Choose the experimental features you want to try

This document is an excerpt from the EUR-Lex website

Document 62020CC0680

    Conclusioni dell’avvocato generale A. Rantos, presentate il 14 luglio 2022.
    Unilever Italia Mkt. Operations Srl contro Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato.
    Rinvio pregiudiziale – Concorrenza – Articolo 102 TFUE – Posizione dominante – Imputazione al produttore dei comportamenti dei suoi distributori – Esistenza di vincoli contrattuali tra il produttore e i distributori – Nozione di “unità economica” – Ambito di applicazione – Sfruttamento abusivo – Clausola di esclusiva – Necessità di dimostrare gli effetti sul mercato.
    Causa C-680/20.

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2022:586

     CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    ATHANASIOS RANTOS

    presentate il 14 luglio 2022 ( 1 )

    Causa C‑680/20

    Unilever Italia Mkt. Operations Srl

    contro

    Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato,

    con l’intervento di:

    La Bomba snc

    [domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato, Italia]

    «Rinvio pregiudiziale – Concorrenza – Posizione dominante – Articolo 102 TFUE – Nozione di “unità economica” – Imputazione al produttore dei comportamenti dei distributori con i quali quest’ultimo intrattiene esclusivamente vincoli contrattuali – Sfruttamento abusivo – Clausola di esclusiva – Necessità di dimostrare gli effetti sul mercato»

    I. Introduzione

    1.

    La presente domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato (Italia) è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Unilever Italia Mkt. Operations Srl (in prosieguo: la «Unilever») e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (in prosieguo: l’«AGCM») ( 2 ) relativamente ad una sanzione inflitta dall’autorità in parola a detta società per abuso di posizione dominante sul mercato italiano della distribuzione di gelati confezionati a taluni tipi di esercizi commerciali, quali gli stabilimenti balneari e i bar che, a loro volta, rivendono tali gelati ai consumatori finali.

    2.

    La presente causa solleva due questioni pregiudiziali con le quali si invita la Corte a precisare taluni aspetti relativi all’interpretazione e all’applicazione dell’articolo 102 TFUE.

    3.

    La prima questione pregiudiziale riguarda l’applicazione della nozione di «unica unità economica» (in prosieguo: «unità economica») alle società unite esclusivamente da vincoli contrattuali. Più precisamente, il giudice del rinvio chiede alla Corte di precisare il perimetro di suddetta nozione ai fini dell’applicazione dell’articolo 102 TFUE e, segnatamente, la sua attuazione nell’ambito di una rete di distribuzione organizzata esclusivamente su base contrattuale. Sebbene la giurisprudenza della Corte in materia di gruppi societari offra numerose indicazioni utili, tale questione consentirà di chiarire i criteri rilevanti al fine di accertare l’esistenza di un’unità economica in situazioni non connotate da rapporti di partecipazione ( 3 ). Siffatto chiarimento riveste un’importanza pratica non trascurabile, dato che il ricorso a servizi di affiliazione commerciale (franchising), di esternalizzazione (outsourcing) o di subappalto (subcontracting) in determinate fasi della distribuzione è frequente nella prassi delle grandi imprese, che potrebbero ricadere nell’ambito di applicazione dell’articolo 102 TFUE.

    4.

    La seconda questione pregiudiziale verte sulla possibilità per un’autorità garante della concorrenza di ritenere che una prassi consistente nell’inserire clausole di esclusiva in contratti di distribuzione abbia, per sua natura, la capacità di restringere la concorrenza, ai sensi dell’articolo 102 TFUE, senza dover dimostrare concretamente che ciò si verifica per i contratti in questione sul fondamento del criterio del «concorrente altrettanto efficiente» ( 4 ).

    II. Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

    5.

    La Unilever è un’impresa attiva nella produzione e nella commercializzazione di prodotti di largo consumo, tra i quali, nel settore dei gelati confezionati, «Algida» e «Carte d’Or». In Italia essa distribuisce tali gelati in confezioni monodose per il consumo «out-of-home», ossia in bar, caffetterie, circoli sportivi, piscine o altri luoghi ricreativi (in prosieguo: i «punti vendita»), attraverso una rete di 150 distributori.

    6.

    Il 3 aprile 2013 una società concorrente, La Bomba snc, ha presentato un esposto all’AGCM denunciando un abuso di posizione dominante da parte della Unilever ( 5 ).

    7.

    Con provvedimento del 31 ottobre 2017 (in prosieguo: il «provvedimento controverso»), l’AGCM ha dichiarato che la Unilever aveva abusato della sua posizione dominante sul mercato della distribuzione e della commercializzazione di gelati confezionati ai gestori di punti vendita attivi nel canale «out-of-home» (in prosieguo: il «mercato rilevante»), in violazione dell’articolo 102 TFUE. Essa ha quindi inflitto alla Unilever una sanzione pecuniaria di EUR 60668850,00, ordinando altresì l’interruzione delle condotte ritenute illecite.

    8.

    Secondo l’AGCM, la Unilever avrebbe adottato, nel mercato rilevante, una strategia escludente, atta a ostacolare la crescita dei suoi concorrenti. La strategia in parola si fondava essenzialmente sull’applicazione agli esercenti dei punti vendita di clausole di esclusiva che prevedevano l’obbligo di rifornirsi esclusivamente presso la Unilever per l’intero loro fabbisogno di gelati confezionati. Oltre alle clausole di esclusiva, la strategia escludente avrebbe incluso l’applicazione simultanea, nei confronti di tali esercenti, di un’ampia serie di sconti e compensi subordinati a condizioni, quali il raggiungimento di specifici obiettivi di fatturato o il mantenimento in assortimento di una determinata gamma di prodotti Unilever. Detti sconti e compensi, applicati, secondo combinazioni e modalità variabili, alla quasi totalità dei punti vendita, avrebbero avuto lo scopo di fornire a questi ultimi un incentivo a mantenere l’esclusiva, scoraggiandoli dal risolvere il loro contratto per rifornirsi presso concorrenti della Unilever.

    9.

    Siffatte condotte sarebbero state poste in essere dalla Unilever per la maggior parte tramite la sua rete di 150 distributori (in prosieguo: i «distributori») con i quali la Unilever aveva instaurato un rapporto di esclusiva, in forza del quale: i) la Unilever vendeva i suoi prodotti a uno solo di tali distributori per la rivendita in un determinato territorio e ii) il suddetto distributore, che aveva quindi lo status di concessionario nel senso giuridico del termine, era soggetto al contempo al divieto di vendita attiva nei territori attribuiti in esclusiva ad altri concessionari e al divieto di produrre o commercializzare prodotti di operatori concorrenti. Quest’ultimo doveva inoltre acquistare l’attrezzatura destinata a conservare e presentare i gelati nei punti vendita, nonché il materiale di marketing che doveva poi essere ceduto gratuitamente ai gestori di detti punti vendita.

    10.

    Ai fini della presente domanda di pronuncia pregiudiziale, sono rilevanti due aspetti del provvedimento controverso.

    11.

    Da un lato, le condotte abusive contestate dall’AGCM, pur essendo state materialmente poste in essere dai distributori, sono state imputate alla sola Unilever sulla base della motivazione che quest’ultima e i suoi distributori erano riconducibili a una medesima entità economica, vale a dire un’«unità economica». La Unilever, infatti, eserciterebbe un «certo livello di ingerenza nella politica commerciale dei concessionari», ragion per cui questi ultimi non avrebbero agito in modo indipendente nell’adottare la politica commerciale consistente nel prevedere condizioni di esclusiva e nel concedere incentivi economici al fine di fidelizzare i punti vendita e/o di ottenere l’esclusiva per i prodotti della Unilever, nonché nell’esercitare pressioni per tutelare tale esclusiva.

    12.

    D’altro lato, l’AGCM ha ritenuto che, alla luce delle peculiari caratteristiche del mercato rilevante, la condotta della Unilever abbia escluso, o quantomeno limitato, la possibilità per gli operatori concorrenti di competere in base ai meriti. Infatti, facendo leva sulla sua posizione dominante, la Unilever avrebbe spinto i punti vendita a mantenere nei loro assortimenti, il più a lungo possibile, soltanto i suoi prodotti, limitando le occasioni di competizione tra i vari marchi di fronte al consumatore e impedendo la crescita dei concorrenti in proporzione ai «meriti» delle loro rispettive offerte.

    13.

    La Unilever ha impugnato il provvedimento controverso in primo grado dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Italia) (in prosieguo: il «TAR»). Avendo il TAR respinto integralmente il ricorso, la Unilever ha interposto appello dinanzi al Consiglio di Stato, il giudice del rinvio. A sostegno di tale appello, la Unilever ha segnatamente addebitato al TAR di non aver rilevato la presenza di vizi inficianti il provvedimento controverso e riguardanti, da un lato, l’imputabilità alla Unilever delle condotte poste in essere dai suoi distributori e, dall’altro lato, gli effetti delle condotte di cui trattasi, da essa ritenute non idonee a falsare la concorrenza.

    14.

    In tale contesto, nutrendo dubbi circa l’interpretazione del diritto dell’Unione in relazione ai due motivi summenzionati, il Consiglio di Stato deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1)

    Al di fuori dei casi di controllo societario, quali sono i criteri rilevanti al fine di stabilire se il coordinamento contrattuale tra operatori economici formalmente autonomi e indipendenti dia luogo ad un’unica entità economica ai sensi degli articoli 101 e 102 TFUE; se, in particolare, l’esistenza di un certo livello di ingerenza sulle scelte commerciali di un’altra impresa, tipica dei rapporti di collaborazione commerciale tra produttore e intermediari della distribuzione, può essere ritenut[a] sufficiente a qualificare tali soggetti come parte della medesima unità economica; oppure se sia necessario un collegamento “gerarchico” tra le due imprese, ravvisabile in presenza di un contratto in forza del quale più società autonome si “assoggettano” all’attività di direzione e coordinamento di una di esse, richiedendosi quindi da parte dell’Autorità [di concorrenza competente] la prova di una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa, cioè sulle scelte strategiche ed operative di carattere finanziario, industriale e commerciale.

    2)

    Al fine di valutare la sussistenza di un abuso di posizione dominante attuato mediante clausole di esclusiva, se l’articolo 102 TFUE vada interpretato nel senso di ritenere sussistente in capo all’autorità di concorrenza [competente] l’obbligo di verificare se l’effetto di tali clausole è quello di escludere dal mercato concorrenti altrettanto efficienti, e di esaminare in maniera puntuale le analisi economiche prodotte dalla parte sulla concreta capacità delle condotte contestate di escludere dal mercato concorrenti altrettanto efficienti; oppure se, in caso di clausole di esclusiva escludenti o di condotte connotate da una molteplicità di pratiche abusive (sconti fidelizzanti e clausole di esclusiva), non ci sia alcun obbligo giuridico per [l’AGCM] di fondare la contestazione dell’illecito antitrust sul criterio del concorrente altrettanto efficiente».

    15.

    La Unilever, l’AGCM, i governi italiano e greco nonché la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte alla Corte. Tutte queste parti sono state altresì sentite all’udienza tenutasi il 3 marzo 2022.

    III. Analisi

    A.   Sulla prima questione pregiudiziale

    16.

    Con la sua prima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio si chiede quale collegamento strutturale debba sussistere tra il produttore e gli intermediari indipendenti affinché essi possano essere considerati costituire un’unica «entità economica» ai sensi del diritto della concorrenza dell’Unione. Più precisamente, detto giudice chiede, in sostanza, se, in assenza di rapporti di partecipazione, un produttore e i suoi distributori possano costituire una siffatta «unità economica» i) semplicemente in virtù di «un certo livello di ingerenza» del primo «nelle scelte commerciali» dei suoi distributori o (ii) se, a tal fine, sia necessario un «collegamento gerarchico», in forza del quale il produttore assoggetta i suoi distributori attraverso una «pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo» idonei a incidere sulle loro «scelte strategiche ed operative».

    1. Sulla ricevibilità

    17.

    L’AGCM e il governo italiano sostengono che la prima questione sarebbe irricevibile, poiché la domanda di pronuncia pregiudiziale difetterebbe delle necessarie precisazioni. Essi rilevano parimenti che tale questione si riferisce all’articolo 101 TFUE, mentre quest’ultima disposizione non sarebbe stata applicata dall’AGCM.

    18.

    A tal riguardo, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, la necessità di giungere a un’interpretazione del diritto dell’Unione che sia utile per il giudice nazionale impone che quest’ultimo definisca il contesto di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni da lui sollevate o che esso, perlomeno, spieghi le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate. Tali esigenze valgono in modo del tutto particolare nel settore della concorrenza, che è caratterizzato da situazioni di fatto e di diritto complesse ( 6 ).

    19.

    Nel caso di specie, ritengo, da un lato, che le informazioni contenute nell’ordinanza di rinvio, sebbene sintetiche, siano sufficienti a spiegare l’ipotesi di fatto sulla quale si fonda la prima questione pregiudiziale, ossia quella dell’applicazione della nozione di «unità economica» a una rete di distribuzione costituita da società che non presentano rapporti di partecipazione con l’impresa dominante ( 7 ). D’altro lato, quanto alla circostanza che il giudice del rinvio abbia fatto riferimento, nel testo della prima questione pregiudiziale, oltre che all’articolo 102 TFUE, all’articolo 101 TFUE, tale circostanza non mi sembra idonea a rimettere in discussione quanto precede, tanto più che la nozione di «unità economica», oggetto della questione di cui trattasi, è comune agli articoli 101 e 102 TFUE.

    20.

    Propongo pertanto di considerare ricevibile la prima questione pregiudiziale.

    2. Nel merito

    a) Osservazioni preliminari

    21.

    Allo scopo di meglio discernere la problematica posta dal giudice del rinvio, ricordo che l’AGCM ha imputato le condotte di cui trattasi nel procedimento principale unicamente alla Unilever, sebbene esse fossero state materialmente poste in essere dai distributori, ritenendo che la Unilever e detti distributori formassero un’«unità economica», in considerazione, segnatamente, del fatto che la Unilever esercitava un certo livello di ingerenza nella politica commerciale di tali distributori. La Unilever, da parte sua, replica, in sostanza, che i distributori sono imprenditori indipendenti – non avendo essa alcuna partecipazione nel loro capitale e nessun rappresentante nei loro consigli di amministrazione – che determinano liberamente la loro politica commerciale, ciascuno per il proprio settore, assumendosi essi stessi i rischi connessi alla loro attività, e che, pertanto, le condotte abusive non possono esserle imputate ( 8 ).

    22.

    È in tale contesto che il giudice del rinvio chiede, in sostanza, al di fuori dei casi in cui sussistono rapporti di partecipazione, quali siano i criteri pertinenti per determinare se il coordinamento contrattuale tra un produttore e i suoi intermediari di distribuzione dia luogo a un’unità economica ai sensi degli articoli 101 e 102 TFUE. In particolare, il giudice del rinvio avverte difficoltà nell’interpretare e nell’applicare la nozione di «unità economica» per quanto riguarda la natura e la portata degli indizi del collegamento strutturale che deve sussistere tra il produttore e i suoi distributori affinché si formi, tra loro, un unico centro decisionale, con la conseguenza che le condotte dell’uno possono essere imputate anche all’altro.

    23.

    Per rispondere a tale questione, occorre anzitutto spiegare le nozioni di «impresa» e di «unità economica» sulle quali si fonda la logica dell’imputabilità della responsabilità per un’infrazione alle norme in materia di concorrenza ( 9 ) (sotto-sezione b). Successivamente, è importante illustrare in che modo la nozione di «unità economica» è stata applicata nel quadro dell’imputabilità in presenza di rapporti di partecipazione (sotto-sezione c). I principi derivanti dalla giurisprudenza di cui trattasi possono, a mio avviso, essere trasposti anche al di fuori dei casi di rapporti di partecipazione, come nel procedimento principale, segnatamente nei limiti in cui la giurisprudenza della Corte offre se non pochi esempi di applicazione della nozione di «unità economica» in presenza di vincoli contrattuali (sotto-sezione d).

    b) Sulle nozioni di «impresa» e di «unità economica» e sulla loro importanza per l’attuazione del diritto della concorrenza dell’Unione

    24.

    Il termine «impresa», che figura agli articoli 101 e 102 TFUE, riflette la scelta degli autori dei Trattati di utilizzare un termine autonomo per designare l’autore di una violazione del diritto della concorrenza che fosse diverso dai termini esistenti nel Trattato FUE ( 10 ). Sebbene il termine «impresa» non sia definito nel Trattato, il contenuto della nozione in parola è stato progressivamente elaborato dalla giurisprudenza della Corte. Ai sensi della giurisprudenza richiamata, il concetto di «impresa» comprende qualsiasi entità costituita da elementi personali, materiali e immateriali che esercita un’attività economica, indipendentemente dallo status giuridico di tale entità e dalle sue modalità di finanziamento ( 11 ).

    25.

    Ispirandosi a un approccio funzionale, la Corte ha altresì considerato che la nozione di «impresa» si riferisce a un’unità economica, anche qualora, sotto il profilo giuridico, una simile unità economica sia costituita da più persone fisiche o giuridiche. Infatti, facendo riferimento alle attività delle imprese, il diritto della concorrenza dell’Unione stabilisce come criterio decisivo l’esistenza di un’unità di comportamento sul mercato, senza che la formale separazione tra le diverse società, conseguente alla loro personalità giuridica distinta, possa escludere tale unità ai fini dell’applicazione delle norme sulla concorrenza ( 12 ).

    26.

    Siffatta nozione di «unità economica» è stata sviluppata e applicata perseguendo una duplice finalità: da un lato, per escludere dall’ambito di applicazione dell’articolo 101 TFUE gli accordi tra entità appartenenti alla medesima impresa (ad esempio all’interno dello stesso gruppo di società), nella misura in cui l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE riguarda rapporti tra due o più entità economiche in grado di entrare in concorrenza l’una con l’altra ( 13 ), e, dall’altro, al fine di imputare all’interno di un gruppo di società il comportamento anticoncorrenziale di una società figlia alla società madre.

    27.

    Orbene, se è vero che la nozione di «unità economica», per quanto concerne la prima finalità, deve, in linea di principio, essere interpretata restrittivamente giacché si tratterebbe di un’eccezione che restringe l’ambito di applicazione dell’articolo 101 TFUE ( 14 ), si pone la questione se tale nozione, ai fini dell’imputazione di un comportamento, possa giustificare un concetto più ampio, nei limiti in cui la nozione di «unità economica» è essenzialmente intesa a garantire una maggiore portata utile e a potenziare l’effetto dissuasivo e preventivo delle norme in materia di concorrenza ( 15 ).

    28.

    Infatti, in primo luogo, l’applicazione della nozione di «unità economica» può implicare ipso iure una responsabilità solidale tra le entità che componevano l’unità economica in questione al momento della commissione dell’infrazione ( 16 ). Storicamente, si è fatto ricorso alla nozione di «unità economica» nell’ambito dell’applicazione dell’articolo 101 TFUE, e in particolare in materia di intese, avendo suddetta nozione consentito di collegare le azioni delle società figlie operanti nel territorio dell’Unione alla società madre che si trovava al di fuori dell’Unione, in modo da poterla sanzionare in forza delle disposizioni del diritto della concorrenza dell’Unione ( 17 ). Tale metodo di imputazione della responsabilità mediante la nozione di «unità economica» mira a non consentire alle imprese di eludere tanto l’articolo 101 TFUE quanto l’articolo 102 TFUE. Ad esempio, un’impresa dominante potrebbe attuare una ristrutturazione interna, suddividendo le proprie attività tra diverse società figlie (non dominanti) al fine di ridurre la quota di mercato detenuta da ciascuna entità giuridica distinta, senza alcun intervento ai sensi dell’articolo 102 TFUE. Se il comportamento delle società figlie non potesse essere attribuito all’impresa dominante, quest’ultima potrebbe facilmente eludere il divieto di cui all’articolo 102 TFUE.

    29.

    In secondo luogo, la nozione di «unità economica» consente di aumentare considerevolmente l’importo dell’ammenda e, quindi, il suo effetto dissuasivo. Il ricorso all’unità economica consente infatti di calcolare l’importo massimo dell’ammenda di cui all’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1/2003 ( 18 ), vale a dire il 10% del fatturato, sulla base del fatturato delle entità che compongono l’unità economica, e non solo di quello dell’entità che ha effettivamente commesso l’infrazione. Inoltre, la nozione in parola consente di aumentare l’importo di base dell’ammenda e facilita la maggiorazione di tale importo a titolo di circostanze aggravanti, ossia di recidiva, e l’aumento a fini dissuasivi ( 19 ).

    30.

    In terzo luogo, a livello della sfera privata dell’attuazione del diritto della concorrenza (private enforcement), la vittima di una pratica anticoncorrenziale può proporre un’azione di risarcimento danni indifferentemente nei confronti di qualsiasi impresa che costituisce un’unità economica ( 20 ).

    31.

    Il fatto che la nozione di «unità economica» possa essere interpretata in modo restrittivo o ampio a seconda della finalità perseguita significa che a tale nozione debba essere attribuito un significato «variabile»?

    32.

    A mio parere, occorre rispondere in senso negativo.

    33.

    Anzitutto, sotto il profilo della prevedibilità e della certezza del diritto, mi pare difficile poter giustificare l’esistenza di una siffatta «variabilità» nella nozione di «unità economica», che, peraltro, non trova alcun sostegno nell’attuale giurisprudenza. Inoltre, dal paragrafo 25 delle presenti conclusioni risulta che il criterio decisivo risiede nell’esistenza di un’«unità di comportamento sul mercato», concezione questa che dovrebbe essere comune, per quanto riguarda sia l’applicabilità dell’articolo 101 TFUE che l’imputazione del comportamento. Infine, in chiave prospettica, un concetto eccessivamente ampio di «unità economica» rischierebbe di avere la conseguenza di sottrarre dall’applicazione dell’articolo 101 TFUE gli accordi nocivi per la concorrenza, non solo orizzontali ma anche verticali ( 21 ).

    34.

    Pertanto, benché la presente questione dia origine ad un’analisi essenzialmente vertente sull’imputazione di un comportamento anticoncorrenziale, non si deve tuttavia dimenticare che la qualificazione di un’unità economica nel contesto dell’esercizio dell’imputazione comporta necessariamente l’inapplicabilità dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE nell’ambito delle entità che compongono detta unità economica.

    c) Sull’applicazione della nozione di «unità economica» nell’ambito di società fra cui intercorrono rapporti di partecipazione

    35.

    La nozione di «unità economica» è stata applicata essenzialmente nei confronti di società che hanno partecipato ad intese e appartenenti a un gruppo di società. Nel contesto di siffatti gruppi, la Corte ha stabilito che la responsabilità del comportamento di una società figlia può essere imputata alla società madre in particolare qualora tale società figlia non determini in modo autonomo la sua linea di condotta sul mercato, ma si attenga, in sostanza, alle istruzioni che le vengono impartite dalla società madre, in considerazione, in particolare, dei vincoli economici, organizzativi e giuridici che intercorrono tra le due entità giuridiche ( 22 ). Pertanto, affinché un gruppo di società possa considerarsi corrispondente a un’unità economica con conseguente attribuzione del comportamento della società figlia alla società madre, devono essere soddisfatte due condizioni cumulative: la società madre deve avere la capacità di esercitare un’influenza determinante sulla società figlia e, soprattutto, deve aver esercitato tale potere nella pratica ( 23 ).

    36.

    Ai fini delle norme sull’imputabilità nel contesto dei rapporti di partecipazione, si possono prospettare due scenari: quello in cui la società madre detiene la totalità o la quasi totalità del capitale della sua società figlia e quello di una partecipazione minore della società madre nel capitale della società figlia, che non conferisce lo stesso grado di controllo.

    37.

    Per quanto riguarda il primo scenario, nel caso in cui una società madre detenga (direttamente o indirettamente) la totalità o la quasi totalità del capitale della propria società figlia che abbia commesso un’infrazione alle norme dell’Unione in materia di concorrenza, da un lato, tale società madre può esercitare un’influenza determinante sul comportamento della società figlia in parola e, dall’altro, sussiste una presunzione relativa secondo la quale la società madre esercita effettivamente una siffatta influenza, a meno che la stessa società non dimostri il contrario ( 24 ). Tale presunzione di influenza determinante si fonda sulla premessa secondo la quale la detenzione di un controllo totalitario di una società figlia presuppone necessariamente la capacità (economica) di esercitare una siffatta influenza. La Corte ha infatti stabilito che non è la semplice detenzione del capitale della società figlia a fondare di per sé tale presunzione, bensì il grado di controllo che tale detenzione implica ( 25 ). Una siffatta presunzione implica, a meno che non sia confutata fornendo elementi di prova sufficienti atti a dimostrare che la società figlia si comporta in modo autonomo sul mercato ( 26 ), che l’esercizio effettivo di un’influenza determinante da parte della società madre sulla propria società figlia si considera come dimostrato cosicché si può ritenere la prima responsabile del comportamento della seconda, senza necessità di produrre una qualsivoglia prova supplementare ( 27 ).

    38.

    Per quanto riguarda il secondo scenario, al di fuori dell’applicazione di tale presunzione, un’autorità garante della concorrenza dovrà fondare la responsabilità su altri elementi concreti di influenza determinante. Conformemente a una giurisprudenza costante della Corte, al fine di stabilire se la società madre possa esercitare un’influenza determinante sul comportamento sul mercato della sua società figlia, deve essere preso in considerazione l’insieme degli elementi pertinenti relativi ai vincoli economici, organizzativi e giuridici intercorrenti fra la società figlia e la società madre e, in tal modo, tener conto della realtà economica. Ordunque, sebbene istruzioni impartite dalla società madre alla sua società figlia che incidono sul suo comportamento sul mercato possano costituire prove sufficienti di una simile influenza determinante, esse non costituiscono tuttavia le sole prove ammissibili. L’esercizio effettivo di un’influenza determinante della società madre sul comportamento della società figlia può essere dedotto altresì da un complesso di elementi concordanti, ancorché nessuno di tali elementi, isolatamente considerato, sia sufficiente per dimostrare l’esistenza di una simile influenza ( 28 ). È proprio questo l’approccio che, a mio avviso, dovrebbe essere applicato mutatis mutandis alle società fra le quali intercorrano vincoli contrattuali.

    d) Sull’applicazione della nozione di «unità economica» nell’ambito di società fra cui intercorrono esclusivamente vincoli contrattuali

    39.

    Benché elaborato nell’ambito delle relazioni tra una società madre e le sue società figlie, che costituiscono il contesto «tipico» dell’esistenza di un’unità economica, tale concetto può essere applicato al di fuori dell’ambito dei gruppi societari ( 29 ). Come ha affermato il Tribunale, l’esistenza di un’unità economica non si limita ai casi in cui tra le società intercorrono rapporti di partecipazione, ma riguarda anche, in determinate circostanze, i rapporti tra una società e il suo rappresentante di commercio o tra un committente e il suo commissionario ( 30 ).

    40.

    In primo luogo, la questione se un committente e il suo intermediario costituiscano un’unità economica, ove il secondo costituisce un organo ausiliario integrato nell’impresa del primo, è stata sollevata al fine di accertare se un determinato comportamento ricada nell’ambito di applicazione dell’articolo 101 TFUE o dell’articolo 102 TFUE. Come ha dichiarato la Corte nella sentenza Suiker Unie e a./Commissione, quando «svolge attività a vantaggio del committente un (…) intermediario può (…) essere considerato, in linea di massima, come un organo ausiliario facente parte dell’impresa del committente, tenuto a seguire le istruzioni di questi, e tale da formare con detta impresa, alla stessa stregua di un dipendente ad esso legato da un rapporto di lavoro subordinato, una sola entità economica» ( 31 ). Ne consegue che un intermediario può costituire un’unità economica con l’impresa committente quando esercita un’attività a vantaggio di quest’ultima ( 32 ).

    41.

    A tale riguardo, nella sentenza Minoan Lines, il Tribunale ha adottato due elementi come principali parametri di riferimento per accertare l’esistenza di un’unità economica: l’assunzione o meno, da parte dell’intermediario, di un rischio economico e l’esclusività o meno dei servizi che fornisce ( 33 ).

    42.

    Quanto all’assunzione del rischio economico, la Corte ha dichiarato, nella sentenza Suiker Unie, che un intermediario non può essere considerato un organismo ausiliario integrato nell’impresa del committente qualora in virtù del loro accordo gli siano attribuite o lasciate funzioni analoghe, sul piano economico, a quelle di un operatore indipendente, in quanto tale accordo prevede che l’intermediario in parola assuma a proprio carico rischi finanziari inerenti alla vendita o all’esecuzione di contratti stipulati con terzi ( 34 ). Pertanto, quando un distributore sopporta i rischi finanziari connessi alla vendita, ad esempio acquistando i beni e detenendo il diritto di proprietà per rivenderli in seguito a proprio rischio, tale distributore non agisce, in linea di massima, come un organismo ausiliario integrato nell’impresa del produttore e, quindi, costituente un’unità economica ( 35 ).

    43.

    Quanto all’esclusività dei servizi forniti dall’intermediario, la Corte ha dichiarato che non depone a favore dell’idea di unità economica il fatto che, oltre a svolgere attività per conto del committente, l’intermediario effettui, quale operatore indipendente, operazioni di notevole entità sul mercato del prodotto o del servizio di cui trattasi ( 36 ).

    44.

    La Corte ha, in sostanza, confermato l’analisi del Tribunale nella sentenza Confederación Española de Empresarios de Estaciones de Servicio, nella quale la Corte ha stabilito che un prestatore di servizi può perdere la qualità di operatore economico indipendente qualora non determini in modo autonomo il proprio comportamento sul mercato, dipendendo interamente dal suo committente, dal momento che non sopporta nessuno dei rischi finanziari e commerciali conseguenti all’attività economica di quest’ultimo e che opera come ausiliario integrato nell’impresa di detto committente ( 37 ). Tuttavia, tali due criteri non possono essere esaustivi e, da soli, decisivi per stabilire se il comportamento anticoncorrenziale di un agente possa essere imputato al suo committente ( 38 ).

    45.

    In secondo luogo, nella sentenza Remonts ( 39 ), la Corte è stata chiamata ad analizzare più in generale la nozione di «unità economica» nel contesto dell’operato di un prestatore indipendente fornitore di servizi a un’impresa. Tale sentenza è stata adottata in un contesto di fatto diverso da quello della controversia principale, ossia quello delle pratiche concordate nell’ambito di una gara d’appalto (bid rigging), ma consente di individuare parametri di riferimento utili, che si sovrappongono in parte a quelli già identificati. Nella specie, la Corte ha statuito che un’impresa può, in linea di principio, essere considerata responsabile di una pratica concordata a causa dell’operato di un prestatore indipendente che le fornisce servizi solo se ricorre una delle seguenti condizioni: i) il prestatore di cui trattasi operava in realtà sotto la direzione o il controllo dell’impresa in parola ( 40 ), o ii) tale impresa era a conoscenza degli obiettivi anticoncorrenziali perseguiti dai suoi concorrenti e dal suddetto prestatore e intendeva contribuirvi con il proprio comportamento ( 41 ), o ancora iii) detta impresa poteva ragionevolmente prevedere l’operato anticoncorrenziale dei suoi concorrenti e del medesimo prestatore ed era pronta ad accettarne il rischio ( 42 ).

    46.

    È alla luce dell’insieme delle precedenti considerazioni che occorre fornire elementi di risposta al giudice del rinvio, tenuto conto delle specificità delle condotte di cui trattasi nel procedimento principale.

    e) Sull’applicazione della nozione di «unità economica» nel contesto dei rapporti contrattuali verticali in applicazione dell’articolo 102 TFUE

    47.

    A tal proposito, osservo che, a quanto mi risulta, la Corte non è ancora stata chiamata a valutare comportamenti di distributori indipendenti che potrebbero essere imputabili all’impresa dominante ai fini dell’applicazione dell’articolo 102 TFUE. Orbene, la nozione di «unità economica», al di là del contesto dei rapporti di partecipazione, è necessariamente condizionata dal contesto di fatto in cui il vincolo contrattuale si inserisce. Pertanto, non è possibile stabilire a priori e in abstracto elementi che consentano di rilevare che una determinata configurazione contrattuale rientri nella nozione di «unità economica». Fatta salva la valutazione che spetta al giudice del rinvio, il quale è l’unico competente a valutare i fatti di cui al procedimento principale, ritengo che i seguenti elementi potrebbero essere utili.

    48.

    In primo luogo, rilevo che, nella pratica, il ricorso alla nozione di «unità economica» è meno frequente nel contesto dell’applicazione dell’articolo 102 TFUE, il che spiega perché le questioni di imputabilità siano state analizzate solo raramente dinanzi ai giudici dell’Unione ( 43 ). Ciò è in parte dovuto al fatto che la suddetta classificazione non è sempre indispensabile. Ritengo infatti che, in una configurazione in cui il comportamento abusivo è materialmente posto in essere attraverso un distributore terzo, siffatto comportamento potrebbe effettivamente essere imputato all’impresa dominante qualora risultasse che esso è stato adottato dal suddetto distributore conformemente alle istruzioni specifiche impartite da tale impresa e quindi nel quadro dell’attuazione di un’unica politica commerciale. Invero, qualora una simile ipotesi non ricorresse, un’impresa dominante potrebbe facilmente eludere il divieto di cui all’articolo 102 TFUE delegando ai suoi distributori o ad altri intermediari indipendenti, tenuti a seguire le sue istruzioni, taluni comportamenti abusivi, come quelli contestati nella specie dall’AGCM. Infatti, incombe all’impresa che detiene una posizione dominante (e non ai suoi distributori) la responsabilità particolare di non pregiudicare, con il suo comportamento, una concorrenza effettiva e leale nel mercato interno, sia che ciò avvenga direttamente, mediante condotte abusive che essa stessa ha posto in essere, o indirettamente, attraverso comportamenti che essa ha delegato a operatori indipendenti tenuti ad eseguire le sue istruzioni ( 44 ). Peraltro, applicando per analogia il criterio stabilito dalla Corte nella sentenza Remonts, occorre verificare se l’impresa dominante poteva ragionevolmente prevedere l’operato anticoncorrenziale dei suoi distributori ed era pronta ad accettarne il rischio ( 45 ).

    49.

    In secondo luogo, qualora l’autorità ritenga che occorra comunque attribuire la responsabilità parimenti ai distributori, alla luce della giurisprudenza citata al paragrafo 38 delle presenti conclusioni, la valutazione dell’esistenza di un’unità economica deve effettuarsi alla luce dei vincoli economici, organizzativi e giuridici intercorrenti tra il produttore e i distributori al fine di accertare, sulla base di un complesso di elementi concordanti, l’effettivo esercizio di un’influenza determinante del produttore su tali distributori, in modo da poter dimostrare che i distributori hanno agito essenzialmente come una longa manus del produttore. Siffatta ipotesi ricorre, in particolare, quando i distributori sono o si ritengono indotti a riprodurre nei confronti degli esercenti le pratiche di esclusione ideate e poste in essere dal produttore.

    50.

    A detto riguardo, in primo luogo, quanto ai vincoli economici, e in particolare nell’ambito di un rapporto tra un’impresa dominante e i suoi distributori, possono essere pertinenti del pari gli elementi relativi all’equilibrio del potere economico. In tale contesto, si possono rilevare i seguenti fattori: i) l’ampiezza della posizione dominante del produttore, nella misura in cui essa può indurre il distributore a temere a ragione di poter trovare solo con difficoltà, al di fuori del suo rapporto con il suddetto produttore, un altro produttore per garantire la distribuzione dei suoi prodotti; ii) l’importanza rappresentata dal fatturato generato dalle vendite dei prodotti del produttore dominante per il fatturato globale del distributore, che è così indotto a temere a ragione di perdere una quota significativa del proprio fatturato complessivo qualora interrompa i suoi rapporti con il suddetto produttore; iii) il valore economico degli incentivi, quali sconti o abbuoni concessi dal produttore al distributore, il cui effetto è quello di condizionare le decisioni del distributore per il timore di vedersi rifiutate o ridotte siffatte prestazioni come sanzione per la sua violazione delle clausole di esclusiva imposte dal suddetto produttore, o per aver omesso di riflettere sui gestori dei punti vendita dette clausole e/o altre pratiche di esclusione (come gli sconti fedeltà) previamente definite dal suddetto produttore. Del pari, occorre tener conto dei vincoli concorrenziali da parte dell’impresa dominante e, segnatamente, del fatto che i distributori siano in grado di rivolgersi senza difficoltà ad altri produttori, nonché del contropotere commerciale di tali distributori (in particolare in caso di grande distribuzione).

    51.

    In secondo luogo, quanto ai vincoli organizzativi, mi sembra che, ai fini della valutazione dell’esistenza di un’unica entità, sia rilevante verificare l’esistenza di eventuali pratiche di controllo (monitoring) effettuate in loco o in altro modo dal produttore sul rispetto delle clausole di esclusiva e di altre clausole di esclusione (quali gli sconti fedeltà o le condizioni di risoluzione) nei rapporti tra i distributori e gli esercenti.

    52.

    In terzo luogo, quanto ai vincoli giuridici, possono essere rilevanti i seguenti elementi: i) la previa definizione da parte del produttore di formule contrattuali che il distributore dovrà obbligatoriamente applicare agli esercenti, e ii) la previa definizione da parte del produttore di condizioni specifiche di vendita per gli esercenti. A tale proposito, sono necessarie due osservazioni.

    53.

    Da un lato, ritengo che non sia necessario accertare «[la sussistenza di] un collegamento gerarchico» (per riprendere i termini della questione pregiudiziale) tra l’impresa dominante e i suoi distributori, in forza del quale l’impresa dominante assoggetterebbe i distributori attraverso una «pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo» idonei ad incidere sulle loro «scelte strategiche ed operative». Se è vero che la sussistenza di un siffatto collegamento gerarchico implica che il distributore subisce, senza dubbio, l’influenza determinante del produttore, è importante che, al di fuori dei vincoli gerarchici formalizzati da atti di indirizzo, il suddetto distributore non sia libero di decidere su tutto quanto potrebbe ridurre l’efficacia delle pratiche di esclusione previamente stabilite dal produttore dominante, e ciò perché teme a ragione ripercussioni economiche negative qualora non sostenga sistematicamente siffatti comportamenti.

    54.

    D’altro lato, per quanto riguarda la questione del «livello di ingerenza», si deve constatare che tutti i rapporti verticali presuppongono l’esistenza di un accordo che conferisce al committente un certo livello di influenza sull’altro soggetto. Tale livello di influenza può essere elevato ed estendersi a molteplici aspetti delle attività commerciali oggetto del rapporto contrattuale, ma ciò non è di per sé sufficiente a dare origine a un’unità economica. Infatti, il mero coordinamento o l’ingerenza nelle decisioni adottate da un altro soggetto, per quanto significativi e idonei a rappresentare un comportamento restrittivo della concorrenza ai sensi dell’articolo 101 TFUE, non possono di per sé indicare che il distributore non agisce autonomamente.

    55.

    Tenuto conto delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alla prima questione pregiudiziale dichiarando che gli articoli 101 e 102 TFUE devono essere interpretati nel senso che, al di fuori dei casi in cui sussistono rapporti di partecipazione, un coordinamento contrattuale tra un produttore e i suoi intermediari di distribuzione dà luogo a un’«unità economica», ai sensi di detti articoli, qualora, in considerazione dei vincoli economici, organizzativi e giuridici tra il produttore e i suoi distributori, tale produttore eserciti un’influenza determinante sui distributori, cosicché questi ultimi, non potendo operare in modo indipendente sul mercato, si ritengano indotti a riprodurre la linea di condotta ideata e posta in essere da detto produttore. Così avviene segnatamente, quando, in forza di detto coordinamento contrattuale, i distributori non sopportano nessuno dei rischi finanziari connessi alla vendita del prodotto del produttore né, d’altro canto, concludono contratti esclusivi con quest’ultimo

    B.   Sulla seconda questione pregiudiziale

    56.

    Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se, nel caso di clausole di esclusiva o di condotte connotate da una molteplicità di pratiche (in particolare sconti e clausole di esclusiva), un’autorità garante della concorrenza sia tenuta a fondare la constatazione di una violazione dell’articolo 102 TFUE sul criterio del concorrente altrettanto efficiente e a esaminare in maniera puntuale le analisi economiche prodotte, eventualmente, dall’impresa dominante sulla «concreta» capacità delle condotte contestate di escludere dal mercato concorrenti altrettanto efficienti. Dalla motivazione dell’ordinanza di rinvio risulta che tale questione discende, in particolare, dai dubbi interpretativi del giudice del rinvio relativamente all’ambito di applicazione dei principi derivanti dalla sentenza Intel.

    57.

    Per contestualizzare le preoccupazioni di tale giudice, ricordo che, nel corso della sua istruttoria, l’AGCM ha ritenuto di non dover analizzare gli studi economici prodotti dalla Unilever al fine di dimostrare che le pratiche controverse non erano idonee a escludere dal mercato i concorrenti quantomeno altrettanto efficienti, in quanto tali studi erano del tutto irrilevanti ai fini della constatazione dell’infrazione di cui trattasi ( 46 ). Concordando con l’analisi dell’AGCM, il TAR ha ritenuto che i principi derivanti dalla sentenza Intel si applicassero soltanto in caso di sconti di esclusiva e non in caso di obblighi di esclusiva combinati con sconti vari. Pertanto, il TAR ha ritenuto che non fosse necessario tener conto di detti studi prodotti dalla Unilever.

    58.

    La questione sollevata dal giudice del rinvio si articola in due parti:

    la prima è volta a determinare se, anche nel caso di clausole che impongono un obbligo di esclusiva, occorra analizzare la loro capacità di escludere dal mercato concorrenti quantomeno altrettanto efficienti rispetto all’impresa dominante, e

    la seconda è volta ad accertare se, nell’ambito di una siffatta analisi, un’autorità garante della concorrenza abbia l’obbligo di tenere conto degli studi economici presentati dall’impresa di cui trattasi.

    1. Osservazioni preliminari

    59.

    Prima di esaminare dette due parti, ritengo utile osservare che la presente questione pregiudiziale costituisce il diretto prolungamento della terza questione pregiudiziale sollevata dal medesimo giudice nella causa che ha dato luogo alla sentenza SEN. Con la questione di cui trattasi si chiedeva se, al fine di accertare il carattere abusivo di una condotta di un’impresa in posizione dominante, debbano essere considerati rilevanti gli elementi prodotti da tale impresa diretti a dimostrare che, nonostante la sua astratta idoneità a produrre effetti restrittivi, tale condotta non ha concretamente prodotto effetti di tal genere e, in caso affermativo, se l’autorità garante della concorrenza sia tenuta a esaminare tali elementi in modo approfondito ( 47 ).

    60.

    Mentre la questione sollevata nella sentenza SEN aveva carattere più generale, l’analisi effettuata nelle mie conclusioni, alla luce dei contributi della sentenza SEN, consente di collocare la presente questione pregiudiziale nel panorama normativo dell’articolo 102 TFUE e di rispondere in parte agli interrogativi del giudice del rinvio.

    61.

    Anzitutto, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza della Corte, non è necessario, al fine di accertare il carattere abusivo di un comportamento di un’impresa in posizione dominante, dimostrare che il comportamento di cui trattasi abbia effettivamente prodotto effetti anticoncorrenziali. Un’autorità garante della concorrenza è tenuta unicamente a dimostrare il potenziale (la capacità) lesivo del comportamento contestato, indipendentemente dalla realizzazione concreta degli effetti anticoncorrenziali. Infatti, sarebbe contrario alla logica inerente all’articolo 102 TFUE, che ha natura preventiva e prospettica, dover attendere che gli effetti anticoncorrenziali si producano nel mercato per poter constatare legalmente l’abuso ( 48 ).

    62.

    Ne consegue che prove prodotte da un’impresa al fine di indicare l’assenza di effetti anticoncorrenziali, come analisi economiche, non possono avere una funzione esoneratoria né trasferire l’onere della prova in capo all’autorità garante della concorrenza, in modo che sia tenuta a dimostrare la concreta materializzazione del danno derivante dal comportamento contestato. Inoltre, la natura anticoncorrenziale di un comportamento deve essere valutata al momento in cui tale comportamento è stato posto in essere, il che è conforme al principio generale della certezza del diritto, poiché l’impresa in posizione dominante deve poter valutare la legittimità della propria condotta sulla base di elementi esistenti ( 49 ).

    63.

    Tuttavia, la Corte ha altresì dichiarato che la valutazione della capacità di restringere la concorrenza e, in particolare, di produrre gli effetti preclusivi lamentati deve essere effettuata alla luce di tutte le circostanze di fatto pertinenti relative al comportamento in discussione, il che, a mio avviso, include anche gli elementi di prova prodotti dall’impresa dominante diretti a dimostrare che, nonostante l’astratta idoneità del comportamento di cui trattasi a produrre effetti restrittivi, questo non ha concretamente prodotto effetti di tal genere. Inoltre, al fine di rispettare i diritti della difesa, e, segnatamente, il diritto di essere ascoltato, l’ammissibilità di questo tipo di prove è pacifica ( 50 ).

    64.

    Per quanto riguarda il valore probatorio di questo tipo di prove, esso varia a seconda del contesto fattuale. Ad esempio una prova economica che dimostri, dopo la fine del comportamento contestato, l’assenza di effetti preclusivi potrebbe corroborare la dimostrazione del carattere meramente ipotetico di tale comportamento. Orbene, un siffatto comportamento meramente ipotetico non può essere considerato abusivo ai sensi dell’articolo 102 TFUE ( 51 ). È in quest’ottica che la Corte ha ritenuto nella sentenza SEN che prove dell’assenza di effetti escludenti concreti possono costituire «un indizio del fatto che la condotta in questione non fosse idonea a produrre gli effetti escludenti dedotti» e che «[t]ale principio di prova deve peraltro essere integrato, dall’impresa in questione, con elementi volti a dimostrare che tale assenza di effetti concreti era effettivamente la conseguenza dell’incapacità di detta condotta di produrre simili effetti» ( 52 ).

    2. Sulla prima parte

    65.

    Con la prima parte, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se, a seguito della sentenza Intel, un’autorità garante della concorrenza sia tenuta ad analizzare, anche nel caso di una clausola di esclusiva, la capacità di tale clausola di escludere dal mercato concorrenti quantomeno altrettanto efficienti rispetto all’impresa dominante.

    66.

    Per meglio comprendere siffatta questione, è necessario rammentare brevemente i fatti e le problematiche all’origine della causa Intel.

    67.

    Nel 2009 la Commissione ha adottato una decisione nei confronti della Intel, secondo la quale quest’ultima aveva commesso un’infrazione unica e continuata dell’articolo 102 TFUE fra l’ottobre 2002 e il dicembre 2007, mediante una strategia volta a precludere un concorrente, ossia l’AMD, dal mercato dei processori (CPU x86). Tale decisione descriveva due tipi di comportamenti adottati dalla Intel nei confronti dei suoi partner commerciali, ossia gli sconti condizionati e le «restrizioni allo scoperto». Il primo tipo di condotta, che è rilevante ai fini della nostra analisi, consisteva nella concessione di sconti a quattro grandi produttori di apparecchiature informatiche (OEM), vale a dire Dell, Lenovo, HP e NEC, a condizione che essi si rifornissero per tutto o quasi tutto il loro fabbisogno di CPU x86 presso la medesima. Analogamente, la Intel avrebbe effettuato pagamenti alla MSH, il primo distributore europeo di computer fissi, a condizione che quest’ultima vendesse esclusivamente computer muniti di CPU x86 prodotti da Intel. La Commissione ha ritenuto che tali sconti condizionati concessi dalla Intel costituissero sconti di fedeltà e che i pagamenti condizionati della Intel alla MSH presentassero un meccanismo economico equivalente a quello degli sconti condizionati accordati ai costruttori OEM. Nella decisione impugnata, la Commissione ha inoltre svolto un’analisi economica della capacità degli sconti di precludere il mercato a un concorrente efficiente al pari della Intel, sebbene non in posizione dominante ( 53 ).

    68.

    La Intel ha contestato l’analisi della Commissione dinanzi al Tribunale che ha respinto il ricorso ( 54 ) dichiarando, in sostanza, che gli sconti accordati costituivano sconti di esclusiva, in quanto connessi alla condizione che il cliente si rifornisse presso la Intel, o per la totalità del suo fabbisogno di CPU x86 o per una parte significativa di esso. Il Tribunale ha statuito che la qualificazione come «abusivo» di un siffatto sconto di esclusiva non dipendeva da un’analisi delle circostanze di specie volta a dimostrare la capacità di quest’ultimo di restringere la concorrenza ( 55 ). Ad abundantiam, il Tribunale ha ritenuto che la Commissione avesse dimostrato, in maniera sufficiente e sul fondamento di un’analisi delle circostanze del caso di specie, la capacità degli sconti e dei pagamenti di esclusiva accordati di restringere la concorrenza ( 56 ).

    69.

    La Intel ha proposto un’impugnazione dinanzi alla Corte, a sostegno della quale ha sostenuto che il Tribunale aveva commesso un errore di diritto, segnatamente, in quanto non aveva esaminato gli sconti controversi alla luce di tutte le circostanze pertinenti (primo motivo). Con la sentenza Intel, la Corte ha accolto tale motivo, annullato la sentenza iniziale e rinviato la causa dinanzi al Tribunale, il quale, con una nuova sentenza, ha parzialmente annullato la decisione della Commissione ( 57 ). Nell’ambito della sua analisi del primo motivo, la Corte ha precisato, in sostanza, che qualora l’impresa considerata sostenga nel corso del procedimento amministrativo, sulla base di elementi di prova, che il suo comportamento non ha avuto la capacità di restringere la concorrenza e, in particolare, di produrre gli effetti di esclusione dal mercato addebitati, l’autorità garante della concorrenza è tenuta ad analizzare, tra l’altro, se le pratiche oggetto dell’indagine siano effettivamente idonee ad escludere dal mercato concorrenti quantomeno altrettanto efficaci ( 58 ).

    70.

    È la portata di tale principio a essere oggetto della presente questione pregiudiziale. Il giudice del rinvio, infatti, si chiede essenzialmente se detto principio valga soltanto nel caso di un’indagine riguardante sconti di esclusiva o se esso si applichi parimenti nel caso in cui le condotte addebitate siano più ampie, comprendendo anche obblighi di esclusiva e altri tipi di sconti e compensi cosiddetti di fidelizzazione.

    71.

    Per i motivi che mi appresto a illustrare, e come già indicato al precedente paragrafo 63, ritengo che tale stesso principio abbia portata generale, e indipendentemente dal tipo di restrizione, qualora un’impresa dominante produca elementi di prova diretti a dimostrare che il comportamento controverso non era idoneo a produrre siffatti effetti.

    72.

    In primo luogo, ciò risulta dal tenore letterale dei punti da 137 a 140 della sentenza Intel.

    73.

    Anzitutto, al punto 137 di tale sentenza, la Corte ha evidenziato che: «(…), per un’impresa che si trova in posizione dominante su un mercato, il fatto di vincolare – sia pure a loro richiesta – taluni acquirenti attraverso l’obbligo o la promessa di rifornirsi per tutto o gran parte del loro fabbisogno esclusivamente presso di essa costituisce abuso di posizione dominante ai sensi dell’articolo 102 TFUE, tanto se l’obbligo in questione è imposto sic et simpliciter, quanto se ha come contropartita la concessione di sconti. Lo stesso dicasi se detta impresa, senza vincolare gli acquirenti con un obbligo formale, applica, vuoi in forza di accordi stipulati con tali acquirenti, vuoi unilateralmente, un sistema di sconti di fedeltà, cioè di riduzioni subordinate alla condizione che il cliente – indipendentemente dal volume degli acquisti – si rifornisca esclusivamente per la totalità o per una parte considerevole del suo fabbisogno presso l’impresa in posizione dominante» ( 59 ). Pertanto, la Corte ha qualificato le due categorie di «clausole potenzialmente abusive», vale a dire gli obblighi di esclusiva puri e semplici e gli sconti subordinati a un obbligo di esclusiva, senza operare alcuna distinzione quanto alla loro nocività per la concorrenza.

    74.

    Successivamente, al punto 138 della sentenza Intel, la Corte ha enunciato che «[o]ccorre, tuttavia, precisare tale giurisprudenza nel caso in cui l’impresa considerata sostenga nel corso del procedimento amministrativo, sulla base di elementi di prova, che il suo comportamento non ha avuto la capacità di restringere la concorrenza e, in particolare, di produrre gli effetti di esclusione dal mercato addebitati» ( 60 ). La Corte ha pertanto affermato che la precisazione contenuta ai punti successivi della sentenza in parola riguarda qualsiasi impresa che faccia valere, nel corso del procedimento amministrativo, la mancata capacità di restringere la concorrenza, indipendentemente dal tipo di comportamento di cui trattasi. Tale precisazione vale ovviamente per entrambe le categorie di pratiche individuate al punto precedente della summenzionata sentenza.

    75.

    Al punto 139 della sentenza Intel, la Corte ha quindi dichiarato che, «[i]n tal caso, la Commissione è tenuta, non solo ad analizzare, da un lato, l’ampiezza della posizione dominante dell’impresa sul mercato pertinente e, dall’altro, il tasso di copertura del mercato ad opera della pratica concordata, nonché le condizioni e le modalità di concessione degli sconti di cui trattasi, la loro durata e il loro importo, ma deve anche valutare l’eventuale esistenza di una strategia diretta ad escludere dal mercato i concorrenti quantomeno altrettanto efficaci» ( 61 ). La Corte è dunque ritornata sull’analisi che la Commissione era tenuta a effettuare in risposta agli argomenti dedotti dall’impresa interessata, secondo i quali il comportamento in discussione non sarebbe stato idoneo a restringere la concorrenza. Ciò si applica chiaramente tanto agli obblighi di esclusiva quanto agli sconti subordinati a un obbligo di esclusiva.

    76.

    Infine, al punto 140 della sentenza Intel, la Corte ha aggiunto che «[l]analisi della capacità di escludere dal mercato è del pari pertinente ai fini della valutazione della questione se un sistema di sconti rientrante in linea di principio nell’ambito del divieto di cui all’articolo 102 TFUE possa essere oggettivamente giustificato. Inoltre, l’effetto preclusivo derivante da un sistema di sconti, pregiudizievole per la concorrenza, può essere controbilanciato, o anche superato, da vantaggi in termini di efficienza che vanno a beneficio anche del consumatore (…). Una ponderazione siffatta degli effetti, favorevoli e sfavorevoli per la concorrenza, della pratica contestata può essere svolta nella decisione della Commissione solo in esito ad un’analisi della capacità di esclusione dal mercato di concorrenti quantomeno altrettanto efficaci, intrinseca alla pratica considerata» ( 62 ). Con altre parole, la Corte ha precisato che la valutazione degli argomenti difensivi dedotti dall’impresa dominante, vale a dire le giustificazioni oggettive o i vantaggi in termini di efficienza, può essere effettuata solo in esito a un’analisi relativa alla capacità di esclusione dal mercato di concorrenti quantomeno altrettanto efficaci. Sebbene la Corte abbia espressamente fatto riferimento agli sconti, la ratio del suddetto punto della sentenza Intel è che tali argomenti devono essere esaminati quando è accertato che il comportamento di cui trattasi è idoneo a produrre effetti escludenti dal mercato nei confronti di concorrenti quantomeno altrettanto efficaci, il che si applica indipendentemente dal tipo di comportamento in questione.

    77.

    In secondo luogo, l’interpretazione letterale di detti punti della sentenza Intel è corroborata dall’interpretazione teleologica dell’articolo 102 TFUE. Infatti, la Corte, ai punti 133 e 134 della sentenza succitata, ha confermato che «l’articolo 102 TFUE non ha assolutamente lo scopo di impedire ad un’impresa di conquistare, grazie ai suoi meriti, una posizione dominante su un dato mercato. Tale disposizione non è diretta neppure a garantire che rimangano sul mercato concorrenti meno efficienti dell’impresa che detiene una posizione dominante. (...) In tal senso, non tutti gli effetti di esclusione dal mercato pregiudicano necessariamente la concorrenza. Per definizione, la concorrenza basata sui meriti può portare alla sparizione dal mercato o all’emarginazione dei concorrenti meno efficienti e quindi meno interessanti per i consumatori, segnatamente dal punto di vista dei prezzi, della scelta, della qualità o dell’innovazione» ( 63 ).

    78.

    I due punti in parola richiedono due osservazioni. Da un lato, come è stato analizzato più dettagliatamente nelle conclusioni nella causa SEN, la nozione di «concorrenza basata sui meriti», cui fa riferimento la Corte, non si ricollega a una forma precisa di pratiche, resta astratta e non può essere definita in modo da consentire di determinare, a monte, se un comportamento la integri o meno. Infatti, la nozione di «concorrenza basata sui meriti» esprime un ideale economico, sullo sfondo della tendenza attuale del diritto della concorrenza dell’Unione a preferire un’analisi degli effetti anticoncorrenziali del comportamento e non un’analisi fondata sulla sua forma ( 64 ), segnatamente quando è già ammesso che gli sconti fidelizzanti non sono necessariamente nocivi alla concorrenza ( 65 ).

    79.

    D’altro lato, più concretamente, dai punti da 138 a 140 della sentenza Intel risulta che l’articolo 102 TFUE deve essere inteso come una disposizione che osta a che l’impresa dominante ponga in essere comportamenti idonei a escludere dal mercato concorrenti quantomeno altrettanto efficaci in termini di qualità, innovazione e scelta del prodotto offerto e che il divieto stabilito da tale disposizione non si riferisce unicamente ai comportamenti relativi ai prezzi, quali gli sconti di esclusiva, ma anche a tutte le altre pratiche commerciali che non fanno riferimento ai prezzi, come gli obblighi di esclusiva, nella misura in cui è la nocività di tali condotte che ne determinerà il carattere abusivo e non la loro forma.

    3. Sulla seconda parte

    80.

    Con la seconda parte, il giudice del rinvio chiede se, nell’ambito dell’analisi degli effetti delle clausole di esclusiva, un’autorità garante della concorrenza sia tenuta ad esaminare in maniera puntuale le analisi economiche prodotte dalla parte dominante sulla concreta capacità delle condotte di cui trattasi di escludere dal mercato concorrenti altrettanto efficienti.

    81.

    Come risulta dal paragrafo 63 delle presenti conclusioni, al fine di rispettare i diritti della difesa, e in particolare il diritto di essere ascoltato, l’ammissibilità di tale tipo di prove, sotto il profilo procedurale, è pacifica. Pertanto, nella misura in cui l’onere della prova degli effetti preclusivi anticoncorrenziali incombe alle autorità garanti della concorrenza, queste ultime sono tenute a prendere attentamente in considerazione gli elementi di prova presentati dall’impresa dominante qualora quest’ultima cerchi di dimostrare che, nonostante la sua astratta (asserita) capacità di produrre effetti restrittivi, il comportamento in discussione non ha concretamente prodotto siffatti effetti ( 66 ).

    82.

    Al fine di chiarire alcuni aspetti pratici della portata di tale obbligo delle autorità di concorrenza, mi sembra utile fornire le seguenti precisazioni.

    83.

    In primo luogo, quando un’impresa in posizione dominante sostiene, adducendo elementi probatori concreti, che il suo comportamento non è idoneo a restringere la concorrenza sulla base di un test AEC, l’articolo 102 TFUE impone alla competente autorità garante della concorrenza l’obbligo di effettuare un’analisi per determinare se siffatta ipotesi ricorra ( 67 ). Una simile analisi deve fondarsi su concreti elementi di prova ( 68 ), in base ai quali sia ravvisabile un effetto restrittivo che vada oltre la semplice ipotesi ( 69 ). Qualora, in esito a siffatta analisi, si constati che il comportamento di cui trattasi non è tale da escludere dal mercato concorrenti quantomeno altrettanto efficaci rispetto all’impresa dominante, l’autorità garante della concorrenza deve concludere che l’articolo 102 TFUE non è stato violato, mentre se il comportamento è ritenuto idoneo ad avere effetti preclusivi nei confronti di concorrenti altrettanto efficaci rispetto all’impresa dominante, detta autorità deve prendere in considerazione gli eventuali elementi di difesa addotti dall’impresa interessata al fine di dimostrare che le condotte contestate sono oggettivamente giustificate o che gli effetti restrittivi che ne derivano sono controbilanciati, o anche superati, da incrementi di efficienza a vantaggio dei consumatori ( 70 ).

    84.

    In secondo luogo, a fortiori, quando l’impresa dominante presenta elementi di prova di natura economica per dimostrare che il suo operato non ha la capacità di escludere concorrenti altrettanto efficienti, un’autorità garante della concorrenza non può ignorarli. Come rilevato ai paragrafi 74 e 75 delle presenti conclusioni, è proprio la presentazione di elementi di prova che dimostrano l’assenza di effetti restrittivi che fa sorgere l’obbligo per l’autorità garante della concorrenza di esaminarli in relazione agli obblighi di esclusiva e alle pratiche di sconti. In tali circostanze, un’autorità garante della concorrenza deve valutare le prove di natura economica prodotte dall’impresa nel corso dell’indagine e tenerne conto, nell’ambito della sua analisi sulla possibilità che le condotte contestate possano escludere dal mercato concorrenti altrettanto efficienti rispetto all’impresa dominante.

    85.

    Orbene, ancorché l’autorità garante della concorrenza ritenga, come nel caso di specie, che la metodologia utilizzata ai fini dello studio economico non sia pertinente, non può escludere a priori la rilevanza di un siffatto studio, a meno che tale autorità non indichi, nel provvedimento con cui qualifica come «abusivo» un comportamento, i motivi per i quali ritiene che la metodologia su cui si basa lo studio in parola non consente di contribuire alla dimostrazione che i comportamenti messi in discussione non sono idonei a escludere concorrenti altrettanto efficienti.

    86.

    Tenuto conto delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alla seconda questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che, al fine di accertare l’esistenza di un abuso di posizione dominante, un’autorità garante della concorrenza è tenuta a dimostrare, alla luce di tutte le circostanze rilevanti e tenuto conto, in particolare, degli elementi dedotti dall’impresa dominante, che il comportamento di suddetta impresa avesse la capacità di restringere la concorrenza, analizzando, se del caso e a tal riguardo, anche parimenti gli elementi di prova invocati dall’impresa dominante, secondo i quali il comportamento in discussione non avrebbe prodotto effetti anticoncorrenziali nel mercato rilevante. Tale obbligo vale tanto per le clausole di esclusiva quanto per i comportamenti connotati da una molteplicità di pratiche e comporta un dovere di motivazione da parte dell’autorità garante della concorrenza qualora essa ritenga che siffatti elementi di prova non fossero idonei a dimostrare l’esclusione dal mercato di concorrenti altrettanto efficienti quanto l’impresa dominante

    IV. Conclusione

    87.

    Alla luce di quanto precede, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Consiglio di Stato (Italia) nei seguenti termini:

    1)

    Gli articoli 101 e 102 TFUE devono essere interpretati nel senso che, al di fuori dei casi in cui sussistono rapporti di partecipazione, un coordinamento contrattuale tra un produttore e i suoi intermediari di distribuzione dà luogo a un’«unità economica», ai sensi di detti articoli, qualora, in considerazione dei vincoli economici, organizzativi e giuridici tra il produttore e i suoi distributori, tale produttore eserciti un’influenza determinante sui distributori, cosicché questi ultimi, non potendo operare in modo indipendente sul mercato, si ritengano indotti a riprodurre la linea di condotta ideata e posta in essere da detto produttore. Così avviene segnatamente quando, in forza di detto coordinamento contrattuale, i distributori non sopportano nessuno dei rischi finanziari connessi alla vendita del prodotto del produttore né, d’altro canto, concludono contratti esclusivi con quest’ultimo.

    2)

    L’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che, al fine di accertare l’esistenza di un abuso di posizione dominante, un’autorità garante della concorrenza è tenuta a dimostrare, alla luce di tutte le circostanze rilevanti e tenuto conto, in particolare, degli elementi dedotti dall’impresa dominante, che il comportamento di suddetta impresa avesse la capacità di restringere la concorrenza, analizzando, se del caso e a tal riguardo, parimenti gli elementi di prova invocati dall’impresa dominante, secondo i quali il comportamento in discussione non avrebbe prodotto effetti anticoncorrenziali nel mercato rilevante. Tale obbligo vale tanto per le clausole di esclusiva quanto per i comportamenti connotati da una molteplicità di pratiche e comporta un dovere di motivazione da parte dell’autorità garante della concorrenza qualora essa ritenga che siffatti elementi di prova non fossero idonei a dimostrare l’esclusione dal mercato di concorrenti altrettanto efficienti quanto l’impresa dominante.


    ( 1 ) Lingua originale: il francese.

    ( 2 ) Autorità nazionale garante della concorrenza e del mercato (Italia).

    ( 3 ) Sulla nozione di «unità economica», v. conclusioni dell’avvocato generale Pitruzzella nella causa Sumal (C‑882/19; in prosieguo: le «conclusioni nella causa Sumal, EU:C:2021:293, paragrafi da 23 a 31), nonché, per quanto riguarda la dottrina, Wils W., «The Undertaking as Subject of E.C. Competition Law and the Imputation of Infringements to Natural or Legal Persons», European Law Review, vol. 25, 2000, pagg. da 99 a 116, e Odudu O. e Bailey D., «The single economic entity doctrine in EU competition law», Common Market Law Review, vol. 51, n.o 6, 2014, pagg. da 1721 a 1758.

    ( 4 ) Conosciuto con l’espressione inglese «as efficient competitor test»; in prosieguo: il «test AEC».

    ( 5 ) Secondo La Bomba, la Unilever, nel corso degli ultimi anni, avrebbe intimato agli esercenti dei punti vendita di non commercializzare, unitamente ai propri prodotti, anche i ghiaccioli La Bomba, prospettando, in caso contrario, la mancata applicazione degli sconti previsti nell’accordo già stipulato e imponendo altresì il pagamento di penali o la risoluzione del contratto.

    ( 6 ) Sentenza del 5 marzo 2019, Eesti Pagar (C‑349/17, EU:C:2019:172, punto 49 e giurisprudenza ivi citata, ormai recepita nell’articolo 94 del regolamento di procedura della Corte).

    ( 7 ) Ciò premesso, rilevo che la prima questione pregiudiziale, quale formulata, contiene riferimenti a due criteri di valutazione dell’unità economica, vale a dire il «livello di ingerenza» e il «collegamento gerarchico» tra le imprese. Orbene, detti criteri implicano necessariamente una stima quantitativa sulla base di un contenuto concreto di rapporti tra le società interessate. Pertanto, la rilevanza di tali criteri non può essere valutata in abstracto e a priori, come auspica il giudice del rinvio. Inoltre, se è vero che la Corte è chiamata a fornire risposte utili fornendo indicazioni che consentano al giudice del rinvio di statuire, essa non può dare risposte che consistano essenzialmente nel verificare, sulla base degli elementi di fatto contenuti nell’ordinanza di rinvio, se l’Unilever e i distributori costituissero un’«unità economica» ai sensi del diritto dell’Unione.

    ( 8 ) Peraltro, i comportamenti autonomi della Unilever non sarebbero stati in grado di costituire un abuso escludente, dato che gli accordi di esclusiva conclusi direttamente tra la Unilever e i punti vendita riguardano solo lo 0,8% del totale dei punti vendita operativi in Italia.

    ( 9 ) Per un’analisi delle norme sull’imputabilità applicabili nell’ambito di un gruppo societario, v. le mie conclusioni nella causa Servizio Elettrico Nazionale e a. (C‑377/20; in prosieguo: le «conclusioni nella causa SEN, EU:C:2021:998, paragrafi da 146 a 152 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 10 ) Come «società» o «persona giuridica». V., in tal senso, sentenza del 18 luglio 2013, Schindler Holding e a./Commissione (C‑501/11 P, EU:C:2013:522, punto 102).

    ( 11 ) Sentenza del 27 aprile 2017, Akzo Nobel e a./Commissione (C‑516/15 P, EU:C:2017:314, punto 47 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 12 ) Sentenza del 6 ottobre 2021, Sumal (C‑882/19; in prosieguo: la «sentenza Sumal, EU:C:2021:800, punto 41).

    ( 13 ) V., in tal senso, sentenze del 10 marzo 1992, SIV e a./Commissione (T‑68/89, T‑77/89 e T‑78/89, EU:T:1992:38, punto357); del 24 ottobre 1996, Viho/Commissione (C‑73/95 P, EU:C:1996:405, punto 54), e conclusioni dell’avvocato generale Dutheillet de Lamothe nella causa Béguelin Import (22/71, non pubblicate, EU:C:1971:103, pag. 967).

    ( 14 ) V., in tal senso, punto 30 delle Linee guida della Commissione sugli Orientamenti sulle restrizioni verticali, del 28 giugno 2022 (GU 2022, C 248, pag. 1).

    ( 15 ) V., al riguardo, Whish R. e Bailey D., «Competition Law», 10a ed., Oxford, 2021, pagg. 100 e 101.

    ( 16 ) V. sentenze del 25 marzo 2021, Deutsche Telekom II/Commissione (C‑152/19 P; in prosieguo: la «sentenza Deutsche Telekom II, EU:C:2021:238, punto 73), e del 12 maggio 2022, Servizio Elettrico Nazionale e a. (C‑377/20; in prosieguo: la «sentenza SEN, EU:C:2022:379, punto 107 e giurisprudenza ivi citata). Sul fondamento teorico della responsabilità congiunta della società madre e della società figlia consistente nell’unità economica, v. conclusioni nella causa Sumal (paragrafi da 35 a 38).

    ( 17 ) V. sentenze del 14 luglio 1972, Imperial Chemical Industries/Commissione (48/69; in prosieguo: la sentenza ICI, EU:C:1972:70, punti da 129 a 141), e del 6 marzo 1974, Istituto Chemioterapico Italiano e Commercial Solvents/Commissione (6/73 e 7/73, EU:C:1974:18, punto 41), nonché giurisprudenza citata alla nota 17 delle conclusioni nella causa Sumal.

    ( 18 ) Regolamento del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 2003, L 1, pag. 1).

    ( 19 ) Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003, (GU 2006, C 210, pag. 2, punti 28 e 30).

    ( 20 ) V., in tal senso, sentenza Sumal (dispositivo e punto 48).

    ( 21 ) Sarebbe quindi esclusa l’applicazione dell’articolo 101 TFUE ad accordi verticali che costituiscono «restrizioni fondamentali» (hardcore restrictions) ai sensi dell’articolo 4 del regolamento (UE) n. 330/2010 della Commissione, del 20 aprile 2010, relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, [TFUE] a categorie di accordi verticali e pratiche concordate (GU 2010, L 102, pag. 1), non più in vigore dal 31 maggio 2022, e dell’articolo 4 del regolamento (UE) 2022/720 della Commissione, del 10 maggio 2022, relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, [TFUE] a categorie di accordi verticali e pratiche concordate (GU 2022, L 134, pag. 4), che ha sostituito il regolamento n. 330/2010.

    ( 22 ) Sentenza Deutsche Telekom II (punto 74 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 23 ) Sentenza del 26 settembre 2013, The Dow Chemical Company/Commissione (C‑179/12 P, non pubblicata, EU:C:2013:605, punto 55).

    ( 24 ) V. sentenze del 10 settembre 2009, Akzo Nobel e a./Commissione (C‑97/08 P, EU:C:2009:536, punto 61), e del 15 aprile 2021, Italmobiliare e a./Commissione (C‑694/19 P, non pubblicata; in prosieguo: la sentenza Italmobiliare, EU:C:2021:286, punti 4755 nonché giurisprudenza ivi citata).

    ( 25 ) V. conclusioni nella causa SEN (paragrafo 155 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 26 ) Il giudice dell’Unione ha ritenuto che tali prove possano riguardare aspetti della politica commerciale di una società figlia, quali, ad esempio, la possibilità per la società madre di influenzare la politica dei prezzi, le attività di produzione e distribuzione, gli obiettivi di vendita, gli utili lordi, le spese di vendita, il «cash flow», le giacenze e il marketing (v., in tal senso, sentenza del 12 dicembre 2007, Akzo Nobel e a./Commissione, T‑112/05, EU:T:2007:381, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 27 ) Sentenza Italmobiliare (punto 55). Si ricorda che, anche qualora la società madre detenga l’intero capitale della propria controllata, nulla impedisce alle autorità garanti della concorrenza di accertare l’esercizio effettivo di un’influenza determinante attraverso altri elementi di prova o attraverso una combinazione di siffatti elementi con la presunzione di influenza determinante (v., in tal senso, sentenza del 27 gennaio 2021, The Goldman Sachs Group/Commissione, C‑595/18 P, EU:C:2021:73, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 28 ) Sentenza Deutsche Telekom II (punti da 75 a 77 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 29 ) V., in tal senso, sentenza del 21 luglio 2016, VM Remonts e a. (C‑542/14; in prosieguo: la «sentenza Remonts, EU:C:2016:578, punti 20, 2733), nonché conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa VM Remonts e a. (C‑542/14, EU:C:2015:797, paragrafo 48).

    ( 30 ) Sentenza dell’11 dicembre 2003, Minoan Lines/Commissione (T‑66/99; in prosieguo: la sentenza Minoan Lines, EU:T:2003:337, punti da 125 a 128).

    ( 31 ) Sentenza del 16 dicembre 1975, Suiker Unie e a./Commissione (da 40/73 a 48/73, 50/73, da 54/73 a 56/73, 111/73, 113/73 e 114/73; in prosieguo: la sentenza Suiker Unie, EU:C:1975:174, punto 480). Il corsivo è mio.

    ( 32 ) V., nello stesso senso, sentenza del 15 luglio 2015, voestalpine e voestalpine Wire Rod Austria/Commissione (T‑418/10, EU:T:2015:516, punto 153).

    ( 33 ) Sentenza Minoan Lines (punti da 125 a 128).

    ( 34 ) Sentenza Suiker Unie (punto 482).

    ( 35 ) V., in tal senso, sentenza del 15 settembre 2005, DaimlerChrysler/Commissione (T‑325/01, EU:T:2005:322, punto 118).

    ( 36 ) V. sentenze Suiker Unie (punto 544) e Minoan Lines (punto 128).

    ( 37 ) Sentenza del 14 dicembre 2006, Confederación Española de Empresarios de Estaciones de Servicio (C‑217/05, EU:C:2006:784, punti 4344). V. altresì sentenza del 24 ottobre 1995, Volkswagen e VAG Leasing (C‑266/93, EU:C:1995:345, punto 16).

    ( 38 ) V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa VM Remonts e a. (C‑542/14, EU:C:2015:797, paragrafo 53).

    ( 39 ) V. sentenza Remonts (punto 31).

    ( 40 ) Sentenza Remonts (punto 25).

    ( 41 ) Sentenza Remonts (punti 29 e 30).

    ( 42 ) Sentenza Remonts (punto 31).

    ( 43 ) V., tuttavia, sentenze del 1o luglio 2010, AstraZeneca/Commissione (T‑321/05, EU:T:2010:266, punti da 818 a 822); Deutsche Telekom II (punti da 68 a 87) e SEN (punti da 104 a 123).

    ( 44 ) V., in tal senso, sentenze del 6 settembre 2017, Intel/Commissione (C‑413/14 P; in prosieguo: la sentenza Intel, EU:C:2017:632, punto 135), e del 6 dicembre 2012, AstraZeneca/Commissione (C‑457/10 P, EU:C:2012:770), la quale conferma che tale abuso è ravvisabile anche se gli effetti anticoncorrenziali possono verificarsi solo attraverso l’intervento di terzi.

    ( 45 ) V. paragrafo 45 delle presenti conclusioni.

    ( 46 ) Secondo la Unilever, per lo stesso motivo, l’AGCM ha rifiutato di incontrare i suoi economisti, che avevano chiesto di organizzare un incontro per definire le modalità di svolgimento di tali studi economici.

    ( 47 ) V. sentenza SEN (punti da 49 a 58) e conclusioni nella causa SEN (paragrafi da 109 a 121).

    ( 48 ) V., al riguardo, conclusioni nella causa SEN (paragrafi 110 e 112 nonché giurisprudenza ivi citata).

    ( 49 ) V., al riguardo, conclusioni nella causa SEN (paragrafo 114 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 50 ) V. sentenza SEN (punto 52) e conclusioni nella causa SEN (paragrafo 116 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 51 ) V. conclusioni nella causa SEN (paragrafi 41 e 116 nonché giurisprudenza ivi citata).

    ( 52 ) V. sentenza SEN (punto 56).

    ( 53 ) In concreto, tale analisi è consistita nello stabilire il prezzo a cui un concorrente efficiente al pari della Intel avrebbe dovuto vendere i suoi CPU per compensare un costruttore OEM della perdita di uno sconto che gli avrebbe accordato la Intel. Un’analisi dello stesso genere è stata svolta per i pagamenti della Intel a MSH.

    ( 54 ) Sentenza del 12 giugno 2014, Intel/Commissione (T‑286/09; in prosieguo: la sentenza iniziale, EU:T:2014:547, punto 79).

    ( 55 ) Sentenza iniziale (punti da 80 a 89).

    ( 56 ) Sentenza iniziale (punti da 172 a 197).

    ( 57 ) Sentenza del 26 gennaio 2022, Intel Corporation/Commissione (T‑286/09 RENV, EU:T:2022:19).

    ( 58 ) Sentenza Intel (punti 138 e 139).

    ( 59 ) Il corsivo è mio.

    ( 60 ) Il corsivo è mio.

    ( 61 ) Il corsivo è mio.

    ( 62 ) Il corsivo è mio.

    ( 63 ) Il corsivo è mio.

    ( 64 ) V. conclusioni nella causa SEN (paragrafo 55 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 65 ) V., in tal senso, punto 37 della comunicazione della Commissione — Orientamenti sulle priorità della Commissione nell'applicazione dell'articolo 82 [CE] al comportamento abusivo delle imprese dominanti volto all'esclusione dei concorrenti (GU 2009, C 45, pag. 7), che dispone che «[l]e imprese possono offrire [sconti condizionati] per attirare maggiori richieste e, in quanto tali, essi possono stimolare la domanda e andare a vantaggio dei consumatori».

    ( 66 ) Conclusioni nella causa SEN (paragrafo 116 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 67 ) Sentenza Intel (punti 139 e 140).

    ( 68 ) Sentenza del 6 dicembre 2012, AstraZeneca/Commissione (C‑457/10 P, EU:C:2012:770, punto 202).

    ( 69 ) Sentenza del 6 ottobre 2015, Post Danmark (C‑23/14, EU:C:2015:651, punto 65).

    ( 70 ) Sentenza Intel (punto 140).

    Top