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Document 61993CC0400

Conclusioni dell'avvocato generale Léger del 21 febbraio 1995.
Specialarbejderforbundet i Danmark contro Dansk Industri, per conto della Royal Copenhagen A/S.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Faglige Voldgiftsret - Danimarca.
Parità delle retribuzioni tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile.
Causa C-400/93.

Raccolta della Giurisprudenza 1995 I-01275

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1995:48

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

PHILIPPE LÉGER

presentate il 21 febbraio 1995 ( *1 )

1. 

La causa in esame giunge dinanzi a questa Corte a seguito di una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal faglige voldgiftsret, tribunale arbitrale di categoria competente in materia di controversie collettive di lavoro, con sede a Copenaghen. Il detto giudice ha sollevato una serie di questioni relative all'applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile sancito dall'art. 119 del Trattato CEE nonché dalla direttiva 75/117/CEE ( 1 ) (in prosieguo: la «direttiva») a un sistema di retribuzione a cottimo.

2. 

A quanto ci consta è la prima volta che questa Corte è chiamata a pronunciarsi su tale fattispecie.

3. 

Le questioni pregiudiziali si collocano nell'ambito di una controversia tra lo Specialarbejderforbundet i Danmark (Sindacato dei lavoratori semispecializzati, in prosieguo: il «ricorrente nella causa principale») e la Dansk Industri (Confederazione dell'industria danese), in rappresentanza della Royal Copenhagen A/S (in prosieguo: la «resistente nella causa principale»), il cui oggetto può essere riassunto nei seguenti termini.

4. 

Nell'ambito della Royal Copenhagen A/S, tre grandi categorie lavorano alla fabbricazione di prodotti in ceramica: tornitori, pittori e manovali. Tutte e tre le categorie sono soggette allo stesso contratto collettivo, ai sensi del quale i lavoratori sono retribuiti, in linea di principio, a cottimo, vale a dire che essi percepiscono una retribuzione il cui importo dipende, in tutto o in parte, dal risultato del lavoro svolto. Essi possono tuttavia optare per una retribuzione oraria fissa, applicabile uniformemente agli uomini e alle donne e identica per tutte e tre le categorie. La grande maggioranza dei lavoratori appartenenti alle prime due categorie è retribuita a cottimo (70%): la loro retribuzione è composta da una parte fissa corrispondente ad un forfait di base pagato ad ora e da una parte variabile corrisposta per ogni pezzo prodotto. Le retribuzioni sono stabilite nell'ambito di contratti collettivi in esito a trattative tra le organizzazioni rappresentative dei lavoratori e l'impresa.

5. 

Nella specie ci interessano, più in particolare, nell'ambito della categoria dei tornitori retribuiti a cottimo, la sottocategoria degli operatori di macchine automatiche (26 lavoratori, tutti di sesso maschile); nell'ambito della categoria dei pittori retribuiti a cottimo, la sottocategoria dei pittori di porcellana blu (156 lavoratori, di cui uno di sesso maschile e 155 di sesso femminile), nonché la sottocategoria dei pittori di piatti decorativi (51 lavoratori, tutte donne).

6. 

Le tre categorie le chiameremo rispettivamente A, B e C.

7. 

Sulla base del rilievo che la resistente nella causa principale avrebbe violato, prevedendo una retribuzione oraria media per i prodotti del gruppo B inferiore a quella prevista per il gruppo A, il principio di parità delle retribuzioni, il ricorrente nella causa principale adiva il Ligestillingsrådet (Consiglio per la parità delle retribuzioni) danese che, nel parere 1o maggio 1989, affermava quanto segue: «Questo Consiglio ritiene a maggioranza che non possa essere esclusa una violazione del principio di parità delle retribuzioni».

8. 

La controversia giungeva successivamente dinanzi ad un tribunale arbitrale che sottoponeva a questa Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l'art. 119 del Trattato CEE e la direttiva 10 febbraio 1975, 75/117/CEE, sulla parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile, si applichino ad un sistema di retribuzione in cui quest'ultima dipende completamente o essenzialmente dal risultato dell'attività del singolo lavoratore (retribuzione a cottimo).

In caso di soluzione affermativa:

2)

Se le norme sulla parità della retribuzione di cui all'art. 119 del Trattato CEE e alla direttiva 10 febbraio 1975, 74/117, sulla parità di retribuzione fra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile vadano applicate a due gruppi di lavoratori dipendenti, qualora la retribuzione oraria media del primo gruppo di lavoratori a cottimo, prevalentemente costituito da donne che svolgono un determinato tipo di attività, sia notevolmente inferiore a quella del secondo gruppo, prevalentemente costituito da uomini, che svolgono un altro tipo di attività lavorativa, e il lavoro svolto dai lavoratori di sesso maschile e da quelli di sesso femminile abbia lo stesso valore.

3)

Poiché il primo gruppo è composto prevalentemente da donne e il secondo da uomini, se ne risultino requisiti da applicare alla composizione dei gruppi, ad esempio per quel che riguarda il numero delle persone nei gruppi o la loro proporzione rispetto al complesso dei lavoratori nell'impresa.

Se in tal caso la direttiva possa essere applicata al fine di individuare due gruppi, ad esempio di dipendenti di sesso femminile che percepiscono la stessa retribuzione, mediante un raffronto intermedio con un gruppo di dipendenti di sesso maschile.

L'impostazione del problema può essere illustrata come segue:

Un gruppo di lavoratori prevalentemente maschili, denominato A, e due gruppi di lavoratori prevalentemente femminili, denominati B e C, svolgono un lavoro dello stesso valore e la retribuzione a cottimo media si trova al più alto livello per il gruppo C, ad un livello intermedio per il gruppo A e ad un livello inferiore per il gruppo B. Se il gruppo B possa essere confrontato con il gruppo A ed esigere che la retribuzione venga portata al livello del gruppo A, e se il gruppo A possa pertanto esigere che la retribuzione venga portata al livello del gruppo C e se, infine, possa il gruppo B esigere che la retribuzione venga portata al livello del gruppo A, cioè a quella del gruppo C.

4)

Se, nel valutare l'esistenza di una trasgressione del principio della parità delle retribuzioni, sia rilevante il fatto che:

a)

nel primo gruppo viene svolta prevalentemente una produzione a macchina, mentre nel secondo gruppo viene svolto esclusivamente un lavoro manuale, per quanto riguarda la determinazione della retribuzione e le condizioni di lavoro;

b)

il cottimo viene determinato mediante trattative fra le rispettive organizzazioni ovvero a livello locale;

e)

vi sono differenze nella scelta del ritmo di lavoro da parte dei lavoratori; in caso affermativo, a chi incomba l'onere della prova della presenza di siffatte differenze;

d)

vi sono notevoli disparità di retribuzione all'interno di uno o di ambedue i gruppi confrontati;

e)

la quota fissa della produzione a cottimo è diversa nei gruppi a confronto;

f)

vi sono differenze fra i due gruppi per quel che riguarda le pause retribuite e la libertà nell'organizzazione del lavoro;

g)

non è possibile stabilire quali fattori abbiano inciso sul livello della retribuzione a cottimo;

h)

in uno dei gruppi posti a confronto viene richiesto in modo particolare l'uso della forza muscolare, mentre nell'altro si esige specialmente l'abilità manuale;

i)

vi sono differenze per quel che riguarda la gravosità delle condizioni di lavoro a causa del livello della rumorosità o della temperatura, ovvero dell'attività troppo uniforme, ripetitiva o monotona».

Osservazioni preliminari

Ricevibilità del rinvio pregiudiziale

9.

Può sorgere questione in ordine alla rice-vibilità del rinvio pregiudiziale, potendo essere posta in discussione la natura giurisdizionale del tribunale arbitrale di rinvio ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE.

10.

Il detto tribunale è istituito nell'ambito di un sistema previsto dalla legge ai fini della composizione delle controversie di lavoro, ai sensi dell'art. 77 del contratto collettivo concluso tra le parti, degli artt. 10 e 22 della legge danese 13 giugno 1973, n. 317, relativa al giudice del lavoro, nonché della norma emanata il 17 agosto 1908 dalla Confederazione dei sindacati danese e dalla Confederazione dei datori di lavoro danese.

11.

Nella sentenza Vaassen-Göbbels ( 2 ), la Corte ha enunciato i criteri che consentono di individuare una giurisdizione ai sensi dell'art. 177 del Trattato: la circostanza che si tratti di un giudice previsto dalla legge, la sua natura di organo permanente, l'esistenza di norme di procedura in contraddittorio analoghe a quelle che disciplinano il funzionamento dei tribunali di diritto comune, il suo carattere obbligatorio, l'applicazione di norme di diritto.

12.

Alla luce di tale giurisprudenza, la Corte ha riconosciuto ad un tribunale arbitrale di categoria danese, di pari natura a quello oggetto del caso di specie, il carattere di giurisdizione di uno Stato membro ai sensi dell'art. 177 : ( 3 )

«(...) ai sensi dell'art. 22 della legge danese 13 giugno 1973, n. 317, relativa alla giurisdizione del lavoro, le controversie tra le parti di contratti collettivi, in mancanza di disposizioni specifiche contenute in tali contratti, sono assoggettate alla procedura tipo adottata dalla Confederazione dei datori di lavoro e dalla Federazione degli impiegati. E quindi un tribunale arbitrale che risolve la controversia in ultima istanza. Tale tribunale può essere adito da una delle parti: poco importa che l'altra vi si opponga. Ne deriva che la competenza del tribunale non dipende dall'accordo delle parti.

(...) la stessa norma della legge soprammenzionata disciplina il modo in cui il tribunale deve essere composto, e specificamente il numero dei membri che devono essere nominati dalle parti ed il modo in cui deve essere designato l'arbitro principale in mancanza di accordo tra di esse. La composizione del tribunale arbitrale non è quindi lasciata alla libera decisione delle parti.

Stando così le cose, il tribunale arbitrale di categoria dev'essere considerato come un organo giurisdizionale di uno Stato membro ai sensi dell'art. 177 del Trattato» ( 4 ).

13.

Non sussistono quindi dubbi quanto alla ricevibilità del rinvio pregiudiziale sottoposto a questa Corte dal faglige voldgiftsret.

L'ipotesi relativa alla parità di valore delle attività di cui trattasi

14.

Nell'ordinanza di rinvio il detto tribunale precisa che il rinvio a questa Corte non ricomprende la questione del valore del lavoro svolto ( 5 ).

15.

Atteso che spetta al giudice nazionale valutare la pertinenza delle questioni sollevate ai fini della definizione della controversia dinanzi ad esso pendente ( 6 ), questa Corte non può discostarsi dai dati forniti dal detto giudice nella domanda di rinvio pregiudiziale, domanda che definisce l'ambito di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni in esame ( 7 ).

16.

La Corte si trova quindi obbligata a pronunciarsi sulla base dell'ipotesi delineata dal giudice di rinvio, secondo cui deve presumersi che il lavoro svolto dalle singole categorie oggetto del raffronto, ancorché differente come tipologia, presenti pari valore.

17.

È pur vero che tale ipotesi mi lascia un po' perplesso, ma mi limiterò a richiamare l'attenzione del giudice nazionale, cui spetta verificarne la validità ( 8 ), sull'importanza fondamentale rivestita dall'esistenza di un lavoro di pari valore ai sensi dell'art. 1 della direttiva al fine di accertare una discriminazione fondata sul sesso in materia di retribuzione ( 9 ).

18.

Nella causa in esame una discriminazione consisterebbe in un trattamento differente di due situazioni identiche. Occorre quindi che il giudice nazionale, prima di supporre l'esistenza di una discriminazione, acquisisca la certezza che le situazioni delle categorie oggetto del raffronto sono identiche.

Sulle risposte alle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione

19.

Con la prima questione il giudice a quo chiede a questa Corte se il principio di parità delle retribuzioni tra uomini e donne, sancito nell'art. 119 del Trattato nonché nella direttiva, trovi applicazione nei confronti di sistemi di retribuzione a cottimo.

20.

Non può negarsi che un sistema retributivo in cui la retribuzione venga determinata, in tutto o in parte, sulla base del risultato del lavoro svolto dal singolo lavoratore (sistema di retribuzione a cottimo) rientri nella nozione di «retribuzione» di cui all'art. 119, primo comma, del Trattato, nozione che questa Corte interpreta in senso ampio ( 10 ).

21.

Il detto articolo sancisce il principio della parità di retribuzione per una stessa attività lavorativa tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile. Il legislatore del Trattato ha voluto precisare al terzo comma, lett. a), che la parità in tale settore implica «che la retribuzione accordata per uno stesso lavoro pagato a cottimo sia fissata in base ad una stessa unità di misura».

22.

L'art. 119 del Trattato prevede quindi, alla luce del suo espresso tenore, l'applicazione del detto principio a sistemi di retribuzione a cottimo.

23.

Quanto alla direttiva, che «(...) non incide affatto sul contenuto o sulla portata [del] principio (...)» sancito dall'art. 119 ( 11 ), l'art. 1 prevede l'applicabilità del principio della parità delle retribuzioni a «(...) tutti gli elementi e le condizioni delle retribuzioni(...)»

24.

La prima questione non può essere pertanto risolta che in senso affermativo.

25.

Dopo aver verificato che le due categorie oggetto del raffronto svolgano effettivamente un lavoro di pari valore (v. le osservazioni preliminari), il giudice a quo dovrà ancora verificare, come sottolineato dalla Commissione nelle proprie osservazioni ( 12 ), che la scelta e la composizione delle categorie non siano casuali e che il loro raffronto sia pertinente.

26.

Se, infatti, il giudice nazionale dovesse constatare, in esito alla propria verifica, che la composizione delle due categorie rivela disparità tali da renderle manifestamente incomparabili, l'esame delle questioni seguenti diventerebbe ipso facto privo d'oggetto.

È questo il motivo per il quale suggerisco di esaminare anzitutto la questione relativa ai requisiti che possono sorgere in ordine alla composizione delle due categorie oggetto di raffronto.

Sulla prima parte della terza questione

27.

Per quanto attiene agli effettivi della società resistente, il giudice a quo ha fornito i seguenti elementi:

effettivi complessivi dell'impresa: circa 1150 dipendenti (40% uomini e 60% donne);

composizione delle tre categorie:

tornitori: 200 lavoratori di cui il 70% retribuiti a cottimo (70% uomini e 30% donne);

il gruppo A (operatori su macchine automatiche) comprendente 26 uomini (vale a dire il 18% del numero complessivo dei lavoratori appartenenti alla categoria dei tornitori retribuiti a cottimo);

pittori: 453 lavoratori di cui il 70% retribuiti a cottimo (5% uomini e 95% donne);

il gruppo B (pittori di porcellana blu) comprendente 156 lavoratori: 155 donne e un uomo (vale a dire il 49% del numero complessivo di lavoratori appartenenti al gruppo di pittori retribuiti a cottimo);

il gruppo C (pittori di piatti decorativi) comprendente 51 donne (vale a dire il 16% del numero totale di lavoratori appartenenti al gruppo dei pittori retribuiti a cottimo);

manovali: 500 lavoratori (non si dispone di informazioni più dettagliate).

28.

Dalla giurisprudenza di questa Corte risulta che non è solamente facoltà bensì obbligo fissare dei requisiti in ordine alla composizione delle categorie oggetto di raffronto ( 13 ).

29.

Ciò appare d'altronde del tutto logico in quanto, per poter essere pertinente, il raffronto deve vertere su categorie rappresentative di lavoratori ( 14 ). Non è infatti possibile limitarsi a confermare una scelta effettuata deliberatamente al fine di dare sostegno agli argomenti dell'una o dell'altra parte.

30.

Resta il fatto che una valutazione di tal genere rappresenta una questione di fatto il cui sindacato rientra nella sovranità dei giudici nazionali. Non si può ben inteso discutere in questa sede della fissazione di un numero minimo di lavoratori per categoria, né di una percentuale a partire dalla quale un gruppo possa essere considerato rappresentativo rispetto al totale degli effettivi di un'impresa.

31.

Ricordo semplicemente che il raffronto deve essere effettuato «(...) su un numero relativamente elevato di lavoratori (...)» ( 15 ) e che «spetta al giudice nazionale valutare se tali dati statistici possano essere presi in considerazione, cioè se riguardino una popolazione sufficiente, se non riflettano fenomeni puramente fortuiti o congiunturali e se, in generale, appaiano significativi» ( 16 ).

32.

Alla luce di tali requisiti, appaiono comprensibili gli interrogativi del tribunale circa il valore probatorio di un raffronto vertente su due categorie i cui rispettivi effettivi in termini numerici (uno è composto di 26 lavoratori e l'altro di 156) e di proporzionalità rispetto alle singole categorie di appartenenza (18% per l'una, 49% per l'altra) evidenzino differenze così rilevanti.

33.

Nella specie, ci si domanda se il numero di lavoratori appartenenti al gruppo A non sia troppo limitato. Si rileverà al riguardo che, nella causa Danfoss ( 17 ), il tribunale arbitrale aveva respinto, sulla base di tale rilievo, l'argomento della ricorrente (il raffronto verteva su gruppi di 16 e 11 persone).

34.

Occorrerà, peraltro, esaminare gli elementi di fatto atti eventualmente a spiegare perché il ricorrente nella causa principale, nell'esposizione delle proprie richieste, abbia isolato i gruppi A e B dagli altri dipendenti. Ci si chiede se tali gruppi siano effettivamente i soli a svolgere un certo tipo di lavoro.

35.

Ritengo, conseguentemente, che il giudice nazionale potrà passare all'esame delle questioni in prosieguo esposte solamente una volta che sia giunto alla conclusione che la composizione dei gruppi riflette una reale rappresentatività tale da consentire un efficace raffronto.

Sulla seconda questione

36.

Con la seconda questione, essenzialmente ed effettivamente nuova, il giudice di rinvio chiede a questa Corte se, nell'ambito di un sistema di retribuzione a cottimo, le retribuzioni orarie medie costituiscano un parametro di raffronto adeguato e pertinente.

37.

Esprimo anzitutto, con riguardo alla base di raffronto proposta, tutte le mie riserve, nell'ipotesi particolare di retribuzione a cottimo oggetto del presente esame.

38.

Questa Corte, se è pur vero che è chiamata a pronunciarsi per la prima volta su tale questione, ha già sviluppato un'abbondante giurisprudenza in materia di parità di retribuzioni tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile retribuiti a tempo.

39.

Appare opportuno richiamare tale giurisprudenza per grandi linee prima di esaminarne la possibilità di trasposizione nella specie.

40.

Il ragionamento della Corte si è articolato su due punti successivi: individuazione di un'eventuale distinzione, sulla base dei dati disponibili, quindi ricerca di eventuali elementi di giustificazione ( 18 ).

41.

La Corte ha distinto le discriminazioni dirette, rilevabili sulla base dei soli criteri dell'identicità del lavoro svolto e della parità delle retribuzioni, e le discriminazioni indirette e dissimulate, che possono essere messe in luce solo in funzione di disposizioni d'attuazione di carattere comunitario o nazionale ( 19 ).

42.

«Vi è discriminazione diretta qualora una normativa comunitaria o nazionale applichi un criterio di distinzione vietato ovvero assoggetti ipotesi differenti ad una disciplina formalmente identica. Sussiste discriminazione indiretta qualora, ancorché senza applicazione di criteri di distinzione vietati, una normativa comunitaria o nazionale applichi altri criteri di distinzione i cui effetti siano identici o quanto meno analoghi a quelli che risulterebbero dall'applicazione del criterio di distinzione vietato, o, ancora, qualora una normativa comunitaria o nazionale preveda una distinzione puramente formale di ipotesi differenti, assoggettandole, in realtà, ad identico trattamento» ( 20 ).

43.

L'individuazione di una discriminazione diretta ha luogo semplicemente sulla base dei soli criteri dell'identicità del lavoro e della parità di retribuzione, sanciti dall'art. 119, primo comma, del Trattato ( 21 ).

44.

L'individuazione di una discriminazione indiretta risulta invece più complessa. Orbene, nella specie, ci troviamo proprio in presenza di una siffatta ipotesi, atteso che la retribuzione contestata non è chiaramente discriminatoria e riguarda indistintamente sia gli uomini sia le donne.

45.

Sino ad ora, la sussistenza di discriminazioni indirette è stata soprattutto oggetto di ricerca nel settore del lavoro ad orario ridotto, settore in cui opera una percentuale considerevolmente più ridotta di uomini rispetto alle donne ( 22 ).

46.

La Corte ha stabilito in tal senso che la retribuzione complessiva costituisce una base che consente di individuare eventuali discriminazioni. Così, nella sentenza Bilka ( 23 ), la Corte ha affermato la seguente regola: sussiste disparità di trattamento ogniqualvolta la retribuzione complessiva corrisposta al lavoratore a tempo pieno risulti più elevata, a parità di ore lavorative, rispetto a quella versata ai lavoratori ad orario ridotto.

47.

Questa Corte ha parimenti affermato che le retribuzioni medie possono consentire l'individuazione di situazioni sospette: «qualora un'impresa applichi un sistema di retribuzione caratterizzato da una mancanza totale di trasparenza, il datore di lavoro ha l'onere di provare che la sua prassi salariale non è discriminatoria, ove il lavoratore di sesso femminile dimostri, su un numero relativamente elevato di lavoratori, che la retribuzione media dei lavoratori di sesso femminile è inferiore a quella dei lavoratori di sesso maschile» ( 24 ).

48.

Infine, dati statistici significativi possono far presumere una discriminazione: «Qualora da statistiche significative risulti una notevole differenza di retribuzione (...) l'art. 119 del Trattato obbliga il datore di lavoro a giustificare questa differenza (...)» ( 25 ).

49.

Ogni situazione sospetta così individuata non costituisce peraltro ipso facto una discriminazione indiretta. Si tratta di una mera «(...) presunzione, soggetta a prova contraria, di incompatibilità con norme superiori in materia di uguaglianza» ( 26 ).

50.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, tale presunzione è soggetta a prova contraria, nel senso che spetta al datore di lavoro provare che i provvedimenti presi sono basati su «fattori obiettivamente giustificati ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso» ( 27 ) ovvero che essi si basano su «(...) fattori che escludono una discriminazione fondata sul sesso» ( 28 ).

51.

L'accertamento di tali fattori oggettivi deve scaturire da un attento esame dei fatti, esame che compete ai giudici nazionali ( 29 ). Questa Corte ha elaborato nei confronti dei giudici nazionali, senza voler con ciò tracciare un elenco esaustivo degli interessi che consentano di giustificare una disparità di trattamento, i seguenti criteri: i provvedimenti scelti devono rispondere ad un'effettiva esigenza dell'impresa, essere idonei al raggiungimento dell'obiettivo perseguito ed essere a tal fine necessari ( 30 ).

52.

Come affermato dalla Corte, la direttiva non osta a che «(...) un sistema di classificazione professionale usi, per determinare il livello retributivo, il criterio dell'impegno o sforzo muscolare o del grado di pesantezza del lavoro manuale, qualora, tenuto conto della natura delle mansioni, il lavoro da compiere esiga effettivamente una certa forza fisica, purché mediante la presa in considerazione di altri criteri, sia in grado di escludere, nel suo complesso, qualsiasi discriminazione basata sul sesso» ( 31 ).

53.

Dalla vostra costante giurisprudenza nonché dall'art. 4 della direttiva emerge che i contratti collettivi sono soggetti, al pari delle norme di legge e di regolamento, al divieto di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto attiene alla retribuzione ( 32 ). Essi non possono consentire quindi una differenza di trattamento. Infatti, «la circostanza che i livelli retributivi di cui trattasi siano stati determinati tramite contrattazioni collettive (...) non osta alla constatazione del fatto che, a prima vista, ci si trova di fronte ad una discriminazione, qualora tali contrattazioni abbiano portato a risultati implicanti una disparità di trattamento fra due gruppi (...)» ( 33 ).

54.

In via generale, una differenza di retribuzione può risultare giustificata alla luce di una serie di motivi: l'anzianità come criterio generale, la formazione professionale laddove rivesta importanza ai fini dell'esecuzione di compiti specifici affidati al lavoratore, la flessibilità ove sia intesa come attinente all'adattabilità ad orari e luoghi di lavoro variabili ( 34 ).

55.

In ogni caso, il principio della parità di retribuzione deve essere rispettato, al fine di consentire un sindacato giurisdizionale efficace, nel suo complesso, con riguardo a tutti gli elementi della retribuzione: «(...) il singolo criterio non deve essere tale da eliminare le discriminazioni, bensì il sistema nel suo complesso deve mirare a questo scopo» ( 35 ).

56.

Sottolineo infine che la Commissione ha presentato una proposta di direttiva relativa all'onere della prova nel settore della parità delle retribuzioni e della parità di trattamento tra uomini e donne che ricalca, sostanzialmente, i principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte ( 36 ). Essa prevede in tal senso all'art. 3, n. 2, la possibilità di assumere una presunzione di discriminazione, soggetta a prova contraria, sulla base di «(...) un fatto o una serie di fatti che, in mancanza di prova contraria, consentano di presumere l'esistenza di una discriminazione diretta o indiretta», a carico della parte su cui incombe la prova che il principio di parità di trattamento non sia stato violato.

57.

Prima di esaminare la possibilità di trasposizione di tale giurisprudenza nella fattispecie oggetto di esame, mi sembra fondamentale tracciare una chiara linea distintiva del sistema di retribuzione a tempo, il solo sistema di cui questa Corte ha avuto sinora modo di conoscere, da quello della retribuzione a cottimo, oggetto del caso di specie.

58.

Si tratta peraltro di una preoccupazione sentita dal legislatore del Trattato, atteso che, come precedentemente sottolineato (v. paragrafo 21), ľart. 119 del Trattato non manca di distinguere nettamente le due ipotesi. Questa stessa Corte, nella sentenza Jenkins, precedentemente citata, delimita chiaramente la sfera d'applicazione della propria giurisprudenza al «(...) lavoro pagato a tempo (...)» ( 37 ).

59.

Un lavoratore retribuito a tempo otterrà una retribuzione fissa per ogni unità di tempo di attività lavorativa.

60.

Un lavoratore pagato a cottimo è invece retribuito, in tutto o in parte, sulla base della propria produttività. Al pari dei dipendenti dei gruppi A, B e C, la sua retribuzione può comprendere una parte fissa, costituita da una paga oraria di base. Si tratta peraltro sempre solo di una parte di quanto egli percepisce. L'altra parte della retribuzione, parte essenziale, è variabile, e viene corrisposta in funzione dei pezzi prodotti. Così, la retribuzione effettiva dipende quanto meno in parte dai risultati dell'attività del lavoratore, misurati secondo modalita del tutto individuali, in funzione del numero di pezzi realizzati per ogni unità di tempo (rapidità di esecuzione) e dell'assenza di difetti nei pezzi prodotti (qualità del lavoro).

61.

Premessa tale precisazione, occorre esaminare come richiestoci dal giudice a quo, se le «retribuzioni orarie medie» costituiscano un parametro di raffronto adeguato tra i gruppi A e B. Le cifre indicate nell'ordinanza di rinvio costituiscono cifre medie, relative ai singoli gruppi, attinenti alle parti fisse e a quelle variabili delle retribuzioni ( 38 ).

62.

Come precedentemente ricordato ( 39 ), nella menzionata sentenza Enderby la Corte ha affermato la presunzione di discriminazione sulla base di «statistiche significative». Applicando tale giurisprudenza, ci si domanda se delle retribuzioni medie possano essere considerate «statistiche significative».

63.

Come precedentemente osservato ( 40 ), la Corte ha ammesso un siffatto ragionamento nella sentenza Danfoss.

Da un lato, peraltro, la Corte ha preso in considerazione tale ipotesi solamente laddove «(...) un'impresa applichi un sistema di retribuzione caratterizzato da una mancanza totale di trasparenza (...)» ( 41 ). Si tratta quindi di una prassi retributiva che pone il lavoratore «(...) nell'impossibilità di identificare le cause di una disparità tra la sua retribuzione e quella di un lavoratore (...) che svolge lo stesso lavoro. Infatti, i lavoratori ignorano quali siano i criteri di aumento che sono applicati nei loro confronti e le relative modalità di applicazione» ( 42 ). Tale ipotesi non sembra ricorrere per quanto attiene ai gruppi A e B che conoscono dettagliatamente le componenti della propria retribuzione. La trasparenza sembra infatti sussistere nella specie, atteso che la fissazione delle retribuzioni costituisce il risultato di trattative liberamente condotte tra le parti sociali.

Dall'altro, non si trattava in tale fattispecie di un sistema di retribuzione a cottimo, bensì di maggiorazioni individuali che si aggiungevano alla retribuzione di base corrisposta a tempo.

64.

Orbene, ho inteso dimostrare quali siano gli elementi distintivi tra i due sistemi di retribuzione.

Ammettere un raffronto sulla base di retribuzioni medie significherebbe non riconoscere la specificità della retribuzione a cottimo. Non verrebbero quindi prese in considerazione le differenze individuali di rendimento. Occorre sottolineare il pericolo insito in una siffatta impostazione che assimilerebbe «il lavoro a cottimo» al «lavoro a tempo» e rischierebbe di indurre nella presunzione che qualsiasi retribuzione a cottimo sia contraria al principio di parità delle retribuzioni.

L'istituzione di un siffatto sistema di retribuzione in un'impresa mira a favorire, ad incoraggiare ogni lavoratore a guadagnare in funzione di quanto produce, nell'interesse proprio nonché del datore di lavoro.

A prescindere dalla parte fissa, e assumendo un identico tasso di retribuzione per pezzo prodotto, è inevitabile che vi siano scarti individuali fra le singole retribuzioni. Questi sono peraltro inerenti ad un sistema di retribuzione a cottimo, in quanto riflettono le variazioni di produttività. Ciò è peraltro ben evidenziato dalla circostanza che, nell'ambito dei singoli gruppi A e B, si rilevano sensibili differenze individuali ( 43 ). Solamente a parità di produttività i lavoratori percepiscono eguale retribuzione.

Le retribuzioni medie non riflettono quindi altro che tali variazioni di rendimento, considerato che la parte oraria fissa della retribuzione a cottimo è identica per lavoratori di uguale valore. Ne traggo la conclusione che, in un siffatto sistema, esse non rappresentano affatto un criterio di raffronto pertinente atto a far presumere l'esistenza di una discriminazione fondata sul sesso.

65.

Desidero aggiungere, unitamente al governo tedesco ( 44 ), un'ultima osservazione. L'art. 119, terzo comma, lett. a), del Trattato avvalora la mia tesi in quanto assume come elemento determinante di raffronto solamente «l'unità di misura» della retribuzione. Una discriminazione potrebbe essere quindi individuata laddove «l'unità di misura» della parte fissa e/o «l'unità di misura» della parte variabile non fosse (non fossero) identica (identiche) per un lavoro di pari valore o considerato tale. In altre parole, non sussisterebbe discriminazione se non nell'ipotesi in cui, ai fini della retribuzione di un'unità di tempo o di un pezzo prodotto, si facesse distinzione tra uomini e donne.

Sulla seconda parte della terza questione

66.

Con la seconda parte della terza questione, il tribunale chiede se sia ammissibile giungere, mediante raffronto successivo dei gruppi A e B, ad un allineamento delle rispettive retribuzioni a quelle del gruppo meglio retribuito (gruppo C).

67.

Al fine di poter correttamente valutare una siffatta ipotesi occorrerebbe poter prendere in considerazione elementi di fatto precisi di cui non dispongo. Del resto, tale valutazione di fatto compete esclusivamente al giudice di rinvio. Mi limito ad osservare che, ove si ammettesse un raffronto di tal genere, ne deriverebbe l'allineamento della retribuzione di un gruppo femminile (gruppo B) a quella di un altro gruppo femminile (gruppo C). Orbene, le norme comunitarie in materia di parità di trattamento tra i lavoratori dei due sessi sono state chiaramente emanate al fine di eliminare qualsiasi discriminazione tra uomini e donne.

Una siffatta ipotesi esula, quindi, dalla sfera di applicazione della direttiva nonché dell'art. 119 del Trattato.

68.

Ma soprattutto questa questione evidenzia nuovamente il rischio in cui si incorre qualora non si prenda in considerazione la specificità della retribuzione a cottimo. Infatti, qualora si verificasse l'aumento della retribuzione dei vari gruppi indicati nella seconda parte della terza questione, ne deriverebbe la fissazione di una retribuzione unica per tutti i gruppi di lavoratori, a prescindere dal loro rendimento individuale; non si tratterebbe più di una retribuzione individuale a cottimo.

Sulla quarta questione

69.

La quarta questione, con cui il giudice di rinvio chiede quale sia l'importanza da attribuire ad alcuni elementi di fatto, richiede solamente alcune brevi osservazioni.

70.

Spetta al giudice nazionale prendere in considerazione gli elementi di fatto di cui egli dispone al fine di stabilire se i gruppi oggetto del raffronto siano di pari valore. Ove egli ritenga che elementi significativi diversi dalla retribuzione media gli consentano di presumere l'esistenza di una discriminazione, tali rilievi potranno parimenti consentirgli di ricercare giustificazioni oggettive ed estranee a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso. Rinvio al riguardo alle mie osservazioni preliminari relative all'analisi della giurisprudenza della Corte ( 45 ).

71.

Suggerisco, conseguentemente, di affermare:

«—

L'art. 119 del Trattato CEE e la direttiva del Consiglio 10 febbraio 1975, 75/117/CEE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all'applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile, si applicano a sistemi retributivi in cui la retribuzione sia basata, totalmente o essenzialmente, sul risultato dal lavoro svolto da ogni singolo lavoratore (sistemi di retribuzione a cottimo);

spetta al giudice nazionale accertare che i gruppi siano paragonabili, in particolare con riguardo al numero di lavoratori componenti i singoli gruppi ed alla rappresentatività dei gruppi medesimi con riguardo alla categoria dei lavoratori cui essi appartengono;

in materia di retribuzione a cottimo, le retribuzioni medie non costituiscono un parametro di raffronto adeguato idoneo a far presumere la sussistenza di una discriminazione fondata sul sesso tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile;

spetta al giudice nazionale prendere in considerazione gli elementi di fatto di cui disponga al fine di accertare che le attività lavorative oggetto di raffronto siano di pari valore; tali elementi devono parimenti consentirgli, nell'eventualità, di giustificare, in modo oggettivo, la sussistenza di una discriminazione presunta sulla base di elementi diversi da quello della retribuzione media».


( *1 ) Lingua originale: il francese.

( 1 ) Direttiva del Consiglio 10 febbraio 1975 per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all'applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile (GU L 45, pag. 19).

( 2 ) Sentenza 30 giugno 1966, causa 61/65 (Racc, pag, 377).

( 3 ) Sentenza 17 ottobre 1989, detta «Danfoss», causa 109/88, Handels-og Kontorfunktionærernes Forbund i Danmark (Racc. pag. 3199).

( 4 ) Punti 7, 8 e 9.

( 5 ) V. pag. 4, quarto capoverso, prima frase, della traduzione francese.

( 6 ) V. sentenze 29 novembre 1978, causa 83/78, Pigs Marketing Board (Racc. pag. 2347, punto 25), e 6 ottobre 1982, causa 283/81, Cilfit (Racc. pag. 3415, punto 10).

( 7 ) Sentenza 26 gennaio 1993, cause riunite C-320/90, C-321/90 e C-322/90, Telemarsicabruzzo e a. (Racc. pag. I-393, punto 6).

( 8 ) V. sentenza 27 ottobre 1993, causa C-127/92, Enderby (Race. pag. I-5535, punto 12).

( 9 ) V., in tal senso, il paragrafo 5 delle conclusioni dell'avvocato generale Lenz relative alla menzionata sentenza Enderby, citata alla nota precedente.

( 10 ) V. soprattutto, in tal senso, sentenze 17 maggio 1990, causa C-262/88, Barber (Racc. pag. I-1889, punto 12), c 9 febbraio 1982, causa 12/81, Garland (Racc. pag. 359, punto 5), il secondo comma dell'art. 119, Garrone, P.: «La discrimination indirecte en droit communautaire: vers une théorie générale», in RTDE, n. 30, luglio-settembre 1994, pagg. 425, 442, nonché il paragrafo 11 delle conclusioni dell'avvocato generale Darmon relative alla sentenza 15 dicembre 1994, cause riunite C-399/92, C-409/92, C-425/92, C-34/93, C-50/93 e C-78/93, Helmig e a. (Racc. pag. I-5727).

( 11 ) V. sentenze 31 marzo 1981, causa 96/80, Jenkins (Racc. pag. 911, punto 22), e 3 dicembre 1987, causa 192/85, Newstead (Racc. pag. 4753, punto 20).

( 12 ) Punto II.2.1, secondo comma.

( 13 ) V. le menzionate sentenze Endcrby, punto 17, e Danfoss, punto 16.

( 14 ) V., in tal senso, il paragrafo 35 delle conclusioni dell'avvo-cato generale Lenz relative alla sentenza Enderby, citata, ed il punto II.2.1 delle osservazioni della Commissione.

( 15 ) Sentenza Danfoss, citata, punto 16, il corsivo e mio.

( 16 ) Sentenza Enderby, citata, punto 17, il corsivo è mio.

( 17 ) Citata, nota 3.

( 18 ) V. le menzionate sentenze Jenkins c Helmig e a., punti 23-25.

( 19 ) V. sentenza 8 aprile 1976, causa 43/75, Defrennc (Race. pag. 455).

( 20 ) V. Lenaerts, K.: «L'égalité de traitement en droit communautaire: un principe unique aux apparences multiples», in CDE, 1991, nn. I-2, pag. 3, punto 10.

( 21 ) V. sentenza 27 marzo 1980, causa 129/79, Macarthys (Racc. pag. 1275, punto 10).

( 22 ) V. le sentenze Jenkins, citata, 13 maggio 1986, causa 170/84, Bilka (Racc. pag. 1607), 13 luglio 1989, causa 171/88, Rinncr-Kühn (Race. pag. 2743), 13 dicembre 1989, causa C-102/88, Ruzius-Wilbrink (Racc. pag. 4311), 27 giugno 1990, causa C-33/89, Kowalska (Racc. pag. I-2591), 7 febbraio 1991, causa C-184/89, Nimz (Race. pag. I-297), c 4 giugno 1992, causa C-360/90, Botel (Race. pag. I-3589).

( 23 ) V. nota precedente, punto 27.

( 24 ) V. sentenza Danfoss, citata, dispositivo, punto 1, il corsivo è mìo.

( 25 ) V. sentenza Enderby, citata, dispositivo, punto 1, il corsivo è mio.

( 26 ) V. Garrone, P., op. cit., nota 10, pag. 427.

( 27 ) V. sentenza Bilka, citata, punto 31, il corsivo è mio. V. anche la causa Rinner-Kühn, citata, punto 15, nonché la causa Ruzius-Wilbrink, citata, punto 15.

( 28 ) V. la causa Jenkins, citata, punto 13, e la causa Bilka, citata, punto 29.

( 29 ) V. le menzionate sentenze Jenkins, punto 14, Bilka, punto 36, Kowalska, punto 15, e Nimz, punto 14.

( 30 ) V. la sentenza Bilka, citata, punto 36.

( 31 ) V. sentenza 1o luglio 1986, causa 237/885, Rummkr (Race. pag. 2101, punto 17).

( 32 ) V., da ultimo, le menzionate sentenze Helmig c a., punto 12, Kowalska, punti 12 e 18, Nimz, punto 11, ed Enderby, punto 21.

( 33 ) V. sentenza Enderby, citata, punto 22.

( 34 ) V. sentenza Danfoss, citata, dispositivo.

( 35 ) V. le conclusioni dell'avvocato generale Lenz relative alla menzionata sentenza Rummlcr, pag. 2106, ultimo capoverso; v. anche í punti 15 e 16 della sentenza.

( 36 ) Proposta di direttiva 27 maggio 1988 (GU C 176, pag. 5), discussa durante la sessione del Parlamento del 15 dicembre 1988, Dibattiti del Parlamento n. 2-372, pag. 313.

( 37 ) V. punto 11.

( 38 ) Tale media è costituita nel gruppo A dalla somma di 103,93 DKR orarie, di cui la parte fissa è costituita da 71,69 DKR, quella variabile da 32,24 DKR; nel gruppo B, tale cifra media è costituita da 91 DKR orarie, di cui la parte fissa pari a 57 DKR, quella variabile pari a 34 DKR. Tali cifre riflettono la situazione in seno all'impresa relativa al mese di aprile 1990, ma sono ritenute rappresentative per entrambe le parti della retribuzione con riguardo a tutto l'anno.

( 39 ) V. supra, paragrafo 48.

( 40 ) V. supra, paragrafo 47.

( 41 ) V. dispositivo, punto 1.

( 42 ) V. punto 10.

( 43 ) Nell'aprile del 1990, il salario medio del lavoratore meglio retribuito, nel gruppo A, ammontava a 118 DKR orarie, quello del lavoratore meno retribuito a 86 DKR orarie; nel gruppo B, tali medie ammontavano rispettivamente a 125 DKR e 72 DKR.

( 44 ) V. il punto 5 delle osservazioni del governo tedesco.

( 45 ) V. i paragrafi 50-56.

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