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Document 62021CC0356

Conclusioni dell’avvocato generale T. Ćapeta, presentate il 8 settembre 2022.
J.K. contro TP S.A.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Sąd Rejonowy dla m.st. Warszawy w Warszawie.
Rinvio pregiudiziale – Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – Direttiva 2000/78/CE – Articolo 3, paragrafo 1, lettere a) e c) – Condizioni di accesso al lavoro autonomo – Condizioni di occupazione e di lavoro – Divieto di discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale – Lavoratore autonomo che opera sulla base di un contratto d’opera – Risoluzione e mancato rinnovo di un contratto – Libertà di scegliere un contraente.
Causa C-356/21.

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2022:653

 CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

TAMARA ĆAPETA

presentate l’8 settembre 2022 ( 1 )

Causa C‑356/21

J.K.

contro

TP S.A.,

con l’intervento di:

PTPA

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Sąd Rejonowy dla m.st. Warszawy w Warszawie (Tribunale circondariale della città di Varsavia-capitale, Polonia)]

«Rinvio pregiudiziale – Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – Direttiva 2000/78/CE – Articolo 3 – Divieto di qualsiasi discriminazione fondata sull’orientamento sessuale – Lavoratore autonomo – Rifiuto di rinnovare un contratto»

I. Introduzione

1.

Dopo un rapporto di lavoro della durata di sette anni, fondato su contratti di breve durata conclusi in successione, la TP, un’emittente televisiva pubblica, ha rifiutato di sottoscrivere un nuovo contratto per servizi di editing con J.K., a causa del suo orientamento sessuale ( 2 ).

2.

Può J.K., in quanto lavoratore autonomo, beneficiare di una tutela contro la discriminazione fondata sul suo orientamento sessuale ai sensi della direttiva 2000/78/CE?

3.

L’ambito di applicazione della direttiva 2000/78 costituisce la questione principale che la Corte è invitata a chiarire dal rinvio del Sąd Rejonowy dla m.st. Warszawy w Warszawie (Tribunale circondariale della città di Varsavia-capitale, Polonia).

4.

L’altro problema sollevato dal rinvio pregiudiziale concerne il rapporto tra il divieto di discriminazione e la libertà contrattuale. Il giudice del rinvio si interroga sulla compatibilità con la direttiva 2000/78 di una disposizione di diritto nazionale che consente di tener conto dell’orientamento sessuale quale criterio per la scelta della controparte contrattuale.

II. Contesto normativo

A.   Diritto dell’Unione

5.

L’articolo 1 della direttiva 2000/78 (rubricato «Obiettivo») prevede che essa «mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».

6.

L’articolo 2 di tale direttiva (rubricato «Nozione di discriminazione»), prevede quanto segue:

«1.   Ai fini della presente direttiva, per “principio della parità di trattamento” si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1.

2.   Ai fini del paragrafo 1:

a)

sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga;

(…)

5.   La presente direttiva lascia impregiudicate le misure previste dalla legislazione nazionale che, in una società democratica, sono necessarie alla sicurezza pubblica, alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione dei reati e alla tutela della salute e dei diritti e delle libertà altrui».

7.

L’articolo 3 (rubricato «Campo d’applicazione») così dispone:

«1.   Nei limiti dei poteri conferiti [all’Unione], la presente direttiva, si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene:

a)

alle condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonché alla promozione;

(…)

c)

all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione».

B.   Diritto polacco

8.

Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della Ustawa o wdrożeniu niektórych przepisów prawa Unii Europejskiej w zakresie równego traktowania z dnia 3 grudnia 2010 r. (legge sulla trasposizione di alcune norme di diritto dell’Unione europea relative alla parità di trattamento, del 3 dicembre 2010) [Dziennik Ustaw (Gazzetta Ufficiale) del 2020, posizione 2156 – testo unico] (in prosieguo: la «legge polacca sull’uguaglianza»), tale «legge si applica alle persone fisiche, alle persone giuridiche e agli enti che non sono persone giuridiche ai quali la legge riconosce la capacità giuridica».

9.

Più precisamente, l’articolo 4, punto 2, della legge polacca sull’uguaglianza indica che tale legge si applica in materia di «condizioni di accesso e di esercizio delle attività economiche o professionali, tra cui, in particolare, nell’ambito di un contratto di lavoro o di un’attività lavorativa svolta in base ad un contratto di diritto privato».

10.

L’articolo 5, punto 3, della legge polacca sull’uguaglianza precisa che tale legge non si applica alla «libertà di scegliere la controparte contrattuale, purché la scelta non si fondi sul sesso, sulla razza, sull’origine etnica o sulla nazionalità».

11.

L’articolo 8 della legge polacca sull’uguaglianza enuncia quanto segue:

«1.   È vietata un diverso trattamento delle persone fisiche fondato sul sesso, sulla razza, sull’origine etnica, sulla nazionalità, sulla religione, sul credo, sulle convinzioni, sulla disabilità, sull’età o sull’orientamento sessuale per quanto riguarda:

(…)

2)

le condizioni di accesso e di esercizio delle attività economiche o professionali, tra cui in particolare nell’ambito di un contratto di lavoro o di un’attività lavorativa svolta in base ad un contratto di diritto privato».

12.

L’articolo 13 della legge polacca sull’uguaglianza è così formulato:

«1.   Chiunque subisca una violazione del principio della parità di trattamento ha diritto a un risarcimento.

2.   Ai casi di violazione del principio della parità di trattamento si applicano le disposizioni della ustawa z dnia 23 kwietnia 1964 r. – Kodeks cywilny [legge del 23 aprile 1964 – codice civile]».

III. Controversia nel procedimento principale e questione pregiudiziale

13.

Tra il 2010 e il 2017 J.K. ha stipulato, in successione, con la TP, società che gestisce un canale televisivo pubblico nazionale in Polonia, il cui unico azionista è il Tesoro, una serie di contratti di breve durata in quanto lavoratore autonomo.

14.

Sulla base di tali contratti, il lavoro svolto da J.K. comprendeva la preparazione di materiali come programmi di montaggio per trailer o trasmissioni di costume e società, che successivamente venivano utilizzati nel materiale autopromozionale del canale. Egli svolgeva la sua attività in seno ad un’unità organizzativa interna del canale, ossia la Redakcja Oprawy i Promocji Programu 1 (ufficio di realizzazione delle attività e di promozione del Canale 1), il cui responsabile era W.S. In base ai contratti di prestazione d’opera in questione, J.K. svolgeva turni settimanali durante i quali preparava materiali per i programmi autopromozionali del canale. Il supervisore diretto, W.S., assegnava i turni a J.K. e ad un’altra giornalista che svolgeva stesse mansioni, in modo che ognuno di loro svolgesse due turni di una settimana al mese.

15.

A partire dall’agosto 2017, è stata pianificata una riorganizzazione nelle strutture interne della TP, nell’ambito della quale i compiti di J.K. avrebbero dovuto essere trasferiti a una nuova unità, ossia l’Agencja Kreacji Oprawy i Reklamy (agenzia per l’ideazione, la pubblicità e la realizzazione delle attività). Due nuovi dipendenti erano stati designati al fine di effettuare la riorganizzazione e di verificare i collaboratori che dovevano essere trasferiti nella nuova agenzia.

16.

Durante riunioni svoltesi tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre 2017, alle quali ha partecipato uno dei nuovi dipendenti responsabili per la riorganizzazione, J.K. ha ricevuto una valutazione positiva ed è stato collocato nell’elenco dei collaboratori che avevano superato con successo la procedura di verifica.

17.

Il 20 novembre 2017 J.K. e la TP hanno stipulato un contratto di prestazione d’opera della durata di un mese.

18.

Il 29 novembre 2017 J.K. ha ricevuto il suo orario di lavoro per il mese di dicembre 2017. Esso prevedeva 15 giorni totali di servizio, avendo la prima settimana inizio il 7 dicembre 2017 e la seconda il 21 dicembre 2017.

19.

Il 4 dicembre 2017 J.K. e il suo partner hanno pubblicato sul loro canale YouTube un video musicale natalizio avente come scopo la promozione della tolleranza verso le coppie omosessuali.

20.

Due giorni più tardi, il 6 dicembre 2017, J.K. ha ricevuto un messaggio di posta elettronica TP mediante il quale gli è stata comunicata la revoca del suo periodo di servizio con inizio previsto per il 7 dicembre 2017.

21.

Il 20 dicembre 2017 J.K. è stato informato che, parimenti, non avrebbe dovuto presentarsi per il periodo di servizio con inizio programmato per il 21 dicembre 2017. Egli non ha quindi svolto alcun periodo di servizio nel corso del mese di dicembre 2017, come invece previsto dal contratto, né gli è stato versato alcun corrispettivo per i servizi contrattati, come precisato nel corso dell’udienza.

22.

In definitiva, non è stato concluso alcun nuovo contratto (per gennaio 2018) tra J.K. e la TP. Secondo quanto emerge dalla decisione di rinvio, la decisione di interrompere la collaborazione con J.K. è stata adottata dalla persona responsabile per la riorganizzazione.

23.

Con atto di citazione depositato presso il giudice del rinvio, il Sąd Rejonowy dla m.st. Warszawy w Warszawie (Tribunale circondariale della città di Varsavia-capitale), J.K. ha chiesto il pagamento della somma di 47924,92 zloty polacchi (PLN) (circa EUR 10130), oltre agli interessi legali di mora dalla data della domanda al saldo. Egli ha richiesto l’importo di PLN 35943,69 (circa EUR 7600) a titolo di risarcimento del danno patrimoniale e l’importo di PLN 11981,23 (circa EUR 2530) a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla violazione del principio di parità di trattamento in ragione dell’orientamento sessuale, consistente in una forma di discriminazione diretta nell’ambito delle condizioni di accesso e di esercizio delle attività economiche in base ad un contratto di diritto privato.

24.

A sostegno della sua domanda, J.K. sostiene di essere stato vittima di una discriminazione diretta da parte della TP in ragione del suo orientamento sessuale. Egli sostiene che la probabile causa della revoca dei periodi di servizio e della cessazione del rapporto di collaborazione con la TP è da individuarsi nella pubblicazione su YouTube del summenzionato video musicale natalizio.

25.

La TP chiede il rigetto della domanda, sostenendo che né la sua prassi né la legge garantiscono il rinnovo di contratti commerciali.

26.

Il giudice del rinvio precisa che non è chiara la questione se i lavoratori autonomi beneficino della tutela prevista della direttiva 2000/78. Esso nutre dubbi anche per quanto concerne la compatibilità con tale direttiva dell’articolo 5, punto 3, della legge polacca sull’uguaglianza, che tale giudice considera applicabile alle circostanze del caso di specie.

27.

In tali circostanze, il Sąd Rejonowy dla m.st. Warszawy w Warszawie (Tribunale circondariale della città di Varsavia-capitale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 3, paragrafo 1, lettere a) e c), della [direttiva 2000/78] debba essere inteso nel senso che tale disposizione ammette l’esclusione dall’ambito di applicazione della [direttiva 2000/78], e di conseguenza l’esclusione dell’applicazione delle sanzioni introdotte nell’ordinamento nazionale, in base all’articolo 17 [di tale direttiva], della libertà di scegliere il contraente purché la scelta non sia fondata sul sesso, sulla razza, sull’origine etnica o sulla nazionalità, nell’ipotesi in cui la discriminazione si manifesti nel rifiuto di concludere un contratto di diritto privato in base al quale la prestazione lavorativa doveva essere effettuata da una persona fisica che svolge attività economica in proprio, laddove il presupposto di tale rifiuto sia l’orientamento sessuale dell’eventuale contraente».

28.

J.K., i governi polacco, belga, dei Paesi Bassi e portoghese, nonché la Commissione europea, hanno presentato osservazioni scritte. Il 31 maggio 2022 si è tenuta un’udienza, nel corso della quale J.K., il governo polacco e la Commissione hanno presentato osservazioni orali.

IV. Analisi

29.

Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se esso sia tenuto ad applicare l’articolo 5, punto 3, della legge polacca sull’uguaglianza nel decidere se la TP sia tenuta a risarcire J.K. per averlo discriminato in ragione del suo orientamento sessuale.

30.

Ai sensi del diritto dell’Unione, ciò dipende dall’applicabilità della direttiva 2000/78. Qualora J.K. possa invocare l’articolo 3 di tale direttiva per escludere che la TP possa prendere in considerazione il suo orientamento sessuale come motivo per non stipulare un contratto con lui, il giudice del rinvio sarebbe tenuto a disapplicare l’articolo 5, punto 3, della legge polacca sull’uguaglianza al momento della decisione della causa in esame.

31.

La questione pertinente è, quindi, se il rifiuto di stipulare un contratto a causa dell’orientamento sessuale di una possibile parte contraente rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78 e, più precisamente, se un contratto siffatto costituisca una condizione «di accesso (...) al lavoro (...) autonomo» come previsto dall’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della stessa.

32.

A causa delle particolarità della fattispecie in esame, una disposizione pertinente che potrebbe parimenti trovare applicazione è l’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2000/78.

33.

Procederò quindi nel modo seguente. In primo luogo, verificherò se rientrino nell’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/78 situazioni come quella di cui al caso di specie (A). A tal riguardo, spiegherò in che modo debba essere intesa l’espressione lavoro autonomo utilizzata in tale disposizione e il modo in cui, eventualmente, essa debba essere distinta rispetto alla nozione di fornitura di beni e di servizi. In seguito, sosterrò che la stipulazione di un contratto individuale rientra nella nozione di «condizioni di accesso (...) al lavoro (...) autonomo» di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/78. Nella sezione successiva (B), esaminerò brevemente la questione se l’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), di tale direttiva sia applicabile al caso di specie, poiché il giudice del rinvio ha fatto riferimento anche a tale disposizione nella formulazione della sua questione. Dopo aver constatato che entrambe le disposizioni trovano applicazione, esaminerò se la libertà contrattuale, quale prevista dall’articolo 5, punto 3, della legge polacca sull’uguaglianza, possa consentire di escludere l’applicazione della direttiva 2000/78 (C) e, ove così non fosse, quali siano le conseguenze per l’articolo 5, punto 3, della legge polacca sull’uguaglianza e quali gli obblighi che incombono al giudice del rinvio in forza del diritto dell’Unione (D).

A.   Applicabilità dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/78

34.

Ai sensi del suo articolo 3, paragrafo 1, lettera a), la direttiva 2000/78 si applica «alle condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo».

35.

Tale disposizione, pertanto, fa espressamente riferimento ai lavoratori autonomi. Nessuna delle parti del presente procedimento ha contestato che J.K. possa essere considerato un lavoratore autonomo. Per quale motivo, quindi, si pone la questione dell’applicabilità di tale disposizione?

36.

In primo luogo, come indicato dal giudice del rinvio nella sua decisione di rinvio, la nozione di «lavoro (...) autonomo», come utilizzata nella direttiva 2000/78, non è stata ancora chiarita dalla Corte. Poiché tale direttiva non rinvia ai diritti degli Stati membri, tale nozione dovrebbe essere interpretata come una nozione autonoma del diritto dell’Unione, di cui spetta alla Corte precisare il significato e la portata ( 3 ). Il presente rinvio pregiudiziale offre pertanto alla Corte tale opportunità.

37.

In secondo luogo, il governo polacco sostiene che, sebbene J.K. sia un lavoratore autonomo, la stipulazione di un contratto con detta persona non costituisce una condizione di accesso al lavoro autonomo.

38.

Spiegherò quindi, anzitutto che, a mio avviso, la nozione di «lavoro (...) autonomo», quale prevista dalla direttiva 2000/78, comprende la fornitura di beni e servizi qualora consistano in un lavoro personale che il loro prestatore ha posto in essere in tali beni o servizi. Spiegherò poi che, per un lavoratore autonomo, la stipulazione di un contratto con una persona per la quale è chiamato a svolgere un lavoro personale costituisce una condizione di accesso a un lavoro autonomo. Entrambe tali spiegazioni conducono alla conclusione che l’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/78 si applica a una situazione come quella di cui al caso di specie.

1. Nozione di lavoro autonomo nella direttiva 2000/78

39.

La direttiva 2000/78 non definisce la nozione di «lavoro autonomo».

40.

La dottrina ha osservato che il lavoro autonomo è spesso utilizzato come categoria residuale, «una sorta di discarica in cui sono gettati tutti quei rapporti di lavoro che non rientrano nel modello (sovente rigido) del lavoro dipendente» ( 4 ). Così, in una classificazione binaria del lavoro, un lavoratore può essere o dipendente o autonomo ( 5 ).

41.

Che cosa accade se il lavoro di una persona può essere qualificato, al tempo stesso, come una fornitura di beni o di servizi ad altri? Ad esempio, una persona che s’impegni, dietro corrispettivo, a pulire un appartamento altrui o a preparare una torta per la festa di compleanno di qualcuno fornisce un servizio (pulizia) o un bene (torta) mediante il suo lavoro. Se questo è il modo in cui le persone di cui a tale esempio si guadagnano da vivere, possiamo considerarle, al tempo stesso, lavoratori autonomi e fornitori di beni o servizi. In quanto destinatari dei loro beni o servizi, «acquistiamo» il loro lavoro e, al tempo stesso, il prodotto finale di tale lavoro.

42.

In tal caso, detti prestatori si inquadrano nella nozione di «lavoro autonomo» di cui alla direttiva 2000/78?

43.

Prima di proseguire, devo fare una pausa per spiegare il motivo per cui si pone la questione della delimitazione tra il lavoro autonomo e la fornitura di beni e servizi nell’ambito della direttiva 2000/78.

44.

Tale direttiva è una delle direttive adottate sulla base dell’attuale articolo 19 TFUE ( 6 ), che ha attribuito all’Unione la competenza a combattere le discriminazioni. La direttiva 2000/78 vieta le discriminazioni fondate su una serie di motivi, tra cui l’orientamento sessuale ( 7 ). Tuttavia, tale direttiva non può ( 8 ) combattere in modo generale le discriminazioni fondate su tali motivi proibiti, né è ciò che essa fa. Il legislatore dell’Unione ha circoscritto il «campo di battaglia» al settore dell’«occupazione e delle condizioni di lavoro» ( 9 ).

45.

Peraltro, sin dal 2008, la proposta di un’altra direttiva è iscritta nell’agenda legislativa dell’Unione ( 10 ). Tale direttiva, quando (e se) sarà adottata ( 11 ), avrà lo scopo di combattere le discriminazioni fondate su motivi vietati identici a quelli previsti dalla direttiva 2000/78 nel settore descritto; in particolare, quello dell’«accesso a beni e servizi e la loro fornitura». È quindi chiaro che il legislatore dell’Unione non ha (ancora) disciplinato l’«accesso a beni e servizi e la loro fornitura» al fine di vietare le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale.

46.

Il fatto che tale proposta legislativa utilizzi i termini «accesso a beni e servizi e la loro fornitura» esclude la possibilità di far rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78 i fornitori di beni o servizi che costituiscono il frutto del loro lavoro personale? Ritengo di no.

47.

Né la nozione di «occupazione e condizioni di lavoro» di cui alla direttiva 2000/78, né la nozione di «accesso a beni e servizi e la loro fornitura» che compare nella proposta della nuova direttiva ( 12 ), sono ulteriormente precisate nel rispettivo testo. Inoltre, la Corte non ha ancora definito tali espressioni, ivi compreso il loro impiego nella direttiva 2000/43 ( 13 ) che, a differenza della direttiva 2000/78, concerne sia l’«occupazione e le condizioni di lavoro», sia l’«accesso a beni e servizi e la loro fornitura» ( 14 ).

48.

A mio avviso, la risposta alla questione se una persona che offra il proprio lavoro fornendo beni o servizi sia un lavoratore autonomo ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/78 dipende dall’interpretazione dell’espressione «occupazione e condizioni di lavoro», poiché detta espressione descrive l’ambito di applicazione della direttiva 2000/78. Qualora la fornitura di beni e servizi che sono il frutto di un lavoro personale svolto su base autonoma rientri in tale espressione, l’uso dei termini «fornitura di beni e servizi» in una proposta legislativa (senza alcuna intenzione di vincolarne l’interpretazione) non escluderebbe l’applicazione della direttiva 2000/78 a siffatti lavoratori autonomi.

49.

Che cosa s’intende, dunque, (e che cosa non s’intende) con l’espressione «occupazione e condizioni di lavoro»?

a) «Occupazione e condizioni di lavoro»

50.

Ai sensi del suo articolo 1, la direttiva 2000/78 mira a combattere le discriminazioni fondate sui motivi elencati per quanto concerne l’«occupazione e le condizioni di lavoro».

51.

Il legislatore dell’Unione non ha precisato ulteriormente il significato di tali termini. Tuttavia, vari considerando della direttiva 2000/78 forniscono alcune indicazioni. Il considerando 4 di tale direttiva fa riferimento alla Convenzione n. 111 dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), la quale impiega la stessa formulazione. Tale Convenzione vieta le discriminazioni in materia di impiego e nelle professioni, intesi nel senso che vi rientrano «tutti i lavoratori», compresi i lavoratori autonomi ( 15 ).

52.

Il considerando 9 della direttiva 2000/78 precisa che «[l]’occupazione e le condizioni di lavoro sono elementi chiave per garantire pari opportunità a tutti i cittadini e contribuiscono notevolmente alla piena partecipazione degli stessi alla vita economica, culturale e sociale e alla realizzazione personale».

53.

Questi due considerando ( 16 ) suggeriscono che la direttiva 2000/78 mira a proteggere tutti coloro che partecipano alla società fornendo il loro lavoro.

54.

La giurisprudenza ha accolto tale interpretazione. Nelle sue conclusioni nella causa HK, l’avvocato generale Richard de la Tour ha osservato che «[t]ale direttiva è volta a eliminare, per ragioni di interesse sociale e pubblico, tutti gli ostacoli fondati su motivi discriminatori all’accesso ai mezzi di sostentamento e alla capacità di contribuire alla società attraverso il lavoro, a prescindere dalla forma giuridica in virtù della quale esso è fornito» ( 17 ). Tale posizione è stata confermata dalla Corte nella recente sentenza nella causa HK ( 18 ).

55.

Sono pienamente d’accordo. Lo scopo della direttiva 2000/78 può essere interpretato nel senso che mira a vietare le discriminazioni fondate, in particolare, sull’orientamento sessuale nella vita lavorativa di una persona ( 19 ). Disciplinando il settore dell’«occupazione e delle condizioni di lavoro», essa mira a consentire ai cittadini di esprimere le loro potenzialità e di guadagnarsi da vivere offrendo il proprio lavoro.

56.

Tale importanza del lavoro ai fini della realizzazione personale è riconosciuta dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). Ai sensi del suo articolo 15, paragrafo 1, ogni persona ha il diritto di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta o accettata ( 20 ).

57.

La direttiva 2000/78 mira quindi a tutelare contro le discriminazioni coloro che lavorano, mentre il suo l’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), mira a consentire un accesso non discriminatorio al lavoro.

58.

Come deve essere intesa la nozione di «lavoro» ai fini della determinazione dell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78? La giurisprudenza recente ha confermato che l’ambito di applicazione della direttiva 2000/78 deve essere interpretato in modo ampio ( 21 ) e che esso non è limitato alle sole condizioni per l’accesso ai posti di lavoro occupati da «lavoratori» ai sensi dell’articolo 45 TFUE ( 22 ).

59.

Pertanto, nel tutelare coloro che lavorano, la direttiva 2000/78 non prende in considerazione soltanto i «lavoratori» ai sensi del diritto alla libera circolazione o del diritto derivato adottato sulla base dell’articolo 153 TFUE ( 23 ), pur riguardando, indubbiamente, anche questi ultimi ( 24 ).

60.

Il 21o secolo esige una concezione più ampia di persona che lavora ( 25 ). Al giorno d’oggi, una persona che lavora è una persona che investe tempo, conoscenze, competenze, energie e, spesso, entusiasmo per fornire un servizio o per creare un prodotto per un’altra persona, e non per se stessa, ragion per cui le è (in linea di principio) promessa una remunerazione.

61.

La direttiva 2000/78 mira a favorire un accesso non discriminatorio a qualsiasi attività lavorativa, svolta come mezzo di sostentamento personale, in tutte le varie forme in cui può essere offerta. Alla luce di una concezione siffatta dello scopo della direttiva 2000/78, nulla giustifica, come illustrerò nella prossima sezione, l’esclusione dal suo ambito di applicazione del lavoro autonomo consistente nella fornitura di beni o servizi organizzata in qualsivoglia forma giuridica disponibile.

b) Diversità del lavoro e ragioni per cui la fornitura di beni o servizi non può essere esclusa dalla direttiva 2000/78

62.

Per lavoro s’intende tanto l’attività, quanto il risultato di tale attività ( 26 ). Ai fini dell’applicazione delle norme antidiscriminazione nel settore dell’«occupazione e delle condizioni di lavoro», è irrilevante il fatto che un lavoratore consegni in anticipo il risultato del proprio lavoro al suo destinatario, come avviene nel rapporto di lavoro classico, oppure che lo consegni in seguito, sotto forma di bene o servizio ai suoi destinatari. In entrambi i casi, il lavoratore si guadagna da vivere e partecipa alla società investendovi il suo lavoro personale.

63.

Lo stesso lavoro può essere prestato in numerose forme, anche se un lavoro tradizionale, inteso come lavoro a tempo pieno, a tempo indeterminato e nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato e bilaterale ( 27 ), rappresenta tuttora il modello più comune. Le forme di lavoro non tradizionali, tuttavia, sono aumentate ( 28 ), determinando una frammentazione del mercato del lavoro ( 29 ) e imponendo nuove sfide normative ( 30 ).

64.

Una persona può guadagnarsi da vivere lavorando al servizio di uno o più «datori di lavoro»; per periodi più o meno lunghi; a tempo parziale o soltanto stagionalmente; in un unico luogo o in luoghi diversi; utilizzando i propri strumenti o quelli altrui. Parimenti, è possibile pattuire un lavoro su base oraria (ad esempio, 20 ore al mese) o sulla base dei compiti da svolgere (ad esempio, dipingere sei pareti di bianco) ( 31 ).

65.

Vi sono, quindi, diversi modi in cui una persona può svolgere lo stesso lavoro. Ciò significa anche che lo svolgimento di uno stesso lavoro può ricevere un inquadramento giuridico differente. L’inquadramento giuridico disponibile applicabile a un determinato tipo di lavoro può variare da uno Stato membro all’altro.

66.

Detti inquadramenti giuridici diversi non dovrebbero essere, quindi, rilevanti ai fini dell’applicazione della direttiva 2000/78. Ciò che rileva ai fini della sua applicazione è che una persona svolga un lavoro personale, indipendentemente dalla forma giuridica in cui tale lavoro è svolto.

67.

La nozione di «lavoro personale» è stata sviluppata, nel settore del diritto del lavoro, in reazione alla frammentazione del lavoro, che aveva determinato l’esclusione di numerose persone dalla tutela offerta dal diritto del lavoro, in quanto non rientranti nella concezione classica di lavoratore ( 32 ). Il lavoro personale è stato proposto quindi come criterio per determinazione quali lavoratori godano e quali non godano dei diritti dei lavoratori.

68.

Tuttavia, i giuslavoristi tendono a includere nell’ambito di applicazione del diritto del lavoro tutti i lavoratori che forniscono personalmente servizi, ma ad escluderne quelli che «esercitano effettivamente un’attività d’impresa per proprio conto» ( 33 ).

69.

A mio avviso, le norme antidiscriminazione dell’Unione dovrebbero fondarsi su una concezione ancora più ampia di lavoro personale, che non escluda le imprese ( 34 ) nel caso in cui l’imprenditore fornisca il suo lavoro personale.

70.

La ragione di ciò discende dai diversi obiettivi della normativa antidiscriminazione e del lavoro.

71.

Il diritto del lavoro (e l’articolo 153 TFUE quale sua base giuridica nell’Unione) mira a tutelare il lavoratore nei confronti della persona alla quale fornisce beni o servizi, sul presupposto che esso si trovi in un rapporto di subordinazione e, pertanto, in una posizione più debole nell’ambito di siffatto rapporto di lavoro.

72.

La direttiva 2000/78, adottata sulla base giuridica dell’attuale articolo 19 TFUE, persegue un obiettivo diverso ( 35 ). Si tratta di uno strumento per creare pari opportunità di lavoro per tutti. Tale parità di opportunità esige che l’accesso di una persona al lavoro non sia ristretto a causa, in particolare, del suo orientamento sessuale. L’attuazione della direttiva 2000/78 dovrebbe quindi condurre al risultato per cui qualsiasi persona o società che intenda avvalersi di lavoro altrui divenga «cieca» rispetto alle caratteristiche del potenziale prestatore di lavoro, nei cui confronti è vietato operare discriminazioni, incluso in ragione del suo orientamento sessuale.

73.

È questo il motivo per cui la fornitura di beni e servizi come forma di lavoro personale non può essere esclusa dall’ambito di applicazione della direttiva 2000/78.

74.

Spiegherò che cosa intendo mediante un esempio. Una donna dispone di competenze informatiche ed è in grado di creare, ad esempio, software che utilizzano algoritmi di apprendimento automatico. La prima opzione che viene in mente quanto al modo in cui essa potrebbe svolgere il lavoro per il quale è competente è essere assunta sulla base di un contratto di lavoro a tempo pieno da una società per lo sviluppo di software.

75.

Tuttavia, essa potrebbe ritenere non soddisfacente lavorare per una sola società e potrebbe quindi decidere di tentare di offrire in qualità di lavoratore autonomo la stessa attività a più società. Essa potrebbe, ad esempio, mirare ad instaurare un rapporto stabile con una società, al fine di garantirsi una remunerazione regolare. Ciò potrebbe avvenire sulla base di un contratto di fornitura di determinati beni e servizi (ad esempio, la creazione di algoritmi di apprendimento automatico su misura, il mantenimento del software della società e la formazione del suo personale in ordine alle modalità di utilizzo). Siffatto contratto potrebbe essere concluso per uno specifico periodo di tempo, ad esempio un anno, ed essere rinnovato annualmente. Al tempo stesso, tale persona tenterà di trovare altre società che potrebbero richiedere i suoi servizi. Con tali altre società o persone, essa potrebbe concludere solo un contratto specifico per lo sviluppo degli algoritmi di apprendimento automatico di cui necessitano.

76.

In quanto lavoratore autonomo, essa avrebbe, quindi, diversi tipi di rapporti contrattuali. Il primo tipo basato su un contratto di prestazione dei servizi che tale persona offrirà per un determinato numero di ore mensili o annuali, e gli altri tipi basati su contratti per la fornitura di un prodotto finale, segnatamente software adattati alle esigenze di ciascun cliente. Tutti i lavori sopra descritti potrebbero fondarsi sui contratti di fornitura di prodotti o di servizi conclusi individualmente con l’esperta in informatica di cui trattasi. Tuttavia, la stessa esperta in informatica potrebbe anche decidere di creare una società e di vendere il suo lavoro tramite tale società.

77.

Ad esempio, in alcuni Stati membri potrebbe essere vietata la conclusione in successione di contratti individuali di servizi con la stessa società. Tale risultato potrebbe persino discendere dall’attuazione della normativa dell’Unione in materia di lavoro tesa a garantire ai lavoratori contratti di lavoro tempo indeterminato più sicuri ( 36 ). La nostra esperta in informatica non desidera, tuttavia, essere un lavoratore dipendente. Neppure la società per la quale lavora sulla base di contratti consecutivi della durata di un anno per la prestazione di servizi ha incentivi ad assumerla, pur desiderando, ciò nonostante, continuare ad avvalersi del suo lavoro. In una situazione del genere, la nostra esperta in informatica potrebbe decidere di creare una propria società. In tal modo, essa potrebbe continuare a offrire il proprio lavoro a quella stessa società per il tramite della propria società, senza far scattare l’applicazione della normativa che vieta i contratti di servizi a tempo limitato conclusi in successione.

78.

Nell’ambito di tutte le ipotesi descritte nell’esempio precedente, l’esperta in informatica svolge lo stesso tipo di lavoro e le società o le persone con le quali è legata da un contratto vedono soddisfatte le stesse esigenze in termini di lavoro.

79.

Vi sono, tuttavia, argomenti secondo cui il contratto concluso con l’esperta in quanto persona costituirebbe, di fatto, una forma di lavoro autonomo, mentre il contratto concluso con la sua società non lo sarebbe, trattandosi di una fornitura di beni o servizi. Nel primo caso, il possibile «datore di lavoro» acquisterebbe il suo «lavoro», mentre nel secondo caso, acquisterebbe i suoi «beni» o «servizi».

80.

Alla luce della direttiva 2000/78, che mira a tutelare il diritto delle persone di essere attive nella società e guadagnarsi da vivere mediante il proprio lavoro, esiste realmente una differenza? Il rifiuto di una società di stipulare un contratto con la nostra ipotetica esperta in informatica a causa della sua omosessualità (o del fatto che pratica una determinata religione, oppure che è troppo vecchia o troppo giovane), oppure a causa del fatto che possiede altre caratteristiche che non hanno nulla a che vedere con la sua capacità di produrre software di apprendimento automatico, impedisce a tale esperta di ottenere quel particolare lavoro e, quindi, limita il suo accesso al lavoro.

81.

Non vi è alcun problema ad ammettere che tale discriminazione non dovrebbe essere consentita qualora essa fosse alla ricerca di un lavoro in senso tradizionale. Per quale motivo non dovrebbe valere lo stesso in tutti gli altri casi in cui essa offra il suo lavoro sulla base di contratti relativi a beni o servizi conclusi con lei in qualità di persona, oppure sulla base di contratti relativi a beni o servizi conclusi con la sua società, ma che promettono il suo lavoro personale?

82.

In sostanza, tanto dal punto di vista della persona che offre il suo lavoro personale, quanto dal punto di vista della società che intende avvalersene, non vi è differenza. Essa fornisce il lavoro, di cui qualcun altro necessita. Escludere alcune di tali situazioni dall’ambito di applicazione della direttiva 2000/78, che mira a permettere un accesso non discriminatorio ai mezzi di sostentamento e la possibilità di contribuire alla società mediante il lavoro, indipendentemente dalla forma giuridica in cui è svolto ( 37 ), mi sembra tradire gli obiettivi perseguiti da tale direttiva.

83.

Ai fini dell’applicazione delle norme antidiscriminazione, è irrilevante il fatto che un lavoratore sia, al contempo, un’impresa, e si trovi quindi in una posizione orizzontale, anziché subordinata, rispetto a un possibile «datore di lavoro» ( 38 ). Dopotutto, in alcuni sistemi giuridici, perlomeno per talune professioni, i lavoratori autonomi sono tenuti a iscriversi come impresa oppure sono quantomeno, di solito, organizzati in tale forma.

84.

Un esempio del genere è quello degli agenti commerciali. I rapporti tra gli agenti commerciali e i loro preponenti sono rapporti tra imprese. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, gli agenti commerciali sono lavoratori autonomi che, al contempo, sono i soli proprietari di un’impresa o di piccole o medie imprese (PMI) ( 39 ). Potrebbe un possibile preponente rifiutarsi di stipulare un contratto con un agente commerciale per la sola ragione dell’orientamento sessuale di quest’ultimo? Non rientrerebbe un rifiuto del genere nella direttiva 2000/78?

85.

Infine, se la fornitura personale di beni e servizi fosse esclusa dall’ambito di applicazione della direttiva 2000/78, ciò consentirebbe alle imprese o ai privati che necessitano dello svolgimento di un determinato lavoro di eludere il divieto di discriminazione scegliendo di «acquistare» beni o servizi anziché di impiegare un prestatore di servizi. Ciò, come sostengono J.K. e la Commissione, sarebbe in contrasto con l’effetto utile di tale direttiva.

86.

Se è vietata la discriminazione per quanto concerne l’accesso al lavoro sulla base dei motivi elencati, non può quindi essere esclusa dalla nozione di lavoro autonomo di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/78 la fornitura di beni e servizi qualora il prestatore di servizi offra il proprio lavoro personale al fine di guadagnarsi da vivere.

87.

Come risulta dalle circostanze del caso di specie, la TP necessitava dei servizi di un editore. Tale emittente televisiva ha ritenuto, per ragioni non divulgate (potrebbe essere stato meno costoso), che fosse preferibile acquistare servizi editoriali da un collaboratore indipendente anziché assumerne uno. Per un’altra emittente televisiva, tale valutazione avrebbe potuto essere differente, nel senso che potrebbe essere meno costoso, o considerato meno rischioso, assumere un editore a tempo parziale o a tempo pieno. Non sono in grado di vedere alcuna valida ragione per cui la direttiva 2000/78 dovrebbe essere interpretata nel senso che essa vieta all’emittente televisiva di considerare l’orientamento sessuale all’atto di assunzione di un editore e non quando ne contratta i servizi, direttamente o attraverso la società di quest’ultimo. Sia dal punto di vista dell’emittente televisiva che dell’editore, la situazione è sostanzialmente la stessa: l’emittente televisiva acquista servizi editoriali dei quali necessita, e l’editore offre il suo lavoro personale.

Conclusione provvisoria

88.

L’espressione «lavoro autonomo» di cui alla direttiva 2000/78 include la fornitura di beni e servizi quando il prestatore svolge un lavoro personale. In una situazione del genere, un potenziale destinatario di beni o servizi non può rifiutarsi di firmare un contratto in ragione all’orientamento sessuale del prestatore.

2. Se la stipulazione di un contratto individuale costituisca una «condizione di accesso (…) al lavoro autonomo» ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/78

89.

Il governo polacco sostiene che il rifiuto di stipulare un contratto individuale di servizi non rientra nella nozione di «condizione di accesso (…) al lavoro autonomo» ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/78. A suo avviso, l’espressione «condizione di accesso al lavoro autonomo» concerne soltanto le condizioni generali per l’esercizio di talune professioni. Tale regola riguarderebbe, come spiegato dal governo polacco in udienza, soltanto le professioni regolamentate. Nel caso di specie, nessuna norma di legge impedisce a J.K. di offrire i suoi servizi editoriali. Non vi sarebbe quindi alcun ostacolo al suo accesso a tale occupazione. La decisione individuale di un potenziale destinatario di servizi non costituirebbe, quindi, una «condizione di accesso (…) al lavoro autonomo». Una decisione del genere rientrerebbe, piuttosto, nella libertà di una persona di scegliere la controparte contrattuale.

90.

J.K., i governi belga, dei Paesi Bassi e portoghese nonché la Commissione europea ritengono che l’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/78 sia applicabile al rifiuto, sulla base dell’orientamento sessuale, di stipulare un contratto con un lavoratore autonomo.

91.

La Corte ha avuto occasione di precisare la nozione di «condizioni di accesso (...) al lavoro», di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/78 nella sentenza nella causa LGBTI ( 40 ) che riguardava anch’essa una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale. La Corte ha anzitutto precisato che tale espressione deve essere interpretata conformemente al suo senso abituale nel linguaggio corrente, tenendo conto del contesto nel quale viene utilizzata e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte ( 41 ). Su tale base, essa ha concluso che le condizioni di accesso si riferiscono a «circostanze o a fatti la cui esistenza deve imperativamente essere dimostrata affinché una persona possa ottenere un’occupazione o un lavoro determinato» ( 42 ).

92.

Sebbene nella sentenza nella causa LGBTI la Corte abbia fatto riferimento al solo accesso all’occupazione, lo stesso vale per la nozione di «condizioni di accesso (…) al lavoro autonomo», dato che l’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/78 fa riferimento, al contempo, all’occupazione, al lavoro dipendente e al lavoro autonomo. Pertanto, le condizioni di accesso al lavoro autonomo comprendono circostanze o fatti la cui esistenza deve essere imperativamente dimostrata affinché una persona possa ottenere un determinato lavoro come lavoratore autonomo.

93.

Un lavoratore autonomo ottiene un lavoro mediante la stipulazione di un contratto di servizi o di un contratto analogo di diritto civile. Qualora il potenziale beneficiario dei servizi di un lavoratore autonomo condizioni l’accesso a un lavoro al fatto che il prestatore non sia omosessuale, è evidente che una persona con detto orientamento sessuale non potrà ottenere tale specifico lavoro.

94.

Pertanto, se in una situazione di lavoro tradizionale il rifiuto di stipulare un contratto di lavoro con una persona in ragione del suo orientamento sessuale è vietato dall’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/78, il rifiuto di stipulare un contratto di servizi o un contratto analogo con un lavoratore autonomo in ragione del suo orientamento sessuale deve essere quindi parimenti vietato da tale disposizione, che riguarda tanto il lavoro dipendente, quanto il lavoro autonomo.

95.

Desidero, infine, affrontare una questione ulteriore, dibattuta in udienza. L’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/78 sarebbe applicabile anche in una situazione in cui un lavoratore autonomo, quale J.K., non fosse stato precedentemente legato da un rapporto di lavoro di lunga data ma si fosse candidato per tale lavoro per la prima volta, ricevendo un rifiuto a causa del suo orientamento sessuale? In altri termini, la continuità del lavoro comporta una qualche differenza?

96.

J.K. e la Commissione europea hanno ritenuto che il fatto di candidarsi per la prima volta non comporti alcuna differenza. Il governo polacco ha mantenuto la sua precedente posizione ai sensi della quale decisioni individuali di questo genere non rientrano nella nozione di «condizioni di accesso (…) al lavoro autonomo».

97.

Concordo con J.K. e con la Commissione. La situazione disciplinata dalla lettera a) è l’accesso al lavoro. Rapporti di lavoro precedenti non rilevano rispetto alla candidatura per un lavoro e all’ottenimento di un contratto. In altri termini, il rifiuto di stipulare il contratto di cui trattasi nel procedimento principale non rientra nell’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/78 per il fatto che J.K. aveva già stipulato precedenti contratti con la TP, bensì poiché gli è stato negato l’accesso a un nuovo lavoro per effetto del rifiuto della TP di stipulare con lui un nuovo contratto.

Conclusione provvisoria

98.

Il rifiuto di stipulare un contratto individuale di servizi con un lavoratore autonomo, motivato dall’orientamento sessuale di tale persona, rientra nell’espressione «condizioni di accesso (...) al lavoro (...) autonomo», di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/78.

B.   Applicabilità dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2000/78

99.

Nelle circostanze specifiche della presente causa, il rifiuto di stipulare un contratto con J.K. non soltanto ostacola il suo accesso a un nuovo lavoro, ma pone altresì fine al suo rapporto di lavoro con la TP della durata di sette anni, sulla sola base del suo orientamento sessuale. A mio avviso, pertanto, è applicabile nel caso di specie anche l’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2000/78.

100.

Il governo polacco ha sostenuto che l’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2000/78 non può trovare applicazione poiché, da un lato, il lavoro autonomo non è espressamente menzionato in tale disposizione e, dall’altro, i lavoratori autonomi non possono in nessun caso essere «licenziati».

101.

A mio avviso, l’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2000/78 integra la lettera a) dello stesso. Mentre quest’ultima lettera si applica all’accesso al lavoro, la prima si applica alle condizioni di lavoro, compresa la sua cessazione. L’assenza di un riferimento al lavoro autonomo nella lettera c) deve quindi essere imputata a una redazione legislativa poco chiara, piuttosto che alla volontà del legislatore di escludere i lavoratori autonomi. Segnatamente, mentre la lettera a) dell’articolo 3, paragrafo 1, fa riferimento all’ambito di applicazione sia personale che materiale della direttiva 2000/78, la lettera c) riguarda soltanto il suo ambito di applicazione materiale.

102.

In secondo luogo, è vero che i lavoratori autonomi non possono essere licenziati, se il termine «licenziamento» è utilizzato soltanto in riferimento al lavoro dipendente. Ciò, tuttavia, è irrilevante. Anzitutto, l’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2000/78 fa riferimento al licenziamento per indicare, a titolo di esempio, che cosa si intenda per «occupazione e (...) condizioni di lavoro». Tale disposizione si applica a tutte le condizioni di lavoro, compresa la sua cessazione ( 43 ).

Conclusione provvisoria

103.

Una situazione come quella di cui alla presente causa, in cui un lavoratore autonomo era già stato legato a rapporti di lavoro con il destinatario dei servizi che ha rifiutato di stipulare un nuovo contratto unicamente in ragione dell’orientamento sessuale di tale lavoratore, rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2000/78.

C.   Se la libertà contrattuale possa essere invocata per giustificare una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale

104.

Un’altra questione, implicita nella decisione di rinvio, è se la libertà contrattuale, intesa come diritto di scegliere liberamente la controparte contrattuale, come previsto dall’articolo 5, punto 3, della legge polacca sull’uguaglianza, possa essere invocata dalla TP come giustificazione per escludere l’applicazione della direttiva 2000/78.

105.

La direttiva 2000/78 prevede, al suo articolo 2, paragrafo 5, che misure nazionali possono eccezionalmente escludere l’applicazione di tale direttiva qualora siano necessarie, in particolare, alla tutela dei diritti e delle libertà altrui. La Corte ha precisato che tale disposizione, in quanto eccezione al principio del divieto di discriminazione, deve essere interpretata restrittivamente ( 44 ).

106.

L’articolo 5, punto 3, della legge polacca sull’uguaglianza può essere inteso come una misura necessaria alla tutela delle libertà altrui in una società democratica, come previsto dall’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva 2000/78?

107.

L’articolo 5, punto 3, della legge polacca sull’uguaglianza garantisce la libertà di scegliere la controparte contrattuale. Ai sensi di tale disposizione, detta libertà può essere limitata al fine di evitare discriminazioni fondate su sesso, razza, origine etnica o nazionalità. Tuttavia, non è prevista una limitazione della libertà contrattuale nel caso in cui la scelta determini una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale. Ai sensi di tale legge è, pertanto, consentito basare la decisione se stipulare o meno un contratto sull’orientamento sessuale della possibile controparte contrattuale.

108.

In applicazione dell’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva 2000/78, una disposizione nazionale che permette una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale non è contraria a tale direttiva se essa è necessaria per garantire la libertà contrattuale.

109.

In via preliminare, e prima di procedere a un controllo della proporzionalità, confesso di avere una certa difficoltà nel tentare di inquadrare tale questione in termini di bilanciamento. Come può, infatti, il permesso di operare una discriminazione fondata su uno qualsiasi dei motivi vietati rientrare nella libertà contrattuale in una società fondata sul valore dell’uguaglianza? ( 45 )

110.

Tuttavia, se si può ammettere che la libertà contrattuale è limitata dal divieto di discriminazioni fondate sui motivi elencati nella direttiva 2000/78, l’analisi classica della proporzionalità conduce a ritenere che ai fini della tutela della libertà contrattuale in una società democratica non sia necessario ammettere una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale.

111.

Una via più breve per concludere che l’articolo 5, punto 3, della legge polacca sull’uguaglianza non è necessario, in una società democratica, per tutelare la libertà contrattuale consiste nel rilevare che tale disposizione vieta già le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica nella scelta della controparte contrattuale. Ciò dimostra di per sé che il legislatore polacco non ritiene che la libertà di discriminazione sia necessaria per garantire la libertà contrattuale in una società democratica.

112.

Il modo di operare un bilanciamento tra due diritti fondamentali è valutare se uno di essi sia stato limitato in maniera sproporzionata. Dato che, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva 2000/78, la libertà contrattuale è utilizzata come giustificazione per derogare a tale direttiva, ciò richiederebbe, paradossalmente, un capovolgimento di analisi. La questione diverrebbe se la libertà contrattuale sia stata limitata in modo sproporzionato dalla direttiva 2000/78. Qualora si dimostri che non è così, la conclusione da trarre è che la normativa nazionale a tutela della libertà utilizzata come giustificazione (la libertà contrattuale) non è necessaria in una società democratica ( 46 ).

113.

Se applicata al caso di specie, l’analisi è effettuata nel modo seguente. Il punto di partenza è constatare che il diritto invocato come giustificazione, nella fattispecie la libertà contrattuale, non è un diritto assoluto ( 47 ). Esso può essere limitato dalla legge al fine di conseguire obiettivi socialmente accettabili, a condizione che non sia compromessa l’essenza stessa di tale diritto e che la limitazione sia proporzionata (adeguata e necessaria) agli scopi perseguiti.

114.

Il requisito secondo cui la limitazione della libertà contrattuale deve essere prevista dalla legge è soddisfatto, poiché essa è contenuta in una direttiva dell’Unione.

115.

In secondo luogo, la direttiva 2000/78 mira a rendere l’uguaglianza in materia di «occupazione e di condizioni di lavoro» una realtà in tutti gli Stati membri dell’Unione. Tale direttiva contribuisce altresì alla realizzazione di altri obiettivi enunciati nei Trattati. Ai sensi del suo considerando 11, la «discriminazione basata su religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali può pregiudicare (...) il raggiungimento di un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale, la solidarietà e la libera circolazione delle persone». Pertanto, la direttiva 2000/78 limita la libertà contrattuale al fine di realizzare l’uguaglianza e altri obiettivi importanti dell’Unione, che costituiscono obiettivi legittimi.

116.

In terzo luogo, tale direttiva limita la libertà di scelta dei contraenti unicamente per il fatto che esclude la possibilità che tale scelta sia fondata su uno dei motivi elencati. Essa non impedisce ai datori di lavoro o ad altri soggetti in posizione analoga di scegliere la persona più adatta per il lavoro. A tal riguardo, il considerando 17 della direttiva 2000/78 precisa che quest’ultima «non prescrive l’assunzione, la promozione o il mantenimento dell’occupazione (...) di un individuo non competente, non capace o non disponibile ad effettuare le funzioni essenziali del lavoro in questione (...)». A mio avviso, è questo il contenuto essenziale della libertà contrattuale.

117.

La decisione di non assumere o di licenziare può essere fondata su vari motivi, attinenti al lavoro di cui trattasi ( 48 ). Pertanto, il divieto di discriminare sulla base dei motivi elencati al momento della scelta della parte contraente non incide sul contenuto essenziale della libertà contrattuale.

118.

Infine, qualora si ammetta che sussiste effettivamente una limitazione della libertà contrattuale, occorre comunque dimostrare che siffatta limitazione sia appropriata e necessaria per raggiungere l’obiettivo o gli obiettivi legittimi della direttiva 2000/78. Mi limiterò a un’analisi della proporzionalità rispetto all’obiettivo della lotta contro la discriminazione in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, poiché si tratta dell’obiettivo direttamente legato alla base giuridica sulla quale tale direttiva è stata adottata ( 49 ).

119.

Escludendo la possibilità di una discriminazione fondata sui motivi vietati ed esigendo, all’articolo 17, che gli Stati membri prevedano sanzioni effettive e dissuasive al momento del suo recepimento, la direttiva 2000/78 è idonea a contribuire alla lotta contro la discriminazione, poiché ci si può attendere che essa condurrà a una progressiva diminuzione e, in ultima istanza, alla scomparsa di siffatte condotte.

120.

Una società libera da discriminazioni fondate su motivi vietati nel settore dell’occupazione e delle condizioni di lavoro può essere realizzata soltanto se nessun soggetto che necessita e ricerca il lavoro altrui prenda in considerazione le caratteristiche enumerate nella direttiva 2000/78. Se così non fosse, le persone che presentano tali caratteristiche non godrebbero delle stesse possibilità di ottenere un lavoro. Pertanto, in una società nella quale tali considerazioni continuano a svolgere un ruolo, vietare siffatte scelte e dissuaderle con sanzioni appropriate è il minimo necessario per raggiungere tale obiettivo. Non riesco a immaginare un’alternativa meno restrittiva per raggiungere l’obiettivo dell’assenza di discriminazioni nel settore dell’occupazione e delle condizioni di lavoro.

121.

Pertanto, poiché la libertà contrattuale, che l’articolo 5, punto 3, della legge polacca sull’uguaglianza mira a tutelare, non è limitata in modo sproporzionato dalla direttiva 2000/78, tale disposizione non può essere intesa nel senso che è necessaria per tutelare la libertà di scelta delle parti contraenti in una società democratica.

Conclusione provvisoria

122.

Una disposizione nazionale quale l’articolo 5, punto 3, della legge polacca sull’uguaglianza non è necessaria alla tutela della libertà di scegliere una parte contraente in una società democratica. Tale disposizione non può quindi giustificare che l’applicazione della direttiva 2000/78 sia esclusa sulla base dell’articolo 2, paragrafo 5, della stessa.

D.   Obblighi del giudice nazionale in caso di conflitto tra una norma di diritto nazionale e la direttiva 2000/78

123.

Poiché l’articolo 5, punto 3, della legge polacca sull’uguaglianza non è necessario in una società democratica, la direttiva 2000/78 resta applicabile nel caso di specie al rifiuto di stipulare un contratto con un lavoratore autonomo a causa del suo orientamento sessuale.

124.

Nella sua decisione di rinvio, il giudice nazionale ha spiegato che l’articolo 5, punto 3, della legge polacca sull’uguaglianza è applicabile alla situazione di cui al procedimento principale ( 50 ).

125.

Ciò significa che il giudice del rinvio si trova di fronte a due disposizioni confliggenti applicabili alla controversia di cui è investito: la prima, contenuta nella direttiva 2000/78, vieta alla TP di rifiutare di stipulare un contratto con J.K. in ragione della sua omosessualità; la seconda, contenuta nella legge polacca sull’uguaglianza, permette alla TP di rifiutare di stipulare un contratto con J.K. in ragione della sua omosessualità.

126.

Il diritto dell’Unione dispone di una regola applicabile nel caso di un siffatto conflitto tra due norme che sono entrambe applicabili allo stesso contesto fattuale: il giudice nazionale è tenuto ad applicare la norma dell’Unione e a disapplicare la norma di diritto nazionale allorché decide sulla controversia ( 51 ). Il primato del diritto dell’Unione risolve, quindi, siffatto conflitto di norme a favore della norma dell’Unione.

127.

A fini di completezza, occorrerebbe aggiungere che il principio del primato opera come norma di conflitto e impone la disapplicazione di una norma nazionale contraria qualora la norma dell’Unione sia dotata di effetto diretto ( 52 ).

128.

Le direttive hanno effetto diretto in situazioni verticali ( 53 ). Dato che la TP è un’emittente televisiva pubblica ( 54 ), nella giurisprudenza è stato statuito che una situazione siffatta deve essere intesa come verticale ai fini dell’applicazione diretta di una direttiva ( 55 ). J.K. può quindi invocare la direttiva 2000/78 nei confronti della TP nel procedimento principale.

129.

Inoltre, le disposizioni pertinenti della direttiva 2000/78 [articolo 3, paragrafo 1, lettere a) e c)] sono incondizionate e sufficientemente precise da consentire al giudice nazionale di applicarle ( 56 ). È evidente che un soggetto quale J.K. (lavoratore autonomo) vanta, sulla base di tali disposizioni, il diritto di non essere discriminato in ragione del suo orientamento sessuale allorché si candida per un nuovo lavoro o chiede il prolungamento del rapporto di lavoro esistente, è chiaro altresì che un soggetto quale la TP, che intende avvalersi di servizi editoriali, non può rifiutarsi di stipulare un contratto con un lavoratore autonomo unicamente in ragione del suo orientamento sessuale. È pertanto possibile concludere, sulla base delle pertinenti disposizioni della direttiva 2000/78, che a J.K. è stato attribuito un diritto; che alla TP è imposto un corrispondente obbligo, e che il contenuto di tale diritto/obbligo comporta che è esclusa la possibilità che l’orientamento sessuale sia utilizzato quale criterio per la stipulazione di un contratto.

130.

Di conseguenza, il giudice nazionale non può applicare l’articolo 5, punto 3, della legge polacca sull’uguaglianza per decidere la causa di cui è investito. È altresì opportuno ribadire che siffatto obbligo del giudice nazionale non dipende dalla decisione del legislatore nazionale di modificare la normativa nazionale per renderla conforme al diritto dell’Unione. Ciò non esclude, tuttavia, l’obbligo parallelo del legislatore nazionale di procedere in tal senso.

Conclusione provvisoria

131.

L’articolo 3, paragrafo 1, lettere a) e c), della direttiva 2000/78 è applicabile alla causa di cui trattasi ed è dotato di effetto diretto. J.K. può quindi fondarsi, dinanzi al giudice del rinvio, sul divieto, imposto alla TP, di rifiutare di firmare un contratto con J.K. in qualità di lavoratore autonomo in ragione del suo orientamento sessuale. Il giudice del rinvio è quindi tenuto a disapplicare la disposizione nazionale confliggente.

V. Conclusione

132.

Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alla questione posta dal Sąd Rejonowy dla m.st. Warszawy w Warszawie (Tribunale circondariale della città di Varsavia-capitale, Polonia) nel modo seguente:

L’articolo 3, paragrafo 1, lettere a) e c) della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro,

deve essere interpretato nel senso che

esso osta a una normativa nazionale che consente che sia rifiutata la stipulazione di un contratto di diritto civile avente ad oggetto la prestazione di servizi, nell’ambito del quale il lavoratore autonomo è tenuto a svolgere un lavoro personale, qualora il rifiuto sia motivato dall’orientamento sessuale di tale persona.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) Il giudice del rinvio ha basato il rinvio pregiudiziale in esame sul presupposto che il rifiuto di stipulare un contratto sia stato motivato dall’orientamento sessuale di J.K. La decisione sulla questione se si sia verificata o meno una discriminazione spetta a tale giudice. A tal riguardo, v. considerando 15 della direttiva 2000/78/CE, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU 2000, L 303, pag. 16) e sentenza del 25 aprile 2013, Asociaţia Accept (C‑81/12, EU:C:2013:275, punto 42). Le presenti conclusioni partiranno quindi dal presupposto che la situazione all’origine della controversia riguardi una discriminazione diretta fondata sull’orientamento sessuale.

( 3 ) Sentenza del 25 giugno 2020, A e a. (Impianti eolici ad Aalter e Nevele) (C‑24/19, EU:C:2020:503, punto 75).

( 4 ) Countouris, N. e De Stefano, V., New trade union strategies for new forms of employment, ETUC, Bruxelles, 2019, pag. 34.

( 5 ) Countouris e De Stefano (ibidem) osservano quindi quanto segue: «se una persona non è un lavoratore dipendente, se il suo lavoro non è oggetto di controllo né è svolto sotto la direzione di un datore di lavoro, se non è integrato in un’impresa o non comporta alcun particolare rischio commerciale, la maggior parte dei sistemi giuridici si limiterà a presumere che tale persona sia un lavoratore autonomo».

( 6 ) Tale base giuridica è stata introdotta nei trattati dal Trattato di Amsterdam e, all’epoca dell’adozione della direttiva 2000/78, era l’articolo 13 TCE.

( 7 ) Come specificato dal suo articolo 1, la direttiva 2000/78 vieta le discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali.

( 8 ) L’articolo 19 TFUE consente all’Unione di combattere le discriminazioni soltanto nell’ambito delle competenze ad essa conferite dai Trattati.

( 9 ) V. il titolo della direttiva 2000/78 e il suo articolo 1.

( 10 ) Proposta di direttiva del Consiglio recante applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale [COM (2008) 426 definitivo].

( 11 ) La sua genesi legislativa rivela che i principali fattori che ne frenano l’adozione sono, da un lato, i costi per consentire un accesso non discriminatorio ai beni e ai servizi per le persone con disabilità e, dall’altro, la sussidiarietà. V., in tal senso, Consiglio dell’Unione europea, Relazione sullo stato dei lavori, n. 14046/21, del 23 novembre 2021.

( 12 ) V. nota 10 delle presenti conclusioni.

( 13 ) Direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica (GU 2009, L 180, pag. 22).

( 14 ) Anche la direttiva 2000/43, che vieta le discriminazioni fondate sulla razza e l’origine etnica, è stata adottata sulla base dell’attuale articolo 19 TFUE, più o meno nello stesso periodo della direttiva 2000/78, il che rende comparabile l’uso di tali termini nelle due direttive.

( 15 ) V., a tal riguardo, De Stefano, V., «Not as simple as it seems: The ILO and the personal scope of international labour standards», International Labour Review, 2021, pagg. da 387 a 406, in particolare pag. 399. V. anche Schubert, C., Economically-dependent Workers as Part of a decent Economy, Beck/Hart/Nomos, 2022, pag. 237.

( 16 ) V. anche la relazione alla proposta di direttiva del Consiglio che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. In una parte di tale relazione, che descrive quello che sarebbe divenuto l’articolo 3 della direttiva 2000/78, si dichiara specificamente che «[l]a parità di trattamento per quanto concerne l’accesso ad attività lavorative autonome o dipendenti (...) comporta l’eliminazione di qualsiasi discriminazione derivante da disposizioni che impediscono l’accesso delle persone a tutte le forme di lavoro e di occupazione». Il corsivo è mio.

( 17 ) Conclusioni dell’avvocato generale Richard de la Tour nella causa HK/Danmark e HK/Privat (C‑587/20, EU:C:2022:29, paragrafo 37).

( 18 ) Sentenza del 2 giugno 2022, HK/Danmark e HK/Privat (C‑587/20, EU:C:2022:419, punto 34).

( 19 ) V., al riguardo, la versione in lingua svedese della direttiva 2000/78, che all’articolo 1 utilizza i termini «vita lavorativa» («arbetslivet») per designare l’espressione inglese «employment and occupation» o la formulazione in lingua francese «emploi et travail».

( 20 ) L’importanza del lavoro per la realizzazione personale è stata sottolineata anche nella giurisprudenza. Nelle sue conclusioni nella causa Coleman (C‑303/06, EU:C:2008:61, paragrafo 11), l’avvocato generale Poiares Maduro ha affermato quanto segue: «[l]’accesso al lavoro e alla crescita professionale ha un significato fondamentale per chiunque, non soltanto come mezzo di sostentamento ma anche come strumento importante di appagamento personale e di realizzazione delle proprie potenzialità». Questo stesso passaggio è stato ripreso, in quanto importante ai fini della determinazione dell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78, dall’avvocato generale Sharpston, nelle sue conclusioni nella causa Associazione Avvocatura per i diritti LGBTI (C‑507/18, EU:C:2019:922, paragrafo 44).

( 21 ) Sentenza del 23 aprile 2020, Associazione Avvocatura per i diritti LGBTI (C‑507/18, EU:C:2020:289, punto 39; in prosieguo: la «sentenza LGBTI»). V. anche conclusioni dell’avvocato generale Sharpston in tale causa (C‑507/18, EU:C:2019:922, paragrafo 42). Nella sentenza nella causa HK, la Corte ha ribadito che i termini «occupazione», «lavoro autonomo» e «lavoro» devono essere intesi in senso ampio, poiché da un confronto tra le diverse versioni linguistiche dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/78 risulta che molte lingue utilizzano formulazioni generali. Sentenza del 2 giugno 2022, HK/Danmark e HK/Privat (C‑587/20, EU:C:2022:419, punto 27).

( 22 ) Sentenza del 2 giugno 2022, HK/Danmark e HK/Privat (C‑587/20, EU:C:2022:419, punto 29). V. anche il punto 28 della stessa sentenza, in cui la Corte ha dichiarato quanto segue: «[i]n tal senso, oltre al fatto che detta disposizione riguarda espressamente il lavoro autonomo, discende altresì dai termini “occupazione” e “lavoro”, intesi nel loro senso abituale, che il legislatore dell’Unione non ha inteso limitare l’ambito di applicazione della direttiva 2000/78 ai posti occupati da un “lavorator[e]” ai sensi dell’articolo 45 TFUE».

( 23 ) Sull’evoluzione della nozione di «lavoratore» nel mercato interno e nel diritto derivato del lavoro dell’Unione nella giurisprudenza della Corte, v. Countouris, N., «The Concept of “Worker” in European Labour Law: Fragmentation, Autonomy and Scope», Industrial Law Journal, 2018, pagg. da 192 a 225 e Goldner Lang, I., «Sloboda kretanja radnika», in Ćapeta, T. e Goldner Lang, I. (a cura di), Pravo unutarnjeg tržišta Europske unije, Narodne Novine, Zagabria, 2021, pagg. da 77 a 110.

( 24 ) A tal riguardo, v. conclusioni dell’avvocato generale Richard de la Tour nella causa HK/Danmark e HK/Privat (C‑587/20, EU:C:2022:29, paragrafo 35).

( 25 ) A tal riguardo, v. Supiot, A., «Homo faber: continuités et ruptures» in Supiot, A. (a cura di), Le travail au XXIe siècle, Livre du centenaire de l’OIT, éditions de l’Atelier, Parigi, 2019, pagg. da 15 a 41.

( 26 ) V. anche, a tal riguardo, Supiot, A., «Homo faber: continuités et ruptures» in Supiot, A. (a cura di), Le travail au XXIe siècle, Livre du centenaire de l’OIT, éditions de l’Atelier, Parigi, 2019, pagg. da 15 a 41, in particolare pag. 17; Dujarier, M.-A., Troubles dans le travail, Sociologie d’une catégorie de pensée, puf, Parigi, 2021, pagg. da 365 a 366.

( 27 ) Il «rapporto di lavoro tradizionale» è stato descritto in questi termini in uno studio dell’OIL sulle forme di lavoro non tradizionali. V. Non-standard employment around the world: Understanding challenges, shaping prospects, ILO, Ginevra, 2016, pag. 7. V. anche la mappa a pag. 52 di tale studio.

( 28 ) Ibidem.

( 29 ) Deakin, S., Wilkinson, F., The Law of the Labour Market, OUP, Oxford, 2005, pagg. da 311 a 313.

( 30 ) Fudge, J., «Blurring Legal Boundaries: Regulating for Decent Work» in Fudge, J., McCrystal, S., Sankaran, K., Challenging the legal boundaries of work regulation, Hart, Oxford, 2012, pagg. da 1 a 26; De Stefano, V. e Aloisi, A., European Legal framework for digital labour platforms, Commissione europea, Lussemburgo, 2018.

( 31 ) Collins spiega che il lavoro personale può fondarsi su un contratto concernente la prestazione di servizi per un determinato periodo di tempo o su un contratto concernente l’esecuzione di un compito. In una prospettiva economica, possono esservi diverse ragioni, principalmente legate all’attribuzione dei rischi, per pattuire un determinato tipo di lavoro. A tal riguardo, v. Collins, H., «Independent Contractors and the Challenge of Vertical Disintegration to Employment», Oxford Journal of Legal Studies, vol. 10(3), 1990, pag. 362.

( 32 ) Sul concetto di lavoro personale v., ad esempio, Freedland, M., Countouris, N., The Legal Construction of Personal Work Relations, OUP, Oxford, 2011, pagg. 5 e 42; Supiot, A. «Towards a European policy on work» in Countouris, N., Freedland, M. (a cura di), Resocialising Europe in a Time of Crisis, CUP, Cambridge, 2013, pagg. da 19 a 35, in particolare pag. 35; Countouris, N., De Stefano, V., New trade union strategies for new forms of employment, ETUC, Bruxelles, 2019, pag. 64.

( 33 ) Tale definizione di rapporto di lavoro personale è stata proposta da N. Countouris e V. De Stefano in New trade union strategies for new forms of employment, ETUC, Bruxelles, 2019, pag. 65: «la nozione di “rapporto di lavoro personale” può essere utilizzata per definire l’ambito di applicazione ratione personae del diritto del lavoro come applicabile a qualsiasi persona contrattata da un’altra al fine di svolgere un lavoro, salvo che tale persona eserciti effettivamente un’attività d’impresa per proprio conto».

( 34 ) V. anche, in tal senso, C. Barnard, la quale spiega che vi è anche chi sostiene che il riferimento alla nozione di «lavoratore autonomo» comprende, nel settore del diritto all’uguaglianza, anche i lavoratori autonomi indipendenti (imprenditori). In: EU Employment Law, OUP, Oxford, 2012, 4a ed., pag. 348.

( 35 ) Nella sua sentenza del 2 giugno 2022, HK/Danmark e HK/Privat (C‑587/20, EU:C:2022:419, punto 34), la Corte ha dichiarato quanto segue: «come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 37 delle sue conclusioni, la direttiva 2000/78 non rappresenta un atto di diritto derivato dell’Unione come quelli, fondati segnatamente sull’articolo 153, paragrafo 2, TFUE, che concernono solo la tutela dei lavoratori quale parte più debole di un rapporto di lavoro (...)».

( 36 ) Clausola 5 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato del 18 marzo 1999, che figura nell’allegato della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU 1999, L 175, pag. 43).

( 37 ) V. paragrafo 54 delle presenti conclusioni e la giurisprudenza ivi citata.

( 38 ) Ciò non significa che tale circostanza non sia rilevante in altri settori del diritto dell’Unione, come, ad esempio, nel diritto della concorrenza. V., a tal riguardo, sentenza del 4 dicembre 2014, FNV Kunsten Informatie en Media (C‑413/13, EU:C:2014:2411).

( 39 ) V., al riguardo, documento di lavoro dei servizi della Commissione, Valutazione della direttiva 86/653 (Valutazione REFIT), SWD (2015) 146 final, del 16 luglio 2015.

( 40 ) Punto 39.

( 41 ) Sentenza del 23 aprile 2020, Associazione Avvocatura per i diritti LGBTI (C‑507/18, EU:C:2020:289, punto 32).

( 42 ) Sentenza del 23 aprile 2020, Associazione Avvocatura per i diritti LGBTI (C‑507/18, EU:C:2020:289, punto 33).

( 43 ) Desidero, inoltre, sottolineare che, in un contesto diverso, attinente alla libertà di circolazione e ai diritti dei cittadini fondati sulla direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77), la Corte ha già ammesso che la cessazione non volontaria dell’attività da parte di un lavoratore autonomo può essere assimilata al licenziamento di un lavoratore dipendente. V. sentenze del 20 dicembre 2017, Gusa (C‑442/16, EU:C:2017:1004, punto 43), e dell’11 aprile 2019, Tarola (C‑483/17, EU:C:2019:309, punto 48).

( 44 ) V., in tal senso, sentenza del 13 settembre 2011, Prigge e a. (C‑447/09, EU:C:2011:573, punto 56).

( 45 ) In recenti sentenze rese dalla Corte in seduta plenaria, essa ha precisato che i valori elencati all’articolo 2 TUE, compresa l’uguaglianza, fanno parte dell’identità stessa dell’Unione europea (sentenze del 16 febbraio 2022, Ungheria/Parlamento e Consiglio, C‑156/21, EU:C:2022:97, punto 232; e del 16 febbraio 2022, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑157/21, EU:C:2022:98, punto 264). Lo scopo stesso della direttiva 2000/78 è quello di realizzare il valore dell’uguaglianza mediante l’attuazione del divieto di discriminazione, quale enunciato all’articolo 21 della Carta. Fin dalla sentenza dell’8 aprile 1976, Defrenne (43/75, EU:C:1976:56) (n. 2), l’uguaglianza rappresenta un modello sociale che l’Unione mira a realizzare. McCrudden spiega, ad esempio, che se l’uguaglianza è intesa come un concetto di protezione dei diritti, il principio della parità di trattamento riveste una particolare importanza nel dimostrare che gli obiettivi dell’Unione vanno al di là degli obiettivi economici e si estendono alla protezione del modello sociale europeo. V. McCrudden, C., «The New Concept of Equality», ERA, 2003, pag. 18. V. anche Waddington, L., «Testing the Limits of the EC Treaty Article on Non-discrimination», Industrial Law Journal, 1999, pagg. da 133 a 151, in particolare pag. 134, secondo cui l’inserimento dell’articolo 13 CE nel Trattato non è stato determinato principalmente dall’intento di lottare contro le discriminazioni per ragioni economiche, bensì per portare l’Europa «più vicino ai cittadini».

( 46 ) La Corte ha operato un bilanciamento analogo tra il diritto alla non discriminazione, quale previsto dalla direttiva 2000/78, e la libertà di espressione, quale tutelata dall’articolo 11 della Carta, nella sentenza nella causa LGBTI, punti da 47 a 57. La Corte ha operato un bilanciamento tra il diritto alla non discriminazione, quale previsto dalla direttiva 2000/78, e la libertà di associazione, quale tutelata dall’articolo 12 della Carta, nella sentenza del 2 giugno 2022, HK/Danmark e HK/Privat (C‑587/20, EU:C:2022:419, punti da 41 a 47).

( 47 ) È opportuno rilevare che la libertà contrattuale è stata altresì riconosciuta dall’ordinamento giuridico dell’Unione come un diritto fondamentale, in quanto parte della libertà d’impresa garantita dall’articolo 16 della Carta. V., ad esempio, sentenza del 21 dicembre 2021, Bank Melli Iran (C‑124/20, EU:C:2021:1035, punto 79). Ciò significa, in primo luogo, che il legislatore dell’Unione ha l’obbligo di prendere in considerazione tale libertà all’atto dell’adozione di una normativa antidiscriminazione. In secondo luogo, ai sensi dell’ordinamento giuridico dell’Unione la libertà contrattuale non è assoluta. Al contrario, la Corte ha dichiarato che la libertà d’impresa, quale prevista all’articolo 16 della Carta, «può essere (…) soggetta ad un ampio ventaglio di interventi dei poteri pubblici suscettibili di stabilire, nell’interesse generale, limiti all’esercizio dell’attività economica». V., a tal riguardo, sentenza del 22 gennaio 2013, Sky Österreich (C‑283/11, EU:C:2013:28, punto 46); v. anche sentenza del 21 dicembre 2021, Bank Melli Iran (C‑124/20, EU:C:2021:1035, punti da 80 a 81). Con riguardo a quest’ultimo punto, v. anche Weatherill, S. «Use and Abuse of the EU’s Charter of Fundamental Rights: on the improper veneration of “freedom of contract”», European Review of Contract Law, 2014, pagg. da 167 a 182.

( 48 ) V., ad esempio, per il caso di una lavoratrice gestante licenziata a causa di un licenziamento collettivo, sentenza del 22 febbraio 2018, Porras Guisado (C‑103/16, EU:C:2018:99, punto 71).

( 49 ) V. paragrafo 44 delle presenti conclusioni.

( 50 ) La competenza a interpretare il diritto nazionale spetta esclusivamente al giudice nazionale. Nell’ambito del procedimento pregiudiziale, la Corte deve quindi basarsi sull’interpretazione del diritto nazionale data dal giudice del rinvio. Il giudice del rinvio ha precisato che, a suo avviso, il tipo di contratto di cui trattasi nel procedimento principale rientra nell’ambito di applicazione della legge polacca sull’uguaglianza sulla base dell’articolo 4, punto 2, di quest’ultima e che, pertanto, anche l’articolo 5, punto 3, di tale legge trova applicazione.

( 51 ) Sentenza del 9 marzo 1978, Simmenthal (106/77, EU:C:1978:49, punti da 21 a 23), e del 22 febbraio 2022, RS (Efficacia delle sentenze di una Corte costituzionale) (C‑430/21, EU:C:2022:99, punti 6263).

( 52 ) Sentenza del 24 giugno 2019, Popławski (C‑573/17, EU:C:2019:530, punti da 60 a 6468).

( 53 ) Sentenze del 5 aprile 1979, Ratti (148/78, EU:C:1979:110, punti da 20 a 23), e del 7 agosto 2018, Smith (C‑122/17, EU:C:2018:631, punto 45).

( 54 ) Essa è di proprietà del Tesoro. È opportuno rilevare che la TP, convenuta nel procedimento dinanzi al giudice del rinvio, non ha presentato osservazioni scritte né ha partecipato all’udienza dinanzi alla Corte.

( 55 ) Sentenze del 26 febbraio 1986, Marshall (152/84, EU:C:1986:84, punti da 46 a 49), e del 10 ottobre 2017, Farrell (C‑413/15, EU:C:2017:745, punti da 32 a 35).

( 56 ) Sentenze del 19 novembre 1991, Francovich e a. (C‑6/90 e C‑9/90, EU:C:1991:428, punti 1112); del 24 gennaio 2012, Dominguez (C‑282/10, EU:C:2012:33, punto 33); del 16 luglio 2015, Larentia + Minerva e Marenave Schiffahrt (C‑108/14 e C‑109/14, EU:C:2015:496, punti da 48 a 49), e dell’8 marzo 2022, Bezirkshauptmannschaft Hartberg-Fürstenfeld (Effetto diretto) (C‑205/20, EU:C:2022:168, punti da 17 a 19).

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