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Document 62023CC0158
Opinion of Advocate General Medina delivered on 6 June 2024.###
Conclusioni dell’avvocato generale L. Medina, presentate il 6 giugno 2024.
Conclusioni dell’avvocato generale L. Medina, presentate il 6 giugno 2024.
ECLI identifier: ECLI:EU:C:2024:461
Edizione provvisoria
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
LAILA MEDINA
presentate il 6 giugno 2024 (1)
Causa C‑158/23 [Keren] (i)
T.G.
contro
Minister van Sociale Zaken en Werkgelegenheid
[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi)]
«Rinvio pregiudiziale – Politica d’asilo – Direttiva 2011/95/UE – Beneficiari di protezione internazionale – Rifugiati – Articolo 34 – Accesso agli strumenti di integrazione – Obbligo di garantire l’accesso ai programmi d’integrazione – Convenzione di Ginevra – Articolo 34 – Normativa nazionale che impone ai rifugiati un obbligo di integrazione civica – Obbligo di frequentare corsi e di farsi carico dei relativi costi – Possibilità di ottenere un prestito al fine di finanziare tali costi – Obbligo di superare un esame entro tre anni – Mancato completamento di un programma di integrazione nel termine previsto – Obbligo di pagare un’ammenda – Obbligo di rimborsare il prestito»
1. L’integrazione dei rifugiati è un processo importante e complesso, che esige il compimento di sforzi da parte di tutti gli interessati, vale a dire i rifugiati stessi e la società del paese ospitante. Il processo di integrazione abbraccia aspetti giuridici, economici, sociali e culturali. È quindi naturale che strumenti internazionali quali la convenzione di Ginevra (2) impongano agli Stati contraenti un obbligo giuridico di facilitare «l’assimilazione e la naturalizzazione dei rifugiati» (3). Tale obbligo è stato recepito nel diritto dell’Unione dall’articolo 34 della direttiva qualifiche (4), il quale prevede l’obbligo degli Stati membri di «garanti[re] l’accesso ai programmi d’integrazione (…) o crea[re] i presupposti che garantiscono l’accesso a tali programmi».
2. La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame è stata presentata nell’ambito di una controversia tra T.G. e il Minister van Sociale Zaken en Werkgelegenheid (Ministro degli Affari sociali e dell’Occupazione, Paesi Bassi; in prosieguo: il «ministro»). La controversia verte sulla decisione del ministro, da un lato, di infliggere a T.G., un rifugiato, un’ammenda di EUR 500 per non aver superato entro il termine stabilito un esame di integrazione civica e, dall’altro, di intimare a T.G. il rimborso di un prestito di EUR 10 000 che gli era stato concesso dalle autorità pubbliche dei Paesi Bassi al fine di consentirgli di finanziare i costi dei programmi di integrazione civica. Tale decisione era motivata dal fatto che T.G. non aveva adempiuto i suoi obblighi di integrazione civica entro il termine stabilito.
3. In tale contesto, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se e in quale misura gli Stati membri possano imporre ai beneficiari di protezione internazionale (in prosieguo: i «rifugiati») (5), in forza della direttiva qualifiche, un obbligo, a pena di ammenda, di superare in tempo utile un esame di integrazione civica e di farsi carico dei costi di tale esame e dei relativi corsi di preparazione. Una specificità della presente causa consiste nel fatto che, nel contesto delle competenze concorrenti dell’Unione europea e degli Stati membri, i programmi nazionali di integrazione civica sono, per i rifugiati, sia un diritto, ai sensi del diritto dell’Unione, sia un obbligo, in forza del diritto nazionale.
I. Contesto normativo
A. Diritto dell’Unione
4. I considerando 3, 4, 12, 13, 15, 16, 40, 41 e 47 della direttiva qualifiche sono pertinenti ai fini della presente causa.
5. L’articolo 34 della direttiva qualifiche, intitolato «Accesso agli strumenti di integrazione» prevede quanto segue:
«Al fine di facilitare l’integrazione dei beneficiari di protezione internazionale nella società, gli Stati membri garantiscono l’accesso ai programmi d’integrazione che considerano adeguati, in modo da tenere conto delle esigenze particolari dei beneficiari dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria, o creano i presupposti che garantiscono l’accesso a tali programmi».
B. Diritto dei Paesi Bassi
6. L’articolo 34 della direttiva qualifiche è stato recepito nel diritto dei Paesi Bassi dalla Wet inburgering (in prosieguo: la «legge sull’integrazione civica»), che mira a incentivare gli stranieri ad assumere la responsabilità della propria integrazione. In forza dell’articolo 3 di tale legge, nella versione applicabile all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, i rifugiati sono soggetti all’obbligo di integrazione civica, al pari dei titolari di taluni altri permessi di soggiorno, come i soggiornanti di lungo periodo. In linea di principio, chiunque sia soggetto all’obbligo di integrazione civica è tenuto a superare tutte le prove dell’esame di integrazione entro un termine di tre anni (in prosieguo: il «termine per l’integrazione civica»).
7. Il giudice del rinvio dichiara che, ai sensi dell’articolo 7b della legge sull’integrazione civica, il ministro può prorogare detto termine qualora il mancato rispetto dello stesso non possa essere imputato alla persona soggetta all’obbligo di integrazione civica o se questa segue un corso di alfabetizzazione. Il ministro può prorogare il termine per l’integrazione civica anche nel caso in cui la persona soggetta a tale obbligo abbia compiuto manifesti sforzi per integrarsi. In alcuni casi, il ministro può dispensare l’interessato da tale obbligo.
8. Il giudice del rinvio aggiunge che, di regola, i costi dei programmi nazionali di integrazione sono sostenuti dalle persone soggette all’obbligo di integrazione civica, che possono richiedere, a tal fine, un prestito per un importo massimo di EUR 10 000. Il prestito può essere utilizzato per corsi ed esami di integrazione e/o per corsi di alfabetizzazione. I rifugiati non sono tenuti a rimborsare il prestito se hanno superato tutte le prove dell’esame di integrazione civica entro il termine prescritto o se entro tale termine sono stati esentati o dispensati dall’obbligo di integrazione civica. Se non hanno adempiuto il loro obbligo di integrazione o lo hanno fatto troppo tardi, in linea di principio sono tenuti a rimborsare integralmente il prestito.
9. L’articolo 4.16a del Regeling inburgering (regolamento sull’integrazione civica) è entrato in vigore il 1º gennaio 2022. Ai sensi di tale disposizione, che si applica a coloro che, a tale data, stavano rimborsando il loro prestito, è possibile la liberazione totale o parziale dall’obbligo di rimborso. In linea di principio, il ministro rimette il debito solo parzialmente qualora la persona soggetta all’obbligo di integrazione civica abbia adempiuto il suo obbligo entro sei mesi dalla scadenza del termine o sia stata dispensata dal medesimo entro lo stesso termine. In casi eccezionali, il ministro può altresì rimettere parzialmente il debito qualora la persona soggetta all’obbligo di integrazione civica non abbia adempiuto il suo obbligo di integrazione entro sei mesi, oppure può rimettere integralmente il debito.
10. Il periodo per il rimborso del prestito dura al massimo 10 anni, e tiene conto della capacità contributiva del debitore. In caso di incapacità contributiva, il ministro può fissare l’importo da restituire a EUR 0 mensili. L’eventuale debito residuo dopo 10 anni viene rimesso, ad eccezione degli arretrati.
11. L’articolo 31, paragrafo 1, della legge sull’integrazione civica prevede che il ministro infligga una sanzione amministrativa a qualsiasi persona soggetta all’obbligo di integrazione civica che non abbia superato determinate prove dell’esame di integrazione civica entro il termine di tre anni o entro il termine prorogato.
12. L’articolo 32 di tale legge così prevede:
«Nella decisione che infligge l’ammenda di cui all’articolo 31, paragrafo 1, il ministro fissa un nuovo termine massimo di due anni entro il quale la persona soggetta all’obbligo di integrazione civica è tenuta, dopo la notifica della decisione che infligge l’ammenda, a superare le prove dell’esame di integrazione civica di cui all’articolo 7, paragrafo 2, lettere b) e c)».
13. L’articolo 33 di tale legge prevede quanto segue:
«1. Il ministro infligge una sanzione amministrativa alla persona soggetta all’obbligo di integrazione civica che non abbia superato le prove dell’esame di integrazione civica di cui all’articolo 7, paragrafo 2, lettere b) e c), entro il termine stabilito dall’articolo 32. L’articolo 32 si applica mutatis mutandis.
2. Se la persona soggetta all’obbligo di integrazione civica non supera, entro il termine di cui all’articolo 32, le prove dell’esame di integrazione civica di cui all’articolo 7, paragrafo 2, lettere b) e c), il ministro infligge a tale persona una sanzione amministrativa ogni due anni».
14. L’articolo 1, paragrafo 1, del Beleidsregel boetevaststelling inburgering (Orientamenti per la determinazione delle ammende nel contesto dell’integrazione civica), nella versione applicabile all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, stabilisce i criteri da prendere in considerazione ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda. Tali criteri includono il numero di ore di frequenza, da parte della persona soggetta all’obbligo di integrazione civica, di un corso di integrazione civica o di un corso di lingua neerlandese come lingua straniera, il numero di volte che l’interessato ha sostenuto l’esame di integrazione civica o l’esame di Stato di lingua neerlandese come lingua straniera, nonché il numero di prove di tali esami che l’interessato ha superato. L’articolo 1, paragrafo 2, degli orientamenti precisa che l’importo dell’ammenda è determinato sulla base di una tabella delle ammende, quale figura nell’allegato di detti orientamenti.
15. L’allegato dell’articolo 1, paragrafo 2, contiene una tabella ai sensi della quale l’ammenda è fissata in EUR 1 250 nel caso in cui il numero di ore di lezioni frequentate si collochi tra 0 e 149, in EUR 875 nel caso in cui si collochi tra 150 e 299 e in EUR 500 nel caso in cui siano state frequentate 300 o più ore. Inoltre, può essere concessa una proroga del termine per l’adempimento dell’obbligo di integrazione civica, nel qual caso non è inflitta alcuna ammenda. L’importo dell’ammenda può essere ridotto del 20% in caso di superamento di una prova dell’esame, del 40% in caso di superamento di due prove, del 60% in caso di superamento di tre prove e dell’80% qualora siano state superate quattro o più prove.
II. Controversia nel procedimento principale e questioni pregiudiziali
16. T.G, cittadino eritreo, ha fatto ingresso nei Paesi Bassi all’età di 17 anni. Egli ha in seguito ottenuto un permesso di soggiorno temporaneo, rilasciato a coloro ai quali è stato riconosciuto il diritto di asilo, che gli ha permesso di beneficiare di protezione internazionale nei Paesi Bassi.
17. L’8 gennaio 2016, quando T.G. ha compiuto 18 anni, il ministro gli ha comunicato che dal 1º febbraio 2016 egli sarebbe stato soggetto all’obbligo di integrazione civica in forza della legge sull’integrazione civica. Ciò significava che, in linea di principio, egli era tenuto a superare tutte le prove dell’esame di integrazione civica entro un termine di tre anni. Il ministro ha prorogato detto termine fino al 1º febbraio 2020 giacché T.G. era rimasto per un considerevole periodo di tempo in un centro per richiedenti asilo e aveva seguito un corso di formazione.
18. Atteso che T.G. non aveva adempiuto il suo obbligo di integrazione civica nel termine prescritto, il ministro gli ha inflitto un’ammenda di EUR 500 e ha disposto che egli dovesse restituire integralmente il prestito di EUR 10 000 da lui contratto presso il Dienst Uitvoering Onderwijs (Agenzia esecutiva per l’istruzione, Paesi Bassi).
19. Avverso tale decisione T.G. ha presentato un reclamo, che è stato dichiarato infondato dal ministro il 25 febbraio 2021. Il 4 novembre 2016, il rechtbank Amsterdam (Tribunale di Amsterdam, Paesi Bassi) ha respinto il ricorso proposto da T.G. avverso la decisione del 25 febbraio 2021 in quanto infondato. Tale giudice ha statuito che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non viola l’articolo 34 della direttiva qualifiche, poiché essa istituisce un regime che offre la possibilità di ottenere proroghe ed esenzioni. Essa permette inoltre che qualsiasi prestito concesso sia rimborsato sulla base della capacità contributiva dell’interessato. Tale giudice non ha riscontrato una violazione del principio di proporzionalità, poiché il ministro aveva esaminato e ponderato tutte le circostanze in modo motivato. Secondo il rechtbank Amsterdam (Tribunale di Amsterdam), il ministro aveva tenuto sufficientemente conto delle circostanze personali del ricorrente nel procedimento principale, prorogando il termine per l’integrazione civica da tre a quattro anni e riducendo l’importo dell’ammenda. Tale giudice ha ritenuto che l’ammenda non fosse eccessivamente elevata, basandosi sulla sentenza nella causa P e S (6). Secondo tale giudice, il ministero non era tenuto a dispensare T.G, dal pagamento dell’ammenda o dall’obbligo di rimborsare il prestito.
20. Il 2 dicembre 2021, vale a dire un anno e 10 mesi dopo la scadenza del termine per l’integrazione civica, T.G. è stato dispensato dall’obbligo di integrazione civica in quanto fino a quel momento, a parere del ministro, aveva compiuto sufficienti sforzi per completare il corso di integrazione civica. Tale esenzione non incideva sull’obbligo di T.G. di pagare l’ammenda e di rimborsare il prestito.
21. T.G. ha proposto appello avverso la sentenza del 4 novembre 2021 dinanzi al Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi), giudice del rinvio.
22. Il giudice del rinvio chiede se l’articolo 34 della direttiva qualifiche osti all’imposizione ai beneficiari di protezione internazionale di un obbligo di integrazione civica, il quale implica l’obbligo di superare un esame, a pena di un’ammenda, in linea di principio entro un termine di tre anni, e se osti a che i costi dei programmi di integrazione siano sostenuti dalle persone soggette a tale obbligo.
23. Per quanto riguarda, in primo luogo, l’obbligo di integrazione civica, il giudice del rinvio nutre dubbi quanto all’applicabilità della sentenza P e S (7) alla presente causa, poiché tale sentenza verte sull’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (8), la quale prevede che gli Stati membri possano imporre un obbligo di integrazione, mentre tale possibilità non è prevista nella direttiva qualifiche.
24. In secondo luogo, qualora, in forza del diritto dell’Unione, possa essere imposto un obbligo di integrazione civica, il giudice del rinvio chiede se dal diritto positivo di accesso a programmi di integrazione, conferito dal diritto dell’Unione, possa scaturire, in forza del diritto nazionale, un comportamento illecito sanzionabile nel caso in cui non ci si avvalga di detto diritto.
25. In terzo luogo, per quanto riguarda i costi dei programmi di integrazione, il giudice del rinvio ritiene che imporre ai rifugiati di farsi integralmente carico di tali costi sia contrario all’articolo 34 della direttiva qualifiche. A tal riguardo, l’articolo 34 di tale direttiva impone agli Stati membri di garantire a tutti i rifugiati l’accesso a programmi di integrazione. Il giudice del rinvio aggiunge che il fatto che gli interessati possano accedere a un piano di pagamento non appare rilevante, dato che l’obbligo di rimborso di un debito gravoso continua a esistere per un periodo fino a 10 anni, il che può ostacolare un’integrazione effettiva nello Stato membro ospitante.
26. In quarto luogo, si pone la questione se l’importo delle ammende e del prestito pregiudichi la realizzazione dell’obiettivo e dell’effetto utile dell’articolo 34 della direttiva qualifiche. A tal riguardo, il giudice del rinvio sottolinea che le autorità nazionali sono tenute a ridurre l’ammenda se ciò è necessario per garantirne il carattere proporzionato. Tuttavia, si potrebbe ritenere che il prestito e l’ammenda, congiuntamente, vadano oltre quanto necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito da tale disposizione, vale a dire agevolare l’integrazione. Determinate modalità di rimborso potrebbero mitigare gli effetti di tali sanzioni pecuniarie. Tuttavia, T.G. sostiene, nel procedimento principale, che la misura di cui trattasi potrebbe disincentivare lo svolgimento di un’attività lavorativa, il che comprometterebbe la sua integrazione.
27. In tali circostanze, il il Raad van State (Consiglio di Stato) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’articolo 34 della direttiva qualifiche debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui all’articolo 7b [della legge sull’integrazione civica], in base alla quale ai [rifugiati] viene imposto l’obbligo di superare un esame di integrazione civica, a pena di un’ammenda.
2) Se l’articolo 34 della direttiva qualifiche debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che presuppone che lo stesso [rifugiato] si faccia personalmente carico di tutti i costi del programma di integrazione.
3) Se per rispondere alla seconda questione assuma rilevanza la circostanza che i [rifugiati] possono ricevere un prestito statale per pagare le spese dei programmi di integrazione civica e che essi vengono liberati dall’obbligo di rimborsare detto prestito qualora superino nei termini l’esame di integrazione oppure siano stati tempestivamente esentati o dispensati dall’obbligo di integrazione civica.
4) Qualora l’articolo 34 della direttiva qualifiche consenta di imporre ai [rifugiati] un obbligo di superare un esame di integrazione a pena di un’ammenda e consenta che essi sopportino integralmente i costi dei programmi di integrazione civica, se l’ammontare del prestito da rimborsare, eventualmente sommato all’ammenda, pregiudichi o meno la realizzazione dell’obiettivo e l’effetto utile dell’articolo 34 della direttiva qualifiche».
28. T.G., il governo dei Paesi Bassi e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte. Tali parti hanno inoltre svolto osservazioni orali all’udienza tenutasi il 20 febbraio 2024.
III. Valutazione
29. Il rinvio pregiudiziale in esame solleva la questione della misura in cui gli Stati membri possono, in forza della direttiva qualifiche, imporre ai rifugiati, da un lato, un obbligo di superare un esame di integrazione civica, a pena di ammenda, e, dall’altro, un obbligo di farsi carico in tutto o in parte dei costi dei corsi di integrazione civica e del relativo esame.
30. In via preliminare, osservo che il diritto dei Paesi Bassi prevede quattro tipi di obblighi distinti, vale a dire, in primo luogo, l’obbligo di partecipare a corsi di integrazione civica, in secondo luogo, l’obbligo di farsi carico dei costi di tali corsi (per i quali può essere concesso un prestito), in terzo luogo, l’obbligo di sostenere e superare un esame di integrazione civica (e di pagare i relativi costi) e, in quarto luogo, gli obblighi finanziari derivanti dal mancato superamento di tale esame, ossia di pagare un’ammenda e di rimborsare il prestito.
31. Poiché l’obbligo di frequentare i corsi di integrazione civica comporta l’obbligo di sostenerne i costi, questi due obblighi vanno di pari passo e dovrebbero essere analizzati congiuntamente. Cronologicamente, tali due obblighi precedono l’obbligo di sostenere e superare un esame di integrazione nonché gli obblighi finanziari che sorgono per effetto del mancato superamento di detto esame. Pertanto, nelle presenti conclusioni, esaminerò se tali obblighi siano conformi all’articolo 34 della direttiva qualifiche non nell’ordine indicato dal giudice del rinvio, bensì nel loro ordine cronologico. Inoltre, con la sua quarta questione il giudice del rinvio chiede alla Corte, in sostanza, di verificare se gli obblighi summenzionati pregiudichino l’efficacia (effetto utile) di tale direttiva. Affronterò tale questione congiuntamente alle altre.
32. In tale contesto, inizierò esaminando l’obbligo di frequentare corsi di integrazione civica e di farsi carico dei relativi costi, che costituisce l’oggetto della seconda e della terza questione, nonché della prima parte della quarta questione (sezione A). In seguito, mi soffermerò sull’obbligo di sostenere e superare l’esame di integrazione civica e sugli obblighi pecuniari derivanti dal mancato superamento di tale esame, che sono oggetto della prima questione e della seconda parte della quarta questione (sezione B).
A. Obbligo di frequentare corsi di integrazione civica e di farsi carico dei relativi costi
33. Con la seconda e la terza questione, nonché con la prima parte della quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 34 della direttiva qualifiche debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che impone ai rifugiati l’obbligo di farsi carico di tutti i costi dei corsi di integrazione civica, e se assuma rilevanza la circostanza che i rifugiati possono ricevere un prestito statale per pagare i costi di tali corsi e che essi vengono liberati dall’obbligo di rimborsare detto prestito qualora superino nei termini l’esame di integrazione oppure siano stati tempestivamente esentati dall’obbligo di integrazione civica.
34. Prima di rispondere a tali questioni, ritengo necessario svolgere alcune osservazioni preliminari per quanto riguarda le nozioni di integrazione, corsi di integrazione civica ed esami di integrazione. In seguito, poiché l’obbligo di partecipare a tali corsi comporta l’obbligo di pagarli, analizzerò la compatibilità del primo obbligo con l’articolo 34 della direttiva qualifiche. Soltanto in seguito esaminerò il secondo obbligo.
1. Osservazioni preliminari sui corsi di integrazione civica e sugli esami per i rifugiati
35. In via preliminare, in primo luogo è opportuno sottolineare che, come spiegato dal giudice del rinvio, né il riconoscimento né il mantenimento dello status di rifugiato dipendono dalle norme nazionali di cui trattasi nel procedimento principale.
36. In secondo luogo, dalle spiegazioni del giudice del rinvio deduco che, in forza del diritto dei Paesi Bassi, le persone soggette all’obbligo di integrazione civica sono tenute, entro un termine di tre anni – che può tuttavia essere esteso – a superare un esame consistente in varie prove, fra le quali prove relative alle competenze orali e scritte in lingua neerlandese, almeno di livello A2, e sulla conoscenza della società dei Paesi Bassi (9). I corsi sembrano essere collegati a tale esame, e includono, quindi, corsi di lingua e di conoscenza della società dei Paesi Bassi (10). Pertanto, ai fini dell’analisi di cui alle presenti conclusioni, la nozione di «corsi di integrazione civica» fa riferimento a corsi connessi alla conoscenza della lingua e della società del paese ospitante (il termine «civica», contenuto in tale espressione), e lo stesso vale per l’«esame di integrazione civica», che include un esame della conoscenza della lingua e della società del paese ospitante (11).
37. In terzo luogo, ai fini delle presenti conclusioni, è importante distinguere tra la nozione di cittadino di un paese terzo e quella di rifugiato, poiché soltanto quest’ultima nozione rientra nell’ambito di applicazione della convenzione di Ginevra e della direttiva qualifiche (12). «[Q]uando i rifugiati sono inclusi nella più ampia categoria dei “migranti”, è probabile che il controllo dei loro movimenti sia prioritario rispetto al soddisfacimento delle loro esigenze di protezione. Così come la linea di demarcazione tra “migrante” e “rifugiato”, anche la distinzione tra controllo migratorio e protezione dei rifugiati è sfumata» (13).
38. A tal riguardo, la Corte ha statuito, al punto 48 della sentenza nella causa P e S (14), che l’obbligo di superare un esame di integrazione civica permette di assicurare l’acquisizione, da parte dei cittadini di paesi terzi interessati, di conoscenze che risultano incontestabilmente utili per stabilire legami con lo Stato membro ospitante e che tale obbligo, accompagnato da un’ammenda, può contribuire alla realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2003/109. Tuttavia, dato che l’articolo 5, paragrafo 2, di tale direttiva prevede che gli Stati membri possano imporre un obbligo di integrazione, mentre siffatta possibilità non è prevista nella direttiva qualifiche, detta sentenza non è applicabile, mutatis mutandis, alla presente causa.
39. Nel caso di specie, dal momento che T.G. ha ottenuto lo status di rifugiato, le presenti conclusioni verteranno unicamente sui diritti riconosciuti ai rifugiati. In tale contesto, la questione fondamentale è se gli Stati membri, sui quali grava un obbligo positivo di facilitare l’integrazione dei rifugiati, possano imporre a questi ultimi obblighi in materia di misure di integrazione e, in caso affermativo, quali.
2. Obbligo di frequentare corsi di integrazione civica
40. Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che il regime di integrazione civica dei Paesi Bassi è considerato, per quanto concerne la previsione dell’obbligo, per gli Stati membri, di garantire l’accesso a programmi di integrazione e del corrispondente diritto, per i rifugiati, di ottenere l’accesso a tali programmi, come una misura di recepimento dell’articolo 34 della direttiva qualifiche (15). Occorre pertanto esaminare la natura giuridica di tale misura e i requisiti di cui all’articolo 34 della direttiva qualifiche al fine di stabilire se gli Stati membri possano imporre ai rifugiati un obbligo di frequentare corsi di integrazione civica.
a) Discrezionalità degli Stati membri quanto al carattere obbligatorio o meno della partecipazione ai programmi di integrazione
41. Occorre anzitutto rilevare che, nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, l’Unione europea e gli Stati membri possiedono competenze concorrenti, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera j), TFUE (16). Conformemente all’articolo 2, paragrafo 2, TFUE, quando i trattati attribuiscono all’Unione una competenza concorrente con quella degli Stati membri in un determinato settore, gli Stati membri possono esercitare la loro competenza nella misura in cui l’Unione non ha esercitato la propria (17). Per quanto riguarda i programmi di integrazione, il legislatore dell’Unione ha adottato l’articolo 34 della direttiva qualifiche, il quale impone agli Stati membri l’obbligo di garantire l’accesso a programmi di integrazione. Tale obbligo discende dalla formulazione stessa di tale disposizione, ai sensi della quale «gli Stati membri garantiscono l’accesso ai programmi d’integrazione». Come corollario di tale obbligo, l’articolo 34 della direttiva qualifiche attribuisce ai rifugiati un diritto di accesso a tali programmi (18).
42. Ne consegue che tale disposizione stabilisce un obbligo per gli Stati membri – e soltanto per gli Stati membri – di garantire l’accesso a tali programmi e impone loro di tener conto delle esigenze particolari dei rifugiati nel concedere tale accesso (19). Pertanto, nulla nel testo di tale disposizione indica che i rifugiati siano tenuti a partecipare alle misure di integrazione. A mio avviso, un requisito di tal genere andrebbe al di là delle intenzioni del legislatore dell’Unione (20). Per quanto concerne i rifugiati, la direttiva qualifiche conferisce un diritto di accesso a programmi di integrazione e non impone ai rifugiati un corrispondente obbligo. A condizione che l’esercizio di tale diritto non sia soggetto a limiti in contrasto con il diritto dell’Unione e, in particolare, con la direttiva qualifiche, gli Stati membri godono di un margine di discrezionalità quanto al carattere obbligatorio o non obbligatorio della partecipazione ai programmi di integrazione. A tale condizione, uno Stato membro può obbligare i rifugiati a frequentare corsi di integrazione civica, dato che tale obbligo non rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva e, quindi, del diritto dell’Unione (21).
43. Si pone poi la questione della misura in cui l’articolo 34 della direttiva qualifiche osti a che gli Stati membri prevedano, nella loro normativa nazionale, che i rifugiati siano tenuti a partecipare a programmi di integrazione, in quanto siffatto obbligo potrebbe compromettere i diritti connessi allo status di rifugiato, compreso il diritto di accesso a tali programmi.
b) Requisiti previsti dalla direttiva qualifiche
44. Come già affermato dalla Corte, gli Stati membri non possono applicare una normativa nazionale tale da compromettere la realizzazione degli obiettivi della direttiva qualifiche e, pertanto, da privarla del suo effetto utile (22). È importante che le disposizioni nazionali applicabili non siano tali da pregiudicare le norme minime introdotte da tale direttiva e, in particolare, dal suo articolo 34.
45. Secondo una giurisprudenza costante, ai fini dell’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (23).
1) Interpretazione testuale
46. Per quanto riguarda la formulazione dell’articolo 34 della direttiva qualifiche, come ho indicato in precedenza (24), tale articolo prevede, in primo luogo, un obbligo per gli Stati membri di garantire l’accesso a programmi di integrazione e un corrispondente diritto dei rifugiati di accedere a tali programmi.
47. Per quanto riguarda i termini «integrazione» e «facilitare», è importante operare una distinzione tra queste due nozioni. L’integrazione si realizza, di regola, quando gli individui sono in grado di assimilare le norme culturali della cultura dominante o ospitante, mantenendo al contempo la loro cultura di origine – ed è quindi spesso sinonimo di biculturalismo (25) – mentre l’espressione «facilitare l’integrazione» dovrebbe essere intesa come l’adozione di misure che, tra l’altro, forniscono ai rifugiati sostegno e assistenza, sicurezza, stabilità, programmi di integrazione, legami culturali, corsi linguistici o corsi di apprendimento della cultura, dei valori nazionali, delle norme fondamentali, dei principi e degli stili di vita (26). Ne consegue che l’obiettivo di facilitare l’integrazione racchiude in sé un obbligo che incombe alla società dello Stato membro ospitante. Pertanto, laddove l’articolo 34 della direttiva qualifiche menziona l’atto di facilitare, esso impone un obbligo in capo agli Stati membri, i quali sono tenuti ad adottare misure positive che permettano ai rifugiati di integrarsi (27). Inoltre, tale nozione comprende non soltanto corsi, ma anche la creazione di altri legami giuridici, economici, sociali e culturali, nonché la previsione di un insieme di mezzi di sostegno. Ne consegue che i programmi di integrazione, che, di regola, assumono la forma di corsi di integrazione, sono soltanto uno dei tanti altri mezzi per facilitare l’integrazione. Come emerge dal considerando 47 della direttiva qualifiche, tali programmi includono, se del caso, l’offerta di una formazione linguistica e «di informazioni sui diritti e sugli obblighi individuali connessi allo status di [rifugiato] riconosciuto nello Stato membro in questione» (28).
48. In secondo luogo, l’articolo 34 della direttiva qualifiche prevede un obbligo di «garanti[re] l’accesso ai programmi d’integrazione» o «crea[re] i presupposti che garantiscono l’accesso a tali programmi». L’espressione «crea[re] i presupposti che garantiscono l’accesso a (...) programmi [di integrazione]» indica che gli Stati membri hanno l’obbligo di creare attivamente condizioni che garantiscano ai rifugiati la possibilità di partecipare a programmi di integrazione. Nonostante l’impiego della congiunzione «o» in tale disposizione, la deduzione logica è che l’obbligo di creare tali presupposti è un obbligo aggiuntivo rispetto a quello di garantire l’accesso a programmi di integrazione e che sorge qualora la persona interessata necessiti di assistenza per accedere a tali programmi.
49. In terzo luogo, l’articolo 34 della direttiva qualifiche stabilisce che i programmi di integrazione devono essere «adeguati, in modo da tenere conto delle esigenze particolari dei beneficiari dello status di rifugiato». Tale obbligo implica che, come enunciato nel considerando 47, i programmi di integrazione rivolti ai rifugiati dovrebbero tenere conto, per quanto possibile, delle particolari esigenze e delle specificità della situazione dei rifugiati, ivi inclusa ove opportuno, l’offerta di una formazione linguistica e di informazioni sui diritti e sugli obblighi individuali connessi allo status di protezione riconosciuto nello Stato membro in questione.
50. Ne consegue che, se un’interpretazione letterale dell’articolo 34 della direttiva qualifiche obbliga gli Stati membri a tener conto delle esigenze particolari dei rifugiati, essa non consente di stabilire se gli Stati membri possano imporre ai rifugiati un obbligo di frequentare corsi di integrazione civica. È pertanto essenziale esaminare il contesto in cui si inserisce tale disposizione e la finalità della direttiva.
2) Interpretazione contestuale
51. Secondo la giurisprudenza della Corte, l’interpretazione della direttiva qualifiche deve essere effettuata nel rispetto della convenzione di Ginevra e degli altri trattati pertinenti di cui all’articolo 78, paragrafo 1, TFUE, nonché dei diritti riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») (29). Inoltre, occorre tener conto della giurisprudenza relativa ai diritti conferiti dal capo VII di tale direttiva.
i) Articolo 34 della convenzione di Ginevra
52. L’articolo 34 della direttiva qualifiche recepisce nel diritto dell’Unione, sia pure parzialmente, l’articolo 34 della convenzione di Ginevra, sicché il primo deve essere interpretato alla luce di tale disposizione della convenzione, ma unicamente nei limiti in cui è stato incorporato nel diritto dell’Unione. L’articolo 34 della direttiva qualifiche deve garantire un livello di protezione almeno equivalente a quello offerto dall’articolo 34 della convenzione di Ginevra (30).
53. A tal riguardo, dalla formulazione dell’articolo 34 della convenzione di Ginevra risulta che gli Stati contraenti sono tenuti, in particolare, a facilitare, entro i limiti del possibile, l’assimilazione dei rifugiati. Il commentario alla convenzione di Ginevra (31) corrobora la tesi secondo cui tale convenzione obbliga gli Stati parte a fornire accesso a una formazione linguistica. Il termine «assimilazione» fa riferimento a corsi di lingua e di conoscenza della società. Pertanto, l’articolo 34 della direttiva qualifiche deve essere interpretato nel senso che stabilisce una norma minima di integrazione nella società dello Stato membro ospitante.
54. Inoltre, dal termine «facilitano», di cui all’articolo 34 della convenzione di Ginevra, discende che gli Stati devono tener conto delle vulnerabilità delle persone aventi lo status di rifugiato, che sono al centro di tale convenzione. I redattori della convenzione di Ginevra hanno escluso il ricorso alla coercizione o l’imposizione di un obbligo in capo ai rifugiati (32). L’Ufficio dell’UNHCR sottolinea inoltre che, a causa della particolare vulnerabilità dei rifugiati, non dovrebbero essere inflitte sanzioni a coloro che non riescono a superare una prova linguistica (33). L’obiettivo di «facilita[re] l’assimilazione», di cui all’articolo 34 della convenzione di Ginevra, è consentire ai rifugiati di beneficiare di una serie di diritti connessi allo status di rifugiato. Ne consegue che l’articolo 34 della direttiva qualifiche, letto alla luce della convenzione di Ginevra, deve essere interpretato nel senso che mira a favorire l’integrazione, e non a imporre restrizioni suscettibili di ostacolare tale obiettivo. Analogamente, tale disposizione deve essere interpretata nel senso che, nel facilitare l’integrazione, gli Stati membri devono tener conto delle vulnerabilità delle persone aventi lo status di rifugiato e garantire il godimento dei diritti connessi a tale status.
ii) Diritto di asilo sancito dall’articolo 18 della Carta
55. L’articolo 18 della Carta sancisce il «diritto di asilo». Secondo le spiegazioni relative a tale disposizione, di cui occorre tener conto in sede di sua interpretazione (34), «[i]l testo dell’articolo è stato basato sull’[ex articolo 63 TCE], ora sostituito dall’articolo 78 [TFUE], che impone all’Unione di rispettare la convenzione di Ginevra sui rifugiati». Le spiegazioni suggeriscono quindi, come sostenuto da alcuni studiosi, che l’articolo 18 della Carta non possiede un contenuto autonomo, ma si limita ad attuare le garanzie enunciate nella convenzione di Ginevra e nel suo protocollo (35).
56. Tuttavia, il richiamo alla convenzione di Ginevra non significa che l’articolo 18 della Carta non abbia un valore aggiunto. Anzitutto, il diritto di asilo non trova il suo fondamento nel diritto derivato dell’Unione, ma è sancito nel diritto primario dell’Unione, e non soltanto come base giuridica che consente al legislatore dell’Unione di incorporare la convenzione di Ginevra nell’ordinamento giuridico dell’Unione, bensì anche in qualità di diritto fondamentale. A differenza della convenzione di Ginevra, che può essere interpretata nel senso che si limita a imporre obblighi internazionali in capo alle parti contraenti, la Carta conferisce al diritto di asilo la dimensione di diritto fondamentale.
57. A mio avviso, tale dimensione corrobora la tesi secondo cui l’articolo 34 della direttiva qualifiche e le altre disposizioni contenute nel capo VII di quest’ultima devono essere interpretati nel senso che sanciscono diritti, poiché offrono un’espressione concreta all’articolo 18 della Carta (36). Pertanto, il fatto che spetti agli Stati membri decidere se imporre ai rifugiati un obbligo di frequentare corsi di integrazione civica non può rimettere in discussione il diritto di asilo in quanto tale, né compromettere l’effettività dei diritti connessi allo status di rifugiato.
58. Pertanto, mi sembra che l’articolo 18 della Carta consenta di corroborare la tesi secondo cui il diritto di asilo consiste, anzitutto e soprattutto, nell’attribuire diritti ai rifugiati, e non nell’imporre obblighi suscettibili di compromettere l’effettività di tali diritti.
iii) Diritti conferiti dal capo VII della direttiva qualifiche
59. Occorre tener conto della natura specifica del capo VII della direttiva qualifiche. In particolare, per quanto riguarda i diritti conferiti dal capo VII della direttiva 2004/83, predecessore del capo VII della direttiva qualifiche, la Corte ha dichiarato che, «[p]oiché tali diritti conferiti ai rifugiati sono la conseguenza del riconoscimento dello status di rifugiato (...), per tutto il tempo in cui possiede tale status il rifugiato deve beneficiare dei diritti che gli sono così garantiti dalla direttiva 2004/83; tali diritti possono essere limitati soltanto nel rispetto delle condizioni fissate dal capo VII di tale direttiva e gli Stati membri non hanno il diritto di aggiungere restrizioni che non siano in esso previste» (37). Dato che il capo VII della direttiva qualifiche contiene disposizioni quasi identiche al capo VII della direttiva precedente, tale giurisprudenza resta pertinente. A tal riguardo, la Corte ha statuito che uno Stato membro non dispone di alcun potere discrezionale per continuare a concedere a tale rifugiato le prestazioni concrete garantite dal capo VII della direttiva 2004/83 o per rifiutargliele (38).
60. Pertanto, occorre verificare se l’obbligo di frequentare i corsi di integrazione civica di cui trattasi nel procedimento principale determini una restrizione dei diritti connessi allo status di rifugiato che non sono previsti nel capo VII della direttiva qualifiche e, in particolare, se esso incida sull’accesso dei rifugiati ai programmi di integrazione loro garantito da tale direttiva (39).
3) Interpretazione teleologica
61. Come ho già sottolineato, gli Stati membri non possono impedire ai rifugiati un accesso effettivo ai programmi di integrazione e il godimento di altri diritti connessi allo status di rifugiato (40). Pertanto, quando gli Stati membri impongono condizioni che i rifugiati devono soddisfare al fine di partecipare a programmi di integrazione, essi sono tenuti a rispettare i due obiettivi perseguiti dall’articolo 34 della direttiva qualifiche: in primo luogo, garantire l’accesso ai programmi di integrazione o creare i presupposti che garantiscono l’accesso a tali programmi; in secondo luogo, tenere conto delle esigenze particolari dei rifugiati.
62. Per quanto riguarda il primo obiettivo, nel contesto dei lavori preparatori, la relazione che accompagna la proposta della Commissione indica che l’obiettivo dei programmi di integrazione è fornire «un sostegno specifico ai gruppi svantaggiati», «piuttosto che semplicemente riconoscere loro la parità di accesso alle tradizionali opportunità di occupazione e di istruzione» (41). Pertanto, poiché l’articolo 34 della direttiva qualifiche costituisce una misura per il livellamento verso l’alto di un «gruppo svantaggiato», al fine di collocare detto gruppo a un livello analogo a quello dei cittadini degli Stati membri ospitanti sotto il profilo delle opportunità di occupazione e istruzione, tale misura dovrebbe essere attuata in modo da permettere un accesso effettivo ai programmi di integrazione (42). In caso contrario, tale misura non potrà raggiungere il suo obiettivo di livellamento verso l’alto.
63. Per quanto riguarda il secondo obiettivo, ai sensi dell’articolo 34 della direttiva qualifiche gli Stati membri sono altresì tenuti a «tenere conto delle esigenze particolari dei beneficiari dello status di rifugiato» (43). A tale riguardo, il considerando 47 aggiunge che i programmi di integrazione rivolti ai rifugiati dovrebbero tenere conto, per quanto possibile, delle particolari esigenze e delle specificità della situazione degli interessati, ivi inclusa ove opportuno, l’offerta di una formazione linguistica e di informazioni sui diritti e sugli obblighi individuali connessi allo status di protezione riconosciuto nello Stato membro in questione.
64. Inoltre, nel contesto dei lavori preparatori, la Commissione ha affermato, in particolare, per quanto concerne l’accesso agli strumenti di integrazione e il contenuto della protezione ai sensi della direttiva qualifiche, che «[p]er garantire l’effettivo esercizio dei diritti formalmente riconosciuti ai beneficiari di protezione occorre risolvere i loro specifici problemi di integrazione» (44). Per quanto riguarda l’accesso agli strumenti di integrazione, secondo la Commissione «le effettive opportunità di integrazione dei [rifugiati] aumenterebbero notevolmente se gli strumenti di integrazione tenessero adeguatamente conto del loro grado di istruzione, delle esperienze professionali e della specificità della loro situazione» (45).
65. La valutazione d’impatto di detta proposta menziona, quali esempi di tali programmi di integrazione «programmi di introduzione e formazione linguistica adeguati per quanto possibile a tali esigenze particolari» (46). Il riferimento all’«adeguatezza» significa che gli Stati membri «hanno la facoltà di applicare le misure che ritengono più adeguate ed efficaci, tenendo conto di fattori pertinenti quali il livello di istruzione e l’esperienza professionale delle persone interessate, le dimensioni e la composizione delle comunità dei beneficiari di protezione internazionale» (47).
66. Ne consegue, a mio avviso, che l’imposizione in capo ai rifugiati di un obbligo di frequentare corsi di integrazione civica non costituisce, di per sé, una restrizione del diritto di accesso a programmi di integrazione e non è quindi esclusa dall’articolo 34 della direttiva qualifiche. Tuttavia, alla luce dell’obiettivo di facilitare l’integrazione, tali corsi dovrebbero essere adeguati, per quanto possibile, alle esigenze dei rifugiati e, se del caso, contribuire al livellamento verso l’alto di un «gruppo svantaggiato».
c) Applicazione alla presente causa
67. Nella presente causa, è indubbio che l’acquisizione di conoscenze relative alla lingua e alla società dello Stato membro ospitante contribuisce ad agevolare l’esercizio quotidiano della maggior parte dei diritti garantiti dalla direttiva qualifiche, in particolare per quanto concerne l’accesso all’occupazione, all’istruzione, alla protezione sociale, all’assistenza sanitaria e all’alloggio. Di conseguenza, è probabile che la frequenza di corsi di integrazione civica agevoli la realizzazione degli obiettivi della direttiva qualifiche e renda effettivo il godimento dei diritti connessi allo status di rifugiato. Ne consegue un obbligo di partecipare a tali corsi non può essere considerato, di per sé, come un limite all’accesso ai diritti conferiti dal capo VII di tale direttiva e, in particolare, dall’articolo 34 di quest’ultima.
68. Tuttavia, la valutazione sarebbe diversa se, nella pratica, l’obbligo di partecipare a tali corsi limitasse od ostacolasse la possibilità, per i rifugiati, di esercitare i loro diritti e godere dei benefici garantiti dalla direttiva qualifiche. Come sottolineato dalla Commissione, ciò può verificarsi, ad esempio, ove la frequenza e la durata delle lezioni o il carico di lavoro legato alla preparazione di tali lezioni impedisca ai rifugiati di esercitare un’attività lavorativa o di cercare un lavoro, oppure ostacoli il loro diritto all’istruzione e alla formazione professionale (48). Lo stesso dicasi qualora i corsi di integrazione non siano adeguati alle esigenze particolari dei rifugiati, ad esempio ove siano offerte opportunità di istruzione limitate o il rifugiato possieda un basso livello di alfabetizzazione. Per completezza, è opportuno precisare che, poiché mi occuperò degli aspetti finanziari di tali corsi ed esami nella sezione B delle presenti conclusioni, le considerazioni che seguono non riguardano tale aspetto.
69. Pertanto, spetta al giudice del rinvio verificare se l’obbligo di frequentare i corsi di integrazione civica di cui trattasi e, segnatamente, la sua attuazione pratica limiti l’accesso ai diritti conferiti dalla direttiva qualifiche e, in particolare, a quelli conferiti dal capo VII di quest’ultima. Inoltre, spetta al giudice del rinvio stabilire se il contenuto e le condizioni di tali corsi, che sono resi obbligatori per i rifugiati in forza del diritto nazionale, tengano conto delle loro esigenze particolari. A tal fine, occorre esaminare se la difficoltà e il volume dei corsi siano adeguati alle esigenze particolari del rifugiato, al fine di conseguire l’obiettivo di livellamento verso l’alto menzionato in precedenza.
3. Obbligo di farsi carico dei costi dei corsi di integrazione civica
70. Il giudice del rinvio ha dichiarato che il regime previsto dalla normativa nazionale di cui trattasi si basa sul principio secondo cui i rifugiati sono tenuti a farsi carico dei costi dei programmi di integrazione. A tal fine, possono chiedere e sottoscrivere un prestito per un importo massimo di EUR 10 000. I rifugiati non sono tenuti a rimborsare il prestito qualora abbiano superato tutte le prove dell’esame di integrazione civica entro il termine stabilito oppure se entro tale termine sono stati esentati o dispensati dall’obbligo di integrazione civica. Di converso, qualora non abbiano adempiuto il loro obbligo di integrazione civica, o lo abbiano adempiuto in ritardo, essi sono tenuti, in linea di principio, a rimborsare integralmente il prestito.
71. In via preliminare, occorre sottolineare che, nella presente causa, T.G. ha utilizzato l’intera somma di EUR 10 000 per partecipare a corsi di integrazione civica e sostenere l’esame. In questa fase, analizzerò quindi la sua situazione specifica, tralasciando altri casi in cui una persona potrebbe aver bisogno di meno corsi per superare l’esame e, pertanto, incorrere in spese minori.
72. Ai sensi della direttiva qualifiche, gli Stati membri possono stabilire, conformemente alla loro normativa nazionale, le condizioni da soddisfare per adempiere l’obbligo di frequentare corsi di integrazione civica, purché garantiscano ai rifugiati un accesso effettivo ai programmi di integrazione e il godimento effettivo degli altri diritti previsti al capo VII di tale direttiva. A questa condizione, gli Stati membri possono decidere che i rifugiati stessi debbano farsi carico, in tutto o in parte, dei costi derivanti da tale obbligo, oppure che i contribuenti debbano sostenere detti costi. In ogni caso, come ho già indicato (49), se uno Stato membro sceglie la prima opzione, le condizioni imposte dal suo diritto nazionale non possono compromettere gli obiettivi perseguiti dall’articolo 34 della direttiva qualifiche, ai sensi del quale, in primo luogo, gli Stati membri garantiscono l’accesso ai programmi di integrazione o creano i presupposti che garantiscono l’accesso a tali programmi, e, in secondo luogo, tengono conto delle esigenze particolari dei rifugiati (50).
73. Per quanto concerne il primo obiettivo, poiché l’articolo 34 della direttiva qualifiche costituisce una misura di livellamento verso l’alto di un «gruppo svantaggiato», al fine di porre tale gruppo su un piano di parità rispetto ai cittadini dello Stato membro ospitante a fini di opportunità di occupazione e di istruzione (51), il prezzo che i rifugiati devono pagare per gli esami dovrebbe essere fissato a un livello che permetta un accesso effettivo ai programmi di integrazione (52). Se così non fosse, una misura di tal genere non potrebbe raggiungere il suo obiettivo di livellamento verso l’alto (53).
74. Inoltre, nel fissare tale livello, ritengo che lo Stato membro interessato sia tenuto a verificare se i programmi di integrazione di cui trattasi siano potenzialmente ammissibili al finanziamento nell’ambito del Fondo europeo per i rifugiati (54), che nel 2014 è divenuto il Fondo Asilo, migrazione e integrazione (FAMI) (55) e, in tal caso, se detto fondo sia effettivamente utilizzato per finanziare una parte di tali programmi. Nel caso di specie, spetta al giudice del rinvio stabilire se i programmi di cui trattasi beneficino di finanziamenti provenienti da tale fondo e, in caso affermativo, l’impatto di tale finanziamento sui costi dei corsi di lingua.
75. Qualora uno Stato membro imponga ai rifugiati di farsi carico dei costi dei programmi di integrazione, fissati a un livello tale da consentire un accesso effettivo ai programmi di integrazione (56), i giudici nazionali sono tenuti a esaminare anche le condizioni di pagamento connesse a tali costi. Tali condizioni non possono limitare il diritto di accesso a tali programmi. Come indicato in precedenza, gli Stati membri non possono applicare una normativa nazionale suscettibile di compromettere la realizzazione degli obiettivi della direttiva qualifiche e, quindi di privare quest’ultima del suo effetto utile (57). Ne consegue che l’importo il cui pagamento spetta ai rifugiati non dovrebbe rendere eccessivamente difficile o impossibile l’esercizio del diritto all’integrazione, poiché gli Stati membri hanno l’obbligo di agevolare l’integrazione. Inoltre, l’importo dovuto non dovrebbe avere l’effetto di interferire con l’esercizio di altri diritti previsti dal capo VII della direttiva qualifiche, quali il diritto all’alloggio, all’assistenza medica o all’istruzione. I rifugiati non dovrebbero essere costretti a rinunciare a tali diritti per poter sostenere i costi legati all’adempimento dell’obbligo di integrazione civica.
76. A tale riguardo, per stabilire se una persona debba farsi carico dei costi dei programmi di integrazione, le autorità nazionali devono valutare la situazione economica del rifugiato caso per caso. Siffatta valutazione individuale serve per stabilire in quale misura il rifugiato debba contribuire economicamente al pagamento dei programmi di integrazione e degli esami (58). In altri termini, l’obbligo finanziario di cui trattasi dovrebbe essere imposto in funzione della situazione economica e sociale del rifugiato, e non del superamento o meno dell’esame di integrazione civica. Se le autorità nazionali trasferiscono il costo dei programmi di integrazione civica sui rifugiati, senza tener conto della loro situazione economica e sociale, esse omettono di «crea[re] i presupposti» che «garantiscono l’accesso a tali programmi» in modo effettivo, ai sensi dell’articolo 34 della direttiva qualifiche. A mio avviso, la nozione di «presupposti» indica che una siffatta valutazione individuale deve essere effettuata in via preliminare, vale a dire prima che la persona inizi i corsi di integrazione(59).
77. Inoltre, se il livello dei costi dei corsi è troppo elevato, si pone la questione se lo Stato membro abbia effettivamente garantito l’accesso ai programmi di integrazione avendo imposto al rifugiato di farsi carico dei costi dei corsi di integrazione civica. Poiché il riconoscimento dello status di rifugiato crea un diritto di accesso effettivo ai benefici dell’integrazione previsti dalla direttiva qualifiche ai sensi dell’articolo 34, l’accesso ai programmi di integrazione a condizioni finanziarie onerose, a causa dei costi elevati per il rifugiato, non costituisce un accesso effettivo.
78. Il fatto che le persone soggette all’obbligo di integrazione civica possano chiedere un prestito al fine di finanziare i costi dei programmi di integrazione non modifica tale valutazione, dal momento che il prestito è una mera modalità di proroga dell’obbligo di pagamento. Inoltre, se sul prestito sono riscossi interessi, come sembra avvenire in forza della normativa nazionale, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, l’obbligo di pagamento copre non soltanto il pagamento delle spese dei corsi, ma anche il versamento di interessi sul prestito.
79. In forza della normativa nazionale di cui trattasi, anche in caso di concessione di un prestito al rifugiato, l’obbligo di farsi carico dei costi dell’integrazione grava, in ultima analisi, sul rifugiato. Se un rifugiato non supera l’esame di integrazione civica o non lo supera nei termini previsti, sarà tenuto rimborsare integralmente il prestito e si troverà in una situazione di indebitamento elevato. È probabile che i rifugiati che iniziano la loro vita nello Stato membro ospitante indebitati, incontreranno difficoltà a integrarsi nella società di tale Stato membro. Di conseguenza, vi è il rischio di un doppio svantaggio: da un lato, lo svantaggio di appartenere, in quanto rifugiato, a un gruppo vulnerabile e, dall’altro, quello di dover rimborsare un prestito (ingente) a causa del mancato superamento dell’esame di integrazione civica. Inoltre, è probabile che, qualora una persona non superi l’esame di integrazione, avrà maggiori difficoltà nel trovare un’occupazione, il che significa che i rifugiati che non superano l’esame sono probabilmente il gruppo più svantaggiato e vulnerabile di tutti i rifugiati. Questo duplice svantaggio può, a mio avviso, porre un rifugiato in una situazione di esclusione sociale, che determina una pressione sulle risorse pubbliche e sfocia in una dipendenza economica e una perdita di dignità per i rifugiati (60). Trattasi dell’esatto contrario di ciò il legislatore dell’Unione aveva in mente quando ha deciso che gli Stati membri sono tenuti a facilitare l’integrazione (61). Infine, alla luce degli obiettivi dell’articolo 34 della direttiva qualifiche, il sistema di allocazione dei costi dei corsi o degli esami di integrazione non dovrebbe trasformarsi in un meccanismo punitivo per i rifugiati che ottengono risultati negativi, né in un’opportunità commerciale per le imprese che traggono profitto da tali corsi ed esami.
80. A tal riguardo, rilevo che T.G. ha sottolineato che la Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (in prosieguo: l’«ECRI») (62) ha espresso preoccupazioni relativamente a un gruppo di rifugiati che aveva chiesto e ottenuto asilo prima del 2022, poiché questi ultimi continuavano a essere soggetti alla normativa nazionale in questione e, in particolare, all’obbligo di pagare i costi elevati dei programmi di integrazione civica e, a seconda del caso, all’obbligo di pagare un’ammenda relativamente elevata in caso di inadempimento entro il termine previsto (63). Inoltre, l’ECRI ha concluso che un approccio punitivo all’integrazione, accompagnato da pesanti sanzioni e dal rimborso di prestiti ingenti, non può essere considerato un processo bidirezionale in grado di facilitare, sostenere e favorire l’integrazione.
81. Per quanto riguarda la seconda condizione, ai sensi della quale gli Stati membri devono tener conto delle esigenze particolari dei rifugiati (64), come indicato in precedenza, tale condizione sembra riguardare la parte sostanziale dei corsi, che dovrebbe, per quanto possibile, essere concepita su misura per i rifugiati. A tal riguardo, il costo dei corsi dipende inevitabilmente dalle esigenze dei rifugiati. Tuttavia, l’importo specifico addebitato ai rifugiati non dovrebbe essere così elevato da limitare l’effettivo accesso ai corsi. Inoltre, l’importo non dovrebbe essere elevato per i rifugiati con difficoltà di apprendimento, dal momento che essi avrebbero bisogno di frequentare più corsi e finirebbero per pagare di più, pur trovandosi in una situazione di particolare vulnerabilità. Dovrebbe essere escluso l’approccio per cui più vulnerabile è una persona, di più corsi avrà bisogno e maggiori costi dovrà affrontare.
82. Alla luce di quanto precede, ritengo che l’articolo 34 della direttiva qualifiche debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che impone ai rifugiati l’obbligo di farsi carico dei costi dei programmi di integrazione civica senza che le autorità nazionali abbiano previamente effettuato una valutazione individuale della loro situazione economica e sociale, in quanto tale obbligo è incompatibile con l’obbligo di garantire l’accesso a programmi di integrazione e non crea i presupposti che garantiscono l’accesso a tali programmi. In ogni caso, i costi, se imputati, non devono essere così elevati da privare di effetto utile il diritto di accesso ai programmi di integrazione.
B. Obbligo di sostenere e superare un esame di integrazione civica e sanzioni in caso di inadempimento
83. Con la sua prima questione e con la seconda parte della quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 34 della direttiva qualifiche debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale ai sensi della quale ai rifugiati è imposto l’obbligo, a pena di un’ammenda, di superare un esame di integrazione civica.
1. Compatibilità dell’esame di integrazione con la direttiva qualifiche
84. Come indicato in precedenza, l’articolo 34 della direttiva qualifiche non impedisce espressamente agli Stati membri di imporre ai rifugiati di partecipare a programmi di integrazione civica e frequentare corsi di integrazione. Tuttavia, tali corsi possono condurre a un esame e questa disposizione non impedisce agli Stati membri di imporre ai rifugiati di sostenere esami di integrazione civica (65). In tale prospettiva, occorre esaminare se l’obbligo di sostenere e superare un esame, di cui trattasi nel procedimento principale, pregiudichi l’accesso dei rifugiati ai programmi di integrazione o altri diritti loro garantiti dalla direttiva qualifiche (66). Inoltre, prima di analizzare la distinzione tra sostenere un esame di integrazione e superare tale esame, valuterò la pertinenza della giurisprudenza relativa alla compatibilità degli esami di integrazione con altre direttive applicabili ai cittadini di paesi terzi.
a) Giurisprudenza sugli esami di integrazione nel contesto di altre direttive
85. In primo luogo, nella sentenza P e S (67), la Corte ha statuito che la direttiva 2003/109 non osta a una normativa nazionale che impone ai cittadini di paesi terzi che godano dello status di soggiornanti di lungo periodo l’obbligo di superare un esame di integrazione civica, a pena di ammenda, a condizione che le sue modalità di applicazione non siano tali da compromettere la realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla citata direttiva, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
86. A sostegno di tale conclusione, la Corte ha sottolineato, in particolare, che, per quanto riguarda l’obbligo di superare l’esame di integrazione civica, «non si può negare che l’acquisizione di una conoscenza tanto della lingua quanto della società dello Stato membro ospitante faciliti ampiamente la comunicazione tra i cittadini di paesi terzi e i cittadini nazionali e, inoltre, favorisca l’interazione e lo sviluppo di rapporti sociali tra gli stessi. Neppure si può negare che l’acquisizione della conoscenza della lingua dello Stato membro ospitante renda meno difficile l’accesso da parte dei cittadini di paesi terzi al mercato del lavoro e alla formazione professionale» (68).
87. La Corte ha altresì sottolineato che, poiché l’obbligo di superare un esame «permette di assicurare l’acquisizione da parte dei cittadini di paesi terzi interessati di conoscenze che risultano incontestabilmente utili per stabilire legami con lo Stato membro ospitante, occorre rilevare che tale obbligo, di per sé, non compromette la realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2003/109, ma può viceversa contribuire alla loro realizzazione» (69).
88. In secondo luogo, nella sentenza K e A (70), la Corte ha dichiarato, analogamente, che la direttiva 2003/86 non osta a che gli Stati membri impongano ai cittadini di paesi terzi di superare un esame di integrazione civica. Essa ha statuito che l’obbligo di superare un esame di integrazione civica di livello elementare consente di assicurare l’acquisizione, da parte dei cittadini di paesi terzi interessati, di conoscenze che risultano incontestabilmente utili per instaurare legami con lo Stato membro ospitante.
89. È vero che le considerazioni enunciate nella sentenza P e S (71) e nella sentenza K e A (72) non possono essere applicate, mutatis mutandis, alla presente causa. La prima sentenza riguarda unicamente cittadini di paesi terzi che hanno chiesto lo status di soggiornante di lungo periodo ai sensi della direttiva 2003/109 (73), la quale riconosce il diritto a tale status ai cittadini di paesi terzi che abbiano soggiornato per un periodo di cinque anni nel territorio di uno Stato membro e che, al suo articolo 5, paragrafo 2, consente espressamente agli Stati membri di prevedere condizioni di integrazione ai fini dell’ottenimento di detto status. La seconda sentenza riguarda l’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/86, che consente agli Stati membri di imporre ai cittadini di paesi terzi di soddisfare misure di integrazione, nel rispetto del diritto nazionale, ai fini del ricongiungimento familiare ai sensi di tale direttiva. Di converso, la direttiva qualifiche non contiene alcuna disposizione equivalente alle due disposizioni menzionate. A tal riguardo, come risulta dall’articolo 13 della direttiva qualifiche, gli Stati membri sono tenuti a riconoscere lo status di rifugiato qualora siano soddisfatte le condizioni previste ai capi II e III di tale direttiva. L’integrazione non è una condizione per ottenere lo status di rifugiato. Inoltre, dal considerando 12 della direttiva qualifiche discende che lo scopo principale delle disposizioni della direttiva in parola non è garantire l’integrazione dei rifugiati in quanto tale, bensì garantire l’applicazione di criteri comuni per l’identificazione delle persone che hanno bisogno di protezione internazionale, nonché un livello minimo di benefici per tali persone in tutti gli Stati membri (status uniforme) (74).
90. Ciò premesso, in queste due cause, le considerazioni della Corte relative all’utilità e alla necessità di acquisire una conoscenza della lingua e della società dello Stato membro ospitante ai fini dell’accesso al mercato del lavoro e al sistema di istruzione sono, in linea di principio, universali, e possono essere applicate a tutti i cittadini di paesi terzi, indipendentemente dal loro status. Tali considerazioni sono valide, quindi, per quanto riguarda i rifugiati. Poiché, a differenza delle disposizioni delle direttive 2003/109 e 2003/86, l’articolo 34 della direttiva qualifiche sancisce un diritto di accesso ai programmi di integrazione, occorre operare una distinzione tra l’obbligo di sostenere un esame di integrazione e l’obbligo di superarlo.
b) Obbligo di sostenere un esame di integrazione
91. Se un rifugiato ha il diritto di accedere ai programmi di integrazione, l’obbligo di frequentare corsi civici e di sostenere un esame può, in una certa misura, favorire l’acquisizione delle conoscenze impartite durante tali corsi e facilitare così l’integrazione. Dalla prospettiva del rifugiato, la preparazione di un esame permette di assimilare conoscenze e lo motiva a sostenere uno sforzo supplementare. Dalla prospettiva dello Stato membro, l’organizzazione di esami è un mezzo per valutare se una persona abbia assimilato le conoscenze impartite in un corso. Pertanto, la realizzazione di esami può essere uno strumento utile per misurare e controllare l’efficacia dei corsi, a maggior ragione se tali corsi sono finanziati con risorse pubbliche. Inoltre, può essere uno strumento utile per consentire agli Stati membri di ottenere riscontri in merito alle competenze in materia di integrazione e alle conoscenze non soltanto dei rifugiati in quanto gruppo, ma anche dei rifugiati considerati individualmente, come mezzo per fornire loro soluzioni maggiormente su misura.
92. Di conseguenza, ritengo che la partecipazione a esami nel contesto di corsi di integrazione possa contribuire al processo di apprendimento, facilitando così l’integrazione dei rifugiati. Ritengo che, in un caso del genere, il fatto che gli Stati membri impongano ai rifugiati di sostenere un esame al termine del programma non sia, di per sé, tale da compromettere la realizzazione degli obiettivi della direttiva qualifiche, a condizione che il termine previsto per gli esami e il carico di lavoro richiesto non pregiudichino il godimento effettivo degli altri diritti e benefici garantiti dalla direttiva qualifiche. A tal riguardo, è importante osservare che il giudice del rinvio dovrebbe altresì valutare se l’obbligo di sostenere l’esame entro un termine di tre anni, quale attualmente previsto dalla normativa nazionale di cui trattasi, sia adeguato, tenuto conto di elementi quali, in primo luogo, il contenuto, la mole e la rilevanza delle nozioni impartite durante i corsi, in secondo luogo, della capacità dell’interessato di assimilare tali nozioni, in terzo luogo, del tempo necessario per assimilarle e, in quarto luogo, del fatto se l’esame stesso sia strutturato e organizzato in modo da consentire alla persona che lo sostiene di dimostrare le conoscenze acquisite.
93. Tuttavia, a differenza delle disposizioni delle direttive 2003/109 e 2003/86, l’articolo 34 della direttiva qualifiche contiene un obbligo, per gli Stati membri, di adeguare per quanto possibile i programmi di integrazione alle esigenze dei rifugiati (75), il che significa che, qualora gli Stati membri decidano di procedere a tali esami, il loro contenuto e le relative scadenze dovrebbero essere adattate a tali esigenze, il che potrebbe richiedere un adeguamento dei metodi di esame.
94. Ne consegue che l’obbligo di sostenere un esame può costituire un mezzo per garantire che l’interessato acquisisca conoscenze che, per i rifugiati, risultano incontestabilmente utili per instaurare legami con lo Stato membro ospitante. Pertanto, si può affermare che l’obbligo di sostenere un esame non compromette, di per sé, la realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla direttiva qualifiche, ma può viceversa contribuire alla loro realizzazione (76). Tuttavia, tenuto conto dell’obiettivo dell’esame, quale indicato in precedenza, a mio avviso si dovrebbe dispensare i rifugiati dal pagamento dei costi dell’esame. Sebbene, nel caso di specie, sostenere l’esame una volta costi 290 EUR, l’importo speso aumenterà in caso di ulteriori tentativi (77), il che significa, probabilmente, che i rifugiati in tale situazione disporranno di meno risorse per esercitare altri diritti ai sensi del capo VII della direttiva qualifiche.
95. A tal riguardo, è importante notare che la Corte ha stabilito, nelle sentenze nelle summenzionate cause – P e S (78), da un lato, e K e A (79) dall’altro – che l’importo delle spese relative all’esame di integrazione civica poteva compromettere, rispettivamente, la realizzazione dell’obiettivo dell’integrazione di cittadini di paesi terzi ai sensi della direttiva 2003/109 e l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare ai sensi della direttiva 2003/86, privando tali direttive del loro effetto utile (80). Le due cause in parola vertevano sul pagamento di un’ammenda che sanzionava l’inosservanza dell’obbligo di superare l’esame di integrazione civica, oltre al pagamento dei costi sostenuti per gli esami. Tali sentenze sono quindi rilevanti per i rifugiati che possono incontrare difficoltà nel pagare il costo dell’esame una o più volte. Poiché il diritto di accesso ai programmi di integrazione è un diritto conferito ai rifugiati dalla direttiva qualifiche, la previsione di un costo legato all’esame priva l’articolo 34 del suo effetto utile.
c) Obbligo di superare un esame di integrazione
96. Per quanto riguarda l’obbligo di superare un esame di integrazione, il diritto dei Paesi Bassi prevede, in sostanza, che i rifugiati siano tenuti, entro un determinato termine, a superare un esame di verifica della loro conoscenza della lingua neerlandese e della società dei Paesi Bassi.
97. È opportuno rilevare che, nella sua giurisprudenza, la Corte si è occupata dei requisiti di integrazione previsti per l’acquisizione dello status di soggiornante di lungo periodo e del diritto al ricongiungimento familiare (81). Tuttavia, nel caso di specie, gli esami di integrazione possono essere considerati soltanto come un mezzo per migliorare le competenze e le conoscenze della persona nel contesto dell’esercizio dei diritti ad essa attribuiti, ai sensi dell’articolo 34 della direttiva qualifiche. Come indicato in precedenza, l’obbligo di sostenere e superare esami di integrazione civica non incide sull’acquisizione dello status di rifugiato. Di conseguenza, come dichiarato dalla Commissione, su tale punto le considerazioni derivanti dalla giurisprudenza relativa alle direttive 2003/109 e 2003/86 non possono essere applicate mutatis mutandis alla direttiva qualifiche.
98. L’obbligo di superare un esame implica l’esistenza di un punteggio minimo da raggiungere per superare o meno l’esame. Nel contesto della direttiva qualifiche, è possibile che l’imposizione di un siffatto punteggio non determini una situazione che rende eccessivamente difficile o impossibile il diritto di accesso ai programmi di integrazione e il loro proficuo completamento. Le conseguenze derivanti dal fallimento di raggiungere un punteggio minimo in un esame possono essere demotivanti o alienanti per i rifugiati, e potrebbero quindi ostacolare la loro integrazione all’atto pratico.
99. Nella sua nota sull’integrazione dei rifugiati nell’Unione europea, l’UNHCR ha sottolineato che l’introduzione di esami linguistici rigorosi e di esami sulla storia e sulla cultura del paese ospitante può penalizzare alcune categorie di rifugiati, in particolare le persone anziane o analfabete (82).
100. Alla luce di tali considerazioni, ai sensi dell’articolo 34 della direttiva qualifiche gli Stati membri non sono legittimati, a mio avviso, a imporre ai rifugiati l’ottenimento di un punteggio minimo negli esami di integrazione a titolo di prova di integrazione. Di conseguenza, il fatto che uno Stato membro imponga l’obbligo di superare un esame di conoscenza della lingua o della società dello Stato membro ospitante non può essere considerato una misura che contribuisce alla realizzazione degli obiettivi di tale direttiva.
101. Inoltre, l’esistenza del requisito di superare un esame di integrazione implica necessariamente, al fine di garantire il carattere obbligatorio di tale superamento, l’imposizione di una sanzione (pecuniaria o di altra natura). Esaminerò tale aspetto nel prosieguo.
2. Sanzioni: obbligo di pagare un’ammenda e obbligo di rimborsare il prestito
102. Il regime sanzionatorio si compone di due aspetti. In primo luogo, il mancato superamento dell’esame di integrazione è passibile di un’ammenda fino a EUR 1 250, la cui imposizione può ripetersi ad opera del Ministro. Tuttavia, nel caso di specie, il ministro ha inflitto a T.G. un’ammenda di EUR 500 e non vi è traccia, nel fascicolo, del fatto che tale ammenda sia stata inflitta nuovamente. Pertanto, la presente causa non riguarda né l’importo massimo dell’ammenda né la sua imposizione ripetuta. In secondo luogo, esiste un obbligo di rimborsare il prestito fino a un importo massimo di EUR 10 000. Sebbene il giudice nazionale non lo qualifichi come una «sanzione», esso può diventarlo qualora il rifugiato non superi in tempo utile l’esame di integrazione e, in tali circostanze, esso acquisisce carattere punitivo. Queste due «sanzioni» coesistono e sono inflitte cumulativamente. Nel caso di specie, T.G. è stato esentato, di fatto, dal suo obbligo di integrazione a decorrere dal dicembre 2021, tenuto conto degli sforzi da lui compiuti, ma le due sanzioni pecuniarie sono rimaste valide.
103. In via preliminare, ricordo che, come sottolinea anche l’UNHCR, a causa della particolare vulnerabilità dei rifugiati non dovrebbero essere imposte sanzioni a coloro che non superano un esame di integrazione. I redattori della convenzione di Ginevra hanno espressamente escluso il ricorso alla coercizione o l’imposizione di un obbligo in capo ai rifugiati (83). L’assenza di coercizione dovrebbe costituire una guida nell’interpretazione dell’articolo 34 della direttiva qualifiche (84). In particolare, l’assenza di coercizione implica che le misure volte a facilitare l’integrazione non possono avere carattere punitivo.
104. Per quanto riguarda l’obbligo di rimborsare il prestito, l’articolo 34 della direttiva qualifiche impone agli Stati membri di «crea[re] i presupposti» che garantiscono ai rifugiati l’accesso ai programmi di integrazione. Pertanto, l’obbligo di farsi carico dei costi dei corsi e degli esami di integrazione civica nel caso in cui un rifugiato non superi l’esame di integrazione civica entro il termine previsto presenta un carattere punitivo e, in quanto tale, pregiudica l’obiettivo perseguito da tale disposizione. I rifugiati più vulnerabili che non riescono a superare gli esami tempestivamente sono tra le persone più colpite da questa misura punitiva (85).
105. Il fatto che i rifugiati possano accedere a un regime di pagamento che tenga conto della loro capacità contributiva ha scarsa rilevanza in proposito. In tali circostanze, l’obbligo di rimborsare un debito ingente resta in vigore per un periodo fino a 10 anni, il che può effettivamente ostacolare l’effettiva integrazione nello Stato membro. Come indicato dall’ECRI, un approccio punitivo all’integrazione, mediante sanzioni e rimborsi di prestiti ingenti, non può essere considerato un processo in grado di facilitare, sostenere e favorire l’integrazione (86).
106. Inoltre, l’imposizione di un’ammenda di tal genere ai rifugiati comporta necessariamente una riduzione delle loro risorse finanziarie, il che può avere un impatto negativo sull’esercizio dei loro diritti enunciati al capo VII della direttiva qualifiche, in particolare se le loro risorse finanziarie sono già limitate.
107. Come dichiarato dalla Commissione, l’imposizione da parte di uno Stato membro dell’obbligo di superare un esame di integrazione, a pena di ammenda, potrebbe dissuadere i cittadini di paesi terzi dal chiedere protezione internazionale nello Stato membro in questione o causare movimenti secondari verso Stati membri che non impongono un siffatto obbligo. Tuttavia, uno degli obiettivi della direttiva qualifiche è quello di contribuire a limitare i movimenti secondari tra gli Stati membri, come risulta dal suo considerando 13.
108. In ogni caso, qualora la Corte decida che può essere imposta un’ammenda che sanziona l’inadempimento dell’obbligo di superare l’esame di integrazione civica, l’importo di EUR 500 appare sproporzionato e, quindi, contrario al diritto dell’Unione (87).
109. Per tali ragioni, ritengo che l’imposizione, da parte di uno Stato membro, di un obbligo per i rifugiati di superare un esame di integrazione, a pena di dover rimborsare un prestito e di vedersi infliggere un’ammenda, comprometta la realizzazione degli obiettivi della direttiva qualifiche e pregiudichi l’effetto utile dell’articolo 34 di quest’ultima.
IV. Conclusione
110. Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali proposte dal Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi) nei seguenti termini:
Le disposizioni della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, e in particolare il suo articolo 34,
devono essere interpretati nel senso che
– essi non ostano a una normativa nazionale che impone ai rifugiati di frequentare corsi di integrazione civica, purché tale obbligo non limiti l’accesso ai diritti loro conferiti da tale direttiva e, in particolare, dal suo capo VII, e tenga conto delle loro esigenze particolari;
– essi ostano a una normativa nazionale che impone ai rifugiati l’obbligo di farsi carico dei costi elevati dei programmi di integrazione, senza che le autorità nazionali abbiano previamente effettuato una valutazione individuale della loro situazione economica e sociale, in quanto tale obbligo è incompatibile con l’obbligo di garantire l’accesso a programmi di integrazione e non crea i presupposti che garantiscono l’accesso a tali programmi;
– essi non ostano a una normativa nazionale che impone ai rifugiati di sostenere un esame di integrazione civica vertente su competenze orali e scritte nella lingua ufficiale dello Stato membro ospitante nonché sulla conoscenza della società di tale Stato membro; e
– essi ostano a una normativa nazionale che impone ai rifugiati di superare un siffatto esame, a pena di dover rimborsare un prestito e di vedersi infliggere un’ammenda, poiché ciò compromette la realizzazione degli obiettivi della direttiva 2011/95 e pregiudica l’effetto utile dell’articolo 34 di quest’ultima.
1 Lingua originale: l’inglese.
i Il nome della presente causa è un nome fittizio. Non corrisponde al nome reale di nessuna delle parti del procedimento.
2 Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], entrata in vigore il 22 aprile 1954. Essa è stata integrata e modificata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967 ed entrato in vigore il 4 ottobre 1967 (in prosieguo: la «convenzione di Ginevra»).
3 L’articolo 34 di tale convenzione, intitolato «Naturalizzazione», stabilisce che «[g]li Stati Contraenti facilitano, entro i limiti del possibile, l’assimilazione e la naturalizzazione dei rifugiati. Essi si sforzano in particolare di accelerare la procedura di naturalizzazione e di ridurre, per quanto possibile, le tasse e le spese della procedura».
4 Direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9).
5 Sebbene la domanda di pronuncia pregiudiziale e le questioni in essa contenute riguardino i «beneficiari di protezione internazionale», come risulta dalla decisione di rinvio T.G. gode dello status di rifugiato e non sembra necessario esaminare, nelle presenti conclusioni, la situazione dei titolari di protezione sussidiaria. Ai sensi dell’articolo 1, sezione A, paragrafo 2, primo comma, della convenzione di Ginevra, il termine «rifugiato» è applicabile a chiunque, «nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato». Tale definizione è stata incorporata nell’articolo 2, lettera d), della direttiva qualifiche.
6 Sentenza del 4 giugno 2015 (C‑579/13, EU:C:2015:369).
7 Sentenza del 4 giugno 2015 (C‑579/13, EU:C:2015:369).
8 GU 2004, L 16, pag. 44.
9 Articolo 7, paragrafo 2, della legge sull’integrazione civica.
10 V. articolo 16 della legge sull’integrazione civica.
11 Il professor Grahl-Madsen afferma, in particolare, che «[w]hat it meant in Article 34 is in fact the laying of foundations, or stepping stones, so that the refugee may familiarise himself with the language, customs and way of life of the nation among whom he lives, so that he - without any feeling of coercion - may be more readily integrated in the economic, social and cultural life of his country of refuge» [ciò che è inteso nell’articolo 34 è in realtà porre le basi, o pietre miliari, affinché il rifugiato possa familiarizzarsi con la lingua, gli usi e lo stile di vita dello Stato in cui vive, in modo da integrarsi più facilmente, senza alcun sentimento di coercizione, nella vita economica, sociale e culturale del paese verso il quale è fuggito] [v. Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (in prosieguo: l’«UNHCR»), Commentary on the Refugee Convention 1951 (Articles 2-11, 13-37), ottobre 1997, pag. 146].
12 V. , in particolare i considerando 3, 4 e 15 della direttiva qualifiche.
13 Feller, E., ex Assistente dell’Alto Commissario per la protezione presso l’UNHCR.
14 Sentenza del 4 giugno 2015 (C‑579/13, EU:C:2015:369).
15 V. punto 4 della decisione di rinvio.
16 L’articolo 67, paragrafo 2, del TFUE prevede che l’Unione sviluppi una politica comune, fra l’altro, in materia di asilo. Inoltre, l’articolo 78, paragrafo 1, TFUE stabilisce che l’Unione sviluppa una politica comune in materia di asilo conforme alla convenzione di Ginevra. L’articolo 78, paragrafo 2, TFUE aggiunge che, a tal fine, il legislatore dell’Unione adotta le misure necessarie.
17 V., in tal senso, sentenza del 19 settembre 2013, Panellinios Syndesmos Viomichanion Metapoiisis Kapnou (C‑373/11, EU:C:2013:567, punto 26).
18 V., in tal senso, considerando 12 e 40 e articolo 23, paragrafo 2, della direttiva qualifiche, nonché sentenze del 24 giugno 2015, T. (C‑373/13, EU:C:2015:413, punti 95, 96 e 97) e del 14 maggio 2019, M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (C‑391/16, C‑77/17 e C‑78/17, EU:C:2019:403, punti 91 e 99).
19 V., in particolare, relazione della proposta di direttiva del Consiglio recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi ed apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto dello status di protezione (COM/2001/0510 def.). Per quanto riguarda l’articolo 31 [divenuto articolo 34 della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2004, L 304, pag. 12)], la Commissione spiega che è «necessario fornire un sostegno specifico ai gruppi svantaggiati, fra cui numerosi rifugiati, piuttosto che semplicemente riconoscere loro la parità di accesso alle tradizionali opportunità di occupazione e di istruzione».
20 Di converso, nella sua proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme sull'attribuzione a cittadini di paesi terzi o apolidi della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria e sul contenuto della protezione riconosciuta, che modifica la direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (COM/2016/0466 final), il legislatore ha introdotto una disposizione che consente agli Stati membri di rendere obbligatoria la partecipazione dei beneficiari di protezione internazionale a misure di integrazione (articolo 38, paragrafo 2, di detta proposta).
21 V., per analogia, sentenze del 24 ottobre 2013, Drozdovs (C‑277/12, EU:C:2013:685, punto 31 e giurisprudenza ivi citata) e del 14 settembre 2017, Delgado Mendes (C‑503/16, EU:C:2017:681, punto 47).
22 V., in tal senso, sentenza del 4 giugno 2015, P e S (C‑579/13, EU:C:2015:369, punto 45). V. anche articolo 4, paragrafo 3, TUE, dal quale discende che gli Stati membri hanno il dovere di adottare ogni misura atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dalla direttiva qualifiche e di astenersi da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi di tale direttiva. V., per analogia, sentenze del 4 marzo 2010, Chakroun (C‑578/08, EU:C:2010:117, punto 43), in materia di ricongiungimento familiare, e del 28 aprile 2011, El Dridi (C‑61/11 PPU, EU:C:2011:268, punti da 53 a 55), in materia di immigrazione e soggiorno irregolare.
23 Sentenza del 10 settembre 2014, Ben Alaya (C‑491/13, EU:C:2014:2187, punto 22 e giurisprudenza ivi citata).
24 V., supra, paragrafi 41 e 42.
25 Berry, J.W., «Acculturation and adaptation in a new society», International Migration, Vol. 30, 1992, pagg. da 69 a 85.
26 Gli studiosi hanno proposto un quadro concettuale per l’integrazione, raggruppato in quattro aree chiave: i) Fondamentale: status dei rifugiati, accesso ai diritti e cittadinanza; ii) Funzionale: accesso all’alloggio, alla salute, alla sicurezza sociale, a un lavoro dignitoso, a servizi finanziari e all’istruzione; iii) Sociale: legami e vincoli sociali all’interno della comunità ospitante, ponti sociali, reti, legami sociali; iv) Facilitazione: lingua, formazione, assistenza, conoscenze culturali, sicurezza e stabilità. V. Ager, A., e Strang, A., «Understanding integration: A conceptual framework», Journal of Refugee Studies, Vol. 21, 2008, pagg. Da 166 a 191; https://academic.oup.com/jrs/article/21/2/166/1621262. Il capo VII della direttiva qualifiche offre un’espressione concreta ad alcuni di questi settori sotto forma di diritti accordati ai rifugiati.
27 Nel settore dei diritti umani può essere operata una distinzione tra gli obblighi di rispetto, gli obblighi di protezione e gli obblighi di attuazione dei diritti, sebbene tale distinzione non sia ben consolidata. L’articolo 34 della direttiva qualifiche rientra nella terza categoria. In alternativa, è possibile operare una distinzione tra obblighi positivi e obblighi negativi.
28 V. anche la relazione della proposta iniziale di direttiva 2004/83, citata alla nota 19, nella quale la Commissione richiamava il punto 7 degli orientamenti sull’occupazione per il 2001 [decisione 2001/63/CE del Consiglio, del 19 gennaio 2001, relativa a orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione per il 2001 (GU 2001, L 22, pag. 18)], ai sensi del quale «[i] programmi volti a facilitare l’integrazione dei rifugiati nella società dello Stato membro, potrebbero includere, ad esempio», «“piani d’azione su misura” per l’occupazione e l’istruzione», «corsi di lingue», «corsi di formazione professionale di base e di formazione avanzata», «misure volte a favorire l’autosufficienza», «azioni destinate a fornire elementi sulla storia e la cultura dello Stato membro» e «azioni organizzate di concerto con i cittadini dello Stato membro per promuovere la comprensione reciproca».
29 V., in particolare, sentenza del 9 novembre 2021, Bundesrepublik Deutschland (Mantenimento dell’unità del nucleo familiare) (C‑91/20, EU:C:2021:898, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).
30 V., in tal senso, sentenza del 14 maggio 2019, M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (C‑391/16, C‑77/17 e C‑78/17, EU:C:2019:403).
31 Commentary on the Refugee Convention 1951, Articles 2-11, 13-37, pubblicato dalla Division of International Protection dell’UNHCR, 1997, pag. 146.
32 V. il commento del professor Grahl-Madsen citato alla nota 11.
33 V. UNHCR, Note on the Integration of Refugees in the European Union, maggio 2007, disponibile all’indirizzo: https://www.refworld.org/policy/legalguidance/unhcr/2007/en/41624.
34 V. articolo 52, paragrafo 7, della Carta.
35 Lock, T., «Article 18 CFR», in Manuel Kellerbauer, Marcus Klamert, e Jonathan Tomkin (a cura di), The EU Treaties and the Charter of Fundamental Rights: A Commentary, pag. 2154.
36 È importante osservare che il considerando 16 dichiara che la direttiva qualifiche mira ad «assicurare il pieno rispetto della dignità umana, il diritto di asilo dei richiedenti asilo e dei familiari al loro seguito e a promuovere l’applicazione degli articoli 1, 7, 11, 14, 15, 16, 18, 21, 24, 34 e 35 di detta Carta, e dovrebbe pertanto essere attuata di conseguenza».
37 Sentenza del 24 giugno 2015, T. (C‑373/13, EU:C:2015:413, punto 97).
38 Ibidem, punto 95.
39 Ibidem, punto 98.
40 V. supra, paragrafo 44.
41 V. articolo 31 della relazione citata alla nota 19.
42 V. supra, paragrafo 44.
43 V. anche il considerando 41 della direttiva qualifiche.
44 Relazione della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta [SEC (2009) 1373] [SEC (2009) 1374)/(COM(2009) 551 def. –COD 2009/0164/ «Elementi giuridici della proposta», punto 7].
45 Ibidem.
46 Documento di lavoro dei servizi della Commissione che accompagna la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta – Valutazione d’impatto [COM(2009) 551] [SEC(2009) 1374, pag. 33].
47 Ibidem.
48 V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nella causa P e S (C‑579/13, EU:C:2015:39, paragrafo 81).
49 V. supra, paragrafo 44.
50 V., supra, paragrafi 62 e 63.
51 V. la relazione citata alla nota 19.
52 V., per analogia, l’articolo 9, paragrafo 4, della convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, firmata ad Aarhus il 25 giugno 1998 e conclusa a nome della Comunità europea con la decisione 2005/370/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005 (GU 2005, L 124, pag. 1), ai sensi del quale il costo dei procedimenti di ricorso nazionali non deve essere eccessivamente oneroso (sentenza del 15 marzo 2018, North East Pylon Pressure Campaign e Sheehy, C‑470/16, EU:C:2018:185, punto 48).
53 Inoltre, poiché si tratta di una misura per il livellamento verso l’alto, occorre tener conto di corsi di insegnamento analoghi offerti ai cittadini dello Stato membro ospitante o ad altri cittadini di paesi terzi (quali i lavoratori o gli studenti) i quali mirano, parimenti, a livellare verso l’alto tali gruppi sociali, al fine di evitare eventuali discriminazioni a danno dei rifugiati rispetto a tali gruppi.
54 Il 28 settembre 2000 il Consiglio ha adottato la decisione 2000/596/CE, che istituisce un Fondo europeo per i rifugiati come misura di solidarietà volta a promuovere un equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono i rifugiati e gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi.
55 V. articolo 8, lettera d), del regolamento (UE) n. 516/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che istituisce il Fondo Asilo, migrazione e integrazione, che modifica la decisione 2008/381/CE del Consiglio e che abroga le decisioni n. 573/2007/CE e n. 575/2007/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e la decisione 2007/435/CE del Consiglio (GU 2014, L 150, pag. 168), il quale prevede che il Fondo sostiene «l’organizzazione di corsi generali di educazione civica e di lingua».
56 V. supra, paragrafo 44.
57 In particolare, sulla questione dell’effetto utile, per quanto concerne esami di integrazione civica imposti ai sensi della direttiva 2003/109, nella sentenza P e S la Corte è stata chiamata a pronunciarsi sull’importo massimo dell’ammenda prevista nel caso di mancato superamento di tali esami. Nell’ambito della sua valutazione, la Corte ha analizzato i costi di iscrizione alle sessioni di esame, i possibili costi relativi alla preparazione e il fatto che detti costi non erano rimborsati in caso di mancato superamento dell’esame. In tale causa, la Corte ha statuito che il pagamento di un’ammenda, in aggiunta ai costi relativi agli esami effettuati, può compromettere la realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2003/109 e, pertanto, privarla del suo effetto utile. V. sentenza del 4 giugno 2015, P e S (C‑579/13, EU:C:2015:369, punto 54). Nella sentenza del 9 luglio 2015, K e A (C‑153/14, EU:C:2015:453), la Corte ha esaminato la direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU 2003, L 251, pag. 12), nonché l’obbligo, derivante dalla normativa dei Paesi Bassi, di superare un esame di base di integrazione civica all’estero, prima di entrare nel territorio di tale Stato membro. In particolare, per quanto riguarda i costi, la Corte ha dichiarato che, in linea di principio, gli Stati membri possono esigere dai cittadini di paesi terzi di farsi carico dei costi e stabilirne l’importo, purché detto importo non abbia il fine o l’effetto di rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare.
58 V., per analogia, la giurisprudenza relativa alla capacità individuale di far fronte alle spese alla luce del principio della tutela giurisdizionale effettiva ai sensi dell’articolo 47 della Carta. Come dichiarato dall’avvocato generale Kokott nelle sue conclusioni nella causa Edwards (C‑260/11, EU:C:2012:645, paragrafo 38), il patrocinio a spese dello Stato può essere imposto in modo addirittura vincolante qualora i rischi di spese in linea di massima ammissibili, in ragione della limitata capacità dell’interessato di farvi fronte, costituiscano un insormontabile ostacolo all’accesso alla giustizia. V. anche la giurisprudenza citata nella sentenza del 22 dicembre 2010, DEB (C‑279/09, EU:C:2010:811, punti 60 e 61), nonché ordinanza del 13 giugno 2012, GREP (C‑156/12, EU:C:2012:342, punti 40 e ss.).
59 Una valutazione ex post della capacità di far fronte alle spese può inoltre interferire con il diritto del rifugiato di esercitare altri diritti, quali il diritto al lavoro, poiché la considerazione della sua situazione economica a seguito del programma di integrazione può interferire con il suo benessere economico e sociale.
60 V. considerando 16 della direttiva qualifiche.
61 Relazione citata alla nota 19.
62 ECRI Conclusions of 3 March 2022 on Netherlands, [CRI(2022) 03], pag. 4, disponibile all’indirizzo: https://www.coe.int/en/web/european-commission-against-racism-and-intolerance/netherlands.
63 Ibidem.
64 V., supra, paragrafi 49, 62, 63 e 65.
65 V., per analogia, sentenza del 24 giugno 2015, T. (C‑373/13, EU:C:2015:413, punti 47 e 48), in cui la Corte ha statuito che il fatto che la lettera dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 non escluda espressamente la possibilità di revocare un permesso di soggiorno precedentemente rilasciato a un rifugiato costituisce un argomento a favore di un’interpretazione che consente agli Stati membri di ricorrere a tale misura.
66 V., per analogia, sentenza del 24 giugno 2015, T. (C‑373/13, EU:C:2015:413, punto 98).
67 Sentenza del 4 giugno 2015 (C‑579/13, EU:C:2015:369).
68 Ibidem, punto 47.
69 Ibidem, punti 47, 48 e 50.
70 Sentenza del 9 luglio 2015 (C‑153/14, EU:C:2015:453).
71 Sentenza del 4 giugno 2015 (C‑579/13, EU:C:2015:369).
72 Sentenza del 9 luglio 2015 (C‑153/14, EU:C:2015:453).
73 Essi hanno chiesto tale status tra il 1º gennaio 2007 e il 1º gennaio 2010.
74 Sentenza del 14 maggio 2019, M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (C‑391/16, C‑77/17 e C‑78/17, EU:C:2019:403, punto 79).
75 V., supra, paragrafi 49, 62, 63 e 65.
76 V., per analogia, sentenza del 4 giugno 2015, P e S (C‑579/13, EU:C:2015:369, punto 48).
77 Infatti, dal fascicolo risulta che i costi dell’esame vengono pagati ogni volta che l’esame viene sostenuto.
78 Sentenza del 4 giugno 2015 (C‑579/13, EU:C:2015:369, punto 54).
79 Sentenza del 9 luglio 2015 (C‑153/14, EU:C:2015:453, punto 69).
80 V. sentenze del 4 giugno 2015, P e S (C‑579/13, EU:C:2015:369, punto 54) e del 9 luglio 2015, K e A (C‑153/14, EU:C:2015:453, punto 69).
81 Ibidem.
82 Note on the Integration of Refugees in the European Union, maggio 2007, disponibile all’indirizzo: https://www.refworld.org/policy/legalguidance/unhcr/2007/en/41624.
83 V. il commento citato nella precedente nota 11.
84 V. supra, paragrafo 54.
85 Secondo le informazioni riportate dai media, metà dei rifugiati e dei migranti non adempiono i requisiti in materia di integrazione in tempo utile, vale a dire nel termine di tre anni previsto per superare l’esame di integrazione; v. https://nos.nl/artikel/2100445-helft-nieuwkomers-haalt-inburgeringsexamen-niet.
86 V. supra, paragrafo 80.
87 Sentenza del 4 giugno 2015, P e S (C‑579/13, EU:C:2015:369, punti da 51 a 54).