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Document 62022CC0106

    Conclusioni dell’avvocato generale T. Ćapeta, presentate il 30 marzo 2023.
    Xella Magyarország Építőanyagipari Kft. contro Innovációs és Technológiai Miniszter.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Fővárosi Törvényszék.
    Rinvio pregiudiziale – Libera circolazione dei capitali – Libertà di stabilimento – Regolamento (UE) 2019/452 – Normativa di uno Stato membro che istituisce un meccanismo di controllo degli investimenti esteri in società residenti considerate come “strategiche” – Decisione adottata in base a tale normativa, che vieta l’acquisizione da parte di una società residente della totalità delle quote di un’altra società residente – Società acquisita considerata come “strategica” sulla base del rilievo che la sua attività principale concerne l’estrazione mineraria di determinate materie prime di base, quali la ghiaia, la sabbia e l’argilla – Società acquirente considerata come un “investitore estero” sulla base del rilievo che essa fa parte di un gruppo di società la cui società capogruppo è stabilita in un paese terzo – Pregiudizio o rischio di pregiudizio a un interesse nazionale, alla pubblica sicurezza o all’ordine pubblico dello Stato membro – Obiettivo volto a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di materie prime di base a vantaggio del settore edile, in particolare a livello regionale.
    Causa C-106/22.

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2023:267

     CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    TAMARA ĆAPETA

    presentate il 30 marzo 2023 ( 1 )

    Causa C‑106/22

    Xella Magyarország Építőanyagipari Kft.

    contro

    Innovációs és Technológiai Miniszter,

    con l’intervento di:

    «JANES ÉS TÁRSA» Szállítmányozó, Kereskedelmi és Vendéglátó Kft.

    [domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest – Capitale, Ungheria)]

    «Rinvio pregiudiziale – Competenza – Libertà di stabilimento – Libera circolazione dei capitali – Controllo degli investimenti – Regolamento (UE) 2019/452 – Decisione che blocca l’acquisizione, da parte di una società dell’Unione, di un’altra società dell’Unione a motivo dell’assetto proprietario estero della prima e del carattere strategico della seconda»

    I. Introduzione

    1.

    I fatti della presente causa si svolgono nel villaggio di Lázi, nella contea di Győr-Moson-Sopron (Ungheria), in cui è ubicata una cava dalla quale sono estratte sabbia, argilla e ghiaia. Il Ministro dell’Innovazione e della Tecnologia ungherese (in prosieguo: il «Ministro») ha bloccato il progetto di acquisizione da parte della ricorrente, una società ungherese, di un’altra società ungherese, proprietaria della cava di cui trattasi. Nella motivazione di tale decisione di veto, il Ministro ha precisato che sarebbe contrario agli interessi nazionali ungheresi permettere a una società indirettamente detenuta da una società bermudiana di acquisire il controllo di una società operante nel settore dell’estrazione di aggregati per l’edilizia.

    2.

    Tale decisione è stata impugnata dinanzi alla Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest – Capitale, Ungheria). Nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale tale giudice chiede, in particolare, se la legge ungherese che ha permesso al Ministro di porre il veto all’operazione in questione sia compatibile con l’articolo 65, paragrafo 1, lettera b), TFUE e con il regolamento (UE) 2019/452 (in prosieguo: il «regolamento sul controllo degli IED») ( 2 ).

    3.

    La principale questione alla quale la Corte dovrà pertanto rispondere è se la presenza di una partecipazione facente capo a soggetti di paesi terzi in un’impresa dell’Unione possa, in determinate circostanze, costituire una minaccia per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza nazionali degli Stati membri. Se mi avessero rivolto una domanda del genere 20 anni or sono, non avrei avuto motivo di dubitare di trovarmi di fronte a un tipo di protezionismo non tollerato in un’economia di mercato libera e aperta.

    4.

    Tuttavia, al giorno d’oggi, nozioni quali «friend-shoring» (rilocalizzazione in paesi amici) o «outbound investment screening» (controllo degli investimenti dall’estero) erano meno note al di fuori dei circoli legati alla sicurezza nazionale e, senza ombra di dubbio, sarebbero state considerate fenomeni iniqui dai fautori convinti della globalizzazione ( 3 ). Attualmente, tuttavia, tali nozioni sono destinate a dare forma ai nuovi obiettivi della politica commerciale dell’Unione ( 4 ).

    5.

    Il mondo è cambiato, come ogni cittadino dell’Unione ha visto e percepito, ad esempio di fronte a scaffali vuoti nei supermercati o a bollette energetiche di importo più elevato. Di fatto, l’aggressione della Russia all’Ucraina ha tristemente fatto emergere i pericoli insiti nel dipendere dalla buona volontà dei partner commerciali del passato ( 5 ). Di conseguenza, e in particolare di fronte a misure che, verosimilmente, rappresentano un passo indietro nell’apertura del mercato interno dell’Unione rispetto agli scambi commerciali con i paesi terzi, non si dovrebbe giungere a conclusioni affrettate: gli interessi geopolitici strategici del futuro sono in grado di influenzare gli impegni attuali in materia di libero scambio.

    6.

    In che modo i suddetti interessi si traducono in norme e in che modo il potere di regolamentazione è ripartito tra l’Unione e i suoi Stati membri? La presente causa impone alla Corte di dipanare la questione costituzionale concernente le competenze dell’Unione in materia di investimenti diretti provenienti da paesi terzi. Particolarmente importante ai fini di tale valutazione è l’introduzione, da parte del Trattato di Lisbona, della nozione di «investimenti esteri diretti» nell’ambito di applicazione della politica commerciale comune. In che modo ciò si concilia con la nozione di «investimenti diretti» quale figurante nelle norme sulla libera circolazione dei capitali? In quale misura gli investimenti diretti provenienti dall’estero rientrano nella competenza esclusiva dell’Unione in materia di regolamentazione degli scambi commerciali e in quale misura detti investimenti continuano a far parte della competenza concorrente in materia di mercato interno? La risposta a tali questioni dovrebbe, a sua volta, chiarire il grado di discrezionalità di cui godono gli Stati membri, nel contesto attuale del Trattato, nel controllare e bloccare l’acquisizione di società situate nel loro territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

    II. Contesto di diritto e di fatto della presente causa e questioni pregiudiziali

    7.

    La Xella Magyarország Építőanyagipari Kft. (in prosieguo: la «ricorrente») è una società ungherese che fabbrica prodotti in calcestruzzo per l’edilizia. Essa è detenuta al 100% da una società tedesca, la Xella Baustoffe GmbH (in prosieguo: la «Xella Germania»). Detta società tedesca è detenuta da una società lussemburghese, la Xella International SA (in prosieguo: la «Xella Lussemburgo»), a sua volta detenuta dalla LSF10 XL Investments Limited, registrata nelle Bermuda (in prosieguo: la «società bermudiana»). Dalla decisione del giudice del rinvio risulta che la società bermudiana è una società figlia della Lone Star Funds (in prosieguo: la «Lone Star»), un’impresa statunitense di private equity. Il fondatore e proprietario della Lone Star è una persona fisica di cittadinanza irlandese.

    8.

    La «Janes és Társa» Szállítmányozó, Kereskedelmi és Vendéglátó Kft. (in prosieguo: la «Janes») è una società ungherese proprietaria di una cava situata in Ungheria. Essa svolge attività di estrazione di determinati aggregati per l’edilizia, segnatamente sabbia, ghiaia e argilla. La sua produzione di tali aggregati rappresenta lo 0,52% della produzione nazionale dell’Ungheria. Secondo il giudice del rinvio, la ricorrente è il maggiore cliente della Janes, che acquista circa il 90% della produzione complessiva di quest’ultima. Il restante 10% dei materiali estratti dalla Janes è acquistato da imprese edili locali.

    9.

    Il 29 ottobre 2020 la ricorrente ha pattuito l’acquisizione del 100% delle partecipazioni nella Janes.

    10.

    La legge ungherese di cui trattasi nella presente causa (in prosieguo: la «legge LVIII 2020») ( 6 ) impone, in particolare, che le acquisizioni di «società strategiche» da parte di «investitori esteri» siano notificate al Ministro. Ai sensi dell’articolo 276, punto 2, lettera a), di detta legge, la nozione di «investitore estero» include non soltanto le persone fisiche o giuridiche di paesi terzi, ma anche le società registrate in Ungheria o in un altro Stato membro nelle quali una persona fisica o giuridica di un paese terzo detiene una «partecipazione di maggioranza» ( 7 ). Alla luce delle attività di cui all’allegato 1, categoria 22 («materie prime di importanza fondamentale»), sottocategoria 8 («altri tipi di attività estrattiva») del decreto governativo n. 289/2020 ( 8 ), risulta pacifico che la Janes è considerata una «società strategica» ai fini della legge LVIII 2020 ( 9 ).

    11.

    Tenuto conto della partecipazione estera indiretta che caratterizza la Janes e della sua designazione come «società strategica», la ricorrente ha notificato al Ministro il progetto di acquisizione.

    12.

    Con decisione del 20 luglio 2021, il Ministro ha vietato la suddetta acquisizione (in prosieguo: la «decisione controversa»). Tale decisione è stata adottata in applicazione dell’articolo 283 della legge LVIII 2020, che autorizza il Ministro a verificare se l’operazione notificata leda o metta a rischio gli interessi nazionali, la pubblica sicurezza o l’ordine pubblico ungheresi. Se il Ministro ritiene che sia così, l’operazione deve essere vietata.

    13.

    Nella motivazione della decisione controversa, il Ministro rileva che l’assetto della titolarità della ricorrente include una proprietà diretta tedesca e una proprietà indiretta lussemburghese e bermudiana. Secondo il Ministro, uno dei problemi che caratterizzano il settore edile ungherese consiste nella mancanza di disponibilità di materie prime per il settore edile in quantità sufficienti. Nell’ambito della produzione di aggregati per l’edilizia, la quota di mercato dei produttori nazionali sotto controllo estero è già significativa. Il Ministro sottolinea inoltre l’importanza strategica della sicurezza e della prevedibilità dell’estrazione e dell’approvvigionamento di materie prime. Nell’ipotesi in cui la Janes dovesse passare sotto controllo bermudiano, sussisterebbe un rischio a lungo termine per quanto riguarda la garanzia della fornitura di materie prime per il settore edile.

    14.

    La ricorrente contesta la decisione controversa dinanzi al giudice del rinvio. In sostanza, essa sostiene che si tratta di una restrizione alla libera circolazione dei capitali, che non può essere giustificata ai sensi dell’articolo 65, paragrafo 1, lettera b), TFUE.

    15.

    In tale contesto di fatto e di diritto, la Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest – Capitale, Ungheria) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1)

    Alla luce dei considerando 4 e 6 del [regolamento (UE) 2019/452] e di quanto previsto dall’articolo 4, paragrafo 2, TUE, se l’articolo 65, paragrafo 1, lettera b), TFUE debba essere interpretato nel senso che include la possibilità di adottare una disciplina come quella di cui al titolo 85 della [legge LVIII del 2020] e in particolare come quella di cui agli articoli 276, punti 1 e 2, lettera a), e 283, paragrafo 1, lettera b), della stessa.

    2)

    In caso di risposta affermativa alla prima questione, se la mera circostanza che la Commissione abbia svolto una procedura di controllo delle concentrazioni, abbia esercitato le proprie competenze e abbia autorizzato una concentrazione relativa alla catena di proprietà di un investitore estero indiretto osti all’esercizio del potere decisionale ai sensi del diritto dello Stato membro applicabile».

    16.

    La ricorrente, i governi italiano e ungherese nonché la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte. Il governo ungherese e la Commissione europea hanno svolto le loro difese orali all’udienza dell’8 dicembre 2022.

    III. Analisi

    17.

    Le presenti conclusioni sono strutturate come esposto qui di seguito. Inizierò presentando la mia interpretazione dei motivi che hanno indotto il giudice del rinvio a sottoporre alla Corte la prima questione ( 10 ). Proporrò, di conseguenza, di riformulare tale questione (A). Valuterò poi il modo in cui il diritto dell’Unione si applica ai meccanismi di controllo degli investimenti esteri diretti previsti dagli Stati membri (B). La risposta a tale questione è pertinente per quanto concerne sia la competenza della Corte (C), sia la valutazione della compatibilità della legge LVIII 2020 con il diritto dell’Unione, della quale mi occuperò nell’ultima parte delle conclusioni (D).

    A.   Riformulazione della prima questione del giudice nazionale

    18.

    Il giudice del rinvio si trova di fronte alla decisione se confermare o annullare la decisione controversa. La sua prima questione, tuttavia, non è formulata in modo tale da invitare la Corte a pronunciarsi sulla compatibilità di tale decisione con il diritto dell’Unione. Sembra invece che essa si riferisca all’unico scenario possibile in cui la suddetta decisione sia considerata invalida, ossia l’assenza di competenza dell’Ungheria ad adottare la legge LVIII 2020. Se l’Ungheria non fosse legittimata ad adottare la legge LVIII 2020, semplicemente, la decisione controversa verrebbe meno automaticamente insieme a quest’ultima.

    19.

    Il giudice del rinvio ha espresso preoccupazioni principalmente per quanto attiene alla conformità con il diritto dell’Unione di due disposizioni della legge LVIII 2020, sollevando così due diverse questioni di interpretazione del diritto dell’Unione. In primo luogo, il suo richiamo, in particolare, all’articolo 276, punto 2, lettera a), di detta legge solleva la questione se i meccanismi nazionali di controllo degli investimenti esteri diretti possano riguardare investimenti diretti provenienti da paesi terzi realizzati tramite imprese stabilite nell’Unione. In secondo luogo, il richiamo all’articolo 283, paragrafo 1, lettera b), solleva la questione concernente quali siano le condizioni che il diritto dell’Unione impone ai fini dell’adozione di decisioni di controllo singole.

    20.

    A mio avviso, la risposta che la Corte è chiamata a fornire non lascerà necessariamente al giudice del rinvio un’opzione binaria (vale a dire, ritenere tale legge valida quanto alla questione della competenza e applicabile nel caso di specie, oppure contraria al diritto dell’Unione e quindi inapplicabile). Piuttosto, la risposta fornita dalla Corte alla prima questione dovrebbe servire al giudice del rinvio anche come parametro per stabilire ciò che il diritto dell’Unione impone affinché le decisioni adottate sulla base della legge LVIII 2020 siano considerate valide quanto al merito. Pertanto, anche qualora la risposta risultante dalla presente causa consenta al giudice del rinvio di concludere che la legge LVIII 2020, se interpretata in conformità con il diritto dell’Unione, potrebbe fungere da base giuridica per le decisioni di controllo adottate dal Ministro, ciò non consente necessariamente di concludere che la decisione specifica di cui trattasi nella presente causa possa parimenti essere considerata valida. Il giudice del rinvio deve, in ogni caso, stabilire esso stesso se detta decisione soddisfi i requisiti imposti dal diritto dell’Unione.

    21.

    Propongo quindi di riformulare la prima questione nel modo seguente: se l’articolo 4, paragrafo 2, TUE, l’articolo 65, paragrafo 1, lettera b), TFUE, e il regolamento sul controllo degli IED consentano a uno Stato membro, ed eventualmente a quali condizioni, di adottare una normativa che obbliga le imprese dell’Unione europea controllate indirettamente da una persona fisica o giuridica di un paese terzo a notificare l’intenzione di acquisire il controllo di un’impresa registrata in tale Stato membro e che, dopo tale notifica, autorizza le autorità a bloccare l’acquisizione notificata a motivo del fatto che essa potrebbe costituire una minaccia per gli interessi nazionali, l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza dello Stato membro, poiché l’impresa oggetto dell’acquisizione estrae materie prime quali sabbia, ghiaia e argilla e fornisce tali materiali al settore edilizio locale.

    B.   Modalità di applicazione del diritto dell’Unione ai meccanismi nazionali di controllo degli investimenti esteri diretti

    22.

    Il giudice del rinvio s’interroga sulla conformità della legge LVIII 2020 con il diritto dell’Unione e, nella sua questione, menziona l’articolo 65, paragrafo 1, TFUE e il regolamento sul controllo degli IED. La Commissione, da parte sua, ritiene inapplicabile il regolamento sul controllo degli IED. Essa suggerisce che la presente causa debba essere risolta unicamente sulla base delle disposizioni del Trattato in materia di libertà di stabilimento. È quindi necessario chiarire, anzitutto, quali tra questi diversi elementi del diritto primario e derivato dell’Unione siano pertinenti ai fini della risposta alla prima questione sottoposta alla Corte.

    1. Interazione tra le competenze in materia di mercato interno e di politica commerciale comune

    23.

    Il Trattato di Lisbona ha ampliato l’ambito di applicazione della politica commerciale comune includendo gli «investimenti esteri diretti» nelle competenze elencate all’articolo 207, paragrafo 1, TFUE. Nel parere 2/15 (Accordo di libero scambio UE-Singapore) ( 11 ), la Corte ha attribuito, per la prima volta, un significato a tale aggiunta. Essa ha precisato che tale nozione deve essere intesa nel senso che comprende gli «investimenti realizzati da persone fisiche o giuridiche di [uno] Stato terzo nell’Unione e viceversa, i quali diano la possibilità di partecipare effettivamente alla gestione o al controllo di una società esercente un’attività economica» ( 12 ). Al fine di chiarire la nozione di «investimenti esteri diretti», quale figurante all’articolo 207, paragrafo 1, TFUE, la Corte ha adottato la stessa definizione da essa impiegata per descrivere la nozione di «investimenti diretti» propria del mercato interno. Essa ha dichiarato che «gli investimenti diretti (...) consistono in investimenti di qualsiasi tipo effettuati da persone fisiche o giuridiche e aventi lo scopo di creare o di mantenere legami durevoli e diretti fra l’investitore di fondi e l’impresa cui tali fondi sono destinati ai fini dell’esercizio di un’attività economica. Un’assunzione di partecipazioni in un’impresa costituita in forma di società per azioni è un investimento diretto qualora le azioni detenute dall’azionista conferiscano a quest’ultimo la possibilità di partecipare effettivamente alla gestione di tale società o al suo controllo» ( 13 ).

    24.

    Dai citati passaggi di tale parere derivano due conseguenze immediate. In primo luogo, l’interpretazione della Corte applica alla politica commerciale comune la stessa definizione di investimenti diretti utilizzata per un certo periodo nella giurisprudenza relativa al mercato interno ( 14 ). In secondo luogo, la nozione di investimenti esteri diretti, quale figura all’articolo 207, paragrafo 1, TFUE, esclude gli investimenti di minoranza o a breve termine da tale ambito ( 15 ).

    25.

    La politica commerciale comune rientra nelle competenze esclusive dell’Unione in forza dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera e), TFUE. L’inclusione degli investimenti esteri diretti nell’ambito di applicazione di tale politica consente all’Unione di perseguire, in modo completo e coerente (vale a dire con l’esclusione di eventuali normative a livello degli Stati membri), una politica commerciale che copra l’intero ciclo di vita di un investimento condotto all’estero. In quanto tale, l’ambito di applicazione «ampliato» della politica commerciale comune garantisce che le attività commerciali dell’Unione con paesi terzi restino dinamiche e in grado di evolvere di pari passo con la natura del commercio internazionale ( 16 ).

    26.

    Ciò detto, non posso che constatare una certa sovrapposizione generata da tale aggiunta rispetto alla competenza concorrente in materia di mercato interno.

    27.

    Gli investimenti diretti rientrano anche nella libera circolazione dei capitali e, quindi, nell’ambito di applicazione del mercato interno ( 17 ). Tuttavia, qualora l’investimento attraversi unicamente le frontiere interne dell’Unione, esso può rientrare nell’ambito di applicazione della libertà di stabilimento (articoli 49 e 54 TFUE) o della libera circolazione dei capitali (articolo 63, paragrafo 1, TFUE), a seconda della forma di partecipazione di cui trattasi ( 18 ). Da un lato, gli investimenti diretti, vale a dire la partecipazione ad un’impresa che consente all’investitore di partecipare effettivamente alla gestione e al controllo di quest’ultima, sono disciplinati dalle norme in materia di libertà di stabilimento ( 19 ). Dall’altro lato, gli investimenti a breve termine o minoritari, vale a dire l’acquisto di partecipazioni al solo scopo di realizzare un investimento finanziario, senza intenzione di influire sulla gestione e sul controllo dell’impresa, devono essere esaminati esclusivamente alla luce della libera circolazione dei capitali ( 20 ).

    28.

    Mentre la disciplina degli investimenti in imprese dell’Unione da parte di altre imprese dell’Unione nel mercato interno è quindi suddivisa tra due libertà del mercato, gli investimenti di imprese di paesi terzi sono disciplinati unicamente dalle norme relative alla libera circolazione dei capitali. Si tratta di una libertà speciale, nel senso che è l’unica libertà del mercato fondata sul Trattato che conferisce diritti non soltanto ai soggetti dell’Unione, ma anche alle imprese di paesi terzi.

    29.

    Da quanto precede risulta che, a partire dal Trattato di Lisbona, gli investimenti provenienti da paesi terzi che consentono una partecipazione o un controllo effettivi in un’impresa ricadono in due competenze diverse dell’Unione: una esclusiva (la politica commerciale comune) e una concorrente (le disposizioni relative al mercato interno in materia di libera circolazione dei capitali). In ciascuno di tali settori, gli Stati membri dispongono di un margine di manovra differente per azioni di regolamentazione unilaterali. In linea di principio, essi non possono intraprendere azioni unilaterali in un settore di competenza esclusiva (anche qualora l’Unione non abbia agito), mentre in caso di competenze concorrenti gli Stati membri possono agire fintantoché la loro azione non sia impedita da misure adottate a livello dell’Unione ( 21 ).

    30.

    Tale sovrapposizione solleva la questione del confine tra questi due tipi di competenze e mi conduce all’esame dell’applicazione del regolamento sul controllo degli IED.

    2. Spiegazione del regolamento sul controllo degli IED

    31.

    Il regolamento sul controllo degli IED, adottato come misura di politica commerciale comune sulla base dell’articolo 207, paragrafo 1, TFUE, riflette la risposta del legislatore dell’Unione a un’esigenza politica percepita, che è sorta nel contesto dei cambiamenti dell’ordine economico globale ( 22 ).

    32.

    Descriverei il regolamento sul controllo degli IED come una specie di ornitorinco, una creatura strana se paragonata al tipo «ordinario» di regolamenti previsto dall’articolo 288 TFUE ( 23 ). Mediante tali strumenti legislativi, il legislatore dell’Unione stabilisce, di regola, norme vincolanti direttamente applicabili in tutti gli Stati membri. Tuttavia, il regolamento sul controllo degli IED non impone norme vincolanti, né istituisce un meccanismo comune di controllo degli investimenti esteri diretti. Piuttosto, esso si limita ad autorizzare gli Stati membri, senza quindi imporre un obbligo in tal senso, a introdurre una normativa che disciplini il controllo degli investimenti esteri diretti ( 24 ). Oltre a tale autorizzazione, detto regolamento stabilisce anche un quadro di norme comuni alle quali i meccanismi nazionali di cui trattasi (se introdotti) devono conformarsi, operando in tal modo un’armonizzazione soltanto parziale delle normative nazionali esistenti.

    33.

    Una spiegazione di tale scelta legislativa è considerare il regolamento sul controllo degli IED come atto a colmare il divario tra le competenze concorrenti concernenti la disciplina degli investimenti (esteri) diretti dalla prospettiva del mercato interno e quelle che attengono all’introduzione di un approccio uniforme al controllo degli «investimenti esteri diretti», nell’esercizio della competenza esclusiva dell’Unione in materia di politica commerciale comune ( 25 ).

    34.

    Tale argomento mi sembra alquanto persuasivo. Infatti, prima dell’entrata in vigore del regolamento sul controllo degli IED, una serie di Stati membri aveva istituito misure per controllare i movimenti di capitali provenienti da paesi terzi verso il loro territorio ( 26 ). Detti meccanismi riflettevano le preoccupazioni in materia di ordine pubblico o di pubblica sicurezza degli Stati membri, riconducibili a taluni movimenti di capitali provenienti dall’estero. Conformemente alla competenza concorrente degli Stati membri in materia di mercato interno, sarebbe stato del tutto legittimo basare dette misure nazionali sulle deroghe autorizzate ai sensi dell’articolo 65, paragrafo 1, lettera b), TFUE ( 27 ). Tuttavia, in concomitanza con l’inclusione, da parte del Trattato di Lisbona, dei movimenti di capitali qualificabili come «investimenti esteri diretti» nella competenza esclusiva in materia di politica commerciale comune, i meccanismi nazionali che disciplinavano i movimenti di capitali provenienti da paesi terzi sono verosimilmente divenuti invalidi.

    35.

    Valutato in tale prospettiva, il regolamento sul controllo degli IED può essere inteso nel senso che ripristina la legittimità dei meccanismi di controllo degli esistenti investimenti esteri diretti degli Stati membri ( 28 ). In altri termini, il regolamento sul controllo degli IED «restituisce» agli Stati membri competenze in un settore nel quale le avevano perdute per effetto dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ( 29 ).

    36.

    Una questione connessa è se la competenza in materia di politica commerciale comune possa essere utilizzata come strumento di armonizzazione delle normative nazionali. Come spiegato, il regolamento sul controllo degli IED contiene talune norme alle quali tutti i meccanismi di controllo degli Stati membri devono conformarsi. Stando così le cose, si potrebbe ritenere che l’armonizzazione delle normative nazionali che permettono il controllo degli investimenti esteri diretti debba essere basata su disposizioni relative al mercato interno, quale l’articolo 64 TFUE. Tuttavia, ritengo che il mero fatto che una misura dell’Unione armonizzi i diritti nazionali non la escluda necessariamente dall’ambito di applicazione della politica commerciale comune. Infatti, una misura dell’Unione può rientrare nell’ambito di applicazione della politica commerciale comune qualora sia «essenzialmente destinat[a] a promuover[e gli scambi commerciali con uno o più Stati terzi], a facilitarli o a disciplinarli ed abbia effetti diretti ed immediati su di essi» ( 30 ). È evidente che l’armonizzazione dei meccanismi nazionali di controllo degli investimenti esteri diretti produce un impatto del genere ( 31 ).

    37.

    Alla luce di quanto precede, il regolamento sul controllo degli IED che, al contempo, salvaguarda i meccanismi nazionali di controllo e introduce alcune norme comuni, può essere inteso come uno strumento per dare attuazione all’articolo 207, paragrafo 6, TFUE. Tale disposizione stabilisce che le competenze attribuite all’Unione nel settore della politica commerciale comune non pregiudicano la ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri. Poiché gli investimenti diretti provenienti da paesi terzi continuano a rappresentare anche una questione relativa al mercato interno (cioè una competenza concorrente), l’introduzione di un meccanismo comune di controllo degli investimenti «esteri» diretti, che sostituirebbe i meccanismi degli Stati membri, dovrebbe essere giustificata dal punto di vista della sussidiarietà. Ciò potrebbe spiegare la scelta del legislatore dell’Unione di optare (almeno per il momento) ( 32 ) per un sistema di controllo degli investimenti esteri diretti decentralizzato, che rinvia alle scelte normative operate degli Stati membri. Tali scelte sono tuttavia vincolate dalle norme in materia di mercato interno, comprese quelle che disciplinano le deroghe alle libertà fondamentali del mercato.

    3. Se il regolamento sul controllo degli IED trovi applicazione nella presente causa

    38.

    Quanto precede mi induce a concludere che non vi è alcun ostacolo ad ascrivere un meccanismo nazionale di controllo degli investimenti «esteri» diretti, quale quello istituito dalla legge LVIII 2020, nell’ambito di applicazione del regolamento sul controllo degli IED.

    39.

    Ciò mi conduce alla posizione della Commissione. Essa ritiene che il regolamento sul controllo degli IED non possa essere applicato al caso di specie, poiché le imprese dell’Unione non possono essere sottoposte a un controllo in forza di tale regolamento. La ricorrente, il cui progetto di investimento è stato bloccato, è una società stabilita nell’Unione. Ai sensi dell’articolo 54 TFUE e della giurisprudenza pertinente, la «nazionalità» di una società dipende unicamente dalla sua sede sociale, mentre la nazionalità degli azionisti è irrilevante ( 33 ).

    40.

    In udienza, la Commissione ha sottolineato che, ai sensi dell’articolo 2, punto 2, del regolamento sul controllo degli IED, un «investitore estero» è un’impresa di un paese terzo che intende realizzare o ha realizzato un investimento estero diretto. Essa ha insistito in modo particolare sul fatto che in tale definizione rientrano soltanto persone fisiche o giuridiche «di un paese terzo». Pertanto, detto regolamento non potrebbe, in linea di principio, essere applicato a società stabilite nell’Unione. La ricorrente, una società registrata in Ungheria, non poteva quindi essere ritenuta un’impresa di un paese terzo. Il regolamento sul controllo degli IED non sarebbe applicabile «ratione personae».

    41.

    A mio avviso, nelle sue osservazioni sull’inapplicabilità del regolamento sul controllo degli IED, la Commissione trascura opportunamente l’articolo 2, punto 1, dello stesso. Tale disposizione definisce ciò che s’intende per investimento estero diretto ai fini di tale regolamento. Trattasi di «un investimento di qualsiasi tipo da parte di un investitore estero inteso a stabilire o mantenere legami durevoli e diretti tra l’investitore estero e l’imprenditore o l’impresa cui è messo a disposizione il capitale al fine di esercitare un’attività economica in uno Stato membro, compresi gli investimenti che consentono una partecipazione effettiva alla gestione o al controllo di una società che esercita un’attività economica» ( 34 ).

    42.

    L’ambito di applicazione del regolamento sul controllo degli IED, quale definito al suo articolo 1, paragrafo 1, comprende l’istituzione di un quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti nell’Unione da parte degli Stati membri. Tale nozione comprende, a sua volta, investimenti di qualsiasi tipo mediante i quali l’investitore estero ottiene una partecipazione o il controllo effettivi di una società dell’Unione.

    43.

    Va da sé che il regolamento sul controllo degli IED riguarda soltanto gli investitori esteri. Tuttavia, per consentire il controllo di tali investitori, esso ingloba qualsiasi tipo di investimento possibile mediante il quale un investitore estero acquisisce il controllo di un’impresa dell’Unione. In altri termini, esso non impone alcun limite quanto alla struttura o al processo dell’investimento stesso. Di conseguenza, affinché un investimento rientri nell’ambito di applicazione del regolamento sul controllo degli IED, il processo di investimento non deve necessariamente essere condotto direttamente (ad esempio quando un investitore estero acquisisce il controllo di un’impresa dell’Unione mediante l’acquisto diretto delle sue azioni), ma può essere realizzato indirettamente (come nel caso in cui un investitore estero acquisisca il controllo di un’impresa dell’Unione acquistando le sue azioni tramite un’altra impresa dell’Unione). Ciò che importa è, in ultima analisi, il soggetto che acquisisce il controllo dell’impresa dell’Unione in questione.

    44.

    Il governo italiano sostiene questa interpretazione dell’ambito di applicazione del regolamento sul controllo degli IED. Tale governo, inoltre, sottolinea un argomento contestuale pertinente a tal riguardo. Nell’esporre, all’articolo 4, paragrafo 2, lettera a) di detto regolamento, i fattori che possono essere presi in considerazione per determinare se un investimento estero diretto possa incidere sulla sicurezza o sull’ordine pubblico, il regolamento sul controllo degli IED contempla la circostanza che «l’investitore estero sia direttamente o indirettamente controllato dall’amministrazione pubblica». Di conseguenza, il governo italiano rileva che, se il controllo indiretto rileva nei riguardi di un investitore di un paese terzo ai fini di determinare se dietro un determinato investimento si celi uno Stato terzo, lo stesso deve accadere nel caso di un investitore stabilito nell’Unione, che potrebbe, di fatto, essere controllato da un investitore di un paese terzo. Il regolamento sul controllo degli IED includerebbe, quindi, gli investimenti esteri diretti «indiretti».

    45.

    A mio avviso, qualsiasi altra interpretazione sarebbe contraria allo scopo del regolamento sul controllo degli IED. Detto obiettivo consiste nel permettere l’esame degli investimenti esteri diretti al fine di stabilire se l’investimento di cui trattasi possa mettere in pericolo (o, quanto meno, minacciare di mettere in pericolo) l’ordine pubblico o la sicurezza dell’Unione o degli Stati membri. Ciò vale sia per le acquisizioni dirette dall’estero, sia per gli accordi mediante i quali sono trasferiti capitali a un’entità stabilita nell’Unione al fine di acquisire una determinata impresa. A mio avviso, accettare la posizione della Commissione e basarsi unicamente sul criterio formale della sede di una società, senza tener conto del soggetto che acquisisce il controllo dell’impresa oggetto di investimento mediante una determinata operazione, equivarrebbe a trascurare tanto la realtà degli affari, quanto lo scopo del controllo degli investimenti esteri diretti ( 35 ).

    46.

    Sia nelle sue osservazioni scritte, sia in udienza, la Commissione ha affermato che gli investimenti esteri diretti «indiretti» potrebbero rientrare nell’ambito di applicazione del regolamento sul controllo degli IED soltanto in via eccezionale, al fine di evitare l’elusione dei meccanismi di controllo. Essa osserva che il regolamento sul controllo degli IED contempla l’elusione al considerando 10 e, in forza del suo articolo 3, paragrafo 6, impone agli Stati membri che dispongono di un meccanismo di controllo di adottare le misure necessarie a individuare e prevenire l’elusione dei meccanismi di controllo nazionali e delle relative decisioni di controllo. La nozione di «elusione» si estende agli «investimenti realizzati nell’Unione» esclusivamente quando detti investimenti (i) sono realizzati «tramite costruzioni artificiose»; (ii) «non riflettono la realtà economica»; e, (iii) «eludono i meccanismi di controllo e le relative decisioni». Non sembra che ciò si verifichi nel caso di specie.

    47.

    Tuttavia, salvo che l’elusione sia dimostrata mediante uno strumento differente, specificamente elaborato a tal fine, l’atto stesso di accertare l’elusione di un meccanismo di controllo richiede il controllo di una determinata operazione in capitale. In altri termini, un’operazione deve anzitutto rientrare nell’ambito di applicazione del regolamento sul controllo degli IED per determinare se essa miri effettivamente a eludere i meccanismi o le decisioni di controllo.

    48.

    In ogni caso, escludere dall’ambito di applicazione del regolamento sul controllo degli IED un tipo di operazione come quello di cui alla presente causa equivarrebbe a pregiudicare l’obiettivo stesso del controllo degli investimenti esteri diretti che costituiscono una minaccia per l’interesse nazionale o quello dell’Unione. Infatti, ai fini di uno strumento ex ante come i meccanismi nazionali di controllo degli investimenti, qual è la differenza tra un investitore di un paese terzo che acquisisce il controllo di un’impresa strategica dell’Unione direttamente dall’estero o tramite un’altra impresa dell’Unione? In entrambi i casi, l’investitore estero acquisisce il controllo dell’impresa dell’Unione in questione e, quindi, la possibilità di determinarne il futuro: ad esempio, gestirla in linea con le condizioni di mercato; spogliarla di tutti i beni di valore (nel caso di specie, ad esempio, inondare la cava, rendendola inutilizzabile); rivendere l’impresa; oppure, semplicemente, cessarne interamente l’attività. Il punto centrale della questione è che un investitore estero acquisisce il controllo di un’impresa strategica dell’Unione.

    49.

    A mio avviso, il regolamento sul controllo degli IED mira proprio a impedire l’eventuale controllo da parte di un paese terzo nel caso in cui si ritenga che uno specifico investimento costituisca una minaccia per la sicurezza o l’ordine pubblico. Suggerisco pertanto alla Corte di riconoscere che anche gli investimenti esteri diretti «indiretti», realizzati tramite un’impresa stabilita nell’Unione, possono rientrare nell’ambito di applicazione del regolamento sul controllo degli IED, qualora detti investimenti consentano all’investitore estero di ottenere il controllo dell’impresa acquisita.

    50.

    Ciò detto, dovrebbe essere chiaro che il controllo degli investimenti diretti provenienti da paesi terzi effettuati tramite un’impresa stabilita nell’Unione non implica automaticamente che siffatto investimento possa essere bloccato senza ulteriori condizioni. Non si può trascurare il fatto che sottoporre l’acquisizione di società dell’Unione da parte di investitori di paesi terzi a un controllo costituisce, già di per sé, un ostacolo all’esercizio delle quattro libertà del mercato ( 36 ).

    51.

    A mio avviso, quando, in un settore, le competenze dell’Unione si sovrappongono, il legislatore dell’Unione deve tenere debitamente conto dei problemi che si pongono in entrambi i settori. Di conseguenza, pur avendo legiferato sulla base dell’articolo 207, paragrafo 1, TFUE quale base giuridica predominante ( 37 ), il legislatore dell’Unione era obbligato a tener conto dei diritti derivanti dalle norme del Trattato relative alle quattro libertà del mercato, indipendentemente dal fatto che tali diritti vadano a beneficio di imprese dell’Unione o di imprese di paesi terzi. In altri termini, anche se il regolamento sul controllo degli IED «autorizza» gli Stati membri, sotto l’egida dell’articolo 207, paragrafo 1, TFUE, a istituire meccanismi di controllo degli investimenti esteri diretti sulla base del fatto che tali investimenti possono sollevare preoccupazioni di ordine pubblico e di pubblica sicurezza, detto regolamento non può sottrarsi ai requisiti di cui all’articolo 65, paragrafo 1, TFUE. È proprio in tale ottica che occorre interpretare il riferimento all’articolo 65, paragrafo 1, TFUE previsto al considerando 4 del regolamento sul controllo degli IED ( 38 ).

    52.

    Il regolamento sul controllo degli IED, infatti, rispecchia le possibili giustificazioni e, quindi, implicitamente, anche i criteri generali per valutare la proporzionalità di una restrizione a un diritto di libera circolazione derivante dalle clausole derogatorie del Trattato. Ciò risulta in particolare all’articolo 4 di tale regolamento, che contiene un elenco non esaustivo dei fattori che gli Stati membri possono prendere in considerazione per stabilire se una determinata operazione estera in capitale possa incidere sulla sicurezza o sull’ordine pubblico.

    53.

    Se le norme relative al mercato interno non fossero integrate nel regolamento sul controllo degli IED e i meccanismi nazionali non fossero autorizzati su tale base, le libertà del mercato di cui godono tutte le imprese dell’Unione potrebbero essere limitate in modo sproporzionato in ragione della mera presenza di una partecipazione estera in tali società. Per evitare una violazione di tali libertà, non si dovrebbero escludere normative nazionali quali la legge LVIII 2020, che il regolamento sul controllo degli IED autorizza, da un eventuale controllo alla luce delle norme del Trattato sul mercato interno. Sottolineo, piuttosto, il fatto che qualsiasi operazione assoggettabile a un meccanismo di controllo deve beneficiare di un controllo completo di proporzionalità conformemente ai criteri di cui all’articolo 65, paragrafo 1, TFUE ( 39 ).

    54.

    Per riassumere la discussione che precede, ritengo che una normativa nazionale quale la legge LVIII 2020 rientri nell’ambito di applicazione del regolamento sul controllo degli IED anche se permette il controllo di investimenti esteri diretti «indiretti» realizzati tramite un’impresa dell’Unione.

    C.   Competenza della Corte

    55.

    L’applicabilità del regolamento sul controllo degli IED risolve anche la questione della competenza della Corte nella presente causa.

    56.

    Detta questione è stata sollevata dalla Commissione, che ha ritenuto che tale fattispecie rientri esclusivamente nell’ambito del mercato interno. Tutti gli elementi della controversia sottoposta al giudice nazionale possono essere intesi come interni all’Ungheria: una società ungherese intende acquisire un’altra società ungherese, ma non può farlo a causa della legge ungherese. Situazioni interne non rientrano nella portata delle disposizioni del mercato interno. Pur avendo sollevato tale obiezione, la Commissione ha tuttavia concluso che la Corte è competente, basandosi sul fatto che la ricorrente è interamente detenuta dalla Xella Germania. Ciò, secondo la Commissione, consente di qualificare la presente causa come non interna a un solo Stato membro.

    57.

    In udienza, tali osservazioni sulla competenza hanno suscitato alcune discussioni in merito a ciò che rende «interna» una situazione e agli elementi che possono essere presi in considerazione per qualificare un’operazione tra due società di uno stesso Stato membro come un’operazione «transfrontaliera» ( 40 ). Tenuto conto anche della possibilità di qualificare la situazione di cui alla presente causa come interna, la discussione ha altresì riguardato la pertinenza della sentenza della Corte nella causa Ullens de Schooten ( 41 ).

    58.

    Pur ritenendo tali questioni intriganti e soltanto parzialmente chiarite nella giurisprudenza della Corte, resisterò alla tentazione di trattarle nelle presenti conclusioni. Semplicemente, non ritengo che esse siano pertinenti nelle circostanze del caso di specie.

    59.

    Come spiegato ai paragrafi 49 e 54 delle presenti conclusioni, la fattispecie in esame rientra nell’ambito di applicazione del regolamento sul controllo degli IED. Per concludere, la proposta acquisizione della Janes da parte della ricorrente può essere qualificata come un «investimento estero diretto» ai sensi del regolamento sul controllo degli IED. Dal momento che, quindi, la controversia di cui al procedimento principale ricade nell’ambito di applicazione della normativa dell’Unione, la quale mira fra l’altro ad armonizzare i meccanismi nazionali di controllo, la questione se la situazione di cui trattasi sia interna è irrilevante. La competenza della Corte è determinata dalla mera applicabilità del diritto derivato dell’Unione alla controversia di cui trattasi ( 42 ).

    60.

    Come confermato in udienza, un altro argomento che consente di qualificare in tal modo la causa è che il governo ungherese interpreta la legge LVIII 2020 come rientrante nell’ambito di applicazione del regolamento sul controllo degli IED. Infatti, come confermato anche dalla Commissione, conformemente all’obbligo ad esso incombente in forza dell’articolo 3, paragrafo 7, di detto regolamento, il governo ungherese ha notificato la legge in questione alla Commissione. In conformità con tale notifica e con l’articolo 3, paragrafo 8, dello stesso regolamento, la Commissione ha successivamente pubblicato la normativa ungherese di cui trattasi nell’elenco dei meccanismi di controllo degli Stati membri. Dato che la legge LVIII 2020 costituisce, secondo il giudice del rinvio, il diritto applicabile nella causa di cui è investito, poiché ha costituito la base giuridica della decisione controversa, l’applicabilità del diritto dell’Unione e l’utilità dell’interpretazione richiesta alla Corte nell’ambito del procedimento pregiudiziale sono evidenti. Il chiarimento richiesto consentirà al giudice del rinvio di valutare se la legge LVIII 2020 abbia ecceduto i limiti fissati dal diritto dell’Unione.

    61.

    Qualora la Corte, ciò nonostante, non condividesse la mia interpretazione della competenza nella presente causa, indicherò brevemente altre tre possibilità per stabilire la competenza.

    62.

    In primo luogo, pur non essendo un fervido sostenitore di detta giurisprudenza, è evidente che la Corte potrebbe fondare la propria competenza sui potenziali effetti transfrontalieri derivanti dal meccanismo ungherese di controllo ( 43 ). Quasi incontestabilmente, «non si può escludere» che l’impresa di un altro Stato membro, detenuta da un’impresa di uno Stato terzo, possa essere interessata all’acquisizione di una società ungherese «strategica». Ciò è facile da immaginare nel caso di specie, dato che l’acquisizione avrebbe potuto essere effettuata, direttamente, anche dalla Xella Germania. La legge ungherese in questione, quindi, ha un potenziale effetto transfrontaliero.

    63.

    In secondo luogo, si potrebbe trarre ispirazione anche dalla sentenza Felixstowe Dock and Railway Company e a. ( 44 ). In tale causa, le richiedenti, società con sede nel Regno Unito avevano potuto invocare la libertà di stabilimento della loro controllata lussemburghese, poiché avevano «ricev[uto] un trattamento fiscale meno favorevole [a causa della società di collegamento lussemburghese in questione] di quello che avrebbero ricevuto se fossero state legate alla società cedente attraverso una società di collegamento con sede nel Regno Unito» ( 45 ). La competenza potrebbe quindi essere fondata, per quanto concerne sia la società madre (o le società madri) dell’Unione di cui alla presente causa (la Xella Germania e la Xella Lussemburgo), sia il titolare effettivo finale della Lone Star (il cittadino irlandese), sulla libertà di stabilimento e, per quanto concerne la società «capogruppo» del paese terzo (la società bermudiana), sulla libera circolazione dei capitali.

    64.

    Infine, vi è anche la possibilità di stabilire una competenza astratta sulla base del rinvio, simile a quello esaminato nella sentenza Dzodzi ( 46 ), contenuto nell’articolo 276, punto 3, della legge LVIII 2020 per quanto attiene alla definizione di «società strategica» (disposizione che pare adeguare detta definizione all’articolo 4, paragrafo 1, lettere da a), a e), del regolamento sul controllo degli IED) e nell’articolo 283, paragrafo 1, lettera b), di detta legge, per quanto attiene ai motivi sulla base dei quali il Ministro può giustificare il ricorso al potere di veto ad esso attribuito (disposizione che rinvia all’articolo 52, paragrafo 1, e all’articolo 65, paragrafo 1, TFUE).

    65.

    Indipendentemente dal contesto in cui si iscrive la causa, la Corte è quindi competente a rispondere alle questioni proposte dal giudice del rinvio.

    D.   Condizioni alle quali gli Stati membri possono controllare e bloccare gli investimenti esteri diretti «indiretti»

    66.

    Come spiegato ai paragrafi da 50 a 53 delle presenti conclusioni, i meccanismi di controllo di tutti gli Stati membri, quali autorizzati dal regolamento sul controllo degli IED, devono rispettare le libertà del mercato interno previste dal Trattato.

    67.

    Secondo la Corte, tutti i provvedimenti che vietano, ostacolano o rendono meno attraente l’esercizio delle libertà del mercato costituiscono restrizioni a tali libertà ( 47 ).

    68.

    La mera esistenza di un meccanismo di controllo rende di per sé meno attraenti gli investimenti diretti provenienti da paesi terzi. È ovvio che la decisione controversa, bloccando l’acquisizione della Janes, rende l’esercizio del diritto di investire in un’impresa dell’Unione (fondato sull’articolo 63, paragrafo 1, TFUE) e del diritto di stabilimento (fondato sugli articoli 49 e 54 TFUE) non soltanto meno attraente ma, di fatto, del tutto impossibile ( 48 ).

    69.

    Tuttavia, restrizioni all’esercizio delle libertà fondamentali sono ammesse se giustificate da motivi legittimi di interesse generale e ove idonee e necessarie alla tutela di tali interessi. Il rispetto di questi due requisiti, una giustificazione accettabile e la proporzionalità, è oggetto di un controllo giurisdizionale sulla base del diritto dell’Unione. Normative nazionali quali la legge LVIII 2020, nonché le singole decisioni fondate su quest’ultima, devono rispettare le condizioni loro imposte dal diritto dell’Unione. Di conseguenza, e dato che, nell’ambito di un procedimento pregiudiziale, la competenza della Corte è limitata all’interpretazione delle condizioni imposte dal diritto dell’Unione, spetterà al giudice del rinvio valutare se la legge LVIII 2020, come applicata dal Ministro, soddisfi tali condizioni.

    1. Obiettivo legittimo

    70.

    L’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento sul controllo degli IED autorizza i meccanismi nazionali di controllo a limitare i flussi di capitale per due possibili motivi: la tutela della sicurezza, da un lato, e dell’ordine pubblico, dall’altro. A tal riguardo, detto regolamento si avvale delle giustificazioni già enunciate nel Trattato ( 49 ) nonché negli accordi internazionali che vincolano l’Unione ( 50 ). Più concretamente, il considerando 35 di tale regolamento precisa che la sua attuazione, da parte dell’Unione o dei suoi Stati membri, deve conformarsi agli articoli XIV, lettera a), e XIV bis dell’Accordo generale sugli scambi di servizi (GATS) ( 51 ) nonché, più in generale, al diritto dell’Unione.

    71.

    Nella presente causa, la questione pregiudiziale verte unicamente sulle giustificazioni fondate sull’ordine pubblico o sulla pubblica sicurezza, come previsto dall’articolo 65, paragrafo 1, lettera b), TFUE. È opportuno notare che gli stessi motivi sono previsti anche come possibili giustificazioni di una restrizione alla libertà di stabilimento di cui all’articolo 52, paragrafo 1, TFUE. Mi soffermerò pertanto sul trattamento di tali giustificazioni nella giurisprudenza della Corte.

    72.

    Anzitutto, è necessario spiegare – e ciò, a mio avviso, risponde al richiamo del giudice del rinvio all’articolo 4, paragrafo 2, TUE – che gli Stati membri restano sostanzialmente liberi di determinare, conformemente alle loro necessità nazionali, le esigenze dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza ( 52 ). Dette esigenze possono variare da uno Stato membro all’altro e da un’epoca all’altra ( 53 ). Il diritto dell’Unione non disciplina tali decisioni.

    73.

    Tuttavia, il diritto dell’Unione limita le scelte politiche nazionali, esigendo che le ragioni giustificative siano interpretate restrittivamente, poiché costituiscono deroghe alla regola in base alla quale gli investimenti diretti sono, in linea di principio, liberalizzati ( 54 ). Di conseguenza, tali giustificazioni possono essere invocate soltanto in presenza di una minaccia reale e sufficientemente grave per uno degli interessi fondamentali della collettività ( 55 ), anche se solo probabile ( 56 ).

    74.

    Pertanto, uno Stato membro deve essere in grado di spiegare, in primo luogo, il motivo per cui l’interesse che determina la restrizione di cui trattasi è percepito come fondamentale nella sua società, e, in secondo luogo, il motivo per cui l’attività oggetto di restrizione rappresenta una minaccia reale e sufficientemente grave a tale interesse fondamentale.

    75.

    Secondo il governo ungherese, la legge LVIII 2020 mira a proteggere due interessi fondamentali della società ungherese. Il primo interesse dichiarato è prevenire acquisizioni speculative in settori considerati strategici per l’economia ungherese, in particolare sulla scia della pandemia di COVID-19. Il secondo interesse dichiarato è la tutela della sicurezza dell’approvvigionamento, nel caso specifico, di sabbia, ghiaia e argilla in Ungheria.

    76.

    A mio avviso, e come sostenuto dalla ricorrente, dal governo italiano e dalla Commissione, il primo motivo invocato dal governo ungherese non può essere accettato come eccezione di ordine pubblico. Dalla giurisprudenza emerge chiaramente che, in astratto, ragioni di natura puramente economica non possono servire come giustificazione per ostacoli a una delle libertà fondamentali ( 57 ). A scanso di equivoci, non contesto che, in determinate circostanze, una crisi sanitaria come la crisi COVID-19 possa determinare un aumento degli investimenti speculativi dall’estero. Tuttavia, detti investimenti fanno parte della vita economica. Essi si inseriscono nella strategia commerciale di fondi d’investimento quali la Lone Star. Pertanto, la protezione dell’economia nazionale ungherese da investimenti speculativi non può, di per sé, essere qualificata come un interesse tutelabile per motivi di ordine pubblico ( 58 ).

    77.

    È vero che la Corte ha precisato che, in determinate circostanze, motivi che altrimenti non potrebbero essere accettati quali elementi idonei a giustificare una restrizione a operazioni tra soggetti del mercato interno possono giustificare un ostacolo al movimento di capitali provenienti da paesi terzi. Così, nella sua sentenza nella causa Test Claimants in the FII Group Litigation, la Corte ha spiegato che «non si può escludere che uno Stato membro possa dimostrare che una limitazione dei movimenti di capitali a destinazione di paesi terzi o in provenienza da essi sia giustificata da un determinato motivo in circostanze in cui tale motivo non potrebbe costituire una giustificazione valida per una restrizione ai movimenti di capitali tra Stati membri» ( 59 ). Tuttavia, in questa e in altre cause simili, ciò che ha indotto la Corte ad accettare di distinguere tra giustificazioni accettabili in un contesto interno ed esterno all’Unione è stata l’esistenza di un elevato grado di integrazione giuridica tra gli Stati membri nel mercato interno (ad esempio mediante un’armonizzazione fiscale) e la corrispondente assenza di un analogo livello di integrazione con lo Stato terzo in questione ( 60 ).

    78.

    Tale giurisprudenza non è applicabile nella presente causa. A mio avviso, un elevato grado di integrazione giuridica nel mercato interno non può giustificare il ricorso a ragioni puramente economiche per giustificare, in via generale, una restrizione a investimenti esteri diretti «indiretti» di tipo speculativo ( 61 ). Poiché gli investimenti speculativi sono considerati un’attività commerciale legittima e non sono specificamente disciplinati nel mercato interno, non è possibile impedirli con il pretesto di una giustificazione di ordine pubblico soltanto in quanto direttamente o indirettamente provenienti da un paese terzo.

    79.

    Il secondo motivo invocato dal governo ungherese, la sicurezza dell’approvvigionamento, può essere dedotto, a mio avviso, come questione di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

    80.

    In questo caso, il governo ungherese spiega, in sostanza, che la sicurezza dell’approvvigionamento di aggregati per l’edilizia è importante per le infrastrutture industriali e pubbliche del Paese, anche a livello locale. La ricorrente, il governo italiano e la Commissione osservano che tale preoccupazione può, in linea di principio e in determinate circostanze, giustificare un’interferenza con le norme in materia di libera circolazione. Tuttavia, la ricorrente e la Commissione osservano anche che non ritengono che tale giustificazione possa applicarsi al caso di specie.

    81.

    Ad oggi, la Corte ha riconosciuto l’esigenza di garantire la sicurezza della fornitura di determinati servizi pubblici di base e il buon funzionamento di alcuni servizi di rete considerati necessari per la vita economica e sociale di uno Stato membro come giustificazioni accettabili nel quadro dell’eccezione di ordine pubblico ( 62 ).

    82.

    Di conseguenza, ciò non esclude la possibilità, a mio avviso, che la garanzia dell’approvvigionamento di determinati aggregati per l’edilizia possa, in tempi di crisi, essere considerata, dal punto di vista di uno Stato membro, una preoccupazione idonea a giustificare una restrizione a una libertà fondamentale del mercato per motivi di ordine pubblico (o di pubblica sicurezza). Ciò vale anche per la sabbia, la ghiaia e l’argilla, nonostante il fatto che la Commissione non abbia (ancora) inserito questi aggregati nell’elenco delle materie prime «critiche» ( 63 ). Infatti, vi sono studi a sostegno dell’idea che i materiali in questione siano scarsi e che il loro approvvigionamento possa essere motivo di preoccupazione ( 64 ). Pertanto, gli sforzi per garantire l’approvvigionamento di sabbia, ghiaia e argilla possono essere ricondotti a un interesse fondamentale della società.

    83.

    Tale posizione è corroborata anche dal testo del regolamento sul controllo degli IED. L’articolo 4 di tale regolamento stabilisce che, nel determinare se un investimento estero diretto possa incidere sulla sicurezza o sull’ordine pubblico, gli Stati membri (e la Commissione) possono prendere in considerazione gli effetti potenziali di un’operazione in capitale, tra l’altro, sull’approvvigionamento di fattori produttivi critici, tra cui le materie prime. Analogamente, ai sensi dell’articolo 8 di tale regolamento, la Commissione può emettere un parere destinato allo Stato membro interessato qualora ritenga che un investimento estero diretto possa incidere su progetti o programmi di interesse per l’Unione che rientrano nel diritto dell’Unione in materia di fattori produttivi critici e che sono essenziali per la sicurezza e l’ordine pubblico.

    84.

    Nonostante la possibilità, in termini generali, di invocare l’esigenza di garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di determinate materie prime, ritengo difficile concludere, nelle circostanze del caso di specie, che la proprietà estera di un produttore che rappresenta soltanto lo 0,52% della produzione nazionale ungherese di sabbia, ghiaia e argilla costituisca una minaccia reale e sufficientemente grave all’interesse fondamentale della sicurezza della catena di approvvigionamento in Ungheria.

    85.

    Quando interpellato, in udienza, il governo ungherese non è stato in grado di fornire una ragione convincente quanto al motivo per cui la protezione della Janes da una proprietà estera costituirebbe un interesse fondamentale per la società ungherese (a livello locale o nazionale). Rimane oscuro anche il modo in cui una proprietà estera minacci l’approvvigionamento dei materiali di cui trattasi alle imprese edili locali. Del resto, attualmente, la Janes vende già il 90% della sua produzione alla ricorrente, mentre solo il 10% è venduto alle imprese locali ( 65 ).

    86.

    Non mi convince affatto l’argomento del governo ungherese secondo cui la proprietà estera di una cava, o della società che la gestisce, può rappresentare, di per sé, una minaccia alla sicurezza dell’approvvigionamento tale da giustificare una restrizione agli investimenti esteri diretti in detta cava o impresa in quanto questione di ordine pubblico. A mio avviso, anche dinanzi a differenti contesti giuridici e politici all’interno e al di fuori dell’Unione, non vi è alcun motivo ragionevole o persuasivo per cui gli Stati membri debbano agire mossi da una diffidenza generale verso tutti gli investimenti esteri diretti per quanto concerne le operazioni provenienti da paesi terzi ( 66 ).

    87.

    Pertanto, sebbene il diritto nazionale, in questo caso la legge LVIII 2020, possa, in linea di principio, stabilire che il controllo degli investimenti esteri diretti «indiretti» è giustificato dall’esigenza di garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di determinate materie prime, detta giustificazione può essere invocata soltanto ove si possa dimostrare che la proprietà estera della fonte di tali materie rappresenta una minaccia reale e sufficientemente grave per la sicurezza dell’approvvigionamento di una particolare regione o dell’intera Ungheria.

    88.

    Sebbene spetti al giudice del rinvio confermare se tale motivazione sia stata fornita nella decisione controversa, sottolineo che dal fascicolo processuale non risulta che il Ministro abbia spiegato se e in che modo la proprietà estera indiretta della Janes rappresenti una minaccia reale e grave alla sicurezza dell’approvvigionamento di ghiaia, sabbia e argilla in Ungheria (nel suo intero territorio o nella specifica regione interessata).

    89.

    Ciò non significa necessariamente che la legge LVIII 2020 sia, di per sé, in contrasto con il diritto dell’Unione. Il rinvio, contenuto in tale legge, agli articoli del Trattato che disciplinano le deroghe alle libertà fondamentali del mercato, che il Ministro è tenuto a rispettare ( 67 ), può essere sufficiente. Tuttavia, ciò vale soltanto qualora, ai fini del diritto ungherese, tale rinvio costituisca un obbligo sufficientemente chiaro, per il Ministro, di spiegare, in ogni singola decisione di controllo, il motivo per cui un determinato investimento estero diretto rappresenti una minaccia reale e sufficientemente grave all’interesse fondamentale dell’Ungheria. Poiché il necessario grado di precisione con cui è imposto tale obbligo nello stesso testo legislativo dipende, a mio avviso, dalla cultura giuridica del singolo Stato membro, si tratta di una questione che soltanto un giudice nazionale può valutare.

    2. Proporzionalità

    90.

    La legge nazionale che disciplina i meccanismi di controllo degli investimenti esteri diretti dovrebbe prevedere anche il requisito in forza del quale ogni decisione di controllo adottata dal Ministro sulla base di tale legge deve essere idonea e necessaria alla protezione di un interesse fondamentale della società di uno Stato membro da una minaccia reale.

    91.

    Come per il requisito ai sensi del quale la giustificazione deve, di per sé, essere conforme al Trattato (v. paragrafo 89 delle presenti conclusioni), potrebbe essere sufficiente un rinvio, da parte della legge nazionale, alle disposizioni sulla libera circolazione, che impongono un esame completo della proporzionalità delle restrizioni a tali libertà. È importante che detta legge imponga alle autorità nazionali di esecuzione l’obbligo di spiegare il motivo per cui la misura adottata (come, nel caso di specie, il blocco dell’acquisizione di un’impresa dell’Unione) è proporzionata.

    92.

    Spetta al giudice nazionale valutare se una determinata misura sia proporzionata. In altri termini, qualora il giudice del rinvio ritenga che l’approvvigionamento di sabbia, ghiaia e argilla costituisca un interesse fondamentale della società ungherese, sottoposto a una minaccia reale, esso dovrebbe valutare anche se il blocco dell’acquisizione della Janes da parte della ricorrente faccia fronte a tale minaccia. Ciò significa che la decisione controversa deve essere idonea e necessaria a eliminare l’asserita minaccia.

    93.

    Mi limiterò a osservare che, dalle informazioni contenute nel fascicolo processuale, non è chiaro in che modo il divieto di proprietà estera indiretta della Janes contribuisca a garantire l’approvvigionamento senza ostacoli di sabbia, ghiaia e argilla alle imprese edili locali. Com’è stato osservato dalla stessa Corte in udienza, nulla impedisce a una società ungherese di vendere tutto il materiale estratto dalla cava a imprese estere. Tuttavia, anche supponendo che il legame con l’obiettivo dichiarato sia stato in qualche modo provato, rimane la questione (anch’essa inesplorata) del motivo per cui non si potesse fare ricorso a una misura meno restrittiva, come una quota di distribuzione locale a condizioni di mercato.

    94.

    Tuttavia, come già osservato, spetta al giudice nazionale, in ultima analisi, valutare se il Ministro abbia motivato in modo adeguato l’idoneità e la necessità della misura in questione (circostanza che non sono in grado di stabilire).

    IV. Conclusione

    95.

    Alla luce di quanto precede, suggerisco alla Corte di rispondere alla prima questione pregiudiziale proposta dalla Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest – Capitale, Ungheria) nei seguenti termini:

    L’articolo 4, paragrafo 2, TUE, l’articolo 65, paragrafo 1, lettera b), TFUE e il regolamento (UE) 2019/452 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2019, che istituisce un quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti nell’Unione,

    non ostano a una normativa nazionale che permette il controllo di investimenti esteri diretti provenienti da paesi terzi in un’impresa dell’Unione, realizzati tramite un’altra impresa dell’Unione, qualora detti investimenti comportino una partecipazione effettiva dell’impresa del paese terzo alla gestione o al controllo dell’impresa dell’Unione nella quale ha investito.

    Siffatta normativa nazionale può prevedere che il controllo di un’operazione sia giustificato dall’esigenza di garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di determinate materie prime.

    Detta normativa deve prevedere che le singole decisioni di controllo espongano il motivo per cui un determinato investimento estero diretto costituisce una minaccia reale e sufficientemente grave alla sicurezza dell’approvvigionamento, nonché il motivo per cui una determinata decisione di controllo è idonea e necessaria per far fronte a tale minaccia.


    ( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

    ( 2 ) Regolamento (UE) 2019/452 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2019, che istituisce un quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti nell’Unione (GU 2019, L 79I, pag. 1).

    ( 3 ) Sul contesto politico più ampio di siffatte misure, v. Hellendoorn, E., «What US outbound investment screening means for Transatlantic relations», Consiglio atlantico, 8 novembre 2022, disponibile all’indirizzo: https://www.atlanticcouncil.org/blogs/econographics/what-us-outbound-investment-screening-means-for-transatlantic-relations/.

    ( 4 ) V., in generale, Programma di lavoro della Commissione per il 2023: Un’Unione salda e unita, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni [COM (2022) 548 final], pagg. 8 e 9.

    ( 5 ) V., a tal riguardo, Politico, «Russia threatens to limit agri-food supplies only to “friendly” countries», disponibile all’indirizzo: https://www.politico.eu/article/russias-former-president-medvedev-warns-agricultural-supplies-restricted-to-friendly-countries/.

    ( 6 ) A veszélyhelyzet megszűnésével összefüggő átmeneti szabályokról és a járványügyi készültségről szóló 2020. évi LVIII. törvény (legge n. LVIII del 2020 sulle norme transitorie relative alla cessazione dello stato di emergenza e sulla crisi epidemiologica).

    ( 7 ) Per la determinazione del significato di «partecipazione di maggioranza», la legge LVIII 2020 rinvia alla legge ungherese recante il codice civile, ai sensi della quale risulta che una partecipazione superiore al 50% soddisfa detta soglia. È quindi pacifico che la partecipazione di cui alla presente causa raggiunge la soglia in questione.

    ( 8 ) A magyarországi székhelyű gazdasági társaságok gazdasági célú védelméhez szükséges tevékenységi körök meghatározásáról szóló 289/2020. (VI. 17.) Korm. rendelet [decreto governativo n. 289/2020 (VI. 17), recante la definizione delle categorie di attività necessarie per la tutela degli interessi economici delle società commerciali situate in Ungheria] (in prosieguo: il «decreto governativo n. 289/2020»).

    ( 9 ) Anche se, come faccio notare al paragrafo 82 delle presenti conclusioni, si potrebbe sostenere che la sabbia, la ghiaia e l’argilla non costituiscono (per ora) materie prime «di importanza fondamentale».

    ( 10 ) Poiché la Corte ha richiesto le mie conclusioni unicamente sulla prima questione, non tratterò la seconda questione proposta dal giudice del rinvio.

    ( 11 ) Parere del 16 maggio 2017 (EU:C:2017:376).

    ( 12 ) Idem, punto 82. Il corsivo è mio.

    ( 13 ) Idem, punto 80. Nello stesso punto, la Corte ha richiamato la sua giurisprudenza pregressa in materia di mercato interno, vertente sulla distinzione tra investimenti diretti e investimenti di minoranza; v. sentenze del 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑446/04, EU:C:2006:774, punti 181182); del 26 marzo 2009, Commissione/Italia (C‑326/07, EU:C:2009:193, punto 35); e del 24 novembre 2016, SECIL (C‑464/14, EU:C:2016:896, punti 7576).

    ( 14 ) V., ad esempio, sentenza del 26 marzo 2009, Commissione/Italia (C‑326/07, EU:C:2009:193, punti 3536 e giurisprudenza ivi citata) (in cui è operata una distinzione tra gli investimenti che permettono una partecipazione effettiva in un’impresa e quelli che si concretizzano in una partecipazione minore).

    ( 15 ) Secondo la Corte, soltanto gli investimenti che permettono una partecipazione effettiva in una società o il suo controllo sono tali da sfociare in attività economiche «ave[nti] effetti diretti e immediati sugli scambi commerciali tra [uno] Stato terzo e l’Unione». V. parere 2/15 (Accordo di libero scambio UE-Singapore), del 16 maggio 2017 (EU:C:2017:376, punto 84).

    ( 16 ) V., in tal senso, in particolare, parere 1/78 (Accordo internazionale sulla gomma naturale) del 4 ottobre 1979 (EU:C:1979:224, punti 4445) (nel quale si precisa che un’interpretazione restrittiva renderebbe la politica commerciale comune «gradualmente inoperante»). V. anche, a tal riguardo, parere dell’avvocato generale Wahl nel parere 3/15 (Trattato di Marrakech sull’accesso alle opere pubblicate) del 14 febbraio 2017 (EU:C:2016:657, punto 43) (nel quale si osserva che, poiché le pratiche commerciali, i modelli e le tendenze mutano nel corso del tempo, l’oggetto della politica commerciale comune deve accompagnarne l’evoluzione).

    ( 17 ) Sentenza del 22 ottobre 2013, Essent e a. (da C‑105/12 a C‑107/12, EU:C:2013:677, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 18 ) Sentenza del 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑446/04, EU:C:2006:774, punto 37) (in cui si conclude che la libertà di stabilimento si applica nonostante il fatto che la normativa di cui trattasi in tale causa possa incidere anche sulla libera circolazione dei capitali in caso di partecipazioni minori). Tale approccio è stato in seguito confermato nella sentenza del 13 novembre 2012, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑35/11, EU:C:2012:707, punto 95 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 19 ) V., in origine, sentenza del 13 aprile 2000, Baars (C‑251/98, EU:C:2000:205, punti 2122) (in cui si dichiara che il soggetto che esercita una sicura influenza sulle decisioni di un’impresa può indirizzarne le attività, sicché trova applicazione la libertà di stabilimento).

    ( 20 ) V., in particolare, sentenza del 10 febbraio 2011, Haribo Lakritzen Hans Riegel e Österreichische Salinen (C‑436/08 e C‑437/08, EU:C:2011:61, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 21 ) V., in tal senso, le mie conclusioni nella causa ÖBB-Infrastruktur Aktiengesellschaft (C‑500/20, EU:C:2022:79, paragrafo 64).

    ( 22 ) V., a tal riguardo, Commissione europea, Documento di riflessione sulla gestione della globalizzazione [COM(2017) 240 final], pag. 15 (in cui si menzionano i rischi connessi, in particolare, a imprese di Stato le quali rilevino per motivi strategici le imprese europee che dispongono di tecnologie fondamentali). Alcuni autori sostengono che un rafforzamento del controllo degli investimenti in entrata è utile per rafforzare la posizione negoziale dell’Unione nelle sue relazioni esterne, che le permetterebbero di lavorare all’apertura dei mercati esteri agli investimenti dell’Unione. V., in generale, Schill, S., «The European Union’s Foreign Direct Investment Screening Paradox: Tightening Inward Investment Control to Further External Investment Liberalization», Legal Issues of Economic Integration, vol. 46(2), 2019, pagg. da 105 a 128.

    ( 23 ) Ciò premesso, è alquanto evidente che il legislatore dell’Unione ha fatto ricorso a un regolamento in quanto l’articolo 207, paragrafo 2, TFUE prescrive l’uso del regolamento per l’adozione di misure «che definiscono il quadro di attuazione della politica commerciale comune». Il fatto è che, nonostante il dettato dell’articolo 288 TFUE, tale strumento legislativo è più agevolmente comparabile a una direttiva.

    ( 24 ) Va osservato che, sebbene il considerando 8 del regolamento sul controllo degli IED disponga che gli Stati membri non sono tenuti ad adottare un meccanismo di controllo, è alquanto chiaro che essi sono fortemente incoraggiati a farlo. V., a tal riguardo, comunicazione della Commissione, Orientamenti agli Stati membri per quanto riguarda gli investimenti esteri diretti e la libera circolazione dei capitali provenienti da paesi terzi, nonché la protezione delle attività strategiche europee, in vista dell’applicazione del regolamento [sul controllo degli IED] (GU 2020, C 99I, pagg. 1 e 2).

    ( 25 ) V., a tal riguardo, Cremona, M., «Regulating FDI in the EU Legal Framework’, in Bourgeois, J.H.J. (a cura di), EU Framework for Foreign Direct Investment Control, Wolters Kluwer, Alphen-sur-le-Rhin, 2019, pag. 35.

    ( 26 ) Secondo l’elenco dei meccanismi di controllo notificati dagli Stati membri e redatto dalla Commissione in applicazione dell’articolo 3, paragrafo 8, del regolamento sul controllo degli IED, risulta che numerosi Stati membri disponevano di una sorta di meccanismo di controllo prima della data di entrata in vigore di tale regolamento.

    ( 27 ) V., a tal riguardo, considerando 4 del regolamento sul controllo degli IED, ai sensi del quale detto regolamento «fa salvo il diritto degli Stati membri di derogare alla libera circolazione dei capitali previsto all’articolo 65, paragrafo 1, lettera b), TFUE» e che il giudice del rinvio richiama nella sua prima questione.

    ( 28 ) L’articolo 2, paragrafo 1, TFUE, relativo alle competenze esclusive dell’Unione, precisa che, in tali settori, gli Stati membri possono legiferare solo se sono autorizzati dall’Unione.

    ( 29 ) Se così non fosse, dato che il regolamento sul controllo degli IED non richiede che gli Stati membri istituiscano meccanismi di controllo, si potrebbe sostenere che un atto giuridicamente vincolante non era necessario. Infatti, sarebbe stato sufficiente, per l’Unione, utilizzare qualche tipo di misura non vincolante per indurre gli Stati membri ad agire. Di conseguenza, la scelta di un atto giuridicamente vincolante potrebbe spiegarsi anche con la necessità di risolvere il problema di competenza creato dal Trattato di Lisbona, e di esprimere quindi in qualche modo una forma di «autorizzazione» nei confronti degli Stati membri.

    ( 30 ) Parere 2/15 (Accordo di libero scambio UE-Singapore) del 16 maggio 2017 (EU:C:2017:376, punto 36 e giurisprudenza ivi citata). V. anche, per analogia, sentenza del 18 luglio 2013, Daiichi Sankyo e Sanofi-Aventis Deutschland (C‑414/11, EU:C:2013:520, punto 52) (in cui si dichiara che le misure dell’Unione nel settore della proprietà intellettuale, oggetto di una competenza concorrente, «che presentano un nesso specifico con gli scambi commerciali internazionali possono rientrare nella nozione di “aspetti commerciali della proprietà intellettuale” di cui all’articolo 207, paragrafo 1, TFUE e, quindi, nell’ambito della politica commerciale comune»).

    ( 31 ) A tal riguardo, v. parere 2/15 (Accordo di libero scambio UE-Singapore) del 16 maggio 2017 (EU:C:2017:376, punto 84), in cui la Corte ha precisato che la «delimitazione dell’ambito di applicazione della politica commerciale comune riguardo agli investimenti esteri rispecchia la circostanza che qualsiasi atto dell’Unione, il quale promuova, faciliti o disciplini la partecipazione, da parte di una persona fisica o giuridica di uno Stato terzo nell’Unione e viceversa, alla gestione o al controllo di una società esercente un’attività economica, è idoneo ad avere effetti diretti e immediati sugli scambi commerciali tra detto Stato terzo e l’Unione, mentre un siffatto nesso specifico con questi scambi risulta assente nel caso di investimenti che non portino ad una partecipazione di questo tipo».

    ( 32 ) Osservo che dal programma di lavoro della Commissione per il 2023 risulta che essa intende rafforzare il regolamento sul controllo degli IED. V. comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Programma di lavoro della Commissione per il 2023, Un’Unione salda e unita [COM(2022) 548 final], pagg. 8 e 9.

    ( 33 ) V., in particolare, sentenza del 1o aprile 2014, Felixstowe Dock and Railway Company e a. (C‑80/12, EU:C:2014:200, punto 40).

    ( 34 ) Il corsivo è mio.

    ( 35 ) Come osservato da Cohen nel suo influente articolo del 1935, la sede di un’impresa non indica pressoché nulla quanto alle sue attività; v., a tal riguardo, Cohen, F.S., «Transcendental Nonsense and the Functional Approach», Columbia Law Review, vol. 35(6), 1935, pag. 809, in particolare, pag. 810.

    ( 36 ) V., per analogia, sentenze del 31 gennaio 1984, Luisi e Carbone (286/82 e 26/83, EU:C:1984:35, punto 34); del 23 febbraio 1995, Bordessa e a. (C‑358/93 e C‑416/93, EU:C:1995:54, punti da 24 a 26); e del 14 dicembre 1995, Sanz de Lera e a. (C‑163/94, C‑165/94 e C‑250/94, EU:C:1995:451, punto 24) (in cui si precisa che l’autorizzazione previa all’esportazione di valuta costituisce una restrizione alla libera circolazione dei capitali).

    ( 37 ) V., ad esempio, sentenza del 22 ottobre 2013, Commissione/Consiglio (C‑137/12, EU:C:2013:675, punto 53) (nella quale si statuisce che, qualora da un atto emerga che esso persegue una duplice finalità o che ha una doppia componente, delle quali una è preponderante e l’altra accessoria, tale atto deve fondarsi sulla base giuridica funzionale alla finalità o componente preponderante).

    ( 38 ) Di conseguenza, non mi sembra persuasiva la tesi secondo cui il senso del riferimento all’articolo 65, paragrafo 1, TFUE, contenuto nel considerando 4 del regolamento sul controllo degli IED, sarebbe che gli Stati membri possono scegliere di istituire differenti meccanismi di controllo degli investimenti diretti provenienti da paesi terzi, che esulino dall’ambito di applicazione di tale regolamento.

    ( 39 ) Ritornerò su tale questione nella sezione D.2 delle presenti conclusioni.

    ( 40 ) Fondandosi sul fatto che la Xella Germania detiene il 100% delle azioni della ricorrente, la Commissione ha inoltre ritenuto che tale causa dovrebbe essere risolta alla luce delle norme relative alla libertà di stabilimento, dato che gli investimenti «esteri» diretti all’interno dell’Unione attributivi di controllo rientrano nell’ambito di applicazione di tale libertà del mercato. A sostegno di tale conclusione, la Commissione ha invocato le sentenze del 1o febbraio 2001, Mac Quen e a. (C‑108/96, EU:C:2001:67, punto 16) e del 17 ottobre 2002, Payroll e a. (C‑79/01, EU:C:2002:592, punto 25). A suo avviso, l’elemento transfrontaliero pertinente, che giustifica la competenza della Corte, consiste nel fatto che la ricorrente poteva avvalersi del diritto di stabilimento transfrontaliero della Xella Germania. In udienza, tuttavia, la Commissione non è riuscita a spiegare il motivo per cui, nel determinare l’assetto proprietario, ci si dovrebbe fermare alla Xella Germania, e non alla Xella Lussemburgo o alla società bermudiana. Ove l’operazione controversa sia considerata dalla prospettiva di quest’ultima impresa, la ricorrente potrebbe parimenti invocare la libera circolazione dei capitali della sua «capogruppo» nelle Bermuda, poiché, in forza dell’articolo 63, paragrafo 1, TFUE, i movimenti di capitali provenienti da paesi terzi verso l’Unione sono anch’essi liberalizzati.

    ( 41 ) Sentenza del 15 novembre 2016, Ullens de Schooten (C‑268/15, EU:C:2016:874).

    ( 42 ) Come dimostrato in dottrina, il carattere interno di una situazione costituisce un ostacolo alla competenza della Corte soltanto nei casi che implicano un’integrazione negativa (l’applicazione diretta delle libertà fondamentali di cui al Trattato), ma non nei casi di integrazione positiva (l’applicazione del diritto derivato di armonizzazione dell’Unione a situazioni altrimenti interne). V., ad esempio, Mataija, M., «Internal Situations in Community Law: An Uncertain Safeguard of Competences Within the Internal Market», Croatian Yearbook of European Law and Policy, vol. 5, 2009, pagg. da 31 a 63, in particolare pagg. da 37 a 40.

    ( 43 ) V., in tal senso, sentenze dell’11 marzo 2010, Attanasio Group (C‑384/08, EU:C:2010:133, punto 24); dell’8 maggio 2013, Libert e a. (C‑197/11 e C‑203/11, EU:C:2013:288, punto 34); e del 5 dicembre 2013, Venturini e a. (da C‑159/12 a C‑161/12, EU:C:2013:791, punto 25).

    ( 44 ) Sentenza del 1o aprile 2014 (C‑80/12, EU:C:2014:200).

    ( 45 ) Idem, punto 24.

    ( 46 ) Sentenza del 18 ottobre 1990 (C‑297/88 e C‑197/89, EU:C:1990:360, punto 41).

    ( 47 ) V., ex multis, per quanto concerne la libertà di stabilimento, sentenza del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo (C‑106/16, EU:C:2017:804, punto 46 e giurisprudenza ivi citata). Per quanto riguarda la libera circolazione dei capitali, v., ad esempio, sentenza del 18 giugno 2020, Commissione/Ungheria (Trasparenza associativa) (C‑78/18, EU:C:2020:476, punti 5253 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 48 ) Come ho spiegato al paragrafo 63 delle presenti conclusioni in merito alla questione della competenza, a seconda del soggetto considerato la fattispecie in esame potrebbe essere intesa come comportante una restrizione alla libera circolazione dei capitali (della società bermudiana) oppure alla libertà di stabilimento (della Xella Germania, della Xella Lussemburgo o persino del cittadino irlandese all’estremità della catena di proprietà delle società dell’intero gruppo Xella).

    ( 49 ) Ricordo che il considerando 4 del regolamento sul controllo degli IED precisa che il quadro istituito da quest’ultimo «fa salvo il diritto degli Stati membri di derogare alla libera circolazione dei capitali previsto all’articolo 65, paragrafo 1, lettera b), TFUE».

    ( 50 ) V., a tal riguardo, considerando 3 del regolamento sul controllo degli IED, ai sensi del quale gli impegni assunti nell’ambito dell’OMC, dell’OCSE e degli accordi commerciali e di investimento conclusi con paesi terzi, consentono «[al]l’Unione e [a]gli Stati membri [di] adottare, per motivi di sicurezza o di ordine pubblico, misure restrittive nei confronti degli investimenti esteri diretti, purché siano rispettate alcune condizioni».

    ( 51 ) Sulla portata dell’eccezione relativa alla sicurezza e all’ordine pubblico in tali disposizioni del GATS, v. Velten, J., «Screening Foreign Direct Investment in the EU. Political Rationale, Legal Limitations, Legislative Options», European Yearbook of International Economic Law, vol. 26, 2022, pagg. 59 e segg.

    ( 52 ) V., ad esempio, sentenza del 14 marzo 2000, Église de scientologie (C‑54/99, EU:C:2000:124, punto 17 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 53 ) Come spiegato dalla Corte nel contesto della libera prestazione di servizi nella sua sentenza del 14 ottobre 2004, Omega (C‑36/02, EU:C:2004:614, punto 31) e, nel contesto della cittadinanza, nella sua sentenza del 2 giugno 2016, Bogendorff von Wolffersdorff (C‑438/14, EU:C:2016:401, punto 68).

    ( 54 ) V., ad esempio, sentenza del 14 marzo 2000, Église de scientologie (C‑54/99, EU:C:2000:124, punto 17 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 55 ) Ibidem e, più recentemente, sentenza del 18 giugno 2020, Commissione/Ungheria (Trasparenza associativa) (C‑78/18, EU:C:2020:476, punto 91 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 56 ) V., per analogia, la relazione del panel dell’organo di conciliazione dell’OMC nel caso Unione europea e suoi Stati membri – Varie misure relative al settore dell’energia (WT/DS476/R, punto 7.1163) nella quale si conclude che, per quanto riguarda l’interpretazione della nozione di «rischio reale e sufficientemente grave», di cui alla nota 5 dell’articolo XIV, lettera a), dell’Accordo generale sugli scambi di servizi, «il termine “sufficientemente grave” è utilizzato per qualificare un rischio che (...) dovrebbe essere inteso nel senso che si riferisce alle potenziali conseguenze o alla potenziale gravità degli effetti di un rischio in fase di concretizzazione».

    ( 57 ) V., ex multis, sentenza del 21 dicembre 2016, AGET Iraklis (C‑201/15, EU:C:2016:972, punto 72 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 58 ) Ciò premesso, qualora, nel corso di una pandemia come quella di COVID-19, detti investimenti siano diretti, ad esempio, all’acquisizione di stabilimenti nazionali di produzione di mascherine chirurgiche, con il rischio di ripercussioni sulla protezione della popolazione o sulla fornitura di servizi sanitari, in tal caso sarei del tutto d’accordo nel ritenere che la restrizione di detti investimenti possa essere giustificata da ragioni di ordine pubblico. V. anche, al riguardo, comunicazione della Commissione, Orientamenti agli Stati membri per quanto riguarda gli investimenti esteri diretti e la libera circolazione dei capitali provenienti da paesi terzi, nonché la protezione delle attività strategiche europee, in vista dell’applicazione del regolamento (UE) 2019/452 (regolamento sul controllo degli investimenti esteri diretti) (GU 2020, C 991, pagg. 1 e 2).

    ( 59 ) Sentenza del 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑446/04, EU:C:2006:774, paragrafo 171). V. anche sentenze del 18 dicembre 2007, A (C‑101/05, EU:C:2007:804, punti 3537 e giurisprudenza ivi citata) e del 20 maggio 2008, Orange European Smallcap Fund (C‑194/06, EU:C:2008:289, punto 90).

    ( 60 ) V., in tal senso, sentenze del 24 novembre 2016, SECIL (C‑464/14, EU:C:2016:896, punto 64 e giurisprudenza ivi citata) e del 26 febbraio 2019, X (Società intermedie con sede in paesi terzi) (C‑135/17, EU:C:2019:136, punti da 90 a 92 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 61 ) A tal riguardo, è stato già osservato che l’attuale quadro dell’Unione per il controllo degli investimenti esteri diretti non sarebbe idoneo a realizzare tutti gli obiettivi che gli Stati membri e l’Unione possono voler conseguire mediante l’introduzione di siffatti meccanismi di controllo, non da ultimo le preoccupazioni relative alla reciprocità dell’accesso al mercato. V., in generale Velten, J., «Screening Foreign Direct Investment in the EU. Political Rationale, Legal Limitations, Legislative Options», European Yearbook of International Economic Law, vol. 26, 2022.

    ( 62 ) V., ad esempio, sentenze del 20 giugno 2002, Radiosistemi (C‑388/00 e C‑429/00, EU:C:2002:390, punto 44) (in materia di buon funzionamento della rete pubblica di telecomunicazioni); del 28 settembre 2006, Commissione/Paesi Bassi (C‑282/04 e C‑283/04, EU:C:2006:608, punto 38) (concernente la garanzia del servizio postale universale); del 22 ottobre 2013, Essent e a. (da C‑105/12 a C‑107/12, EU:C:2013:677, punto 53) (sul regime di proprietà pubblica o privata di un gestore del sistema di distribuzione di energia elettrica o di gas); e del 27 febbraio 2019, Associação Peço a Palavra e a. (C‑563/17, EU:C:2019:144, punto 72 e giurisprudenza ivi citata) (relativa al capitolato d’oneri diretto a garantire il carattere sufficiente dei servizi regolari di trasporto aereo a destinazione dei paesi terzi lusofoni e in provenienza dagli stessi, con i quali il Portogallo intrattiene particolari legami).

    ( 63 ) V. comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Resilienza delle materie prime critiche: tracciare un percorso verso una maggiore sicurezza e sostenibilità (COM(2020)474 final), pagg. 3 e 4.

    ( 64 ) V. ad esempio, United Nations Environment Programme Global Environmental Alert Services, «Sand, rarer than one thinks» (marzo, 2014), disponibile all’indirizzo: https://na.unep.net/geas/archive/pdfs/GEAS_Mar2014_Sand_Mining.pdf (in cui si conclude che «la sabbia e la ghiaia rappresentano il più alto volume di materie prime utilizzate sulla terra dopo l’acqua (…) [i]l loro utilizzo supera di gran lunga il tasso di rinnovamento naturale»; in esso si osserva altresì che «la maggior parte della sabbia proveniente dai deserti non può essere utilizzata per il calcestruzzo (...), poiché il processo di erosione eolica forma granelli rotondi che non si legano in modo adeguato»). V. anche BBC Future, «Why the world is running out of sand» (novembre 2019), disponibile all’indirizzo: https://www.bbc.com/future/article/20191108-why-the-world-is-running-out-of-sand (in cui si spiega che in India, la sabbia utile a fini commerciali è attualmente così scarsa che i suoi mercati sono dominati da «mafie della sabbia»). V. anche più in generale, Ioannidou, D.; Meylan, G.; Sonnemann, G.; e Habert, G., «Is gravel becoming scarce? Evaluating the local criticality of construction aggregates», Resources, Conservation and Recycling, volume 126 (2017), pagg. da 26 a 33 (in cui si constata una scarsità di ghiaia utile a fini commerciali soprattutto a livello locale).

    ( 65 ) V. punto 2 dell’ordinanza del giudice del rinvio.

    ( 66 ) In tal senso, Hindelang, S., The Free Movement of Capital and Foreign Direct Investment. The Scope of Protection in EU Law, Oxford University Press, Oxford, 2009, pag. 238 (in cui dichiara che «sostenere che i movimenti di capitali provenienti dagli Stati Uniti d’America rappresentino, in media, un pericolo più grave di violazione della normativa e della regolamentazione nazionali rispetto a quelli provenienti – diciamo, per ipotesi – dalla Romania, è come minimo, un’affermazione altamente speculativa»).

    ( 67 ) L’articolo 283, paragrafo 1, lettera b), della legge LVIII 2020 impone al Ministro di esaminare se un determinato investimento pregiudichi l’interesse dello Stato ungherese «ai sensi dell’articolo 36, dell’articolo 52, paragrafo 1, e dell’articolo 65, paragrafo 1, TFUE».

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