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Document 62022CC0442

    Conclusioni dell’avvocato generale J. Kokott, presentate il 21 settembre 2023.


    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2023:702

     CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    JULIANE KOKOTT

    presentate il 21 settembre 2023 ( 1 )

    Causa C‑442/22

    P sp. z o.o.

    contro

    Dyrektor Izby Administracji Skarbowej w Lublinie,

    Interveniente:

    Rzecznik Małych i Średnich Przedsiębiorców

    [domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa, Polonia)]

    «Domanda di pronuncia pregiudiziale – Imposta sul valore aggiunto – Direttiva 2006/112/CE – Debitore d’imposta ai sensi dell’articolo 203 della direttiva IVA – Fattura avente ad oggetto operazioni fittizie (fattura fittizia) – Determinazione dell’emittente della fattura – Emissione di una fattura da parte di un terzo non autorizzato – Emissione di una fattura fittizia da parte di un dipendente all’insaputa del datore di lavoro – Imputazione della condotta illecita di un terzo – Criterio della buona fede – Culpa in eligendo et in vigilando a carico di un soggetto passivo»

    I. Introduzione

    1.

    La presente domanda di pronuncia pregiudiziale si colloca nel contesto del tema della lotta alle frodi, il quale già da anni domina il diritto in materia di IVA. Essa verte ancora una volta sulla portata della «responsabilità di un’impresa» coinvolta in qualche modo nella frode all’IVA di un altro soggetto passivo. È noto che, a tal fine, è già sufficiente che l’impresa avrebbe dovuto sapere che, con la sua operazione, essa partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’IVA ( 2 ). In tal caso, ad essa può essere negata la detrazione o un’esenzione fiscale, e forse anche entrambe ( 3 ).

    2.

    Nel caso di specie si aggiunge adesso una terza eventualità: un debito d’imposta addizionale a causa di un’infedele dichiarazione dell’imposta. È al riguardo in discussione, in sostanza, la responsabilità di un’impresa per i propri dipendenti i quali, a sua insaputa, in modo organizzato e criminale, hanno cooperato dolosamente affinché altri soggetti passivi potessero commettere una frode in materia di IVA (probabilmente insieme ad una frode all’imposta sul reddito). In pratica, i dipendenti di una stazione di servizio hanno raccolto scontrini fiscali gettati via e, tramite un secondo «sistema contabile», hanno emesso e venduto a terzi interessati nuove fatture, aventi ad oggetto i quantitativi di carburante ivi indicati. Questi ultimi hanno utilizzato gli importi per forniture di carburante (le quali non hanno mai avuto luogo in tale forma) ai fini della detrazione in sede di dichiarazione IVA, e probabilmente anche per la deduzione delle spese d’esercizio in sede di dichiarazione dei redditi. Lo Stato polacco ha potuto scoprirlo, ma non è stato in grado di recuperare la totalità delle perdite IVA presso gli autori della frode. Di conseguenza, l’amministrazione finanziaria si rivolge ancora una volta anche all’impresa la quale, pur avendo assoggettato debitamente ad imposta le proprie operazioni, ha tuttavia in apparenza redatto essa stessa le fatture fittizie.

    3.

    La questione che occorre risolvere nella fattispecie è dunque se i debiti in termini di IVA di un’impresa mutino qualora i suoi dipendenti, tramite la redazione di fatture fittizie a nome dell’impresa, abbiano favorito la frode all’IVA di un terzo. Siamo pertanto in presenza di un «assoggettamento a sanzione» (tramite la previsione di una responsabilità), sotto il profilo della normativa in materia di IVA, del soggetto passivo (datore di lavoro) per la condotta illecita dei propri dipendenti, i quali hanno collaborato ad una frode all’IVA posta in essere da un terzo. Si tratta di un territorio inesplorato, in quanto la responsabilità per debiti fiscali risultante da fatture erronee è sempre stata legata ad una condotta illecita propria dell’impresa. Per contro, la «responsabilità» per la partecipazione ad una frode all’IVA di un terzo è sempre stata collegata, finora, all’assenza della necessaria diligenza con riferimento all’effettuazione di operazioni all’interno di una catena di operazioni. Nella fattispecie, nulla può tuttavia essere addebitato all’impresa per quanto riguarda le operazioni realmente effettuate.

    4.

    È vero che la lotta alla frode fiscale fa parte delle grandi sfide in un regime fiscale indiretto con detrazione dell’IVA versata a monte. Tutti riconoscono l’importanza di una siffatta lotta alla frode. Ciononostante – già alla luce dei diritti fondamentali dell’impresa interessata – devono esistere limiti. Siffatti limiti possono essere elaborati adesso dalla Corte in maniera più dettagliata.

    II. Contesto normativo

    A.   Diritto dell’Unione

    5.

    Il contesto normativo dell’Unione è costituito dalla direttiva 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: la «direttiva IVA») ( 4 ). L’articolo 203 della direttiva IVA prevede la dichiarazione in fattura dell’imposta dovuta e così recita:

    «L’IVA è dovuta da chiunque indichi tale imposta in una fattura».

    B.   Diritto polacco

    6.

    La Polonia ha attuato la direttiva IVA tramite la legge dell’11 marzo 2004, relativa all’imposta sul valore aggiunto sui beni e sui servizi (Ustawa o podatku od towarów i usług, Dz. U. 2011, n. 177, posizione 1054, e successive modifiche – in prosieguo: la «legge sull’IVA»). L’articolo 108, paragrafo 1, della legge sull’IVA così recita:

    «Una persona giuridica, un ente privo di personalità giuridica o una persona fisica, qualora emettano una fattura in cui dichiarino l’importo dell’imposta, sono obbligati a pagarla».

    III. Fatti e procedimento pregiudiziale

    7.

    La società P sp. z o.o. (in prosieguo: la «P»), ricorrente, ha operato, negli anni dal 2001 al 2015, nel settore della vendita di carburanti, editoriale, della locazione di aree commerciali e dell’edilizia. Essa teneva una contabilità completa, era registrata come soggetto passivo dell’IVA ed aveva in media 14 dipendenti.

    8.

    Da una verifica fiscale effettuata dall’ufficio delle imposte è emerso che, a nome di P, era stato emesso, tra il gennaio 2010 e l’aprile 2014, un totale di 1679 fatture IVA false (cosiddette fatture «inesistenti», che non riflettevano reali vendite di beni) per un importo complessivo di IVA esposto pari a 1497847 zloty (PLN) (attualmente circa EUR 335000) a favore di imprese che avevano fatto valere, tramite detrazione, l’IVA indicata nelle fatture. Tali fatture false non sono state registrate nel registro delle vendite di P. L’IVA non è stata né versata all’Erario né dichiarata da P.

    9.

    Il presidente del consiglio di amministrazione di P, alla luce degli accertamenti della verifica fiscale, ha svolto proprie indagini interne. Da tali indagini è emerso che le fatture «inesistenti» erano state emesse e vendute all’insaputa e senza il consenso del consiglio di amministrazione della società da una dipendente della stessa (in prosieguo: «P.K.»).

    10.

    P.K. aveva lavorato in qualità di direttrice di una stazione di servizio di P dal 25 novembre 2005 al 24 maggio 2014, data in cui il suo rapporto di lavoro era stato risolto per violazione delle sue mansioni contrattuali. Di queste ultime faceva parte la gestione del registratore di cassa, l’emissione di fatture e la redazione di documenti per la capo commercialista.

    11.

    Stando alle dichiarazioni di P.K. quest’ultima, a partire dal 2010, aveva emesso fatture cumulative relative a scontrini fiscali raccolti da dipendenti della stazione di servizio da lei gestita. Gli scontrini fiscali venivano raccolti dal bidone della spazzatura. Per ogni fattura venivano conservati, nel locale caldaia, gli scontrini fiscali catalogati in base all’anno di emissione. In tal modo si mirava a garantire che le fatture emesse a nome della stazione di servizio in relazione alle operazioni fittizie non includessero quantitativi di carburante superiori a quelli effettivamente venduti dalla stazione di servizio. Tale procedura non doveva danneggiare P. Le fatture false erano salvate su un computer in ufficio (in un file non accessibile senza parola d’ordine).

    12.

    P.K. emetteva tali fatture in un formato diverso da quello corretto, sempre quando era assente il suo sostituto. Ella non stampava copie delle fatture per non creare un «archivio cartaceo», e non trasmetteva neanche le fatture alla contabilità. Ella utilizzava i dati di P, indicandola come emittente delle fatture e utilizzandone il codice IVA. Le fatture recavano la firma e il timbro di P.K. Dal 2014, sulle fatture figurava unicamente la firma digitale senza timbro. Tutti i dipendenti coinvolti che lavoravano con P.K. alla stazione di servizio ne hanno tratto vantaggio. I dipendenti ricevevano un compenso corrispondente al quantitativo di carburante indicato negli scontrini fiscali consegnati e utilizzati per emettere le fatture false. Non è chiaro come e dove tali fatture siano state esattamente redatte. Stando alle memorie di P, ciò probabilmente non è avvenuto tramite il computer né nei locali della stazione di servizio.

    13.

    Sulla base degli accertamenti della verifica fiscale, l’amministrazione tributaria emetteva nei confronti di P. un avviso di accertamento di un debito IVA per il periodo tra il gennaio 2010 e l’aprile 2014. P impugnava tale avviso. Con decisione del 31 ottobre 2017, l’organo di appello (Dyrektor Izby Administracji Skarbowej) confermava l’accertamento dell’imposta.

    14.

    Sulla base dei fatti accertati, entrambe le autorità hanno convenuto – senza che le parti abbiano sollevato obiezioni – che le fatture false avrebbero documentato forniture di beni e servizi che non sarebbero state realmente effettuate. Tali fatture avrebbero simulato l’effettivo svolgimento di operazioni al fine di consentire a terzi di conseguire un indebito rimborso fiscale.

    15.

    Entrambe le autorità hanno ritenuto che P, quale datore di lavoro, non avesse agito con la dovuta diligenza al fine di evitare l’emissione di fatture false. Le mansioni di P.K. non sarebbero state definite in maniera precisa per iscritto. L’ampio ventaglio delle sue mansioni avrebbe incluso la legittimazione ad emettere fatture IVA relative agli scontrini fiscali al di fuori del sistema BOS in formato Excel, senza una successiva approvazione da parte del datore di lavoro. Poiché il presidente del consiglio di amministrazione di P sarebbe stato a conoscenza del fatto che nella stazione di servizio venivano emesse fatture relative agli scontrini fiscali, ossia senza un controllo contabile, egli avrebbe potuto e dovuto prevedere che ciò avrebbe facilitato l’emissione di fatture false. Sarebbe stata la mancanza di un’adeguata vigilanza e organizzazione a portare il presidente del consiglio di amministrazione della società a scoprire la prassi in questione solo dopo la verifica fiscale da parte dell’autorità tributaria.

    16.

    Secondo le autorità amministrative, P.K. non era un terzo rispetto a P, bensì la direttrice di una stazione di servizio di P e dunque una lavoratrice responsabile dei dipendenti della stazione di servizio e autorizzata a emettere fatture. Le autorità hanno inoltre stabilito che, nonostante le misure adottate per escludere dalla procedura di rimborso i destinatari delle fatture false, si erano verificate riduzioni di imposta che non avrebbero potuto essere impedite tempestivamente.

    17.

    Con sentenza del 23 febbraio 2018, il Wojewódzki Sąd Administracyjny (Tribunale amministrativo del voivodato, Polonia) ha respinto il ricorso proposto da P avverso la decisione del Dyrektor Izby Administracji Skarbowej (direttore dell’amministrazione fiscale) di Lublino, accogliendo la motivazione dell’organo d’appello. P ha presentato ricorso per cassazione avverso tale sentenza dinanzi al Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa, Polonia). Quest’ultimo ha sospeso il procedimento e ha sottoposto in via pregiudiziale alla Corte due questioni ai sensi dell’articolo 267 TFUE:

    1)

    Se l’articolo 203 della direttiva IVA debba essere interpretato nel senso che, nell’ipotesi in cui un dipendente di un soggetto passivo dell’IVA emetta una fattura falsa, con applicazione dell’IVA, sulla quale vengano indicati i dati del datore di lavoro come dati del soggetto passivo, all’insaputa e senza il suo consenso, come soggetto che dichiara l’IVA in fattura ed è obbligato a versarla, debba essere considerato:

    il soggetto passivo dell’IVA, i cui dati sono stati illecitamente utilizzati in fattura, oppure

    il dipendente che illecitamente ha dichiarato l’IVA in fattura, utilizzando i dati del soggetto avente la qualifica di soggetto passivo dell’IVA.

    2)

    Se, al fine di stabilire chi debba essere considerato, ai sensi dell’articolo 203 della citata direttiva IVA, il soggetto che dichiara l’IVA in una fattura e che è obbligato a versarla nelle circostanze di cui alla questione sub 1, sia rilevante il fatto che al soggetto passivo dell’IVA, che assume il dipendente che ha dichiarato illegalmente, nella fattura IVA, i dati del soggetto passivo che lo assume, possa imputarsi la mancanza della dovuta diligenza nel controllare il dipendente.

    18.

    Nel procedimento dinanzi alla Corte hanno presentato osservazioni scritte P, l’amministrazione tributaria polacca, il mediatore polacco per le piccole e medie imprese e la Commissione europea. Ai sensi dell’articolo 76, paragrafo 2, del regolamento di procedura, la Corte ha deciso di non tenere un’udienza di discussione.

    IV. Analisi giuridica

    A.   Sulle questioni pregiudiziali e sul metodo dell’analisi

    19.

    Entrambe le questioni pregiudiziali, le quali devono essere esaminate congiuntamente, sollevano, in sostanza, la questione dei rischi che un’impresa soggetta ad imposta debba sopportare, a norma del diritto in materia di IVA, qualora sia stata ingannata dai propri dipendenti. Nella fattispecie questi ultimi, all’insaputa dell’impresa, avevano redatto fatture fittizie a nome di quest’ultima e le avevano vendute per proprio conto a terzi, a scopo di frode fiscale.

    20.

    Al riguardo, si pone nuovamente ( 5 ) la questione dell’interpretazione dell’articolo 203 della direttiva IVA. Quest’ultimo è inteso a contrastare il rischio di una detrazione indebita del destinatario della fattura mediante un corrispondente debito d’imposta dell’emittente della fattura. Occorre pertanto chiarire anzitutto chi sia, in questo senso, l’emittente della fattura – colui che ha emesso la fattura o colui che viene indicato come emittente sulla fattura (al riguardo, v. sub B.). Qualora questi dovesse essere solo colui che ha anche emesso la fattura, si pone allora la questione dei requisiti per un’imputazione della condotta (illecita) di un altro (terzo) all’emittente apparente della fattura (al riguardo, v. sub C.).

    B.   L’emittente di una fattura ai sensi dell’articolo 203 della direttiva IVA

    1. Ratio dell’articolo 203 della direttiva IVA

    21.

    Ai sensi dell’articolo 203 della direttiva IVA, l’IVA è dovuta da chiunque indichi tale imposta in una fattura. Come già statuito al riguardo dalla Corte ( 6 ), l’articolo 203 della direttiva IVA prende in considerazione «solo» l’IVA indebitamente fatturata, ossia un’IVA non dovuta ma ciononostante indicata nella fattura.

    22.

    Lo scopo dell’articolo 203 della direttiva IVA consiste nell’eliminare il rischio di una perdita del gettito fiscale che possa derivare dall’illecita ( 7 ) detrazione operata dal destinatario della fattura sulla base di essa ( 8 ). La fattispecie in esame rende chiaro tale rischio.

    23.

    È vero che il diritto a detrazione è limitato alle imposte collegate a un’operazione soggetta all’IVA ( 9 ). Tuttavia, il gettito fiscale è messo a rischio fintantoché il destinatario di una fattura, dove si dichiara a torto un’IVA, possa ancora utilizzarla per esercitare il diritto a detrazione ai sensi dell’articolo 168 della direttiva IVA ( 10 ). Infatti, non si può escludere che l’amministrazione tributaria non possa accertare in tempo utile che considerazioni di carattere giuridico-sostanziale ostino all’esercizio del diritto a detrazione formalmente sussistente.

    24.

    Nel caso di dichiarazione indebita dell’IVA, l’articolo 203 della direttiva IVA mira quindi a garantire un parallelismo tra la detrazione a favore del destinatario della fattura e il debito di imposta a carico dell’emittente della fattura, analogo a quello che sussiste di norma per il fornitore e il destinatario della fornitura nel caso di una fattura corretta ( 11 ). In base al tenore letterale dell’articolo 203 della direttiva IVA, non è tuttavia necessario che il destinatario della fattura abbia effettivamente esercitato il diritto a detrazione. È sufficiente che esista il rischio di un siffatto esercizio (indebito).

    25.

    Ne consegue che colui che ha emesso la fattura risponde, indipendentemente dalla colpa, del rischio (astratto) che il destinatario della fattura possa effettuare indebitamente una detrazione sulla base di detta fattura (erronea). Non si tratta dunque di un vero debito d’imposta, bensì di una responsabilità oggettiva di colui che ha emesso la fattura, come già chiarito dalla Corte ( 12 ).

    26.

    Tale responsabilità opera non solo nel caso di un errore sulla corretta aliquota di imposta (in fattura è indicata l’aliquota ordinaria in luogo di quella ridotta), ma anche in caso di fatturazione di operazioni fittizie ( 13 ).

    27.

    L’articolo 203 della direttiva IVA è dunque una fattispecie di rischio astratto, la quale fa rispondere l’emittente della fattura, indipendentemente dalla colpa, per il rischio da questi creato, qualora lo stesso emetta fatture false per operazioni fittizie. La conseguenza è che in tal caso egli stesso è debitore dell’IVA indebitamente dichiarata.

    2. Limiti intrinseci alla fattispecie di rischio

    28.

    Siffatta fattispecie astratta di rischio, la quale fa gravare sull’emittente di una fattura, indipendentemente dalla colpa, un’IVA esposta indebitamente, ha tuttavia alcuni limiti. Affinché tale responsabilità non sia arbitraria alla luce dei diritti fondamentali dell’interessato (P richiama, inter alia, l’articolo 17 della Carta), sono necessari sia un motivo oggettivo (e dunque un rischio di perdita di gettito fiscale – al riguardo, v. sub a), sia un’imputabilità soggettiva del rischio (al riguardo, v. sub b).

    a) Necessità di un rischio

    29.

    Come dichiarato recentemente dalla Corte, la fattispecie di rischio di cui all’articolo 203 della direttiva IVA non ricorre qualora un rischio di perdita del gettito IVA sia di per sé escluso ( 14 ). La Corte si era espressa in tal senso in un caso in cui era stato accertato che le fatture erronee erano state emesse solo nei confronti dei consumatori finali, i quali non erano legittimati alla detrazione ( 15 ).

    30.

    Un siffatto rischio è parimenti di per sé escluso laddove l’amministrazione finanziaria, come nella fattispecie, abbia già scoperto la frode organizzata da parte dei dipendenti di P, cosicché gli acquirenti delle fatture fittizie sono noti e la detrazione poteva essere negata loro con successo e definitivamente. Stando alla domanda di pronuncia pregiudiziale lo Stato polacco, in una certa misura, vi è riuscito. In tale contesto non si pone più, pertanto, la questione dell’applicabilità dell’articolo 203 della direttiva IVA bensì, al massimo, quella dell’assoggettamento a sanzione dei venditori e degli acquirenti delle fatture fittizie. Si tratta tuttavia, di norma, di una questione di diritto penale e non di diritto tributario. L’articolo 203 della direttiva IVA non ha – come già sottolineato dalla Corte ( 16 ) – carattere sanzionatorio.

    31.

    Un debito d’imposta addizionale dell’emittente della fattura (sia esso P o P.K.) in un caso del genere comporterebbe un «arricchimento dello Stato» in occasione di una frode all’IVA. Ciò eccederebbe manifestamente quanto necessario alla lotta contro la frode. Saremmo inoltre in presenza di un risultato strano se uno Stato di diritto, a causa di una frode all’IVA scoperta, potesse presentare un gettito fiscale più elevato che in assenza della medesima. Infatti, nella misura in cui non abbia potuto essere fatta valere una detrazione, il gettito IVA della Polonia aumenterebbe, sebbene non sia stata effettuata alcuna operazione. Tale risultato non sarebbe neanche compatibile con il carattere di una norma sulla responsabilità (al riguardo ampiamente supra, paragrafi 22 e segg.).

    32.

    In conformità a ciò, la Corte ha dichiarato da molto tempo che, anche se la direttiva IVA non contiene alcuna disposizione relativa alla rettifica, da parte di chi emette la fattura, dell’IVA indebitamente fatturata ( 17 ), spetta agli Stati membri il compito di ovviarvi ( 18 ). La Corte ha sviluppato due approcci per detta soluzione, che gli Stati membri devono prendere in considerazione.

    33.

    Da un lato, per garantire la neutralità dell’IVA, incombe pertanto agli Stati membri contemplare, nel rispettivo ordinamento giuridico interno, la possibilità di rettificare ogni imposta indebitamente fatturata, purché chi ha emesso la fattura dimostri la propria buona fede ( 19 ). Dall’altro lato, quando chi ha emesso la fattura ha tempestivamente eliminato completamente il rischio di perdita di gettito fiscale, il principio di neutralità dell’IVA impone che l’IVA indebitamente fatturata possa essere rettificata, senza che gli Stati membri possano subordinare siffatta rettifica alla buona fede del soggetto che ha emesso la fattura ( 20 ).

    34.

    In relazione a quest’ultimo aspetto non può avere alcuna importanza il motivo per cui il rischio di perdita di gettito fiscale sia escluso – dunque se colui che ha emesso la fattura si sia attivato per eliminarlo oppure se sia stata l’amministrazione finanziaria a riuscire ad eliminarlo ( 21 ). Infatti, i provvedimenti che gli Stati membri adottano per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare frodi non devono eccedere quanto necessario a tal fine. Essi non possono, pertanto, essere applicati in modo tale da mettere in discussione la neutralità dell’IVA, che costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA ( 22 ). Ciò vale in particolare per una fattispecie di rischio astratto (al riguardo già supra, paragrafo 26 e segg.).

    35.

    La questione della possibilità di invocare la responsabilità di P per le fatture fittizie emesse da P.K. si pone dunque solo nella misura in cui la detrazione da parte degli acquirenti non abbia potuto essere impedita, e quindi nella misura in cui continui a sussistere un danno per il gettito fiscale della Polonia.

    b) Imputazione soggettiva: l’emittente di una fattura

    36.

    Qualora un siffatto danno continui a sussistere, esso dovrebbe anche essere imputabile a P; l’articolo 203 della direttiva IVA, infatti, contempla unicamente l’emittente di tali fatture. Nel caso di specie, sussiste la peculiarità che il prestatore figurante sulla fattura (nel caso di specie, P), il quale di norma redige la fattura, non ha appunto redatto tale fattura. Quest’ultima è stata redatta da P.K., la quale si è limitata ad utilizzare il nome del proprio datore di lavoro. In apparenza – anche se per la fattura è stato impiegato un altro formato – sembra tuttavia che sia stata P a redigere tali fatture. Sono stati utilizzati il suo nome, il suo indirizzo e il suo codice fiscale.

    37.

    Se P.K. fosse un terzo completamente estraneo, il quale si sia servito in modo più o meno casuale dei dati di P al fine di redigere e vendere fatture fittizie (anche casi del genere si sono già verificati), la risposta sarebbe chiara. In assenza di imputazione della condotta di siffatto terzo, una responsabilità di P sarebbe arbitraria e sproporzionata, e P non dovrebbe essere mai considerato – come affermato anche dall’amministrazione finanziaria – l’emittente di tali fatture.

    38.

    Tuttavia, diversamente che nel caso della redazione di fatture fittizie di un terzo estraneo, sussiste, nella fattispecie, una certa vicinanza tra l’emittente effettivo (P.K.) e apparente (P) delle fatture, a causa del rapporto di lavoro esistente all’epoca. P.K. ha sfruttato consapevolmente le conoscenze acquisite da P concernenti i quantitativi di carburante i cui scontrini fiscali sono stati gettati via, i dati sulla fattura riferite a P e il suo codice fiscale.

    39.

    È tuttavia certo, d’altronde, che siffatta vendita (illecita) di fatture fittizie con il nome di P ha avuto luogo senza che quest’ultimo lo sapesse o lo volesse, non rientrava nell’ambito delle mansioni lavorative assegnate in osservanza del diritto del lavoro e non era neppure coperta da una procura conferita con regolare mandato.

    40.

    La questione decisiva è chi, in un caso del genere, sia l’emittente della fattura ai sensi dell’articolo 203 della direttiva IVA. Occorre pertanto chiarire se, e a quali condizioni, ad un datore di lavoro possa essere imputata la condotta illecita dei propri dipendenti (nel caso di specie, sotto forma di crimine organizzato) o, viceversa, se questi possa essere scagionato a causa della propria buona fede.

    41.

    Secondo il dettato dell’articolo 203 della direttiva IVA, l’IVA è dovuta da chiunque indichi tale imposta in una fattura. Basta una qualsiasi persona – ossia, non deve trattarsi di un soggetto passivo – che indichi l’imposta in una fattura. La direttiva parte inoltre dal presupposto di un facere («indichi»). L’imposta non è stata tuttavia indicata da P, bensì dalla sua dipendente, P.K. Stando al tenore letterale della direttiva IVA, è P.K. ad essere pertanto debitrice dell’imposta da ella indicata indebitamente. P è solo in apparenza l’emittente della fattura.

    42.

    La suesposta (paragrafi 22 e segg.) ratio della responsabilità oggettiva depone al riguardo contro la possibilità di far valere, accanto alla responsabilità dell’emittente, quella dell’«emittente apparente». L’articolo 203 della direttiva IVA non mira ad applicare una punizione o a raddoppiare il gettito fiscale, bensì ad offrire una tutela contro il rischio di perdita di gettito fiscale. Di conseguenza, solo una persona può venire in considerazione come emittente ai sensi dell’articolo 203 della direttiva IVA. Ciò consegue anche dalla facoltà di rettifica riconosciuta dalla Corte persino all’emittente che ha agito in modo colpevole. Secondo la Corte, gli Stati membri devono contemplare la possibilità di rettificare ogni imposta indebitamente fatturata, purché chi ha emesso la fattura dimostri la propria buona fede ( 23 ). Ciò presuppone, tuttavia, che costui sappia anche chi sia il destinatario delle fatture erronee. Gli acquirenti delle fatture non sono tuttavia noti a P. Solo P.K. è a conoscenza della loro identità.

    43.

    Nella misura in cui, pertanto, continua a sussistere un rischio (e, quindi, un pregiudizio) per il gettito fiscale polacco, P.K., quale emittente delle fatture fittizie, è, in linea di principio, debitrice dell’IVA ivi indebitamente indicata.

    C.   Imputazione della condotta illecita di un terzo

    44.

    Una situazione diversa può ricorrere solo se al soggetto passivo (nella fattispecie, P) possa in qualche modo essere imputata la condotta illecita di P.K. In particolare l’amministrazione finanziaria polacca invoca una specie di «culpa in vigilando». Poiché P sapeva che P.K. poteva redigere fatture anche manualmente, al di fuori del sistema contabile usuale, P avrebbe dovuto essere a conoscenza della redazione di fatture fittizie. In assenza di corrispondenti misure di sorveglianza, a P sarebbe imputabile la condotta di P.K.

    1. Questione dell’imputazione di una condotta illecita di terzi in forza del «principio» di un divieto di frode

    45.

    Siffatto approccio della Polonia somiglia un po’ alla giurisprudenza della Corte sul diniego della detrazione dell’IVA (o dell’esenzione fiscale o forse anche di entrambe contemporaneamente), se il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il suo acquisto, partecipava ad un’operazione che si inseriva nel contesto di un’evasione dell’IVA ( 24 ).

    46.

    Secondo la Corte, un soggetto passivo siffatto deve essere considerato, ai fini della direttiva IVA, partecipante o favoreggiatore dell’evasione, e ciò indipendentemente dalla circostanza di trarre o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall’utilizzo dei servizi nell’ambito delle operazioni soggette a imposta da esso effettuate a valle ( 25 ). Spetta dunque alle autorità e ai giudici nazionali negare il beneficio del diritto a detrazione se è dimostrato, alla luce di elementi obiettivi, che tale diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo ( 26 ). Da ciò la Corte ha persino elaborato uno speciale «principio del divieto di frode», evidentemente proprio del diritto in materia di IVA ( 27 ).

    47.

    Indipendentemente dal fatto che tale giurisprudenza si spinge molto lontano e solleva ulteriori questioni ( 28 ), il problema qui non è che P fa valere una detrazione o un’esenzione fiscale, ossia diritti patrimoniali. P vorrebbe unicamente non essere responsabile del vantaggio patrimoniale di un terzo (degli acquirenti delle fatture fittizie, con i quali non ha alcun rapporto). Oggetto di discussione non è dunque la lotta alla frode nell’ambito di una catena di operazioni, bensì una responsabilità per le mancate entrate fiscali ( 29 ) da parte di «chiunque».

    48.

    Tuttavia, stando al tenore letterale dell’articolo 203 della direttiva IVA, il mero fatto di sapere (o di dover sapere) che un terzo estraneo redige e vende fatture fittizie impiegando il proprio nome non può fondare una responsabilità. La competenza a contrastare i reati non spetta a «chiunque», bensì allo Stato membro. In assenza di un particolare motivo di imputazione in relazione a tale terzo ( 30 ), al soggetto passivo non può essere negato un «beneficio» (esenzione fiscale e/o detrazione dell’IVA) e, a maggior ragione, una responsabilità non può essere addossata a «chiunque» (sotto forma di debito d’imposta addizionale).

    2. Imputazione della condotta illecita dei propri dipendenti sulla scorta del criterio della malafede

    49.

    La soluzione risulta pertanto non dalla summenzionata giurisprudenza in materia di lotta alla frode, bensì dal principio di neutralità e dalla giurisprudenza della Corte relativa all’articolo 203 della direttiva IVA. Ai sensi di tale giurisprudenza, per garantire la neutralità dell’IVA spetta segnatamente agli Stati membri contemplare, nel rispettivo ordinamento giuridico interno, la facoltà di rettificare ogni imposta indebitamente fatturata, purché chi ha emesso la fattura – il quale, come sottolineato correttamente dalla Commissione nelle sue memorie, non deve essere un imprenditore – dimostri la propria buona fede ( 31 ).

    50.

    È vero che ciò riguarda l’emittente di una fattura, quel che P non è. Tuttavia, l’approccio – in tal senso si esprime anche la Commissione – può essere trasposto a colui che in apparenza deve essere considerato l’emittente di una fattura (emittente apparente). Qualora questi sia stato segnatamente in buona fede, egli è allora la vittima piuttosto che l’autore del reato e non può rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 203 della direttiva IVA. Per contro, se lo stesso non era in buona fede e la condotta dell’emittente della fattura (a causa della particolare vicinanza o responsabilità) può essergli imputata come propria, anche la responsabilità quale emittente della fattura erronea può in tal caso riguardarlo.

    51.

    Occorre tenere conto del fatto che, nella fattispecie, l’attività illecita del lavoratore, segnatamente l’emissione e la vendita di fatture fittizie, non era direttamente connessa alla posizione conferitagli, in osservanza del diritto del lavoro, nell’impresa di P. Piuttosto, siffatta posizione gli forniva unicamente l’occasione per tale attività, vietatagli tuttavia dalle norme giuslavoristiche. Pertanto, l’emissione di tali fatture – diversamente dal caso in cui alcuni dipendenti, nel corso della gestione corrente, emettano fatture (eventualmente erronee) per le forniture di carburante – non può essere imputata automaticamente a P. Occorre dunque distinguere sotto tale profilo l’emissione di fatture a nome di P (nell’ambito delle competenze previste dal diritto del lavoro) e l’emissione di fatture con il nome di P (per così dire nell’ambito di un crimine organizzato e a sua insaputa).

    52.

    Ciononostante – come sottolineato correttamente dall’amministrazione finanziaria – sussiste una certa vicinanza ovvero responsabilità del datore di lavoro per i suoi dipendenti. Sono pertanto determinanti i criteri in base ai quali è possibile parlare di un datore di lavoro in buona fede.

    3. Sul criterio della buona fede nell’ambito dell’articolo 203 della direttiva IVA

    53.

    La buona fede è esclusa se il datore di lavoro era a conoscenza dell’operato del suo dipendente e non è intervenuto nonostante ne avesse la possibilità. In un’ipotesi del genere, egli fa consapevolmente proprio l’operato del medesimo. Lo stesso deve in tal caso essere considerato l’unico emittente di siffatte fatture, a causa dell’apparenza, da questi consapevolmente tollerata, sorta tramite le fatture fittizie. Tuttavia, nella fattispecie un caso del genere non ricorre.

    54.

    In relazione alla riduzione di sovvenzioni agricole per violazioni da parte di un terzo (incaricato) delle prescrizioni concernenti le sovvenzioni, la Corte ha già elaborato alcuni criteri di imputazione. Essa ha dichiarato che nell’ipotesi di una violazione da parte di un terzo che ha eseguito lavori su incarico di un beneficiario dell’aiuto, detto beneficiario può essere ritenuto responsabile di tale violazione qualora abbia agito dolosamente o colposamente in sede di scelta del terzo, di controllo esercitato su quest’ultimo oppure di istruzioni che gli sono state fornite, e ciò a prescindere dal comportamento doloso o colposo del terzo stesso ( 32 ). Tali considerazioni non sono tuttavia trasponibili tali e quali alla presente fattispecie. Da un lato, P.K. non è stata incaricata da P della redazione di fatture fittizie, bensì ha agito ella stessa dolosamente al di fuori del suo «incarico». Dall’altro, P non si è neanche arricchita con risorse statali che debbano esserle nuovamente ritirate a causa del mancato conseguimento dello scopo.

    55.

    Al contempo, è possibile fare ricorso al principio ivi menzionato di una colpa personale in eligendo et in vigilando (nel caso di specie, del datore di lavoro), qualora questi sia un soggetto passivo ai sensi della direttiva IVA. I soggetti passivi, infatti, svolgono un ruolo speciale per il funzionamento del sistema dell’IVA. La Corte li qualifica pertanto anche collettori d’imposta per conto dello Stato ( 33 ).

    56.

    Il sistema dell’IVA, configurato in maniera indiretta, è in particolare passibile di abusi proprio a causa della dissociazione tra contribuenti e debitori d’imposta. Con la detrazione effettuata da un soggetto passivo in una catena di operazioni, tale rischio aumenta ulteriormente. Peraltro, per la prevenzione di siffatto rischio di frode intrinseco al sistema è responsabile in via primaria il legislatore.

    57.

    In un’Unione in cui lo Stato di diritto assume un valore speciale, ciò si impone con particolare rigore. In tal senso, la Corte sottolinea sempre più che l’Unione raggruppa Stati che rispettano e condividono i valori comuni di cui all’articolo 2 TUE ( 34 ). Tra i valori di cui all’articolo 2 TUE, sui quali l’Unione si fonda, rientra in particolare il principio dello Stato di diritto. Pertanto, uno Stato membro non può scaricare unilateralmente su soggetti di diritto privato un rischio siffatto da esso stesso creato. La lotta alla frode fiscale è in primis un compito incombente allo Stato, non ad un privato. Come sottolineato correttamente dalla Commissione nelle sue memorie, anche la tutela del gettito fiscale non può avere come conseguenza che un soggetto passivo estraneo alla frode (nella fattispecie, la vendita di fatture fittizie) venga gravato dell’IVA.

    58.

    Peraltro, lo Stato, in qualità di creditore d’imposta, è necessariamente dipendente, in un regime fiscale indiretto, dalla cooperazione dei soggetti passivi, quali collettori d’imposta. Anche se questi ultimi sono tenuti a cooperare alla raccolta dell’IVA obbligatoriamente e gratuitamente, non è sproporzionato esigere al riguardo una certa diligenza, anche se non eccessiva. Quale collettore d’imposta per conto dello Stato, un soggetto passivo non può in particolare chiudere gli occhi e accettare coscientemente una frode all’IVA. Ciò si ripercuote anche sull’imputazione a livello di diritto dell’Unione della condotta illecita dei propri dipendenti.

    59.

    Come ho già esposto nelle mie conclusioni nel procedimento inteso al recupero di aiuti al settore agricolo, il principio per cui vengano imputati comportamenti colposi, commessi da collaboratori, a prescindere dalla colpa personale è sostanzialmente estraneo all’ordinamento di taluni Stati membri ( 35 ). Pertanto, un committente non è neanche automaticamente responsabile a livello di diritto dell’Unione, in forza di un eventuale principio non scritto, per il comportamento scorretto di uno dei suoi collaboratori come lo è per il proprio, ma tutt’al più nella misura in cui vi sia stata colpa personale in eligendo et in vigilando.

    60.

    In relazione all’articolo 203 della direttiva IVA ciò significa che P deve essere considerata in buona fede fintantoché non le possa essere addebitata una colpa propria. Un generico «dover sapere» non fonda pertanto ancora, da solo, una colpa propria, ma lo fa soltanto ove vi sia stata colpa personale in eligendo et in vigilando in relazione ai propri dipendenti. Nella fattispecie, non è ravvisabile una culpa in eligendo, cosicché viene in considerazione unicamente una culpa in vigilando.

    61.

    Soltanto il giudice del rinvio può decidere se nel caso di specie sussista una colpa siffatta. Si tratta tuttavia di un parametro diverso da quello elaborato dalla Corte con la sua giurisprudenza in materia di diniego di detrazione o di esenzione fiscale in catene di operazioni «fraudolente». In particolare, può essere preso in considerazione, come indizio di buona fede, se e come il soggetto passivo abbia collaborato con l’amministrazione finanziaria all’accertamento della portata del crimine organizzato (il danno è stato causato in prima linea dagli acquirenti delle fatture fittizie).

    62.

    Diversamente da quanto sembra ritenere l’ufficio delle imposte, è irrilevante, al riguardo, il fatto che l’ambito delle mansioni di P.K. non fosse stato fissato per iscritto. L’eventuale sussistenza di una definizione scritta delle mansioni riduce in maniera tutt’al più trascurabile il rischio di una condotta illecita del lavoratore. Per questo motivo non rileva – diversamente da quanto ritenuto dal mediatore nelle sue memorie – se la redazione della fattura rientri o meno, in linea di principio, nelle mansioni del lavoratore. Chiunque, quale lavoratore, intenda redigere fatture fittizie, può farlo in qualsiasi momento, a prescindere dal fatto che la redazione delle fatture corrette faccia parte o meno delle mansioni affidategli.

    63.

    Inoltre, la circostanza che P.K. potesse redigere normali fatture anche al di fuori del sistema BOS, e che lo abbia fatto, non significa che il datore di lavoro avrebbe dovuto prevedere che i suoi dipendenti avrebbero redatto e rivenduto fatture fittizie. Nella misura in cui la contabilità (all’interno e al di fuori del sistema BOS) non ha mai presentato alcuna irregolarità, dagli elementi elencati dall’ufficio delle imposte non emerge alcuna culpa in vigilando. Come osservato correttamente da P nelle sue memorie, per un privato (quale datore di lavoro) è particolarmente difficile prevenire questo tipo di «crimine organizzato» da parte di P.K., degli altri dipendenti e degli acquirenti delle fatture.

    64.

    Al riguardo, occorrerà probabilmente distinguere a seconda che sia sussistito o meno un motivo concreto o indizi concreti – come affermato correttamente dalla Commissione – per una sorveglianza speciale. Senza un motivo concreto, si potrebbe tutt’al più esigere da un soggetto passivo un semplice sistema interno di gestione dei rischi – il soggetto passivo non può fidarsi ciecamente dei propri dipendenti. Tuttavia, non appena il soggetto passivo disponga di indizi concreti, allo stesso possono essere richieste anche misure di sorveglianza concrete, fino al coinvolgimento delle autorità penali. In definitiva, quella che il giudice del rinvio è chiamato ad effettuare è una valutazione che tenga conto del complesso delle circostanze specifiche.

    V. Conclusione

    65.

    Propongo pertanto alla Corte di rispondere nei seguenti termini alle questioni pregiudiziali formulate dal Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa, Polonia):

    L’articolo 203 della direttiva 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che l’emittente apparente di una fattura relativa ad operazioni fittizie è debitore dell’imposta ivi indicata solo se: (1) non sia stato ancora possibile negare la detrazione al destinatario della fattura; (2) l’emissione della fattura da parte di un terzo sia imputabile al medesimo a causa di una specifica responsabilità (ovvero vicinanza); e (3) lo stesso non sia stato in buona fede. La buona fede può al riguardo essere esclusa solo in caso di colpa specifica dell’emittente apparente. Nel caso di un soggetto passivo, una siffatta colpa può essere ravvisata anche in un errore colpevole in eligendo et in vigilando in rapporto ai propri dipendenti.


    ( 1 ) Lingua originale: il tedesco.

    ( 2 ) Sentenze del 24 novembre 2022, Finanzamt M (Portata del diritto alla detrazione dell’IVA) (C‑596/21, EU:C:2022:921, punto 25); dell’11 novembre 2021, Ferimet (C‑281/20, EU:C:2021:910, punti 4647); del 20 giugno 2018, Enteco Baltic (C‑108/17, EU:C:2018:473, punto 94); del 22 ottobre 2015, PPUH Stehcemp (C‑277/14, EU:C:2015:719, punto 48); del 13 febbraio 2014, Maks Pen (C‑18/13, EU:C:2014:69, punto 27); del 6 settembre 2012, Mecsek-Gabona (C‑273/11, EU:C:2012:547, punto 54); del 6 dicembre 2012, Bonik (C‑285/11, EU:C:2012:774, punto 39), e del 6 luglio 2006, Kittel e Recolta Recycling (C‑439/04 e C‑440/04, EU:C:2006:446, punto 56).

    ( 3 ) Sul conseguente problema della sovracompensazione del danno insorto, v. già le mie conclusioni nella causa Vetsch Int. Transporte (C‑531/17, EU:C:2018:677, paragrafi 39 e segg.).

    ( 4 ) Direttiva del Consiglio, del 28 novembre 2006 (GU 2006, L 347, pag. 1), nella versione vigente negli anni controversi (dal 2010 al 2014).

    ( 5 ) La Corte aveva affrontato da ultimo in maniera approfondita l’interpretazione dell’articolo 203 della direttiva IVA nella sentenza dell’8 dicembre 2022, Finanzamt Österreich (IVA fatturata erroneamente ai consumatori finali) (C‑378/21, EU:C:2022:968).

    ( 6 ) Sentenza dell’8 dicembre 2022, Finanzamt Österreich (IVA fatturata erroneamente ai consumatori finali) (C‑378/21, EU:C:2022:968, punti 2123).

    ( 7 ) L’affermazione della Corte, nella consueta formulazione testuale, secondo cui l’articolo 203 della direttiva IVA dovrebbe eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale «che può derivare dal diritto a detrazione», è leggermente imprecisa; v. sentenze dell’8 dicembre 2022, Finanzamt Österreich (IVA fatturata erroneamente ai consumatori finali) (C‑378/21, EU:C:2022:968, punto 20); del 29 settembre 2022, Raiffeisen Leasing (C‑235/21, EU:C:2022:739, punto 36); dell’8 maggio 2019, EN.SA. (C‑712/17, EU:C:2019:374, punto 32); dell’11 aprile 2013, Rusedespred (C‑138/12, EU:C:2013:233, punto 24), e del 31 gennaio 2013, Stroy trans (C‑642/11, EU:C:2013:54, punto 32). Si tratta appunto non del diritto a detrazione, bensì unicamente del rischio causato da una detrazione indebita. Ciò è proprio quanto si intende ogni volta, poiché una detrazione giustificata non può costituire un rischio di perdita di gettito fiscale.

    ( 8 ) In tal senso, espressamente, sentenze del 18 marzo 2021, P (Carte carburante) (C‑48/20, EU:C:2021:215, punto 27); dell’8 maggio 2019, EN.SA. (C‑712/17, EU:C:2019:374, punto 32); dell’11 aprile 2013, Rusedespred (C‑138/12, EU:C:2013:233, punto 24); del 31 gennaio 2013, Stroy trans (C‑642/11, EU:C:2013:54, punto 32); del 31 gennaio 2013, LVK (C‑643/11, EU:C:2013:55, punti 3536), e del 18 giugno 2009, Stadeco (C‑566/07, EU:C:2009:380, punti 28 e segg.).

    ( 9 ) Sentenza del 13 dicembre 1989, Genius (C‑342/87, EU:C:1989:635, punto 13).

    ( 10 ) In questo senso, espressamente, sentenza del 18 giugno 2009, Stadeco (C‑566/07, EU:C:2009:380, punti 28 e segg.), che rimanda alla sentenza del 19 settembre 2000, Schmeink & Cofreth e Strobel (C‑454/98, EU:C:2000:469, punto 57).

    ( 11 ) V., al riguardo, anche le mie conclusioni nella causa EN.SA. (C‑712/17, EU:C:2019:35, paragrafi 31 e segg.).

    ( 12 ) In tal senso, espressamente, sentenza del 19 settembre 2000, Schmeink & Cofreth e Strobel (C‑454/98, EU:C:2000:469, punto 61).

    ( 13 ) V., ex multis, sentenza dell’8 maggio 2019, EN.SA. (C‑712/17, EU:C:2019:374, punto 26), in combinato con le mie conclusioni nella causa EN.SA. (C‑712/17, EU:C:2019:35, paragrafi 30 e segg.). Vi fa riferimento la sentenza del 18 marzo 2021, P (Carte carburante) (C‑48/20, EU:C:2021:215, punto 30). In precedenza, sentenza del 15 ottobre 2002, Commissione/Germania (C‑427/98, EU:C:2002:581, punto 41). Analogamente, sentenza del 29 settembre 2022, Raiffeisen Leasing (C‑235/21, EU:C:2022:739, punto 35).

    ( 14 ) Sentenza dell’8 dicembre 2022, Finanzamt Österreich (IVA fatturata erroneamente ai consumatori finali) (C‑378/21, EU:C:2022:968, punti 2425). Analogamente, già, sentenza dell’11 aprile 2013, Rusedespred (C‑138/12, EU:C:2013:233, punti 2432 e segg. – per il caso in cui l’amministrazione finanziaria potesse già negare definitivamente la detrazione).

    ( 15 ) Sentenza dell’8 dicembre 2022, Finanzamt Österreich (IVA fatturata erroneamente ai consumatori finali) (C‑378/21, EU:C:2022:968, punto 25).

    ( 16 ) Sentenza del 31 gennaio 2013, Stroy trans (C‑642/11, EU:C:2013:54, punto 34). In direzione analoga si pone la sentenza del 2 luglio 2020, Terracult (C‑835/18, EU:C:2020:520, punto 37).

    ( 17 ) In tal senso, espressamente, sentenze del 18 marzo 2021, P (Carte carburante) (C‑48/20, EU:C:2021:215, punto 30); del 15 marzo 2007, Reemtsma Cigarettenfabriken (C‑35/05, EU:C:2007:167, punto 38), e del 19 settembre 2000, Schmeink & Cofreth e Strobel (C‑454/98, EU:C:2000:469, punto 48).

    ( 18 ) Sentenze del 18 giugno 2009, Stadeco (C‑566/07, EU:C:2009:380, punto 35); del 6 novembre 2003, Karageorgou e a. (da C‑78/02 a C‑80/02, EU:C:2003:604, punto 49); del 19 settembre 2000, Schmeink & Cofreth e Strobel (C‑454/98, EU:C:2000:469, punto 49), e del 13 dicembre 1989, Genius (C‑342/87, EU:C:1989:635, punto 18).

    ( 19 ) Sentenze del 18 marzo 2021, P (Carte carburante) (C‑48/20, EU:C:2021:215, punto 31); del 2 luglio 2020, Terracult (C‑835/18, EU:C:2020:520, punto 27); dell’8 maggio 2019, EN.SA. (C‑712/17, EU:C:2019:374, punto 33); del 31 gennaio 2013, Stroy trans (C‑642/11, EU:C:2013:54, punto 33); del 18 giugno 2009, Stadeco (C‑566/07, EU:C:2009:380, punto 36), e del 13 dicembre 1989, Genius (C‑342/87, EU:C:1989:635, punto 18).

    ( 20 ) Sentenza del 2 luglio 2020, Terracult (C‑835/18, EU:C:2020:520, punto 28); dell’8 maggio 2019, EN.SA. (C‑712/17, EU:C:2019:374, punto 33); del 31 gennaio 2013, LVK (C‑643/11, EU:C:2013:55, punto 37); del 18 giugno 2009, Stadeco (C‑566/07, EU:C:2009:380, punto 37); del 6 novembre 2003, Karageorgou e a. (da C‑78/02 a C‑80/02, EU:C:2003:604, punto 50), e del 19 settembre 2000, Schmeink & Cofreth e Strobel (C‑454/98, EU:C:2000:469, punto 58).

    ( 21 ) V. sentenza dell’11 aprile 2013, Rusedespred (C‑138/12, EU:C:2013:233, punto 24 – Diniego da parte dell’amministrazione finanziaria). È già orientata in tale direzione anche la sentenza del 6 novembre 2003, Karageorgou e a. (da C‑78/02 a C‑80/02, EU:C:2003:604, punto 52 – l’importo che non può costituire IVA non comporterebbe alcun rischio di perdita di gettito fiscale).

    ( 22 ) Sentenza del 18 giugno 2009, Stadeco (C‑566/07, EU:C:2009:380, punto 39), v., per analogia, sentenza del 19 settembre 2000, Schmeink & Cofreth e Strobel (C‑454/98, EU:C:2000:469, punto 59 e la giurisprudenza ivi citata).

    ( 23 ) Sentenze del 18 marzo 2021, P (Carte carburante) (C‑48/20, EU:C:2021:215, punto 31); del 2 luglio 2020, Terracult (C‑835/18, EU:C:2020:520, punto 27); dell’8 maggio 2019, EN.SA. (C‑712/17, EU:C:2019:374, punto 33); del 31 gennaio 2013, Stroy trans (C‑642/11, EU:C:2013:54, punto 33); del 18 giugno 2009, Stadeco (C‑566/07, EU:C:2009:380, punto 36), e del 13 dicembre 1989, Genius (C‑342/87, EU:C:1989:635, punto 18).

    ( 24 ) V. sentenze del 24 novembre 2022, Finanzamt M (Portata del diritto a detrazione) (C‑596/21, EU:C:2022:921, punto 25); dell’11 novembre 2021, Ferimet (C‑281/20, EU:C:2021:910, punti 4647); del 20 giugno 2018, Enteco Baltic (C‑108/17, EU:C:2018:473, punto 94); del 22 ottobre 2015, PPUH Stehcemp (C‑277/14, EU:C:2015:719, punto 48); del 13 febbraio 2014, Maks Pen (C‑18/13, EU:C:2014:69, punto 27); del 6 settembre 2012, Mecsek-Gabona (C‑273/11, EU:C:2012:547, punto 54); del 6 dicembre 2012, Bonik (C‑285/11, EU:C:2012:774, punto 39), e del 6 luglio 2006, Kittel e Recolta Recycling (C‑439/04 e C‑440/04, EU:C:2006:446, punto 56).

    ( 25 ) Sentenze del 24 novembre 2022, Finanzamt M (Portata del diritto a detrazione) (C‑596/21, EU:C:2022:921, punto 25), e dell’11 novembre 2021, Ferimet (C‑281/20, EU:C:2021:910, punti 4647 e la giurisprudenza ivi citata).

    ( 26 ) Sentenze del 24 novembre 2022, Finanzamt M (Portata del diritto a detrazione) (C‑596/21, EU:C:2022:921, punto 24), e dell’11 novembre 2021, Ferimet (C‑281/20, EU:C:2021:910, punto 45 e la giurisprudenza ivi citata).

    ( 27 ) Sentenza del 24 novembre 2022, Finanzamt M (Portata del diritto a detrazione) (C‑596/21, EU:C:2022:921, punti 2029).

    ( 28 ) Ciò emerge dalle innumerevoli domande di pronuncia pregiudiziale sulla complessa tematica. V., tra le tante, da ultimo, sentenze del 24 novembre 2022, Finanzamt M (Portata del diritto a detrazione) (C‑596/21, EU:C:2022:921); del 15 settembre 2022, HA.EN. (C‑227/21, EU:C:2022:687), e dell’11 novembre 2021, Ferimet (C‑281/20, EU:C:2021:910).

    ( 29 ) In tal senso, espressamente, sentenza del 19 settembre 2000, Schmeink & Cofreth e Strobel (C‑454/98, EU:C:2000:469, punto 61).

    ( 30 ) La Corte sembra collocare siffatto motivo, nell’ambito della sua giurisprudenza in materia di lotta alla frode, nella catena di operazioni esistente e nell’invocazione di un «vantaggio» nell’ambito di siffatta catena di operazioni.

    ( 31 ) Sentenze del 18 marzo 2021, P (Carte carburante) (C‑48/20, EU:C:2021:215, punto 31); del 2 luglio 2020, Terracult (C‑835/18, EU:C:2020:520, punto 27); dell’8 maggio 2019, EN.SA. (C‑712/17, EU:C:2019:374, punto 33); del 31 gennaio 2013, Stroy trans (C‑642/11, EU:C:2013:54, punto 33); del 18 giugno 2009, Stadeco (C‑566/07, EU:C:2009:380, punto 36), e del 13 dicembre 1989, Genius (C‑342/87, EU:C:1989:635, punto 18).

    ( 32 ) Sentenza del 27 febbraio 2014, van der Ham e van der Ham-Reijersen van Buuren (C‑396/12, EU:C:2014:98, punto 53). V., al riguardo, anche le mie conclusioni nella causa van der Ham e van der Ham-Reijersen van Buuren (C‑396/12, EU:C:2013:698, paragrafi 73 e segg.).

    ( 33 ) Sentenze del 20 ottobre 1993, Balocchi (C‑10/92, EU:C:1993:846, punto 25), e del 21 febbraio 2008, Netto Supermarkt (C‑271/06, EU:C:2008:105, punto 21).

    ( 34 ) Sentenza del 24 giugno 2019, Commissione/Polonia (Indipendenza della Corte suprema) (C‑619/18, EU:C:2019:531, punti 4243).

    ( 35 ) V. le mie conclusioni nella causa van der Ham e van der Ham-Reijersen van Buuren (C‑396/12, EU:C:2013:698, paragrafo 76).

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