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Document 62019CC0710

Conclusioni dell’avvocato generale M. Szpunar, presentate il 17 settembre 2020.
G. M. A. contro État belge.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta da Conseil d'État (Belgio).
Rinvio pregiudiziale – Libera circolazione delle persone – Articolo 45 TFUE – Cittadinanza dell’Unione – Direttiva 2004/38/CE – Diritto di soggiorno superiore a tre mesi – Articolo 14, paragrafo 4, lettera b) – Richiedenti lavoro – Termine ragionevole per prendere conoscenza delle offerte di lavoro che possano risultare adeguate per il richiedente lavoro e per adottare le misure necessarie al fine di poter essere assunto – Requisiti imposti dallo Stato membro ospitante al richiedente lavoro nella pendenza di tale termine – Condizioni del diritto di soggiorno – Obbligo di dimostrare di essere alla ricerca di un posto di lavoro e di avere buone possibilità di trovarlo.
Causa C-710/19.

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2020:739

 CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MACIEJ SZPUNAR

presentate il 17 settembre 2020 ( 1 ) ( i )

Causa C‑710/19

G.M.A.

contro

Stato belga

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Conseil d’État (Belgio)]

«Rinvio pregiudiziale – Libera circolazione delle persone – Articolo 45 TFUE – Persone in cerca di occupazione – Diritto di soggiornare per cercare un posto di lavoro – Durata del soggiorno – Termine ragionevole concesso alla persona in cerca di occupazione [per prendere conoscenza delle offerte di lavoro che possano convenirle e per adottare le misure necessarie al fine di poter essere assunta] – Obblighi dello Stato membro ospitante – Obbligo della persona in cerca di occupazione – Direttiva 2004/38/CE – Articolo 14, paragrafo 4, lettera b) – Mantenimento del diritto di soggiorno – Presupposti – Articoli 15 e 31 – Garanzie procedurali – Poteri di un giudice nazionale nell’ambito dell’esame di un ricorso di annullamento avverso una decisione che nega il riconoscimento di un diritto di soggiorno superiore a tre mesi ad un cittadino dell’Unione alla ricerca di un’occupazione»

I. Introduzione

1.

Le persone in cerca di occupazione esercitano il loro diritto alla libera circolazione sulla base, al contempo, degli articoli 45 e 21 TFUE ( 2 ): un cittadino dell’Unione europea in cerca di occupazione è un lavoratore ai sensi dell’articolo 45 TFUE. Le persone in cerca di occupazione si trovano dunque nel punto di convergenza tra il mercato interno e la cittadinanza dell’Unione.

2.

È in tale ambito che esaminerò il presente rinvio pregiudiziale, il quale è stato rivolto alla Corte dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio) e verte sull’interpretazione dell’articolo 45 TFUE e della direttiva 2004/38/CE ( 3 ), segnatamente dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), e degli articoli 15 e 31 della stessa.

3.

La presente causa si inserisce nel contesto di una domanda presentata da un cittadino greco al fine di ottenere un diritto di soggiorno superiore a tre mesi in qualità di persona in cerca di occupazione, domanda che è stata oggetto di una decisione di diniego accompagnata da un ordine di lasciare il territorio dell’autorità belga competente.

4.

Le questioni sollevate dal giudice del rinvio in tale causa vertono, in sostanza, da un lato, sulla portata dei diritti e degli obblighi delle persone in cerca di occupazione, segnatamente in materia di onere della prova, nell’ambito dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38 e, dall’altro, sulla questione se gli Stati membri siano tenuti a concedere a tali persone, ai fini della ricerca di un impiego, un termine ragionevole, il quale non può essere inferiore a sei mesi. Tali questioni offrono alla Corte l’occasione di precisare la portata delle garanzie procedurali previste dalla direttiva 2004/38 per le persone in cerca di occupazione che sono state oggetto di una decisione di allontanamento.

II. Contesto normativo

A. Diritto dell’Unione

5.

L’articolo 6 della direttiva 2004/38, intitolato «Diritto di soggiorno sino a tre mesi», prevede quanto segue al suo paragrafo 1:

«I cittadini dell’Unione hanno il diritto di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità».

6.

L’articolo 14 di tale direttiva, intitolato «Mantenimento del diritto di soggiorno», dispone quanto segue al suo paragrafo 4, lettera b):

«In deroga ai paragrafi 1 e 2 e senza pregiudizio delle disposizioni del capitolo VI, un provvedimento di allontanamento non può essere adottato nei confronti di cittadini dell’Unione o dei loro familiari qualora:

(...)

b)

i cittadini dell’Unione siano entrati nel territorio dello Stato membro ospitante per cercare un posto di lavoro. In tal caso i cittadini dell’Unione e i membri della loro famiglia non possono essere allontanati fino a quando i cittadini dell’Unione possono dimostrare di essere alla ricerca di un posto di lavoro e di avere buone possibilità di trovarlo».

7.

L’articolo 15 di detta direttiva, intitolato «Garanzie procedurali», enuncia quanto segue al suo paragrafo 1:

«Le procedure previste agli articoli 30 e 31 si applicano, mutatis mutandis, a tutti i provvedimenti che limitano la libera circolazione dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari per motivi non attinenti all’ordine pubblico, alla pubblica sicurezza o alla sanità pubblica».

8.

L’articolo 31 della stessa direttiva, intitolato «Garanzie procedurali», dispone quanto segue ai suoi paragrafi 1 e 3:

«1.   L’interessato può accedere ai mezzi di impugnazione giurisdizionali e, all’occorrenza, amministrativi nello Stato membro ospitante, al fine di presentare ricorso o chiedere la revisione di ogni provvedimento adottato nei suoi confronti per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica.

(...)

3.   I mezzi di impugnazione comprendono l’esame della legittimità del provvedimento nonché dei fatti e delle circostanze che ne giustificano l’adozione. Essi garantiscono che il provvedimento non sia sproporzionato, in particolare rispetto ai requisiti posti dall’articolo 28».

B. La normativa belga

9.

L’articolo 39/2, paragrafo 2, della loi du 15 décembre 1980 sur l’accès au territoire, le séjour, l’établissement des étrangers et l’éloignement des étrangers (legge del 15 dicembre 1980 sull’accesso al territorio, il soggiorno, lo stabilimento e l’allontanamento degli stranieri; in prosieguo: la «legge del 15 dicembre 1980») ( 4 ) prevede quanto segue:

«Il Consiglio [per il contenzioso degli stranieri] statuisce, con sentenza, sugli altri ricorsi di annullamento per violazione delle forme sostanziali o prescritte a pena di nullità, per eccesso o sviamento di potere».

10.

L’articolo 40, paragrafo 4, punto 1, di tale legge prevede quanto segue:

«§ 4.   Ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare nel Regno per un periodo superiore a tre mesi se soddisfa la condizione prevista all’articolo 41, primo comma[,] e:

1) se è un lavoratore subordinato o autonomo nel Regno o se entra nel Regno per cercare un posto di lavoro, fino a quando possa dimostrare di essere alla ricerca di un posto di lavoro e di avere buone possibilità di trovarlo».

11.

L’articolo 50, paragrafo 1 e paragrafo 2, punto 3, lettere a) e b), dell’arrêté royal du 8 octobre 1981 sur l’accès au territoire, le séjour, l’établissement et l’éloignement des étrangers ( 5 ) (regio decreto dell’8 ottobre 1981 relativo all’accesso al territorio, al soggiorno, allo stabilimento e all’allontanamento degli stranieri; in prosieguo: il «regio decreto dell’8 ottobre 1981») così recita:

«§ 1.   Il cittadino dell’Unione che intende soggiornare più di tre mesi nel territorio del Regno e che dimostra di avere la sua cittadinanza in conformità all’articolo 41, primo comma, della legge [del 15 dicembre 1980], presenta una richiesta di attestazione di registrazione presso l’amministrazione comunale del luogo di residenza a mezzo di un documento conforme al modello figurante all’allegato 19.

(...)

§ 2.   Al momento della domanda o al più tardi nei tre mesi successivi alla domanda, il cittadino dell’Unione, a seconda dei casi, deve produrre i seguenti documenti:

(...)

3) persona in cerca di lavoro;

a)

un’iscrizione presso l’ufficio di collocamento competente o copia di lettere di candidatura; e

b)

la prova di avere buone possibilità di trovare lavoro alla luce della situazione personale dell’interessato, in particolare i diplomi ottenuti, le eventuali formazioni professionali che lo stesso ha seguito o previste e la durata del periodo di disoccupazione».

III. Fatti del procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

12.

Il 27 ottobre 2015, G.M.A., cittadino greco, ha fatto richiesta di un’attestazione di registrazione in Belgio al fine di ottenere un diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi in tale Stato membro in qualità di persona in cerca di occupazione.

13.

Il 18 marzo 2016, tale domanda è stata respinta con decisione dell’Office des étrangers de Belgique (Ufficio per gli stranieri, Belgio; in prosieguo: «l’Ufficio»), con la motivazione che G.M.A. non soddisfaceva le condizioni richieste dalla legislazione belga per beneficiare di un diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi (in prosieguo: la «decisione controversa»). Infatti, secondo l’Ufficio, da un lato, la documentazione prodotta da G.M.A. non faceva supporre che questi avesse effettive possibilità di essere assunto e, dall’altro, G.M.A. non aveva ancora svolto prestazioni subordinate in Belgio dalla sua richiesta di attestazione di registrazione. Di conseguenza, le autorità belga hanno ingiunto a G.M.A. di lasciare il territorio belga entro i 30 giorni successivi alla decisione controversa.

14.

Con sentenza del 28 giugno 2018, il Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso degli stranieri, Belgio) (CCE), organo giurisdizionale competente ad esaminare in primo grado la legittimità delle decisioni dell’Ufficio, ha respinto il ricorso proposto da G.M.A. avverso la decisione controversa.

15.

G.M.A. ha conseguentemente proposto ricorso per cassazione dinanzi al giudice del rinvio. Egli ha fatto valere, innanzitutto, che dall’articolo 45 TFUE e dalla sentenza Antonissen ( 6 ), discende, in primo luogo, che gli Stati membri hanno l’obbligo di concedere un «termine ragionevole» alle persone in cerca di lavoro provenienti da un altro Stato membro, per consentire a tali persone di prendere conoscenza, nello Stato membro ospitante, delle offerte di lavoro che possano loro convenire e di adottare le misure necessarie al fine di essere assunte; in secondo luogo, che tale termine non può essere in nessun caso essere inferiore a sei mesi, e, in terzo luogo, che lo Stato membro ospitante deve autorizzare la presenza sul suo territorio di una persona in cerca di occupazione per tutta la durata di detto termine, senza esigere che la stessa fornisca la prova di avere effettive possibilità di essere assunta. Secondo G.M.A., dal combinato disposto dell’articolo 7, paragrafo 3, e degli articoli 11 e 16 della direttiva 2004/38 risulta parimenti che un periodo inferiore a sei mesi non può essere considerato «ragionevole».

16.

In secondo luogo, G.M.A. ha fatto valere che, successivamente all’adozione della decisione controversa, ossia il 6 aprile 2016, egli era stato assunto in qualità di stagista dal Parlamento europeo. Tale circostanza avrebbe dimostrato che G.M.A. disponeva di buone possibilità di trovare lavoro e che avrebbe dunque potuto beneficiare di un diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi. Pertanto, non prendendo in considerazione la sua assunzione, il CCE avrebbe violato gli articoli 15 e 31 della direttiva 2004/38, nonché gli articoli 41 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). Infatti, da tali disposizioni risulterebbe che i giudici competenti a controllare la legittimità di una decisione amministrativa avente ad oggetto il diritto di soggiorno di un cittadino dell’Unione devono procedere ad un esame esaustivo di tutte le circostanze rilevanti e prendere in considerazione tutti gli elementi di fatto portati alla loro attenzione, anche qualora tali elementi siano posteriori alla decisione di cui trattasi.

17.

Alla luce di tali considerazioni, G.M.A. fa valere che il CCE avrebbe dovuto disapplicare le norme procedurali nazionali che hanno trasposto in modo non corretto gli articoli 15 e 31 della direttiva 2004/38, ossia l’articolo 39/2, paragrafo 2, della legge del 15 dicembre 1980, in forza dei quali il CCE non ha tenuto conto dell’assunzione quale stagista posteriore alla decisione controversa.

18.

Il giudice del rinvio ritiene che la soluzione della controversia principale dipenda dal modo in cui la Corte interpreterà le disposizioni di diritto dell’Unione di cui al procedimento principale. Infatti, se l’articolo 45 TFUE o gli articoli 41 e 47 della Carta, nonché gli articoli 15 e 31 della direttiva 2004/38 dovessero essere interpretati nel senso auspicato da G.M.A., quest’ultimo dovrebbe beneficiare di un diritto di soggiorno superiore a tre mesi.

19.

È in tali circostanze che il Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio), con decisione del 12 settembre 2019, pervenuta presso la cancelleria della Corte il 25 settembre 2019, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l’articolo 45 [TFUE] debba essere interpretato e applicato nel senso che lo Stato membro ospitante ha l’obbligo, in primo luogo, di concedere un termine ragionevole alla persona in cerca di impiego che le consenta di prendere conoscenza delle offerte di lavoro che le possano convenire e di adottare le misure necessarie al fine di essere assunta, in secondo luogo di ammettere che il termine per effettuare la ricerca di lavoro non può in nessun caso essere inferiore a sei mesi, e, in terzo luogo, di autorizzare la presenza sul suo territorio di una persona in cerca di impiego durante tutta la durata di detto termine senza esigere che la stessa fornisca la prova di avere effettive possibilità di essere assunta.

2)

Se gli articoli 15 e 31 della direttiva [2004/38] e gli articoli 41 e 47 della [Carta], nonché i principi generali del primato del diritto dell’Unione europea e dell’effetto utile delle direttive debbano essere interpretati nel senso che i giudici nazionali dello Stato membro ospitante hanno l’obbligo, nell’ambito dell’esame di un ricorso di annullamento contro una decisione che rifiuta il riconoscimento del diritto di soggiorno superiore a tre mesi di un cittadino dell’Unione, di prendere in considerazione nuovi elementi successivi alla decisione adottata dalle autorità nazionali, quando questi ultimi possono determinare una modifica della situazione della persona interessata che non autorizzerebbe più una limitazione del diritto di soggiorno della stessa nello Stato membro ospitante».

20.

Hanno depositato osservazioni scritte G.M.A., i governi belga, danese, polacco e del Regno Unito, nonché la Commissione europea. La Corte ha deciso di non tenere un’udienza, ritenendo di essere sufficientemente edotta per statuire.

IV. Analisi

A. Sul persistere della controversia di cui al procedimento principale

21.

Devo ricordare che la Corte ha già dichiarato che risulta sia dal tenore letterale sia dall’impianto sistematico dell’articolo 267 TFUE che il procedimento pregiudiziale presuppone la pendenza dinanzi ai giudici nazionali di un’effettiva controversia, nell’ambito della quale essi dovranno emettere una pronuncia che possa tener conto della sentenza pregiudiziale della Corte. Pertanto, la Corte può verificare d’ufficio il persistere della controversia di cui al procedimento principale ( 7 ).

22.

Nella specie, la controversia di cui al procedimento principale verte sul rigetto di una richiesta di attestazione di registrazione in Belgio in qualità di persona in cerca di occupazione presentata il 27 ottobre 2015 da G.M.A., il cui obiettivo era quello di ottenere un diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi in tale Stato membro, fermo restando che il Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio) era stato investito di un’impugnazione avverso la sentenza del CCE del 28 giugno 2019, con la quale quest’ultimo aveva respinto il ricorso proposto dall’interessato nei confronti della decisione controversa.

23.

Orbene, dalla decisione di rinvio, nonché dalle osservazioni della Commissione emerge che, a seguito di una nuova domanda presentata da G.M.A. il 25 aprile 2016, era stata rilasciata al medesimo un’attestazione di registrazione da parte del Commune de Schaerbeek (Comune di Schaerbeek, Belgio) il 6 maggio 2017 e che, dal 24 novembre 2016, G.M.A. è titolare di una carta E valida fino al 7 luglio 2021.

24.

La Commissione ritiene, di conseguenza, che non occorra rispondere alla seconda questione pregiudiziale, a causa del venir meno dell’oggetto della richiesta di registrazione in qualità di persona in cerca di occupazione di G.M.A.

25.

Tuttavia, il giudice del rinvio ritiene che l’interesse alla cassazione esista ancora, alla luce, in sostanza, della possibilità di ottenere un diritto di soggiorno permanente in maniera più rapida in caso di annullamento della decisione controversa. Infatti, in tal caso, il soggiorno in via continuativa di cinque anni previsto all’articolo 16 della direttiva 2004/38 necessario al fine di ottenere tale diritto di soggiorno inizierebbe a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di attestazione di registrazione in Belgio, ossia dal 27 ottobre 2015.

26.

Ritengo dunque che il procedimento principale sia tuttora pendente dinanzi al giudice del rinvio e che una risposta della Corte alla seconda questione pregiudiziale sollevata rimanga utile ai fini della definizione di tale procedimento.

B. Sulla prima questione pregiudiziale

1.   Osservazioni preliminari sulla portata della prima questione pregiudiziale

27.

Ricordo anzitutto che, secondo costante giurisprudenza, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia che gli è sottoposta. In tale prospettiva, spetta alla Corte, se necessario, riformulare le questioni che le sono sottoposte ( 8 ).

28.

A tal riguardo, è indubbio che la prima questione pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 45 TFUE. Tuttavia, al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio e alla luce degli elementi figuranti nella sua decisione, tale questione deve essere intesa nel senso che, con la medesima, tale giudice chiede, in sostanza, se l’articolo 45 TFUE e l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38 debbano essere interpretati nel senso che lo Stato membro ospitante è tenuto, in primo luogo, a concedere un termine ragionevole ad una persona in cerca di occupazione, che le consenta di prendere conoscenza delle offerte di lavoro che le possano convenire e di adottare le misure necessarie al fine di essere assunta; in secondo luogo, ad ammettere che il termine per effettuare la ricerca di lavoro non può in nessun caso essere inferiore a sei mesi, e, in terzo luogo, ad autorizzare la presenza sul suo territorio di una persona in cerca di impiego per tutta la durata di detto termine senza esigere che la stessa fornisca la prova di avere effettive possibilità di essere assunta.

29.

Per rispondere a tale questione, procederò ad un’analisi in due fasi. In primo luogo, illustrerò la portata del diritto alla libera circolazione dei cittadini di uno Stato membro alla ricerca di un impiego in un altro Stato membro, come risulta dall’articolo 45 TFUE, interpretato dalla Corte nella sua giurisprudenza, segnatamente nella sentenza Antonissen ( 9 ). In secondo luogo, analizzerò, alla luce delle circostanze della presente causa e nell’ambito della direttiva 2004/38, la portata dei diritti conferiti alle persone in cerca di occupazione dall’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38, interpretato alla luce degli articoli 21 e 45 TFUE.

2.   Brevi cenni sulla giurisprudenza relativa al diritto di soggiorno delle persone in cerca di occupazione: la sentenza Antonissen

30.

In primo luogo, ricordo che l’articolo 45 TFUE dispone che la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione è assicurata e, fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, essa implica, segnatamente, il diritto di rispondere a offerte di lavoro effettive e di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri. Da tale articolo discende pertanto che un cittadino di uno Stato membro alla ricerca di un impiego ha il diritto di spostarsi liberamente nel territorio di altri Stati membri.

31.

In secondo luogo, per quanto riguarda il diritto dei cittadini di uno Stato membro di entrare nel territorio di un altro Stato membro e di soggiornarvi, ai fini previsti dall’articolo 45 TFUE, in particolare per cercarvi o svolgervi un’attività professionale, subordinata o indipendente, diverse sentenze meritano attenzione, segnatamente le sentenze Royer ( 10 ), Antonissen ( 11 ) e Commissione/Belgio ( 12 ).

32.

È nella sentenza Royer che il diritto di soggiorno delle persone in cerca di occupazione è stato menzionato per la prima volta dalla Corte. In tale sentenza, essa ha dichiarato che tale diritto è un diritto attribuito direttamente dall’articolo 48 del Trattato CEE (divenuto articolo 45 TFUE) o, a seconda dei casi, dalle disposizioni adottate per l’attuazione di tale articolo ( 13 ).

33.

In tale filone giurisprudenziale, la sentenza Antonissen ( 14 ) è particolarmente importante, nella misura in cui verte, come la presente causa, sulla questione se la legislazione di uno Stato membro possa limitare nel tempo il diritto di soggiornare dei cittadini di altri Stati membri per cercare un lavoro. Tale sentenza ha fatto seguito ad una domanda di pronuncia pregiudiziale presentata da un giudice inglese nell’ambito di una controversia sorta fra un cittadino belga e le autorità inglesi in relazione ad una decisione di rigetto, da parte di queste ultime, di un ricorso avente ad oggetto un decreto di espulsione.

34.

La Corte ha iniziato ricordando che la libera circolazione dei lavoratori sancita all’articolo 48, paragrafi da 1 a 3, del Trattato CEE (divenuto articolo 45, paragrafi da 1 a 3, TFUE) fa parte dei fondamenti dell’Unione; che le disposizioni che sanciscono questa libertà devono essere interpretate estensivamente, e che un’interpretazione restrittiva di tale articolo comprometterebbe le effettive possibilità di uno cittadino di uno Stato membro che sia in cerca di occupazione di trovare un lavoro negli altri Stati membri e priverebbe quindi detta disposizione del suo effetto utile ( 15 ). Inoltre, essa ha precisato che l’articolo 48, paragrafo 3, del Trattato CEE (divenuto articolo 45, paragrafo 3, TFUE) enuncia in modo non limitativo taluni diritti di cui fruiscono i cittadini degli Stati membri nell’ambito della libera circolazione dei lavoratori e che questa libertà implica il diritto per tali cittadini di circolare liberamente sul territorio degli altri Stati membri e di prendervi dimora al fine di cercarvi un lavoro ( 16 ).

35.

La Corte ha poi verificato se il diritto di soggiorno che il cittadino di uno Stato membro alla ricerca di un lavoro in un altro Stato membro trae dall’articolo 48 del Trattato CEE (divenuto articolo 45 TFUE) poteva essere limitato nel tempo. A tal riguardo, essa ha dichiarato che l’effetto utile di tale articolo è garantito se la normativa dell’Unione, o, in mancanza di essa, la normativa di uno Stato membro, attribuisce agli interessati un termine ragionevole che consenta loro di prendere conoscenza, sul territorio dello Stato membro considerato, delle offerte di lavoro corrispondenti alle loro qualifiche professionali e di adottare, se del caso, le misure necessarie al fine di essere assunti ( 17 ).

36.

Quanto alla durata di tale diritto di soggiorno, la Corte ha escluso, infine, la rilevanza di un termine di tre mesi ( 18 ). Cionondimeno, essa ha aggiunto che, in mancanza di una disposizione dell’Unione che fissi un termine per il soggiorno dei cittadini di altri Stati membri in cerca di occupazione in uno Stato membro, il termine di sei mesi non risulta, in via di principio, insufficiente, e che tale termine non pregiudica l’effetto utile del principio della libera circolazione. La Corte ha tuttavia precisato che qualora, trascorso tale termine, l’interessato provi che sta continuando a cercare lavoro e ha effettive possibilità di essere assunto, questi non può essere obbligato a lasciare il territorio dello Stato membro ospitante ( 19 ).

37.

Inoltre, mi sembra opportuno ricordare, in questa fase, che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, la nozione di «lavoratore» ai sensi dell’articolo 45 TFUE ha una portata autonoma e non dev’essere interpretata restrittivamente ( 20 ). Infatti, in quanto definisce l’ambito di applicazione di una libertà fondamentale prevista dal Trattato FUE, tale nozione deve essere interpretata estensivamente ( 21 ). In tal senso, la Corte ha già avuto l’occasione di precisare che deve essere qualificata «lavoratore», ai sensi dell’articolo 45 TFUE, una «persona all’effettiva ricerca di un impiego» ( 22 ).

38.

In terzo ed ultimo luogo, occorre rilevare che, a seguito dell’introduzione della cittadinanza dell’Unione nei Trattati, le condizioni del mantenimento del diritto di soggiorno delle persone in cerca di impiego sancite nella sentenza Antonissen ( 23 ) sono state ribadite dalla Corte, segnatamente nella sentenza Commissione/Belgio ( 24 ), nella quale essa ha dichiarato che uno Stato membro viene meno agli obblighi ad esso incombenti ai sensi dell’articolo 48 CE (divenuto articolo 45 TFUE) obbligando i cittadini di altri Stati membri che cercano lavoro nel suo territorio a lasciare automaticamente quest’ultimo dopo la scadenza di un termine di tre mesi.

39.

A seguito dell’introduzione della cittadinanza dell’Unione nei Trattati e dell’adozione della direttiva 2004/38, le condizioni del mantenimento del diritto di soggiorno delle persone in cerca di occupazione sancite nella sentenza Antonissen ( 25 ), sulle quali la Corte è chiamata a pronunciarsi nella presente causa, sono state codificate all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), di tale direttiva.

40.

È alla luce di tali considerazioni che procederò ora ad esaminare la prima questione pregiudiziale.

3.   La portata dei diritti e degli obblighi delle persone in cerca di occupazione nell’ambito dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38 interpretata alla luce degli articoli 21 e 45 TFUE

41.

Attualmente, l’articolo 21 TFUE dispone che ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai Trattati e dalle disposizioni adottate ai fini della loro applicazione. In tal senso, nel caso delle persone in cerca di lavoro, l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38 prevede che un cittadino dell’Unione che entra nel territorio dello Stato membro ospitante per cercare un posto di lavoro non possa essere allontanato fino a quando può dimostrare di essere alla ricerca di un posto di lavoro e di avere buone possibilità di trovarlo.

42.

Cionondimeno, anche se, tramite tale disposizione, il legislatore dell’Unione ha codificato le condizioni del mantenimento del diritto di soggiorno delle persone in cerca di occupazione fissate dalla Corte, riproducendo i termini della sentenza Antonissen ( 26 ), detta disposizione non specifica se lo Stato membro ospitante abbia l’obbligo di concedere a tali persone un termine ragionevole per consentire loro di prendere conoscenza delle offerte di lavoro che possano loro convenire e di adottare le misure necessarie al fine di essere assunte. Inoltre, occorre rilevare che l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38 non menziona affatto il termine di sei mesi considerato «ragionevole» dalla Corte in tale sentenza.

43.

È quest’ultimo punto che procederò ora ad esaminare. Desidero subito indicare che condivido la posizione della Commissione secondo la quale l’interpretazione dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38 deve tenere conto del fatto che il diritto di soggiorno delle persone in cerca di occupazione è garantito direttamente dall’articolo 45 TFUE, come interpretato dalla Corte nella sua giurisprudenza.

a)   Sull’obbligo degli Stati membri di concedere un termine ragionevole

44.

Rilevo anzitutto che tutte le parti intervenienti nella controversia che hanno presentato osservazioni condividono la posizione secondo la quale lo Stato membro ospitante è tenuto a concedere un termine ragionevole alle persone in cerca di occupazione.

45.

Condivido tale opinione. Infatti, come ho rilevato, risulta dalla sentenza Antonissen ( 27 ), nonché dalla giurisprudenza ad essa successiva ( 28 ), che, nella misura in cui la normativa dell’Unione non prevede espressamente una limitazione del diritto di soggiorno delle persone in cerca di occupazione, gli Stati membri sono tenuti, per non privare di effetto utile l’articolo 45 TFUE, a concedere un termine ragionevole che consenta agli interessati di prendere conoscenza, sul territorio dello Stato membro considerato, delle offerte di lavoro corrispondenti alle loro qualifiche professionali e di adottare, se del caso, le misure necessarie al fine di essere assunti ( 29 ).

46.

Si pone tuttavia la questione se l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38, letto alla luce dell’articolo 45 TFUE, come interpretato dalla Corte nella sua giurisprudenza, imponga agli Stati membri di concedere un termine minimo di sei mesi ad un cittadino dell’Unione alla ricerca di un posto di lavoro nello Stato membro ospitante.

b)   Sull’obbligo degli Stati membri di concedere un termine minimo di sei mesi e su quello delle persone in cerca di occupazione in materia di onere della prova nella pendenza di tale termine e dopo la sua scadenza

47.

Le posizioni delle parti divergono per quanto attiene all’interpretazione del punto 21 della sentenza Antonissen ( 30 ) e, dunque, dell’articolo 45 TFUE, nonché dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38. A tal riguardo, G.M.A. e la Commissione sostengono nelle loro osservazioni scritte che gli Stati membri sono tenuti a concedere un termine minimo di sei mesi alle persone in cerca di occupazione, durante il quale esse non sarebbero obbligate a dimostrare di avere effettive possibilità di essere assunte. Per contro, i governi belga, danese e del Regno Unito ritengono che il punto 21 di tale sentenza non possa essere interpretato nel senso che impone agli Stati membri di concedere alle persone in cerca di occupazione un siffatto termine minimo e che, per tutta la sua durata, la persona in cerca di occupazione debba dimostrare di avere effettive possibilità di essere assunta.

48.

Non condivido integralmente nessuno di questi due punti di vista, e ciò per le ragioni che illustrerò nelle presenti conclusioni.

1) La collocazione dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38 nell’impianto di quest’ultima: il diritto di soggiorno superiore a tre mesi di una persona in cerca di occupazione non è soggetto alle condizioni fissate all’articolo 7 di tale direttiva

49.

In primo luogo, desidero ricordare che la direttiva 2004/38 è stata adottata, segnatamente, sulla base dell’articolo 40 TCE (divenuto articolo 46 TFUE), il quale riguardava le misure intese a realizzare la libera circolazione dei lavoratori, come era definita all’articolo 39 (divenuto articolo 45 TFUE).

50.

In secondo luogo, sottolineo che la direttiva 2004/38 mira ad agevolare l’esercizio del diritto primario e individuale di circolazione e di soggiorno conferito direttamente ai cittadini dell’Unione dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE e a rafforzarlo ( 31 ).

51.

Alla luce di tale obiettivo, il legislatore dell’Unione ha instaurato un sistema che copre diversi tipi di diritti per diverse categorie di cittadini. Nell’ambito della presente causa sono interessati, da un lato, il diritto di soggiorno sino a tre mesi previsto all’articolo 6 della direttiva 2004/38, il quale non è soggetto ad alcuna condizione né ad alcuna formalità salvo l’obbligo di possedere una carta d’identità o un passaporto in corso di validità ( 32 ), e, dall’altro, il diritto di soggiorno superiore a tre mesi, il quale, per contro, è subordinato alle condizioni enunciate all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2004/38. Pertanto, benché, in conformità all’articolo 6 della direttiva 2004/38, tutti i cittadini dell’Unione abbiano il diritto di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro per un periodo sino a tre mesi, il diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi previsto all’articolo 7 di tale direttiva ( 33 ) è riconosciuto unicamente a talune categorie di cittadini (attivi, inattivi, studenti) che soddisfano le condizioni elencate a tale articolo (essere un lavoratore subordinato o autonomo, disporre di risorse economiche sufficienti e di un’assicurazione malattia che copre tutti i rischi, seguire un corso di studi, inclusa una formazione professionale, ecc.) ( 34 ).

52.

Orbene, l’articolo 14 della direttiva 2004/38, intitolato «Mantenimento del diritto di soggiorno», riguarda, al suo paragrafo 4, lettera b), una categoria di cittadini dell’Unione ( 35 ) che non viene affatto menzionata all’articolo 7 di tale direttiva e che, di conseguenza, non è soggetta alle condizioni fissate a quest’ultimo articolo, ossia le persone in cerca di occupazione che cercano per la prima volta un lavoro nello Stato membro ospitante. Infatti, l’articolo 14, paragrafo 4, della direttiva 2004/38 prevede una fattispecie derogatoria agli articoli 6 e 7, menzionati all’articolo 14, paragrafi 1 e 2. Nel sistema della direttiva 2004/38, il diritto di soggiorno delle persone in cerca di occupazione, il quale trova la sua fonte direttamente nell’articolo 45 TFUE, è trattato unicamente all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), di tale direttiva, il quale prevede il mantenimento del diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione alla ricerca di un primo impiego che soddisfino le condizioni enunciate a tale disposizione.

2) Le condizioni enunciate all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38

53.

Le condizioni enunciate all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38 riprendono letteralmente le condizioni del diritto di soggiorno fissate dalla Corte al punto 21 della sentenza Antonissen ( 36 ), nella quale essa, dopo aver considerato che un termine di sei mesi non risulta, in via di principio, insufficiente per consentire agli interessati di prendere conoscenza, nello Stato membro ospitante, delle offerte di lavoro corrispondenti alle loro qualifiche professionali e di adottare, se del caso, le misure necessarie al fine di essere assunti, ha dichiarato che «[q]ualora, trascorso il termine di cui trattasi, provi che continua a cercare lavoro e ha effettive possibilità di essere assunto, l’interessato non può tuttavia essere obbligato a lasciare il territorio dello Stato membro ospitante» ( 37 ).

54.

A tal riguardo, ricordo che, nella sentenza Antonissen, la Corte ha dichiarato che le disposizioni del diritto dell’Unione sulla libera circolazione dei lavoratori non ostano a che la normativa di uno Stato membro stabilisca che un cittadino di un altro Stato membro recatosi sul suo territorio per cercarvi lavoro possa essere obbligato, fatto salvo il diritto d’impugnazione, a lasciare questo territorio se non vi ha trovato lavoro entro sei mesi, a meno che l’interessato non provi che continua a cercare lavoro e ha effettive possibilità di essere assunto ( 38 ).

55.

Se si legge l’intero ragionamento seguito dalla Corte, il senso da dare alle espressioni «[q]ualora, trascorso il termine di cui trattasi, [l’interessato] provi» e «se non vi ha trovato lavoro entro sei mesi, a meno che l’interessato non provi» mi sembra evidente. Infatti, da tale sentenza ( 39 ) risulta chiaramente che se la Corte ha precisato le condizioni del mantenimento del diritto di soggiorno supplementare, codificate successivamente dal legislatore dell’Unione all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38, ossia che la persona interessata possa dimostrare, da un lato, di essere alla ricerca di un posto di lavoro e, dall’altro, di avere buone possibilità di trovarlo, ciò vale soltanto per la situazione in cui il termine considerato «ragionevole», vale a dire un termine di sei mesi, sia scaduto.

56.

Per quanto riguarda la prima condizione, insisto sul fatto che la Corte e, successivamente, il legislatore dell’Unione hanno scelto di utilizzare l’espressione, nella versione francese, «continuer à chercher un emploi» [«continuare a cercare un posto di lavoro»]. Dalla scelta di tale verbo discende chiaramente che la persona in cerca di un’occupazione deve dimostrare, in un primo tempo, vale a dire per tutta la durata del termine considerato «ragionevole», di essere effettivamente ed attivamente alla ricerca di un lavoro e, in un secondo tempo, vale a dire dopo la scadenza di tale termine, di «continuare» la sua ricerca attiva di un posto di lavoro.

57.

Per contro, la seconda condizione, relativa all’obbligo per la persona in cerca di occupazione di dimostrare di avere effettive possibilità di essere assunta, può essere imposta solo dopo la scadenza del termine considerato «ragionevole».

58.

Tale interpretazione non solo è logica ma è parimenti conforme alla scelta del legislatore di rafforzare lo status di persona in cerca di occupazione nell’ambito della direttiva 2004/38 codificando, all’articolo 14, paragrafo 4, di tale direttiva, le condizioni del mantenimento del diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione alla ricerca di un primo impiego nello Stato membro ospitante fissate dalla giurisprudenza della Corte.

59.

Inoltre, per quanto riguarda questa seconda condizione, il governo belga sostiene nelle sue osservazioni scritte che l’obbligo di G.M.A. di dimostrare l’esistenza di un’effettiva possibilità di essere assunto, previsto all’articolo 40, paragrafo 4, della legge del 15 dicembre 1980, discende dal punto 38 della sentenza Vatsouras e Koupatantze ( 40 ). Da tale sentenza risulterebbe infatti che i cittadini di uno Stato membro alla ricerca di un lavoro in un altro Stato membro devono dimostrare di avere stabilito legami reali con il mercato del lavoro di questo secondo Stato membro.

60.

Non sono convinto di tale approccio, il quale, a mio avviso, è fondato su una lettura erronea della sentenza in questione.

61.

Infatti, un siffatto requisito per la persona in cerca di occupazione, consistente nel dimostrare di avere stabilito legami reali con il mercato del lavoro dello Stato membro ospitante, riguarda unicamente la situazione in cui il cittadino dell’Unione alla ricerca di un posto di lavoro chieda a tale Stato membro una prestazione destinata a facilitare l’accesso all’occupazione, il che non è affatto il caso di G.M.A. In tal senso, la Corte ha dichiarato che è legittimo che uno Stato membro attribuisca una siffatta prestazione soltanto previo accertamento dell’esistenza di un legame reale tra chi è alla ricerca di un lavoro ed il mercato del lavoro di tale Stato membro ( 41 ). Infatti, ricordo che la sentenza Vatsouras e Koupatantze ( 42 ) si fonda sulla sentenza Collins, nella quale la Corte ha ritenuto che ogni persona alla ricerca di un posto di lavoro e che eserciti il suo diritto alla libera circolazione debba stabilire un «nesso» con lo Stato ospitante al fine di beneficiare delle indennità per persone in cerca di lavoro ( 43 ).

3) La finalità e la genesi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38

62.

La finalità e la genesi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38 corroborano anch’esse l’interpretazione proposta ai paragrafi da 51 a 58 delle presenti conclusioni.

63.

Per quanto attiene, in primo luogo, alla finalità dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38, il considerando 9 della stessa enuncia chiaramente che i cittadini dell’Unione devono avere il diritto di soggiornare nello Stato membro ospitante per un periodo non superiore a tre mesi senza altra formalità o condizione che il possesso di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità, fatto salvo un trattamento più favorevole applicabile ai richiedenti lavoro, come riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte. Da tale considerando risulta, da un lato, che la giurisprudenza della Corte, segnatamente quella della sentenza Antonissen ( 44 ), conserva validità per l’interpretazione dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38 e, dall’altro, che non può essere richiesto il rispetto delle condizioni enunciate a tale disposizione relative al mantenimento del diritto di soggiorno della persona in cerca di occupazione durante i tre mesi di soggiorno legale di un cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante. Da parte sua, il considerando 16 della direttiva 2004/38 enuncia che, in nessun caso, una misura di allontanamento dovrebbe essere presa nei confronti di richiedenti lavoro, quali definiti dalla Corte, eccetto che per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

64.

Per quanto riguarda, in secondo luogo, la genesi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38, mi sembra importante ricordare che l’articolo 6 della proposta iniziale della Commissione ( 45 ) e l’articolo 8 della risoluzione legislativa del Parlamento ( 46 ) prevedevano un diritto di soggiorno fino a sei mesi che non era soggetto a nessuna condizione. Tuttavia, tale disposizione è stata modificata dal Consiglio dell’Unione europea, come risulta dalla relazione allegata alla sua posizione comune ( 47 ), al fine di fissare tale periodo a tre mesi, in conformità al nuovo articolo 6 della direttiva 2004/38, sottolineando al contempo che tuttavia un trattamento più favorevole è applicato ai richiedenti lavoro quali riconosciuti nella giurisprudenza della Corte. Tale modifica, intervenuta nel corso dell’iter legislativo della direttiva 2004/38, conferma, come ho fatto valere al paragrafo 63 delle presenti conclusioni, la volontà del legislatore dell’Unione di rafforzare lo status delle persone in cerca di occupazione. Inoltre, dalla relazione allegata a tale posizione comune risulta che l’articolo 14 della direttiva 2004/38 «chiarisce in quali circostanze uno Stato membro può allontanare i cittadini dell’Unione se non ottemperano più ai requisiti per godere del diritto di soggiorno» ( 48 ).

65.

Tanto dalla finalità quanto dalla genesi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38 emerge chiaramente che il legislatore dell’Unione ha voluto che al richiedente lavoro che cerca per la prima volta un posto di lavoro nello Stato membro ospitante possa essere applicato un trattamento più favorevole, come riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte.

66.

Tale constatazione mi induce ad esaminare la questione relativa a cosa debba intendersi, per quanto riguarda il termine per cercare un lavoro, con un «trattamento più favorevole», riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte.

67.

Osservo, in primo luogo, che la scelta del legislatore dell’Unione di operare un rinvio alla giurisprudenza della Corte, segnatamente alla sentenza Antonissen ( 49 ), testimonia chiaramente, come ho illustrato al paragrafo 63 delle presenti conclusioni, la sua volontà di riconoscere l’importanza di tale giurisprudenza per l’interpretazione dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38 e, dunque di far beneficiare le persone in cerca di occupazione di un trattamento più favorevole. Fatta questa precisazione, non può ritenersi che, operando un siffatto rinvio, il legislatore abbia voluto convalidare un termine fisso di sei mesi. Mi sembra che, affermando in tale sentenza che un siffatto termine «non risulta, in via di principio, insufficiente» e «non pregiudica (…) l’effetto utile del principio della libera circolazione», la Corte abbia semplicemente considerato il termine di sei mesi, previsto dalla legislazione nazionale di cui a tale causa, un termine ragionevole.

68.

Ricordo, in secondo luogo, che l’articolo 6 della direttiva 2004/38 prevede un diritto di soggiorno sino a tre mesi per tutti i cittadini dell’Unione nel territorio di un altro Stato membro che non è soggetto ad alcuna condizione.

69.

Tuttavia, qualora il cittadino dell’Unione che ha lasciato il proprio Stato membro di origine con la volontà di cercare un posto di lavoro nello Stato membro ospitante decida di registrarsi in qualità di persona in cerca di occupazione durante i primi tre mesi di soggiorno, egli rientra, a partire dalla data di tale registrazione, nell’ambito di applicazione dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38. Cionondimeno, alla luce del fatto che, secondo il legislatore dell’Unione, al richiedente lavoro viene applicato un trattamento più favorevole, come risulta espressamente dal considerando 9 di tale direttiva, non si può esigere da un richiedente lavoro di dimostrare di essere alla ricerca di un posto di lavoro e di avere buone possibilità di trovarlo durante i tre mesi di soggiorno legale di cui dispone ogni cittadino dell’Unione ( 50 ). Per contro, durante un periodo considerato «ragionevole» a partire dalla fine di tale soggiorno legale, le autorità nazionali possono esigere che la persona in cerca di occupazione dimostri di continuare a cercare un posto di lavoro. È soltanto dopo la scadenza di tale termine ragionevole che siffatte autorità possono richiedere che l’interessato sia in grado di dimostrare di avere buone possibilità di trovare un posto di lavoro.

70.

Analogamente, il cittadino di uno Stato membro che abbia esercitato il suo diritto alla libera circolazione in quanto cittadino dell’Unione, il quale, inizialmente, non aveva la volontà di cercare un lavoro nel territorio dello Stato membro ospitante ( 51 ), e che decida, dopo il decorso del periodo iniziale di tre mesi di soggiorno, di registrarsi in qualità di persona in cerca di occupazione, rientra, a partire da tale momento, nell’ambito di applicazione dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38. Tale cittadino deve dunque disporre di un termine ragionevole che gli consenta di prendere conoscenza, nello Stato membro ospitante, delle offerte di lavoro corrispondenti alle sue qualifiche professionali e di adottare, se del caso, le misure necessarie al fine di essere assunto, senza essere tenuto a dimostrare di avere effettive possibilità di esserlo.

71.

Infatti, nelle due fattispecie illustrate ai paragrafi 69 e 70 delle presenti conclusioni, siamo in presenza di cittadini che cercano, per la prima volta, un posto di lavoro nello Stato membro ospitante.

72.

Inoltre, il termine di cui beneficia una persona in cerca di occupazione dopo il periodo iniziale di tre mesi di soggiorno legale nel territorio dello Stato membro ospitante deve, per poter essere considerato ragionevole, essere sufficiente per non vanificare il diritto riconosciuto all’articolo 45 TFUE ( 52 ). Pertanto, segnatamente, un termine di tre mesi a partire dalla fine del periodo iniziale di tre mesi di soggiorno legale non mi sembra irragionevole oppure, nei termini utilizzati dalla Corte, «non risulta, in via di principio, insufficiente» e non pregiudica l’effetto utile dell’articolo 45 TFUE ( 53 ).

73.

Inoltre, consentendo a tali cittadini di conoscere senza ambiguità i loro diritti e i loro obblighi, un termine ragionevole a decorrere dalla fine del periodo di tre mesi di soggiorno legale è idoneo a garantire un certo livello di certezza del diritto e di trasparenza nell’ambito del diritto di soggiorno previsto all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38 e garantito direttamente dall’articolo 45 TFUE.

74.

Fatta tale precisazione, penso che sarebbe auspicabile che i richiedenti lavoro dispongano di un termine fisso per cercare un primo impiego nello Stato membro ospitante, entro il quale non sarebbe loro imposto di poter dimostrare di avere effettive possibilità di essere assunti. Tuttavia, la Corte non può sostituirsi al legislatore dell’Unione e spetta al medesimo il compito di introdurre un siffatto termine. A mio avviso, stabilire un termine fisso consentirebbe di garantire un livello più elevato di certezza del diritto e di trasparenza nell’ambito del diritto di soggiorno delle persone in cerca di occupazione.

75.

Desidero aggiungere, in terzo ed ultimo luogo, che talune verifiche preliminari sono necessarie per ritenere che un richiedente lavoro sia alla ricerca di un posto di lavoro e abbia buone possibilità di trovarlo in conformità all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38. Pertanto, incombe all’autorità nazionale o al giudice nazionale verificare se tale cittadino ricerchi in maniera seria ed effettiva un lavoro. A tal riguardo, l’autorità nazionale o il giudice nazionale possono verificare, segnatamente, se questi sia registrato presso l’organismo responsabile dei richiedenti lavoro, invii periodicamente candidature (un curriculum vitae più una lettera di motivazione) oppure sostenga colloqui di assunzione concernenti offerte di lavoro corrispondenti alle sue qualifiche professionali.

76.

Inoltre, in occasione di tali verifiche, le autorità nazionali o il giudice nazionale devono prendere in considerazione la realtà del mercato del lavoro nazionale, vale a dire la durata media di ricerca di un impiego, nello Stato membro di cui trattasi ( 54 ), nel settore corrispondente alle qualifiche professionali della persona interessata. Il fatto che tale persona abbia rifiutato delle offerte non corrispondenti alle sue qualifiche professionali non può essere preso in considerazione per ritenere che ella non soddisfi le condizioni di cui all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38.

77.

Inoltre, alla luce del fatto che i richiedenti lavoro cercano un primo impiego nello Stato membro ospitante, la circostanza di non avere mai lavorato in tale Stato non può essere presa in considerazione nell’ambito di dette verifiche per ritenere che essi non abbiano effettive possibilità di essere assunti.

4.   Conclusione intermedia

78.

Dall’analisi che precede risulta che gli Stati membri sono tenuti ad accordare ai cittadini dell’Unione alla ricerca di un posto di lavoro un termine ragionevole durante il quale questi ultimi devono dimostrare di essere alla ricerca di un lavoro. È solo dopo la scadenza di siffatto termine che tali cittadini devono dimostrare, in conformità all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38, non solo di essere alla ricerca di un posto di lavoro, ma anche di avere buone possibilità di trovarlo. A tal riguardo, un termine di tre mesi a partire dalla fine del periodo iniziale di tre mesi di soggiorno legale nel territorio dello Stato membro ospitante non risulta irragionevole.

C. Sulla seconda questione pregiudiziale

79.

Dalla decisione di rinvio e dai documenti del fascicolo a disposizione della Corte risulta che, nel suo ricorso dinanzi al CCE, G.M.A. ha fatto valere la circostanza di essere stato assunto dal Parlamento in qualità di stagista, il 6 aprile 2016, al fine di dimostrare di avere avuto buone possibilità di trovare lavoro, e che la decisione controversa doveva essere annullata.

80.

Orbene, il CCE ha dichiarato che, in conformità all’articolo 39/2, paragrafo 2, della legge del 15 dicembre 1980, esercitava un controllo di legittimità sulle decisioni dell’Ufficio e non disponeva di un potere di riforma delle medesime che gli avrebbe consentito di prendere in considerazione l’assunzione di G.M.A. da parte del Parlamento; non ha pertanto tenuto conto di tale mutamento di circostanze.

81.

In tale contesto, il giudice del rinvio si chiede, in sostanza, se gli articoli 15 e 31 della direttiva 2004/38, nonché il principio della tutela giurisdizionale effettiva sancito all’articolo 47 della Carta, debbano essere interpretati nel senso che i giudici dello Stato membro ospitante, allorché esaminano la legittimità di una decisione che nega il diritto di soggiorno superiore a tre mesi di un cittadino dell’Unione alla ricerca di un posto di lavoro, devono prendere in considerazione ogni mutamento di circostanze nella situazione della persona in cerca di occupazione che intervenga dopo che le autorità competenti hanno preso la decisione che limita il suo diritto di soggiorno, disapplicando, se necessario, le disposizioni procedurali nazionali, qualora un siffatto mutamento di circostanze dimostri che la persona in cerca di occupazione beneficiava di un siffatto diritto di soggiorno.

82.

Il governo belga e G.M.A. difendono posizioni opposte a tal riguardo.

83.

Il governo belga sostiene che, in una situazione come quella di G.M.A., non risulta né dai lavori preparatori della direttiva 2004/38 né dal fatto che le disposizioni di tale direttiva devono rispettare l’articolo 47 della Carta che i giudici nazionali dovrebbero disporre di un diritto di riforma delle decisioni delle autorità nazionali che limitano il diritto di circolazione di un cittadino dell’Unione.

84.

Per contro, G.M.A. fa valere che gli articoli 15 e 31 della direttiva 2004/38 devono essere oggetto di un’interpretazione conforme all’articolo 47 della Carta. Di conseguenza, i giudici nazionali che effettuano un controllo di legittimità delle decisioni adottate in applicazione delle norme dell’Unione in materia di libera circolazione delle persone dovrebbero prendere in considerazione gli elementi di fatto successivi a tali decisioni allorché tali elementi possano dimostrare l’esistenza di possibilità effettive, per la persona in cerca di occupazione, di essere assunta. A tal riguardo, G.M.A. afferma che alla presente causa è applicabile la sentenza Orfanopoulos e Oliveri ( 55 ).

85.

Prima di procedere all’analisi della giurisprudenza della Corte relativa alla tutela giurisdizionale in forza degli articoli 15 e 31 della direttiva 2004/38, esaminerò brevemente le garanzie procedurali prescritte a tali articoli e la loro applicazione alle decisioni che limitano la libera circolazione dei cittadini dell’Unione alla ricerca di un posto di lavoro.

1.   L’applicazione delle garanzie procedurali prescritte agli articoli 15 e 31 della direttiva 2004/38 alle persone in cerca di occupazione

86.

Ricordo, in primo luogo, che l’articolo 15 della direttiva 2004/38, intitolato «Garanzie procedurali», prevede, al suo paragrafo 1, che «[l]e procedure previste agli articoli 30 e 31 si applicano, mutatis mutandis, a tutti i provvedimenti che limitano la libera circolazione dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari per motivi non attinenti all’ordine pubblico, alla pubblica sicurezza o alla sanità pubblica» ( 56 ). Tale articolo disciplina pertanto le garanzie procedurali relative all’allontanamento dei cittadini dell’Unione che abbiano soggiornato nello Stato membro ospitante in qualità di «aventi diritto» ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva.

87.

Nella specie, è pacifico che G.M.A., il quale è un cittadino greco e, pertanto, un cittadino dell’Unione, ha esercitato il suo diritto alla libera circolazione recandosi e soggiornando in uno Stato membro diverso da quello del quale possiede la cittadinanza. Ne consegue che G.M.A. ha la qualità di «avente diritto» ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 e che la sua situazione rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 15 della stessa.

88.

Inoltre, come ho ricordato, l’articolo 15 della direttiva 2004/38 si inserisce nel capo III della stessa, il quale riguarda, segnatamente, il diritto di soggiorno sino a tre mesi (articolo 6), il diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi (articolo 7), nonché il mantenimento del diritto di soggiorno previsto agli articoli 6 e 7 di tale direttiva, purché i beneficiari di tali diritti soddisfino le condizioni fissate a tali articoli (articolo 14). Inoltre, come ho indicato ( 57 ), l’articolo 14, paragrafo 4, della direttiva 2004/38 prevede una fattispecie derogatoria agli articoli 6 e 7, menzionati all’articolo 14, paragrafi 1 e 2. A tal riguardo, l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), di tale direttiva prevede il diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione alla ricerca di un posto di lavoro ( 58 ), nonché le condizioni che tali cittadini devono soddisfare per essere in grado di mantenere tale diritto.

89.

Di conseguenza, risulta chiaramente non solo dal testo dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, ma anche dal suo contesto, nonché dalla finalità di tale direttiva ( 59 ), che tale disposizione è applicabile alle situazioni che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), di detta direttiva. L’ambito di applicazione dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 ricomprende pertanto una decisione di diniego di una domanda di riconoscimento di un diritto di soggiorno superiore a tre mesi, accompagnata da un ordine di lasciare il territorio dello Stato membro ospitante e adottata, come nel caso della controversia di cui al procedimento principale, per motivi estranei a un qualsivoglia pericolo per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sanità pubblica.

90.

Ciò precisato, si pone adesso la questione se gli articoli 15 e 31 della direttiva 2004/38, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta, debbano essere interpretati nel senso che i giudici nazionali devono prendere in considerazione mutamenti di circostanze successivi all’adozione delle decisioni che limitano i diritti di libera circolazione e di soggiorno, disapplicando, se necessario, le disposizioni procedurali nazionali, qualora tali mutamenti dimostrino che la persona in cerca di occupazione disponeva di un siffatto diritto di soggiorno.

2.   La giurisprudenza pertinente della Corte relativa alla tutela giurisdizionale ai sensi degli articoli 15 e 31 della direttiva 2004/38

91.

Come risulta dai paragrafi che precedono, dal momento che l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 si applica alle situazioni contemplate all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della stessa ( 60 ), le garanzie procedurali prescritte agli articoli 30 e 31 di tale direttiva sono parimenti applicabili, mutatis mutandis, ai cittadini dell’Unione alla ricerca di un posto di lavoro. Tali articoli prevedono un certo numero di garanzie procedurali che gli Stati membri devono rispettare in vista di un’eventuale limitazione del diritto di soggiorno di un cittadino dell’Unione.

92.

Occorre pertanto partire, a mio avviso, dall’analisi di tali disposizioni, come interpretate dalla giurisprudenza della Corte.

93.

Osservo, come risulta da tale giurisprudenza, che l’articolo 31, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2004/38 è destinato ad applicarsi nell’ambito dell’articolo 15 della stessa ( 61 ).

94.

Da parte sua, l’articolo 31, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 dispone che i cittadini dell’Unione possono accedere ai mezzi di impugnazione giurisdizionali e, all’occorrenza, amministrativi nello Stato membro ospitante, al fine di presentare ricorso o chiedere la revisione di ogni provvedimento che limiti il loro diritto di libera circolazione e di libero soggiorno negli Stati membri per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica.

95.

A tal riguardo, ricordo che la Corte ha indicato, per quanto riguarda in particolare l’articolo 31, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 e il diritto di accesso ai mezzi di impugnazione giurisdizionali, che deve essere garantito conformemente alla stessa disposizione, che, poiché simili impugnazioni rientrano nell’attuazione del diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, le modalità procedurali di dette impugnazioni, che sono destinate a garantire la salvaguardia dei diritti conferiti dalla direttiva 2004/38, devono rispettare, in particolare, le condizioni che derivano dal diritto a un ricorso effettivo sancito dall’articolo 47 di detta Carta ( 62 ).

96.

A sua volta, l’articolo 31, paragrafo 3, della direttiva 2004/38 dispone che i mezzi di impugnazione devono non solo consentire l’esame della legittimità del provvedimento di cui trattasi nonché dei fatti e delle circostanze che lo giustificano, ma anche garantire che il provvedimento in questione non sia sproporzionato ( 63 ).

97.

A tal riguardo, per quanto attiene al sindacato giurisdizionale sul margine di discrezionalità di cui dispongono le autorità nazionali competenti, la Corte ha dichiarato che il giudice nazionale deve segnatamente verificare se il provvedimento impugnato si fondi su una base di fatto sufficientemente solida. Tale sindacato deve vertere sul rispetto delle garanzie procedurali, rispetto che riveste un’importanza fondamentale in quanto consente al giudice di accertare la presenza di tutti gli elementi di fatto e di diritto necessari per l’esercizio del potere discrezionale ( 64 ).

98.

Cosa significa questo, in pratica, per il sindacato al quale deve procedere il giudice del rinvio nell’ambito della controversia di cui al procedimento principale? Tale giudice sembra ritenere che lo stesso dovrebbe poter esaminare i mutamenti di circostanze successivi al provvedimento adottato dalle autorità competenti allorché essi siano idonei ad operare una modifica della situazione del cittadino dell’Unione interessato che non autorizzerebbe più una limitazione dei diritti di soggiorno del medesimo nello Stato membro ospitante.

99.

Per rispondere a tale questione, nonché per la soluzione della controversia di cui al procedimento principale, mi sembra utile analizzare la sentenza Orfanopoulos e Oliveri ( 65 ), richiamata dalle parti.

3.   La sentenza Orfanopoulos e Oliveri

100.

Inizierò la mia analisi indicando che, a mio avviso, la soluzione elaborata nella sentenza Orfanopoulos e Oliveri ( 66 ) è applicabile mutatis mutandis alla situazione di G.M.A. nell’ambito della controversia di cui al procedimento principale.

101.

In tale sentenza, la Corte ha interpretato l’articolo 3 della direttiva 64/221/CEE ( 67 ), il quale ha preceduto la direttiva 2004/38 ( 68 ). La Corte, dopo aver ricordato che il sindacato giurisdizionale, il quale è disciplinato, in linea di principio, nell’ambito dell’autonomia procedurale, dal diritto procedurale nazionale, deve essere effettivo ( 69 ), ha dichiarato, al punto 82, che esso osta a una pratica nazionale secondo la quale, nell’esaminare la legittimità dell’espulsione di un cittadino di un altro Stato membro, il giudice nazionale non deve prendere in considerazione elementi di fatto successivi all’ultimo provvedimento dell’autorità competente comportanti il venir meno o una rilevante attenuazione della minaccia attuale che il comportamento del soggetto interessato costituirebbe per l’ordine pubblico ( 70 ).

102.

La Corte ha fondato tale approccio sulla constatazione secondo la quale né la lettera dell’articolo 3 della direttiva 64/221 né la giurisprudenza della Corte forniscono elementi più precisi sul momento esatto corrispondente a quello «attuale» della minaccia ( 71 ). A tal riguardo, mi sembra parimenti, come risulta dai paragrafi precedenti, che né l’articolo 3, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2004/38 né la giurisprudenza della Corte offrano elementi precisi e mirati concernenti la considerazione, da parte del giudice che esercita il sindacato giurisdizionale, di mutamenti di circostanze successivi all’adozione della decisione di un’autorità nazionale che limita il diritto di soggiorno di un cittadino dell’Unione. Cionondimeno, condivido l’osservazione della Commissione nella sua risposta ai quesiti posti dalla Corte, secondo la quale, pur se la constatazione svolta nella sentenza Orfanopoulos e Oliveri ( 72 ) non è stata ripresa espressamente all’articolo 31, paragrafo 3, della direttiva 2004/38, è pacifico che nell’interpretarlo occorre tener conto di detta constatazione ( 73 ).

103.

In tale contesto, e alla luce del fatto che ci si trova nell’ambito della libera circolazione dei lavoratori e della cittadinanza dell’Unione, mi sembra pertinente analizzare la seconda questione nell’ottica del principio di effettività piuttosto che in quella dell’articolo 47 della Carta.

104.

In primo luogo, ricordo che, secondo una costante giurisprudenza, qualsiasi procedimento nazionale di controllo giurisdizionale deve consentire al giudice investito di un ricorso di annullamento di una tale decisione di applicare effettivamente, nell’ambito del controllo di legittimità della medesima, i principi e le regole del diritto dell’Unione pertinenti ( 74 ).

105.

In secondo luogo, a mio avviso, il principio di effettività esige che i giudici nazionali che esercitano il sindacato giurisdizionale sul potere discrezionale di cui dispongono le autorità nazionali competenti abbiano la facoltà di prendere in considerazione i mutamenti di circostanze successivi all’adozione di una decisione amministrativa concernente la situazione di un cittadino dell’Unione. Infatti, la situazione di un cittadino dell’Unione alla ricerca di un posto di lavoro può evolvere, per sua natura, dopo l’adozione di una siffatta decisione. Di conseguenza, ogni mutamento di circostanze nella situazione del cittadino interessato sopravvenuto dopo che le autorità competenti hanno adottato la decisione che limita il suo diritto di soggiorno deve parimenti essere preso in considerazione in occasione del sindacato giurisdizionale ( 75 ).

106.

In particolare, il giudice che effettua tale sindacato deve poter tenere conto di un siffatto mutamento allorché esso riguardi l’applicazione delle condizioni enunciate all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38. A tal proposito, ricordo che la disposizione di cui trattasi prevede che il cittadino dell’Unione non possa essere allontanato fino a quando soddisfi le due seguenti condizioni cumulative: poter dimostrare di essere alla ricerca di un posto di lavoro e avere buone possibilità di trovarlo.

107.

Nella specie, è pacifico che il mutamento di circostanze successivo alla decisione adottata dalle autorità nazionali che limita i diritti di soggiorno di G.M.A. è strettamente connesso ai requisiti di applicazione enunciati all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38, ossia il fatto che, successivamente all’adozione della decisione controversa, egli è stato assunto dal Parlamento.

108.

Ritengo che una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale, la quale non consente di tenere conto dell’evoluzione della situazione di un cittadino dell’Unione, sia in contrasto con il principio di effettività dal momento che impedisce al giudice nazionale di assicurare l’applicazione effettiva dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38, interpretato alla luce dell’articolo 45 TFUE. In altre parole, se il sindacato che i giudici competenti sono chiamati ad esercitare non potesse riguardare le condizioni enunciate all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), di tale direttiva, l’efficacia di tale sindacato sarebbe considerevolmente ridotta. Ciò considerato, incombe al giudice che esercita il sindacato giurisdizionale assicurare una tutela effettiva dei diritti risultanti dal Trattato e dalla direttiva 2004/38, disapplicando la norma di diritto nazionale in questione.

109.

Poiché dalla mia proposta risulta che il giudice del rinvio è tenuto a disapplicare le norme nazionali interessate, ritengo che non occorra esaminare la compatibilità di tali norme con l’articolo 47 della Carta.

4.   Conclusione intermedia

110.

Alla luce di quanto suesposto, ritengo che ogni mutamento di circostanze nella situazione di un cittadino dell’Unione alla ricerca di un posto di lavoro intervenuto dopo che le autorità competenti hanno adottato la decisione che limita il suo diritto di soggiorno debba essere preso in considerazione in occasione del sindacato giurisdizionale su tale situazione, segnatamente qualora tale mutamento riguardi le condizioni del mantenimento del diritto di soggiorno di una persona in cerca di occupazione enunciate all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38. In tali circostanze, incombe al giudice che esercita il sindacato giurisdizionale assicurare una tutela effettiva dei diritti risultanti dal Trattato e dalla direttiva 2004/38 disapplicando la norma del diritto nazionale di cui trattasi.

V. Conclusione

111.

Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sottoposte dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio) come segue:

1)

L’articolo 45 TFUE e l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, come modificata dal regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, devono essere interpretati nel senso che lo Stato membro ospitante è tenuto, da un lato, a concedere un termine ragionevole ad una persona in cerca di occupazione a partire dalla fine del periodo iniziale di tre mesi di soggiorno legale per consentirle di prendere conoscenza delle offerte di lavoro che possano convenire alla medesima e di adottare le misure necessarie al fine di essere assunta e, dall’altro, ad autorizzare la presenza sul suo territorio di una persona in cerca di occupazione per tutta la durata di detto termine senza esigere dalla stessa la prova di avere effettive possibilità di essere assunta. Solo dopo la scadenza di siffatto termine tale persona deve dimostrare, in conformità all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38, non solo di essere alla ricerca di un posto di lavoro, ma anche di avere buone possibilità di trovarlo.

2)

Gli articoli 15 e 31 della direttiva 2004/38, nonché il principio di effettività, devono essere interpretati nel senso che i giudici dello Stato membro ospitante, allorché esaminano la legittimità di una decisione che nega il diritto di soggiorno superiore a tre mesi di un cittadino dell’Unione alla ricerca di un posto di lavoro, devono prendere in considerazione ogni mutamento di circostanze nella situazione della persona in cerca di occupazione che intervenga dopo che le autorità competenti hanno preso la decisione che limita il suo diritto di soggiorno, disapplicando, se necessario, le disposizioni procedurali nazionali, qualora siffatto mutamento di circostanze dimostri che la persona in cerca di occupazione godeva di un siffatto diritto di soggiorno.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( i ) Le note a piè di pagina 2 e 35 del presente testo sono state oggetto di una modifica di ordine tipografico, successivamente alla sua pubblicazione iniziale.

( 2 ) V. Reynolds, S., «(De)constructing the Road to Brexit: Paving the Way to Further Limitations on Free Movement and Equal Treatment», D. Thym (a cura di), Questioning EU Citizenship. Judges and the Limits of Free Movement and Solidarity in the EU, Hart Publishing, Londra, 2017, pagg. da 57 a 87, in particolare pag. 73.

( 3 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77), e rettifiche in GU 2004, L 229, pag. 35, e GU 2005, L 197, pag. 34) (in prosieguo: la «direttiva 2004/38»).

( 4 ) Moniteur belge del 31 dicembre 1980, pag. 14584.

( 5 ) Moniteur belge del 27 ottobre 1981, pag. 13740.

( 6 ) Sentenza del 26 febbraio 1991 (C‑292/89, EU:C:1991:80).

( 7 ) Sentenza del 13 settembre 2016, Rendón Marín (C‑165/14, EU:C:2016:675, punto 24 e la giurisprudenza ivi citata).

( 8 ) V., da ultimo, sentenza del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság (C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU, EU:C:2020:367, punto 179 e la giurisprudenza ivi citata).

( 9 ) Sentenza del 26 febbraio 1991 (C‑292/89, EU:C:1991:80).

( 10 ) Sentenza dell’8 aprile 1976 (48/75, EU:C:1976:57).

( 11 ) Sentenza del 26 febbraio 1991 (C‑292/89, EU:C:1991:80).

( 12 ) Sentenza del 20 febbraio 1997 (C‑344/95, EU:C:1997:81).

( 13 ) V. sentenza dell’8 aprile 1976, Royer (48/75, EU:C:1976:57, punto 31 e dispositivo). V., parimenti, sentenza del 23 marzo 1982, Levin (53/81, EU:C:1982:105, punto 9), nella quale la Corte ha affermato che «il diritto di accedere e soggiornare sul territorio di uno Stato membro s[o]no dunque rispettivamente connessi alla qualifica di lavoratore o di persona che esercita un’attività subordinata o che intende intraprendere detta attività». Il corsivo è mio.

( 14 ) Sentenza del 26 febbraio 1991 (C‑292/89, EU:C:1991:80).

( 15 ) Sentenza del 26 febbraio 1991, Antonissen (C‑292/89, EU:C:1991:80, punti 1112).

( 16 ) V. sentenza del 26 febbraio 1991, Antonissen (C‑292/89, EU:C:1991:80, punto 13). La Corte ha aggiunto quanto segue al punto 14 di tale sentenza: «Tale interpretazione del Trattato corrisponde del resto a quella del legislatore [dell’Unione], come è mostrato dalle disposizioni adottate per attuare il principio della libera circolazione, in particolare gli art[icoli] 1 e 5 del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU L 257, pag. 2), disposizioni che implicano il diritto per i cittadini [dell’Unione] di trasferirsi per cercare lavoro in un altro Stato membro e, di conseguenza, il diritto di prendervi dimora». Il corsivo è mio.

( 17 ) Sentenza del 26 febbraio 1991, Antonissen (C‑292/89, EU:C:1991:80, punto 16). V., parimenti, sentenza del 26 maggio 1993, Tsiotras (C‑171/91, EU:C:1993:215, punto 13).

( 18 ) Sentenza del 26 febbraio 1991, Antonissen (C‑292/89, EU:C:1991:80, punto 20).

( 19 ) Sentenza del 26 febbraio 1991, Antonissen (C‑292/89, EU:C:1991:80, punto 21). V., parimenti, sentenza del 26 maggio 1993, Tsiotras (C‑171/91, EU:C:1993:215, punto 13).

( 20 ) V., segnatamente, sentenze del 26 febbraio 1992, Bernini (C‑3/90, EU:C:1992:89, punto 14); dell’8 giugno 1999, Meeusen (C‑337/97, EU:C:1999:284, punto 13); del 7 settembre 2004, Trojani (C‑456/02, EU:C:2004:488, punto 15); del 17 luglio 2008, Raccanelli (C‑94/07, EU:C:2008:425, punto 33); del 4 giugno 2009, Vatsouras e Koupatantze (C‑22/08 e C‑23/08, EU:C:2009:344, punto 26); del 21 febbraio 2013, N. (C‑46/12, EU:C:2013:97, punto 39), nonché del 1o ottobre 2015, O (C‑432/14, EU:C:2015:643, punto 22).

( 21 ) V., a tal riguardo, sentenze del 21 febbraio 2013, N. (C‑46/12, EU:C:2013:97, punto 39 e la giurisprudenza ivi citata), e del 19 giugno 2014, Saint Prix (C‑507/12, EU:C:2014:2007, punto 33).

( 22 ) Sentenza del 12 maggio 1998, Martínez Sala (C‑85/96, EU:C:1998:217, punto 32 e la giurisprudenza ivi citata). Devo ricordare che, in tale sentenza, la Corte ha dato precedenza al diritto dei cittadini dell’Unione alla parità di trattamento rispetto alle disposizioni relative alla libera circolazione dei lavoratori. V., a tal riguardo, le mie conclusioni nelle cause riunite Rendón Marín e CS (C‑165/14 e C‑304/14, EU:C:2016:75, paragrafo 109).

( 23 ) Sentenza del 26 febbraio 1991 (C‑292/89, EU:C:1991:80).

( 24 ) Sentenza del 20 febbraio 1997 (C‑344/95, EU:C:1997:81, punti da 12 a 19). V., per quanto riguarda le indennità per persone in cerca di lavoro, sentenza del 23 marzo 2004, Collins (C‑138/02, EU:C:2004:172, punto 37), nella quale la Corte ha interpretato le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei lavoratori, per la prima volta, alla luce delle disposizioni del Trattato sulla cittadinanza dell’Unione. Nell’ambito dell’accordo di associazione CEE-Turchia, v. sentenza del 23 gennaio 1997, Tetik (C‑171/95, EU:C:1997:31, punti da 32 a 34).

( 25 ) Sentenza del 26 febbraio 1991 (C‑292/89, EU:C:1991:80).

( 26 ) Sentenza del 26 febbraio 1991 (C‑292/89, EU:C:1991:80).

( 27 ) Sentenza del 26 febbraio 1991 (C‑292/89, EU:C:1991:80).

( 28 ) V. paragrafo 38 delle presenti conclusioni.

( 29 ) Sentenza del 26 febbraio 1991, Antonissen (C‑292/89, EU:C:1991:80, punti 1316). V., parimenti, sentenza del 26 maggio 1993, Tsiotras (C‑171/91, EU:C:1993:215, punto 13).

( 30 ) Sentenza del 26 febbraio 1991 (C‑292/89, EU:C:1991:80).

( 31 ) V., segnatamente, sentenza dell’11 aprile 2019, Tarola (C‑483/17, EU:C:2019:309, punto 23 e la giurisprudenza ivi citata).

( 32 ) Secondo l’articolo 14, paragrafo 1, di tale direttiva, tale diritto è mantenuto finché i cittadini dell’Unione e i loro familiari non diventano un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante.

( 33 ) Infatti, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, di tale direttiva, i cittadini dell’Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno superiore a tre mesi finché soddisfano le condizioni fissate, segnatamente, all’articolo 7 della stessa, le quali mirano ad evitare che essi divengano un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante.

( 34 ) A tal riguardo, dalle osservazioni di G.M.A. risulta che, ai sensi dell’articolo 50, paragrafo 1, del regio decreto dell’8 ottobre 1981, in combinato disposto con l’articolo 42, paragrafo 4, secondo comma, della legge del 15 dicembre 1980, ogni cittadino dell’Unione che intenda soggiornare per un periodo superiore a tre mesi in Belgio è obbligato a presentare una richiesta di attestazione di registrazione presso l’amministrazione comunale del luogo in cui risiede entro tre mesi dal suo arrivo e che, ai sensi dell’articolo 50, paragrafo 2, di tale regio decreto, siffatto obbligo si applica parimenti alle persone in cerca di lavoro. A tal riguardo, occorre precisare che la Commissione, nelle sue osservazioni, sottolinea correttamente che l’articolo 8 della direttiva 2004/38, relativo alle «[f]ormalità amministrative per i cittadini dell’Unione» qualora tali cittadini intendano soggiornare nel territorio di uno Stato membro per un periodo superiore a tre mesi, prevede la possibilità per gli Stati membri di imporre la registrazione presso autorità competenti solo alle categorie dei cittadini dell’Unione di cui all’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva, come risulta espressamente dell’articolo 8, paragrafo 3, della stessa. Di conseguenza, le persone in cerca di occupazione non possono vedersi imporre un siffatto obbligo di registrazione, neanche in occasione della ricerca di un impiego per un periodo superiore a tre mesi. Un siffatto obbligo sarebbe contrario tanto all’articolo 45 TFUE quanto all’articolo 8 della direttiva 2004/38.

( 35 ) La dottrina ha parimenti sottolineato tale aspetto. V., segnatamente, Shuibhne, N.N., e Shaw, J., «General Report», U. Neergaard, C. Jacqueson e N. Holst-Christensen, Union Citizenship: Development, Impact and Challenges, The XXVI FIDE Congress in Copenhagen, 2014, Congress Publications, Copenaghen, 2014, vol. 2, pagg. da 65 a 226, in particolare pag. 112: «The position of jobseekers has long been – and continues to be – treated distinctively».

( 36 ) Sentenza del 26 febbraio 1991 (C‑292/89, EU:C:1991:80, punto 21).

( 37 ) Sentenza del 26 febbraio 1991, Antonissen (C‑292/89, EU:C:1991:80, punto 21). Il corsivo è mio.

( 38 ) Sentenza del 26 febbraio 1991, Antonissen (C‑292/89, EU:C:1991:80, punto 22 e dispositivo).

( 39 ) Sentenza del 26 febbraio 1991, Antonissen (C‑292/89, EU:C:1991:80, punti 2122).

( 40 ) Sentenza del 4 giugno 2009 (C‑22/08 e C‑23/08, EU:C:2009:344, punti 2122).

( 41 ) A tal riguardo ricordo che, dopo aver affermato, al punto 37 di tale sentenza, che, «tenuto conto dell’istituzione della cittadinanza dell’Unione e dell’interpretazione giurisprudenziale del diritto alla parità di trattamento di cui godono i cittadini dell’Unione, non si può più escludere dall’ambito di applicazione dell’art[icolo] 39, [paragrafo] 2, CE una prestazione di natura finanziaria destinata a facilitare l’accesso all’occupazione sul mercato del lavoro di uno Stato membro», la Corte ha dichiarato, al punto 38 della stessa sentenza, che «è legittimo che uno Stato membro attribuisca una [prestazione di natura finanziaria destinata a facilitare l’accesso all’occupazione sul mercato del lavoro di uno Stato membro] soltanto previo accertamento dell’esistenza di un legame reale tra chi è alla ricerca di un lavoro ed il mercato del lavoro del medesimo Stato». Sentenza del 4 giugno 2009, Vatsouras e Koupatantze (C‑22/08 e C‑23/08, EU:C:2009:344, punti 3839).

( 42 ) Sentenza del 4 giugno 2009 (C‑22/08 e C‑23/08, EU:C:2009:344).

( 43 ) Sentenza del 23 marzo 2004, Collins (C‑138/02, EU:C:2004:172). V. nota 24 delle presenti conclusioni.

( 44 ) Sentenza del 26 febbraio 1991 (C‑292/89, EU:C:1991:80).

( 45 ) Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, COM(2001) 257 definitivo (GU 2001, C 270 E, pag. 154).

( 46 ) Risoluzione legislativa del Parlamento europeo sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare liberamente nel territorio degli Stati membri, COM(2001) 257 – C5-0336/2001 – 2001/0111(COD) (GU 2004, C 43 E, pag. 48).

( 47 ) Posizione comune (CE) n. 6/2004, del 5 dicembre 2003, definita dal Consiglio, in vista dell’adozione della direttiva 2004/[38]/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del (…) relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, C 54 E, pag. 12).

( 48 ) Il corsivo è mio.

( 49 ) Sentenza del 26 febbraio 1991 (C‑292/89, EU:C:1991:80).

( 50 ) V., a tal riguardo, Shuibhne, N.N., «In search of a status: where does the jobseeker fit in EU free movement law?», D. Edward, A. Komninos e J. MacLennan, Ian S. Forrester - A Scot without Borders - Liber Amicorum, vol. 1, 2017, pagg. da 139 a 152, in particolare pag. 148.

( 51 ) Occorre osservare che i motivi degli spostamenti dei cittadini di uno Stato membro verso altri Stati membri possono essere estremamente vari.

( 52 ) Cieśliński, A. e Szwarc, M., Prawo rynku wewnętrznego. System Prawa Unii Europejskiej, vol. 7, sotto la direzione di Kornobis-Romanowska, D., C.H. Beck, Varsavia, 2020, pag. 310.

( 53 ) Dalla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, del 25 novembre 2013, relativa alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari: cinque azioni fanno la differenza [COM(2013) 837 final, pag. 6] risulta che «[l]e persone in cerca di occupazione possono soggiornarvi incondizionatamente per un periodo di sei mesi, ed eventualmente oltre se dimostrano di avere buone possibilità di trovare un posto di lavoro». V., parimenti, sito pubblico di informazione della Commissione «La tua Europa», disponibile su https://europa.eu/youreurope/citizens/residence/residence-rights/jobseekers/index_fr.htm#just-moved: «Se non hai trovato un lavoro nei primi sei mesi del tuo soggiorno, le autorità nazionali possono decidere di valutare se hai ancora diritto a rimanere nel paese. A tal fine dovrai dimostrare: che stai cercando attivamente un lavoro e; che hai buone possibilità di trovarne uno».

( 54 ) Dalle osservazioni di G.M.A. risulta che la durata media per trovare un impiego in Belgio è pari a sette mesi.

( 55 ) Sentenza del 29 aprile 2004 (C‑482/01 e C‑493/01, EU:C:2004:262).

( 56 ) Il corsivo è mio.

( 57 ) V. paragrafo 52 delle presenti conclusioni.

( 58 ) Il quale trova la sua fonte direttamente nell’articolo 45 TFUE.

( 59 ) V. paragrafo 50 delle presenti conclusioni.

( 60 ) V. paragrafi da 86 a 89 delle presenti conclusioni.

( 61 ) Sentenza del 10 settembre 2019, Chenchooliah (C‑94/18, EU:C:2019:693, punto 82). Per contro, dal punto 83 di tale sentenza risulta che non è questo il caso dell’articolo 30, paragrafo 2, dell’articolo 31, paragrafo 2, terzo trattino, e dell’articolo 31, paragrafo 4, della direttiva 2004/38, la cui applicazione deve restare rigorosamente circoscritta ai provvedimenti di allontanamento adottati per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Tali disposizioni non sono quindi applicabili ai provvedimenti di allontanamento di cui all’articolo 15 di tale direttiva. V., parimenti, le mie conclusioni in tale causa (C‑94/18, EU:C:2019:433).

( 62 ) Sentenza del 10 settembre 2019, Chenchooliah (C‑94/18, EU:C:2019:693, punto 84). V., parimenti, sentenze del 12 luglio 2018, Banger (C‑89/17, EU:C:2018:570, punto 48), e del 4 giugno 2013, ZZ (C‑300/11, EU:C:2013:363, punto 50).

( 63 ) Sentenza del 10 settembre 2019, Chenchooliah (C‑94/18, EU:C:2019:693, punto 85). V., parimenti, sentenze del 12 luglio 2018, Banger (C‑89/17, EU:C:2018:570, punto 48), e del 17 novembre 2011, Gaydarov (C‑430/10, EU:C:2011:749, punto 41): «[In tal senso, le persone interessate] devono disporre (…) di un rimedio giurisdizionale effettivo avverso una decisione, che consenta la verifica in fatto e in diritto della legittimità della decisione stessa con riguardo al diritto dell’Unione».

( 64 ) Il corsivo è mio. Sentenza del 12 luglio 2018, Banger (C‑89/17, EU:C:2018:570, punto 51).

( 65 ) Sentenza del 29 aprile 2004 (C‑482/01 e C‑493/01, EU:C:2004:262).

( 66 ) Sentenza del 29 aprile 2004 (C‑482/01 e C‑493/01, EU:C:2004:262).

( 67 ) Direttiva del Consiglio del 25 febbraio 1964 per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri giustificati da motivi d’ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (GU 56 del 4 aprile 1964, pag. 850).

( 68 ) L’articolo 3 della direttiva 64/221 prevedeva che i provvedimenti in questione dovessero essere adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale dell’individuo nei riguardi del quale essi sono applicati e che la sola esistenza di condanne penali non potesse automaticamente giustificare l’adozione di tali provvedimenti.

( 69 ) Sentenza del 29 aprile 2004, Orfanopoulos e Oliveri (C‑482/01 e C‑493/01, EU:C:2004:262, punto 80): «Se è vero che spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai soggetti in forza delle norme di diritto comunitario, tuttavia le dette modalità non devono essere tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario».

( 70 ) Sentenza del 29 aprile 2004 (C‑482/01 e C‑493/01, EU:C:2004:262). Tale approccio è stato confermato, segnatamente, nell’ambito dell’interpretazione dell’accordo di associazione CEE-Turchia, nella sentenza dell’11 novembre 2004, Cetinkaya (C‑467/02, EU:C:2004:708, punti 4546). Gli insegnamenti sviluppati da tale sentenza sono stati codificati in diverse disposizioni della direttiva 2004/38. In tal senso, l’articolo 27, paragrafo 2, di tale direttiva esige che i «provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza» siano fondati, segnatamente, sulle circostanze attuali concernenti l’individuo interessato da siffatti provvedimenti. V., parimenti, l’articolo 33, paragrafo 2, della direttiva 2004/38. V. sentenza dell’11 novembre 2004, Cetinkaya (C‑467/02, EU:C:2004:708, punto 46).

( 71 ) Sentenza del 29 aprile 2004, Orfanopoulos e Oliveri (C‑482/01 e C‑493/01, EU:C:2004:262, punto 77).

( 72 ) Sentenza del 29 aprile 2004 (C‑482/01 e C‑493/01, EU:C:2004:262).

( 73 ) V., a tal riguardo, sentenza del 17 aprile 2018, B e Vomero (C‑316/16 e C‑424/16, EU:C:2018:256, punto 94).

( 74 ) Sentenza del 6 ottobre 2015, East Sussex County Council (C‑71/14, EU:C:2015:656, punto 58 e la giurisprudenza ivi citata).

( 75 ) Guild, E., Peers, S. e Tomkin, J., The EU Citizenship Directive A Commentary, 2° edizione, Oxford University Press, Oxford, 2019, pag. 297: «Il testo del[l’articolo 31, paragrafo 3, della direttiva] indica che il sindacato giurisdizionale può essere limitato ai fatti e alle circostanze sui quali è fondata la decisione proposta. Tuttavia, ogni mutamento di circostanze dal momento in cui le autorità dello Stato hanno adottato la decisione deve essere parimenti essere preso in considerazione nell’esame, da parte del giudice, della causa della quale è investito. Poiché si tratta di una questione di ingerenza nel diritto di ingresso e di soggiorno in forza del diritto dell’Unione, è la situazione alla data dell’udienza che dovrebbe essere determinante».

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