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Document 62019CC0742

    Conclusioni dell’avvocato generale H. Saugmandsgaard Øe, presentate il 28 gennaio 2021.


    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2021:77

     CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    HENRIK SAUGMANDSGAARD ØE

    presentate il 28 gennaio 2021 ( 1 )

    Causa C‑742/19

    B.K.

    contro

    Republika Slovenija (Ministrstvo za obrambo)

    [domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Vrhovno sodišče Republike Slovenije (Corte suprema della Repubblica di Slovenia)]

    «Rinvio pregiudiziale – Protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori – Organizzazione dell’orario di lavoro – Direttiva 2003/88/CE – Ambito di applicazione – Articolo 1, paragrafo 3 – Direttiva 89/391/CEE – Articolo 2, paragrafi 1 e 2 – Applicabilità ai militari delle forze armate degli Stati membri – Direttiva 2003/88/CE – Articolo 2, punto 1 – Nozione di “orario di lavoro” – Attività di guardia delle installazioni militari»

    I. Introduzione

    1.

    Con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale, il Vrhovno sodišče Republike Slovenije (Corte suprema della Repubblica di Slovenia) ha deferito alla Corte due questioni relative all’interpretazione della direttiva 2003/88/CE concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro ( 2 ).

    2.

    Tali questioni si iscrivono nell’ambito di una controversia sorta fra B.K., un ex sottoufficiale dell’esercito sloveno, e la Repubblica di Slovenia (Ministero della Difesa), il suo ex datore di lavoro, in relazione alla retribuzione che deve essergli versata come corrispettivo dell’attività di guardia di installazioni militari da questi periodicamente svolta nel corso del suo servizio.

    3.

    In tale contesto, il giudice del rinvio invita la Corte, in sostanza, a precisare se le persone che esercitano funzioni militari nelle forze armate degli Stati membri (in prosieguo: i «militari» o i «membri delle forze armate») rientrino nell’ambito di applicazione della direttiva 2003/88 e se, di conseguenza, il loro orario di lavoro debba essere conteggiato, organizzato e limitato in conformità alle prescrizioni di tale direttiva, anche in occasione di una siffatta attività di guardia.

    4.

    La direttiva 2003/88 è già stata oggetto di un’abbondante giurisprudenza della Corte. Le questioni sollevate nella presente causa sono cionondimeno inedite ed estremamente sensibili. Infatti, la questione dell’organizzazione dell’orario di lavoro dei militari riguarda il funzionamento delle forze armate degli Stati membri, istituzioni spesso considerate, da questi ultimi, la «chiave di volta» della loro sovranità, e la cui organizzazione rientra, in linea di principio, nella competenza esclusiva di ciascuno di essi. Inoltre, vi è il timore che l’applicazione di tale direttiva ai militari nuoccia, nella prassi, alla capacità operativa di dette forze.

    5.

    La presente causa confronterà dunque la Corte con un contesto militare che essa solo raramente ha avuto occasione di conoscere. Tutta la difficoltà consisterà, per la stessa, nel trovare un «giusto equilibrio» fra i diritti dei militari, in quanto lavoratori, alla salute e alla sicurezza sul lavoro, inclusa la limitazione dell’orario di lavoro, da un lato, e l’interesse degli Stati membri al buon funzionamento delle loro forze armate, indispensabile alla salvaguardia della loro sicurezza nazionale, dall’altro.

    6.

    Nelle presenti conclusioni, inviterò la Corte a dichiarare, al fine di garantire tale equilibrio, che i militari rientrano, in linea di principio, nell’ambito di applicazione della direttiva 2003/88. Cionondimeno, essi ne sono esclusi quando effettuano alcune «attività specifiche» delle forze armate, alle condizioni che illustrerò in dettaglio. Spiegherò parimenti perché un’attività come la guardia delle installazioni militari non ne faccia, in linea di principio, parte.

    II. Contesto normativo

    A.   Diritto dell’Unione

    1. La direttiva 89/391/CEE

    7.

    L’articolo 2 della direttiva 89/391/CEE concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro ( 3 ), prevede quanto segue:

    «1.   La presente direttiva concerne tutti i settori d’attività privati o pubblici (attività industriali, agricole, commerciali, amministrative, di servizi, educative, culturali, ricreative, ecc.).

    2.   La presente direttiva non è applicabile quando particolarità inerenti ad alcune attività specifiche nel pubblico impiego, per esempio nelle forze armate o nella polizia, o ad alcune attività specifiche nei servizi di protezione civile vi si oppongono in modo imperativo.

    In questo caso, si deve vigilare affinché la sicurezza e la salute dei lavoratori siano, per quanto possibile, assicurate, tenendo conto degli obiettivi della presente direttiva».

    2. La direttiva 2003/88

    8.

    L’articolo 1 della direttiva 2003/88 dispone quanto segue al suo paragrafo 3:

    «La presente direttiva si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, ai sensi dell’articolo 2 della [direttiva 89/391], fermi restando gli articoli 14, 17, 18 e 19 della presente direttiva.

    Fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 8, la presente direttiva non si applica alla gente di mare, quale definita nella direttiva 1999/63/CE ( 4 )».

    9.

    L’articolo 2 di tale direttiva prevede quanto segue:

    «Ai sensi della presente direttiva si intende per:

    1)

    “orario di lavoro”: qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali;

    (…)».

    B.   La normativa slovena

    10.

    L’articolo 142 dello Zakon o delovnih razmerjih (legge in materia di rapporti di lavoro) (Uradni list RS, n. 21/2013) dispone quanto segue ai suoi paragrafi 1 e 2:

    «(1)   L’orario di lavoro comprende il tempo di lavoro effettivo e il tempo di riposo ai sensi dell’articolo 154 della presente legge, come pure i periodi di assenza giustificata dal lavoro in conformità alla legge e ad un contratto collettivo ovvero a un atto di portata generale.

    (2)   Il tempo di lavoro effettivo comprende tutto il tempo in cui il lavoratore lavora, vale a dire il tempo in cui è a disposizione del datore di lavoro e adempie ai propri obblighi professionali derivanti dal contratto di lavoro».

    11.

    L’articolo 23 dello Zakon o sistemu plač v javnem sektorju (legge relativa al regime delle retribuzioni nel settore pubblico) (Uradni list RS, n. 56/02 e seguenti) dispone che i dipendenti pubblici, incluse le persone impiegate nell’esercito sloveno, hanno diritto, inter alia, ad un’indennità per il lavoro svolto in orario meno favorevole, come prevista all’articolo 32, paragrafo 3, di tale legge. Quest’ultima disposizione precisa che i dipendenti pubblici hanno parimenti diritto a un’indennità di reperibilità. Il paragrafo 5 di tale articolo prevede che l’importo dell’indennità di reperibilità sia stabilito dal contratto collettivo per il settore pubblico.

    12.

    L’articolo 46 della Kolektivna pogodba za javni sektor (contratto collettivo per il settore pubblico), nella sua versione in vigore nel periodo di cui al procedimento principale (Uradni list RS, n. 57/2008 e seguenti), prevede che «[i] dipendenti pubblici hanno diritto ad un supplemento per i periodi di reperibilità pari al 20% della tariffa oraria dello stipendio di base. I periodi di reperibilità non devono essere considerati per i dipendenti pubblici come orario di lavoro».

    13.

    L’atto interpretativo di tale contratto collettivo (Uradni list RS, n. 112-4869/2008) precisa che «[l]a reperibilità implica la raggiungibilità del pubblico dipendente affinché, in caso di necessità, possa recarsi al lavoro al di fuori del suo orario lavorativo. La reperibilità deve essere ordinata per iscritto. L’importo dell’indennità di reperibilità è identico a prescindere dal fatto che il pubblico dipendente si renda reperibile di giorno, di notte, in un giorno lavorativo, di domenica o in un giorno festivo».

    14.

    Lo Zakon o obrambi (legge in materia di difesa) (Uradni list RS, n. 92/94 e seguenti) disciplina, inter alia, i diritti e gli obblighi dei lavoratori che, a titolo professionale, esercitano la loro attività nel settore della difesa ( 5 ). L’articolo 96 di tale legge dispone, al suo paragrafo 1, che il lavoratore che, a titolo professionale, svolge un’attività nel settore della difesa è tenuto, previa decisione di un superiore e per le esigenze del servizio, a svolgere le proprie funzioni in condizioni di lavoro particolari. Il paragrafo 2 di tale articolo precisa che si considera tale l’attività lavorativa svolta in un orario di lavoro meno favorevole per il lavoratore, nonché l’attività lavorativa svolta in condizioni di lavoro meno favorevoli o implicante ulteriori oneri, di cui fanno parte la reperibilità o la raggiungibilità o la prestazione di servizi di guardia. Il paragrafo 3 di detto articolo enuncia che se, durante il periodo di reperibilità, il lavoratore effettua un’attività lavorativa, il tempo di lavoro effettivo è considerato come estensione dell’orario di lavoro se la legge non dispone altrimenti.

    15.

    L’articolo 97.e della legge in materia di difesa dispone, al suo paragrafo 1, che la reperibilità è il tempo in cui il lavoratore operante nel settore della difesa deve essere disponibile a lavorare presso il suo luogo di lavoro, presso un luogo determinato o presso il domicilio. Il paragrafo 2 di tale articolo precisa che il periodo di reperibilità non è conteggiato nel numero delle ore lavorative settimanali o mensili. Nel caso in cui il lavoratore debba effettivamente lavorare durante il periodo di reperibilità, tali ore di lavoro effettivo sono conteggiate nel numero delle ore lavorative settimanali o mensili. Il paragrafo 3 di detto articolo indica che il Ministro stabilisce i casi e le modalità di attuazione della reperibilità presso i locali di lavoro, presso un luogo determinato o presso il domicilio. I casi e le modalità di attuazione della reperibilità nell’esercito sono stabiliti dal capo di stato maggiore. Il paragrafo 4 dello stesso articolo prevede che la reperibilità presso un luogo determinato sia equiparata alla reperibilità presso il luogo di lavoro.

    16.

    L’articolo 97.č della legge in materia di difesa dispone, al suo paragrafo 1, che, di norma, i servizi di guardia durino ininterrottamente per 24 ore. Il paragrafo 2 di tale articolo indica che i militari che prestano servizio di guardia sono considerati lavoratori con orario di lavoro frazionato. Le ore durante le quali essi non compiono alcuna attività lavorativa effettiva sono considerate non come orario di lavoro bensì come un periodo di reperibilità presso il luogo di lavoro. L’attività lavorativa giornaliera durante la guardia non può superare le dodici ore. Il paragrafo 3 di detto articolo precisa che, in caso di evento eccezionale o ai fini della conclusione di un incarico già iniziato, l’orario di lavoro dei militari può essere eccezionalmente prorogato, ma, in tal caso, le ore di lavoro effettuate successivamente alle dodici ore di lavoro effettivo già svolte sono considerate come ore di lavoro straordinario. Il paragrafo 4 dello stesso articolo enuncia che la prestazione del servizio di guardia può durare ininterrottamente fino a un massimo di sette giorni. I militari hanno diritto a periodi di pausa per il riposo nel luogo in cui prestano il servizio di guardia, in modo tale che dodici ore sono riconosciute loro come orario di lavoro ordinario e le restanti dodici ore sono invece considerate un periodo di reperibilità.

    III. Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

    17.

    In qualità di sottufficiale dell’esercito sloveno, B.K. prestava presso la caserma di Slovenska Bistrica (Slovenia), alla quale era assegnato, una settimana al mese, un servizio di guardia per 24 ore al giorno, ciascun giorno della settimana, compresi il sabato e la domenica. Nel corso di tale periodo, B.K. doveva essere raggiungibile e costantemente presente in tale caserma. In caso di arrivo non preannunciato della polizia militare, di un gruppo di ispezione o di una squadra di intervento, egli doveva annotarlo nel modulo di registrazione ed eseguire gli incarichi assegnatigli dai suoi superiori.

    18.

    Per tale attività, la Repubblica di Slovenia (Ministero della Difesa) gli ha conteggiato, quale orario di lavoro, otto ore al giorno di guardia e ha versato a B.K. la sua retribuzione ordinaria per tali otto ore. Le ore rimanenti sono state considerate non come orario di lavoro, bensì come un periodo di reperibilità presso il luogo di lavoro. L’interessato ha ricevuto, per tali ore, un’indennità di reperibilità pari al 20% di siffatta retribuzione.

    19.

    B.K. ha proposto un ricorso dinanzi al Delovno in socialno sodišče v Ljubljani (tribunale del lavoro e del contenzioso sociale di Lubiana, Slovenia) nei confronti della Repubblica di Slovenia (Ministero della Difesa), nell’ambito del quale egli chiede la retribuzione, in quanto ore di lavoro straordinario, delle ore di reperibilità svolte nell’ambito del servizio di guardia per il periodo che va dal febbraio del 2014 al luglio del 2015 ( 6 ). L’interessato sostiene che, in conformità alla direttiva 2003/88, tali ore avrebbero dovuto essere conteggiate integralmente come orario di lavoro e retribuite di conseguenza, poiché egli doveva essere sempre presente presso il proprio posto di lavoro o in caserma, a disposizione del suo datore di lavoro e separato dal proprio luogo di residenza e dalla propria famiglia.

    20.

    Con sentenza del 26 settembre 2016, il Delovno in socialno sodišče v Ljubljani (tribunale del lavoro e del contenzioso sociale di Lubiana) ha respinto il ricorso di B.K. Secondo tale giudice, la Repubblica di Slovenia (Ministero della Difesa) ha calcolato la retribuzione dell’interessato conformemente alla legge in materia di difesa, secondo la quale i periodi di reperibilità presso il luogo di lavoro o presso un luogo determinato non sono considerati, nel loro complesso, come orario di lavoro. B.K. avrebbe dunque diritto, per le ore controverse, soltanto all’indennità di reperibilità versatagli.

    21.

    B.K. ha interposto appello dinanzi al Višje delovno in socialno sodišče v Ljubljani (Corte d’appello del lavoro e del contenzioso sociale di Lubiana, Slovenia). Con sentenza del 4 maggio 2017, tale giudice ha respinto l’appello dell’interessato e ha confermato la sentenza di primo grado. Il giudice d’appello ha ritenuto, segnatamente, che la legge in materia di difesa non sia contraria alla direttiva 2003/88, dal momento che, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 89/931, queste due direttive non sono applicabili quando particolarità inerenti ad alcune attività specifiche nel pubblico impiego, in particolare nelle forze armate, vi si oppongono in modo imperativo, come avviene nel caso del servizio nell’esercito sloveno.

    22.

    Di conseguenza, B.K. ha proposto un ricorso per «revisione» avverso la sentenza d’appello dinanzi al Vrhovno sodišče Republike Slovenije (Corte suprema della Repubblica di Slovenia). In tale contesto, tale giudice ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1)

    Se l’articolo 2 della [direttiva 2003/88] si applichi anche ai lavoratori che operano nel settore della difesa ovvero al personale militare che presta servizio di guardia in tempo di pace.

    2)

    Se la disposizione dell’articolo 2 della [direttiva 2003/88] osti a una normativa nazionale secondo cui la reperibilità dei lavoratori che operano nel settore della difesa presso il luogo di lavoro o presso un luogo determinato (ma non presso il proprio domicilio), ovvero la presenza di personale militare che lavora nel settore della difesa, nel corso del servizio di guardia, durante il quale tale personale militare non presta alcuna attività lavorativa effettiva, ma dev’essere tuttavia fisicamente presente in caserma, non sono computate nell’orario di lavoro».

    23.

    La presente domanda di pronuncia pregiudiziale, datata 10 settembre 2019, è pervenuta alla Corte il 10 ottobre dello stesso anno. I governi sloveno ( 7 ), tedesco e francese, nonché la Commissione europea hanno depositato osservazioni scritte dinanzi alla Corte. I medesimi interessati, nonché il governo spagnolo, sono stati rappresentati all’udienza di discussione tenutasi il 21 settembre 2020.

    IV. Analisi

    24.

    È opportuno ricordare, in via preliminare, che la direttiva 2003/88 ( 8 ) stabilisce una serie di «prescrizioni minime» ( 9 ) in materia di organizzazione dell’orario di lavoro. In forza di tale direttiva, gli Stati membri sono tenuti a prendere le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, segnatamente, di un periodo minimo di riposo giornaliero di undici ore consecutive nel corso di ogni periodo di 24 ore (articolo 3), di una pausa per un lavoro giornaliero superiore a sei ore (articolo 4), di un periodo minimo di riposo settimanale ininterrotto di 24 ore per ogni periodo di sette giorni, a cui si sommano le undici ore di riposo giornaliero (articolo 5), di una durata massima settimanale del lavoro di 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario (articolo 6), nonché di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane (articolo 7). Detta direttiva contiene parimenti norme concernenti la durata e le condizioni del lavoro notturno e del lavoro a turni, nonché il ritmo di lavoro ( 10 ).

    25.

    Tali «prescrizioni» sono essenzialmente intese a proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori ( 11 ). Esse mirano, in particolare, a garantire che i lavoratori dispongano di un riposo adeguato al fine di recuperare la fatica generata dal loro lavoro. Esse contribuiscono, in tal modo, a prevenire il rischio che essi causino inavvertitamente lesioni a sé stessi, ad altri lavoratori o a terzi, a causa di tale fatica, e contribuiscono, più in generale, ad evitare che tale lavoro danneggi la loro salute, a breve o a lungo termine ( 12 ). La direttiva 2003/88 concretizza, al riguardo, i principi generali sanciti dalla direttiva 89/391, la quale costituisce la «direttiva quadro» in materia di salute e di sicurezza sul luogo di lavoro. Inoltre, le norme della direttiva 2003/88 sono intese a riservare ai lavoratori un periodo di relax, nonché di svago e ad assicurare loro, in tal modo, un certo equilibrio tra vita e lavoro ( 13 ).

    26.

    Correlativamente, dette «prescrizioni» fanno gravare vincoli di ordine economico e pratico sui datori di lavoro, inclusi gli Stati membri allorché essi agiscono in tale qualità. In particolare, il funzionamento dei servizi pubblici essenziali, finalizzato a rispondere all’interesse generale e soggetto, a tale titolo, ad un imperativo di continuità, ne risulterebbe complicato. Infatti, tale continuità dipende dalla messa a disposizione di tali servizi di un numero sufficiente di personale attivo, cosicché esiste, prima facie, una tensione fra la rigorosa concessione ai lavoratori interessati dei diritti alla limitazione dell’orario di lavoro e al riposo previsti dalla direttiva 2003/88 e il funzionamento di detti servizi.

    27.

    Tale tensione è particolarmente evidente nella presente causa, la quale ha per sfondo il funzionamento delle forze armate degli Stati membri, ossia istituzioni sovrane che hanno un’importanza del tutto particolare.

    28.

    A tal riguardo, come ricordato dai governi sloveno, spagnolo e francese, benché la portata dei compiti loro assegnati possa variare da uno Stato membro all’altro, le forze armate costituiscono, in generale, una componente essenziale delle politiche di difesa di tali Stati. Esse hanno come compito principale quello di garantire l’integrità del loro territorio, nonché la protezione della loro popolazione e delle loro istituzioni contro le aggressioni armate. Le forze armate contribuiscono parimenti, in generale, alla lotta alle altre minacce che possono compromettere la loro sicurezza nazionale. Esse hanno spesso come compiti, a tal riguardo, quello di garantire la sicurezza della popolazione e di fornire un sostegno alle autorità civili, qualora i mezzi di queste ultime non siano più sufficienti, segnatamente in caso di catastrofe naturale o di attentato ( 14 ). Le forze armate garantiscono inoltre agli Stati membri il libero esercizio della loro sovranità sul piano internazionale. Esse consentono loro, segnatamente, di assumere responsabilità in materia di sicurezza collettiva, nell’ambito delle organizzazioni internazionali di cui fanno parte ( 15 ) e, a livello dell’Unione, nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune ( 16 ). In tale contesto, le forza armate degli Stati membri contribuiscono, a livelli diversi, alla promozione e al mantenimento della pace e della sicurezza internazionali. Nel complesso, le forze armate rappresentano l’ultima risorsa (ultima ratio) degli Stati per la difesa della loro sicurezza e la salvaguardia dei loro interessi essenziali.

    29.

    Inoltre, come sottolineato dai governi sloveno, spagnolo e francese dinanzi alla Corte, mentre, storicamente, tali forze intervenivano principalmente in «tempo di guerra» che coinvolgeva lo Stato interessato, in contrapposizione al «tempo di pace», è generalmente riconosciuto che tale distinzione non è più adeguata nel contesto geopolitico attuale. Infatti, benché, ai confini immediati degli Stati membri, non vi sia una guerra nel senso classico del termine, lo sviluppo del terrorismo internazionale, la moltiplicazione di conflitti locali o regionali di diversa intensità in paesi terzi, talvolta vicini all’Europa, l’emergenza della «guerra cibernetica» resa possibile dai mutamenti tecnologici, nonché altri fattori di tensione configurerebbero un’instabilità durevole delle relazioni internazionali, che si traduce in minacce numerose, diverse, «ibridi» e perenni per la sicurezza degli Stati membri. Le loro politiche di difesa e, in particolare, le loro forze armate, devono dunque svolgere un ruolo permanente e coprire parimenti il tradizionale «tempo di pace» ( 17 ).

    30.

    Anche in tal caso, per poter svolgere il loro ruolo in maniera continuativa ed efficace, le forze armate degli Stati membri devono disporre delle risorse umane necessarie. In tale contesto, la questione dell’organizzazione dell’orario di lavoro dei militari è particolarmente delicata, e gli approcci in materia differiscono all’interno degli Stati membri ( 18 ).

    31.

    In sostanza, una parte degli Stati membri, tra cui la Germania ( 19 ), il Lussemburgo ( 20 ) e la Slovenia ( 21 ), disciplina l’orario di lavoro settimanale e giornaliero dei militari nella loro legislazione, come avviene per gli altri dipendenti pubblici e funzionari, facendo tuttavia salve, alla luce della specificità delle forze armate, talune deroghe per alcune delle loro attività, al fine di assicurarne il corretto svolgimento. Altri Stati membri, di cui fanno parte la Spagna ( 22 ) e l’Italia ( 23 ), prevedono siffatte norme in materia di orario di lavoro, assoggettando al contempo i militari ad un obbligo di disponibilità permanente che giustifica che le esigenze del servizio prevalgano, in determinate circostanze, sul rispetto di tali norme. Infine, un’ultima categoria di Stati membri, fra cui la Francia e Cipro, non prevede limiti all’orario di lavoro dei militari nella loro legislazione, dato che tali Stati membri adottano una concezione estensiva della disponibilità dei loro militari, la quale osterebbe, per natura, a qualsivoglia limitazione di tale orario.

    32.

    Più precisamente, per il governo francese, la continuità e l’efficacia delle forze armate imporrebbero un modo di organizzazione incompatibile con un sistema come quello previsto dalla direttiva 2003/88, fondato su un conteggio individuale dell’orario di lavoro, nonché su un riposo giornaliero e settimanale obbligatori. Il corretto svolgimento dei compiti loro assegnati esigerebbe l’istituzione di un contesto specifico in materia di organizzazione dell’orario di servizio dei militari, il quale presenti una flessibilità sufficiente per conciliare, da un lato, la salute e la sicurezza di questi ultimi e, dall’altro, le esigenze operative, che godono di priorità assoluta. Dovrebbe pertanto spettare al comando decidere in merito agli orari di lavoro, ai periodi di riposo e alle ferie (o, più precisamente, ai «permessi») dei militari in funzione di tali esigenze, vigilando al contempo, per quanto possibile, sul benessere e sulla sicurezza delle truppe.

    33.

    Inoltre, come sottolineato dal governo francese, specialmente in Francia, il requisito di disponibilità permanente imposto ai militari (in prosieguo: il «principio di disponibilità»), il quale rifletterebbe il loro impegno a servire «in ogni tempo e luogo», viene percepito non solo come un elemento indispensabile alla riuscita delle missioni delle forze armate, ma anche come un marcatore di identità, che distingue questi stessi militari dai civili. I vincoli connessi a tale impegno permanente darebbero luogo a compensazioni, come un numero di ferie elevato o, ancora, un regime di pensionamento anticipato più generoso di quello degli altri lavoratori. Viene spesso sostenuto che l’applicazione ai militari delle norme della direttiva 2003/88 rimetterebbe in discussione tale principio di disponibilità e, con ciò, contribuirebbe ad una certa «banalizzazione» della professione militare, avvicinandola al lavoro dei funzionari civili e cancellando, in tal modo, la sua singolarità ( 24 ).

    34.

    Prima di esaminare le questioni sollevate, in questo spinoso contesto, dal giudice del rinvio (sezioni B e C), devo soffermarmi, brevemente, sulla loro ricevibilità (sezione A).

    A.   Sulla ricevibilità

    35.

    La domanda proposta da B.K. nei confronti della Repubblica di Slovenia (Ministero della Difesa) è intesa ad ottenere, lo ricordo, il pagamento, quali ore di lavoro straordinario, delle ore di reperibilità svolte dal medesimo nell’ambito dell’attività di guardia da questi effettuata durante il suo servizio. Orbene, come ho indicato al paragrafo 25 delle presenti conclusioni, le prescrizioni della direttiva 2003/88 sono intese a proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori. Tale direttiva non disciplina dunque, in linea di principio ( 25 ), una simile questione patrimoniale ( 26 ).

    36.

    Non ne consegue, tuttavia, l’irricevibilità delle presenti questioni pregiudiziali. Infatti, il giudice del rinvio ritiene che, al fine di determinare la retribuzione che avrebbe dovuto essere versata a B.K. per le ore effettuate nell’ambito di tale attività di guardia e, pertanto, statuire sulla controversia dinanzi ad esso pendente, lo stesso debba sapere se tali ore costituiscano integralmente «orario di lavoro», ai sensi dell’articolo 2, punto 1, della direttiva 2003/88. È evidente che tale giudice ritiene che la questione dell’applicazione di siffatta direttiva ai militari e quella della qualificazione, ai sensi di detta direttiva, del tempo trascorso dagli stessi in guardia presentino un carattere preliminare rispetto alla questione dell’esistenza del diritto al supplemento retributivo rivendicato da B.K. In tali circostanze, esiste un nesso evidente fra le questioni sollevate e il procedimento principale ( 27 ).

    B.   Sull’applicabilità della direttiva 2003/88 ai militari (prima questione)

    37.

    Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2003/88 sia applicabile ai «lavoratori che operano nel settore della difesa» e al «personale militare». Se ho ben inteso, la prima categoria ingloba la seconda, includendo al contempo anche il personale civile impiegato dal Ministero della Difesa sloveno ( 28 ). Cionondimeno, tale questione è rilevante per la controversia di cui al procedimento principale solo per quanto riguarda i militari. Occorre dunque incentrare l’analisi su tale categoria di persone. Inoltre, pur se detta questione è focalizzata sull’attività di guardia delle installazioni militari, effettuata «in tempo di pace», occorre chiedersi, anzitutto, se tale direttiva si applichi, in generale, ai militari, e verificare poi, in seguito ed eventualmente, se detta attività ne sia specificamente esclusa.

    38.

    Come ho indicato nell’introduzione delle presenti conclusioni, ritengo che la direttiva 2003/88 sia effettivamente applicabile, in linea di principio, ai militari. Infatti, le misure nazionali relative all’organizzazione delle forze armate degli Stati membri non sono completamente escluse dall’ambito di applicazione del diritto dell’Unione (sezione 1). Inoltre, i militari sono «lavoratori», ai sensi di tale direttiva, (sezione 2) e le forze armate fanno parte dei settori di attività da essa disciplinati (sezione 3). Ciò premesso, i militari non beneficiano delle norme di detta direttiva quando partecipano ad alcune «attività specifiche» di tali forze armate (sezione 4), di cui non fa parte, in linea di principio, un’attività come la guardia delle installazioni militari (sezione 5).

    1. Le misure nazionali relative all’organizzazione delle forze armate non sono completamente escluse dall’ambito di applicazione del diritto dell’Unione

    39.

    In udienza, i governi spagnolo e francese hanno sostenuto che le norme in materia di organizzazione dell’orario di lavoro dei militari riflettono scelte di organizzazione militare, effettuate da ciascuno Stato membro al fine di assicurare la difesa del suo territorio e dei suoi interessi essenziali. Tali misure sarebbero dunque completamente escluse dal diritto dell’Unione, in applicazione dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE ( 29 ).

    40.

    A mio avviso, ciò non avviene, per i seguenti motivi.

    41.

    In primo luogo, è innegabile che l’organizzazione delle forze armate degli Stati membri riguarda la loro «sicurezza nazionale», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE. Siffatte forze costituiscono, nell’ambito delle politiche di difesa da esse attuate, una delle componenti che garantiscono tale «sicurezza» ( 30 ). Orbene, come precisato da tale disposizione, la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro. Tale precisazione mette in evidenza che, attualmente, nessuna competenza è stata attribuita all’Unione in materia, segnatamente, di difesa ( 31 ). Pertanto, spetta a ciascuno Stato membro, in conformità alla competenza esclusiva di cui è munito al riguardo, decidere le misure idonee a garantire la propria sicurezza nazionale e, in tale ambito, adottare le misure relative all’organizzazione delle sue forze armate.

    42.

    Tuttavia, siffatte misure non sono completamente escluse dall’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Infatti, secondo una giurisprudenza costante della Corte, «la mera circostanza che una misura nazionale sia stata adottata ai fini della tutela della sicurezza nazionale non può comportare l’inapplicabilità del diritto dell’Unione e dispensare gli Stati membri dal necessario rispetto di tale diritto» ( 32 ).

    43.

    In tal senso, il diritto dell’Unione, e in particolare gli strumenti di diritto derivato che attuano le politiche per le quali l’Unione è munita di competenza – in materia sociale, di parità di trattamento, ecc. – si applicano, alle condizioni da essi definite, a priori anche alle misure nazionali relative all’organizzazione delle forze armate e possono, a tale titolo, porre taluni limiti che devono essere rispettati dagli Stati membri quando esercitano la loro competenza in materia ( 33 ).

    44.

    Contrariamente a quanto lascia intendere il governo francese, la sentenza Dory ( 34 ) non rimette in discussione tale interpretazione. Da tale sentenza non si può desumere, infatti, che le misure nazionali relative all’organizzazione delle forze armate si sottraggano completamente al diritto dell’Unione.

    45.

    La causa sfociata in detta sentenza verteva, lo ricordo, sulla normativa tedesca relativa all’obbligo di leva, riservato agli uomini. Al fine di esserne esonerato, il sig. Dory sosteneva che tale normativa comportava una discriminazione fondata sul sesso nell’accesso al lavoro e alla formazione professionale, contraria alla direttiva 76/207. Infatti, a suo avviso, la prestazione del servizio militare comportava, per gli uomini, un ritardo in tale accesso – ritardo che le donne non subivano, poiché erano esentate da tale servizio. La Corte ha dichiarato, in sostanza, che il diritto dell’Unione non osta a che uno Stato membro riservi l’obbligo di leva agli uomini. Orbene, la motivazione di detta sentenza, letta alla luce delle conclusioni dell’avvocato generale Stix‑Hackl ( 35 ), riflette le spiegazioni date ai paragrafi da 41 a 43 delle presenti conclusioni. Da un lato, la decisione della Repubblica federale di Germania di fondare gli effettivi delle sue forze armate su un obbligo di leva non era, in quanto tale, disciplinata dal diritto dell’Unione – si trattava, in tal caso, di una mera scelta di organizzazione militare, la quale rientra nella competenza esclusiva di ciascuno Stato membro ( 36 ). Dall’altro, nessun obbligo risultante dal diritto dell’Unione poneva limiti, nella specie, all’esercizio di tale competenza. Infatti, il collegamento fra la normativa nazionale relativa a tale obbligo e il divieto di discriminazioni fondate sul sesso previsto nella direttiva 76/207 era troppo tenue perché quest’ultima fosse applicabile; tale normativa comporta, tutt’al più, effetti indiretti sull’accesso al lavoro o alla formazione professionale in Germania ( 37 ).

    46.

    In secondo luogo, è parimenti innegabile che le forze armate rientrano, come fatto valere dal governo francese, nelle «funzioni essenziali dello Stato (...) di salvaguardia dell’integrità territoriale (…) e di tutela della sicurezza nazionale», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE. Orbene, in conformità a tale disposizione, l’Unione deve «rispettare» siffatte funzioni statali essenziali ( 38 ).

    47.

    Cionondimeno, ciò non significa, di nuovo, che le misure adottate dagli Stati membri per l’organizzazione delle loro forze armate si sottraggano completamente al diritto dell’Unione. Infatti, il «rispetto» dovuto dall’Unione alle «funzioni essenziali dello Stato» non limita l’ambito di applicazione di tale diritto, ma deve essere debitamente preso in considerazione, in particolare in sede di adozione ( 39 ) e di interpretazione degli strumenti di diritto derivato, come la direttiva 2003/88, poiché l’applicazione di tali strumenti non deve impedire, in conformità a detto articolo 4, paragrafo 2, il buon funzionamento di tali «funzioni essenziali» ( 40 ).

    48.

    In sintesi, come fatto valere dal governo tedesco e dalla Commissione, il diritto dell’Unione può essere applicato all’organizzazione dell’orario di lavoro dei militari, anche se tale questione riguarda l’organizzazione delle forze armate e, con ciò, la «sicurezza nazionale», nonché le «funzioni essenziali dello Stato», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE. Per contro, tale diritto non può essere interpretato o applicato in un modo che comprometterebbe il buon funzionamento delle forze armate, idea che svilupperò nelle sezioni che seguono.

    2. I militari professionisti sono «lavoratori», ai sensi della direttiva 2003/88

    49.

    Le norme della direttiva 2003/88 sono destinate, lo ricordo, ad andare a vantaggio, come ho indicato a più riprese ( 41 ), dei «lavoratori». A mio avviso, i militari professionisti come B.K. fanno pacificamente parte di tale categoria ( 42 ).

    50.

    Infatti, secondo una giurisprudenza costante della Corte, la nozione di «lavoratore», ai sensi della direttiva 2003/88, è una nozione autonoma di diritto dell’Unione, definita in base a criteri obiettivi che caratterizzino il rapporto di lavoro sotto il profilo dei diritti e degli obblighi delle persone interessate. A tal riguardo, la caratteristica essenziale del rapporto di lavoro è data dalla circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in cambio delle quali percepisca una retribuzione ( 43 ).

    51.

    Orbene, i militari professionisti svolgono, per un certo periodo di tempo, diverse prestazioni, in cambio delle quali essi ricevono una retribuzione, segnatamente il loro soldo. Inoltre, i militari sono soggetti ad un obbligo imperativo di disciplina, il quale implica, in particolare, l’obbedienza alle regole di condotta, ai regolamenti militari e agli ordini dei superiori gerarchici ( 44 ), ossia una manifestazione estrema del vincolo di subordinazione che caratterizza ogni rapporto di lavoro.

    52.

    Preciso che i militari professionisti sono «lavoratori», ai sensi della direttiva 2003/88, indipendentemente da se, nei loro rispettivi Stati membri, essi siano legati alle forze armate per contratto o abbiano lo status di funzionari ( 45 ). Anche qualora i militari abbiano uno status sui generis nel diritto nazionale ( 46 ), essi devono essere considerati tali ai fini di tale direttiva ( 47 ).

    3. Le forze armate rientrano nei settori di attività disciplinati dalla direttiva 2003/88

    53.

    Come risulta dall’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 2003/88, l’ambito di applicazione di tale direttiva è definito, essenzialmente, tramite un rinvio all’articolo 2 della direttiva 89/391, il quale descrive quello di quest’ultima direttiva. Questi due strumenti hanno dunque, in linea di principio, il medesimo ambito di applicazione ( 48 ), tranne che per il fatto che la direttiva 2003/88 non copre, contrariamente alla direttiva 89/391, la «gente di mare», la quale forma specificamente l’oggetto della direttiva 1999/63. Orbene, tale eccezione è irrilevante ai fini della presente causa ( 49 ). Ne consegue che, al fine di stabilire se la direttiva 2003/88 si applichi ai militari, occorre verificare se questi ultimi rientrino nell’ambito di applicazione della direttiva 89/391.

    54.

    Ai sensi del suo articolo 2, paragrafo 1, la direttiva 89/391 concerne «tutti i settori d’attività privati o pubblici», fra i quali figurano le «attività di servizi».

    55.

    Nella specie, le forze armate degli Stati membri hanno una siffatta «attività», poiché esse forniscono un servizio pubblico, quello della difesa ( 50 ). Tali forze rientrano dunque nei «settori di attività pubblici» di cui a detto articolo 2, paragrafo 1.

    4. I militari sono esclusi dalle norme della direttiva 2003/88 quando partecipano ad alcune «attività specifiche» delle forze armate

    56.

    Ciò premesso, l’articolo 2, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 89/391 prevede un’eccezione all’ambito di applicazione di tale direttiva. Ai sensi di tale disposizione, detta direttiva non è applicabile «quando particolarità inerenti ad alcune attività specifiche nel pubblico impiego, per esempio nelle forze armate o nella polizia, o ad alcune attività specifiche nei servizi di protezione civile vi si oppongono in modo imperativo». Il secondo comma di tale paragrafo precisa cionondimeno che, in questo caso, la sicurezza e la salute dei lavoratori devono essere, per quanto possibile, assicurate, tenendo conto degli obiettivi di questa stessa direttiva.

    57.

    I governi sloveno ( 51 ), spagnolo e francese sostengono che tale eccezione, la quale viene integrata mediante un rinvio alla direttiva 2003/88, consente agli Stati membri di escludere, in via permanente, tutti i militari delle loro forze armate dall’ambito di applicazione di quest’ultima direttiva ( 52 ).

    58.

    Da parte mia, ritengo, al pari del governo tedesco e della Commissione, che l’articolo 2, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 89/391 non autorizzi gli Stati membri ad escludere, in via permanente, tutti i militari dal beneficio delle norme di tale direttiva o di quelle della direttiva 2003/88 (sezione a). Ciò si evince, a mio avviso, dal testo e dall’obiettivo perseguito da tale disposizione, considerati nel contesto in cui essa si iscrive, nonché dalla giurisprudenza della Corte, la quale fornisce indicazioni utili.

    a) Gli Stati membri non possono escludere, in via permanente, tutti i militari dal beneficio delle norme delle direttive 89/391 e 2003/88

    59.

    In primo luogo, i termini dell’articolo 2, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 89/391 si riferiscono, lo ricordo, non ai militari o alle forze armate in quanto tali, bensì ad «alcune attività specifiche» di tali forze ( 53 ). Il criterio impiegato dal legislatore dell’Unione a tale disposizione non è dunque fondato sull’appartenenza dei militari al «settore di attività» costituito da dette forze, considerato nel suo complesso. Detta disposizione non riguarda neanche «l’attività» delle forze armate, considerata nel suo insieme – nel senso del servizio pubblico della difesa ( 54 ). Tale termine designa, più specificamente, «incarichi» o, in altre parole, «compiti» svolti dai militari nell’ambito delle loro funzioni. Inoltre, non vengono presi in considerazioni tutti i compiti svolti dai militari, bensì unicamente «taluni» compiti «specifici» ( 55 ).

    60.

    In secondo luogo, ricordo che l’articolo 2, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 89/391 consente di derogare, in generale, alle norme di tale direttiva e, per estensione, a quelle della direttiva 2003/88 quando le «particolarità inerenti» alle attività in questione, incluse alcune di quelle esercitate dai militari, si oppongano «in modo imperativo» all’applicazione di tali norme oppure, in altre parole, quanto tali attività non potrebbero essere realizzate correttamente se dette norme dovessero essere applicate.

    61.

    Come già rilevato dalla Corte, tale disposizione è intesa dunque a tenere conto delle esigenze di taluni compiti di interesse generale rientranti nelle «funzioni essenziali dello Stato» ( 56 ), come previste all’articolo 4, paragrafo 2, TUE, fra cui taluni compiti svolti dai militari. È evidente che l’intenzione del legislatore dell’Unione era quella di assicurare che la direttiva 89/391 non imponga un contesto che impedisca la corretta realizzazione di tali compiti ( 57 ). Come fatto valere dal governo francese, l’articolo 2, paragrafo 2, primo comma, di tale direttiva garantisce in tal senso il «rispetto» da parte dell’Unione di tali «funzioni essenziali», di cui fanno parte le forze armate ( 58 ), e deve dunque essere interpretato alla luce di detto articolo 4, paragrafo 2.

    62.

    Cionondimeno, non si deve perdere di vista, in terzo luogo, l’importanza dei diritti individuali ai quali l’articolo 2, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 89/391 consente di derogare. A tal riguardo, i principi generali e le prescrizioni in materia di salute e di sicurezza sul lavoro di cui alle direttive 89/391 e 2003/88 sono destinati a costituire garanzie minime a vantaggio di «qualsiasi lavoratore», unicamente in conseguenza di tale status, indipendentemente dal settore di attività in cui egli svolge le proprie funzioni ( 59 ). Pertanto, l’ambito di applicazione di tali direttive è definito, a ragion veduta, in modo particolarmente ampio. Tale ampio ambito di applicazione è conforme, del resto, alle competenze conferite all’Unione ( 60 ). Il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e la loro parificazione nel progresso è persino un obiettivo di quest’ultima ( 61 ). Di conseguenza, la Corte ha ripetutamente dichiarato, segnatamente, che le prescrizioni della direttiva 2003/88 in materia di durata massima di lavoro e di periodo minimo di riposo o, ancora, di ferie annuali retribuite costituiscono «norme del diritto sociale dell’Unione che rivestono una particolare importanza» ( 62 ). Inoltre, la salute e la sicurezza sul lavoro, il diritto ad eque condizioni di lavoro, il diritto ad una limitazione ragionevole dell’orario di lavoro o, ancora, il diritto al riposo, sono elevati al rango di diritti fondamentali nei diversi strumenti internazionali ( 63 ) e, al livello del diritto dell’Unione, nella carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989 ( 64 ) nonché all’articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, i quali si applicano, di nuovo, ai «lavoratori» in generale, inclusi i militari ( 65 ).

    63.

    In tale contesto, la deroga di cui all’articolo 2, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 89/391 deve essere interpretata, come dichiarato dalla Corte, in modo da limitarne la portata a quanto «strettamente necessario alla tutela degli interessi che essa consente agli Stati membri di proteggere» ( 66 ).

    64.

    È vero che, come fatto valere dal governo francese, l’articolo 2, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 89/391, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 2, TUE, lascia a ciascuno Stato membro, a mio avviso, un margine di discrezionalità per decidere ciò che gli sembra essere, nel suo contesto nazionale, «strettamente necessario» alla realizzazione dei compiti assegnati alle forze armate e, pertanto, alla salvaguardia della sua sicurezza nazionale e al buon funzionamento delle sue «funzioni essenziali» ( 67 ).

    65.

    Infatti, come ricordato dai governi sloveno, tedesco e francese, gli Stati membri hanno concezioni differenti delle loro forze armate, spiegabili con ragioni storiche ( 68 ), con la loro configurazione geografica e, più in generale, con le minacce specifiche alle quali ciascuno di essi si trova di fronte. Inoltre, taluni hanno sottoscritto impegni internazionali più vincolanti, che esigono dai medesimi l’assunzione di responsabilità particolari in materia di mantenimento della pace e della sicurezza internazionali e soddisfano, per questo motivo, criteri più elevati sotto il profilo delle capacità militari ( 69 ). Tali differenze si riflettono necessariamente, in una certa misura, sull’organizzazione delle forze armate e sulla condizione militare in ciascuno Stato membro.

    66.

    Tuttavia, l’articolo 2, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 89/391, anche letto alla luce dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE, non può conferire agli Stati membri il potere di derogare alle disposizioni di tale direttiva o a quelle della direttiva 2003/88 semplicemente invocando i loro interessi in materia di sicurezza nazionale. A mio avviso, uno Stato membro che rivendica il beneficio di tale deroga deve provare che per lo stesso è «strettamente necessario» ricorrere alla medesima. Pertanto, esso deve provare che l’esigenza di tutelare simili interessi non avrebbe potuto essere soddisfatta applicando ai suoi militari le norme previste dall’una e/o dall’altra di tali direttive ( 70 ).

    67.

    Nella specie, i governi sloveno, spagnolo e francese sostengono, sostanzialmente, che tutti i compiti assegnati alle forze armate, in conformità al ruolo di ultima risorsa per la sicurezza nazionale che esse svolgono ( 71 ), dovrebbero essere esercitati in maniera continuativa. In particolare, queste ultime dovrebbero essere in grado, in qualsiasi momento, di reagire a minacce per la sicurezza nazionale. I militari dovrebbero dunque essere permanentemente a disposizione delle forze armate, al fine di garantire la loro capacità di intervento immediato. Inoltre, tanto il successo di siffatti interventi quanto la necessità di proteggere i militari stessi implicherebbero che essi vengano debitamente formati e addestrati. Orbene, ciò richiederebbe di derogare alle norme della direttiva 2003/88 ( 72 ). Il governo francese aggiunge che l’esigenza di continuità si manifesta parimenti nell’ambito dei compiti di prevenzione e di anticipazione delle minacce, fermo restando che i militari vengono mobilitati, perlomeno in taluni Stati membri, in via permanente per garantire la difesa aerea e la difesa dei confini nazionali o, ancora, nell’ambito di attività di sorveglianza. Tale continuità sarebbe a maggior ragione imperativa nel contesto geopolitico attuale ( 73 ).

    68.

    A mio avviso, è innegabile che le forze armate siano soggette ad un’esigenza di continuità, particolarmente imperativa. Ciò premesso, la continuità e il grado di disponibilità dei lavoratori che essa implica non sono tipici di tali forze. Infatti, qualsiasi servizio pubblico deve funzionare in maniera continuativa e regolare ( 74 ).

    69.

    Orbene, se l’esigenza di continuità dei servizi pubblici attivi, segnatamente nei settori della salute, della sicurezza e dell’ordine pubblico, può giustificare che il loro personale sia privato di taluni diritti altrimenti riconosciuti ai lavoratori, come il diritto di sciopero ( 75 ), la Corte ha ripetutamente dichiarato che tale esigenza non osta, in linea di principio, all’applicazione delle norme delle direttive 89/391 e 2003/88 al personale interessato ( 76 ).

    70.

    Infatti, si deve ricordare, in quarto luogo, che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, benché tali servizi debbano affrontare eventi che, per definizione, non sono prevedibili, le attività a cui danno luogo in condizioni normali – e che corrispondono, del resto, esattamente alla missione che è stata loro impartita – possono comunque essere organizzate preventivamente, anche per quanto riguarda la prevenzione dei rischi per la sicurezza e/o per la salute, nonché gli orari di lavoro del personale ( 77 ). In altri termini, la Corte ritiene che l’esigenza di continuità del funzionamento di detti servizi possa essere assicurata, in linea di principio, nel rispetto delle norme delle direttive 89/391 e 2003/88, segnatamente pianificando le attività e attuando avvicendamenti del personale, e che i vincoli che tale pianificazione comporta per il datore di lavoro siano meno importanti rispetto ai diritti alla salute e alla sicurezza dei lavoratori interessati ( 78 ).

    71.

    In conformità a tale giurisprudenza, la situazione è diversa allorché tali attività vengano svolte in «circostanze straordinarie», quali catastrofi naturali o tecnologiche, attentati o incidenti importanti. In tal caso, l’applicazione dell’articolo 2, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 89/391 ai servizi attivi nel settore della sanità, della sicurezza e dell’ordine pubblico è, per la Corte, giustificata. La Corte riconosce che la buona esecuzione e, in particolare, la continuità dei loro compiti sarebbe compromessa se dovessero osservarsi tutte le norme previste dalle direttive 89/391 e 2003/88. Essa riconosce parimenti che tali circostanze possono esporre i lavoratori a taluni rischi non trascurabili relativi alla loro sicurezza e/o alla loro salute, e che non sarebbe ragionevole imporre al datore di lavoro, nel caso dei lavoratori coinvolti, una prevenzione effettiva dei rischi professionali, nonché una pianificazione dell’orario di lavoro rispettose di dette norme ( 79 ).

    72.

    Pur se detta giurisprudenza deve, a mio avviso, essere adeguata in relazione ai militari, come spiegherò ai paragrafi 78 e seguenti delle presenti conclusioni, ne risulta, cionondimeno, che la sola esigenza di continuità del funzionamento delle forze armate non dimostra la necessità di escludere, in via permanente, la totalità di tali militari dal beneficio delle norme della direttiva 2003/88 – o di quelle della direttiva 89/391.

    73.

    Tale interpretazione non viene rimessa in discussione dalla sentenza Sindicatul Familia Constanţa e a. ( 80 ), nella quale la Corte ha dichiarato che «talune attività particolari del pubblico impiego present[a]no, anche quando sono esercitate in condizioni normali, caratteristiche talmente specifiche che la loro natura osta, in modo imperativo, a una pianificazione dell’orario di lavoro rispettosa delle prescrizioni imposte dalla direttiva 2003/88» ( 81 ).

    74.

    Infatti, da tale sentenza non si può desumere, a mio avviso, che tutti i militari potrebbero, in via permanente, essere esclusi dal beneficio delle norme di tale direttiva. Il ragionamento di detta sentenza deve essere ricondotto nel contesto della causa che vi ha dato luogo. Essa verteva, lo ricordo, sulla funzione di assistente genitoriale, la quale consiste, per un siffatto assistente, nell’accogliere, continuativamente e per un lungo periodo, nel suo nucleo familiare, un minore che presenta una particolare vulnerabilità. Orbene, la Corte ha rilevato che sarebbe incompatibile con il compito devoluto agli assistenti genitoriali concedere loro, ad intervalli regolari, il diritto di separarsi dai minori a loro affidati dopo un determinato numero di ore di lavoro o durante giorni di riposo settimanale o annuale. Non era parimenti ragionevole attuare un sistema di rotazione degli assistenti genitoriali, poiché un siffatto sistema avrebbe compromesso, segnatamente, il legame esistente fra ciascuno di essi e il minore a suo carico ( 82 ).

    75.

    Insomma, l’ipotesi presa in considerazione in questa stessa sentenza è quella, ben particolare, di un’attività che può essere svolta, in linea di principio, soltanto da un unico lavoratore. Tale ipotesi non può dunque essere applicata alla totalità dei militari di uno Stato membro. Mentre le forze armate, in quanto collettivo, devono esercitare le loro attività continuativamente, la situazione è diversa, in qualsiasi circostanza, con riferimento a ciascuno dei militari che le compone ( 83 ).

    76.

    Ciò premesso, come spiegherò ai paragrafi 86 e seguenti delle presenti conclusioni, alcune delle attività esercitate dai militari non si prestano effettivamente, per natura, all’applicazione delle norme della direttiva 2003/88. La sentenza Sindicatul Familia Constanţa e a. ( 84 ) potrebbe parimenti giustificare l’esclusione di militari determinati, in via permanente, dall’ambito di applicazione di tale direttiva. Infatti, come fatto valere, in sostanza, dalla Commissione in udienza, taluni militari possono esercitare funzioni altamente qualificate o che richiedono un livello di riservatezza elevato, che implica che solo difficilmente essi possano essere sostituiti ( 85 ). Non si può neanche escludere che corpi scelti, facenti ad esempio parte delle forze speciali degli Stati membri, siano gli unici a detenere determinate competenze e siano altamente specializzati in certi tipi di compiti, cosicché i loro membri, anche in tal caso, sostituibili solo difficilmente sono sostituibili ( 86 ).

    77.

    Dalle insieme delle considerazioni che precedono discende che l’articolo 2, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 89/391 non consente agli Stati membri di escludere tutti i militari, in via permanente, dalle norme di tale direttiva o da quelle della direttiva 2003/88 ( 87 ). Queste due direttive sono, in linea di principio, parimenti applicabili ai militari ( 88 ). Solo alcune «attività specifiche» esercitate da questi ultimi, le cui particolarità inerenti si oppongono in modo imperativo all’applicazione delle norme di queste due direttive, ne sono escluse.

    78.

    Come fatto valere dal governo tedesco, ai fini dell’applicazione di dette direttive, occorre dunque operare una distinzione fra le diverse attività esercitate dai militari ( 89 ). A tal riguardo, pur se, come ho indicato in precedenza, la giurisprudenza esistente della Corte, la quale distingue «condizioni normali» e «circostanze straordinarie», deve essere adeguata con riferimento ai militari, essa fornisce cionondimeno indicazioni utili.

    79.

    Preciso anzitutto che non si tratta di contrapporre le attività esercitate dai militari in «tempo di pace» a quelle effettuate da questi ultimi in «tempo di guerra».

    80.

    È vero che, in caso di dichiarazione di guerra da parte di uno Stato membro o di grave tensione internazionale che costituisca una minaccia di guerra, tale Stato membro sarebbe evidentemente legittimato, in siffatte «circostanze straordinarie», a derogare alle direttive 89/391 e 2003/88. Tuttavia, la deroga prevista all’articolo 2, paragrafo 2, della prima direttiva non può essere limitata ad una siffatta ipotesi ( 90 ). A tal riguardo, concordo con i governi che sono stati rappresentati dinanzi alla Corte quando affermano che la contrapposizione fra «tempo di pace» e «tempo di guerra» non è più decisiva per il funzionamento delle forze armate nel contesto geopolitico attuale ( 91 ).

    81.

    In realtà, a mio avviso, come suggerito dal governo tedesco, occorre separare il «servizio ordinario», in relazione al quale le direttive 89/391 e 2003/88 sono applicabili (sezione b), dalle «attività specifiche» vere e proprie delle forze armate, in particolare quelle effettuate nell’ambito delle operazioni militari e della preparazione operativa, le quali ne sono escluse (sezione c). In linea di principio, una siffatta interpretazione consente, a mio avviso, un equilibrato contemperamento fra le esigenze di queste due direttive, da un lato, e la salvaguardia della sicurezza nazionale degli Stati membri, nonché il buon funzionamento delle loro «funzioni essenziali», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE, dall’altro (sezione d). Non si può tuttavia escludere che uno Stato membro dimostri che i vincoli specifici ai quali le sue forze armate sono soggette giustifichino di derogare ulteriormente alla direttiva 2003/88 (sezione e).

    b) Il «servizio ordinario» in relazione al quale le direttive 89/391 e 2003/88 si applicano

    82.

    Come fatto valere dal governo tedesco, i militari sono chiamati ad esercitare, in «condizioni normali», quotidianamente, un buon numero di attività spesso identiche o simili a, e che non presentano neanche una «particolarità inerente» che si opponga all’applicazione delle norme delle direttive 89/391 e 2003/88, quelle effettuate da funzionari civili. Esse devono dunque essere trattate in maniera identica con riferimento a tali direttive. Infatti, nulla giustificherebbe che i militari siano esposti, più dei funzionari civili, a rischi per la loro salute e la loro sicurezza in una simile situazione.

    83.

    A tal riguardo, qualora i militari esercitino i loro compiti ordinari – che si tratti di compiti di manutenzione, di amministrazione, di istruzione o, ancora, come illustrerò in dettaglio al paragrafo 102 e seguenti delle presenti conclusioni, delle attività di guardia, di sorveglianza e di permanenza – presso la loro sede di servizio abituale, tali compiti sono idonei ad essere organizzati in anticipo, anche per quanto riguarda la prevenzione dei rischi per la sicurezza e/o la salute, nonché gli orari di lavoro del personale. Inoltre, i vincoli concernenti la disponibilità di tale personale finalizzati a garantire la continuità del servizio non sono, in linea di principio, come fatto valere dal governo tedesco, insormontabili.

    84.

    In tale ipotesi, da un lato, il datore di lavoro deve rispettare i principi generali fissati dalla direttiva 89/391 – prevenire i rischi professionali, valutare i rischi che non possono essere evitati, combattere i rischi alla fonte, adeguare il lavoro all’uomo, ecc. ( 92 )

    85.

    Dall’altro, sono parimenti applicabili le norme in materia di orario di lavoro previste nella direttiva 2003/88. In particolare, occorre determinare un orario di lavoro giornaliero e settimanale per i militari, che rispetti i limiti fissati in tale direttiva. Cionondimeno, essa prevede possibilità di deroghe specifiche che, contrariamente a quanto fatto valere dal governo francese, sono rilevanti per il «servizio ordinario» dei militari. Mi riferisco, in particolare, all’articolo 17, paragrafo 3, lettere b) e c), di detta direttiva, il quale consente di derogare a diversi diritti previsti in questa stessa direttiva ( 93 ), rispettivamente per le «attività di guardia, sorveglianza e permanenza caratterizzate dalla necessità di assicurare la protezione dei beni e delle persone», e per le «attività caratterizzate dalla necessità di assicurare la continuità del servizio». Il fatto che i militari non siano espressamente citati a tale disposizione è, al riguardo, irrilevante, poiché i lavoratori e le attività elencati lo sono soltanto a titolo esemplificativo ( 94 ). Tali deroghe offrono una flessibilità supplementare al fine di assicurare la continuità del servizio ( 95 ), come osservato dalla Commissione in udienza.

    c) Le «attività specifiche» delle forze amate in relazione alle quali le direttive 89/391 e 2003/88 non si applicano

    86.

    Esistono, evidentemente, «attività specifiche» delle forze armate le cui «particolarità inerenti» si oppongono in modo imperativo all’applicazione delle norme previste nelle direttive 89/391 e 2003/88. A tal riguardo, le forze armate presentano, come sottolineato dai governi che sono stati rappresentati dinanzi alla Corte, una «specificità» innegabile, segnatamente rispetto ai servizi di polizia o ai pompieri, di cui la Corte si è occupata finora nella sua giurisprudenza, trattandosi di una buona parte dei compiti impartiti a dette forze.

    87.

    A mio avviso, tali «attività specifiche» includono, in primo luogo, le attività esercitate dalle forze armate nell’ambito delle operazioni militari. Infatti, l’impiego di tali forze nell’ambito di simili operazioni riveste, per definizione, carattere «straordinario» ( 96 ). Inoltre, se siffatte operazioni sono al centro del servizio pubblico fornito da dette forze, è manifesto che, qualora i militari siano impiegati, ad esempio in un paese terzo, nell’ambito di un’operazione di «gestione di crisi», le loro attività non si prestano ad una prevenzione effettiva dei rischi professionali ( 97 ) o ad una pianificazione dell’orario di lavoro rispettose delle norme delle direttive 89/391 e 2003/88 ( 98 ). Anzitutto, come fatto valere dal governo tedesco, l’assicurazione della continuità delle attività realizzate durante siffatte operazioni è accompagnata da vincoli militari specifici, fermo restando che il comando deve organizzare tale continuità basandosi su risorse umane e materiali necessariamente limitate. Ciò implica la collaborazione di tutte le unità impiegate e, come sottolineato dal governo francese, la gestione del tempo non può che essere collettiva. Inoltre, la pianificazione dei compiti è particolarmente difficile, poiché questi ultimi dipendono dal comportamento di un eventuale nemico o da altre circostanze, segnatamente ambientali o geografiche, sulle quali il datore di lavoro ha poco o nessun controllo. Infine, e soprattutto, i diritti dei militari alla sicurezza e alla salute sul lavoro, inclusa la limitazione dell’orario di lavoro, non possono prevalere sulle esigenze operative, salvo mettere a rischio la buona realizzazione di queste stesse operazioni. In tale contesto, la disponibilità e l’impegno dei militari devono essere completi ( 99 ).

    88.

    Lo stesso vale, a mio avviso, in linea di principio, tanto per le operazioni esterne – ipotesi dell’invio di forza all’estero, menzionata al paragrafo precedente – quanto per operazioni interne – ipotesi dell’impiego dei militari da parte di uno Stato membro sul proprio territorio. Infatti, va tenuto presente, al riguardo, il ruolo di ultima risorsa delle forze armate. In linea di principio, i militari vengono impiegati in tal modo, anche in questo caso, solo nell’eventualità di «circostanze straordinarie». Tale forze sono chiamate a titolo di rinforzo degli strumenti istituiti dalle autorità civili qualora, a causa di «eventi eccezionali», come catastrofi naturali o attentati terroristici, sopravvenuti o imminenti, i mezzi civili non siano più sufficienti e sia necessario adottare misure altrettanto eccezionali al fine di garantire l’ordine pubblico e la protezione della collettività ( 100 ). In simili circostanze, non si può imporre, con riferimento ai militari coinvolti, una prevenzione dei rischi professionali, nonché una pianificazione dell’orario di lavoro rispettose delle norme delle direttive 89/391 e 2003/88 ( 101 ).

    89.

    In secondo luogo, le «attività specifiche» delle forze armate includono, a mio avviso, la formazione iniziale, l’addestramento e gli esercizi effettuati dai militari a scopi di preparazione operativa. Secondo me, benché tali attività siano svolte in «condizioni abituali, conformemente agli incarichi impartiti» ( 102 ) alle forze armate, sono dell’avviso che esse presentino «caratteristiche talmente specifiche» che la loro natura osta all’applicazione delle disposizioni delle direttive 89/391 e 2003/88 ( 103 ). Infatti, le forze armate devono non solo proteggere la sicurezza nazionale e gli interessi essenziali degli Stati membri, in particolare nell’ambito di operazioni militari, ma anche prepararvisi. Orbene, come sottolineato dai governi sloveno e francese, tanto per il successo di tali operazioni quanto per la sicurezza dei militari stessi, tale preparazione deve essere effettuata in condizioni che simulino, il più fedelmente possibile, quelle che questi ultimi si troverebbero ad affrontare in caso di schieramento. Essi devono, in tale contesto, essere preparati alla fatica, alla disciplina collettiva, alla violenza del nemico e a condizioni di lavoro rustiche. Formazione iniziale, addestramento ed esercizio devono dunque potersi svolgere di giorno come di notte, talvolta nel corso di lunghi periodi, senza che, in particolare, le norme in materia di pausa e di lavoro notturno previste dalla direttiva 2003/88 interferiscano ( 104 ).

    90.

    In terzo luogo, ritengo che, in conformità al potere discrezionale che deve essere loro riconosciuto ( 105 ), gli Stati membri dovrebbero poter definire, nel loro diritto nazionale, altre attività delle forze armate escluse dalle norme delle direttive 89/391 e 2003/88, sempreché tali attività siano «specifiche» e dimostrino che ciò è «strettamente necessario» al buon funzionamento delle attività in questione ( 106 ).

    91.

    In concreto, durante la partecipazione dei militari a tutte queste «attività specifiche», le norme delle direttive 89/391 e 2003/88 non sono, temporaneamente, applicabili ( 107 ). Gli Stati membri sono cionondimeno tenuti, in conformità all’articolo 2, paragrafo 2, secondo comma, della prima direttiva, a vigilare affinché la sicurezza e la salute dei militari interessati siano, per quanto possibile, assicurate, tenendo conto, da un lato, degli obiettivi di tale direttiva e, dall’altro, delle esigenze operative.

    92.

    Sottolineo parimenti che, nella prassi, spetta evidentemente a ciascuno Stato membro valutare se lo stesso si trovi di fronte a «circostanze straordinarie» che giustificano l’impiego dei suoi militari nell’ambito di un’operazione militare e, così facendo, derogare alle direttive 89/391 e 2003/88. Incombe ai soli Stati membri valutare quando i loro interessi essenziali o, ancora, la pace internazionale, siano minacciati, e stabilire la reazione che si impone. La decisione di impiegare le forze armate nelle operazioni è una scelta militare che non rientra, in quanto tale, nel diritto dell’Unione. I diritti alla salute e alla sicurezza riconosciuti ai militari nelle direttive 89/391 e 2003/88 non possono dunque incidere su una simile decisione ( 108 ). In tale contesto, non escludo in particolare che taluni Stati membri possano ritenere, alla luce degli attentati di cui sono stati recentemente vittime, e, più in generale, delle analisi dei loro servizi di informazione, di essere di fronte ad una minaccia terroristica di un livello «straordinariamente» elevato, la quale giustifica l’impiego dei militari in operazioni interne sul loro territorio.

    d) Una siffatta interpretazione garantisce, in linea di principio, un equilibrato contemperamento fra gli interessi in gioco

    93.

    L’interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 89/391 che suggerisco consente, a mio avviso, un equilibrato contemperamento fra i diritti alla sicurezza e alla salute sul lavoro, inclusa la limitazione dell’orario di lavoro, riconosciuti ai militari, in quanto lavoratori, da tale direttiva e dalla direttiva 2003/88, da un lato, e le necessità delle forze armate, dall’altro ( 109 ).

    94.

    A mio avviso, tale interpretazione garantisce, segnatamente, che i militari dispongano di un riposo sufficiente, in conformità all’obiettivo perseguito dalla direttiva 2003/88 ( 110 ), qualora le trasgressioni alle norme in materia non siano indispensabili, il che contribuisce a che essi esercitino in maniera ancor più efficace le «attività specifiche» in relazione alle quali sono necessari la loro disponibilità e il loro impegno completi ( 111 ).

    95.

    Inoltre, dubito che detta interpretazione rimetta davvero in discussione il principio di disponibilità ( 112 ) dei militari, come concepito in particolare nel diritto francese – principio che, secondo il governo francese, riguarderebbe l’«identità nazionale» della Repubblica francese, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE in quanto garantirebbe la «libertà di disporre della forza armata», elevata a rango di norma costituzionale nel suo ordinamento giuridico ( 113 ).

    96.

    Infatti, anche ammesso che il principio di disponibilità possa effettivamente rientrare in tale nozione di «identità nazionale» ( 114 ), l’interpretazione che suggerisco nelle presenti conclusioni è sufficientemente flessibile da non ostacolare le «attività specifiche» delle forze armate, in particolare le operazioni militari. Essa non impedisce dunque alla Repubblica francese o agli altri Stati membri di disporre liberamente del loro esercito. Inoltre, essa non rimette in discussione né il fatto che un militare possa, in tale contesto, essere impiegato «in ogni tempo e luogo» qualora le autorità competenti lo ritengano necessario, né il fatto che la disponibilità e l’impegno dei militari devono essere totali in occasione di siffatte operazioni ( 115 ).

    e) Sui vincoli specifici delle forze armate di taluni Stati membri

    97.

    In sintesi, l’interpretazione che suggerisco equivale ad affermare che, in conformità all’articolo 2, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 89/391, i militari rientrano, in linea di principio, nell’ambito di applicazione delle norme di tale direttiva e della direttiva 2003/88. Cionondimeno, essi ne sono temporaneamente esclusi quando esercitano alcune «attività specifiche» delle forze armate, in particolare nell’ambito delle operazioni militari, nonché della formazione, degli addestramenti e degli esercizi necessari alla preparazione operativa. Inoltre, tale disposizione consente di escludere, come ho indicato al paragrafo 76 delle presenti conclusioni, taluni militari, in via permanente, dall’applicazione delle norme di quest’ultima direttiva ( 116 ).

    98.

    Il governo francese ha cionondimeno sostenuto che uno Stato membro dovrebbe essere legittimato ad escludere la totalità dei militari delle sue forze armate, in via permanente, dal beneficio delle norme della direttiva 2003/88 allorché esso assuma, come la Repubblica francese, «responsabilità internazionali importanti in materia di mantenimento della pace e della sicurezza» e, di conseguenza, il suo livello di impegno militare sia «strutturalmente più elevato rispetto a quello di altri Stati».

    99.

    A tal riguardo, osservo che la Corte è generalmente cauta nei confronti degli argomenti secondo i quali le esigenze di sicurezza nazionale e, in particolare, di difesa di uno Stato membro giustificherebbero che quest’ultimo deroghi totalmente, in via permanente, alla normativa dell’Unione. Essa esige, come regola generale, una maggiore specificità, in una logica di ponderazione degli interessi e di proporzionalità ( 117 ). Inoltre, lo ricordo, i termini stessi dell’articolo 2, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 89/391 prendono unicamente in considerazione «alcune attività specifiche» delle forze armate, e non l’insieme di tali forze.

    100.

    Ciò premesso, posso immaginare che, per uno Stato membro che, a causa dei suoi impegni internazionali particolari, abbia un numero conseguente di militari impiegati in via permanente su teatri di operazioni esterne ma anche sul proprio territorio per contrastare la minaccia terroristica di cui esso è il bersaglio, che debba assicurare in via continuativa determinati compiti di dissuasione propri del medesimo, a causa della sua situazione geopolitica – considerato che la Francia è, segnatamente l’unico Stato membro, da quando il Regno Unito ha lasciato l’Unione europea, a disporre di armi nucleari –, fermo restando che tali attività si aggiungono alle altre attività dei militari, l’attuazione delle norme della direttiva 2003/88, persino per una parte dei militari e di tali attività, risulta estremamente complessa. In particolare, non si può escludere che i vincoli specifici risultanti da tali molteplici impegni ed attività richiedano una maggiore disponibilità dei militari. Inoltre, lo ricordo, lo stesso Trattato UE riconosce la situazione militare particolare di taluni Stati membri, di cui la Repubblica francese fa evidentemente parte ( 118 ). Non si può dunque completamente escludere che, a causa di siffatte circostanze particolari, e alla luce del potere discrezionale che deve essere riconosciuto agli Stati membri ( 119 ), uno di essi possa dimostrare la necessità di derogare a tale direttiva in una misura superiore a quanto considerato nelle presenti conclusioni, escludendo ad esempio, in via permanente, una parte maggiore delle sue forze da tale direttiva, rivalutando al contempo periodicamente la necessità di una siffatta esclusione.

    101.

    Cionondimeno, non è necessario prendere una posizione definitiva su tale questione nella presente causa. Spetterebbe ai giudici nazionali, e se del caso alla Corte, nell’ambito di un rinvio pregiudiziale o di un ricorso per inadempimento, pronunciarsi al riguardo.

    5. Un’attività di guardia delle installazioni militari non fa parte, in linea di principio, di tali «attività specifiche»

    102.

    Per quanto riguarda l’attività di guardia delle installazioni militari svolta da B.K., la quale è specificamente oggetto della prima questione del giudice del rinvio, spetterà a tale giudice verificare se essa rientra nel «servizio ordinario», in relazione al quale si applicano le norme della direttiva 2003/88, oppure nelle «attività specifiche» delle forze armate che vi si oppongono in modo imperativo. Ritengo cionondimeno utile fornire al medesimo alcune precisazioni per consentirgli di statuire.

    103.

    A tal riguardo, l’attività di guardia costituisce, stando alle spiegazioni date dal governo sloveno, un compito di protezione delle installazioni militari e di altri edifici strategici situati nel territorio sloveno, assegnato alle forze armate. Tale attività deve, di nuovo, essere esercitata in maniera continuativa. Cionondimeno, come ho indicato, tale esigenza di continuità non osta necessariamente ad una pianificazione rispettosa dei requisiti della direttiva 2003/88, sempreché tale guardia costituisca un compito ordinario dei militari sloveni. La situazione sarebbe diversa se tale guardia si inserisse in un contesto «straordinario», in particolare in un’operazione militare destinata a rispondere ad una minaccia attuale o imminente per la sicurezza nazionale.

    104.

    Nella specie, il giudice del rinvio sottolinea che, nel caso concreto, B.K. effettuava tale attività di guardia ogni mese, nell’ambito del suo lavoro abituale. Non è stato sostenuto che un’esigenza di sicurezza particolare, nell’ambito di un contesto «straordinario», giustificava tale attività. Salvo verifica da parte del giudice del rinvio ( 120 ), sembra dunque che tale attività di guardia rientrasse nell’ambito del «servizio ordinario» e, pertanto, che la direttiva 2003/88 sia applicabile ( 121 ).

    6. Conclusione parziale

    105.

    Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 2003/88, in combinato disposto con l’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 89/391 deve essere interpretato nel senso che i militari rientrano, in linea di principio, nell’ambito di applicazione di queste due direttive. Cionondimeno, essi ne sono esclusi quando effettuano alcune «attività specifiche» delle forze armate, le cui particolarità inerenti si oppongono in modo imperativo all’applicazione delle norme di queste due direttive. Un’attività di guardia delle installazioni militari non ne fa, in linea di principio, parte.

    V. Sul fatto che un periodo di «reperibilità presso il luogo di lavoro» realizzato da un militare di guardia possa costituire «orario di lavoro», ai sensi dell’articolo 2, punto 1, della direttiva 2003/88 (seconda questione)

    106.

    Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 2, punto 1, della direttiva 2003/88 osti ad una normativa nazionale che prevede che il periodo nel corso il quale un militare è tenuto, durante un’attività di guardia, ad essere presente nella caserma alla quale è assegnato, a disposizione dei suoi superiori, senza svolgere un lavoro effettivo, non sia conteggiato e retribuito come orario di lavoro.

    107.

    A quanto mi risulta, nel diritto sloveno, una parte dell’attività di guardia svolta dai militari è composta, segnatamente, da un periodo di «reperibilità presso il luogo di lavoro». In tale contesto, un militare è tenuto ad essere presente nel luogo al quale è assegnato o in un altro luogo stabilito dal datore di lavoro, a disposizione dei suoi superiori, al fine di poter assolvere immediatamente, in caso di necessità, ai compiti che questi ultimi gli avrebbero assegnato. Tale periodo non viene conteggiato come orario di lavoro, fermo restando che il militare ha unicamente diritto a un’indennità di reperibilità nella misura del 20% della tariffa oraria del suo stipendio di base.

    108.

    A tal riguardo, in primo luogo, è chiaro che, alla luce della giurisprudenza costante della Corte, un siffatto periodo di «reperibilità presso il luogo di lavoro» deve essere considerato come «orario di lavoro», ai sensi dell’articolo 2, punto 1, della direttiva 2003/88. Infatti, secondo tale giurisprudenza, ogni periodo durante il quale un lavoratore è tenuto ad essere fisicamente presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro e a tenersi a disposizione di quest’ultimo per poter immediatamente fornire i suoi servizi in caso di necessità deve essere qualificato come tale ( 122 ).

    109.

    Ciò premesso, occorre sottolineare, in secondo luogo, che tale articolo 2, punto 1, non conferisce, di per sé, diritti ai lavoratori. Esso deve essere letto in combinato disposto con una delle disposizioni prescrittive della direttiva 2003/88, come l’articolo 3 di tale direttiva, il quale prevede un diritto al riposo giornaliero, oppure l’articolo 6 della stessa, il quale prevede una durata massima settimanale del lavoro di 48 ore.

    110.

    Orbene, come indicato ai paragrafi 35 e 36 delle presenti conclusioni, la direttiva 2003/88 non tratta la retribuzione dei lavoratori. Nessuna disposizione di tale direttiva impone agli Stati membri di fissare un certo livello di retribuzione per i periodi di «reperibilità presso il luogo di lavoro» che debbano essere qualificati come «orario di lavoro», ai sensi dell’articolo 2, punto 1, di detta direttiva. Ciascuno Stato membro resta dunque libero di retribuire a sua discrezione tali periodi.

    111.

    Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 2, punto 1, della direttiva 2003/88 deve essere interpretato nel senso che, ai fini dell’applicazione delle norme in materia di salute e di sicurezza previste nella stessa, il periodo nel corso del quale un militare è tenuto, durante un’attività di guardia, ad essere presente nella caserma alla quale è assegnato, a disposizione dei suoi superiori, senza effettuare un lavoro effettivo, deve essere considerato integralmente come «orario di lavoro», ai sensi di tale disposizione. Per contro, detta disposizione non osta ad una normativa nazionale che, ai soli fini della retribuzione dovuta al militare, conteggi diversamente tale periodo.

    VI. Conclusione

    112.

    Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere nei seguenti termini alle questioni sollevate dal Vrhovno sodišče Republike Slovenije (Corte suprema della Repubblica di Slovenia):

    1)

    L’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, in combinato disposto con l’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, deve essere interpretato nel senso che i militari rientrano, in linea di principio, nell’ambito di applicazione di queste due direttive. Cionondimeno, essi ne sono esclusi quando effettuano alcune «attività specifiche» delle forze armate, le cui particolarità inerenti si oppongono in modo imperativo all’applicazione delle norme di queste due direttive. Un’attività di guardia delle installazioni militari non ne fa, in linea di principio, parte.

    2)

    L’articolo 2, punto 1, della direttiva 2003/88 deve essere interpretato nel senso che, ai fini dell’applicazione delle norme in materia di salute e di sicurezza previste nella stessa, il periodo nel corso del quale un militare è tenuto, durante un’attività di guardia, ad essere presente nella caserma alla quale è assegnato, a disposizione dei suoi superiori, senza effettuare un lavoro effettivo, deve essere considerato integralmente come «orario di lavoro», ai sensi di tale disposizione. Per contro, detta disposizione non osta ad una normativa nazionale che, ai soli fini della retribuzione dovuta al militare, conteggi diversamente tale periodo.


    ( 1 ) Lingua originale: il francese.

    ( 2 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 novembre 2003 (GU 2003, L 299, pag. 9).

    ( 3 ) Direttiva del Consiglio del 12 giugno 1989 (GU 1989, L 183, pag. 1).

    ( 4 ) Direttiva del Consiglio del 21 giugno 1999 relativa all’accordo sull’organizzazione dell’orario di lavoro della gente di mare concluso dall’Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e dalla Federazione dei sindacati dei trasportatori dell’Unione europea (FST) (GU 1999, L 167, pag. 33).

    ( 5 ) L’articolo 5 di tale legge precisa che «il lavoratore che, a titolo professionale, esercita la propria attività nel settore della difesa» è, ai sensi della legge, il militare, il civile che presta, a titolo professionale, la propria attività nell’esercito ovvero una diversa persona che, a titolo professionale, compie mansioni di carattere amministrativo o tecnico specializzate presso il Ministero (punto 14 bis di tale articolo). In tale ambito, il «militare» è colui che esercita una funzione militare (punto 14 di detto articolo).

    ( 6 ) Più precisamente, B.K. rivendica la differenza tra l’indennità di reperibilità retribuita (ossia, lo ricordo, il 20% della tariffa oraria dello stipendio di base) e il valore delle ore di straordinario (ossia il 130% della tariffa oraria di tale stipendio).

    ( 7 ) Nel prosieguo delle presenti conclusioni, designerò con il «governo sloveno» tanto la Repubblica di Slovenia quanto il Ministero della Difesa, i quali sono stati rappresentati congiuntamente dinanzi alla Corte.

    ( 8 ) Ricordo che la direttiva 2003/88 ha sostituito la direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (GU 1993, L 307, pag. 18). Secondo una giurisprudenza costante della Corte, l’interpretazione fornita da quest’ultima concernente le disposizioni della direttiva 93/104 può essere trasposta alle disposizioni equivalenti della direttiva 2003/88 [v., segnatamente, sentenza del 10 settembre 2015, Federación de Servicios Privados del sindicato Comisiones obreras (C‑266/14, EU:C:2015:578, punto 22 e la giurisprudenza ivi citata)]. Le disposizioni rilevanti ai fini della presente causa, in particolare l’articolo 1 della direttiva 2003/88, sono equivalenti a quelle della direttiva 93/104. Mi riferirò dunque, per comodità, unicamente alla direttiva 2003/88, citando al contempo indifferentemente sentenze e conclusioni relative alla prima direttiva.

    ( 9 ) In tal senso, gli Stati membri possono applicare o introdurre disposizioni più favorevoli ai lavoratori (v. articolo 15 della direttiva 2003/88).

    ( 10 ) V. articolo 4 e articoli da 8 a 13 della direttiva 2003/88.

    ( 11 ) V. considerando 3 e 4 della direttiva 2003/88, nonché, segnatamente, sentenza del 14 maggio 2019, CCOO (C‑55/18, EU:C:2019:402, punto 37 e la giurisprudenza ivi citata).

    ( 12 ) V., segnatamente, articolo 2, punto 9, della direttiva 2003/88. V., parimenti, sentenze del 6 novembre 2018, Kreuziger (C‑619/16, EU:C:2018:872, punti 3940, e la giurisprudenza ivi citata), e dell’11 aprile 2019, Syndicat des cadres de la sécurité intérieure (C‑254/18, EU:C:2019:318, punto 34 e la giurisprudenza ivi citata).

    ( 13 ) V., in tal senso, segnatamente, sentenza del 6 novembre 2018, Kreuziger (C‑619/16, EU:C:2018:872, punto 39 e la giurisprudenza ivi citata), nonché conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa Sindicatul Familia Constanţa e a. (C‑147/17, EU:C:2018:518, paragrafo 53).

    ( 14 ) E ciò parimenti nei confronti della popolazione degli altri Stati membri. V., su tale aspetto, la «clausola di solidarietà» figurante all’articolo 222 TFUE.

    ( 15 ) Il governo francese menziona, a tal riguardo, l’articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico del 4 aprile 1949, che impone alle sue parti di essere in grado, in qualsiasi momento, di assistere militarmente ogni altro membro dell’Alleanza che sia vittima di attacco armato, e l’articolo 24 della Carta delle Nazioni unite, firmata a San Francisco il 26 giugno 1945, che conferisce ai membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, di cui la Repubblica francese fa parte, la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.

    ( 16 ) V. articoli da 42 a 46 TUE (in prosieguo: la «PSDC»).

    ( 17 ) V., per la stessa constatazione, Baude, F., e Vallée, F., Droit de la défense, Ellipses, 2012, pag. 122 e 123; Faugère, J.-M., «L’état militaire: Aggiornamento ou rupture», Revue «Inflexions», 2012, n. 20, pag. 53, e Malis., C., Guerre et stratégie au XXIe siècle, Fayard, 2014, pagg. da 16 a 53 e da 153 a 182.

    ( 18 ) V., sui diversi approcci degli Stati membri concernenti l’orario di lavoro dei militari, Piotet, F. (a cura di), Les conditions de vie des militaires en Europe, convergences et divergences (Allemagne, Belgique, Espagne, France, Pays-Bas, Italie et Royaume-Uni), C2SD, Parigi, 2003, pag. 95), nonché Leigh, I., Born, H., Handbook on Human Rights and Fundamental Freedoms of Armed Forces Personnel, OSCE Office for Democratic Institutions and Human Rights (ODIHR), 2008, pagg. 178 e 179.

    ( 19 ) V. Verordnung vom 16. November 2015 über die Arbeitszeit der Soldatinnen und Soldaten (regolamento del 16 novembre 2015 relativo all’orario di lavoro dei soldati) (BGBl. 2015 I, pag. 1995).

    ( 20 ) V. accord relatif au temps de travail et de repos dans l’armée, du 12 juillet 2019 (accordo relativo all’orario di lavoro e di riposo nell’esercito, del 12 luglio 2019).

    ( 21 ) Per come comprendo la legislazione slovena, i militari sono considerati dipendenti pubblici soggetti, in linea di principio, alla normativa generale in materia di orario di lavoro (v. paragrafo 11 delle presenti conclusioni), fermo restando che la legge in materia di difesa prevede cionondimeno taluni adattamenti, in particolare per le guardie.

    ( 22 ) V. Orden DEF/253/2015, de 9 de febrero, por la que se regula el régimen de vacaciones, permisos, reducciones de jornada y licencias de los miembros de las Fuerzas Armadas (decreto DEF/253/2015 del 9 febbraio 2015, che disciplina il regime delle vacanze, dei permessi, delle riduzioni dell’orario di lavoro e delle licenze dei membri delle forze armate) (BOE n. 42 del 18 febbraio 2015, n. 13193), in particolare articolo 3, e Orden DEF/1363/2016, de 28 de julio, por la que se regulan la jornada y el régimen de horario habitual en el lugar de destino de los miembros de las Fuerzas Armadas (decreto DEF/1363/2016 del 28 luglio 2106, che disciplina la giornata lavorativa e l’orario abituale presso la sede di servizio dei membri delle forze armate) (BOE n. 192, del 10 agosto 2016, pag. 57311), in particolare articolo 4.

    ( 23 ) V. Lo Torto, A., «L’orario di servizio del personale militare, valenza disciplinare e rilevanza penale», Periodico di Diritto e Procedura Penale Militare, n. 4, 2015.

    ( 24 ) Il governo francese sottolinea che la funzione militare è «singolare» rispetto a tutte le altre: solo i militari hanno il diritto di uccidere, accompagnato dal dovere di rischiare la propria vita se il compito lo richiede. V., sul principio di disponibilità, come concepito nel diritto francese, articolo L.4111-1 del codice della difesa; Pêcheur, B., Heitz, R., e Vandier, P., «Le militaire, travailleur, justiciable, citoyen comme les autres?», Revue Défense Nationale, n. 825, dicembre 2019, pag. da 21 a 30, nonché Vinot, J., «La disponibilité: une singularité militaire en question», in Un monde en turbulence – Regards du CHEM 2019 – 68e session.

    ( 25 ) Eccezion fatta per il diritto alle ferie annuali retribuite previsto all’articolo 7 della direttiva 2003/88, che non è oggetto del procedimento principale.

    ( 26 ) V., segnatamente, sentenza del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanţa e a. (C‑147/17, EU:C:2018:926, punto 35 e la giurisprudenza ivi citata).

    ( 27 ) V., per analogia, sentenza del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanţa e a. (C‑147/17, EU:C:2018:926, punti da 36 a 38).

    ( 28 ) V. articolo 5 della legge in materia di difesa, riprodotto alla nota 5 delle presenti conclusioni.

    ( 29 ) Tale disposizione così recita: «L’Unione rispetta l’uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale (…). Rispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell’integrità territoriale, di mantenimento dell’ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale. In particolare, la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro».

    ( 30 ) La nozione di «sicurezza nazionale» si riferisce al complesso delle minacce e dei rischi che possono pregiudicare le funzioni essenziali dello Stato e gli interessi fondamentali della società [v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2020, La Quadrature du Net e a. (C‑511/18, C‑512/18 e C‑520/18, EU:C:2020:791, punto 135)], minacce il cui carattere «ibrido», nel contesto geopolitico attuale (v. paragrafo 29 delle presenti conclusioni), comporta una cancellazione della distinzione tradizionale fra sicurezza interna (forze dell’ordine) e sicurezza esterna (difesa e forze armate), soppiantata da tale nozione omnicomprensiva.

    ( 31 ) In conformità al principio di attribuzione enunciato all’articolo 5, paragrafo 2, TUE. Non ignoro le evoluzioni apportate dal Trattato di Lisbona in materia di difesa, nell’ambito della PSDC. Possono essere citati, al riguardo, l’ampliamento delle missioni nelle quali l’Unione può ricorrere a mezzi militari (articolo 43, paragrafo 1, TUE); l’istituzionalizzazione dell’Agenzia europea per la difesa (articolo 42, paragrafo 3, e articolo 45 TUE); la cooperazione strutturata permanente (articolo 42, paragrafo 6, e articolo 46 TUE) o, ancora, la «clausola di reciproca assistenza» (articolo 42, paragrafo 7, TUE). Cionondimeno, tali evoluzioni non danno luogo ad una «comunitarizzazione» delle politiche di difesa o delle forze armate degli Stati membri. La cooperazione intergovernativa resta la regola nel funzionamento della PSDC. Pur se tale politica include la definizione progressiva di una politica di difesa comune, che condurrà, a lungo termine, ad una difesa comune, non è ancora questo il caso. V. Baude, F., e Vallée, F., op. cit., pagg. da 120 a 122.

    ( 32 ) Sentenza del 6 ottobre 2020, Privacy International (C‑623/17, EU:C:2020:790, punto 44 e la giurisprudenza ivi citata). V. parimenti, in tal senso, sentenze del 26 ottobre 1999, Sirdar (C‑273/97, EU:C:1999:523, punti 1516), nonché dell’11 gennaio 2000, Kreil (C‑285/98, EU:C:2000:2, punti 1516).

    ( 33 ) Ad esempio, nelle sentenze del 26 ottobre 1999, Sirdar (C‑273/97, EU:C:1999:523), e dell’11 gennaio 2000, Kreil (C‑285/98, EU:C:2000:2), la Corte ha dichiarato che il divieto di discriminazioni fondate sul sesso, quale previsto, all’epoca, nella direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU 1976, L 39, pag. 40), si applica parimenti agli impieghi militari e disciplina pertanto l’esercizio, da parte di ciascuno Stato membro, della sua competenza in materia di organizzazione delle sue forze armate.

    ( 34 ) Sentenza dell’11 marzo 2003 (C‑186/01, EU:C:2003:146).

    ( 35 ) Conclusioni nella causa Dory (C‑186/01, EU:C:2002:718).

    ( 36 ) V., in tal senso, sentenza dell’11 marzo 2003, Dory (C‑186/01, EU:C:2003:146, punto 39), nonché conclusioni dell’avvocato generale Stix-Hackl nella causa Dory (C‑186/01, EU:C:2002:718, paragrafi 55, 6263).

    ( 37 ) V., in tal senso, sentenza dell’11 marzo 2003, Dory (C‑186/01, EU:C:2003:146, punti 4041), nonché conclusioni dell’avvocato generale Stix-Hackl nella causa Dory (C‑186/01, EU:C:2002:718, paragrafi da 77 a 108). V., per analogia, sentenze del 4 ottobre 1991, Society for the Protection of Unborn Children Ireland (C‑159/90, EU:C:1991:378, punto 24), e del 27 gennaio 2000, Graf (C‑190/98, EU:C:2000:49, punto 25).

    ( 38 ) Il governo francese sostiene parimenti che le norme sull’organizzazione delle forze armate sono idonee a far parte dell’«identità nazionale» degli Stati membri, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE. Mi riservo di esaminare tale aspetto ai paragrafi 95 e 96 delle presenti conclusioni.

    ( 39 ) Il legislatore dell’Unione deve prevedere dunque, qualora sia necessario, negli strumenti di diritto derivato, taluni adeguamenti, deroghe ed altre eccezioni che consentano, se del caso, agli Stati membri di salvaguardare il buon funzionamento delle loro funzioni pubbliche essenziali. Ciò vale peraltro nel caso di un elevato numero di questi strumenti.

    ( 40 ) V., per analogia, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa G4S Secure Solutions (C‑157/15, EU:C:2016:382, paragrafo 32) e conclusioni dell’avvocato generale Pikamäe nella causa Stadt Frankfurt am Main (C‑18/19, EU:C:2020:130, paragrafo 76).

    ( 41 ) V., segnatamente, considerando 2, 4 e 5, nonché articoli da 3 a 7 della direttiva 2003/88.

    ( 42 ) V., per analogia, sentenza del 13 novembre 1997, Grahame e Hollanders (C‑248/96, EU:C:1997:543, punto 29). Preciso che i rapporti esistenti fra i militari e le forze armate possono essere di diversi tipi. In particolare, esistono militari «professionisti», i quali scelgono liberamente di impegnarsi nelle forze armate – per tutta la loro carriera o per il periodo di un contratto – e «chiamati», arruolati in maniera obbligatoria, segnatamente nell’ambito e per la durata del servizio di leva esistente in taluni Stati membri (v. paragrafo 45 delle presenti conclusioni). Poiché il procedimento principale riguarda un militare professionista, le presenti conclusioni prendono in considerazione principalmente tale categoria, la quale è, del resto, attualmente preponderante. Infatti, se, storicamente, gli ampi effettivi delle forze armate occidentali si basavano essenzialmente sulla coscrizione, dalla fine della guerra fredda si osserva una tendenza generale al «serraggio» di tale forze intorno ad un contingente ridotto di militari professionisti. V. Malis, C., op. cit., pagg. 117, 118 e 122.

    ( 43 ) V., segnatamente, sentenza del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanţa e a. (C‑147/17, EU:C:2018:926, punto 41 e la giurisprudenza ivi citata).

    ( 44 ) V. raccomandazione CM/Rec (2010) 4 sui diritti umani dei membri delle forze armate, adottata dal Comitato dei Ministri il 24 febbraio 2010 nel corso della 1077a riunione dei delegati dei ministri, pag. 25.

    ( 45 ) V., segnatamente, sentenza del 3 maggio 2012, Neidel (C‑337/10, EU:C:2012:263, punto 25 e la giurisprudenza ivi citata).

    ( 46 ) Come avviene, ad esempio, nel diritto francese.

    ( 47 ) V., segnatamente, sentenza del 26 marzo 2015, Fenoll (C‑316/13, EU:C:2015:200, punto 31 e la giurisprudenza ivi citata).

    ( 48 ) Ciò si spiega verosimilmente con il fatto che la direttiva 89/391 è la «direttiva quadro», la quale fissa i principi generali in materia di sicurezza e di salute sul lavoro, principi che sono stati attuati nella direttiva 2003/88 (v. paragrafo 25 delle presenti conclusioni).

    ( 49 ) Anche i militari della marina non rientrano in detta eccezione. Infatti, l’accordo europeo sull’organizzazione dell’orario di lavoro della gente di mare, figurante in allegato alla direttiva 1999/63/CE, si applica «alla gente di mare presente a bordo di ogni nave marittima (…) impegnata normalmente in operazioni di marina mercantile», il che esclude dunque le operazioni marittime militari (v. clausola 1, paragrafo 1, di tale accordo).

    ( 50 ) Preciso, da un lato, che il servizio pubblico della difesa non è fornito unicamente da eserciti statali. Il mercenariato è sempre esistito. V., per esempi di impieghi di tali militari privati da parte degli Stati occidentali nella storia recente, Malis, C., op. cit., pagg. da 134 a 138. Dall’altro, come ho indicato al paragrafo 28 delle presenti conclusioni, le forze armate degli Stati membri sono spesso coinvolte in altre attività di interesse generale.

    ( 51 ) Più precisamente, nelle sue osservazioni scritte, il governo sloveno ha fatto valere che il servizio di guardia effettuato dai militari sloveni è un’attività esclusa dalla direttiva 2003/88. Per contro, in udienza, tale governo mi sembra avere sostenuto, al pari dei governi spagnolo e francese, che i militari sono esclusi in via permanente, con riferimento a tutti i compiti, dall’ambito di applicazione di tale direttiva.

    ( 52 ) E potenzialmente anche della direttiva 89/391, benché la posizione di detti governi non sia limpida su tale punto.

    ( 53 ) V., per analogia, sentenza del 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a. (da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 53).

    ( 54 ) V. paragrafo 55 delle presenti conclusioni.

    ( 55 ) V. sentenza del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanţa e a. (C‑147/17, EU:C:2018:926, punto 55 e la giurisprudenza ivi citata).

    ( 56 ) V. sentenza del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanţa e a. (C‑147/17, EU:C:2018:926, punti 56, 58, 5961).

    ( 57 ) V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Saggio nella causa Simap (C‑303/98, EU:C:1999:621, paragrafo 27), nonché conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa Sindicatul Familia Constanţa e a. (C‑147/17, EU:C:2018:518, paragrafo 51).

    ( 58 ) V. paragrafi 46 e 47 delle presenti conclusioni.

    ( 59 ) V. articoli da 3 a 7 della direttiva 2003/88, che riconoscono i diritti da essa previsti a «qualsiasi lavoratore».

    ( 60 ) Ricordo che la direttiva 89/391 è stata adottata sulla base dell’articolo 118 A TCE, e la direttiva 2003/88 su quella dell’articolo 137 TCE, il quale aveva sostituito detto articolo 118 A, e che è divenuto a sua volta l’articolo 153 TFUE. Orbene, da un lato, detta disposizione, al pari di quelle che l’hanno preceduta, attribuisce all’Unione la competenza ad adottare prescrizioni minime per proteggere la salute e la sicurezza dei «lavoratori» in generale; dall’altro, come risulta dal paragrafo 43 delle presenti conclusioni, benché la difesa rientri nella competenza degli Stati membri, ciò non vieta all’Unione di avere, in conformità alla competenza riconosciutale segnatamente da tale disposizione, una politica in materia sociale che includa a priori tutti i lavoratori, inclusi quelli impiegati in tale settore, di cui fanno parte i militari.

    ( 61 ) V. articolo 151 TFUE, che così recita: «[l]’Unione e gli Stati membri (...) hanno come obiettivi (...) il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro».

    ( 62 ) V., segnatamente, sentenze del 26 giugno 2001, BECTU (C‑173/99, EU:C:2001:356, punto 43), nonché del 14 maggio 2019, CCOO (C‑55/18, EU:C:2019:402, punto 30 e la giurisprudenza ivi citata).

    ( 63 ) V. articolo 23, paragrafo 1, e articolo 24 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948; articolo 7 del patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966; preambolo, parte I, punto 2, nonché articolo 2 della carta sociale europea, firmata a Torino il 18 ottobre 1961. V. parimenti Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), convenzioni n. 132 relativa ai congedi annuali pagati (nuova versione del 1970) (C132), n. 155 sulla sicurezza e la salute dei lavoratori, 1981 (C155), e n. 171 sul lavoro notturno, 1990 (C171).

    ( 64 ) V. punti 7 e 8 di tale carta.

    ( 65 ) V., segnatamente, per quanto riguarda la carta sociale europea, raccomandazione CM/Rec (2010) 4 sui diritti umani dei membri delle forze armate, cit. supra, titolo Q. Inoltre, la nozione di «lavoratore», ai sensi dell’articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali, corrisponde a quella della direttiva 2003/88 [v., segnatamente, sentenza del 26 marzo 2015, Fenoll (C‑316/13, EU:C:2015:200, punto 26)]. I militari beneficiano pertanto, in quanto «lavoratori», dei diritti fondamentali garantiti a tale disposizione.

    ( 66 ) V., segnatamente, sentenza del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanţa e a. (C‑147/17, EU:C:2018:926, punto 53 e la giurisprudenza ivi citata).

    ( 67 ) V., per analogia, sentenze del 26 ottobre 1999, Sirdar (C-‑273/97, EU:C:1999:523, punto 27); dell’11 gennaio 2000, Kreil (C‑285/98, EU:C:2000:2, punto 24), nonché del 20 marzo 2018, Commissione/Austria (Tipografia di Stato) (C‑187/16, EU:C:2018:194, punto 78).

    ( 68 ) Il governo francese ha evocato i numerosi conflitti che la Repubblica francese si è trovata ad affrontare. Il governo sloveno, da parte sua, ha menzionato il conflitto che ha accompagnato l’indipendenza della Repubblica di Slovenia all’inizio degli anni ’90.

    ( 69 ) V., nell’ambito della PSDC, articolo 42, paragrafo 6, TUE.

    ( 70 ) V., per analogia, sentenza del 20 marzo 2018, Commissione/Austria (Tipografia di Stato) (C‑187/16, EU:C:2018:194, punti da 78 a 80 e la giurisprudenza ivi citata).

    ( 71 ) V. paragrafo 28 delle presenti conclusioni.

    ( 72 ) Il governo francese evoca l’addestramento agli interventi di notte, il quale implicherebbe di derogare alle norme in materia di lavoro notturno di cui a tale direttiva (v. paragrafo 24 delle presenti conclusioni).

    ( 73 ) V. paragrafo 29 delle presenti conclusioni.

    ( 74 ) V. paragrafo 26 delle presenti conclusioni.

    ( 75 ) V., per quanto riguarda i militari, raccomandazione CM/Rec (2010) 4 sui diritti umani dei membri delle forze armate, cit. supra, pag. 56.

    ( 76 ) V. sentenze del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanţa e a. (C‑147/17, EU:C:2018:926, punto 67), nonché del 30 aprile 2020, Készenléti Rendőrség (C‑211/19, EU:C:2020:344, punto 40).

    ( 77 ) V. sentenze del 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a. (da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 57), nonché del 30 aprile 2020, Készenléti Rendőrség (C‑211/19, EU:C:2020:344, punto 41).

    ( 78 ) V., segnatamente, sentenza del 30 aprile 2020, Készenléti Rendőrség (C‑211/19, EU:C:2020:344, punto 44).

    ( 79 ) V., segnatamente, sentenze del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanţa e a. (C‑147/17, EU:C:2018:926, punto 67), nonché del 30 aprile 2020, Készenléti Rendőrség (C‑211/19, EU:C:2020:344, punti 4042).

    ( 80 ) Sentenza del 20 novembre 2018 (C‑147/17, EU:C:2018:926).

    ( 81 ) Sentenza del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanţa e a. (C‑147/17, EU:C:2018:926, punto 68).

    ( 82 ) V. sentenza del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanţa e a. (C‑147/17, EU:C:2018:926, punti da 70 a 75).

    ( 83 ) V., per analogia, sentenza del 30 aprile 2020, Készenléti Rendőrség (C‑211/19, EU:C:2020:344, punto 44).

    ( 84 ) Sentenza del 20 novembre 2018 (C‑147/17, EU:C:2018:926).

    ( 85 ) V., per analogia, Corte EDU, 22 marzo 2012, Konstantin Markin c. Russia, EC:ECHR:2012:0322JUD003007806, (§ 148). Lo stesso potrebbe valere per determinate categorie del personale civile dell’esercito.

    ( 86 ) V., per analogia, sentenza del 26 ottobre 1999, Sirdar (C‑273/97, EU:C:1999:523, punti da 21 a 32). V., per il profilo e per un riassunto degli impieghi delle forze speciali nella storia recente, Malis, C., op. cit., pag. 118 e pagg. da 130 a 133.

    ( 87 ) V., in tal senso, sentenza del 12 gennaio 2006, Commissione/Spagna (C‑132/04, non pubblicata, EU:C:2006:18). Analogamente, nessuno degli strumenti menzionati al paragrafo 62 delle presenti conclusioni contiene un’esclusione generale per i militari per quanto attiene al diritto a condizioni di lavoro giuste ed eque, mentre una siffatta esclusione è talvolta prevista in relazione ad altri diritti fondamentali, fra cui il diritto di associazione e il diritto di negoziazione collettiva (v., segnatamente, paragrafo 14 della carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori).

    ( 88 ) V., in tal senso, Bundesverwaltungsgericht (Tribunale amministrativo federale, Germania), 15 dicembre 2011, 2 C 41.10 (DE:BVerwG:2011:151211U2C41.10.0). Del resto, il fatto che i militari non siano esclusi, in linea di principio, dall’ambito di applicazione della direttiva 89/391 è parimenti dimostrato dal fatto che diverse «direttive particolari» in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, adottate sul fondamento della prima direttiva, prevedono deroghe che li riguardano. V., a tal proposito, articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 89/656/CEE del Consiglio, del 30 novembre 1989, relativa alle prescrizioni minime in materia di sicurezza e salute per l’uso da parte dei lavoratori di attrezzature di protezione individuale durante il lavoro (terza direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE) (GU 1989, L 393, pag. 18). V., parimenti, articolo 10, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2013/35/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, sulle disposizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici) (ventesima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE) e che abroga la direttiva 2004/40/CE (GU 2013, L 179, pag. 1). Se ne desume, a contrario, che, in linea di principio, le direttive in materia di salute e di sicurezza sul lavoro che attuano la direttiva 89/391 – le quali vertono su aspetti molto diversi, quali i luoghi di lavoro, l’utilizzazione da parte dei lavoratori sul posto di lavoro di attrezzature da lavoro, di attrezzature munite di videoterminali, la prevenzione dei rischi connessi all’esposizione ad agenti cancerogeni, al rumore, alle vibrazioni sul posto di lavoro, ecc. – si applicano ai militari.

    ( 89 ) Preciso che, in generale, le forze armate degli Stati membri non costituiscono «blocchi» omogenei. I militari occupano un numero estremamente diversificato di posti di lavoro, alcuni operativi, altri decisamente meno, e sono incaricati di compiti e missioni molto diversi.

    ( 90 ) Altrimenti, tale disposizione perderebbe buona parte della sua ratio, poiché essa costituirebbe un doppione, segnatamente, dell’articolo 347 TFUE, il quale consente agli Stati membri di derogare al diritto dell’Unione, in generale, «nell’eventualità di gravi agitazioni interne che turbino l’ordine pubblico, in caso di guerra o di grave tensione internazionale che costituisca una minaccia di guerra ovvero per far fronte agli impegni da esso assunti ai fini del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale». V., per analogia, articolo 15 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e articolo 30 della carta sociale europea.

    ( 91 ) V paragrafo 29 delle presenti conclusioni. A titolo di esempio, i soldati europei inviati in Afghanistan sono assunti in «tempo di pace» – in assenza di una dichiarazione di guerra contro lo Stato afgano – in una «guerra al terrorismo» per il mantenimento o il ristabilimento della pace e della sicurezza internazionali, e si trovano di fronte ad un nemico «asimmetrico» o «irregolare», ai sensi del diritto internazionale, ossia non appartenente ad un esercito statale.

    ( 92 ) V. articolo 6 della direttiva 89/391. Peraltro, è quanto previsto dalla normativa francese che traspone tale direttiva. Tale normativa prevede che, nel caso del «personale militare che esercita attività della stessa natura di quelle assegnate al personale civile», le norme risultanti da tale direttiva si applicano in toto. Il militare che esercita una siffatta attività dispone anche, al pari di ogni funzionario, di un diritto di ritirarsi allorché vi sia un ragionevole motivo per ritenere che la sua situazione di lavoro presenti un pericolo grave e imminente per la sua vita o per la sua salute. Per contro, «se particolarità inerenti alle attività di difesa nazionale, di sicurezza interna o di sicurezza civile si oppongano in modo imperativo» all’applicazione di tali norme, «l’autorità di assunzione provvede a garantire la sicurezza e a proteggere la salute fisica e mentale del militare, adeguando [dette norme] alle peculiarità locali e all’ambiente operativo». In tale ipotesi, un militare non dispone di un diritto di ritirarsi. V. décret n. 2018-1286, du 27 décembre 2018, relatif aux conditions d’hygiène et de sécurité destinées à prévenir la santé et l’intégrité physique des militaires durant leur service (decreto n. 2018-1286, del 27 dicembre 2018, relativo alle condizioni igieniche e di sicurezza destinate a promuovere la salute e l’integrità fisica dei militari durante il loro servizio) (JORF n. 0301 del 29 dicembre 2018), in particolare articoli R.4123-53 e R.4123-54. V. parimenti décret n. 2012-422, du 29 mars 2012, relatif à la santé et à la sécurité au travail au ministère de la défense (decreto n. 2012-422, del 29 marzo 2012, relativo alla salute e alla sicurezza sul lavoro nel Ministero della Difesa) (JORF n. 0077 del 30 marzo 2012), articoli 35 e 36. Quest’ultimo decreto contrappone, più precisamente, il «personale militare che esercita attività della stessa natura di quelle assegnate al personale civile» al «personale militare che esercita un’attività di carattere operativo o di addestramento al combattimento», il che corrisponde, più o meno, alla distinzione suggerita nelle presenti conclusioni. Orbene, osservo che, quantomeno, taluni esperti delle questioni militari francesi ritengono che questa stessa normativa operi un buon equilibrio fra gli obblighi di diritto europeo e le necessità delle forze armate. V. Haut Comité d’évaluation de la condition militaire (HCECM), 13a relazione tematica, «La mort, la blessure, la maladie», luglio 2019, pag. 92

    ( 93 ) Si tratta, più precisamente, delle norme concernenti il riposo giornaliero (articolo 3), la pausa (articolo 4), il riposo settimanale (articolo 5), la durata del lavoro notturno (articolo 8) e i periodi di riferimento (articolo 16) (v., per tali norme, paragrafo 24 delle presenti conclusioni).

    ( 94 ) V. sentenza del 14 ottobre 2010, Union syndicale Solidaires Isère (C‑428/09, EU:C:2010:612, punto 48).

    ( 95 ) V. considerando 15 della direttiva 2003/88.

    ( 96 ) V. paragrafo 71 delle presenti conclusioni.

    ( 97 ) È facilmente immaginabile che il datore di lavoro difficilmente potrebbe «combattere i rischi alla fonte», come richiesto dall’articolo 6 della direttiva 89/391.

    ( 98 ) Preciso che, a mio avviso, l’esclusione riguarda in tal caso la totalità delle truppe coinvolte, vale a dire non solo i militari impiegati sul teatro di operazioni, ma anche quelli la cui attività sia direttamente connessa alla condotta o al sostegno delle operazioni esterne, e che è dunque scandita dalle esigenze di tali operazioni.

    ( 99 ) V., per una testimonianza illuminante, De Braquilanges, M., «Les militaires et le temps de travail», blog Theatrum Belli, 2017: «(…) il personale inviato si trova permanentemente in una posizione operativa, poiché la minaccia resta presente in qualsiasi momento per lo stesso o per unità vicine in difficoltà che possono chiedere il nostro appoggio, indipendentemente dal fatto se ci si trovi in stato di riposo, di recupero o, a fortiori, in missione. Nella nebbia della guerra, regolamentare l’orario di lavoro significherebbe voler respingere l’imprevisto sempre possibile in quanto frutto della volontà di un avversario. (...) Limitare l’orario di lavoro in un’operazione genererebbe inevitabilmente dubbi quanto alla nostra determinazione fissando noi stessi un limite alla nostra disponibilità e dunque al nostro impegno (…)».

    ( 100 ) V. paragrafo 28 delle presenti conclusioni.

    ( 101 ) V. paragrafo 71 delle presenti conclusioni.

    ( 102 ) Ordinanza del 14 luglio 2005, Personalrat der Feuerwehr Hamburg (C‑52/04, EU:C:2005:467, punto 52).

    ( 103 ) V. paragrafo 73 delle presenti conclusioni.

    ( 104 ) V., analogamente, HCECM, 9a relazione tematica, «Perspectives de la condition militaire», giugno 2015, pagg. 50 e 51; HCECM, 11a relazione tematica, «La fonction militaire dans la société française», settembre 2017, pagg. 24 e 25, nonché De Braquilanges, M., op. cit.

    ( 105 ) V. paragrafo 64 delle presenti conclusioni.

    ( 106 ) V. paragrafo 66 delle presenti conclusioni.

    ( 107 ) È evidente che tale deroga riguarderà, nella prassi, soprattutto i militari che occupano posti operativi piuttosto che quelli che occupano posti lontani da tali operazioni. In tale contesto, qualora le autorità competenti ritengano imperativo impiegare militari in operazioni o organizzare un addestramento o un esercizio necessario alla preparazione operativa, l’articolo 7 della direttiva 2003/88, il quale prevede, lo ricordo, un diritto alle ferie annuali retribuite, non osterebbe dunque, a mio avviso, a che, se del caso, taluni militari siano richiamati dal permesso. Ritengo che tale disposizione osterebbe semplicemente a che un militare perda, a causa di un tale richiamo, il soldo delle ferie non godute.

    ( 108 ) Quanto alla questione se una decisione di impiegare forze armate in operazioni dovrebbe dare luogo ad un sindacato giurisdizionale, ritengo che ciascuno Stato membro dovrebbe applicare i propri standard in materia. Infatti, mi sembrerebbe difficilmente giustificabile che il diritto dell’Unione imponga un siffatto standard di controllo per il solo fatto che tale decisione implica di derogare alle norme delle direttive 89/391 e 2003/88.

    ( 109 ) V., analogamente, raccomandazione CM/Rec (2010) 4 sui diritti umani dei membri delle forze armate, cit. supra, titolo Q, paragrafo 67, nonché motivazione, pag. 62 e 63.

    ( 110 ) V. paragrafo 25 delle presenti conclusioni.

    ( 111 ) Non posso parimenti che farmi portavoce dei messaggi ottimisti secondo i quali siffatte norme in materia di orario di lavoro contribuiscono al reclutamento e alla fidelizzazione dei militari (v., segnatamente, Leigh, I., Born, H., op. cit., pag. 175), in un’epoca in cui certe aspirazioni ad una migliore conciliazione fra vita professionale e vita privata si ritrovano in una parte di essi (v., segnatamente, HCECM, «La vie des militaires et de leur famille selon le lieu d’affectation», 12a relazione, giugno 2018, e Brault, O., «Les défis de la préservation d’une singularité militaire», in Un monde en turbulence – Regards du CHEM 2019 – 68e session).

    ( 112 ) V. paragrafo 33 delle presenti conclusioni.

    ( 113 ) V. Conseil constitutionnel (Corte costituzionale, Francia), decisioni n. 2014-432 QPC del 28 novembre 2014 e n. 2014-45Q QPC del 27 febbraio 2015.

    ( 114 ) Pur se il principio di disponibilità dei militari riveste, senza dubbio, un’importanza considerevole nel diritto francese, e pur se i principi di organizzazione delle forze armate possono presentare talune peculiarità da uno Stato membro all’altro (v. paragrafo 65 delle presenti conclusioni), esito a collocare tali principi nella stessa categoria della forma repubblicana dello Stato [v., segnatamente, sentenza del 2 giugno 2016, Bogendorff von Wolffersdorff (C‑438/14, EU:C:2016:401, punto 64)] o, ancora, della sua lingua ufficiale [v., segnatamente, sentenza del 16 aprile 2013, Las (C‑202/11, EU:C:2013:239, punto 26)]. Inoltre, se l’«identità nazionale» di ciascuno Stato membro comprende la sua «identità costituzionale» [v., segnatamente, conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro nella causa Michaniki (C‑213/07, EU:C:2008:544, paragrafo 31)], quest’ultima nozione riguarda unicamente, a mio avviso, un «nocciolo duro» di norme costituzionali nazionali, le quali definiscono l’identità stessa dell’ordine costituzionale in questione. Orbene, mi chiedo se la «libertà di disporre della forza armata» ne faccia davvero parte.

    ( 115 ) V. paragrafo 87 delle presenti conclusioni. Neanche tale interpretazione cancella dunque, a mio avviso, la singolarità della professione militare (v. paragrafo 33 delle presenti conclusioni).

    ( 116 ) V., per proposte che vanno nella stessa direzione, OIL, raccomandazione n. 116 sulla riduzione dell’orario di lavoro, 1962 (R116), punto 14, lettera a), ii) e lettera b), iv).

    ( 117 ) In particolare, nella sentenza dell’11 gennaio 2000, Kreil (C‑285/98, EU:C:2000:2, punti da 20 a 29), la Corte ha dichiarato che l’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 76/207, che autorizza talune deroghe al divieto di discriminazione in relazione alle attività professionali «per le quali, in considerazione della loro natura o delle condizioni per il loro esercizio, il sesso rappresenti una condizione determinante», non consente ad uno Stato membro di escludere totalmente le donne dagli impieghi militari comportanti l’uso di armi, fermo restando che una siffatta esclusione non può considerarsi come una misura di deroga giustificata dalla natura specifica degli impieghi di cui trattasi o dalle particolari condizioni per il loro esercizio. V., parimenti, in materia di IVA, sentenza del 16 settembre 1999, Commissione/Spagna (C‑414/97, EU:C:1999:417); in materia di appalti pubblici, sentenza dell’8 aprile 2008, Commissione/Italia (C‑337/05, EU:C:2008:203) e, in materia doganale, segnatamente, sentenza del 15 dicembre 2009, Commissione/Finlandia (C‑284/05, EU:C:2009:778).

    ( 118 ) V. articolo 42, paragrafo 6, TUE.

    ( 119 ) V. paragrafo 64 delle presenti conclusioni.

    ( 120 ) Il giudice del rinvio dovrà segnatamente verificare se, come sostenuto dal governo sloveno, il servizio di guardia effettuato dai militari sloveni sia un addestramento che rientra nella preparazione operativa, circostanza di cui si può a priori dubitare.

    ( 121 ) Per contro, le deroghe specifiche previste all’articolo 17, paragrafo 3, lettera b) e c), della direttiva 2003/88 sono rilevanti, in particolare, per detta attività (v. paragrafo 85 delle presenti conclusioni).

    ( 122 ) V., segnatamente, sentenze del 3 ottobre 2000, Simap (C‑303/98, EU:C:2000:528, punti 4849); del 9 settembre 2003, Jaeger (C‑151/02, EU:C:2003:437, punti 6365), nonché del 21 febbraio 2018, Matzak (C‑518/15, EU:C:2018:82, punto 59).

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