario di quanto previsto per i cittadini dello Stato membro ospitante, esclude, ai fini dell’accertamento del diritto ad una prestazione familiare, i familiari di cittadini di paesi terzi i quali non risiedano nel territorio di tale Stato membro. La Corte è altresì chiamata a statuire se le deroghe alla parità di trattamento che gli Stati membri hanno la facoltà di istituire ai sensi dell’articolo 11, paragrafi 2 e 4, della direttiva 2003/109 possano trovare applicazione nelle circostanze del caso di specie.

    3.

    Di conseguenza, la presente causa offre alla Corte l’opportunità di sviluppare la sua giurisprudenza sul diritto alla parità di trattamento nei confronti dei soggiornanti di lungo periodo ai sensi dell’articolo 11 della direttiva 2003/109, alla luce della sentenza del 24 aprile 2012Kamberaj (C‑571/10, EU:C:2012:233).

    4.

    La presente causa viene trattata dalla Corte parallelamente a un’altra causa, Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (Prestazioni familiari per titolari di permesso unico) (C‑302/19) in cui le mie conclusioni sono presentate in data odierna. In tale causa, il giudice del rinvio solleva una questione simile riguardante l’interpretazione dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro ( 3 ), vale a dire se la stessa esclusione applicabile ai cittadini di paesi terzi i cui familiari non soggiornano nello Stato membro ospitante sia compatibile con il diritto alla parità di trattamento riconosciuto ai titolari di un permesso unico ai sensi della medesima direttiva.

    5.

    Le due cause in oggetto pongono, fondamentalmente, problematiche nuove in merito all’applicazione della parità di trattamento nei confronti di cittadini di paesi terzi in base al diritto dell’Unione e all’interazione tra le direttive 2003/109 e 2011/98 a tale riguardo. La somiglianza delle questioni che emergono nelle due cause in oggetto mi consentirà, quindi, per evitare ripetizioni, di fare riferimento su alcuni punti alle argomentazioni esposte nelle mie conclusioni in tale causa parallela.

    II. Contesto normativo

    A.   Diritto dell’Unione

    6.

    L’articolo 2 della direttiva 2003/109, intitolato «Definizioni», enuncia quanto segue:

    «Ai fini della presente direttiva si intende per: (…)

    (e)

    “familiari”, i cittadini di paesi terzi che soggiornano nello Stato membro interessato ai sensi della direttiva 2003/86/CE del Consiglio del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare( ( 4 )); (…)».

    7.

    L’articolo 11 della direttiva 2003/109, intitolato «Parità di trattamento», così recita:

    «1.   Il soggiornante di lungo periodo gode dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda: (…)

    (d)

    le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale; (…)

    2.   Per quanto riguarda le disposizioni del paragrafo 1, lettere b), d), e), f) e g), lo Stato membro interessato può limitare la parità di trattamento ai casi in cui il soggiornante di lungo periodo, o il familiare per cui questi chiede la prestazione, ha eletto dimora o risiede abitualmente nel suo territorio.

    (…)

    4.   Gli Stati membri possono limitare la parità di trattamento in materia di assistenza sociale e protezione sociale alle prestazioni essenziali».

    B.   Diritto italiano

    8.

    L’articolo 2 del decreto legge 13 marzo 1988, n. 69, «Norme in materia previdenziale, per il miglioramento delle gestioni degli enti portuali ed altre disposizioni urgenti», convertito, con modificazioni, nella legge del 13 maggio 1988, n. 153 (in prosieguo: la «legge n. 153/1988») (GURI n. 143 del 20 giugno 1988), ha introdotto l’assegno per il nucleo familiare. Detto articolo è così formulato:

    «1.   Per i lavoratori dipendenti, i titolari delle pensioni e delle prestazioni economiche previdenziali derivanti da lavoro dipendente, (…) gli assegni familiari, le quote di aggiunta di famiglia, ogni altro trattamento di famiglia comunque denominato (…) sono sostituiti, ove ricorrano le condizioni previste dalle disposizioni del presente articolo, dall’assegno per il nucleo familiare.

    2.   L’assegno compete in misura differenziata in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo familiare, secondo la tabella allegata al presente decreto. I livelli di reddito della predetta tabella sono aumentati (…) per i nuclei familiari che comprendono soggetti che si trovino, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro, ovvero, se minorenni, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età. I medesimi livelli di reddito sono aumentati (…) se i soggetti di cui al comma 1 si trovano in condizioni di vedovo o vedova, divorziato o divorziata, separato o separata legalmente, celibe o nubile. Con effetto dal 1o luglio 1994, qualora del nucleo familiare di cui al comma 6 facciano parte due o più figli, l’importo mensile dell’assegno spettante è aumentato (…) per ogni figlio, con esclusione del primo.

    (…)

    6.   Il nucleo familiare è composto dai coniugi, con esclusione del coniuge legalmente ed effettivamente separato, e dai figli ed equiparati, (…) di età inferiore a 18 anni compiuti ovvero, senza limite di età, qualora si trovino, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro. (…)

    6 bis.   Non fanno parte del nucleo familiare di cui al comma 6 il coniuge ed i figli ed equiparati di cittadino straniero che non abbiano la residenza nel territorio della Repubblica, salvo che dallo Stato di cui lo straniero è cittadino sia riservato un trattamento di reciprocità nei confronti dei cittadini italiani ovvero sia stata stipulata convenzione internazionale in materia di trattamenti di famiglia. L’accertamento degli Stati nei quali vige il principio di reciprocità è effettuato dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentito il Ministro degli affari esteri. (…)».

    9.

    La direttiva 2003/109 è stata recepita nell’ordinamento italiano dal decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3, «Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo» (GURI n. 24 del 30 gennaio 2007). Detto decreto ha incorporato le disposizioni di tale direttiva nel decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero» (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 286/1998») (Supplemento ordinario alla GURI n. 191 del 18 agosto 1998).

    10.

    L’articolo 9, primo comma, del decreto legislativo n. 286/1998 così dispone:

    «Lo straniero in possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità, che dimostra la disponibilità di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai familiari, di un reddito sufficiente (…) e di un alloggio idoneo che rientri nei parametri minimi previsti dalle pertinenti disposizioni del diritto nazionale, può chiedere al questore il rilascio del permesso di soggiorno [U]E per soggiornanti di lungo periodo, per sé e per i familiari (…)».

    11.

    L’articolo 9, dodicesimo comma, del decreto legislativo n. 286/1998 così dispone:

    «Oltre a quanto previsto per lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato, il titolare del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo può: (…)

    (c)

    usufruire delle prestazioni di assistenza sociale, di previdenza sociale, di quelle relative ad erogazioni in materia sanitaria, scolastica e sociale, di quelle relative all’accesso a beni e servizi a disposizione del pubblico, compreso l’accesso alla procedura per l’ottenimento di alloggi di edilizia residenziale pubblica, salvo che sia diversamente disposto e sempre che sia dimostrata l’effettiva residenza dello straniero sul territorio nazionale (…)».

    III. Fatti, procedimento e questione pregiudiziale

    12.

    Secondo la domanda di pronuncia pregiudiziale, VR, cittadino di un paese terzo occupato in Italia, è in possesso dello status di soggiornante di lungo periodo ai sensi del decreto legislativo n. 286/1998 di attuazione della direttiva n. 2003/109. Nel periodo compreso tra settembre 2011 e aprile 2014 la moglie e i cinque figli di VR avevano lasciato l’Italia per rientrare nel paese d’origine (Pakistan).

    13.

    In relazione a tali periodi l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (in prosieguo: l’«INPS») ha negato a VR l’erogazione dell’assegno per nucleo familiare per il motivo che, per quanto concerne i cittadini di paesi terzi, l’articolo 2, comma 6 bis, della legge n. 153/1988 esclude dal computo nel nucleo familiare, ai fini di tale assegno, i familiari che non abbiano residenza in Italia.

    14.

    VR ha proposto ricorso al Tribunale di Brescia (Italia), in funzione di giudice del lavoro, nei confronti dell’INPS e della propria datrice di lavoro, lamentando il carattere discriminatorio della negazione da parte dell’INPS dell’assegno per il nucleo familiare. Detto giudice ha accolto il ricorso di VR, dichiarando che l’articolo 2, comma 6 bis, della legge n. 153/1988 era incompatibile con l’articolo 11 della direttiva 2003/109, nella misura in cui tale normativa prevede per i soggiornanti di lungo periodo un trattamento meno favorevole rispetto a quello riservato ai cittadini dello Stato membro ospitante.

    15.

    L’INPS ha proposto appello avverso tale ordinanza dinanzi alla Corte d’appello di Brescia (Italia). Detto giudice ha confermato la decisione del Tribunale.

    16.

    Avverso tale sentenza l’INPS ha proposto ricorso per cassazione.

    17.

    Il giudice del rinvio ha precisato che l’assegno per il nucleo familiare è un’integrazione economica di cui beneficiano tutti i prestatori di lavoro sul territorio italiano, purché abbiano un nucleo familiare che produca redditi non superiori ad una soglia individuata. L’importo di detto assegno viene quantificato in proporzione al numero dei componenti, al numero dei figli e al reddito familiare. Per i lavoratori dipendenti, la corresponsione è effettuata dal datore di lavoro insieme al pagamento della retribuzione sulla base di un’aliquota percentuale sulla retribuzione lorda del lavoratore e successivamente viene effettuato presso l’INPS il conguaglio tra assegni corrisposti e contributi dovuti dal lavoratore stesso. Il giudice del rinvio ha ritenuto che, benché secondo la giurisprudenza tale assegno abbia natura previdenziale e assistenziale, esso rientri nell’ambito della previsione di cui all’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109.

    18.

    Il giudice del rinvio ha rilevato, inter alia, che i componenti del nucleo familiare assumono un rilievo essenziale nel regime dell’assegno e sono considerati i sostanziali beneficiari dello stesso. Il medesimo si è pertanto chiesto se l’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109 osti a una legislazione nazionale, come l’articolo 2, comma 6 bis, della legge n. 153/1988, in base a cui, al contrario di quanto previsto per i cittadini italiani, nel computo degli appartenenti al nucleo familiare, vanno esclusi i familiari dei cittadini di paesi terzi, qualora gli stessi non risiedano in Italia e non vi siano condizioni di reciprocità presso lo Stato di cui essi sono cittadini, tenuto conto del fatto che il considerando 4 e l’articolo 2, lettera e), della direttiva 2003/109, rispettivamente, stabiliscono che l’obiettivo di detta direttiva è l’integrazione dei cittadini di paesi terzi stabilitisi a titolo duraturo negli Stati membri e definiscono «familiari»«i cittadini di paesi terzi che soggiornano nello Stato membro interessato».

    19.

    Alla luce di tali considerazioni, la Corte suprema di cassazione ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

    «Se l’art[icolo] 11, paragrafo 1, lett[era] d), della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, nonché il principio di parità di trattamento tra soggiornanti di lungo periodo e cittadini nazionali, debbano essere interpretati nel senso che ostano a una legislazione nazionale in base alla quale, al contrario di quanto previsto per i cittadini dello Stato membro, nel computo degli appartenenti al nucleo familiare, al fine del calcolo dell’assegno per il nucleo familiare, vanno esclusi i familiari del lavoratore soggiornante di lungo periodo ed appartenente a Stato terzo, qualora gli stessi risiedano presso il paese terzo d’origine».

    20.

    L’INPS, VR, il governo italiano e la Commissione europea hanno presentato alla Corte osservazioni scritte. Tali parti hanno partecipato anche all’udienza tenutasi il 27 febbraio 2020.

    IV. Riepilogo delle osservazioni delle parti

    21.

    L’INPS sostiene che a detta questione si debba rispondere in senso negativo. Esso afferma che, con riferimento a paesi terzi, è difficoltoso verificare la sussistenza di altre prestazioni familiari erogate dallo Stato estero in favore dei medesimi soggetti del nucleo familiare e mutazioni dei rapporti familiari in grado di incidere sulla permanenza del diritto alla percezione dell’assegno per il nucleo familiare. Pertanto, a suo avviso, l’esclusione dei familiari non residenti in Italia di cui all’articolo 2, comma 6 bis, della legge n. 153/1988 – che si applica soltanto ai cittadini di paesi terzi che non abbiano stipulato con l’Italia una convenzione internazionale che comprende trattamenti di famiglia o che riservino un trattamento di reciprocità nei confronti dei cittadini italiani o dei cittadini dell’Unione europea – è proporzionata e ragionevole, in quanto risponde all’esigenza di evitare che la prestazione dell’assegno non assolva alla sua funzione di sostegno effettivo del nucleo familiare. Tale normativa differenzia inoltre situazioni che sono oggettivamente diverse tra loro, in considerazione del fatto che il cittadino di uno Stato membro ha un rapporto permanente e originario con il suddetto Stato, mentre il cittadino di paesi terzi ha un rapporto acquisito e generalmente temporaneo con lo Stato membro.

    22.

    L’INPS sostiene che l’articolo 2, comma 6 bis, della legge n. 153/1988 è compatibile con l’articolo 11, paragrafi 1, lettera d), e 2, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera e), della direttiva 2003/109. Secondo l’INPS, non è sufficiente che il soggiornante di lungo periodo sia residente in Italia, in quanto dell’assegno per il nucleo familiare usufruiscono i componenti del suo nucleo familiare i quali debbono, pertanto, soggiornare nel territorio nazionale. Come evidenziato all’udienza, i familiari che non risiedono nello Stato membro ospitante non rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109, poiché sono esclusi dalla definizione di «familiari» prevista dall’articolo 2, lettera e), della medesima direttiva, ed è possibile limitare le prestazioni ai familiari soggiornanti nello Stato membro ospitante ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 2, della suddetta direttiva.

    23.

    L’INPS sostiene che la compatibilità dell’articolo 2, comma 6 bis, della legge n. 153/1988 con l’articolo 11 della direttiva 2003/109 non viene meno per il solo fatto che l’assegno per il nucleo familiare assolve ad una funzione assistenziale. A suo avviso, detto assegno non può qualificarsi come una prestazione essenziale disciplinata dall’articolo 11, paragrafo 4, della medesima direttiva, in combinato disposto con il considerando 13 della stessa, in quanto esso è finanziato con la contribuzione dovuta dai datori di lavoro e dai prestatori di lavoro e non è destinato ad alleviare situazioni di necessità cui pongono rimedio prestazioni essenziali ( 5 ). L’INPS afferma inoltre che l’articolo 2, comma 6 bis, della legge n. 153/1988 non deroga alla parità di trattamento, poiché non mette in dubbio il diritto all’assegno, ma soltanto il suo importo, ed è compatibile con l’obiettivo della direttiva 2003/109 di promuovere l’integrazione dei cittadini di paesi terzi negli Stati membri.

    24.

    VR afferma che l’articolo 11, paragrafi 1, lettera d), e 2, della direttiva 2003/109 osta a una legislazione nazionale come quella di cui trattasi. Secondo VR, ai sensi dell’articolo 2 della legge n. 153/1988, coloro che lavorano in Italia, sottoposti al regime retributivo e contributivo di diritto italiano, sono soggetti, per quanto riguarda l’assegno per il nucleo familiare, a un regime diverso a seconda della loro nazionalità: i lavoratori stranieri, diversamente dai lavoratori italiani, non possono computare nel nucleo familiare, ai fini del diritto all’assegno e della sua misura, il familiare residente all’estero. Dal momento che l’Italia tiene conto dei familiari residenti all’estero per i propri cittadini, ne deve tener conto allo stesso modo per i cittadini di paesi terzi ai sensi dell’articolo 11 della direttiva 2003/109. Una soluzione diversa contrasterebbe con gli obiettivi di uguaglianza e di coesione sociale enunciati nel considerando 4 della stessa direttiva.

    25.

    VR afferma che la definizione di familiare di cui all’articolo 2, lettera e), della direttiva 2003/109 non è pertinente nella presente causa e non vi si può ricorrere per interpretare l’articolo 11, paragrafo 2, della medesima direttiva, in quanto priverebbe detto articolo di ogni significato. VR sostiene che, secondo la giurisprudenza della Corte ( 6 ), una disposizione come l’articolo 9, dodicesimo comma, del decreto legislativo n. 286/1998, che preserva in termini generali («salvo che sia diversamente disposto») la normativa antecedente alla direttiva 2003/109, non si configura come una deroga ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 2, della medesima direttiva, non sussistendo un’espressa indicazione delle disposizioni cui si intende derogare. Come evidenziato da VR all’udienza, l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/109 non si applica all’assegno per il nucleo familiare, perché il diritto a detto assegno non appartiene specificamente al familiare per il quale si chiede la prestazione ai sensi di detta disposizione. VR aggiunge che i controlli per gli assegni in relazione ai familiari residenti all’estero sono distinti dalla parità di trattamento e, in ogni caso, non mutano a seconda che la situazione riguardi i familiari non residenti di un cittadino italiano o di un cittadino straniero residente in Italia.

    26.

    Il governo italiano sostiene che l’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), in combinato disposto con l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/109 e il principio di parità di trattamento non ostano a una legislazione nazionale come quella di cui trattasi. Esso ritiene che, alla luce della sentenza Martinez Silva ( 7 ), l’assegno per il nucleo familiare rientri nella categoria delle prestazioni sociali e non in quella dell’assistenza sociale o della protezione sociale, ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109. Secondo il governo italiano, in base alla definizione di familiare di cui all’articolo 2, lettera e), della direttiva 2003/109, ai fini del diritto alle prestazioni di sicurezza sociale occorre tener conto dei familiari di un soggiornante di lungo periodo soltanto se essi soggiornano con lui nello Stato membro ospitante. Esso afferma che l’esclusione dei familiari non residenti nell’articolo 2, comma 6 bis, della legge n. 153/1988 si giustifica per prevenire pratiche abusive come lo shopping previdenziale. A suo avviso, detta legislazione è altresì proporzionata, in quanto incide sull’importo e non sul diritto all’assegno, ed è compatibile con l’obiettivo della direttiva 2003/109 di promuovere l’integrazione dei soggiornanti di lungo periodo negli Stati membri, come enunciato nel considerando 4 della medesima direttiva.

    27.

    Come evidenziato dal governo italiano all’udienza, l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/109 non si applica all’assegno per il nucleo familiare, dal momento che tale assegno avvantaggia il soggiornante di lungo periodo che ne ha diritto, a differenza delle prestazioni che avvantaggiano i familiari grazie al loro legame con detto soggiornante, come le prestazioni di invalidità o di maternità. È pertanto irrilevante che l’Italia abbia manifestato o meno chiaramente l’intenzione di avvalersi della deroga prevista dall’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/109. A suo avviso, inoltre, la sentenza Kamberaj ( 8 ) non è pertinente nel caso di specie, in quanto la Corte ha stabilito che la manifestazione espressa dell’intenzione di derogare è necessaria ai fini dell’articolo 11, paragrafo 4, della direttiva 2003/109, mentre non lo è ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 2, della medesima direttiva. Non avrebbe inoltre alcun senso parlare di deroga in relazione all’articolo 2, comma 6 bis, della legge n. 153/1988, poiché detta normativa esisteva quindici anni prima che venisse adottata la direttiva 2003/109, pertanto l’Italia non ha alcun obbligo di manifestare espressamente l’intenzione di derogare e non ha inserito deroghe nel decreto legislativo n. 286/1998 di attuazione della direttiva in questione.

    28.

    La Commissione propone di rispondere alla questione pregiudiziale sollevata enunciando che, in assenza di una chiara manifestazione dell’intenzione dello Stato membro di avvalersi della deroga prevista dall’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/109, l’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), di tale direttiva deve essere interpretato nel senso che osta a una legislazione nazionale come quella di cui trattasi nel caso di specie. Essa sostiene che, secondo la giurisprudenza della Corte ( 9 ), l’Italia non ha manifestato chiaramente l’intenzione di avvalersi della deroga prevista dall’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/109. Essa osserva che l’articolo 9, dodicesimo comma, del decreto legislativo n. 286/1998 non fa riferimento al luogo di residenza dei membri della famiglia del soggiornante di lungo periodo e la formulazione «salvo che sia diversamente disposto» contenuta in detta disposizione non può essere considerata come una manifestazione espressa dell’intenzione di derogare.

    29.

    La Commissione ha sottolineato, all’udienza, l’importanza attribuita ad un’espressa manifestazione dell’intenzione di derogare, soprattutto per motivi di trasparenza in relazione alle materie cui si applica una siffatta deroga e al fine di adempiere il suo ruolo di custode dei trattati. Inoltre, a suo avviso, l’articolo 2, lettera e), della direttiva 2003/109 ha la sola funzione di definire cosa si intende per familiare di un soggiornante di lungo periodo ove le disposizioni di tale direttiva utilizzino detto termine e non esclude dall’ambito di applicazione dell’articolo 11 della medesima direttiva i familiari che non risiedano con il soggiornante di lungo periodo nello Stato membro ospitante, perché in caso contrario la deroga prevista all’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/109 risulterebbe superflua.

    V. Analisi

    30.

    Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte di dichiarare se il principio di parità di trattamento per i soggiornanti di lungo periodo, sancito dall’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109/CE in materia di prestazioni sociali, assistenza sociale e protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale, debba essere interpretato nel senso che osta a una legislazione nazionale, come l’articolo 2, comma 6 bis, della legge n. 153/1988, che, al contrario dei familiari di un cittadino dello Stato membro ospitante, esclude, ai fini dell’accertamento del diritto di un cittadino di un paese terzo alla percezione di prestazioni familiari, i familiari del cittadino di un paese terzo che sia soggiornante di lungo periodo, qualora essi non risiedano in detto Stato.

    31.

    Come si evince dall’ordinanza di rinvio, la questione pregiudiziale proposta nel caso di specie trae origine dal fatto che, come risulta dal paragrafo 8 delle presenti conclusioni, ai sensi dell’articolo 2 della legge n. 153/1988, il nucleo familiare in base a cui viene determinato l’assegno è interamente composto da persone che hanno un particolare rapporto di parentela con un lavoratore in Italia, indipendentemente dal fatto che i familiari risiedano in Italia o in un altro luogo del mondo. Tuttavia, ai sensi dell’articolo 2, comma 6 bis, di detta legge, per coloro che lavorano in Italia e sono cittadini di paesi terzi, il nucleo familiare è composto dai soli familiari che hanno la residenza in Italia e non da coloro che soggiornano all’estero (salvo che vi sia un trattamento di reciprocità o una specifica convenzione) ( 10 ).

    32.

    Osservo che la questione sollevata nel caso di specie non è stata ancora oggetto di valutazione da parte della Corte. Per rispondere a detta questione, è in primo luogo necessario formulare alcune osservazioni preliminari riguardanti la direttiva 2003/109 e sul contesto normativo dell’Unione in materia di migrazione legale, nonché sulla sentenza del 24 aprile 2012, Kamberaj ( 11 ) (Sezione A). Mi soffermerò poi sull’interpretazione dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109 (Sezione B). Esaminerò infine la possibile applicazione delle deroghe alla parità di trattamento di cui all’articolo 11, paragrafi 2 e 4, della direttiva 2003/109 (Sezione C).

    33.

    Sulla base di detta analisi, sono giunto alla conclusione che l’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109 osta a una legislazione nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale.

    A.   Osservazioni preliminari

    1. Direttiva 2003/109 e contesto normativo dell’Unione in materia di migrazione legale

    34.

    Occorre ricordare che la direttiva 2003/109 è uno strumento giuridico fondamentale nell’ambito del cosiddetto contesto normativo dell’Unione in materia di migrazione legale, che costituisce parte della politica comune dell’immigrazione dell’Unione europea nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia ( 12 ). Il contesto normativo dell’Unione in materia di migrazione legale comprende una serie di direttive che disciplinano in generale le condizioni di ingresso e di soggiorno di cittadini di paesi terzi e i loro diritti una volta ammessi negli Stati membri ( 13 ). Le disposizioni in materia di parità di trattamento sono un elemento importante di dette direttive e promuovono uno dei principali obiettivi della politica dell’Unione in materia di immigrazione, che consiste nel garantire l’equo trattamento dei cittadini di paesi terzi che soggiornano regolarmente nel territorio degli Stati membri ( 14 ).

    35.

    In tale contesto, la direttiva 2003/109 definisce le norme per il conferimento e la revoca dello status di soggiornante di lungo periodo e dei diritti connessi, nonché le norme per il soggiorno negli altri Stati membri per i cittadini di paesi terzi che beneficiano di tale status ( 15 ). In effetti, detta direttiva ha istituito a favore dei cittadini di paesi terzi che soggiornano legalmente nell’Unione da almeno cinque anni uno status giuridico speciale, risultante dal diritto dell’Unione, ossia lo status di soggiornante di lungo periodo ( 16 ), che rappresenta il gradino più alto che può essere raggiunto da un cittadino di un paese terzo privo della nazionalità dello Stato membro ospitante ( 17 ).

    36.

    Come riconosciuto dalla Corte, l’obiettivo principale della direttiva 2003/109, come emerge dai considerando 4, 6 e 12 di quest’ultima, è l’integrazione dei cittadini di paesi terzi stabilitisi a titolo duraturo negli Stati membri ( 18 ). Analogamente, come risulta dal considerando 2 della direttiva 2003/109, la direttiva di cui trattasi mira a ravvicinare lo status giuridico dei cittadini di paesi terzi a quello dei cittadini degli Stati membri, attraverso la concessione dello status di soggiornante di lungo periodo a detti cittadini di paesi terzi ( 19 ). A tal fine, la direttiva 2003/109 assicura la parità di trattamento di tali cittadini di paesi terzi con i cittadini dello Stato membro in una vasta gamma di settori economici e sociali ( 20 ).

    37.

    A tale scopo, l’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2003/109 prevede che il soggiornante di lungo periodo goda dello stesso trattamento dei cittadini dello Stato membro ospitante in determinati settori, ivi comprese le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale di cui alla lettera d), fatte salve le deroghe che lo Stato membro può stabilire ai sensi dell’articolo 11, paragrafi 2, 3 e 4, della medesima direttiva. Ciò significa, in sostanza, che a norma dell’articolo 11 della direttiva 2003/109 gli Stati membri devono provvedere affinché i cittadini di paesi terzi titolari dello status di soggiornanti di lungo periodo ricevano, in linea di principio, lo stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro ospitante in una situazione paragonabile in relazione alla concessione di siffatte prestazioni.

    2. Sentenza del 24 aprile 2012, Kamberaj

    38.

    Occorre altresì rilevare che la sentenza del 24 aprile 2012, Kamberaj ( 21 ), è pertinente ai fini della presente causa, anche se in tale sentenza la Corte ha affrontato questioni diverse. Essa si basava su una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta da un giudice italiano e ha offerto alla Corte la prima occasione per un’interpretazione dell’articolo 11 della direttiva 2003/109.

    39.

    Nella sentenza di cui trattasi ( 22 ), la Corte ha dichiarato che l’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109 osta a una normativa nazionale la quale, per quanto riguarda la concessione di un sussidio per l’alloggio, abbia riservato ad un cittadino di un paese terzo, beneficiario dello status di soggiornante di lungo periodo, un trattamento diverso da quello riservato ai cittadini dello Stato membro ospitante, a condizione che tale sussidio rientrasse nella disposizione sopra citata e che la deroga prevista dal medesimo articolo 11, paragrafo 4 non trovasse applicazione. In particolare, la Corte ha stabilito che, nonostante il rinvio al diritto nazionale contenuto nell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109, gli Stati membri non possono pregiudicare l’effetto utile della direttiva stessa e devono tenere conto dell’obiettivo di integrazione perseguito da tale direttiva, nonché della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e segnatamente dell’articolo 34 della stessa in materia di previdenza sociale e assistenza sociale, allorché stabiliscono le misure soggiacenti al principio della parità di trattamento sancito da detta disposizione ( 23 ).

    40.

    La Corte ha inoltre rilevato che, dal momento che il diritto dei soggiornanti di lungo periodo al beneficio della parità di trattamento ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2003/109 costituisce la regola generale, la deroga prevista dall’articolo 11, paragrafo 4, della medesima direttiva per quanto concerne l’assistenza sociale e la protezione sociale deve essere interpretata restrittivamente e applicata unicamente qualora gli Stati membri abbiano chiaramente espresso l’intenzione di avvalersene ( 24 ). A tale proposito, la Corte ha sottolineato che l’articolo 11, paragrafo 4, della direttiva 2003/109 non consente una deroga alla parità di trattamento per quanto riguarda le prestazioni rientranti nella previdenza sociale come definita dalla legislazione nazionale. Essa ha altresì precisato che la nozione di prestazioni essenziali contenuta in tale disposizione attiene alle prestazioni di assistenza sociale e protezione sociale concesse dalle autorità pubbliche, che contribuiscono a permettere all’individuo di soddisfare le sue necessità elementari, e che, nei limiti in cui il sussidio di cui trattasi risponde alla finalità enunciata nell’articolo 34 della Carta, esso non può essere considerato, nell’ambito del diritto dell’Unione, come non compreso tra le prestazioni essenziali ( 25 ).

    41.

    Di conseguenza, dalla sentenza Kamberaj risulta che, in circostanze in cui la legislazione nazionale preveda un trattamento diverso per i cittadini di paesi terzi, beneficiari dello status di soggiornanti di lungo periodo, rispetto a quello riservato ai cittadini dello Stato membro ospitante in materia di concessione di prestazioni che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109, e non si possano applicare deroghe, deve essere rispettato il diritto alla parità di trattamento previsto nei confronti di detti cittadini di paesi terzi da tale disposizione. La sentenza in oggetto corrobora dunque la tesi secondo cui una legislazione nazionale come quella di cui trattasi è in contrasto con l’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109. Ritornerò su tale sentenza più avanti, nel corso della mia analisi (vedi paragrafi 45, 64, 67 e 68 delle presenti conclusioni).

    B.   Interpretazione dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109

    1. Considerazioni generali

    42.

    Occorre rilevare, in via preliminare, che, come ho osservato nei paragrafi 39 e 40 delle mie conclusioni nella causa C‑302/19 in relazione alla direttiva 2011/98, la direttiva 2003/109 non armonizza la normativa degli Stati membri in materia di prestazioni sociali, assistenza sociale e protezione sociale e spetta, in linea di principio, a ciascuno Stato membro stabilire le condizioni riguardanti, inter alia, la fruizione di prestazioni in tali settori.

    43.

    Ne consegue che la direttiva 2003/109 non impedisce ad uno Stato membro di escludere, ad esempio, dalla concessione di prestazioni familiari lavoratori i cui familiari soggiornano in paesi terzi o di escludere tali familiari dalla base di calcolo dell’importo di dette prestazioni. Tuttavia, l’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della medesima direttiva impone agli Stati membri di garantire che i cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo beneficino dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro ospitante in materia di prestazioni sociali, assistenza sociale e protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale. Pertanto, laddove la legislazione dello Stato membro ospitante (l’Italia nel caso di specie) riconosca una prestazione familiare ai propri cittadini indipendentemente dal luogo in cui i loro familiari soggiornano, il medesimo trattamento deve essere offerto, in linea di principio, ai cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo in una situazione paragonabile in base a detta disposizione. Di conseguenza, a mio avviso, l’esclusione dei familiari non residenti di tali cittadini di paesi terzi ai sensi della legislazione nazionale di cui trattasi non è conforme alla disposizione in questione per i motivi che seguono.

    44.

    In primo luogo, è pacifico che un soggiornante di lungo periodo come VR rientri nell’ambito di applicazione ratione personae dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109 ed abbia pertanto diritto alla parità di trattamento prevista dalla suddetta disposizione. Come risulta dall’ordinanza di rinvio, VR è cittadino di un paese terzo, occupato in Italia e in possesso dello status di soggiornante di lungo periodo ai sensi della legislazione italiana che recepisce la direttiva 2003/109.

    45.

    In secondo luogo, non vi è alcun dubbio che, come indicato dal giudice del rinvio, l’assegno per il nucleo familiare rientri nell’ambito della previsione di cui all’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109, che riguarda le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale. In base alle osservazioni dell’INPS e del governo italiano, detto assegno rientra nella categoria della sicurezza sociale e non in quella dell’assistenza sociale o della protezione sociale, ai sensi di detta disposizione. Alla luce della sentenza Kamberaj ( 26 ), si tratta di una questione la cui valutazione spetta al giudice del rinvio. Tuttavia, vorrei sottolineare che, come precisato al paragrafo 42 delle mie conclusioni nella causa C‑302/19, siffatto assegno può essere considerato una prestazione di sicurezza sociale compresa tra le prestazioni familiari previste dall’articolo 3 del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale ( 27 ) ai fini dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98.

    46.

    In terzo luogo, è incontestabile che, in base alla legislazione nazionale di cui trattasi, i cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo sono soggetti ad un trattamento meno favorevole rispetto ai cittadini dello Stato membro ospitante per quanto riguarda il godimento dell’assegno per il nucleo familiare, vietato dall’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109. È evidente che l’articolo 2, comma 6 bis, della legge n. 153/1988 introduce per i cittadini di paesi terzi (salvo che vi sia reciprocità di trattamento o una specifica convenzione) un regime diverso rispetto al regime generale applicabile ai cittadini italiani, ai quali l’assegno è dovuto indipendentemente dal luogo di residenza dei familiari. In base a detta normativa, a differenza dei cittadini italiani, i cittadini di paesi terzi non possono includere nella composizione del nucleo familiare, ai fini dell’accertamento del diritto all’assegno in questione, familiari che non soggiornino in Italia. Ciò comporta la riduzione dell’importo dell’assegno che il cittadino di un paese terzo può ricevere o l’eliminazione tout court dell’erogazione di tale assegno, a seconda del numero dei familiari residenti in Italia, rispetto all’assegno concesso ai cittadini dello Stato membro ospitante i cui familiari sono presi in considerazione anche se non soggiornano in Italia.

    47.

    Al contrario di quanto osservato dall’INPS e dal governo italiano e come indicato da VR, pertanto, si deve ritenere che siffatta legislazione nazionale incida sul diritto di un cittadino di un paese terzo all’assegno per il nucleo familiare e non solamente sul relativo importo, in quanto detta legislazione priva effettivamente detti cittadini del loro diritto all’assegno per i periodi rilevanti in cui tutti i loro familiari non soggiornano in Italia, come dimostrano le circostanze del caso di specie.

    48.

    Occorre aggiungere che, nella misura in cui l’INPS neghi la sussistenza di una discriminazione per il fatto che la situazione dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo e quella dei cittadini dello Stato membro ospitante sono diverse a causa dei loro rispettivi legami con tale Stato, un siffatto argomento non può essere accolto dato che il legislatore dell’Unione ha riconosciuto il diritto alla parità di trattamento a siffatti cittadini di paesi terzi ai sensi dell’articolo 11 della direttiva 2003/109. Lo stesso dicasi per gli argomenti proposti dall’INPS e dal governo italiano in relazione alle difficoltà di controllare gli assegni, prevenire pratiche abusive nell’ambito della sicurezza sociale e preservare la funzione dell’assegno per il nucleo familiare, in quanto, come indicato da VR, tali rilievi possono essere i medesimi per quanto riguarda i familiari di cittadini italiani che soggiornano all’estero, e la direttiva 2003/109 impone la parità di trattamento.

    49.

    Di conseguenza, sulla base delle considerazioni che precedono, vi sono chiare indicazioni che alla questione pregiudiziale sollevata debba essere data risposta affermativa (nella misura in cui non si applichino le deroghe di cui all’articolo 11, paragrafi 2 e 4, della direttiva 2003/109, come discusso ai paragrafi da 63 a 68 delle presenti conclusioni). Tuttavia, tenuto conto di taluni elementi rilevati dal giudice del rinvio e di taluni argomenti avanzati dall’INPS e dal governo italiano, la presente causa pone questioni complesse circa il modo in cui l’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109 debba essere interpretato in relazione alla legislazione nazionale in tali circostanze. Le complessità del caso di specie derivano in particolare dalla natura della prestazione di cui trattasi e dal fatto che talune disposizioni della direttiva 2003/109 potrebbero essere interpretate nel senso di escludere dall’ambito di applicazione della medesima direttiva i familiari di cittadini di paesi terzi che soggiornano al di fuori dello Stato membro ospitante.

    2. Ulteriori considerazioni alla luce della situazione di cui al procedimento principale

    50.

    Devo anzitutto dichiarare che concordo con VR e la Commissione sul fatto che le disposizioni dell’articolo 11 della direttiva 2003/109 sulla parità di trattamento si applichino ad una legislazione nazionale come quella di cui trattasi nel caso di specie.

    51.

    In primo luogo, non mi persuadono gli argomenti dell’INPS e del governo italiano secondo cui, ai fini della direttiva 2003/109, non è sufficiente che il soggiornante di lungo periodo risieda nello Stato membro ospitante, in quanto i familiari sono i beneficiari dell’assegno per il nucleo familiare e devono pertanto soggiornare in tale Stato.

    52.

    Analogamente a quanto da me esposto ai paragrafi 50 e 51 delle mie conclusioni nella causa C‑302/19, occorre ricordare che, come indicato dal giudice del rinvio nonché dall’INPS, da VR e dal governo italiano, l’assegno per il nucleo familiare è fruibile da tutti coloro che lavorano in Italia, a condizione che essi facciano parte di un nucleo familiare il cui reddito non ecceda una determinata soglia. Inoltre, viene erogato dal datore di lavoro e finanziato mediante un regime basato sulla contribuzione. Va dunque ritenuto che il diritto a tale assegno sia legato alla situazione del lavoratore di un paese terzo che sia possessore dello status di soggiornante di lungo periodo e rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109.

    53.

    Riconosco che, come indicato dal giudice del rinvio, dall’INPS e dal governo italiano, i familiari di lavoratori di paesi terzi sono beneficiari dell’assegno per il nucleo familiare. Infatti, in termini generali, per sua natura una prestazione familiare va a beneficio della famiglia ( 28 ). Tuttavia, in base alle informazioni di cui dispone la Corte, se è vero che i familiari rappresentano una condizione indispensabile per detto assegno e ne beneficiano, il diritto a detto assegno è in linea di principio riconosciuto al lavoratore di un paese terzo, soggiornante di lungo periodo e non ai suoi familiari. Su tale base, un siffatto lavoratore ha diritto alla parità di trattamento per quanto concerne le condizioni imposte ai cittadini dello Stato membro ospitante ai fini del godimento dell’assegno in questione ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109.

    54.

    In secondo luogo, mi sembra che la definizione di «familiari» di cui all’articolo 2, lettera e), della direttiva 2003/109 non escluda dall’ambito di applicazione dell’articolo 11 di quest’ultima i familiari che non risiedono con il soggiornante di lungo periodo nello Stato membro ospitante. Come risulta dal paragrafo 6 delle presenti conclusioni, tale disposizione definisce i «familiari» ai fini della direttiva di cui trattasi come «i cittadini di paesi terzi che soggiornano nello Stato membro interessato ai sensi della [direttiva 2003/86], relativa al diritto al ricongiungimento familiare». La definizione di «familiari» prevista dall’articolo 2, lettera e), della direttiva 2003/109 è impiegata in detta direttiva in modo particolare e riguarda principalmente il soggiorno nel secondo Stato membro in base all’articolo 16 di detta direttiva ( 29 ), come risulta dal considerando 20 della stessa ( 30 ). Pertanto, come indicato dalla Commissione, se è vero che l’articolo 2, lettera e), della direttiva 2003/109 definisce cosa si intende per familiari quando le disposizioni di quest’ultima utilizzano tale termine, nulla indica che tale articolo limiti il diritto alla parità di trattamento dei soggiornanti di lungo periodo previsto dall’articolo 11 di detta direttiva nelle circostanze del caso di specie.

    55.

    In particolare, l’approccio sopra esposto è coerente con l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/109, in base a cui uno Stato membro può limitare la parità di trattamento, in particolare per quanto riguarda le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale, ai casi in cui il familiare per cui si chiede la prestazione ha eletto dimora o risiede abitualmente nel suo territorio. Sarebbe illogico, a mio avviso, che l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/109 prevedesse una siffatta deroga se i familiari che non soggiornano nel territorio dello Stato membro interessato non sono in ogni caso familiari ai sensi dell’articolo 2, lettera e), della direttiva di cui trattasi.

    56.

    Tale approccio è altresì conforme ai lavori preparatori della direttiva 2003/109. In particolare, da alcuni documenti istituzionali risulta che la definizione di «familiari» contenuta nella medesima direttiva era inizialmente legata a specifiche persone soggiornanti nello Stato membro ospitante, in linea con quella che sarebbe diventata la direttiva 2003/86 relativa al ricongiungimento familiare ( 31 ). Tale definizione è stata infine ridotta a quella contenuta nell’articolo 2, lettera e), della direttiva 2003/109 ( 32 ). Tuttavia, in detti documenti non vi è alcuna indicazione che tale definizione mirasse a incidere sul diritto alla parità di trattamento per i soggiornanti di lungo periodo previsto dalla medesima direttiva. Infatti, benché nel corso del processo decisionale fosse stata discussa la concessione di prestazioni a persone all’estero ( 33 ) e fosse stata proposta una deroga alla parità di trattamento laddove uno Stato membro conceda diritti ai propri cittadini che soggiornino al di fuori del suo territorio ( 34 ), nella direttiva 2003/109, così come è stata adottata, simili disposizioni non hanno trovato spazio.

    57.

    Tenuto conto del contesto della direttiva 2003/109, inoltre, occorre sottolineare che, nella definizione di «familiari» contenuta in altre direttive nell’ambito del contesto normativo dell’Unione in materia di migrazione legale, non viene effettuato alcun riferimento specifico alla loro residenza nello Stato membro interessato e con detto termine si intendono i cittadini di paesi terzi come definiti ( 35 ) o citati ( 36 ) nell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2003/86, che elenca i soggetti ai quali gli Stati membri devono autorizzare il ricongiungimento familiare, ivi compresi il coniuge e i figli minorenni del cittadino di un paese terzo.

    58.

    Non mi persuadono, infine, gli argomenti dell’INPS e del governo italiano secondo cui la legislazione nazionale come quella di cui trattasi nel caso di specie è conforme all’obiettivo della direttiva 2003/109 di promuovere l’integrazione dei cittadini di paesi terzi stabilitisi a titolo duraturo negli Stati membri. Come rilevato nel paragrafo 36 delle presenti conclusioni, la Corte ha attribuito importanza al fatto che l’obiettivo dell’integrazione, perseguito dalla direttiva 2003/109, sia realizzato assicurando la parità di trattamento ai cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo ai sensi dell’articolo 11 della medesima direttiva. Di conseguenza, nelle circostanze del caso di specie, in cui un siffatto cittadino di un paese terzo si trova in una situazione paragonabile a quella di un cittadino dello Stato membro ospitante, mi pare del tutto conforme agli obiettivi di integrazione e di parità di trattamento perseguiti dalla direttiva 2003/109 che detto cittadino goda di pari trattamento per quanto riguarda il diritto all’assegno per il nucleo familiare di cui all’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), di detta direttiva.

    C.   Possibile applicazione dell’articolo 11, paragrafi 2 e 4, della direttiva 2003/109

    59.

    Va ricordato che, come risulta dal paragrafo 7 delle presenti conclusioni, l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/109 prevede che, per quanto riguarda taluni settori indicati nell’articolo 11, paragrafo 1, della medesima direttiva, che includono le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale di cui alla lettera d), uno Stato membro «[possa] limitare la parità di trattamento ai casi in cui il soggiornante di lungo periodo, o il familiare per cui questi chiede la prestazione, ha eletto dimora o risiede abitualmente nel suo territorio».

    60.

    A tale proposito, occorre osservare che l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/109 stabilisce in diversi settori una deroga orizzontale alla parità di trattamento che non si trova in altre direttive nel contesto normativo dell’Unione in materia di migrazione legale ( 37 ). Come indicato dalla dottrina, tale disposizione mira ad impedire l’esportazione di prestazioni in settori che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 11 della direttiva 2003/109, ivi compresi le prestazioni familiari, per i soggiornanti di lungo periodo e i familiari che risiedono all’estero ( 38 ). Ai fini dell’applicazione dell’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/109, le circostanze del caso di specie richiamano l’attenzione su due aspetti principali.

    61.

    Va osservato, anzitutto, che, alla luce del tenore letterale dell’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/109, non è chiaro se detta disposizione ricomprenda le prestazioni familiari, come l’assegno per il nucleo familiare, che viene versato al lavoratore a beneficio dell’intera famiglia o se essa si riferisca soltanto alle prestazioni richieste a causa di una particolare circostanza riguardante uno o più familiari, come sostengono VR e il governo italiano. Neppure i lavori preparatori di della direttiva 2003/109 sembrano offrire molte indicazioni al riguardo ( 39 ).

    62.

    Sono propenso a ritenere che la deroga di cui all’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/109 si applichi alle prestazioni sociali di cui beneficiano il soggiornante di lungo periodo nonché a quelle di cui beneficiano i suoi familiari. In particolare, infatti, l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/109 fa riferimento alle «disposizioni del paragrafo 1, letter[a] (..) d)» senza alcuna riserva, il che significa che se un assegno rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva stessa, dovrebbe rientrare anche nell’ambito di applicazione dell’articolo 11, paragrafo 2, di quest’ultima. Su tale base, si deve ritenere che detta deroga si applichi ad una prestazione familiare come l’assegno per il nucleo familiare.

    63.

    In secondo luogo, occorre valutare se l’Italia sia legittimata a limitare la parità di trattamento prevista dall’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109 applicando la deroga di cui all’articolo 11, paragrafo 2, della medesima direttiva.

    64.

    Va sottolineato che, contrariamente a quanto sostenuto dal governo italiano, dalla giurisprudenza della Corte sembra emergere chiaramente che la deroga contenuta nell’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/109 può essere invocata da uno Stato membro soltanto se lo Stato in questione ha manifestato chiaramente l’intenzione di avvalersene. Come rilevato nei paragrafi 39 e 40 delle presenti conclusioni, mentre la sentenza Kamberaj ( 40 ) riguardava la deroga di cui all’articolo 11, paragrafo 4, della direttiva 2003/109, oggetto di tale procedimento, nulla indica che le conclusioni della Corte a tale riguardo fossero limitate a detta disposizione e non possano essere applicate all’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/109, tanto più che esso costituisce una deroga alla regola generale della parità di trattamento di cui all’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2003/109. Inoltre, come rilevato nel paragrafo 37 delle mie conclusioni nella causa C‑302/19, la Corte si è basata sulle proprie conclusioni nella sentenza Kamberaj per stabilire, nella sentenza Martinez Silva ( 41 ), che, come nella direttiva 2003/109, le deroghe alla parità di trattamento nella direttiva 2011/98 possono essere invocate dagli Stati membri solo qualora essi abbiano chiaramente espresso l’intenzione di avvalersi delle stesse.

    65.

    Nella presente causa, dalle informazioni di cui dispone la Corte risulta che, come confermato dal governo italiano all’udienza (vedi paragrafo 27 delle presenti conclusioni), l’Italia non abbia espresso l’intenzione di ricorrere alla deroga di cui all’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/109. Pertanto, non si può ritenere che le disposizioni relative all’assegno per il nucleo familiare previste dall’articolo 2, comma 6 bis, della legge n. 153/1988, che sono state adottate molti anni prima che la direttiva 2003/109 venisse recepita nell’ordinamento italiano con il decreto legislativo n. 286/1998, introducano restrizioni alla parità di trattamento che gli Stati membri hanno la facoltà di istituire in forza dell’articolo 11, paragrafo 2, della medesima direttiva.

    66.

    Come si è visto nel paragrafo 11 delle presenti conclusioni, inoltre, l’articolo 9, dodicesimo comma, del decreto legislativo n. 286/1998 si limita a subordinare l’accesso di un soggiornante di lungo periodo alle prestazioni di assistenza sociale e di previdenza sociale al suo effettivo soggiorno nel territorio nazionale e «salvo che sia diversamente disposto». Tale disposizione non fa riferimento al luogo in cui soggiornano i familiari di detto soggiornante, e la formulazione «salvo che sia diversamente disposto» non può, a mio avviso, ritenersi una chiara manifestazione dell’intenzione di uno Stato membro di derogare, dato che tale formulazione non specifica le disposizioni oggetto della deroga. In dette circostanze, si deve ritenere che l’Italia non possa invocare l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/109 nelle circostanze del caso di specie.

    67.

    Analoghe conclusioni possono trarsi, a mio avviso, in relazione alla possibile applicazione della deroga prevista dall’articolo 11, paragrafo 4, della direttiva 2003/109 nel caso di cui trattasi. In particolare, va osservato che, come dichiarato dalla Corte nella sentenza Kamberaj ( 42 ) (vedi paragrafo 40 delle presenti conclusioni), in materia di assistenza sociale e di protezione sociale, tale deroga consente agli Stati membri di limitare l’applicazione della parità di trattamento alle prestazioni essenziali, vale a dire prestazioni concesse dalle autorità pubbliche che contribuiscono a permettere all’individuo di soddisfare le sue necessità elementari. Tuttavia, siffatta deroga non si applica alle prestazioni rientranti nella previdenza sociale come definita dalla legislazione nazionale.

    68.

    Di conseguenza, dalla sentenza Kamberaj risulta che, qualora il giudice del rinvio considerasse l’assegno per il nucleo familiare come una prestazione di assistenza sociale o protezione sociale e non come parte di prestazioni essenziali ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 4, della direttiva 2003/109, l’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), di detta direttiva osterebbe comunque alla legislazione nazionale di cui trattasi nel caso di specie, in quanto dalle informazioni di cui dispone la Corte si evince chiaramente che l’Italia non ha manifestato l’intenzione di avvalersi di tale deroga (vedi paragrafo 27 delle presenti conclusioni).

    69.

    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, ritengo che non sia conforme all’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109 una legislazione nazionale come quella di cui al caso di specie, che, al contrario di quanto previsto per i cittadini dello Stato membro ospitante, esclude, ai fini dell’accertamento del diritto alla percezione di sussidi familiari, i familiari del cittadino di paese terzo che sia soggiornante di lungo periodo, qualora gli stessi non risiedano in detto Stato.

    VI. Conclusioni

    70.

    Propongo quindi alla Corte di rispondere alla questione proposta dalla Corte suprema di cassazione (Italia) nei seguenti termini:

    L’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo deve essere interpretato nel senso che osta alla legislazione nazionale di uno Stato membro, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in base alla quale, al contrario di quanto previsto per i cittadini dello Stato membro, nel computo degli appartenenti al nucleo familiare, al fine del calcolo dell’assegno per il nucleo familiare, vanno esclusi i familiari del lavoratore soggiornante di lungo periodo ed appartenente a Stato terzo, qualora gli stessi risiedano nel territorio di tale Stato membro.


    ( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

    ( 2 ) GU 2004, L 16, pag. 44.

    ( 3 ) GU 2011, L 343, pag. 1.

    ( 4 ) GU 2003, L 251, pag. 12.

    ( 5 ) L’INPS fa riferimento, a tale proposito, alla sentenza del 24 aprile 2012, Kamberaj (C‑571/10, EU:C:2012:233).

    ( 6 ) VR fa riferimento, a tale proposito, alle sentenze del 24 aprile 2012, Kamberaj (C‑571/10, EU:C:2012:233), e del 21 giugno 2017, Martinez Silva (C‑449/16, EU:C:2017:485).

    ( 7 ) Sentenza del 21 giugno 2017 (C‑449/16, EU:C:2017:485).

    ( 8 ) Sentenza del 24 aprile 2012 (C‑571/10, EU:C:2012:233).

    ( 9 ) La Commissione fa riferimento, a tale proposito, alle sentenze del 24 aprile 2012, Kamberaj (C‑571/10, EU:C:2012:233), e del 21 giugno 2017, Martinez Silva (C‑449/16, EU:C:2017:485).

    ( 10 ) Occorre rilevare che, come indicato da VR, se nella questione pregiudiziale il giudice del rinvio menziona il paese terzo di origine, dalla legislazione nazionale di cui trattasi risulta evidente che detta questione si pone ugualmente qualora i familiari soggiornino regolarmente in altri paesi al di fuori dell’Italia.

    ( 11 ) (C‑571/10, EU:C:2012:233).

    ( 12 ) V. titolo V, capo 2, TFUE, in particolare articolo 79 TFUE.

    ( 13 ) Per una panoramica, v., ad esempio, documento di lavoro dei servizi della Commissione – vaglio di adeguatezza della legislazione UE in materia di migrazione legale, SWD(2019) 1055 final, 29 marzo 2019. Come ivi indicato, il contesto normativo dell’Unione in materia di migrazione legale comprende le seguenti direttive: 1) direttiva 2003/86 relativa al diritto al ricongiungimento familiare; 2) direttiva 2003/109 relativa ai soggiornanti di lungo periodo; 3) direttiva 2009/50/CE del Consiglio del 25 maggio 2009, sulle condizioni di ingresso e di soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati (GU 2009, L 155, pag. 17); 4) direttiva 2011/98 sui permessi unici; 5) direttiva 2014/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, sulle condizioni di ingresso e di soggiorno di cittadini di paesi terzi per motivi di impiego in qualità di lavoratori stagionali (GU 2014, L 94, pag. 375); 6) direttiva 2014/66/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, sulle condizioni di ingresso e di soggiorno di cittadini di paesi terzi nell’ambito di trasferimenti intra-societari (GU 2014, L 157, pag. 1); e 7) direttiva (UE) 2016/801, del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2016, relativa alle condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini di paesi terzi per motivi di ricerca, studio, tirocinio, volontariato, programmi di scambio di alunni o progetti educativi, e collocamento alla pari (rifusione) (GU 2016, L 132, pag. 21), che abroga e sostituisce la direttiva 2004/114/CE del Consiglio, del 13 dicembre 2004, relativa alle condizioni di ammissione dei cittadini di paesi terzi per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato (GU 2004, L 375, pag. 12) e la direttiva 2005/71/CE del Consiglio, del 12 ottobre 2005, relativa a una procedura specificamente concepita per l’ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica (GU 2005, L 289, pag. 15).

    ( 14 ) V. articolo 79, paragrafo 1, TFUE; vedi altresì articolo 67, paragrafo 2, TFUE.

    ( 15 ) V. direttiva 2003/109, in particolare articolo 1 e considerando 24; v. altresì la relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’applicazione della direttiva 2003/109, COM(2019) 161 final, 29 marzo 2019. Per una discussione approfondita, v., ad esempio, Thym, D., «Long Term Residents Directive 2003/109/EC», in Hailbronner, K. e Thym, D. (eds.), EU Immigration and Asylum Law – A Commentary, 2a ed., C.H. Beck/Hart/Nomos, 2016, pagg. da 427 a 519.

    ( 16 ) V., al riguardo, conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nella causa P e S (C‑579/13, EU:C:2015:39, paragrafo 29).

    ( 17 ) V., al riguardo, Thym, citato nella nota 15 delle presenti conclusioni, pagg. da 437 a 438.

    ( 18 ) V., ad esempio, sentenze del 4 giugno 2015, P e S (C‑579/13, EU:C:2015:369, punto 46), e del 3 ottobre 2019, X (Soggiornanti di lungo periodo – Risorse stabili, regolari e sufficienti) (C‑302/18, EU:C:2019:830, punto 29).

    ( 19 ) V., ad esempio, sentenze del 15 maggio 2019, Çoban (C‑677/17, EU:C:2019:408, punto 58), e del 3 ottobre 2019, X (Soggiornanti di lungo periodo – Risorse stabili, regolari e sufficienti) (C‑302/18, EU:C:2019:830, punto 29).

    ( 20 ) V., ad esempio, sentenza del 14 marzo 2019, Y.Z. e a. (Frode in ricongiungimento familiare) (C‑557/17, EU:C:2019:203, punto 63).

    ( 21 ) (C‑571/10, EU:C:2012:233).

    ( 22 ) V. sentenza del 24 aprile 2012, Kamberaj (C‑571/10, EU:C:2012:233, punto 93).

    ( 23 ) V. sentenza del 24 aprile 2012, Kamberaj (C‑571/10, EU:C:2012:233, punti da 78 a 81).

    ( 24 ) V. sentenza del 24 aprile 2012, Kamberaj (C‑571/10, EU:C:2012:233, punti 8687).

    ( 25 ) V. sentenza del 24 aprile 2012, Kamberaj (C‑571/10, EU:C:2012:233, in particolare punti 83, 9192). La Corte ha affermato che spetta al giudice nazionale procedere agli accertamenti necessari, prendendo in considerazione la finalità di tale sussidio, il suo ammontare, i requisiti per la sua attribuzione e la posizione da esso occupata nel sistema di assistenza sociale nazionale.

    ( 26 ) V. sentenza del 24 aprile 2012 (C‑571/10, EU:C:2012:233, punti da 78 a 81).

    ( 27 ) GU 2004, L 166, pag. 1.

    ( 28 ) V., al riguardo, Strban, G., «Family Benefits in the EU: Is It Still Possible to Coordinate Them?» (2016) 23 Maastricht Journal of European and Comparative Law 775, pagg. 782 e 783.

    ( 29 ) V., in proposito, sentenza del 17 luglio 2014, Tahir (C‑469/13, EU:C:2014:2094, punto 36). V. altresì Thym, citato nella nota 15 delle presenti conclusioni, pag. 439.

    ( 30 ) V. inoltre, a tale riguardo, la direttiva 2003/109, articolo 17, paragrafo 1, articolo 18, paragrafo 1, e articolo 22, paragrafi 1, 2 e 5. Oltre che nell’articolo 11, paragrafo 2, della medesima direttiva, i familiari sono menzionati anche nell’articolo 5, paragrafo 1, sulle condizioni per acquisire lo status di soggiornante di lungo periodo, e nell’articolo 12, paragrafo 3, sulla tutela contro l’allontanamento.

    ( 31 ) V., ad esempio, Doc 10312/01, 12 luglio 2001, pag. 7 (che definisce «familiari»«il coniuge, ovvero il convivente non legato da vincolo matrimoniale, e i figli minorenni del residente di lungo periodo, nonché gli ascendenti e i figli maggiorenni a suo carico, ove siano stati ammessi nello Stato membro interessato e vi soggiornino ai sensi della direttiva …/…/CE del Consiglio relativa al diritto al ricongiungimento familiare»).

    ( 32 ) V., ad esempio, Doc 9754/03, 26 maggio 2003, pag. 3.

    ( 33 ) V. Doc 13420/01, 18 dicembre 2001, pag. 12, nota n. 2 (che riporta la risposta della Commissione ad un quesito posto da uno Stato membro sull’applicazione della parità di trattamento in materia di sussidi educativi per studiare al di fuori dell’Unione).

    ( 34 ) V. Doc 13700/02, 9 dicembre 2002, pag. 16, nota n. 1 (che riporta un suggerimento della presidenza del Consiglio in merito al paragrafo 3 dell’articolo 11 sulla parità di trattamento: «Laddove uno Stato membro conceda ai propri cittadini che soggiornino al di fuori del suo territorio taluno dei diritti menzionati ai paragrafi 1 e 2, tale Stato membro non è tenuto a concedere il diritto o i diritti in questione ai cittadini di paesi terzi che abbiano acquisito lo status di soggiornanti di lungo periodo in un altro Stato membro e abbiano ottenuto un permesso di soggiorno conformemente alle disposizioni di cui al capo III, nel caso in cui le persone di cui trattasi soggiornino al di fuori del suo territorio»).

    ( 35 ) V. direttiva 2009/50, articolo 2, lettera f); direttiva 2016/801, articolo 3, paragrafo 24.

    ( 36 ) V. direttiva 2014/66, articolo 3, lettera h).

    ( 37 ) Disposizioni analoghe in altre direttive del contesto normativo dell’Unione in materia di migrazione legale riguardano l’istruzione e la formazione professionale [v. direttiva 2009/50, articolo 14, paragrafo 2, lettera b)] e le agevolazioni fiscali [v. direttiva 2011/98, articolo 12, paragrafo 2, lettera c); direttiva 2014/36, articolo 23, paragrafo 2, comma iii); e direttiva 2016/801, articolo 22, paragrafo 2, lettera c)].

    ( 38 ) V., ad esempio, Peers, S., «Implementing Equality? The Directive on Long Term Resident Third Country Nationals» (2004) 29 European Law Review 437, 452; Thym, citato nella nota 15 delle presenti conclusioni, pagg. 480 e 486.

    ( 39 ) V., a tale proposito, Halleskov, L., «The Long-Term Residents Directive: A Fulfilment of the Tampere Objective of Near-Equality?» (2005) 7 European Journal of Migration and Law 181, 193.

    ( 40 ) V. sentenza del 24 aprile 2012 (C‑571/10, EU:C:2012:233, punti 8687).

    ( 41 ) V. sentenza del 21 giugno 2017 [C‑449/16, EU:C:2017:485, punto 29 (che fa riferimento, per analogia, alla sentenza del 24 aprile 2012, Kamberaj (C‑571/10, EU:C:2012:233, punti 8687)].

    ( 42 ) V. sentenza del 24 aprile 2012 (C‑571/10, EU:C:2012:233, punto 83).

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