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Document 62010CC0376

Conclusioni dell'avvocato generale Mengozzi del 29 novembre 2011.
Pye Phyo Tay Za contro Consiglio dell'Unione europea.
Impugnazione - Politica estera e di sicurezza comune - Misure restrittive adottate nei confronti della Repubblica dell’Unione di Myanmar - Congelamento dei capitali applicabile a determinate persone, entità ed organismi - Fondamento giuridico.
Causa C-376/10 P.

Raccolta della Giurisprudenza 2012 -00000

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2011:786

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 29 novembre 2011 ( 1 )

Causa C-376/10 P

Pye Phyo Tay Za

contro

Consiglio dell’Unione europea

«Impugnazione — Misure restrittive nei confronti della Birmania/Myanmar — Iscrizione del ricorrente nell’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità cui si applicano tali disposizioni»

Indice

 

I — Antefatti della controversia e sentenza impugnata

 

II — Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

 

III — Analisi giuridica

 

A — Sul primo motivo, vertente su un errore di diritto nell’interpretazione dei fondamenti giuridici del regolamento controverso

 

1. Argomenti delle parti

 

2. Analisi

 

B — Sul terzo motivo, vertente su una violazione dei diritti della difesa

 

1. Argomenti delle parti

 

2. Analisi

 

a) Sulla questione preliminare attinente all’invocabilità dei diritti della difesa

 

b) Sull’asserita violazione del diritto ad una previa comunicazione dei motivi e del diritto ad un’audizione preventiva (primo capo del terzo motivo)

 

c) Sull’asserita violazione del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva (secondo capo del terzo motivo)

 

d) Sulla questione della notifica (terzo capo del terzo motivo)

 

C — Sul secondo motivo vertente su una violazione dell’obbligo di motivazione del regolamento controverso

 

1. Argomenti delle parti

 

2. Analisi

 

D — Sul quarto ed ultimo motivo, vertente su una violazione del diritto di proprietà e del principio di proporzionalità

 

1. Argomenti delle parti

 

2. Analisi

 

IV — Sul ricorso dinanzi al Tribunale

 

V — Sulle spese

 

VI — Conclusione

1. 

La presente impugnazione, promossa dal sig. Pye Phyo Tay Za (in prosieguo: il «sig. Tay Za» o il «ricorrente»), cittadino birmano, è diretta all’annullamento della sentenza Tay Za/Consiglio ( 2 ) (in prosieguo: la «sentenza impugnata») con cui il Tribunale dell’Unione europea ha respinto il ricorso di annullamento proposto dal ricorrente avverso il regolamento (CE) del Consiglio 25 febbraio 2008, n. 194, che proroga e intensifica le misure restrittive nei confronti della Birmania/Myanmar e abroga il regolamento (CE) n. 817/2006 ( 3 ) (in prosieguo: il «regolamento controverso»), nei limiti in cui il nome del ricorrente figura sull’elenco delle persone cui si applica il regolamento.

2. 

La Corte è chiamata a pronunciarsi sulle condizioni alle quali un regime di sanzioni attuato dal Consiglio dell’Unione europea contro un paese terzo può riguardare le persone fisiche e sul grado d’intensità del legame che deve esistere tra queste persone ed il regime dirigente. La presente impugnazione solleva pertanto una serie d’importanti questioni, vertenti tra l’altro sulle garanzie offerte dall’ordinamento giuridico dell’Unione in relazione ai diritti della difesa di cui possono avvalersi le persone interessate da un provvedimento di congelamento di capitali in un contesto siffatto.

I — Antefatti della controversia e sentenza impugnata

3.

Per una descrizione dettagliata del contesto normativo, si rinvia ai punti 1 e seguenti della sentenza impugnata.

4.

La presente controversia trae origine dall’azione intrapresa dall’Unione a partire dall’anno 1996 nei confronti dell’Unione di Birmania ( 4 ). L’azione dell’Unione era allora motivata dall’assenza di progressi di tale paese terzo verso la democratizzazione e dall’esistenza di persistenti violazioni dei diritti umani. Le misure restrittive disposte dall’Unione sono state non soltanto regolarmente mantenute, ma altresì rafforzate. Il Consiglio ha quindi deciso che i capitali e le risorse economiche (in prosieguo: i «capitali») delle persone responsabili dell’elaborazione e attuazione delle politiche che impedivano il passaggio alla democrazia o che ne traevano benefici dovevano essere congelati ( 5 ). L’elenco delle persone cui allora erano imposte misure di congelamento conteneva sostanzialmente nomi di militari.

5.

La posizione comune iniziale è stata abrogata dalla posizione comune del Consiglio 28 aprile 2003, 2003/297/PESC, su Birmania/Myanmar ( 6 ), al fine di sostituire alla prima un regime sanzionatorio più ampio. Le sanzioni previste erano allora destinate a colpire altri membri del regime militare, gli interessi economici di tale regime, nonché altre persone che elaboravano, attuavano o traevano vantaggi dalle politiche che ostacolavano la transizione democratica. Le sanzioni si estendevano parimenti ai familiari delle persone identificate ( 7 ), senza che detti membri fossero nominativamente iscritti nell’elenco allegato alla posizione comune. Sulla base di tale posizione comune, il Consiglio ha adottato la decisione 22 dicembre 2003, 2003/907/PESC, che attua la posizione comune 2003/297 ( 8 ), nel cui allegato figurano per la prima volta il nome, il cognome e la data di nascita del ricorrente.

6.

In seguito a tale decisione, la posizione comune del Consiglio 26 aprile 2004, 2004/423/PESC, che proroga le misure restrittive nei confronti della Birmania/Myanmar ( 9 ), elencava non soltanto i membri del regime militare e le persone che il Consiglio riteneva associate ad esso, ma riportava altresì tre colonne rispettivamente rubricate «Coniuge», «Figli» e «Nipoti». Nella parte dell’allegato dedicata alle «[p]ersone che beneficiano delle politiche economiche del governo» figuravano più in particolare il nome del padre del ricorrente, della moglie, nonché dei suoi tre figli, tra i quali era indicato il ricorrente. Nella posizione comune del Consiglio 25 aprile 2005, 2005/340/PESC, che proroga le misure restrittive nei confronti della Birmania/Myanmar e modifica la posizione comune 2004/423 ( 10 ), l’iscrizione del ricorrente, nonché quella del padre e della moglie di quest’ultimo sono state confermate ( 11 ).

7.

Il Consiglio, rilevando l’assenza di progressi realizzati verso la riconciliazione nazionale, il rispetto dei diritti umani e la democratizzazione, ha regolarmente rinnovato o prorogato le misure restrittive adottate nei confronti dell’Unione di Birmania, in particolare nel contesto delle posizioni comuni 2007/248/PESC ( 12 ), 2007/750/PESC ( 13 ) e 2008/349/PESC ( 14 ).

8.

Ai sensi dell’art. 5, n. 1, della posizione comune del Consiglio 27 aprile 2006, 2006/318/PESC, che proroga le misure restrittive nei confronti della Birmania/Myanmar (GU L 116, pag. 77), così come modificato dalla posizione comune 2007/750, «[s]ono congelati tutti i fondi e le risorse economiche appartenenti a oppure posseduti, detenuti o controllati da singoli membri del governo della Birmania/Myanmar e dalle persone fisiche o giuridiche, entità o organismi ad essi associati di cui all’elenco dell’allegato II».

9.

L’allegato II della posizione comune 2006/318, così come modificato dalla posizione comune 2008/349, indica, al titolo J «Persone che beneficiano delle politiche economiche del governo e altre persone associate al regime», il nome del ricorrente (sub J1c) e la sua data di nascita corredata dalla precisazione che egli è figlio di Tay Za, a sua volta iscritto sub J1a. Si noti che la moglie del padre del ricorrente è anch’essa iscritta (sub J1b), al pari della nonna del ricorrente (sub J1e). Le informazioni sull’identità precisano, in particolare, quanto al padre del ricorrente, che egli è l’amministratore delegato della società Htoo Trading Co.

10.

Nei limiti in cui risultavano coinvolte competenze della Comunità europea per l’attuazione delle misure restrittive definite nell’ambito delle diverse posizioni comuni sopraccitate, e, segnatamente, del congelamento dei capitali, il Consiglio ha adottato una serie di atti diretti a dare concretizzazione a dette posizioni comuni. In tale contesto si colloca il regolamento controverso, che ha proceduto ad attuare le misure restrittive previste dalle posizioni comuni 2006/318 e 2007/750. Il regolamento controverso è stato adottato in base agli artt. 60 CE e 301 CE. Esso è entrato in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, ovvero il 10 marzo 2008.

11.

L’art. 11, n. 1, del regolamento controverso sancisce che «[s]ono congelati tutti i fondi e le risorse economiche posseduti o controllati dai singoli membri del governo della Birmania/Myanmar e a persone fisiche o giuridiche, entità od organismi ad essi collegati figuranti nell’allegato VI».

12.

Gli artt. 12 e 13 del regolamento controverso precisano le condizioni al cui ricorrere, in via eccezionale e in casi tassativamente elencati, la messa a disposizione, lo svincolo o l’utilizzo dei fondi o delle risorse economiche possono essere autorizzati.

13.

L’allegato VI del regolamento controverso è intitolato «Elenco dei membri del governo della Birmania/Myanmar e delle persone, delle entità e degli organismi ad essi collegati di cui all’articolo 11». Al titolo J sono elencate le persone «che beneficiano delle politiche economiche del governo» ( 15 ). Alla voce J1a figura il nome del padre del ricorrente. Il ricorrente, dal canto suo, è iscritto alla voce J1c; nelle informazioni sull’identità, si precisa che egli è figlio di Tay Za (sub J1a); sono del pari indicati la sua data di nascita ed il suo sesso. Al titolo J dell’allegato VI del regolamento controverso figurano altresì i nomi del padre, della moglie del padre, nonché della nonna paterna del ricorrente ( 16 ).

14.

L’11 marzo 2008 il Consiglio ha pubblicato un avviso all’attenzione delle persone e delle entità presenti negli elenchi di cui agli artt. 7, 11 e 15 del regolamento controverso ( 17 ).

15.

Il regolamento (CE) della Commissione 28 aprile 2009, n. 353 ( 18 ), ha modificato l’allegato VI del regolamento controverso; tale modifica non ha tuttavia riguardato i dati relativi al ricorrente, che sono stati riprodotti tali e quali.

16.

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 16 maggio 2008, il sig. Tay Za ha proposto un ricorso di annullamento avverso il regolamento controverso e ha chiesto, nelle sue conclusioni adeguate e modificate ( 19 ), che il Tribunale volesse annullare il regolamento controverso nella parte che lo riguarda ( 20 ) e condannare il Consiglio alle spese.

17.

Anzitutto, il ricorrente faceva valere che il regolamento controverso era privo di fondamento giuridico; il secondo motivo era relativo all’inosservanza dell’obbligo di motivazione che incombe al Consiglio; il terzo motivo ineriva ad una violazione dei diritti fondamentali del ricorrente, in particolare del diritto ad un giusto processo, del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva e del diritto di proprietà, nonché una violazione del principio di proporzionalità; in quarto e ultimo luogo, il ricorrente invocava una violazione dei principi di diritto derivanti dal carattere penale dell’imposizione del congelamento dei beni e una violazione del principio di certezza del diritto.

18.

Nella sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto tutti i motivi dedotti e ha condannato il ricorrente a sopportare le spese sostenute dal Consiglio.

II — Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

19.

Il 27 luglio 2010 il sig. Tay Za ha proposto impugnazione avverso la predetta sentenza. Il ricorrente chiede che la Corte voglia annullare in toto la sentenza impugnata, dichiarare nullo il regolamento controverso nei limiti in cui lo riguarda e condannare il Consiglio alle spese dei due gradi di giudizio.

20.

Il Consiglio, nella sua comparsa di risposta, chiede che la Corte voglia respingere l’impugnazione e condannare il ricorrente alle spese.

21.

Nella sua comparsa di risposta, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, interveniente in primo grado a sostegno delle conclusioni del Consiglio, chiede alla Corte di respingere l’impugnazione.

22.

La Commissione europea, interveniente in primo grado a sostegno delle conclusioni del Consiglio, chiede, nella sua comparsa di risposta, che la Corte voglia dichiarare che nessuno dei motivi sollevati dal ricorrente è in grado di confutare la sentenza impugnata e per l’effetto respingere l’impugnazione e condannare il ricorrente alle spese.

23.

Le parti sono state sentite nel corso dell’udienza tenutasi dinanzi alla Corte il 6 settembre 2011.

III — Analisi giuridica

24.

Nell’impugnazione il ricorrente deduce quattro motivi. Il primo motivo è volto a contestare l’interpretazione data dal Tribunale degli artt. 60 CE e 301 CE, nonché la conclusione che quest’ultimo ne ha tratto quanto all’adeguatezza del fondamento giuridico del regolamento controverso. Il secondo riguarda una violazione dell’obbligo di motivazione. Il terzo è volto a contestare l’interpretazione data dal Tribunale dei diritti della difesa. Il quarto, infine, censura la valutazione del Tribunale per la quale il provvedimento che colpisce il ricorrente costituisce una lesione proporzionata del suo diritto di proprietà.

25.

Dal momento che intendo proporre alla Corte di accogliere il primo motivo, i successivi tre saranno analizzati soltanto in subordine. Per ragioni di ordine logico, nell’esame a titolo subordinato partirò dal terzo motivo.

A — Sul primo motivo, vertente su un errore di diritto nell’interpretazione dei fondamenti giuridici del regolamento controverso

1. Argomenti delle parti

26.

Il ricorrente addebita al Tribunale di aver ingiustamente posto a suo carico l’onere di confutare la presunzione per la quale i familiari delle persone che beneficiano delle politiche economiche del governo birmano traggono anch’essi profitto da dette politiche e, pertanto, l’onere della prova. Egli ritiene che l’interpretazione data dal Tribunale degli artt. 60 CE e 301 CE sia contraria ai criteri delineati dalla Corte nella sentenza Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione ( 21 ) (in prosieguo: la «sentenza Kadi») e non vi sia un legame sufficiente tra il ricorrente ed il regime birmano di natura tale da fondare giuridicamente il congelamento dei suoi beni. Egli aggiunge che, anche qualora definisca categorie di persone o di entità, il Consiglio deve procedere ad un esame individuale di ciascuna fattispecie, fornire elementi di prova ed esporre i motivi dell’iscrizione della persona o dell’entità in questione. Gli Orientamenti sull’attuazione e la valutazione delle misure restrittive del 2005 ( 22 ) suggerivano al Consiglio di procedere all’iscrizione di un figlio adulto di più di 18 anni soltanto in considerazione della responsabilità propria di quest’ultimo nelle politiche che l’Unione si proponeva di combattere. In ogni caso, il ricorrente sostiene che il Consiglio non avrebbe mai indicato dette ragioni, né avrebbe fondato l’iscrizione del ricorrente in forza di una presunzione che quest’ultimo era in grado di confutare. Il ricorrente rammenta inoltre gli elementi di fatto già contenuti nella sentenza impugnata e, segnatamente, che non disponeva di alcuna partecipazione nelle due società del padre né nel 2003 — all’epoca in cui per la prima volta era stato colpito dalle misure restrittive — né nel 2008 — vale a dire all’adozione del regolamento controverso. Infine, anche se gli artt. 60 CE e 301 CE autorizzavano la Comunità ad attuare un embargo che, dal canto suo, avrebbe riguardato l’insieme della popolazione birmana, il ricorrente ritiene che, a partire dal momento in cui l’azione della Comunità assume la forma di sanzioni mirate, il Consiglio deve assicurarsi che esse non riguardino persone prive di legami con il regime in questione.

27.

Il Consiglio, al contrario, ritiene che la sentenza impugnata sia esente da qualunque errore di diritto. Gli artt. 60 CE e 301 CE costituiscono i fondamenti giuridici adeguati del regolamento controverso, giacché quest’ultimo è effettivamente diretto contro un paese terzo. Il Tribunale ha applicato correttamente la sentenza Kadi, ritenendo sussistente una presunzione secondo la quale i familiari delle persone che beneficiano delle politiche economiche del governo birmano traggono anch’essi profitto da dette politiche e presentano il rischio di eludere le misure restrittive, il che giustifica la loro iscrizione. Il ricorrente è stato inserito nell’elenco delle persone i cui beni debbono essere congelati per il fatto che appartiene ad una categoria individuata dal Consiglio e non a titolo individuale. Peraltro, il Consiglio deduce che il ricorrente si è fondato su una versione obsoleta degli Orientamenti sull’attuazione delle misure restrittive nel contesto della politica estera e di sicurezza comune (PESC). Il ricorrente è effettivamente associato al regime birmano e l’estensione delle misure restrittive ai familiari era sufficientemente spiegata nella posizione comune e nel regolamento controverso. Il ricorrente non può dunque pretendere di ignorare il contesto che ha condotto all’adozione del regolamento controverso e i motivi della sua iscrizione. Il Consiglio spiega, inoltre, che l’obiettivo di tale estensione è quello di aumentare la pressione sul regime dirigente ed indica che è in quanto figlio di suo padre che il ricorrente è stato considerato trarre a sua volta profitto dall’azione illegale del governo. Ciononostante, vi sarebbe comunque la possibilità di dimostrare al Consiglio che egli si è dissociato dal padre, affinché il suo nome sia espunto dall’elenco. Fino ad oggi, il ricorrente non ha invocato alcun argomento di natura siffatta. Infine, il Consiglio afferma che è sostanzialmente la famiglia prossima delle persone iscritte a presentare il rischio più elevato di elusione delle misure restrittive adottate nei confronti di queste ultime.

28.

Dal canto suo, la Commissione ritiene che il motivo sviluppato dal ricorrente confonda inopportunamente gli elementi di fatto e di diritto. Stabilire se le persone associate ai dirigenti di un paese terzo possano essere destinatarie di misure restrittive è una questione di diritto già risolta dalla Corte nella sentenza Kadi. Al contrario, determinare se il ricorrente sia come tale associato al regime birmano e se presenti un legame sufficiente con quest’ultimo configura una valutazione fattuale che non spetta alla Corte rimettere in discussione, dal momento che il ricorrente non è riuscito a dimostrare un’inesattezza materiale o uno snaturamento degli elementi di prova. In subordine, la Commissione sostiene che il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto nel sancire la presunzione secondo la quale i familiari beneficiano della funzione esercitata dai dirigenti birmani e devono essere iscritti a loro volta al fine di preservare l’efficacia delle misure restrittive. Peraltro, l’incapacità del ricorrente di confutare la presunzione si basa anch’essa su una valutazione fattuale che sfugge al controllo della Corte e il ricorrente tenta, inopportunamente nel contesto di un’impugnazione, di introdurre un nuovo elemento fattuale fondato sulla considerazione che le società di suo padre delle quali era anch’egli azionista tra il 2005 ed il 2007 non erano operative in Birmania.

29.

Il Regno Unito, che ha limitato il suo intervento al presente motivo, sottolinea che l’iscrizione del padre del ricorrente non è stata contestata. Riprendendo argomenti analoghi a quelli del Consiglio e della Commissione, esso ritiene che il fondamento giuridico del regolamento controverso sia adeguato e che la sentenza Kadi sia stata debitamente applicata dal Tribunale. Peraltro, è del tutto legittimo considerare che i familiari traggono a loro volta profitto dalle politiche economiche del regime birmano, al fine di preservare segnatamente l’effetto utile delle misure restrittive. Soltanto i familiari prossimi sono colpiti, il che dimostra, da parte del Consiglio, un’attenzione per la proporzionalità.

30.

Il Consiglio, il Regno Unito e la Commissione chiedono dunque che il primo motivo sia respinto.

2. Analisi

31.

In limine, occorre constatare che un certo numero di argomenti sviluppati nel quadro di questo primo motivo, come l’inversione dell’onere della prova o l’assenza di indicazioni sufficienti quanto alle ragioni dell’iscrizione del ricorrente nell’elenco delle persone i cui beni devono essere sottoposti a congelamento, non attiene direttamente alla questione del fondamento giuridico. Pertanto, nell’analisi che segue, saranno esaminati soltanto gli argomenti che riguardano l’adeguatezza degli artt. 60 CE e 301 CE a costituire il fondamento giuridico del regolamento controverso, i quali peraltro corrispondono maggiormente al titolo che il ricorrente medesimo ha dato al suo primo motivo.

32.

Non può poi essere condiviso l’argomento della Commissione secondo il quale il presente motivo solleva una questione di fatto e non di diritto. Al contrario, la questione sollevata è quella di sapere se il Tribunale ha correttamente applicato l’interpretazione data dalla Corte degli artt. 60 CE e 301 CE. In altre parole, occorre determinare se i familiari delle persone che beneficiano delle politiche economiche del regime birmano possano essere destinatari delle misure previste in un regolamento adottato sulla base degli artt. 60 CE e 301 CE. Si tratta dunque di una questione prettamente giuridica, che spetta alla Corte esaminare nel contesto della presente impugnazione.

33.

Come osservato dalle parti, la Corte ha indicato, nella sentenza Kadi, che «considerato il tenore letterale degli artt. 60 CE e 301 CE, in particolare delle espressioni “nei confronti dei paesi terzi interessati” e “con uno o più paesi terzi” ivi contenute, tali disposizioni hanno ad oggetto l’adozione di misure nei confronti di paesi terzi, laddove quest’ultima nozione può includere i dirigenti di un tale paese e le persone ed entità associate a tali dirigenti o da essi direttamente o indirettamente controllate. (...) Accogliere l’interpretazione degli artt. 60 CE e 301 CE (...), secondo cui sarebbe sufficiente che le misure restrittive di cui trattasi riguardino persone o entità che si trovano in un paese terzo o che vi sono associate ad altro titolo, attribuirebbe a tali disposizioni una portata eccessivamente ampia e non terrebbe assolutamente conto del requisito, derivante dai termini stessi di queste ultime, secondo cui le misure decise sulla base delle citate disposizioni devono essere assunte nei confronti di paesi terzi» ( 23 ).

34.

La linea difensiva del Consiglio e delle parti intervenienti a sostegno delle conclusioni di quest’ultimo consiste nell’affermare che, giacché il regolamento controverso è chiaramente diretto contro il regime birmano, gli artt. 60 CE e 301 CE ne costituiscono il fondamento giuridico adeguato. Un argomento siffatto risponde soltanto parzialmente ai criteri delineati nella sentenza Kadi, giacché, pur essendo richiesto che le misure restrittive adottate su tale fondamento siano dirette contro un paese terzo, è pur vero che tale circostanza non può esimere il Consiglio, quando l’azione della Comunità contro un paese terzo assuma la forma di misure restrittive adottate nei confronti di persone fisiche, dall’obbligo di colpire soltanto coloro che rientrino nella definizione data dalla Corte delle nozioni di «dirigenti» o di «persone associate» a questi ultimi.

35.

È più soddisfacente ricorrere all’argomento per il quale la Comunità è competente, sul solo fondamento degli artt. 60 CE e 301 CE, ad attuare un embargo commerciale totale che, in sé, colpirebbe l’intera popolazione del paese terzo interessato dall’azione della Comunità e, pertanto, a fortiori, le misure restrittive controverse possono essere fondate sulle disposizioni precitate? Non credo. Dette misure sono in genere qualificate come «sanzioni intelligenti», in quanto mirate ed il cui obiettivo è proprio quello di limitare gli effetti collaterali delle sanzioni internazionali sulle persone che già subiscono o che non sono responsabili della situazione esistente nel paese terzo in questione. Di conseguenza, qualora la Comunità scelga di agire mediante misure restrittive mirate, spetta alle istituzioni, sotto il sindacato giurisdizionale, assicurarsi che le persone nei cui confronti dette misure sono state adottate presentino un legame sufficiente con il regime in questione sì da essere qualificate come «dirigenti» o «persone associate» ai dirigenti. Una diversa conclusione comporterebbe l’attribuzione di una delega in bianco a tali istituzioni che potrebbero così infliggere misure restrittive a chiunque o a qualunque categoria di persone, col pretesto che, dopo tutto, esse potrebbero perfino imporre un embargo commerciale totale. Ne consegue che, se condivido il ragionamento condotto a fortiori dal Tribunale al punto 70 della sentenza impugnata, è unicamente a condizione che esso riguardi restrittivamente soltanto i dirigenti birmani e le persone a loro associate. Dubito invece della validità dell’affermazione, contenuta nel punto citato, secondo la quale i familiari dei dirigenti di imprese birmani rientrano nella categoria delle «persone associate» al regime birmano.

36.

Invero, nella sentenza impugnata, il Tribunale ha considerato che il ricorrente presentava un legame sufficiente, benché indiretto, con i dirigenti birmani, in quanto figlio di un uomo d’affari birmano le cui attività commerciali in questo paese non possono prosperare a meno di beneficiare dei favori di detto regime ( 24 ). Il Tribunale ha sottolineato che siffatto legame indiretto con il regime dirigente ha motivato l’iscrizione del ricorrente nell’elenco delle persone i cui beni devono essere congelati. Il Tribunale ha così concluso che «si presume che [i familiari dei dirigenti importanti d’imprese del regime militare in Myanmar] beneficino della funzione svolta da detti dirigenti cosicché si può concludere che anch’essi traggono profitto dalle politiche economiche del governo» ( 25 ). Tale presunzione può tuttavia, secondo il Tribunale, essere confutata qualora l’interessato dimostri di non aver alcun legame stretto con il dirigente appartenente alla sua famiglia ( 26 ).

37.

La valutazione del Tribunale impone tre serie di osservazioni.

38.

Per un verso, la presunzione sancita al punto 67 della sentenza impugnata sembra essere stata creata ex nihilo dal Tribunale, giacché né la posizione comune 2007/750 né il regolamento controverso sanciscono una presunzione siffatta. A tal riguardo, il parallelismo che il Consiglio e la Commissione hanno cercato di stabilire, nel corso dell’udienza, con la situazione di cui alla causa Melli Bank/Consiglio ( 27 ) incontra innegabili limiti. In tale causa pendente, invero, si tratta di verificare la legittimità di una decisione di congelamento dei fondi di una società controllata al 100% da un’entità a sua volta iscritta in ragione del suo supporto accertato alla politica di proliferazione nucleare in Iran e allorché nessun sostegno di tal tipo era stato dimostrato per la controllata. In altre parole, la controllata è iscritta soltanto in quanto detenuta al 100% dalla società madre e poiché esiste un rischio non trascurabile, necessariamente presunto, che la società madre riesca ad eludere le misure restrittive adottate nei suoi confronti mediante la sua controllata. Tuttavia, in tale contesto, la presunzione era confermata dall’accertamento condotto dal Tribunale che la società madre disponeva del potere di nomina del personale dirigente della sua controllata, potere che manteneva quest’ultima in rapporto di manifesta subordinazione e che poteva legittimamente far dubitare della capacità della controllata di condurre una politica economica e commerciale autonoma, ovvero di resistere eventualmente alle pressioni che la società madre avrebbe potuto esercitare sulla stessa al fine di eludere le misure restrittive ad essa riferite. Orbene, in primo luogo, in quella sentenza, il Tribunale non si era limitato a sancire una presunzione, ma si era spinto più oltre, verificando concretamente la sussistenza dei rischi. In secondo luogo, mi sembra che il vincolo di cui si discute nella presente causa, quello cioè che unisce il ricorrente a suo padre, sia di natura diversa rispetto al mero vincolo giuridico-economico che lega una società madre alla sua controllata. Inoltre, in presenza di persone fisiche, si dovrebbe ricorrere a presunzioni soltanto in misura particolarmente moderata.

39.

Per altro verso, nel contesto dell’utilizzo degli artt. 60 CE e 301 CE nei confronti delle persone fisiche, ho già sostenuto la concezione per la quale la nozione di «paese terzo» non deve essere intesa secondo un approccio strettamente formalistico, ma del pari sostanziale, tenendo conto del fatto che le politiche pubbliche vengono sostituite, in tutta evidenza e in misura sempre maggiore, dall’azione, dal sostegno o dalla complicità di persone o di entità dotate di una personalità distinta da quella dello Stato terzo in questione, ma che presentano un collegamento sufficiente con quest’ultimo e con le politiche pubbliche che esso conduce, sì da poter formare oggetto di misure restrittive riguardanti, di fatto, il paese terzo in sé ( 28 ). Nella fattispecie, risulta già, secondo una valutazione del Consiglio che non occorre rimettere in questione, la circostanza che il padre del ricorrente è associato al regime birmano, pur non appartenendo, per ciò stesso, al governo medesimo. La sua individuazione come «persona associata» al regime birmano deriva dai benefici concreti tratti dalle politiche economiche birmane dalle due imprese da egli amministrate, ed è in tal senso che il legame che lo riconduce a detto regime appare sufficiente. Ciò posto, sempre per quanto riguarda il padre del ricorrente, tale legame, benché sufficiente, è anzitutto indiretto, giacché egli è descritto come il beneficiario passivo di politiche economiche delle quali non è il decisore. Al contrario, l’iscrizione del ricorrente si basa, in virtù dell’analisi condotta dal Tribunale, sulla mera presunzione per la quale il figlio di una persona che beneficia delle politiche economiche del regime birmano trae a sua volta profitto da dette politiche.

40.

In altre parole, la presente impugnazione mette in gioco tre categorie di persone fisiche alle quali sono indirizzate le misure restrittive che, per una migliore comprensione, potrebbero essere raffigurate come tre cerchi concentrici. Il primo cerchio è composto dai dirigenti stessi, vale a dire dai membri del governo o dalle altre persone che detengono un reale potere decisionale e che presentano, pertanto, il grado più elevato di responsabilità politica nella situazione che l’Unione si propone di contrastare. Ai sensi dell’allegato VI del regolamento controverso, si tratta dei membri del Consiglio di Stato per la pace e lo sviluppo, dei comandanti regionali, dei vicecomandanti regionali, dei ministri, dei viceministri, delle altre autorità in materia di turismo, degli alti ufficiali, degli ufficiali militari incaricati delle prigioni e della polizia e degli alti funzionari dell’Associazione per l’Unione, lo Sviluppo, la Solidarietà ( 29 ). Il secondo cerchio è composto dalle persone associate, direttamente o indirettamente, ai dirigenti appartenenti al primo cerchio; può trattarsi dei familiari di detti dirigenti ( 30 ), ma altresì delle persone che beneficiano delle politiche economiche ( 31 ). Il terzo cerchio è poi costituito dai familiari delle persone che beneficiano delle politiche economiche, in relazione ai quali il Consiglio non ritiene sussistere alcuna responsabilità diretta o indiretta nel processo decisionale né nell’avvantaggiarsi dei membri del secondo cerchio. Per restare nella metafora, tale terzo cerchio mi sembra troppo lontano dal centro decisionale per poter essere interessato da misure restrittive adottate sul mero fondamento degli artt. 60 CE e 301 CE.

41.

Proprio poiché si tratta qui di persone fisiche e poiché mi sembra, peraltro, poco equo far gravare su un individuo gravi conseguenze in virtù della sua appartenenza familiare, avverso la quale il medesimo, in definitiva, non può effettivamente combattere, la Corte dovrebbe dichiarare, alla luce di quanto suggerivano, un tempo, gli Orientamenti sull’attuazione e la valutazione delle misure restrittive ( 32 ), che i figli adulti delle persone che beneficiano delle politiche economiche di un regime di un paese terzo avverso il quale l’Unione intende combattere dovrebbero essere oggetto di misure restrittive non già in forza del loro mero vincolo di filiazione materna o paterna, bensì a causa della loro propria responsabilità nel contesto delle politiche o delle azioni in questione. Orbene, il nesso di causalità tra il ricorrente e la situazione nel paese terzo, che giustifica l’adozione delle misure restrittive avverso quest’ultimo, è troppo tenue perché il congelamento dei suoi beni possa fondarsi sui soli artt. 60 CE e 301 CE.

42.

A sostegno di tale conclusione, è sufficiente richiamare le ragioni che hanno condotto all’adozione della posizione comune 2007/750, ed in seguito del regolamento controverso. La posizione comune 2007/750 menzionava la «brutale repressione perpetrata dalle autorità birmane nei confronti di manifestanti pacifici e le persistenti gravi violazioni dei diritti umani in Birmania» ( 33 ) e la necessità di «intensificare la pressione sul regime adottando una serie di misure dirette contro i responsabili della violenta repressione e della situazione di stallo politico in cui versa il paese» ( 34 ). Il regolamento controverso, dal canto suo, rammenta che l’azione dell’Unione è stata avviata dal 1996 per l’assenza di progressi verso la democratizzazione e per il persistere delle violazioni dei diritti dell’uomo ( 35 ) e riporta un certo numero di elementi che hanno condotto a rinnovare e rafforzare le misure restrittive nei confronti dell’Unione di Birmania, come il rifiuto delle autorità di avviare discussioni con il movimento democratico, il rifiuto di consentire una Convenzione nazionale autentica ed aperta, il perdurare della detenzione di Daw Aung San Suu Kyi e la mancanza di iniziative volte ad eliminare il ricorso al lavoro forzato ( 36 ). Il legame tra questi elementi e la situazione del ricorrente è ben lungi dall’essere stabilito in tutta evidenza.

43.

In terzo e ultimo luogo, il ragionamento del Tribunale è viziato da una certa ambiguità semantica. Quando, al punto 67 della sentenza impugnata, il Tribunale afferma che, «[p]er quanto riguarda i membri della famiglia di tali dirigenti, si presume che essi beneficino della funzione svolta da detti dirigenti» ( 37 ), occorre, invero, ritenere che il Tribunale ivi si riferisca ai dirigenti d’impresa ( 38 ). Orbene, i dirigenti di impresa non sono «dirigenti» nel senso di cui alla sentenza Kadi, bensì, come già da me spiegato in precedenza, «persone associate» ai dirigenti del paese terzo interessato e, nel caso del padre del ricorrente, in modo indiretto. Sarebbe del tutto abusivo assimilare i dirigenti d’impresa — indipendentemente dalla rilevanza di dette imprese — ai dirigenti di un paese, fatta salva l’ipotesi in cui detti dirigenti d’impresa esercitino funzioni ufficiali in seno all’apparato statale.

44.

A queste tre serie di osservazioni sul primo motivo, aggiungo una riflessione sull’efficacia delle misure restrittive. Il Consiglio e le parti intervenienti a sostegno delle conclusioni di quest’ultimo hanno asserito che la presunzione sancita dalla sentenza impugnata, secondo la quale i familiari delle persone che beneficiano delle politiche economiche del regime birmano traggono a loro volta profitto da dette politiche, è giustificata alla luce della necessità di garantire l’efficacia delle misure restrittive, e, pertanto, della politica sanzionatoria condotta dall’Unione avverso l’Unione di Birmania, evitando ogni rischio di elusione. Oltre al fatto che tale argomento solleva un dubbio quanto al reale fondamento della presunzione, credo che non tutto possa essere sacrificato sull’altare dell’efficacia delle misure restrittive. Con questo intendo dire che ciò che costituisce appunto il valore aggiunto dell’Unione europea, ciò che la distingue dai regimi autoritari contro i quali essa lotta, è l’attuazione e la difesa di un’unione di diritto. Sarebbe più facile, e certamente più efficace, attuare un regime sanzionatorio nei confronti dell’intera Unione di Birmania. Ma, procedendo attraverso sanzioni mirate, l’Unione ha scelto un regime sanzionatorio forse meno efficace, ma indiscutibilmente più equo. Certamente la politica sanzionatoria, per ottenere gli effetti sperati, deve essere quanto più efficace possibile. Ma si deve rinunciare ad un’efficacia assoluta e la fallibilità delle misure restrittive testimonia proprio il fatto che, nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea, sono i diritti individuali a trionfare.

45.

Per tutte le ragioni che precedono, affermando che è lecito presumere che i familiari delle persone che beneficiano delle politiche economiche del regime birmano traggono a loro volta profitto da dette politiche e che, pertanto, gli artt. 60 CE e 301 CE costituiscono fondamenti giuridici adeguati delle misure restrittive adottate nei confronti del ricorrente, il Tribunale ha dato un’interpretazione eccessivamente ampia di dette disposizioni ed ha commesso un errore di diritto.

46.

Di conseguenza, il primo motivo dev’essere accolto.

B — Sul terzo motivo, vertente su una violazione dei diritti della difesa

1. Argomenti delle parti

47.

Occorre distinguere tra la questione preliminare sollevata dal presente motivo e i tre capi sviluppati dal ricorrente.

48.

Sulla questione preliminare relativa all’applicabilità dei diritti della difesa, il ricorrente rammenta che il rispetto dei diritti della difesa è un aspetto fondamentale della comunità di diritto e che l’art. 205 TFUE prevede ormai che l’azione dell’Unione sulla scena internazionale sia condotta in conformità allo Stato di diritto e nel rispetto dei diritti fondamentali. Secondo la giurisprudenza della Corte, i diritti della difesa si applicano ogni qualvolta un’istituzione adotti un provvedimento direttamente pregiudizievole. Così, qualora una decisione pregiudichi sensibilmente gli interessi dei suoi destinatari, questi ultimi devono essere messi in grado di presentare utilmente le loro difese ( 39 ). I giudici dell’Unione hanno riconosciuto che il diritto ad un equo processo, che include il diritto dell’interessato ad essere informato degli elementi ritenuti a suo carico ed il diritto di presentare utilmente le proprie difese, deve essere rispettato in presenza di sanzioni economiche pregiudizievoli. Ciò vale a maggior ragione nell’ipotesi di una misura che rinnova il congelamento dei beni della persona interessata, nel qual caso i nuovi elementi a carico devono essere comunicati e deve essere concessa la possibilità di un’audizione. Per quanto riguarda il ricorrente, nessun elemento di prova gli è stato comunicato in via preliminare, né gli è stata concessa la possibilità di un’audizione, preventiva all’adozione del regolamento controverso. Orbene, tali garanzie procedurali trovano applicazione altresì in presenza di un regime di sanzioni dirette contro un paese terzo. Il regolamento controverso, secondo il ricorrente, non ha natura esclusivamente legislativa, poiché riguarda direttamente ed individualmente il ricorrente che viene nominativamente indicato nell’elenco delle persone i cui beni devono essere sottoposti a congelamento. Nelle cause Melli Bank/Consiglio ( 40 ) e Bank Melli Iran/Consiglio ( 41 ), in cui si discuteva di misure restrittive dirette avverso persone giuridiche nel contesto di un regime di sanzioni adottato nei confronti di un paese terzo, il Tribunale ha effettivamente riconosciuto ai ricorrenti il beneficio dei diritti della difesa. Inoltre, il ricorrente sostiene di non essere iscritto in quanto appartenente ad una categoria. Il Tribunale ha ammesso la possibilità di dimostrare che una persona si è dissociata dal familiare iscritto, ma tale dimostrazione può essere fornita soltanto attraverso l’esercizio dei diritti della difesa. Il ricorrente rileva, a tal proposito, un’incoerenza nell’orientamento adottato dal Tribunale, a maggior ragione dal momento che il Consiglio medesimo ha ammesso, dinanzi al Tribunale e nei suoi Orientamenti sull’attuazione e la valutazione delle misure restrittive ( 42 ), che una persona che si trovi nella situazione del ricorrente gode dei diritti della difesa. Il ricorrente sostiene, di conseguenza, che non era possibile, per il Tribunale, concludere nel senso dell’inapplicabilità dei diritti della difesa.

49.

Sul primo capo, relativo al diritto ad un giusto processo, il ricorrente contesta la conclusione del Tribunale secondo la quale la sua audizione preventiva sarebbe stata ininfluente sulla legittimità del regolamento controverso, giacché il ricorrente avrebbe potuto presentare solo successivamente all’adozione di detto regolamento, e allorché nessuna informazione quanto alle ragioni sottese alla sua iscrizione gli era stata comunicata, elementi di prova che dimostravano che egli non aveva alcun legame con il padre né con gli interessi commerciali di quest’ultimo e che non aveva in alcun modo beneficiato egli stesso delle politiche economiche del governo birmano in misura maggiore rispetto a chiunque altro.

50.

Sul secondo capo, relativo al diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, il ricorrente contesta la conclusione del Tribunale secondo la quale detta protezione era garantita, allorché il Tribunale si è limitato a verificare il rispetto delle norme procedurali e di motivazione, l’esattezza materiale dei fatti, nonché l’assenza di errori manifesti nella valutazione dei fatti e di sviamento di potere. Il controllo della legittimità delle misure restrittive richiede, al contrario, e secondo la giurisprudenza della Corte, un controllo completo ( 43 ) ed è proprio questo tipo di controllo ad essere stato applicato dal Tribunale nella sentenza People’s Mojahedin Organization of Iran/Consiglio ( 44 ). Nella sua memoria di replica, il ricorrente aggiunge che questo tipo di controllo è stato attuato altresì dal Tribunale nella sentenza Kadi resa su rinvio della Corte ( 45 ). Tenuto conto dei rilevanti effetti delle misure restrittive, un controllo incompleto non può essere tollerato.

51.

Infine, opponendosi agli argomenti sviluppati dalla Commissione nella sua comparsa di risposta, il ricorrente sostiene, in fase di replica, che il Consiglio era tenuto a comunicargli individualmente le ragioni specifiche e concrete sottese al congelamento dei suoi beni.

52.

La Commissione deduce, dal canto suo, che il ricorrente ha fallito nel suo tentativo di dimostrare l’esistenza di un errore di diritto nel ragionamento del Tribunale che potrebbe invalidare o viziare la sentenza impugnata. Per quanto riguarda l’applicazione dei diritti della difesa, il Consiglio e la Commissione condividono l’analisi condotta dal Tribunale che opera una distinzione tra i regimi di sanzioni che colpiscono un paese terzo e quelli che colpiscono le persone in forza del loro legame con un’attività terroristica, dal momento che detto Tribunale ha peraltro dimostrato che il ricorrente aveva beneficiato di garanzie procedurali sufficienti e poteva far valere le sue difese presso il Consiglio prima dell’adozione del regolamento controverso. Queste due istituzioni respingono l’esistenza di un diritto ad un’audizione preventiva del quale il ricorrente avrebbe potuto avvalersi in occasione del mantenimento nei suoi riguardi delle misure restrittive controverse e fanno valere che dette misure sono state del pari debitamente notificate attraverso la pubblicazione dell’avviso datato 11 marzo 2008 nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. Il Consiglio aggiunge, al riguardo, riecheggiando così quanto statuito dal Tribunale, che, anche se dovesse essere riconosciuto al ricorrente un diritto ad un’audizione preventiva, l’assenza di un’audizione non poteva viziare la legittimità del regolamento controverso, giacché il ricorrente non aveva presentato alcun nuovo elemento di prova.

53.

Sul diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, il Consiglio e la Commissione ritengono che il Tribunale abbia applicato il corretto standard di controllo nonché il criterio di riesame adeguato, conforme alla sua giurisprudenza Organisation des Modjahedines du peuple d’Iran/Consiglio ( 46 ) e Melli Bank Iran/Consiglio ( 47 ), riconoscendo al contempo e fondatamente un ampio potere discrezionale al Consiglio. Il Tribunale ha quindi correttamente statuito che soltanto un manifesto errore di valutazione da parte del Consiglio poteva comportare l’annullamento dell’atto. La Commissione, nella sua controreplica, sviluppa un argomento simile, giungendo a considerare come il ricorrente abbia tentato, in fase di memoria di replica, di introdurre un nuovo motivo vertente sullo standard di controllo adottato dal Tribunale.

54.

Il Consiglio e la Commissione respingono, peraltro, l’esistenza di un obbligo di notifica individuale delle misure controverse, nei limiti in cui il ricorrente era iscritto nella sua qualità di membro del governo o associato.

2. Analisi

a) Sulla questione preliminare attinente all’invocabilità dei diritti della difesa

55.

Dai punti 120-123 della sentenza impugnata risulta che il Tribunale ha effettuato una distinzione assai netta tra la causa oggetto della sentenza Organisation des Modjahedines du peuple d’Iran/Consiglio ( 48 ) e la presente causa, considerando che la giurisprudenza Organisation des Modjahedines du peuple d’Iran/Consiglio riguarda esclusivamente i regimi di sanzioni adottati nei confronti di persone a causa della loro implicazione in attività terroristiche. Orbene, nel caso di specie, le misure restrittive riguardano un paese terzo e sono state adottate nell’ambito di un regolamento, atto legislativo generale. Pertanto, ciò che giustifica l’identificazione di tali persone da parte del regolamento controverso non sarebbero le attività delle medesime, bensì sarebbe la loro appartenenza ad una categoria generale, vale a dire, secondo il Tribunale, quella dei «membri delle famiglie dei dirigenti importanti di imprese in Myanmar» ( 49 ). Non è dunque possibile sostenere che un procedimento sia stato aperto nei confronti del ricorrente, ai sensi della giurisprudenza sopraccitata ( 50 ). Di conseguenza, i diritti della difesa non si applicherebbero alle persone identificate nell’allegato di un regolamento che comporta l’adozione di un regime di sanzioni avverso un paese terzo ( 51 ).

56.

Non condivido affatto questo orientamento.

57.

In primo luogo, non mi convince la distinzione operata dal Tribunale tra il trattamento giuridico riservato ai regimi di sanzioni diretti contro le persone implicate in attività terroristiche e quello riservato ai regimi di sanzioni avverso i paesi terzi. Infatti, è assolutamente chiaro che il regolamento controverso è diretto contro il regime birmano. Sarebbe tuttavia un ragionamento puramente fittizio ritenere, dacché interessa uno Stato terzo, che detto regolamento possa prescindere da qualunque esigenza legata ai diritti individuali eventualmente coinvolti. Per colpire lo Stato in questione, le misure restrittive devono essere dirette avverso intermediari, che incarnano o servono tale Stato. Il Consiglio beneficia, a tal proposito, di un ampio potere discrezionale per determinare le persone, le entità e gli organismi che dovrebbero essere oggetto di misure siffatte, potere che mi sembra assolutamente simile a quello che gli è riconosciuto nell’ambito della lotta al terrorismo. Confesso di non percepire quale sottigliezza giuridica potrebbe spiegare come i diritti individuali delle persone sospettate di partecipare ad attività terroristiche siano maggiormente tutelati di quelli delle persone sospettate di collaborare con un regime autoritario che l’Unione intende contrastare.

58.

Inoltre, la valutazione del «legame» in linea di principio intrattenuto con il regime dirigente — vero obiettivo delle misure restrittive — da qualunque persona iscritta sull’elenco delle persone i cui beni devono essere sottoposti a congelamento deve essere condotta autonomamente rispetto alla questione se dette persone possano avvalersi dei diritti della difesa. Anche se la Corte dovesse ritenere che gli artt. 60 CE e 301 CE costituiscono il fondamento giuridico adeguato del regolamento controverso, essa dovrebbe nondimeno considerare che il legame intrattenuto dal ricorrente con il regime birmano non è sufficiente ad esimere il Consiglio dal rispetto dei suoi diritti della difesa, come ho già suggerito in un’altra occasione ( 52 ). In materia, più ci si allontana dal centro del potere e dal momento decisionale, più il legame con il regime dirigente effettivamente preso di mira si attenua e più si impone il rispetto dei diritti della difesa.

59.

Che ne è, in secondo luogo, dell’incidenza della natura dell’atto su tale conclusione intermedia?

60.

La questione della natura di un regolamento che attua un regime di sanzioni avverso un paese terzo e che definisce, a tal fine, misure restrittive che colpiscono le persone fisiche e giuridiche elencate in allegato sembra essere stata risolta dalla Corte nella sentenza Bank Melli Iran/Consiglio ( 53 ), nella quale essa ha statuito che l’allegato di un regolamento siffatto comportava gli stessi effetti del regolamento stesso ( 54 ). Pertanto, il ragionamento svolto dal Tribunale ai punti 123 e seguenti della sentenza impugnata potrebbe apparire giuridicamente fondato, dal momento che il Tribunale ha basato la sua analisi sul carattere esclusivamente regolamentare dell’atto controverso per negare al ricorrente il riconoscimento dei diritti della difesa.

61.

Tuttavia, una tale valutazione omette di considerare un aspetto significativo della giurisprudenza della Corte resa in materia di misure restrittive. Infatti, anche volendo supporre che il regolamento controverso riceva un’univoca qualificazione giuridica, da tale giurisprudenza deriva che ciò non può impedire il riconoscimento dei diritti della difesa. In tal senso, al centro della causa Kadi si ritrovava già la questione della legittimità di un regolamento, il che non ha comunque impedito alla Corte di statuire che, «alla luce delle circostanze concrete in cui è intervenuta l’inclusione dei nomi dei ricorrenti nell’elenco delle persone (...) interessate dalle misure restrittive contenuto nell’allegato I del regolamento [in questione], deve stabilirsi che i diritti della difesa, in particolare il diritto al contraddittorio e il diritto ad un controllo giurisdizionale effettivo di questi ultimi non sono stati manifestamente rispettati» ( 55 ). Tale riconoscimento è necessario affinché un minimo di garanzie, segnatamente procedurali, sia offerto alle persone fisiche e giuridiche che figurano in tali elenchi ( 56 ), indipendentemente dal fatto che si tratti di attività collegate al terrorismo oppure di attività connesse ad una politica statale censurabile da un punto di vista internazionale ed al fine di assicurare il rispetto del principio di tutela giurisdizionale effettiva ( 57 ).

62.

L’affermazione contenuta al punto 123 della sentenza impugnata secondo la quale i diritti della difesa non sono applicabili al ricorrente costituisce dunque, in sé, un errore di diritto. Tuttavia, dal momento che il Tribunale ha svolto un’analisi più approfondita, per stabilire anche se dovessero essere accordate al ricorrente una previa comunicazione degli elementi di fatto e di diritto ed un’audizione preventiva, detta affermazione non costituisce, di per sé, un errore di diritto tale da invalidare la sentenza impugnata. Occorre dunque proseguire nell’analisi degli altri capi del motivo.

b) Sull’asserita violazione del diritto ad una previa comunicazione dei motivi e del diritto ad un’audizione preventiva (primo capo del terzo motivo)

63.

Per quanto riguarda la previa comunicazione dei motivi, il Tribunale ha statuito, ai punti 124-126 della sentenza impugnata, che gli elementi di diritto e di fatto pertinenti erano noti al ricorrente prima dell’adozione del regolamento controverso e che non era necessario che tali elementi fossero nuovamente forniti prima dell’adozione del regolamento medesimo. Il Tribunale, così facendo, ha dato particolare rilievo alla circostanza che il ricorrente è colpito da misure restrittive dal 2003 e il regolamento controverso si basa segnatamente su posizioni comuni che, di per sé, esporrebbero «tutti gli elementi di fatto e di diritto che giustificano l’adozione e il mantenimento delle misure restrittive in esame» ( 58 ).

64.

Rilevo tuttavia che, anche se le posizioni comuni ed il regolamento controverso che le attua sottolineano le ragioni che giustificano l’attuazione di una politica sanzionatoria avverso l’Unione di Birmania, illustrando, in modo invero sufficiente, una situazione politica nazionale preoccupante, lo stesso non può dirsi per quanto riguarda la situazione individuale del ricorrente. Infatti, dal fascicolo ed al contempo dalla sentenza del Tribunale risulta che il ricorrente non ha mai ricevuto comunicazione dei motivi personali che giustificano la sua iscrizione. Stando al dettato del regolamento controverso, in eventuale combinato con quello delle posizioni comuni, il ricorrente comprende soltanto di essere stato iscritto personalmente, al fine di fare pressione avverso un paese terzo, esclusivamente in quanto figlio di suo padre. Dal 2003 non è stato fornito alcun elemento atto a comprovare che egli stesso beneficia delle politiche economiche del regime birmano. Dal 2003 il Consiglio non ha nemmeno indicato di aver fondato l’iscrizione del ricorrente sulla presunzione per la quale i familiari di una persona che beneficia delle politiche economiche del governo birmano sono considerati trarre essi stessi profitto da dette politiche, salvo forniscano la prova del contrario. Come rilevato dal Tribunale, il Consiglio ha certo esposto i motivi per i quali ha esteso le misure restrittive alle persone che beneficiano delle politiche economiche del regime birmano ( 59 ). Al contrario, una tale spiegazione non è mai stata addotta per quanto riguarda i familiari ( 60 ). È pertanto a torto che il Tribunale ha statuito, al punto 126 della sentenza impugnata, che «gli elementi di diritto e di fatto pertinenti nella fattispecie erano noti al ricorrente prima dell’adozione del citato regolamento da parte del Consiglio».

65.

Concluderò l’analisi su questo punto rammentando che il regime giuridico nel quale si colloca la prima iscrizione del nome di una persona su un elenco come quello contenuto nell’allegato VI del regolamento controverso è, in linea di principio, meno favorevole a detta persona rispetto al caso di un rinnovo, nel senso che considerazioni di efficacia delle misure restrittive possono giustificare, entro certi limiti, che non sia data piena applicazione ai diritti della difesa, per lo meno nel corso del procedimento precontenzioso ( 61 ). Non si può escludere che tali considerazioni continuino ad essere rilevanti anche nell’ipotesi di rinnovo di dette misure. Tuttavia, spetterà allora al giudice dell’Unione vigilare, se del caso, a che le circostanze particolari tali da giustificare che, nell’ambito di una prima iscrizione, i diritti della difesa delle persone iscritte subiscano un temperamento siano ancora presenti al momento del rinnovo. Spetterà parimenti al medesimo bilanciare, da un lato, l’obiettivo perseguito dall’Unione e l’impossibilità di sottoporre le istituzioni ad obblighi procedimentali troppo stringenti che rischierebbero di paralizzare la loro azione e, dall’altro, la necessità di accordare adeguatamente al singolo le garanzie procedurali. È giocoforza constatare che il Tribunale non ha mai proceduto ad effettuare un bilanciamento siffatto, anche se si trovava in presenza di una persona fisica che non è né un dirigente birmano né un familiare di un dirigente birmano, bensì meramente il figlio di una persona che beneficia delle politiche economiche attuate da tali dirigenti.

66.

Per quanto riguarda il diritto ad un’audizione preventiva, può essere assunta una posizione analoga a quella sviluppata in relazione all’esigenza di una previa comunicazione dei motivi. Anche se la Corte ha statuito, nella sentenza Kadi, che «[p]er quanto riguarda i diritti della difesa, in particolare il diritto al contraddittorio, con riferimento a misure restrittive quali quelle imposte dal regolamento controverso, non può richiedersi alle autorità comunitarie di comunicare detti motivi prima dell’inserimento iniziale di una persona (...) nell’elenco stesso» ( 62 ) e che «[p]er ragioni anch’esse relative all’obiettivo perseguito dal regolamento controverso e all’efficacia delle misure da esso previste, le autorità comunitarie non erano neppure tenute a procedere a un’audizione dei ricorrenti prima dell’inserimento iniziale» ( 63 ), la sua posizione appare chiaramente limitata al caso di un’iscrizione iniziale. Orbene, trattasi qui di un rinnovo.

67.

L’analisi del Tribunale ai punti 127-133 della sentenza impugnata si basa su un approccio globale. Infatti, il Tribunale ha verificato se, dal 2003 — data in cui il ricorrente è stato, per la prima volta, colpito da misure restrittive —, il ricorrente avesse potuto esprimere utilmente il suo punto di vista e ha dedotto che, nel corso dell’evoluzione dell’apparato normativo dell’Unione, avrebbe potuto, su sua iniziativa, esporre, in diverse occasioni, le sue ragioni ( 64 ).

68.

Un tale approccio non mi sembra del tutto soddisfacente sotto un duplice profilo. Per un verso, si fa gravare sul ricorrente l’onere di esporre, di sua iniziativa, il suo punto di vista al Consiglio. Per altro verso, esso non risolve la questione se, nell’ambito del regolamento controverso medesimo, avrebbe dovuto essere prevista un’audizione preventiva. Il Tribunale risponde all’argomento del ricorrente secondo il quale il Consiglio avrebbe dovuto invitarlo ad esprimere il suo punto di vista prima dell’adozione del regolamento controverso, considerando che detto ricorrente poteva esporre le sue ragioni dinanzi al Consiglio prima dell’adozione del regolamento nel corso dell’evoluzione dell’apparato normativo, vale a dire in occasione dei diversi riesami e rinnovi delle posizioni comuni.

69.

Il ragionamento del Tribunale si basa su presupposti assai ipotetici. Allorché afferma che il Consiglio avrebbe potuto tener conto efficacemente di un intervento esplicito del ricorrente, nell’ambito del riesame della posizione comune 2006/318 ( 65 ), il Tribunale non chiarisce se, nell’ipotesi in cui il ricorrente non si sia avvalso di tale possibilità, ciò comporti, nonostante tutto, l’esonero del Consiglio dall’organizzare un’audizione preventiva in occasione dell’adozione di un regolamento che attua, per quanto riguarda la Comunità, detta posizione comune.

70.

Infine, il Tribunale ha parimenti rilevato che, anche se si dovesse sancire a favore del ricorrente il diritto ad un’audizione preventiva, ciò non influirebbe, secondo costante giurisprudenza, sulla legittimità del regolamento controverso, poiché l’organizzazione di un’audizione non avrebbe potuto condurre ad un risultato differente ( 66 ). Per concludere in tal senso, il Tribunale si riferisce segnatamente alla circostanza che il ricorrente non ha contestato la situazione politica in Birmania, né la funzione di suo padre, né la relazione familiare con quest’ultimo. Egli non ha nemmeno dimostrato di essersi dissociato dal padre di modo che «la posizione di quest’ultimo (...) non gli avrebbe più conferito alcun vantaggio» ( 67 ).

71.

Nei limiti in cui il ricorrente non ha ricevuto una previa comunicazione dei motivi sottesi al suo inserimento individuale nell’elenco, non è possibile, a mio avviso, addebitargli il fatto di non aver presentato le dovute osservazioni, successivamente all’adozione del regolamento controverso, per dedurne che l’assenza di un’audizione preventiva non influisce sulla legittimità dell’atto. Inoltre, risulta naturalmente impossibile, per il ricorrente, contestare il legame familiare che lo collega al padre, giacché la filiazione, salvo rare eccezioni, è uno stato di fatto stabile e duraturo.

72.

Vero è che, a seguito della pubblicazione dell’avviso dell’11 marzo 2008, il ricorrente ha, di sua iniziativa, chiesto al Consiglio che gli fossero forniti i motivi della sua iscrizione. Nella sua lettera, il ricorrente, interrogandosi sempre sui motivi della sua iscrizione, osservava che era stato titolare di azioni delle due società del padre per il solo periodo 2005-2007 e che, pertanto, non lo era più nel corso dell’anno di adozione del regolamento controverso. Nella sua risposta, il Consiglio non ha inteso tenere conto di tale elemento, manifestamente nuovo, e ha mantenuto l’iscrizione del ricorrente. È chiaro che ciò rientra nell’esclusivo potere discrezionale del Consiglio. Tuttavia, il Tribunale si serve di tali elementi per dedurne che ciò proverebbe effettivamente come, anche nell’ipotesi in cui fosse stata organizzata un’audizione preventiva, ciò non avrebbe mutato la posizione del Consiglio. Sono tuttavia sensibile all’argomento svolto dal ricorrente in occasione dell’udienza nel corso della quale egli ha descritto la sua posizione come quella di un individuo che non ha altra possibilità se non quella di dover supporre i motivi che hanno giustificato la sua iscrizione, di trasmetterli egli stesso al Consiglio, per, in definitiva, tentare di persuaderlo ad espungere il suo nome dall’elenco. In altre parole, non può addebitarsi al ricorrente di non essere riuscito, nemmeno a posteriori, a confutare la presunzione che ha motivato la sua iscrizione, quando invece detta presunzione non è mai stata portata effettivamente a sua conoscenza. Alla luce di quanto precede, non è tecnicamente possibile per il Tribunale affermare che l’eventuale assenza di un’audizione preventiva del ricorrente non avrebbe, in ogni caso, influito sulla legittimità del regolamento controverso, quando è pacifico che, in assenza di comunicazione dei motivi reali della sua iscrizione, di fatto egli non è mai stato posto nella condizione di far valere utilmente il suo punto di vista ( 68 ).

73.

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, ritengo che il primo capo del terzo motivo sia fondato.

c) Sull’asserita violazione del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva (secondo capo del terzo motivo)

74.

Il ricorrente addebita al Tribunale di non aver applicato lo standard di controllo giurisdizionale adeguato nell’ambito del sindacato sulla legittimità delle misure restrittive. L’argomento della Commissione che ne contesta la ricevibilità non può essere accolto, dal momento che il ricorrente ha effettivamente dedotto, nella sua impugnazione, la questione dell’intensità del sindacato giurisdizionale, allorché ha invocato una violazione del suo diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva.

75.

Nel merito, al punto 144 della sentenza impugnata, il Tribunale ha statuito che occorreva riconoscere al Consiglio un ampio potere discrezionale quanto agli elementi da prendere in considerazione nell’adottare sanzioni economiche sul fondamento degli artt. 60 CE e 301 CE e che, di conseguenza, il giudice non può «sostituire la sua valutazione delle prove, dei fatti e delle circostanze che giustificano l’adozione di tali misure a quella del Consiglio, il controllo esercitato dal Tribunale sulla legittimità di decisioni di congelamento dei capitali dev’essere limitato alla verifica del rispetto delle regole del procedimento e della motivazione, dell’esattezza materiale dei fatti, nonché dell’assenza di un manifesto errore di valutazione dei fatti e di sviamento di potere».

76.

Innanzitutto, rilevo come, in questo punto, il Tribunale parli effettivamente di «decisione» di congelamento dei capitali, lasciando quindi apparentemente in secondo piano la portata generale dell’atto controverso sulla quale il Tribunale ha tanto insistito nell’ambito dell’esame del fondamento giuridico, e come non abbia esitato a rafforzare la sua posizione richiamandosi ad una giurisprudenza del Tribunale resa in materia di lotta al terrorismo, sebbene, in altri passaggi della sentenza impugnata, il Tribunale paresse invece tracciare una netta distinzione tra le misure restrittive adottate nell’ambito della lotta al terrorismo e quelle dirette avverso un paese terzo. La sentenza impugnata è quindi affetta da un certo numero di contraddizioni interne, rivelate dal medesimo punto 144.

77.

Per ritornare sulla questione dell’intensità del sindacato giurisdizionale, vero è che la giurisprudenza del Tribunale in materia è oscillante. La sua posizione nella sentenza impugnata trae diretta ispirazione dal punto 159 della citata sentenza Organisation des Modjahedines du peuple d’Iran/Consiglio. Tuttavia, in un punto precedente di tale ultima sentenza, il Tribunale aveva sancito il principio di un controllo più completo ( 69 ). In ogni caso, il Tribunale ha sviluppato un orientamento giurisprudenziale molto chiaro in favore di un controllo completo nella sentenza People’s Modjahedin Organization of Iran/Consiglio ( 70 ), nelle sentenze Melli Bank/Consiglio e Bank Melli Iran/Consiglio ( 71 ) e, da ultimo, nella sentenza Kadi/Commissione resa su rinvio della Corte al Tribunale ( 72 ).

78.

A mio avviso, sono, indubbiamente, le sentenze Melli Bank/Consiglio e Bank Melli Iran/Consiglio ad essere maggiormente rilevanti ai fini della presente causa, dal momento che si trattava allora di misure restrittive adottate nell’ambito di un regime di sanzioni avverso un paese terzo. Ai sensi di queste due sentenze, il Tribunale ha considerato che dovesse essere tracciata una distinzione tra, da un lato, le disposizioni volte a stabilire le norme generali che definiscono le modalità delle misure restrittive, soggette ad un sindacato giurisdizionale limitato in modo da non insidiare l’ampio potere discrezionale tradizionalmente riconosciuto al Consiglio in materia e, dall’altro, gli elenchi delle persone concretamente interessate dalle misure restrittive, i quali, invece, devono essere soggetti ad un sindacato giurisdizionale completo.

79.

Tale posizione appare del tutto conforme alla giurisprudenza della Corte. Certo, la Corte non ha ancora avuto l’occasione di pronunciarsi sull’intensità del sindacato giurisdizionale di misure restrittive come quelle controverse nell’ambito della presente impugnazione. Ciò posto, ho già affermato che la giurisprudenza resa in materia di lotta al terrorismo può, mutatis mutandis, trovare applicazione del pari nell’ambito di un regime di sanzioni avverso un paese terzo. Orbene, rilevo che, a partire della sentenza Kadi ( 73 ), la Corte ha preconizzato un sindacato completo delle misure restrittive, posizione che è stata reiterata senza ambiguità nella sentenza E e F, ove la Corte ha statuito che «[l]’assenza di motivazione che vizia tale iscrizione è, inoltre, tale da rendere impossibile un controllo giurisdizionale adeguato della sua legalità sostanziale, vertente, segnatamente, sulla verifica dei fatti nonché degli elementi probatori e di informazione invocati a suo sostegno. Orbene, (...) la possibilità di un simile controllo risulta indispensabile per consentire di assicurare un giusto equilibrio fra le esigenze della lotta al terrorismo internazionale e la tutela delle libertà e dei diritti fondamentali» ( 74 ). Anche recentemente, la Corte è stata invitata a prendere una posizione definitiva in tal senso ( 75 ).

80.

Nella determinazione dell’intensità del controllo, ciò che rileva non è tanto l’ambito di adozione delle misure restrittive — come la lotta al terrorismo — quanto la rilevante portata di dette misure sulle situazioni individuali delle persone elencate, che sono indiscutibilmente gravemente pregiudicate.

81.

Invito dunque la Corte a stabilire, nell’ambito della presente impugnazione, un medesimo standard di esigenza per quanto riguarda la definizione dell’intensità del sindacato giurisdizionale che il giudice dell’Unione deve applicare in presenza di misure restrittive che colpiscono persone fisiche che non siano dirigenti nell’ambito di un regime di sanzioni adottato nei confronti di un paese terzo, pur riconoscendo, al contempo, un ampio potere discrezionale al Consiglio quanto alla valutazione dell’opportunità e delle modalità della loro attuazione.

82.

Dai punti 144 e 145 della sentenza impugnata risulta manifestamente che il Tribunale non ha applicato lo standard di sindacato giurisdizionale adeguato, limitandosi a verificare che l’obbligo di motivazione fosse rispettato, senza mai verificare segnatamente l’esistenza di mezzi di prova a sostegno delle asserzioni del Consiglio, secondo le quali il ricorrente beneficia effettivamente delle politiche economiche del regime birmano.

83.

Sussistendo quindi un nuovo errore di diritto che vizia la sentenza impugnata, occorre dichiarare fondato tale secondo capo del terzo motivo.

d) Sulla questione della notifica (terzo capo del terzo motivo)

84.

Quanto alla questione se il regolamento controverso avrebbe dovuto essere notificato individualmente al ricorrente, nutro seri dubbi sulla sua ricevibilità. Infatti, nessuno dei motivi sollevati dinanzi al Tribunale era diretto a contestare l’assenza di notifica individuale da parte del Consiglio. Di conseguenza, il Tribunale non ha condotto, nella sentenza impugnata, alcuna valutazione relativamente a tale motivo, per l’appunto a causa della sua inesistenza. Pertanto, anche ammesso che il ricorrente intendesse sollevare tale questione in fase di impugnazione, il suo argomento non è comunque diretto contro la sentenza impugnata. Trattasi qui, dunque, in tutta evidenza, di un nuovo motivo sollevato dal ricorrente in fase di replica obiettando a quanto affermato dalla Commissione nella sua comparsa di risposta, ove essa richiama gli argomenti svolti nell’ambito di altre impugnazioni ( 76 ), senza tuttavia preoccuparsi di verificare, preliminarmente, se ciò fosse utile nell’ambito della presente causa, dal momento che il ricorrente non ha mai sollevato un motivo o svolto un’argomentazione vertente sulla violazione dell’obbligo di notifica nella sua impugnazione. Pertanto, la discussione che si è aperta tra le parti in occasione della replica e della controreplica, e successivamente in udienza, non dovrebbe sviare la Corte riguardo alla ricevibilità degli argomenti concernenti la notifica, che costituiscono, al massimo, un motivo nuovo fondato sulla violazione dell’obbligo di notifica da parte del Consiglio, in quanto tale irricevibile, dato che la competenza della Corte è limitata alla valutazione della soluzione di diritto che è stata fornita a fronte dei motivi discussi dinanzi ai giudici di primo grado ( 77 ).

85.

Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco quindi alla Corte di accogliere il terzo motivo quanto ai suoi primi due capi.

C — Sul secondo motivo vertente su una violazione dell’obbligo di motivazione del regolamento controverso

1. Argomenti delle parti

86.

Il ricorrente sostiene che, allorché il Consiglio effettua un’iscrizione nominativa di una persona fisica, sarebbe tenuto a fornire le ragioni specifiche e concrete sottese a detta iscrizione. Tale indicazione è ancor più rilevante, poiché il ricorrente non ha avuto la possibilità di un contraddittorio preventivo. Il Consiglio stesso riconoscerebbe tale obbligo di indicare le ragioni specifiche e concrete di ogni iscrizione individuale ( 78 ). Successivamente, richiamandosi alla giurisprudenza del Tribunale ( 79 ), il ricorrente rammenta che il Consiglio è tenuto ad indicare i motivi che l’hanno condotto a considerare che un individuo o un’entità dati facciano parte di una categoria interessata nell’ambito di un regolamento che impone il congelamento dei capitali. Il Consiglio avrebbe quindi dovuto indicare le ragioni precise che gli hanno permesso di considerare che il ricorrente beneficiava delle politiche economiche del governo. Né il motivo della sua iscrizione, quale un asserito comportamento o la circostanza che sia figlio di suo padre, né la presunzione secondo la quale i familiari beneficiano di dette politiche sono stati indicati. Di conseguenza, è a torto che il Tribunale ha statuito che il Consiglio aveva soddisfatto il suo obbligo di motivazione.

87.

Il Consiglio, dal canto suo, considera che le ragioni dell’iscrizione del ricorrente erano chiaramente espresse nella posizione comune 2003/297 sulla base della quale il ricorrente ha subìto il congelamento dei capitali per la prima volta, nonché nella posizione comune 2006/318, e che non era tenuto ad indicare motivi ulteriori oltre alla circostanza che egli fosse figlio di suo padre. Per la Commissione, il ricorrente si limita a ribadire gli argomenti già sviluppati dinanzi al Tribunale ed ai quali quest’ultimo ha dato risposta in modo assolutamente corretto, applicando i tradizionali criteri definiti dalla giurisprudenza del Tribunale e della Corte al fine di valutare l’adeguatezza della motivazione di un atto. Il ricorrente non può sostenere di ignorare il contesto nel quale il regolamento controverso è intervenuto, dal momento che era egli stesso soggetto a queste misure dal 2003. Egli non ignora nemmeno che la sua iscrizione è motivata dal rischio di elusione delle misure adottate nei confronti di suo padre. Poiché da allora non è intervenuta alcuna modifica significativa in fatto o in diritto, il Consiglio non era tenuto a riprendere espressamente le ragioni dell’iscrizione del ricorrente. In ogni caso, è indicato, nell’allegato VI del regolamento controverso, che il ricorrente è figlio di suo padre e poteva essere iscritto meramente a tal titolo. Il Consiglio e la Commissione chiedono dunque che il motivo sia respinto.

2. Analisi

88.

Come rilevato, correttamente, dal Tribunale, l’obbligo di motivazione ha lo scopo di collocare l’interessato in una posizione in cui gli siano fornite indicazioni sufficienti per giudicare se l’atto che lo riguarda sia fondato oppure se sia eventualmente inficiato da un vizio ( 80 ). La verifica del rispetto da parte dell’istituzione dalla quale l’atto promana del suo obbligo di motivazione consente quindi di determinare se all’interessato sia stata data la possibilità di difendere i propri diritti ( 81 ).

89.

Il ragionamento condotto, a tal proposito, dal Tribunale si svolge chiaramente in due tappe. Dapprima, esso ha verificato l’adeguatezza della motivazione per quanto riguarda l’adozione di un regime di sanzioni avverso l’Unione di Birmania ( 82 ); successivamente ha verificato che le misure restrittive adottate nei confronti del ricorrente fossero, a loro volta, adeguatamente motivate ( 83 ). Quanto alla motivazione generale del regime di sanzioni, dal momento che la conclusione alla quale il Tribunale è pervenuto non è affatto contestabile, non mi ci soffermerò.

90.

La stessa cosa non può dirsi quanto alla valutazione che il Tribunale ha condotto sulla motivazione propria alle misure restrittive inflitte al ricorrente. Spettava al Consiglio esporre in modo chiaro ed inequivoco il ragionamento che l’ha condotto ad iscrivere il nome del ricorrente nell’allegato che raggruppa le «persone che beneficiano delle politiche economiche del governo», affinché egli potesse conoscere le giustificazioni del provvedimento e difendere i suoi diritti. L’obbligo di motivazione che grava sul Consiglio in presenza di misure restrittive è definito altresì alla luce del principio di tutela giurisdizionale effettiva che la motivazione dell’atto deve contribuire a garantire. Di conseguenza, il Tribunale, dal canto suo, doveva determinare se il ricorrente fosse stato effettivamente posto in grado di comprendere ciò che gli era addebitato e di valutare la fondatezza delle misure restrittive adottate nei suoi riguardi ( 84 ).

91.

Da una semplice lettura del punto J1c dell’allegato VI del regolamento controverso risultano, oltre all’identità del ricorrente, il suo sesso, la sua data di nascita e la sua filiazione paterna. Peraltro, non vi è menzione alcuna, nel regolamento controverso, della presunzione per la quale i familiari delle persone che beneficiano delle politiche economiche del governo birmano traggono a loro volta profitto da dette politiche.

92.

Non sono persuaso dall’argomento del Tribunale secondo il quale il Consiglio avrebbe soddisfatto il suo obbligo di motivazione del regolamento controverso, adottato nel 2008, dal momento che avrebbe esposto, nel 2003, in una posizione comune mediante la quale il ricorrente è stato, per la prima volta, incluso in un elenco, le ragioni che l’hanno spinto ad estendere il congelamento ai familiari ( 85 ). Per un verso, il terzo ‘considerando’ della posizione comune 2003/297, sul quale il Tribunale ha fondato il suo ragionamento, evidenzia soltanto il fatto che l’ambito di applicazione delle misure restrittive è esteso alle persone che beneficiano delle politiche economiche del governo birmano nonché alla loro famiglia, senza fornire spiegazioni quanto alle motivazioni sottese a tale ampliamento ai familiari. Per altro verso, non è possibile affermare che, su questa sola base, il ricorrente, allora sedicenne, sia stato posto in grado di difendere i suoi diritti e che tale stato di fatto sia perdurato fino all’adozione del regolamento controverso, quando invece il ricorrente è iscritto in un allegato la cui intitolazione lascia intendere che la ragione della sua iscrizione è proprio il fatto che beneficia delle politiche economiche del governo birmano ( 86 ). Il fatto che non tutti i familiari del sig. Tay Za siano iscritti in detto allegato mi porta a credere che il ricorrente, ancora una volta, poteva difficilmente ritenere che la sua sola appartenenza familiare ha giustificato e ancora giustifica la sua iscrizione. Le dichiarazioni contenute nella posizione comune originaria e riprodotte nelle posizioni comuni successive, e segnatamente in quella cui il regolamento controverso dà attuazione, si limitano ad affermare che i familiari dei beneficiari devono vedere congelati i loro capitali ( 87 ). Una semplice dichiarazione di tenore siffatto non può fungere da motivazione, in quanto il fondamento stesso del congelamento per queste persone continua a non essere stabilito. Ne è la riprova la circostanza che il Tribunale ha dovuto, come già ho ricordato, creare ex nihilo una presunzione che permetta di spiegare, a posteriori, le ragioni che hanno giustificato l’iscrizione del ricorrente.

93.

Tuttavia, anche questa presunzione non è univoca. Infatti, per un verso, il Tribunale afferma che l’estensione del congelamento dei capitali ai familiari è giustificata dal fatto che si può presumere che essi beneficino a loro volta delle politiche economiche del governo birmano. Il Tribunale ha peraltro considerato che il Consiglio aveva adeguatamente precisato la natura del profitto che «[il ricorrente] o il padre avrebbero tratto da [dette] politiche» ( 88 ), ritenendo che il padre beneficiasse della sua funzione di amministratore delegato. Per altro verso, il Tribunale ha considerato, proprio nell’ambito dell’esame dell’adeguatezza della motivazione, che il ricorrente non poteva sostenere di ignorare le ragioni della sua iscrizione, allorquando ha invocato, in atti, un «rischio di elusione del congelamento dei beni da parte del padre mediante un eventuale trasferimento dei capitali ad altri membri della sua famiglia» ( 89 ).

94.

Così, l’interpretazione estremamente dinamica del regolamento controverso che il Tribunale ha adottato non ha dissipato qualunque dubbio in ordine alla motivazione reale dell’iscrizione del ricorrente, sicché non è possibile sostenere, con riguardo al ragionamento del Tribunale esposto ai punti 106 e 107 della sentenza impugnata, che la motivazione fornita abbia fatto apparire in modo chiaro ed univoco il ragionamento del Consiglio allorché ha effettuato tale iscrizione.

95.

Tale incoerenza interna nell’esame del motivo vertente sull’inosservanza dell’obbligo di motivazione nella sentenza impugnata produce in definitiva un effetto inverso rispetto a quello auspicato dal Tribunale, in quanto dimostra la delicata posizione nella quale il Consiglio ha collocato il giudice dell’Unione, allorquando quest’ultimo si è trovato a dover procedere al sindacato giurisdizionale del regolamento controverso. In tali condizioni, potrebbe perfino risultare che detto giudice non sia stato messo in grado di esercitare correttamente il suo sindacato, benché ciò costituisca a sua volta un obiettivo perseguito dall’obbligo di motivazione.

96.

Ne consegue che, ritenendo, al punto 108 della sentenza impugnata, che il Consiglio avesse soddisfatto il suo obbligo di motivazione delle misure restrittive adottate nei confronti del ricorrente, il Tribunale ha commesso un errore di diritto. Pertanto, il secondo motivo deve essere accolto.

D — Sul quarto ed ultimo motivo, vertente su una violazione del diritto di proprietà e del principio di proporzionalità

1. Argomenti delle parti

97.

Il ricorrente solleva due serie di argomenti. Per un verso, le garanzie procedurali che corredano il diritto di proprietà non sono state rispettate nei suoi confronti, poiché non ha avuto a disposizione occasioni adeguate per esporre le sue ragioni. Né il Consiglio né il Tribunale hanno istruito un fascicolo che giustificasse la necessità di mantenere misure così severe nei suoi riguardi, sebbene non fosse mai stato stabilito che il ricorrente avesse beneficiato, in misura maggiore rispetto a qualunque altro cittadino birmano, delle politiche economiche del regime al potere. Per altro verso, egli considera che le misure restrittive che gli sono state imposte costituiscono una limitazione significativa al suo diritto di proprietà avuto riguardo alla loro portata generale ed alla loro durata. Egli rammenta, a tal proposito, di essere assoggettato a tali misure dal 2003, ovvero dall’età di 16 anni. Il congelamento dei suoi capitali è, inoltre, totale e senza limitazione temporale o quantitativa; il ricorrente è dunque pregiudicato in modo permanente da dette misure. Di conseguenza, il diritto di proprietà del ricorrente è stato effettivamente violato in modo sproporzionato.

98.

Il Consiglio, dal canto suo, chiede che il motivo sia respinto e condivide pienamente la conclusione del Tribunale secondo la quale la restrizione del diritto di proprietà del ricorrente non può apparire come sproporzionata o inadeguata, richiamando l’importanza dell’obiettivo perseguito dal regolamento controverso e la possibilità lasciata aperta al ricorrente di dimostrare che si è dissociato dal padre e di far così cessare i pregiudizi all’esercizio del suo diritto di proprietà. Le misure che colpiscono il ricorrente sono dunque, secondo il Consiglio, limitate nel tempo. Peraltro, il Consiglio considera inoltre che il ricorrente ha avuto un’adeguata occasione di esporre le sue ragioni, dal momento che il Consiglio ha, su sua richiesta, riesaminato la situazione. Le misure restrittive cui è stato assoggettato appaiono pertanto essere effettivamente restrizioni giustificate e proporzionate del suo diritto di proprietà.

99.

La Commissione sostiene la posizione del Consiglio. Essa aggiunge nondimeno due elementi. In primo luogo, essa considera che l’argomento secondo il quale il ricorrente non ha potuto esporre le sue difese dinanzi alle autorità è inoperante. Successivamente, la Commissione contesta l’affermazione del ricorrente secondo la quale le misure restrittive che gli sono state imposte colpirebbero il complesso dei suoi beni, mentre risulta dall’art. 21 del regolamento controverso che dette misure si applicano sul solo territorio dell’Unione e, all’esterno del territorio dell’Unione, ai soli cittadini dell’Unione, alle persone giuridiche costituite secondo il diritto di uno Stato membro dell’Unione o alle persone fisiche o giuridiche con riferimento alle attività esercitate nell’Unione.

2. Analisi

100.

Risulta dalla costante giurisprudenza della Corte, richiamata dal Tribunale al punto 156 della sentenza impugnata, che il diritto di proprietà non è concepito, nell’ordinamento giuridico dell’Unione, come una prerogativa assoluta, ma che si tratta, al contrario, di un diritto che può subire restrizioni. Segnatamente, l’esercizio del diritto di proprietà può essere limitato, a condizione che restrizioni siffatte siano giustificate da obiettivi di interesse generale della Comunità e non costituiscano un intervento inaccettabile e sproporzionato rispetto al fine perseguito, tale da ledere la sostanza stessa di detto diritto.

101.

Rilevo immediatamente che il ricorrente non ha contestato la circostanza che il regolamento controverso persegua un obiettivo di interesse generale. Le altre parti del procedimento non hanno a loro volta contestato il fatto che, per effetto delle misure inflitte, il ricorrente subisca una restrizione all’esercizio del suo diritto di proprietà che occorre ritenere considerevole ( 90 ). Rimane quindi da verificare se detta restrizione non costituisca un intervento inaccettabile e sproporzionato tale da ledere la sostanza stessa del diritto di proprietà del ricorrente.

102.

A tal proposito, il Tribunale ha correttamente richiamato il principio giurisprudenziale secondo il quale «l’importanza degli obiettivi perseguiti da una normativa che prevede sanzioni può essere tale da giustificare conseguenze negative, anche di un certo peso, per talune persone interessate, comprese quelle che non hanno alcuna responsabilità riguardo alla situazione che ha condotto all’adozione delle misure di cui trattasi, ma che sono pregiudicate, segnatamente, nei loro diritti di proprietà» ( 91 ).

103.

Quanto all’argomento vertente sulla durata di applicazione delle misure restrittive, ricordo che il ricorso di annullamento introdotto dinanzi al Tribunale ha per oggetto, appunto, di contestare la legittimità del regolamento controverso, e, più precisamente, delle misure restrittive che adotta nei confronti del ricorrente. Vero è che dette misure sono, di fatto, rinnovate. Cionondimeno, ritengo che gli argomenti sollevati dapprima nell’ambito del ricorso di annullamento e successivamente dell’impugnazione non dovrebbero avere ad oggetto di chiedere alla Corte di pronunciarsi, ancorché in via incidentale, sulla legittimità delle misure adottate nei confronti del ricorrente a partire dal 2003. Salvo correre il rischio di ampliare considerevolmente l’oggetto della controversia, ciò che in linea di principio non è consentito nell’ambito di un’impugnazione, non credo che la Corte possa considerare le misure restrittive rinnovate nel 2008 dal regolamento controverso come una violazione del diritto di proprietà per il fatto che tali misure sono state inflitte dal 2003, e allorché il ricorrente era all’epoca minorenne. Nell’ambito della presente impugnazione, l’argomento vertente sul fatto che le misure restrittive mantenute dal regolamento controverso trovino applicazione sin dal 2003 sulla base di altri atti normativi e costituiscano, di conseguenza, una restrizione inaccettabile all’esercizio del diritto di proprietà del ricorrente deve essere giudicato inoperante.

104.

Quanto all’argomento vertente sul carattere assoluto e illimitato del congelamento dei capitali, occorre ricordare, da un lato, alla luce di quanto constatato dal Tribunale, che il regolamento controverso prevede la possibilità di autorizzare lo svincolo o l’utilizzo di risorse a certe condizioni, segnatamente per soddisfare i bisogni fondamentali delle persone elencate ( 92 ).

105.

Infine, il ricorrente addebita al Tribunale di non avere tenuto conto del fatto che, contrariamente a quanto richiesto dall’art. 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «CEDU»), non gli è mai stata offerta un’occasione adeguata di esporre le sue ragioni. Tale capo riguarda dunque le garanzie procedurali che devono corredare il diritto di proprietà.

106.

A tal proposito, è corretto sostenere che la Corte ha fatto proprie le esigenze poste dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo la quale «[n]onostante il silenzio dell’art. 1 del Protocollo n. 1 in materia di esigenze procedurali, le procedure applicabili (...) devono altresì fornire alla persona interessata un’occasione adeguata di esporre le proprie ragioni alle autorità competenti al fine di contestare effettivamente le misure che arrecano pregiudizio ai diritti garantiti da questa disposizione. Per garantire il rispetto di tale condizione, è necessario considerare le procedure applicabili da un punto di vista generale» ( 93 ).

107.

Nella sentenza impugnata il Tribunale ha tenuto conto di tali esigenze procedurali ed ha concluso che, dal 2003, il ricorrente aveva avuto, a più riprese, l’occasione di esporre le proprie ragioni ( 94 ). Per arrivare ad una conclusione siffatta, il Tribunale rinvia segnatamente alla sua analisi del motivo vertente su una violazione del diritto ad un giusto processo e del motivo attinente alla violazione del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva.

108.

Anche se non sono convinto, conformemente a quanto ho sostenuto in precedenza ( 95 ), che si debba tenere conto, in tale contesto, delle occasioni eventualmente e potenzialmente offerte al ricorrente di esporre le sue ragioni nel corso dell’evoluzione degli atti che hanno pregiudicato la sua situazione dal 2003, ritengo al contrario sia molto più convincente l’argomento fondato sull’esistenza dell’avviso pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea dal Consiglio l’11 marzo 2008 ( 96 ), che ha per scopo, segnatamente, di attirare l’attenzione delle persone elencate in merito alla possibilità di introdurre una domanda di riesame presso il Consiglio della decisione con la quale esse sono state inserite nell’elenco ed alla possibilità di contestarne la legittimità dinanzi al Tribunale. Sebbene di poco successivo alla pubblicazione del regolamento controverso, tale avviso costituisce innegabilmente una modalità procedurale importante di tutela del diritto di proprietà e del suo esercizio. Il ricorrente ha peraltro avviato una corrispondenza con il Consiglio a seguito della sua pubblicazione. L’esistenza di tale avviso è del pari ciò che marca la profonda differenza rispetto alla situazione del sig. Kadi, invocata dal ricorrente. Nella causa Kadi, infatti, il regolamento controverso era «stato adottato senza fornire [al ricorrente] alcuna garanzia che gli consentisse di esporre le proprie ragioni alle autorità competenti» ( 97 ). Non si può dire lo stesso nell’ambito della presente causa.

109.

Invito dunque la Corte a respingere il quarto motivo.

IV — Sul ricorso dinanzi al Tribunale

110.

Conformemente all’art. 61, primo comma, seconda frase, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, quest’ultima, in caso di annullamento della sentenza del Tribunale, può statuire definitivamente sulla controversia qualora lo stato degli atti lo consenta.

111.

A mio avviso, è questo il caso della fattispecie, almeno per quanto riguarda il primo motivo.

112.

Così come propongo al paragrafo 46 delle presenti conclusioni, sarebbe necessario annullare la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il primo motivo sollevato dal ricorrente in primo grado, vertente sull’assenza di fondamento giuridico del regolamento controverso.

113.

A mio parere, come ho già affermato, il Tribunale è incorso, nella sua sentenza, in un errore di diritto interpretando in maniera eccessivamente ampia gli artt. 60 CE e 301 CE. Alla luce di tutto quanto precede e per le ragioni suesposte, occorre, a mio parere, accogliere il primo motivo di ricorso e, pertanto, annullare il regolamento controverso per quanto riguarda il ricorrente per difetto di fondamento giuridico.

V — Sulle spese

114.

Ai sensi dell’art. 122 del regolamento di procedura, quando l’impugnazione è accolta e la controversia viene definitivamente decisa dalla Corte, quest’ultima statuisce sulle spese.

115.

Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, applicabile al procedimento d’impugnazione a norma dell’art. 118 del regolamento medesimo, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il ricorrente ne ha fatto domanda, si deve condannare il Consiglio alle spese del procedimento dinanzi al Tribunale e della presente impugnazione.

VI — Conclusione

116.

Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di dichiarare e statuire quanto segue:

«1)

La sentenza del Tribunale 19 maggio 2010, causa T-181/08, Tay Za/Consiglio, è annullata.

2)

Il regolamento (CE) del Consiglio 25 febbraio 2008, n. 194, che proroga e intensifica le misure restrittive nei confronti della Birmania/Myanmar e abroga il regolamento (CE) n. 817/2006, è annullato, nella parte in cui riguarda il ricorrente.

3)

Il Consiglio dell’Unione europea è condannato alle spese dei due gradi di giudizio.

4)

Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e la Commissione europea sopportano le proprie spese».


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) Sentenza 19 maggio 2010, causa T-181/08 (Racc. pag. II-1965).

( 3 ) GU L 66, pag. 1.

( 4 ) La prima azione dell’Unione è rappresentata dalla posizione comune 28 ottobre 1996, 96/635/PESC, definita dal Consiglio in base all’art. J.2 del Trattato sull’Unione europea, relativa alla Birmania/Myanmar (GU L 287, pag. 1). Per maggior semplicità, tranne nel caso in cui il riferimento al titolo esatto di un atto lo richiederà, mi limiterò ad utilizzare in prosieguo l’appellativo «Birmania».

( 5 ) Posizione comune del Consiglio 26 aprile 2000, 2000/346/PESC, che proroga e modifica la posizione comune 96/635 (GU L 122, pag. 1).

( 6 ) GU L 106, pag. 36.

( 7 ) V. terzo ‘considerando’ e art. 9 della posizione comune 2003/297.

( 8 ) GU L 340, pag. 81.

( 9 ) GU L 125, pag. 61.

( 10 ) GU L 108, pag. 88.

( 11 ) I nomi dei due fratelli del ricorrente, iscritti nell’elenco allegato alla posizione comune 2004/423, non sono stati ripresi nella posizione comune 2005/340. Quest’ultima ha provveduto tuttavia ad aggiungere il nominativo di uno zio del ricorrente (v. punto J2a dell’allegato I della posizione comune 2005/340).

( 12 ) Posizione comune del Consiglio 23 aprile 2007, che proroga le misure restrittive nei confronti della Birmania/Myanmar (GU L 107, pag. 8). La moglie del fratello del padre del ricorrente è iscritta, per la prima volta, nell’elenco delle persone i cui beni devono essere sottoposti a congelamento.

( 13 ) Posizione comune del Consiglio 19 novembre 2007, che modifica la posizione comune 2006/318/PESC che proroga le misure restrittive nei confronti della Birmania/Myanmar (GU L 308, pag. 1). Il nonno del ricorrente e la società del padre del ricorrente sono iscritti, per la prima volta, nell’elenco allegato alla posizione comune 2007/750.

( 14 ) Posizione comune del Consiglio 29 aprile 2008, che proroga le misure restrittive nei confronti della Birmania/Myanmar (GU L 116, pag. 57).

( 15 ) In seguito all’entrata in vigore del regolamento (CE) della Commissione 29 aprile 2008, n. 385 (GU L 116, pag. 5), recante modifica del regolamento controverso, il titolo J dell’allegato VI indica ormai le «[p]ersone che beneficiano delle politiche economiche del governo e altre persone associate al regime».

( 16 ) Rispettivamente alle voci J1b, J1d e J1e.

( 17 ) GU C 65, pag. 12.

( 18 ) GU L 108, pag. 20.

( 19 ) V. punto 33 della sentenza impugnata.

( 20 ) Poiché il regolamento n. 353/2009 costituisce un mero regolamento di esecuzione del regolamento n. 194/2008 (v. punto 38 della sentenza impugnata) che, senza peraltro modificare il corpus del regolamento di base, si limita a riportare, nell’allegato, i dati relativi al ricorrente già individuati dal regolamento controverso, mi limiterò, nelle argomentazioni che seguono, all’esame del regolamento controverso.

( 21 ) Sentenza 3 settembre 2008, cause riunite C-402/05 P e C-415/05 P (Racc. pag. I-6351).

( 22 ) Orientamenti sull’attuazione e la valutazione delle misure restrittive (sanzioni) nel contesto della politica estera e di sicurezza comune dell’UE (documento del Consiglio 2 dicembre 2005, 15114/05). Il ricorrente rinvia, più in particolare, al punto 19 di detti orientamenti.

( 23 ) Sentenza cit. supra (punti 166 e 168).

( 24 ) V. punti 61-65 della sentenza impugnata.

( 25 ) Punto 67 della sentenza impugnata.

( 26 ) Punto 68 della sentenza impugnata.

( 27 ) V., segnatamente, paragrafi 24 e segg. delle mie conclusioni rese in tale causa (C-380/09 P, pendente dinanzi alla Corte).

( 28 ) V. paragrafo 67 delle mie conclusioni presentate nella causa che ha dato luogo alla sentenza 16 novembre 2011, causa C-548/09 P, Bank Melli Iran/Consiglio (Racc. pag. I-11381).

( 29 ) V. punti A-I dell’allegato VI del regolamento controverso.

( 30 ) I punti A-I dell’allegato VI del regolamento controverso elencano, invero, i dirigenti stessi (membri del Consiglio di Stato per la pace, ecc.) ed al contempo i membri della loro famiglia.

( 31 ) Punto J dell’allegato VI del regolamento controverso.

( 32 ) Infatti, il punto 19 degli Orientamenti del 2005 non figura più, il che è biasimevole, nella nuova versione di detti Orientamenti (documento 15 dicembre 2009, 17464/09). In ogni caso, siffatti Orientamenti non hanno all’evidenza alcun valore vincolante.

( 33 ) V. secondo ‘considerando’ della posizione comune 2007/750.

( 34 ) V. terzo ‘considerando’ della posizione comune 2007/750; il corsivo è mio.

( 35 ) V. primo ‘considerando’ del regolamento controverso.

( 36 ) Idem.

( 37 ) Il corsivo è mio.

( 38 ) I quali sono menzionati al punto che precede, cioè al punto 66.

( 39 ) A sostegno della sua argomentazione, il ricorrente si richiama alle sentenze 24 ottobre 1996, causa C-32/95 P, Commissione/Lisrestal e a. (Racc. pag. I-5373), nonché 10 luglio 2001, causa C-315/99 P, Ismeri Europa/Corte dei conti (Racc. pag. I-5281).

( 40 ) Sentenza 9 luglio 2009, cause riunite T-246/08 e T-332/08 (Racc. pag. II-2629).

( 41 ) Sentenza 14 ottobre 2009, causa T-309/08 (Racc. pag. II-3967).

( 42 ) Il ricorrente si riferisce ai punti 9, 10 e 17 degli Orientamenti sull’attuazione e la valutazione delle misure restrittive (sanzioni) nel contesto della politica estera e di sicurezza comune dell’UE (documento 2 dicembre 2005, 15114/05).

( 43 ) Sentenza Kadi, cit. supra (punto 326).

( 44 ) Sentenza 4 dicembre 2008, causa T-284/08 (Racc. pag. II-3487, punto 74).

( 45 ) Sentenza 30 settembre 2010, causa T-85/09, Kadi/Commissione (Racc. pag. II-5177). Il ricorrente si richiama qui ai punti 123, 125 e 126, nonché ai punti 129-142 di detta sentenza.

( 46 ) Sentenza 12 dicembre 2006, causa T-228/02 (Racc. pag. II-4665, punto 159).

( 47 ) Sentenza cit. supra, nota 40.

( 48 ) Sentenza cit. supra, nota 46.

( 49 ) V. punto 122 della sentenza impugnata.

( 50 ) Sentenza Organisation des Modjahedines du peuple d’Iran/Consiglio, cit. supra (punto 91).

( 51 ) V. punto 123 della sentenza impugnata.

( 52 ) V. paragrafo 67 delle mie conclusioni presentate nella causa che ha dato luogo alla sentenza Bank Melli Iran/Consiglio, cit. supra, nota 28.

( 53 ) Sentenza cit. supra.

( 54 ) Sentenza Bank Melli Iran/Consiglio, cit. supra (punti 45, 46 e 51).

( 55 ) Sentenza cit. supra (punto 334).

( 56 ) Ibidem (punto 42).

( 57 ) V. sentenza Bank Melli Iran/Consiglio, cit. supra (punto 47).

( 58 ) Punto 124 della sentenza impugnata.

( 59 ) Punto 125 della sentenza impugnata.

( 60 ) V. quarto ‘considerando’ della posizione comune 2006/318. Il regolamento controverso non contiene peraltro alcuna indicazione che precisi che i familiari devono anch’essi essere sottoposti a congelamento dei beni.

( 61 ) Sentenza Kadi, cit. supra (punti 339 e 340).

( 62 ) Ibidem (punto 338).

( 63 ) Ibidem (punto 341).

( 64 ) V. punti 129-131 della sentenza impugnata.

( 65 ) Ibidem (punto 131).

( 66 ) Ibidem (punto 132).

( 67 ) Idem.

( 68 ) Analogamente, v. sentenza Organisation des Modjahedines du peuple d’Iran/Consiglio, cit. supra (punto 162).

( 69 ) V. punto 154 della sentenza.

( 70 ) Sentenza cit. supra (punti 74 e 75).

( 71 ) Rispettivamente sentenze 9 luglio 2009, Melli Bank/Consiglio, cit. supra (punti 45 e 46), e 14 ottobre 2009, Bank Melli Iran/Consiglio (punti 36 e 37).

( 72 ) Sentenza cit. supra (punti 126 e 132-135). Per una sintesi della giurisprudenza del Tribunale in materia, v. punti 139 e segg. di detta sentenza.

( 73 ) Sentenza Kadi, cit. supra (punto 326).

( 74 ) Sentenza 29 giugno 2010, causa C-550/09 (Racc. pag. I-6213, punto 57).

( 75 ) V. paragrafi 254 e 255 delle conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa pendente C-27/09 P, Francia/People’s Mojahedin Organization of Iran.

( 76 ) A suo dire: v. punto 41 della comparsa di risposta della Commissione.

( 77 ) V., ex plurimis, sentenze 1o febbraio 2007, causa C-266/05 P, Sison/Consiglio (Racc. pag. I-1233, punto 95 e la giurisprudenza ivi citata), nonché 21 settembre 2010, cause riunite C-514/07 P, C-528/07 P e C-523/07 P, Svezia e a./API e Commissione (Racc. pag. I-8533, punto 126 e la giurisprudenza ivi citata).

( 78 ) A tal proposito, il ricorrente richiama il documento 3 aprile 2007, 7697/07, invocato a sua volta dal Consiglio nella sua comparsa di risposta dinanzi al Tribunale.

( 79 ) Sentenze Organisation des Modjahedines du peuple d’Iran/Consiglio, cit. supra, nonché Melli Bank/Consiglio, cit. supra.

( 80 ) Punto 94 della sentenza impugnata e giurisprudenza ivi citata.

( 81 ) Sentenza 17 marzo 1983, causa 294/81, Control Data Belgium/Commissione (Racc. pag. 911, punto 14).

( 82 ) Punti 99 e segg. della sentenza impugnata.

( 83 ) Punti 103 e segg. della sentenza impugnata.

( 84 ) V., per analogia, sentenza Bank Melli Iran/Consiglio, cit. supra (punto 87).

( 85 ) V. punto 104 della sentenza impugnata.

( 86 ) L’adozione del regolamento n. 353/2008, aggiungendo il riferimento alle altre persone associate al regime (v. paragrafo 13 delle presenti conclusioni), non ha migliorato la posizione del ricorrente al riguardo.

( 87 ) V., segnatamente, quarto ‘considerando’ della posizione comune 2006/318.

( 88 ) Punto 107 della sentenza impugnata.

( 89 ) Punto 106 della sentenza impugnata.

( 90 ) V. punto 157 della sentenza impugnata.

( 91 ) Punto 160 della sentenza impugnata e giurisprudenza ivi citata.

( 92 ) Punto 165 della sentenza impugnata e art. 13 del regolamento controverso.

( 93 ) Corte eur. D.U., sentenza Bäck c. Finlandia del 20 luglio 2004, Recueil des arrêts et décisions, 2004-VII, § 56, e giurisprudenza ivi citata; v. altresì sentenza Kadi, cit. supra (punto 368).

( 94 ) Punto 170 della sentenza impugnata.

( 95 ) V. paragrafo 103 delle presenti conclusioni.

( 96 ) Cit. supra, paragrafo 14 delle presenti conclusioni.

( 97 ) Sentenza cit. supra (punto 369).

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