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Document 62019CC0398

Conclusioni dell’avvocato generale G. Hogan, presentate il 24 settembre 2020.
BY contro Generalstaatsanwaltschaft Berlin.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Kammergericht Berlin.
Rinvio pregiudiziale – Cittadinanza dell’Unione europea – Articoli 18 e 21 TFUE – Estradizione di un cittadino dell’Unione verso uno Stato terzo – Persona che ha acquisito la cittadinanza dell’Unione dopo aver trasferito il centro dei propri interessi nello Stato membro richiesto – Ambito di applicazione del diritto dell’Unione – Divieto di estradizione applicato unicamente nei confronti dei propri cittadini – Restrizione della libera circolazione – Giustificazione fondata sulla prevenzione dell’impunità – Proporzionalità – Informazione dello Stato membro del quale la persona reclamata ha la cittadinanza – Obbligo per gli Stati membri, richiesto e di origine, di domandare allo Stato terzo richiedente di trasmettere il fascicolo penale – Insussistenza.
Causa C-398/19.

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2020:748

 CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GERARD HOGAN

presentate il 24 settembre 2020 ( 1 )

Causa C‑398/19

BY

con l’intervento di:

Generalstaatsanwaltschaft Berlin

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Kammergericht Berlin (Tribunale superiore del Land di Berlino, Germania)]

«Domanda di pronuncia pregiudiziale – Cittadinanza dell’Unione – Estradizione verso un paese terzo di un cittadino di uno Stato membro – Persona ricercata che ha ottenuto la cittadinanza dell’Unione solo dopo aver trasferito il centro dei propri interessi nello Stato membro richiesto – Protezione dei propri cittadini contro l’estradizione – Obblighi dello Stato richiesto e dello Stato membro d’origine del cittadino dell’Unione – Obiettivo di evitare il rischio di impunità nei procedimenti penali»

I. Introduzione

1.

La decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri ( 2 ), ha notevolmente semplificato il regime di consegna tra Stati membri delle persone sospettate. Ciononostante, come risulta chiaramente dalla presente causa, sorgono difficoltà con le domande di estradizione provenienti da Stati terzi.

2.

Mentre si sarebbe potuto ritenere che le domande di tali paesi terzi dovessero, in linea di principio, esulare dall’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, la questione specifica che si pone nella presente domanda di pronuncia pregiudiziale deriva dal fatto che la maggior parte degli Stati membri ( 3 ) nega l’estradizione dei propri cittadini verso Stati terzi ( 4 ), preferendo invece applicare in dette situazioni l’opzione «aut judicare» della massima «aut dedere, aut judicare» (o estradare o giudicare) ( 5 ). Atteso che gli Stati membri che rifiutano di concedere l’estradizione dei propri cittadini verso paesi terzi prevedono sempre nella propria legislazione nazionale anche che la commissione di tali reati da parte dei propri cittadini, in qualunque parte del mondo, sia perseguibile nel proprio Stato in forza di un principio di competenza extraterritoriale in materia penale ampiamente riconosciuto nel diritto internazionale (vale a dire ciò che è noto come «principio della personalità attiva») ( 6 ), tale vincolo all’estradizione è di fatto relativamente meno problematico rispetto a quanto avrebbe potuto essere.

3.

È a questo punto che sorgono le difficoltà palesatesi per la prima volta con i fatti oggetto della decisione della Corte del 6 settembre 2016 nella causa Petruhhin ( 7 ). Come si configura la situazione nel caso in cui il cittadino di uno Stato membro esercita il diritto di libera circolazione per recarsi in un altro Stato membro quando quest’altro Stato rifiuti di concedere l’estradizione dei propri cittadini verso paesi terzi e si avvalga del principio dell’«aut dedere, aut judicare»? I principi di non discriminazione in base alla nazionalità (articolo 18 TFUE) e del diritto alla libera circolazione (articolo 21 TFUE) comportano che lo Stato membro ospitante sia tenuto, in linea di principio, anche a estendere in qualche modo la norma che vieta l’estradizione dei propri cittadini a cittadini di altri Stati membri che si siano avvalsi dei loro diritti di libera circolazione?

4.

Una risposta affermativa a queste domande è stata data dalla Corte – seppure con molti distinguo – nella sentenza Petruhhin. Nel fare ciò, tuttavia, la Corte ha altresì ammesso che la situazione di colui che in questo esempio definirei come soggetto che si avvale della libertà di movimento non può essere completamente assimilata a quella del cittadino dello Stato membro ospitante, proprio perché la normativa interna degli Stati membri generalmente non prevede l’esercizio di una competenza giurisdizionale per i reati extraterritoriali commessi da stranieri all’estero, almeno in assenza di determinate caratteristiche. Come dichiarato dalla Corte:

«(…) mentre (...) la mancata estradizione dei cittadini nazionali è generalmente compensata dalla possibilità per lo Stato membro richiesto di perseguire i propri cittadini per reati gravi commessi fuori dal suo territorio, tale Stato membro è di norma incompetente a giudicare tali fatti quando né l’autore né la vittima del presunto reato sono cittadini di detto Stato membro» ( 8 ).

Tale dilemma è al centro della giurisprudenza Petruhhin.

5.

Ciò ci conduce immediatamente alla presente domanda di pronuncia pregiudiziale. Con la sua domanda, il Kammergericht Berlin (Tribunale superiore del Land di Berlino, Germania) chiede chiarimenti sugli obblighi derivanti dal Trattato FUE per uno Stato membro la cui normativa vieta l’estradizione dei propri cittadini verso paesi terzi ai fini di un procedimento penale relativo a domande di estradizione riguardanti cittadini di altri Stati membri che attualmente risiedono o soggiornano all’interno dei suoi confini.

6.

La Corte è quindi invitata, ancora una volta, a precisare gli obblighi degli Stati membri derivanti dai principi elaborati nella sentenza Petruhhin ( 9 ). Il carattere innovativo della soluzione prospettata nella sentenza Petruhhin si misura anche col fatto che non sembra che tale decisione sia stata universalmente accettata dagli Stati membri. Vi è chi ha sottolineato le difficoltà giuridiche e pratiche che essa pone agli Stati membri quanto alla sua applicazione. Tuttavia, prima di esaminare le suddette questioni, occorre innanzi tutto specificare le pertinenti disposizioni normative di cui trattasi e poi riassumere i fatti del caso di specie.

II. Contesto normativo

A.   Convenzione europea di estradizione del 1957 ( 10 )

7.

L’articolo 1 della Convenzione europea di estradizione del 1957 è così formulato:

«Le Parti Contraenti si obbligano a estradarsi reciprocamente, secondo le regole e le condizioni stabilite negli articoli seguenti, gli individui perseguiti per un reato o ricercati per l’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza dalle autorità giudiziarie della Parte richiedente».

8.

L’articolo 6 della Convenzione europea di estradizione prevede quanto segue:

«1   

a

Ciascuna parte contraente avrà la facoltà di rifiutare l’estradizione dei suoi cittadini.

b

Ciascuna parte contraente potrà, mediante una dichiarazione effettuata al momento della firma o del deposito dello strumento di ratifica o di adesione, definire, per quanto la concerne, il termine “cittadini” nel senso della presente Convenzione.

c

La qualità di cittadino sarà valutata al momento della decisione di estradizione. Tuttavia, se tale qualità è accertata soltanto fra la decisione e la data prevista per la consegna, la Parte richiesta potrà parimente avvalersi della disposizione della lettera a) del presente articolo.

2   Se la Parte richiesta non procede all’estradizione di un suo cittadino, essa dovrà, su domanda della Parte richiedente, sottoporre il caso alle autorità competenti, affinché, ove occorra, possano essere avviati procedimenti giudiziari. A tale scopo, i fascicoli, le informazioni e gli oggetti relativi al reato saranno trasmessi gratuitamente per la via prevista nel paragrafo 1 dell’articolo 12. La Parte richiedente sarà informata del seguito che sarà stato dato alla sua domanda».

9.

Attualmente, l’articolo 12 della Convenzione europea di estradizione del 1957 (come inserito dal secondo protocollo addizionale alla Convenzione europea di estradizione del 1957 ( 11 )) prevede quanto segue:

«1   La domanda sarà espressa per iscritto ed è trasmessa dal Ministero della Giustizia della Parte richiedente al Ministero della Giustizia della Parte richiesta; tuttavia, il ricorso alla via diplomatica non è escluso. Un’altra modalità di comunicazione potrà essere convenuta mediante accordo diretto fra due o più Parti[ ( 12 )].

2   A sostegno della domanda sarà prodotto:

a

l’originale o la copia autentica di una decisione esecutiva di condanna o di un mandato di arresto o di qualsiasi altro atto avente la stessa forza, rilasciato nelle forme prescritte nella legge dalla Parte richiedente;

b

un esposto dei fatti per i quali l’estradizione è domandata. Il tempo e il luogo del loro compimento, la loro qualificazione legale e il riferimento alle disposizioni legali loro applicabili saranno indicate il più esattamente possibile;

c

una copia delle disposizioni legali applicabili o, se ciò fosse impossibile, una dichiarazione sul diritto applicabile, come anche il segnalamento il più preciso possibile dell’individuo reclamato e qualsiasi altra informazione atta a determinare la sua identità e la sua cittadinanza».

10.

L’articolo 17 della Convenzione europea di estradizione del 1957, rubricato «Concorso di domande», prevede quanto segue:

«Se l’estradizione è domandata nel contempo da parecchi Stati, sia per lo stesso fatto, sia per fatti differenti, la Parte richiesta statuirà, tenuto conto di tutte le circostanze e soprattutto della gravità relativa e del luogo dei reati, delle date rispettive delle domande, della cittadinanza dell’individuo richiesto e della possibilità di una ulteriore estradizione a un altro Stato».

11.

La Repubblica federale di Germania ha effettuato la seguente dichiarazione al momento del deposito dello strumento di ratifica, il 2 ottobre 1976, relativamente all’articolo 6 della Convenzione europea di estradizione del 1957:

«L’estradizione dei cittadini tedeschi dalla Repubblica federale di Germania verso un paese straniero non è permessa ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 2, prima frase, della Legge fondamentale della Repubblica federale di Germania e deve pertanto essere negata in ogni caso. Il termine “cittadini” di cui all’articolo 6, punto 1 ter, della Convenzione europea di estradizione del 1957 comprende tutti i cittadini tedeschi ai sensi dell’articolo 116, paragrafo 1, della Legge fondamentale della Repubblica federale di Germania».

A seguito dell’entrata in vigore della legge nazionale di attuazione della decisione quadro 2002/584, e a seguito di una decisione del Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale, Germania) in materia, la Repubblica federale di Germania ha integrato tale dichiarazione al fine di far prevalere la decisione quadro 2002/584 nelle relazioni reciproche tra la Germania e gli altri Stati membri dell’Unione europea ( 13 ).

B.   Diritto dell’Unione

12.

L’articolo 8 della decisione quadro 2002/84, avente ad oggetto il contenuto e la forma del mandato d’arresto europeo, stabilisce quanto segue:

«1.   Il mandato d’arresto europeo contiene le informazioni seguenti, nella presentazione stabilita dal modello allegato:

a)

identità e cittadinanza del ricercato;

b)

il nome, l’indirizzo, il numero di telefono e di fax, l’indirizzo di posta elettronica dell’autorità giudiziaria emittente;

c)

indicazione dell’esistenza di una sentenza esecutiva, di un mandato d’arresto o di qualsiasi altra decisione giudiziaria esecutiva che abbia la stessa forza e che rientri nel campo d’applicazione degli articoli 1 e 2;

d)

natura e qualificazione giuridica del reato, in particolare tenendo conto dell’articolo 2;

e)

descrizione delle circostanze della commissione del reato, compreso il momento, il luogo e il grado di partecipazione del ricercato;

f)

pena inflitta, se vi è una sentenza definitiva, ovvero, negli altri casi, pena minima e massima stabilita dalla legge dello Stato di emissione;

g)

per quanto possibile, le altre conseguenze del reato.

(...)».

13.

I paragrafi 1 e 3 dell’articolo 16 della decisione quadro 2002/584, rubricato «Decisione in caso di concorso di richieste», sono formulati come segue:

«1.   Se due o più Stati membri hanno emesso un mandato di arresto europeo nei confronti della stessa persona, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione decide quale dei mandati di arresto deve essere eseguito, tenuto debito conto di tutte le circostanze e soprattutto della gravità relativa e del luogo in cui è avvenuto il reato, delle date rispettive di emissione dei mandati di arresto europei nonché del fatto che i mandati sono stati emessi ai fini dell’azione penale o per l’esecuzione di una pena o misura privative della libertà.

(...)

3.   In caso di conflitto tra un mandato di arresto europeo ed una richiesta di estradizione presentata da un paese terzo, la competente autorità dell’esecuzione decide se dare la precedenza al mandato di arresto europeo o alla richiesta di estradizione, tenuto debito conto di tutte le circostanze, in particolare di quelle di cui al paragrafo 1 e di quelle indicate nella Convenzione o nell’accordo applicabile.

(...)».

C.   Normativa tedesca

14.

L’articolo 16, punto 2, del Grundgesetz für die Bundesrepublik Deutschland (legge fondamentale della Repubblica federale di Germania) del 23 maggio 1949 ( 14 ) così dispone:

«Nessun cittadino tedesco può essere estradato all’estero. Una disciplina derogatoria può essere adottata dalla legge ai fini dell’estradizione verso uno Stato membro dell’Unione europea o una corte internazionale, purché siano garantiti i principi dello Stato di diritto».

15.

L’articolo 7 dello Strafgesetzbuch (codice penale tedesco; in prosieguo: il «codice penale») ( 15 ) è così formulato:

«1) Il diritto penale tedesco si applica a reati commessi all’estero a danno di un cittadino tedesco (...)

2) Per altri reati commessi all’estero, si applica il diritto penale tedesco qualora il reato sia altresì punito nel luogo in cui è stato commesso o detto luogo non rientri nella giurisdizione penale di alcuno Stato e se l’autore

1.

era tedesco al momento del reato (...) o

2.

era un cittadino straniero al momento del reato, viene rinvenuto sul territorio nazionale e, sebbene la legge sull’estradizione ne consenta l’estradizione in base alla natura del reato, non è estradato perché una richiesta di estradizione non è stata presentata entro un tempo ragionevole o è stata rifiutata o l’estradizione non è eseguibile».

III. Fatti del procedimento principale e questioni pregiudiziali

16.

La persona ricercata nell’ambito del presente procedimento, BY, è un cittadino ucraino. Nel corso del 2012, egli si è trasferito dall’Ucraina in Germania (che, per comodità, propongo di qualificare come «Stato membro ospitante» o «Stato richiesto»). Nel corso del 2014 egli ha ottenuto anche la cittadinanza rumena, in quanto discendente di ex cittadini rumeni che vivevano nell’allora Bucovina rumena. Egli non ha tuttavia mai avuto il centro dei propri interessi in Romania (nel caso di specie, lo «Stato membro di cittadinanza»).

17.

BY è oggetto di un mandato di arresto emesso dal Tribunale distrettuale di Zastavna (Ucraina) il 26 febbraio 2016. A BY viene addebitata l’appropriazione indebita di denaro nei confronti di un’impresa statale ucraina nel corso degli anni 2010 e 2011. Il 15 marzo 2016, la procura generale dell’Ucraina (che propongo di qualificare come «paese terzo» o «Stato richiedente») ha presentato una richiesta formale di estradizione che è stata trasmessa alla Repubblica federale di Germania tramite i rispettivi Ministeri della Giustizia, conformemente all’articolo 5 del secondo protocollo addizionale alla Convenzione europea di estradizione del 1957. Onde evitare che sia altrimenti trascurato, occorre sottolineare che BY beneficia naturalmente di una presunzione di innocenza. È dunque su tale fondamento che si basano le presenti conclusioni.

18.

In seguito a tale domanda di estradizione, il 26 luglio 2016 BY è stato arrestato e posto in detenzione provvisoria ai sensi dell’articolo 19 del Gesetz über die internationale Rechtshilfe in Strafsachen ( 16 ). Il 28 novembre 2016 il Kammergericht Berlin (Tribunale superiore del Land di Berlino) ha disposto che nei confronti di BY fosse revocata la detenzione a fini estradizionali, contro il pagamento di una cauzione e a determinate condizioni. Dopo il deposito della cauzione, l’imputato è stato rimesso in libertà il 2 dicembre 2016.

19.

In considerazione della cittadinanza rumena di BY e facendo riferimento alla sentenza Petruhhin, la Generalstaatsanwaltschaft Berlin (Procura generale di Berlino) con lettera del 9 novembre 2016, ha informato il Ministero della Giustizia della Romania della richiesta di estradizione, allegando una copia dell’ordinanza del giudice del rinvio del 1o agosto 2016, con cui era stata disposta la detenzione di BY in pendenza di estradizione. Nella lettera si chiedeva se le autorità rumene intendessero procedere con l’assunzione del procedimento penale nei confronti di BY.

20.

In un primo tempo, il Ministero della Giustizia rumeno ha risposto che occorreva una richiesta delle autorità giudiziarie ucraine. La Procura generale di Berlino si è quindi interrogata sulla questione se il diritto penale rumeno consentisse di perseguire i reati contestati a BY, indipendentemente da una richiesta delle autorità giudiziarie ucraine diretta all’assunzione dell’azione penale (ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, della Convenzione europea di estradizione del 1957). Nella sua risposta, il Ministero della Giustizia rumeno ha informato la Procura generale che l’emissione di un mandato d’arresto nazionale, quale condizione preliminare per l’emissione di un mandato d’arresto europeo, presupponeva la sussistenza di sufficienti elementi di prova per ascrivere il reato all’imputato. Esso ha chiesto, pertanto, alla Procura generale di Berlino di trasmettere documenti e copie delle prove provenienti dall’Ucraina.

21.

Il giudice del rinvio presume da tale scambio di corrispondenza che la legge rumena consenta, in linea di principio, di perseguire un cittadino rumeno per reati commessi in un paese terzo.

22.

Il giudice a quo ritiene che l’estradizione di BY verso l’Ucraina, richiesta dalla Generalstaatsanwaltschaft Berlin (Procura generale di Berlino), sarebbe in linea di principio ammissibile secondo il diritto tedesco. Detto giudice ritiene tuttavia che l’adozione di una decisione in tal senso sia impedita dalla sentenza Petruhhin, in quanto, fino ad oggi, le autorità giudiziarie rumene non si sarebbero ancora pronunciate, né positivamente né negativamente, sul perseguimento di BY per i presunti reati oggetto della domanda di estradizione. Il giudice del rinvio sottolinea tuttavia, anzitutto, le differenze di fatto della presente causa, in quanto BY non aveva la cittadinanza rumena nel momento in cui ha trasferito il centro dei propri interessi dall’Ucraina alla Repubblica federale di Germania. Si afferma, tuttavia, che quando ha spostato il suo domicilio nella Repubblica federale di Germania non l’avrebbe fatto nell’ambito dell’esercizio del diritto alla libera circolazione ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE.

23.

In secondo luogo, il giudice del rinvio menziona difficoltà pratiche nell’applicazione dei principi esposti nella sentenza Petruhhin. Le autorità penali rumene hanno chiesto alla Germania elementi di prova nei confronti di BY, al fine di esaminare i reati che gli venivano contestati. Tali elementi di prova avrebbero consentito loro di decidere in merito all’emissione di un mandato d’arresto nazionale sulla base del quale potrebbe allora essere emesso un mandato d’arresto europeo. Orbene, le autorità tedesche non sarebbero in possesso di tali informazioni. Ciò non sorprende in quanto l’Ucraina ha fondato la sua domanda sulla Convenzione europea di estradizione del 1957. L’articolo 12, paragrafo 2, della suddetta Convenzione non impone allo Stato richiedente di fornire detti documenti e quindi l’Ucraina non li aveva forniti.

24.

In siffatte circostanze, il giudice del rinvio si chiede se lo Stato membro di cittadinanza sia tenuto a richiedere esso stesso allo Stato richiedente i fascicoli che gli consentirebbero di decidere se esercitare l’azione penale. Il giudice del rinvio rileva, inoltre, che, anche se le autorità tedesche fossero in possesso di documenti forniti dallo Stato richiedente, non sarebbe certo se questi possano essere trasmessi automaticamente dallo Stato richiesto allo Stato membro di cittadinanza del cittadino dell’Unione di cui era stata chiesta l’estradizione o se a tal fine sia necessario il consenso dello Stato richiedente.

25.

Ove, per contro, le informazioni fondamentali relative alla richiesta di estradizione non siano sufficienti affinché lo Stato membro di cittadinanza esamini se procedere con l’assunzione del procedimento penale e se detto Stato debba richiedere il fascicolo allo Stato richiedente, ciò comporterebbe un ritardo sostanziale della procedura. Tale ritardo sarebbe dovuto alla comunicazione per via diplomatica nonché alla necessità della traduzione. Il giudice del rinvio rileva che ciò pone problemi particolari se l’imputato si trova in stato di arresto.

26.

Il giudice del rinvio rileva, inoltre, che una richiesta di documenti da parte dello Stato richiesto sarebbe altresì impraticabile, in quanto quest’ultimo non è in grado di valutare se la legislazione nazionale di detto Stato consenta allo Stato di cittadinanza di esercitare l’azione penale. Esistono gli stessi problemi quanto alla mancata conoscenza, da parte dello Stato membro ospitante, del diritto dello Stato membro di cittadinanza, nonché quanto agli inevitabili ritardi che ne deriverebbero nell’ipotesi in cui lo Stato membro richiesto chiedesse allo Stato richiedente di inoltrare allo Stato membro di cittadinanza una richiesta di assunzione del procedimento penale.

27.

In terzo luogo, dato che l’articolo 7, paragrafo 2 del codice penale tedesco prevede una competenza sussidiaria per i reati commessi all’estero, anche da stranieri, il giudice del rinvio si chiede se, per rispettare il principio di non discriminazione sancito dall’articolo 18 TFUE, sia tenuto a dichiarare l’estradizione illegittima. Le autorità penali tedesche dovrebbero quindi procedere all’assunzione del procedimento penale.

28.

Secondo il giudice del rinvio, tale approccio metterebbe notevolmente a rischio l’efficacia dell’azione penale nei confronti di siffatti reati. Ne conseguirebbe che l’estradizione di un cittadino di uno Stato membro diverrebbe prima facie illegittima a causa della possibilità per le autorità tedesche di procedere all’assunzione del procedimento penale. Ciò, a sua volta, renderebbe di fatto impossibile, secondo il diritto tedesco, l’emissione di un mandato d’arresto a fini estradizionali ( 17 ) o nell’ambito di un procedimento penale in Germania ( 18 ). Il ritardo causato da ciò potrebbe consentire all’indagato di eludere (ancora una volta) l’azione penale.

29.

Alla luce di tali circostanze, il 23 maggio 2019 il giudice del rinvio ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se i principi enunciati nella sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 6 settembre 2016 nella causa Petruhhin (C‑182/15) sull’applicazione degli articoli 18 e 21 [TFUE] nel caso di una richiesta di estradizione di un cittadino dell’Unione presentata da uno Stato terzo valgano anche se l’imputato ha spostato il centro dei propri interessi nello Stato membro richiesto in un momento in cui non era ancora cittadino dell’Unione.

2)

Se, in base alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 6 settembre 2016 nella causa Petruhhin (C‑182/15), lo Stato membro di cittadinanza informato di una richiesta di estradizione sia tenuto a chiedere allo Stato terzo richiedente di trasmettere gli atti al fine di esaminare se procedere con l’assunzione del procedimento penale.

3)

Se, sulla base della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 6 settembre 2016 nella causa Petruhhin (C‑182/15), lo Stato membro che riceve da uno Stato terzo una richiesta di estradizione di un cittadino dell’Unione sia tenuto a rifiutare l’estradizione e ad esercitare direttamente l’azione penale qualora ciò gli sia consentito ai sensi del suo diritto nazionale».

30.

Hanno presentato osservazioni scritte BY, il governo tedesco, l’Irlanda, i governi ellenico, lettone, ungherese, austriaco, polacco e rumeno, nonché la Commissione europea. L’udienza in sé ha avuto luogo nel corso della pandemia COVID-19 e i rappresentanti di BY, del governo tedesco e della Commissione sono stati sentiti all’udienza tenutasi il 16 giugno 2020. Con l’autorizzazione della Corte, l’Irlanda è stata ammessa a comparire a distanza e le osservazioni scritte presentate dai governi lettone e polacco sono state lette in presenza dei membri della Corte e dei rappresentanti delle parti presenti.

IV. Analisi

A.   Il ragionamento svolto dalla Corte nella sentenza Petruhhin

31.

Poiché il fulcro delle questioni poste dal giudice del rinvio è costituito dall’applicazione alla presente fattispecie delle constatazioni della Corte nella sentenza Petruhhin – confermate dalla Corte in successive decisioni quali le sentenze Pisciotti ( 19 ) e Raugevicius ( 20 ) – occorre esaminare tanto i fatti che il ragionamento seguito dalla Corte in detta causa.

32.

Nella causa Petruhhin, il ricorrente era un cittadino estone che si era trasferito in Lettonia. Successivamente, le autorità lettoni hanno ricevuto una domanda di estradizione dal procuratore generale della Federazione russa nella quale si affermava che il sig. Petruhhin era ricercato per un traffico di stupefacenti su larga scala commesso in associazione con un’organizzazione criminale. La normativa lettone ostava tuttavia all’estradizione dei propri cittadini e il punto fondamentale della causa Petruhhin era che nella mancata estensione in suo favore di tale diritto, quale altro cittadino dell’Unione che aveva esercitato i suoi diritti di libera circolazione, sarebbe stata ravvisabile una discriminazione ingiustificata ai sensi dell’articolo 18 TFUE.

33.

Nelle sue conclusioni presentate il 10 maggio 2016, l’avvocato generale Bot concordava sul fatto che i cittadini lettoni godessero di una tutela giuridica non estesa ai cittadini non lettoni ( 21 ). In tal senso, i cittadini di altri Stati membri erano trattati in modo diverso a tal fine. L’avvocato generale Bot ha tuttavia ritenuto che tale disparità di trattamento fosse oggettivamente giustificata dal fatto che, mentre la Lettonia godeva di una competenza extraterritoriale per i reati commessi all’estero dai suoi cittadini, la normativa lettone non prevedeva in genere un siffatto diritto nei confronti degli stranieri come il sig. Petruhhin (che era sprovvisto del diritto di soggiorno permanente in Lettonia ( 22 )) ( 23 ). Avendo concluso che il sig. Petruhhin «non [poteva] essere perseguito penalmente in Lettonia per un reato che si sospetta abbia commesso in Russia», l’avvocato generale Bot ha sostenuto che:

«(...) alla luce dell’obiettivo di evitare l’impunità delle persone sospettate di aver commesso un reato in uno Stato terzo, tale cittadino non si trova in una situazione analoga a quella dei cittadini lettoni.

Pertanto, la differenza di trattamento tra i cittadini dell’Unione non cittadini lettoni che soggiornano in Lettonia e i cittadini lettoni non costituisce una discriminazione vietata dall’articolo 18, primo comma, TFUE, in quanto tale differenza è giustificata dall’obiettivo della lotta contro l’impunità delle persone sospettate di aver commesso un reato in uno Stato terzo» ( 24 ).

34.

Come accade, la Corte tuttavia non ha seguito tale aspetto delle conclusioni dell’avvocato generale Bot, un punto sul quale adesso ritornerò. Per contro, la Corte ha dichiarato che, se il diritto nazionale di uno Stato membro osta all’estradizione dei propri cittadini, il principio della parità di trattamento sancito dall’articolo 18 TFUE implicava l’estensione di tale norma sulla mancata estradizione anche ai cittadini non nazionali. Non farlo costituirebbe inoltre una restrizione alla libertà di circolazione, ai sensi dell’articolo 21 TFUE ( 25 ).

35.

La Corte ha aggiunto che tale restrizione, per essere giustificata, deve basarsi su considerazioni oggettive ed essere proporzionata all’obiettivo legittimamente perseguito. Essa ha rilevato che, sebbene gli Stati che non estradano i propri cittadini siano abitualmente in grado di assumere l’esercizio dell’azione penale nei loro confronti, ciò solitamente non avviene per i cittadini di paesi terzi. Si poteva quindi temere che il presunto reato rischiasse di restare impunito. Garantire un’attenuazione di tale rischio rappresentava un obiettivo legittimo nel diritto dell’Unione ( 26 ).

36.

Tenuto conto di tali difficoltà, la Corte ha poi proposto una misura che, a suo avviso, avrebbe soddisfatto il criterio di proporzionalità richiesto. Detta misura era fondata sul principio di leale cooperazione enunciato all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, TUE. La Corte ha dichiarato che, in assenza di norme del diritto dell’Unione disciplinanti l’estradizione, tale principio impone agli Stati membri di attuare tutti i meccanismi di cooperazione e di assistenza reciproca esistenti in materia penale in forza del diritto dell’Unione ( 27 ). La Corte ha così dichiarato che:

«(...) gli articoli 18 e 21 TFUE devono essere interpretati nel senso che, quando a uno Stato membro nel quale si sia recato un cittadino dell’Unione avente la cittadinanza di un altro Stato membro viene presentata una domanda di estradizione da parte di uno Stato terzo con il quale il primo Stato membro ha concluso un accordo di estradizione, esso è tenuto a informare lo Stato membro del quale il predetto cittadino ha la cittadinanza e, se del caso, su domanda di quest’ultimo Stato membro, a consegnargli tale cittadino, conformemente alle disposizioni della decisione quadro [2002/584], purché detto Stato membro sia competente, in forza del suo diritto nazionale, a perseguire tale persona per fatti commessi fuori dal suo territorio nazionale» ( 28 ).

B.   Convenzione europea di estradizione del 1957

37.

Ritornerò in seguito sulla sentenza Petruhhin e sulle sue implicazioni per la presente causa. È tuttavia necessario, in questa fase, un approfondimento sulla Convenzione europea di estradizione del 1957. Come la Commissione sottolinea nelle sue osservazioni scritte, non esiste un accordo internazionale tra l’Unione europea e l’Ucraina in materia di estradizione. In siffatte circostanze, le norme in materia di estradizione rientrano nella competenza degli Stati membri. Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che l’accordo internazionale su cui si basa l’estradizione richiesta dall’Ucraina è la Convenzione europea di estradizione del 1957. La Convenzione è un accordo del Consiglio d’Europa del quale la Germania e l’Ucraina, nonché la Romania, sono parti contraenti. Prima di andare oltre, propongo alla Corte di esaminare in che modo l’applicazione dei principi enunciati nella sentenza Petruhhin ( 29 ) inciderebbe sull’applicazione di tale Convenzione.

38.

L’articolo 1 della Convenzione europea di estradizione del 1957 contiene un obbligo di estradizione purché la persona ricercata sia accusata di un reato che dà luogo all’estradizione. Non sembra dubbio che la violazione addebitata a BY soddisfi i criteri enunciati all’articolo 2 di detta Convenzione per i «Reati motivanti l’estradizione». La Convenzione contiene diverse eccezioni in cui l’estradizione può o deve essere rifiutata (ad esempio per i reati politici a norma del suo articolo 3 o se il reato è stato commesso nel territorio dello Stato richiesto conformemente al suo articolo 7) che manifestamente non rilevano nel caso di specie. L’articolo 6 della Convenzione europea di estradizione del 1957 prevede altresì la facoltà per una parte contraente di rifiutare l’estradizione dei propri cittadini. Chiaramente, ciò non si verifica nel caso di specie, poiché BY ha sia la cittadinanza rumena sia la cittadinanza ucraina, ma non è un cittadino tedesco.

39.

Ci si chiede pertanto se e in che modo lo Stato richiesto possa adempiere gli obblighi a esso incombenti in forza degli articoli 18 e 21, paragrafo 1, TFUE (tra i quali figura l’obbligo di consegna della persona ricercata allo Stato membro d’origine conformemente alle disposizioni della decisione quadro 2002/584) ( 30 ), qualora lo Stato membro di cittadinanza emetta un mandato d’arresto europeo contemporaneamente agli obblighi ad esso incombenti in forza della Convenzione.

40.

È proprio per tale ragione che la Repubblica federale di Germania ha fatto riferimento all’articolo 17 della Convenzione europea di estradizione del 1957, relativo al concorso di domande, nonché all’articolo 16, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584, relativo ai conflitti tra un mandato d’arresto europeo e una richiesta di estradizione presentata da un paese terzo. Entrambe le disposizioni trattano di concorso di domande, ma esse non attribuiscono affatto una chiara precedenza alla domanda dello Stato membro di cittadinanza. Tuttavia, dato che la Convenzione europea di estradizione del 1957 è una convenzione internazionale di cui l’Unione non è parte, essa, contrariamente alla decisione quadro 2002/584, non può essere interpretata dalla Corte. È tuttavia utile fare riferimento alle disposizioni della Convenzione in quanto costituiscono il contesto della richiesta di estradizione dell’Ucraina.

41.

Poiché la dichiarazione contenuta in una nota verbale della rappresentanza permanente della Germania, datata 8 novembre 2010, registrata presso il segretariato generale dell’Ufficio dei Trattati del Consiglio d’Europa, il 9 novembre 2010, relativa alla Convenzione europea di estradizione del 1957 riguarda solo i rapporti con gli altri Stati membri, l’articolo 17 della Convenzione europea di estradizione del 1957 resta applicabile per la Germania nei suoi rapporti con l’Ucraina. Un’interpretazione dell’articolo 16, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584 da parte della Corte non risolverebbe quindi il problema relativo all’articolo 17 della Convenzione europea di estradizione del 1957. Propongo di ritornare su tale questione in una fase successiva.

C.   Alcune osservazioni preliminari: la decisione nella causa Petruhhin era corretta?

42.

Sebbene mi accinga ora ad affrontare le tre questioni sollevate, mi sembra necessario, in via preliminare, esaminare la correttezza della decisione adottata nella causa Petruhhin, anche se, come è stato confermato in udienza, attualmente solo l’Irlanda invita la Corte a discostarsi da tale decisione. Da parte mia, ritengo tuttavia che l’analisi della problematica relativa all’articolo 18 TFUE svolta dall’avvocato generale Bot fosse assolutamente corretta. Come egli ha rilevato, una norma che impedisce l’estradizione dei propri cittadini è strettamente connessa alla nozione di sovranità statale nei confronti dei propri cittadini e al corrispondente dovere dello Stato di tutelare i propri cittadini «contro l’applicazione di un sistema penale straniero, di cui essi non conoscono la procedura né la lingua e nel cui ambito essi possono difficilmente difendersi» ( 31 ).

43.

Può darsi che la regola di non estradizione dei propri cittadini rifletta un tradizionale senso di diffidenza verso i sistemi giuridici stranieri e sia sorta in un mondo meno globalizzato, tuttavia non è questo il punto. Il vero punto della prassi statale relativa all’aut dedere, aut judicare, era che lo Stato di cittadinanza della persona ricercata aveva la facoltà di perseguire tale persona secondo il proprio diritto per fatti commessi all’estero. Esso beneficiava di tale competenza extraterritoriale in virtù dell’esercizio della sua sovranità nei confronti dei propri cittadini. È vero che – come illustrato dalla decisione classica della Corte permanente di giustizia internazionale nella stessa causa Lotus ( 32 ) – esistono talune circostanze nelle quali uno Stato può esercitare la propria competenza anche per reati commessi all’estero da persone che non sono suoi cittadini. Ciò non toglie che, in assenza di specifiche convenzioni internazionali che conferiscano una competenza universale per determinati reati, tale competenza è generalmente limitata a situazioni particolari in cui i fatti, gli atti e le persone cui si applica l’atto con efficacia extraterritoriale vertano sulla pace, sull’ordine e sulla buona amministrazione dello Stato interessato o, quanto meno, sugli interessi di un cittadino di tale Stato in modo tale che esista un nesso reale tra l’esercizio della competenza extraterritoriale nei confronti degli stranieri e lo Stato che la esercita ( 33 ).

44.

Se è vero che la logica e il ragionamento della decisione della Corte permanente nella causa Lotus ( 34 ) sono stati oggetto di un’analisi approfondita nel corso degli ultimi 90 anni circa a partire dalla pronuncia e le limitazioni, se non addirittura la pertinenza, di tale sentenza rispetto alle condizioni moderne sono oggetto di dibattito ( 35 ), da parte mia, non riuscirei a migliorare la seguente affermazione di diritto e prassi internazionali contemporanei contenuta nelle conclusioni separate del presidente Guillaume nella decisione «Mandato d’arresto» della Corte internazionale di giustizia:

«Gli Stati esercitano in primo luogo la competenza penale sul proprio territorio. Nel diritto internazionale classico essi sono di norma competenti per un reato commesso all’estero solo se l’autore del reato, o almeno la vittima, è un suo cittadino o se il reato minaccia la loro sicurezza interna o esterna. Inoltre, essi possono esercitare la giurisdizione in caso di pirateria e in situazioni di giurisdizione universale in via sussidiaria, come previsto da diverse convenzioni se il trasgressore è presente sul loro territorio. Ma, al di fuori di tali casi, il diritto internazionale non contempla una giurisdizione universale (...)» ( 36 ).

45.

Il suddetto passaggio trova riscontro in quanto la Corte ha riconosciuto nella sentenza Petruhhin, ossia che uno «Stato membro è di norma incompetente a giudicare» fatti che integrano reati gravi «commessi fuori dal suo territorio», quando «né l’autore né la vittima del presunto reato sono cittadini di detto Stato membro» ( 37 ).

46.

Tutto ciò è sufficiente a dimostrare che esiste effettivamente una differenza sostanziale tra, da un lato, la situazione del cittadino di uno Stato che non procede all’estradizione dei propri cittadini e, dall’altro, gli stranieri, per quanto riguarda l’applicazione extraterritoriale del diritto penale di tale Stato. Come rilevato dall’avvocato generale Bot nella causa Petruhhin ( 38 ), in siffatte circostanze esiste nel secondo caso un rischio di impunità, che nel primo caso non si presenta.

47.

Sebbene lo Stato interessato possa scegliere di perseguire i propri cittadini per presunti reati commessi all’estero, la situazione è di norma diversa nel caso di presunti reati, commessi all’estero da stranieri. Mentre la portata dell’ambito di applicazione della competenza extraterritoriale di uno Stato in questi ultimi casi può essere controversa, è pacifico che il diritto e la prassi internazionali impongono talune limitazioni alla capacità dello Stato di legiferare con effetto extraterritoriale per reati commessi da stranieri al di fuori del proprio territorio, che sono diverse da quelle applicabili nel caso dei propri cittadini. I fatti della causa Petruhhin in sé ne sono una testimonianza, in quanto, in forza del diritto lettone, un cittadino estone privo di un diritto di soggiorno permanente in Lettonia non poteva essere perseguito in Lettonia per presunti episodi di traffico di stupefacenti all’interno della Federazione russa ( 39 ).

48.

Tutto ciò dimostra che i cittadini nel loro proprio Stato membro di cittadinanza, da un lato, e gli altri cittadini dell’Unione, dall’altro, non si trovano in una situazione comparabile ai fini di una norma in base alla quale lo Stato membro ospitante nega l’estradizione dei propri cittadini. Alla luce di tale differenza fondamentale, ritengo che non vi sia stata – e non vi sia – infatti alcuna discriminazione ai sensi dell’articolo 18 TFUE per quanto riguarda l’applicazione dell’eccezione della nazionalità, a causa della differenza di regimi relativamente all’esercizio della competenza extraterritoriale per i reati commessi all’estero a seconda che l’interessato sia o meno cittadino di tale Stato membro di cittadinanza. Quindi, per ribadire, in siffatte circostanze esiste nel secondo caso un rischio di impunità penale che non è presente nel primo caso. Questa è la differenza sostanziale tra le due situazioni, il che implica che tali diverse norme in materia di estradizione in funzione della nazionalità del ricercato non costituiscono, a mio avviso, una discriminazione ai sensi dell’articolo 18 TFUE.

49.

È vero che la sentenza Petruhhin è una decisione relativamente recente di una Grande Sezione di questa Corte. Tuttavia, anche nel lasso di tempo relativamente breve da quando è stata pronunciata ha dato luogo a una serie di casi sempre più complessi, i quali hanno tutti puntualmente mostrato a modo loro quanto difficile sia l’applicazione pratica ( 40 ) dei principi della sentenza Petruhhin.

50.

Ciò è illustrato dalla decisione della Corte nella sentenza Raugevicius ( 41 ), una causa in cui la Federazione russa aveva chiesto alla Finlandia l’estradizione di un cittadino lituano che possedeva anche la cittadinanza russa, ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà inflitta da un giudice russo. Sebbene il diritto finlandese vietasse l’estradizione dei propri cittadini verso paesi terzi, esso prevedeva nella propria legislazione un meccanismo in base al quale le pene inflitte in paesi terzi nei confronti di un cittadino finlandese o «un cittadino straniero con residenza permanente in Finlandia» potevano essere scontate sul proprio territorio. Si è quindi posta la questione se i principi della sentenza Petruhhin potessero essere applicati in quel caso di specie.

51.

Nelle sue conclusioni ( 42 ), l’avvocato generale Bot ha sottolineato le potenziali difficoltà. Non era possibile chiedere che fosse fornita alle autorità giudiziarie lituane l’opportunità di emettere un mandato d’arresto europeo ai fini dell’esercizio di una nuova azione penale nei confronti del sig. Raugevicius in quanto ciò avrebbe contrastato con il principio del ne bis in idem ( 43 ). L’avvocato generale Bot ha poi rilevato:

«Non mi sembra ipotizzabile neanche architettare un meccanismo in virtù del quale le autorità giudiziarie lituane avessero la possibilità di emettere un mandato d’arresto europeo ai fini dell’esecuzione della pena sul territorio lituano. Oltre all’impedimento giuridico costituito dal fatto che la pena da eseguire è stata irrogata da un giudice di uno Stato terzo, rilevo che, in una siffatta ipotesi, le autorità finlandesi sarebbero legittimate ad invocare il motivo di non esecuzione facoltativa del mandato d’arresto europeo di cui all’articolo 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584, in forza del quale l’autorità giudiziaria di esecuzione può rifiutare di eseguire un tale mandato emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà qualora la persona ricercata “dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda”, se tale Stato si impegni a eseguire esso stesso tale pena conformemente al suo diritto interno» ( 44 ).

52.

La Corte ha tuttavia adottato un punto di vista diverso. Essa ha osservato che l’eccezione della nazionalità finlandese presentava, prima facie, un carattere discriminatorio ai sensi dell’articolo 18 TFUE e ha dichiarato che, in applicazione dei principi della sentenza Petruhhin ( 45 ), una siffatta norma poteva essere giustificata «solo se è basata su considerazioni oggettive e se è proporzionata all’obiettivo legittimamente perseguito dalla normativa nazionale» ( 46 ).

53.

La Corte si è quindi interrogata sulla questione se i principi della sentenza Petruhhin si applicassero nell’ambito di una domanda di estradizione da parte di un paese terzo in merito all’esecuzione di una pena. Essa ha ammesso che un nuovo procedimento penale nei confronti di una persona già giudicata e condannata nello Stato richiedente poteva essere contrario al principio del ne bis in idem. La Corte ha quindi proseguito:

«(...) se è vero che il principio del ne bis in idem, come garantito dal diritto nazionale, può costituire un ostacolo all’avvio di azioni penali, da parte di uno Stato membro, nei confronti di persone che sono oggetto di una domanda di estradizione finalizzata all’esecuzione di una pena, resta il fatto che, per evitare il rischio dell’impunità per tali persone, esistono procedure, previste dal diritto nazionale e/o dal diritto internazionale, tali da far sì che le persone di cui trattasi scontino la loro pena, segnatamente, nello Stato di cui hanno la cittadinanza, aumentando in questo modo le loro possibilità di reinserimento sociale dopo aver scontato la pena» ( 47 ).

54.

La Corte ha poi fatto riferimento alla Convenzione sul trasferimento delle persone condannate, del 21 marzo 1983 ( 48 ), di cui sono parti tutti gli Stati membri, nonché la Federazione russa. La Convenzione sulle persone condannate consente, a determinate condizioni, il trasferimento di persone che scontano pene detentive in istituti penitenziari esteri al fine di scontare la pena nel proprio Stato membro di cittadinanza.

55.

La Corte ha poi rilevato che la Finlandia consentiva tanto ai propri cittadini quanto agli stranieri con residenza permanente in Finlandia di beneficiare di tale Convenzione. Era quindi possibile che il sig. Raugevicius fosse considerato come residente in modo permanente in Finlandia e potesse pertanto scontare la pena residua in Finlandia, ammesso che a ciò avessero acconsentito tanto l’interessato che la Federazione russa.

56.

La Corte ha quindi concluso:

«(...) in forza degli articoli 18 e 21 TFUE, i cittadini di altri Stati membri con residenza permanente in Finlandia, che sono oggetto di una domanda di estradizione di un paese terzo finalizzata all’esecuzione di una pena detentiva, beneficiano della norma che vieta l’estradizione applicata ai cittadini finlandesi e possono, alle medesime condizioni di questi ultimi, scontare la loro pena nel territorio finlandese. […] Qualora, per contro, un cittadino come il sig. Raugevicius non possa essere considerato residente in modo permanente nello Stato membro richiesto, la questione della sua estradizione sarà disciplinata dal diritto nazionale o dal diritto internazionale applicabile» ( 49 ).

57.

Se è vero che la sentenza Raugevicius ( 50 ) riguardava la situazione, leggermente diversa, di un’estradizione richiesta ai fini dell’esecuzione di una pena, essa pone tuttavia in evidenza a suo modo i limiti della sentenza Petruhhin, proprio perché esistono generalmente differenze ai fini dell’estradizione tra la situazione dei cittadini dello Stato membro di cittadinanza, da un lato, e quella di cittadini degli altri Stati membri, dall’altro.

58.

L’effetto netto della sentenza Raugevicius ( 51 ) è stato che la Corte ha riconosciuto che, a meno che il diritto finlandese assimili la situazione della persona ricercata a quella dei propri cittadini ( 52 ), di modo che gli si possa applicare la Convenzione sul trasferimento delle persone condannate, la sentenza Petruhhin non avrebbe potuto trovare applicazione nelle circostanze di detta causa.

59.

Temo, inoltre, che la sentenza Petruhhin sia destinata a porre difficoltà pratiche, essenzialmente perché tanto la legislazione che la prassi in materia di consegna e estradizione – ai sensi della decisione quadro 2002/584 o della Convenzione europea di estradizione del 1957 – non si attagliano necessariamente a richieste rivolte dallo Stato membro ospitante alle autorità penali dello Stato membro di cittadinanza relativamente all’esercizio dell’azione penale nei confronti di un cittadino di quest’ultimo per reati commessi in un paese terzo, o addirittura, peraltro, a richieste presentate tanto dallo Stato membro di cittadinanza che dallo Stato membro ospitante e rivolte al paese terzo in cui il reato è stato perpetrato.

60.

Alcuni di questi problemi pratici sollevati dalla sentenza Petruhhin sono stati toccati dal giudice del rinvio e anche sollevati nel corso dell’udienza dai rappresentanti dei diversi Stati membri. Tutti questi problemi pratici generano interrogativi connessi alla questione di un’eventuale impunità penale. Ad esempio, quanto tempo deve attendere lo Stato membro ospitante prima che venga adottata una decisione da parte dello Stato membro di cittadinanza? Si potrebbe osservare, per inciso, che siffatti ritardi potrebbero essere particolarmente problematici quando la persona ricercata è trattenuta in stato di custodia cautelare nello Stato membro ospitante. Mentre tale Stato potrebbe non essere disposto a sottoporre la persona ricercata a un periodo di custodia prolungato in attesa dell’esito della richiesta rivolta allo Stato membro di origine, un’eventuale decisione di rimessa in libertà a titolo provvisorio di detta persona potrebbe parimenti rivelarsi problematica, soprattutto se la persona fosse considerata a rischio di fuga.

61.

In tale contesto, tutti gli Stati membri parti della controversia sono virtualmente d’accordo sul fatto che lo Stato membro di cittadinanza non dispone di informazioni sufficienti per emettere un mandato d’arresto europeo quando viene informato da uno Stato membro ospitante che un paese terzo chiede l’estradizione di uno dei suoi cittadini presenti nello Stato membro ospitante e per pronunciarsi sulla questione se desidera richiedere la consegna del suo cittadino per procedere con l’assunzione del procedimento penale.

62.

Tutti gli Stati membri, inoltre, convengono virtualmente sul fatto che non esiste un termine specifico applicabile in tutti i casi in cui lo Stato membro ospitante possa attendersi una risposta dello Stato membro di cittadinanza sulla questione se quest’ultimo intenda emettere un mandato d’arresto europeo o, addirittura, entro quando debba aver emesso un siffatto mandato, nel caso desideri farlo. Benché non si tratti di un quesito posto dal giudice del rinvio, la questione di tali termini è stata posta nei quesiti rivolti alle parti per l’udienza ed è stata oggetto della risposta scritta della Commissione a un quesito posto dalla Corte e volto a comprendere l’applicazione dei principi della sentenza Petruhhin ( 53 ) nella prassi degli Stati membri. Sembra pertanto vi sia un consenso generalizzato fra gli Stati membri (compresi quelli presenti in udienza, nonché stando ai documenti forniti dalla Commissione nell’intento di esaminare l’applicazione pratica della sentenza Petruhhin) sul fatto che lo Stato membro di cittadinanza debba decidere se emettere un mandato d’arresto europeo nel più breve tempo possibile, ma che tale termine dipenderà dalle circostanze concrete del caso di cui trattasi. Una delle considerazioni principali è se l’interessato si trovi in stato di detenzione a fini estradizionali.

63.

Tuttavia, dalle risposte che la Commissione ha sollecitato agli Stati membri ( 54 ) risulta che i termini fissati siano compresi tra 10 e 45 giorni, con termini più lunghi unicamente concessi da alcuni Stati o a titolo eccezionale ( 55 ). Solo alcuni Stati membri non fissano alcun termine. Ciò, tuttavia, è destinato a dare adito a una notevole incertezza.

64.

Non si può non notare che tutti i termini fissati sono generalmente troppo brevi perché lo Stato membro di cittadinanza o lo Stato membro ospitante possano contattare lo Stato richiedente con una rogatoria, ricevere la risposta, tradurre e valutare il fascicolo, che potrebbe constare di centinaia di pagine. Lo spazio temporale è estremamente ristretto e sovente sarà senza dubbio troppo breve, anche se sono in vigore trattati sullo scambio di assistenza giudiziaria. In tutti i casi in cui ciò non si verifica e si rende necessario l’utilizzo della via diplomatica, potrebbe essere assolutamente impossibile per lo Stato membro di cittadinanza emettere un mandato d’arresto europeo con una siffatta tempistica. In udienza, il rappresentante della Commissione ha sottolineato che la situazione potrebbe essere diversa solo nel caso eccezionale in cui lo Stato membro di cittadinanza abbia già avviato parallelamente un’indagine nei confronti della persona di cui trattasi.

65.

Non è affatto improbabile che sorgano ulteriori problemi. Lo Stato membro ospitante è libero di inoltrare i documenti trasmessi dal paese terzo allo Stato membro di cittadinanza, oppure è necessario il consenso del paese terzo per questo scopo? E se, nel caso di specie, la Romania accettasse di procedere con l’assunzione del procedimento penale proveniente dalla Germania e venisse emesso un mandato d’arresto europeo a tal fine, in questo caso si porrebbe, quantomeno, il problema – fatto salvo l’articolo 17 della Convenzione – del rispetto degli obblighi di cui all’articolo 1 della Convenzione da parte della Germania, poiché ciò comporterebbe necessariamente il rifiuto di concedere l’estradizione del sospettato all’Ucraina per motivi non specificati precedentemente nelle diverse dichiarazioni depositate dalla Germania ai fini dell’articolo 6 della Convenzione ( 56 ). Si pone inoltre la questione delle dovute conseguenze ove la persona ricercata non desideri che il procedimento penale a suo carico sia assunto dal suo Stato membro di cittadinanza.

66.

La prassi e l’esperienza dimostrano pertanto che le due situazioni, di cittadini e non cittadini, non sono, di fatto, comparabili ai fini dell’applicazione dei principi di uguaglianza di cui all’articolo 18 TFUE. Tali problemi pratici connessi a un’eventuale impunità penale sono aggravati dalla mancanza di un’adeguata struttura legislativa dell’Unione. Per tutte le ragioni appena esposte inviterei dunque la Corte a discostarsi dalla sentenza Petruhhin.

67.

Tuttavia, nell’ipotesi in cui la Corte non accogliesse questa analisi, procederò nondimeno a rispondere alle tre questioni sollevate dal giudice del rinvio. A tal fine, partirò dal presupposto (contrario alla mia stessa opinione) che la causa Petruhhin sia stata decisa correttamente.

D.   Sulla prima questione

68.

Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede se i principi sopra descritti per quanto riguarda l’applicazione degli articoli 18 TFUE e 21 TFUE si applichino anche nell’ipotesi in cui l’interessato abbia acquisito la cittadinanza europea solo dopo aver stabilito la propria residenza in uno Stato membro diverso dal suo Stato membro di cittadinanza. Poiché l’argomentazione della Corte nella sentenza Petruhhin è manifestamente fondata sul fatto che è in gioco una restrizione alla libera circolazione di un cittadino dell’Unione, ai sensi dell’articolo 21 TFUE, si pone la questione del coinvolgimento dell’articolo 21 TFUE nella presente causa.

69.

L’Irlanda sostiene che, per far sorgere altri diritti dell’Unione inerenti all’esercizio della libera circolazione, la persona che rivendica siffatti diritti deve, primo, esercitare un diritto di libera circolazione e, secondo, farlo nel momento in cui possiede la cittadinanza. È pacifico che BY non era cittadino dell’Unione nel momento in cui si è stabilito in Germania. L’Irlanda sostiene quindi che, proprio per questa stessa ragione, egli non si era avvalso di alcun diritto di libera circolazione dell’Unione semplicemente risiedendo in Germania.

70.

Come la Commissione sottolinea nelle sue osservazioni scritte, non esiste un accordo internazionale tra l’Unione europea e l’Ucraina in materia di estradizione. In siffatte circostanze, le norme in materia di estradizione rientrano nella competenza degli Stati membri. Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che l’accordo internazionale su cui si basa l’estradizione richiesta dall’Ucraina è la Convenzione europea di estradizione del 1957, di cui la Germania, l’Ucraina e la Romania sono parti contraenti. Gli obblighi derivanti da tale Convenzione sono stati ratificati nel diritto nazionale. Ovviamente, siffatte norme nazionali, in situazioni rientranti nell’ambito del diritto dell’Unione, devono rispettare quest’ultimo ( 57 ). Infatti, sebbene la legislazione penale e le norme di procedura penale siano in linea di principio riservate in larga misura alla competenza degli Stati membri, dalla giurisprudenza costante della Corte risulta tuttavia che il diritto dell’Unione impone certi limiti alla loro competenza. Infatti, tale competenza degli Stati membri deve essere esercitata nel rispetto non solo delle libertà fondamentali garantite dal diritto dell’Unione, ma anche dell’insieme del diritto dell’Unione, in particolare del diritto primario ( 58 ). Le norme considerate non possono quindi porre in essere discriminazioni nei confronti di soggetti cui il diritto dell’Unione attribuisce il diritto alla parità di trattamento né limitare le libertà fondamentali garantite dal diritto dell’Unione ( 59 ).

71.

Secondo una giurisprudenza costante della Corte ( 60 ), lo status di cittadino dell’Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri che consente a chi tra di essi si trovi nella medesima situazione di ottenere, nell’ambito di applicazione ratione materiae del diritto dell’Unione, indipendentemente dalla cittadinanza e fatte salve le eccezioni a tal riguardo espressamente previste, il medesimo trattamento giuridico. Tra le situazioni che rientrano nell’ambito di applicazione ratione materiae del diritto dell’Unione figurano quelle relative all’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato, in particolare della libertà di circolare e di soggiornare nel territorio degli Stati membri quale conferita dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE.

72.

Per contro, la cittadinanza dell’Unione, prevista all’articolo 20 TFUE, non ha lo scopo di estendere l’ambito di applicazione ratione materiae del Trattato a situazioni che non presentino alcun fattore di collegamento con una qualsiasi delle situazioni contemplate dal diritto dell’Unione e i cui elementi rilevanti restino in complesso confinati all’interno di un unico Stato membro ( 61 ).

73.

Il tenore letterale dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, prevede che «[o]gni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri». In tale contesto, secondo costante giurisprudenza, le disposizioni che sanciscono un principio fondamentale come quello della libera circolazione delle persone devono essere interpretate estensivamente, mentre le deroghe a tale principio devono essere, al contrario, interpretate restrittivamente ( 62 ).

74.

Non ritengo che la suddetta analisi sia influenzata dalla sentenza McCarthy ( 63 ). Quella causa riguardava il caso della sig.ra McCarthy, titolare di doppia cittadinanza, tra cui quella del paese in cui risiedeva. La Corte è giunta alla conclusione che nessun elemento della sua situazione mostrava che la misura nazionale in questione nella causa principale producesse l’effetto di privare la sig.ra McCarthy del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti correlati al suo status di cittadina dell’Unione ( 64 ). La Corte ha tuttavia considerato che la circostanza che un cittadino dell’Unione non abbia esercitato il diritto di libera circolazione non può, per ciò solo, essere assimilata ad una situazione puramente interna ( 65 ).

75.

Analogamente, nella causa Schempp, la circostanza che non fosse lo stesso sig. Schempp, ma unicamente la sua ex moglie ad aver esercitato il diritto alla libera circolazione, è stata considerata come un elemento che ha sottratto i fatti a una situazione puramente interna ( 66 ). Neppure nella sentenza Zhu e Chen la Corte ha ritenuto che la situazione di un cittadino di uno Stato membro nato nello Stato membro ospitante e che non si era avvalso del diritto alla libera circolazione tra Stati membri potesse, soltanto per questo, essere assimilata a una situazione puramente interna che privava il detto cittadino del beneficio, nello Stato membro ospitante, delle disposizioni del diritto dell’Unione in materia di libera circolazione e di soggiorno delle persone ( 67 ). E nella sentenza Garcia Avello, la Corte ha indicato espressamente l’esistenza di un nesso con il diritto dell’Unione nel caso di persone che sono cittadini di uno Stato membro i quali soggiornano legalmente sul territorio di un altro Stato membro ( 68 ).

76.

Tale ragionamento è applicabile a BY. Quest’ultimo era residente in Germania nel momento in cui ha ottenuto la cittadinanza rumena e, per estensione, quella dell’Unione. In siffatte circostanze, non ha importanza quando il cittadino dell’Unione abbia ottenuto la suddetta cittadinanza. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 21 TFUE non è neppure necessario che il cittadino dell’Unione attraversi effettivamente una frontiera.

77.

Per scrupolo di completezza, aggiungo che neppure la circostanza che BY possieda una doppia cittadinanza, di cui una non è quella di uno Stato membro dell’Unione, lo priva delle libertà di cui gode in quanto cittadino di uno Stato membro, derivanti dal diritto dell’Unione ( 69 ). Sotto questo profilo la presente causa si distingue da quella che ha dato luogo alla sentenza McCarthy ( 70 ), in quanto, contrariamente a quella causa, nel caso di specie nulla indica che l’attuale diritto di soggiorno di BY in Germania derivi da un diritto diverso da quello dell’Unione: BY beneficia di tale diritto per il fatto che, in quanto cittadino rumeno, è autorizzato a soggiornare e risiedere in Germania, anche se così non era al momento del suo primo trasferimento in Germania nel 2012.

78.

Ove l’Irlanda invoca la sentenza della Corte nella causa Lounes ( 71 ) e, più in particolare, il punto 55 di tale sentenza in cui la Corte ha dichiarato che «uno Stato membro non può limitare gli effetti derivanti dal possesso della cittadinanza di un altro Stato membro, in particolare i diritti ad essa collegati in forza del diritto dell’Unione, e che risultano dall’esercizio, da parte di un cittadino, della propria libertà di circolazione», il pensiero sottostante sembra essere che l’esercizio dei diritti derivanti dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE implichi sempre l’attraversamento di una frontiera. Tuttavia, come si è visto precedentemente, non è sempre così.

79.

Alla luce delle suesposte considerazioni, ritengo che gli articoli 18 e 21 TFUE debbano essere interpretati nel senso che non ostano a che un cittadino dell’Unione si avvalga dei diritti derivanti da tali disposizioni per il mero fatto che ha ottenuto la cittadinanza dell’Unione solo dopo aver stabilito la propria residenza in uno Stato membro diverso da quello di cui ha ottenuto successivamente la cittadinanza e che non ha pertanto esercitato i suoi diritti alla libera circolazione dopo essere divenuto cittadino dell’Unione. Laddove, come nel caso di specie, il diritto di soggiorno del cittadino dell’Unione in uno Stato membro derivi dal diritto dell’Unione, detto cittadino può legittimamente avvalersi dei diritti garantiti dagli articoli 18 e 21 TFUE.

E.   Seconda questione pregiudiziale

80.

Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio si interroga sulla portata degli obblighi incombenti allo Stato membro di cittadinanza qualora quest’ultimo sia stato informato di una domanda di estradizione presentata da un paese terzo a un altro Stato membro e riguardante un cittadino di tale Stato membro di cittadinanza. In concreto, si pone la questione se lo Stato membro di cittadinanza sia dunque tenuto a chiedere al paese terzo che chiede l’estradizione la trasmissione dei fascicoli pertinenti.

81.

Fatta eccezione per il governo ellenico, tutti gli Stati membri che hanno presentato le loro osservazioni nella presente causa concordano nel ritenere che lo Stato membro di cittadinanza non sia tenuto a intraprendere alcuna azione ai sensi del diritto dell’Unione. Questa è anche la posizione della Commissione. Gli Stati membri concordano altresì sul fatto che lo Stato membro di cittadinanza non dispone di elementi sufficienti per decidere se emettere un mandato d’arresto europeo quando ha a disposizione solo le informazioni contenute nella domanda di estradizione a norma dell’articolo 12 della Convenzione europea di estradizione del 1957. Ciò implica, secondo gli Stati membri, che è pressoché impossibile per lo Stato membro di cittadinanza decidere in merito all’emissione di un mandato d’arresto europeo.

1. La sentenza Petruhhin e lo Stato membro di cittadinanza

82.

Oltre ai punti introduttivi che espongono i fatti, potrebbe apparire sorprendente che, a eccezione forse dei punti 48 e 49, nella sentenza Petruhhin vi siano solo poche indicazioni quanto agli obblighi e ai diritti dello Stato membro di cittadinanza. Mentre in detti punti è esaminato l’obbligo dello Stato membro ospitante di scambiare informazioni con lo Stato membro di cittadinanza, nulla è detto sugli eventuali obblighi dello Stato membro di origine.

83.

Sembrerebbe quindi che la sentenza Petruhhin non tratti espressamente degli obblighi che incombono allo Stato membro di cittadinanza né, per quel che conta, che lo faccia in forma implicita. La presente questione sollevata dal giudice del rinvio ci obbliga quindi a esaminare se il principio sotteso alla suddetta causa possa obbligare lo Stato membro di cittadinanza ad adottare provvedimenti di tale natura.

84.

Come è stato esposto supra, la Corte ha dichiarato, nella sentenza Petruhhin ( 72 ), che lo Stato membro ospitante la cui eccezione della nazionalità viola gli articoli 18 e 21 TFUE è obbligato, in forza della regola di leale cooperazione enunciata all’articolo 4, paragrafo 3, TUE, a cooperare con lo Stato membro di cittadinanza.

85.

La situazione dello Stato membro di cittadinanza è tuttavia completamente diversa. Esso deve decidere se procedere con l’assunzione del procedimento penale a carico del ricercato che è un suo cittadino. Ciò è necessario al fine di soddisfare i requisiti relativi al contenuto di un mandato d’arresto europeo a norma dell’articolo 8, paragrafo 1, lettere da c) a f), della decisione quadro 2002/584. L’unico requisito che va al di là del carattere formalistico è quello dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera c), di tale decisione quadro, che gli impone di emettere un mandato d’arresto nazionale, conformemente alle condizioni stabilite dalle sue leggi nazionali.

86.

Ovviamente la questione dell’avvio di un procedimento penale rientra esclusivamente nell’ambito del diritto interno di ciascuno Stato membro, così come le misure amministrative e di altro tipo che esso adotta per accertare i fatti che gli consentono di adottare una siffatta decisione. Atteso che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, in situazioni che rientrano nell’ambito del diritto dell’Unione, le norme nazionali in questione devono rispettare il diritto dell’Unione, BY, che ha esercitato il suo diritto alla libera circolazione, non deve, per tale ragione, essere discriminato. Tuttavia, nessuna delle parti ha sostenuto che la Romania tratti BY in modo diverso, nell’ambito di tale valutazione, rispetto agli (altri) suoi cittadini che non si sono avvalsi del loro diritto alla libera circolazione e nulla indica che ciò possa verificarsi ( 73 ).

87.

Pertanto, contrariamente a quanto avviene nel caso dello Stato membro ospitante, la Romania non si trova in una situazione in cui l’applicazione della normativa nazionale costituisce una violazione degli articoli 18 e 21 TFUE tale da richiedere una giustificazione. Un siffatto obbligo da parte dello Stato membro di cittadinanza sussisterebbe quindi nel contesto di una normativa discriminatoria di un altro Stato membro che comporti una violazione della libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione.

2. Obblighi dello Stato membro ospitante?

88.

Molti Stati membri si sono altresì pronunciati sulla questione se non fosse lo Stato membro richiesto a dover fornire informazioni supplementari allo Stato membro di cittadinanza e se, a tal fine, lo Stato membro richiesto potesse essere tenuto a chiedere al paese terzo le informazioni necessarie allo Stato membro di cittadinanza per decidere se procedere con l’assunzione del procedimento penale. Una volta ricevute, tali informazioni dovrebbero evidentemente essere trasmesse allo Stato membro di cittadinanza per conseguire tale obiettivo.

89.

Infatti, la Lettonia ha modificato la sua normativa nazionale sulla base della sentenza della Corte nella causa Petruhhin, al fine di dare esecuzione alla sentenza stessa. Detto Stato ha aggiunto un secondo comma all’articolo 704 del Kriminālprocesa likums (codice di procedura penale) ( 74 ), avente ad oggetto l’ipotesi di estradizione di un cittadino dell’Unione. In tal caso, il procuratore è tenuto ad informare il paese di cui la persona ricercata ha la cittadinanza della possibilità di presentare un mandato d’arresto europeo e di indicare un termine per la presentazione di un siffatto mandato.

90.

Numerose parti hanno sostenuto che, con la sentenza Pisciotti, la Corte ha già effettivamente risolto tale problema. In quella causa, la Corte ha dichiarato che, per quanto riguarda una domanda di estradizione da parte di un paese terzo, riguardante il cittadino di un altro Stato membro, i requisiti di cui agli articoli 18 e 21 TFUE erano soddisfatti qualora lo Stato membro richiesto che non consente l’estradizione di propri cittadini «[abbia] preventivamente posto in grado le autorità competenti dello Stato membro, di cui tale persona è cittadino, di chiederne la consegna nell’ambito di un mandato d’arresto europeo e quest’ultimo Stato membro non [abbia] adottato alcuna misura in tal senso» prima dell’estradizione di tale persona ( 75 ).

91.

Nella causa Pisciotti, un cittadino italiano era stato arrestato in transito all’aeroporto di Francoforte a seguito di una richiesta di estradizione rivolta dagli Stati Uniti d’America alla Repubblica federale di Germania. In detta causa, tuttavia, i funzionari consolari italiani erano stati informati della situazione del sig. Pisciotti prima che i giudici tedeschi redigessero la relativa ordinanza che disponeva l’estradizione e le autorità italiane non avevano emesso alcun mandato d’arresto europeo. Infatti, la Corte ha dichiarato che gli obblighi della sentenza Petruhhin ( 76 ) erano stati adempiuti in tale causa in quanto lo Stato membro di cittadinanza – nella fattispecie l’Italia – era pienamente informato della causa ed era stato messo in condizione dallo Stato membro ospitante – segnatamente, nel caso di specie, la Germania – «di chiederne la consegna nell’ambito di un mandato d’arresto europeo e [lo] Stato membro [di cittadinanza] non ha adottato alcuna misura in tal senso» ( 77 ). Ciò sembra conforme alla lettura della sentenza da parte del legislatore lettone.

92.

A mio avviso, la sentenza Pisciotti ( 78 ) è pressoché dirimente per la presente questione. Come è stato chiarito da questa sentenza, la portata dell’obbligo della sentenza Petruhhin ( 79 ) in capo allo Stato membro ospitante comporta semplicemente il porre lo Stato membro di cittadinanza in grado di decidere, a sua volta, se chiedere la consegna del proprio cittadino e sottoporlo a processo in tale paese per i reati oggetto della richiesta di estradizione del paese terzo. Nel caso di specie, sarebbe dunque sufficiente che la Germania trasmetta la richiesta ucraina alla Romania affinché le autorità penali competenti in quello Stato possano decidere se emettere un mandato d’arresto europeo perché BY sia consegnato dalla Germania ai fini dell’esercizio dell’azione penale. La sentenza Pisciotti ( 80 ) precisa che la Repubblica federale di Germania non ha ulteriori obblighi al riguardo.

93.

Ne consegue quindi che, in risposta alla seconda questione, ritengo che né lo Stato membro di cittadinanza né lo Stato membro ospitante siano tenuti, in base alla sentenza Petruhhin, a chiedere allo Stato richiedente di trasmettere gli atti al fine di esaminare se procedere con l’assunzione del procedimento penale.

F.   Sulla terza questione

94.

Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede se lo Stato membro a cui è stata presentata da uno Stato terzo una richiesta di estradizione di un cittadino dell’Unione sia tenuto, in forza della sentenza Petruhhin, a rifiutare di disporre l’estradizione di detta persona, e invece a procedere esso stesso con l’assunzione del procedimento penale, qualora sia in grado di farlo in forza del suo diritto nazionale.

95.

Secondo una giurisprudenza costante della Corte, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità della decisione giurisdizionale finale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, tanto la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, quanto la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi ( 81 ). La Corte tuttavia esaminerà, ove necessario, le condizioni in cui viene adita dal giudice nazionale al fine di verificare la propria competenza e, in particolare, verificare se l’interpretazione richiesta del diritto dell’Unione presenti una relazione con l’effettività e l’oggetto della controversia nel procedimento principale, di modo che la Corte non sia indotta ad esprimere pareri su questioni generali o ipotetiche ( 82 ).

96.

Il giudice del rinvio si richiama all’articolo 7, paragrafo 2, punto 2), del codice penale tedesco, sostenendo che il divieto di discriminazione previsto dall’articolo 18 TFUE potrebbe essere preso in considerazione dichiarando illegittima l’estradizione di un cittadino dell’Unione verso un paese terzo e promuovendo l’assunzione del procedimento penale da parte delle autorità penali tedesche. Tuttavia, secondo il governo tedesco, in forza di una giurisprudenza recente del Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia, Germania) ( 83 ), la competenza dei giudici tedeschi fondata sull’articolo 7, paragrafo 2, punto 2), del codice penale tedesco ha carattere meramente sussidiario. Ciò significa che i giudici tedeschi sono competenti solo sulla base di tale disposizione se nessuno Stato straniero può o intende assumere il procedimento penale. Ciò non si verifica nel caso di specie, dato che l’Ucraina è certamente competente a giudicare BY e intende esercitare tale competenza ( 84 ). Ciò premesso, la terza questione, come posta dal giudice del rinvio, risulta irrilevante ai fini della soluzione della controversia e quindi irricevibile.

97.

Va ovviamente ricordato che non spetta alla Corte pronunciarsi sull’interpretazione e sull’applicabilità di disposizioni nazionali. Piuttosto, nell’ambito della ripartizione delle competenze tra i giudici dell’Unione e quelli nazionali, la Corte deve prendere in considerazione il contesto fattuale e normativo in cui si inserisce la questione pregiudiziale così come esso è definito dalla decisione di rinvio ( 85 ).

98.

Dal momento che tale questione sembra essere controversa tra le parti ( 86 ) e che la premessa su cui si basa la terza questione dimostra che il giudice del rinvio non ha, almeno non ancora, adottato una diversa decisione, essa non può essere considerata manifestamente priva di pertinenza. Occorre quindi esaminare la terza questione nel contesto normativo descritto o meglio sotteso alla domanda di pronuncia pregiudiziale del giudice a quo.

99.

L’ipotesi sottesa dalla Corte nella sentenza Petruhhin è, come si è visto, che gli Stati membri sono di norma incompetenti a giudicare fatti quando il reato non è stato commesso sul loro territorio, né da loro cittadini o se la vittima del presunto reato non è un loro cittadino ( 87 ). Partendo da tale premessa, la Corte ha concluso che l’impunità poteva essere evitata senza estradizione, una volta che lo Stato membro di cittadinanza fosse competente, in forza del suo diritto nazionale, a perseguire il ricercato per reati commessi al di fuori del suo territorio nazionale. La situazione di riferimento era quella esistente in numerosi Stati membri, la cui normativa nazionale impedisce loro di estradare i propri cittadini.

100.

A differenza della presente causa, se si segue l’interpretazione palese dell’articolo 7, paragrafo 2, punto 2), del codice penale tedesco effettuata dal giudice del rinvio, nella sentenza Petruhhin il diritto lettone non prevedeva alcuna competenza extraterritoriale nei casi in cui né l’autore né la vittima fossero cittadini lettoni o, nel primo caso, fossero titolari di un permesso di soggiorno permanente in Lettonia. In tale contesto, la Corte ha tuttavia cercato di garantire parità di trattamento per i cittadini l’Unione che si avvalevano della libertà di movimento quando lo Stato membro ospitante aveva una norma che ostava all’estradizione dei propri cittadini verso i paesi terzi. Come si è visto, la soluzione di tale problema era quella di informare della richiesta le autorità dello Stato membro di cittadinanza e di facilitare, se del caso, un mandato d’arresto europeo diretto alla consegna della persona ricercata ai fini del giudizio nello Stato membro di cittadinanza. Questa è tuttavia la portata dell’obbligo e con siffatte iniziative, lo Stato membro ospitante garantisce la parità nel solco della sentenza Petruhhin.

101.

A tal riguardo, condivido l’argomentazione sviluppata dalla Commissione in udienza, secondo cui, nella sentenza Petruhhin, la Corte avrebbe trovato una soluzione inedita alla questione della parità di trattamento in quel contesto e avrebbe enunciato un insieme limitato di obblighi dello Stato membro ospitante che non contempla l’estradizione di propri cittadini. Ciò risponde quindi all’interesse della certezza del diritto che riveste un’importanza fondamentale per le parti che agiscono nel settore del diritto penale. Non esiste, a mio avviso, alla luce del diritto dell’Unione, alcun obbligo per lo Stato membro ospitante di andare oltre. In concreto, ritenere che lo Stato membro ospitante debba automaticamente negare l’estradizione di un cittadino dell’Unione di un altro Stato membro e assumere esso stesso il procedimento penale sembrerebbe, ancora una volta, una soluzione molto coercitiva, contraria all’indipendenza generale e all’autonomia delle autorità penali dello Stato membro ospitante.

102.

La Corte, nella sentenza Petruhhin, non ha preso in considerazione altre misure meno restrittive dell’estradizione, che uno Stato membro ospitante potrebbe essere indotto ad adottare per conformarsi agli obblighi ad esso incombenti in forza degli articoli 18 e 21 TFUE.

103.

Non è la prima volta che la Corte si trova ad affrontare la disposizione tedesca di cui trattasi e il ragionamento secondo cui uno Stato membro dovrebbe, se fosse competente, assumere il procedimento nei confronti di un cittadino di un altro Stato membro stesso, in quanto misura meno restrittiva dell’estradizione verso un paese terzo. Ciò presuppone, evidentemente, che tale Stato membro non contempli l’estradizione di propri cittadini, poiché qualsiasi limitazione all’estradizione prevista dal diritto dell’Unione deriva da tale norma, più che essere un diritto inerente alla cittadinanza dell’Unione.

104.

Si noterà che nella causa Pisciotti ( 88 ), il ricorrente aveva parimenti sollevato tale argomento. A tal riguardo, l’avvocato generale Bot ha fatto riferimento alla spiegazione del governo tedesco secondo cui l’articolo 7, paragrafo 2, del codice penale tedesco non era applicabile in quanto non era soddisfatta una delle condizioni sancite dal summenzionato articolo, ossia che l’estradizione oggetto della richiesta non possa essere eseguita ( 89 ). La Corte, d’altra parte, ha sottolineato che «occorre[va] unicamente chiedersi se la Repubblica federale di Germania potesse agire nei confronti del sig. Pisciotti in maniera meno pregiudizievole per l’esercizio del suo diritto alla libera circolazione, prospettandone la consegna alla Repubblica italiana invece di estradarlo verso gli Stati Uniti d’America» ( 90 ).

105.

Al di là di questo, l’obbligo stesso per uno Stato membro di farsi carico dei procedimenti avviati nei confronti di uno straniero, piuttosto che ricorrere all’estradizione, contrasterebbe, in numerosi casi, con gli obblighi derivanti per tale Stato membro dai trattati internazionali in materia di estradizione. L’articolo 6 della Convenzione europea di estradizione del 1957 consente alle parti contraenti di rifiutare l’estradizione di un proprio cittadino, a condizione che, su domanda dello Stato richiedente, esso sottoponga il caso alle autorità competenti, affinché, ove occorra, possano essere avviati procedimenti giudiziari. Nessuna disposizione analoga esiste nel caso in cui la parte contraente assuma procedimenti nei confronti di uno straniero. Come è stato rilevato da diverse parti in causa, l’assistenza giudiziaria internazionale in materia penale, e in particolare nel settore dell’estradizione, dipende dalla fiducia tra le varie parti contraenti. Un’ulteriore restrizione all’estradizione di presunti autori di reati potrebbe rendere riluttanti le altre parti contraenti a concludere accordi con gli Stati membri dell’Unione. Ciò non può tuttavia essere nell’interesse dell’Unione, come risulta chiaramente dai considerando del Trattato sull’Unione europea «DECISI ad agevolare la libera circolazione delle persone, garantendo nel contempo la sicurezza dei loro popoli, con l’istituzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia (...)».

106.

In ogni caso, dopo una così lunga discussione, è sufficiente rispondere alla terza questione dichiarando che non esiste effettivamente un siffatto obbligo imposto dalla sentenza Petruhhin allo Stato richiesto di esercitare direttamente l’azione penale nei confronti di uno straniero che sia stato oggetto di una richiesta di estradizione da parte di uno Stato terzo.

V. Conclusioni

107.

In sintesi, concludo quindi come segue:

La sentenza del 6 settembre 2016, Petruhhin (C‑182/15, EU:C:2016:630) è, con rispetto, errata e non dovrebbe essere seguita dalla Corte. Infatti, la prassi e l’esperienza hanno dimostrato che la situazione di un cittadino di uno Stato membro che non contempla l’estradizione dei propri cittadini e la situazione dei cittadini degli altri Stati membri non sono effettivamente comparabili ai fini dell’applicazione dell’articolo 18 TFUE. Tali problemi pratici connessi a un’eventuale impunità penale sono aggravati dalla mancanza di un’adeguata struttura legislativa dell’Unione. Per tutte le ragioni precedentemente esposte invito dunque la Corte a discostarsi dalla sentenza Petruhhin.

108.

Indipendentemente dalla questione se la Corte condivida o meno tale analisi, sono giunto alla conclusione che la Corte dovrebbe rispondere alle questioni sollevate dal Kammergericht Berlin (Tribunale superiore del Land di Berlino, Germania) nel modo seguente:

1)

Gli articoli 18 e 21 TFUE devono essere interpretati nel senso che non ostano a che un cittadino dell’Unione si avvalga dei diritti derivanti da tali disposizioni per il mero fatto che ha ottenuto la cittadinanza dell’Unione solo dopo aver stabilito la propria residenza in uno Stato membro diverso da quello di cui ha ottenuto successivamente la cittadinanza e che non ha pertanto esercitato i suoi diritti alla libera circolazione dopo essere divenuto cittadino dell’Unione. Laddove, come nel caso di specie, il diritto di soggiorno del cittadino dell’Unione in uno Stato membro derivi dal diritto dell’Unione, detto cittadino può legittimamente avvalersi dei diritti garantiti dagli articoli 18 e 21 TFUE.

2)

Lo Stato membro di cittadinanza non è tenuto, in forza del diritto dell’Unione, a chiedere al paese terzo richiedente di trasmettere gli atti al fine di esaminare se procedere con l’assunzione del procedimento penale.

3)

Il diritto dell’Unione non impone allo Stato richiesto alcun obbligo di esercitare direttamente l’azione penale nei confronti di uno straniero che sia stato oggetto di una richiesta di estradizione da parte di un paese terzo.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) GU 2002, L 190, pag. 1, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009 (GU 2009, L 81, pag. 24) (in prosieguo: la «decisione quadro»).

( 3 ) 21 Stati membri dell’Unione europea hanno allegato alla Convenzione europea di estradizione del Consiglio d’Europa del 13 dicembre 1957 (Serie dei trattati europei, n. 24) una dichiarazione con la quale dichiaravano di non estradare i propri cittadini e/o definivano a tal fine il significato del termine «cittadini» a termini della Convenzione europea di estradizione, talvolta con limitazioni o estensioni. Così, ad esempio, la Danimarca, la Finlandia e la Svezia hanno esteso l’eccezione ai cittadini di tali paesi nonché a quelli della Norvegia e dell’Islanda e a chiunque fosse residente in uno di tali paesi. La Polonia e la Romania, d’altro canto, hanno esteso l’eccezione ai beneficiari dell’asilo nel loro paese. Le dichiarazioni e le riserve sono disponibili online sul sito Internet del Consiglio d’Europa, https://www.coe.int/en/web/conventions/search-on-treaties/-/conventions/treaty/024/declarations?p_auth=nQgwv713 (ultima consultazione l’11 settembre 2020). Ciò è indicativo della prevalenza dell’eccezione della nazionalità. Per informazioni sulla dichiarazione tedesca, v. paragrafo 11 delle presenti conclusioni.

( 4 ) In prosieguo: l’«eccezione della nazionalità». Si notino qui i commenti svolti in Deen-Ryacsmány Z. e il giudice Blekxtoon R., «The Decline of the Nationality Exception in European Extradition», European Journal of Crime, Criminal Law and Criminal Justice, Vol 13 (3), Brill Nijhof, pagg. da 317 a 364, dove gli autori rilevano, alla pag. 322, che «la storia della mancata estradizione dei propri cittadini in Europa risale almeno al 18°-19° secolo. Il predominio dei sistemi di civil law ha comportato che l’eccezione della nazionalità sia una norma riconosciuta, sancita da disposizioni costituzionali, leggi nazionali e accordi in materia di estradizione. Anche i trattati conclusi con gli Stati di common law – non ostili all’estradizione dei propri cittadini – hanno di norma lasciato inalterata la libertà delle parti di non concedere l’estradizione dei propri cittadini».

( 5 ) Come già rilevato dall’avvocato generale Bot nelle conclusioni da lui presentate nella causa Petruhhin (C‑182/15, EU:C:2016:330, nota 25), «obbligo di perseguire» è l’espressione che viene più frequentemente utilizzata in tale contesto. Nei fatti, tale obbligo si limita tuttavia a sottoporre il caso alle autorità penali. non comportando un vero e proprio obbligo di esercizio dell’azione penale. L’eventuale avvio di un procedimento dipende piuttosto dagli elementi di prova: v., in generale, «The obligation to extradite or prosecute (aut dedere aut judicare)», Final Report of the International Law Commission 2014, punto 21).

( 6 ) V., ad esempio, decisione della Corte permanente di giustizia internazionale del 7 settembre 1927, The Case of the SS Lotus, France v. Turkey, Ser. A. n. 10.

( 7 ) Sentenza del 6 settembre 2016 (C‑182/15, EU:C:2016:630) (in prosieguo: la «sentenza Petruhhin»).

( 8 ) Punto 39 della sentenza Petruhhin.

( 9 ) Punto 50 della sentenza Petruhhin.

( 10 ) Entrata in vigore in Germania il 1o gennaio 1977 e in Ucraina il 9 giugno 1998. La Convenzione europea di estradizione è in vigore anche in Romania dal 9 dicembre 1997.

( 11 ) Serie dei Trattati europei n. 98, in vigore per la Repubblica federale di Germania dal 6 giugno 1991, per la Romania dal 9 dicembre 1997 e per l’Ucraina dal 9 giugno 1998. Il quarto protocollo addizionale alla Convenzione europea di estradizione, serie n. 212 dei Trattati del Consiglio d’Europa, contenente altre modifiche all’articolo 12 della Convenzione europea di estradizione, non è applicabile nel caso di specie, poiché non è stato ratificato dalla Repubblica federale di Germania sino ad oggi e non è quindi applicabile tra la Germania e l’Ucraina.

( 12 ) Ai sensi dell’articolo 5 del secondo protocollo addizionale alla Convenzione europea di estradizione del 17 marzo 1978, Serie dei Trattati europei n. 98.

( 13 ) Dichiarazione contenuta in una nota verbale della rappresentanza permanente della Germania, datata 8 novembre 2010, registrata presso il Segretariato generale dell’Ufficio Trattati del Consiglio d’Europa il 9 novembre 2010.

( 14 ) BGBl. 1949, pag. 1, come modificato dal Gesetz zur Änderung des Grundgesetzes (legge di modifica della Legge fondamentale) (articolo 16) del 29 novembre 2000, BGBl. I 2000, pag. 1633.

( 15 ) Nella versione pubblicata il 13 novembre 1998 (BGBl. I, pag. 3322), modificata da ultimo dall’articolo 62 della legge del 20 novembre 2019 (BGBl. I, pag. 1626).

( 16 ) Legge sulla cooperazione internazionale in materia penale nella versione pubblicata il 27 giugno 1994, BGBl. I S. 1537, e successive modifiche (in prosieguo: l’«IRG»).

( 17 ) L’articolo 15 dell’IRG prevede, al suo secondo comma, che non può essere disposto l’arresto del ricercato a fini di estradizione qualora l’estradizione appaia, prima facie, illegittima.

( 18 ) L’articolo 112, paragrafo 1, della Strafprozeßordnung (Codice di procedura penale) prevede che l’emissione di un mandato d’arresto richiede un «grave sospetto» che può essere accertato solo esaminando gli elementi di prova disponibili. Come si è visto in precedenza, lo Stato richiesto non è generalmente in possesso del fascicolo per procedere a ciò.

( 19 ) Sentenza del 10 aprile 2018 (C‑191/16, EU:C:2018:222).

( 20 ) Sentenza del 13 novembre 2018 (C‑247/17, EU:C:2018:898).

( 21 ) Conclusioni presentate dall’avvocato generale Bot nella causa Petruhhin (C‑182/15, EU:C:2016:330).

( 22 ) Il possesso di un permesso di soggiorno permanente in Lettonia costituiva un motivo supplementare di competenza extraterritoriale della legge penale lettone, v. conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Petruhhin (C‑182/15, EU:C:2016:330, paragrafo 65).

( 23 ) V. paragrafi da 49 a 70 delle conclusioni presentate dall’avvocato generale Bot nella causa Petruhhin (C‑182/15, EU:C:2016:330).

( 24 ) Conclusioni presentate dall’avvocato generale Bot nella causa Petruhhin (C‑182/15, EU:C:2016:330, paragrafi 6869).

( 25 ) Punto 33 della sentenza Petruhhin.

( 26 ) Punto 37 della sentenza Petruhhin. V., altresì, sentenza del 10 aprile 2018, Pisciotti (C‑191/16, EU:C:2018:222, punti 4647 e giurisprudenza ivi citata).

( 27 ) Punti 42 e 47 della sentenza Petruhhin.

( 28 ) Punto 50 della sentenza Petruhhin.

( 29 ) Punto 50 della sentenza Petruhhin.

( 30 ) Ciò implica che i giudici dello Stato membro di cittadinanza sono competenti, in forza del loro diritto nazionale, a perseguire tale persona per i fatti commessi al di fuori del territorio di tale Stato.

( 31 ) Conclusioni presentate dall’avvocato generale Bot nella causa Petruhhin (C‑182/15, EU:C:2016:330, paragrafo 51).

( 32 ) Decisione della Corte permanente di giustizia internazionale del 7 settembre 1927, The Case of the SS Lotus, France v. Turkey, Ser. A. n. 10.

( 33 ) V. O’Connell, D., International Law, 2a ed., vol. 2, Stevens, 1979, pag. 602; Crawford, J., Brownlie’s principle of Public International Law, 8a ed., Oxford University Press, 2012, pag. 457; Ipsen, K., Völkerrecht, 6a ed., punti da 71 a 74; v. anche Combacau, J. e Sur, S., Droit international public, 13a ed., pag. 390, i quali sottolineano che l’esercizio di un potere normativo extraterritoriale, in assenza di un legame territoriale o di cittadinanza, è molto sussidiario e limitato a pochissimi casi. L’esercizio di tale principio prescrittivo di competenza è ben illustrato dall’articolo 4, paragrafo 3, della legge penale lettone oggetto della causa Petruhhin, che consentiva di perseguire reati «gravi o gravissimi» commessi da stranieri al di fuori della Lettonia e diretti «contro gli interessi della Repubblica di Lettonia o dei suoi abitanti»: v. paragrafo 67 delle conclusioni presentate dall’avvocato generale Bot nella causa Petruhhin (C‑182/15, EU:C:2016:330).

( 34 ) Decisione della Corte permanente di giustizia internazionale del 7 settembre 1927, The Case of the SS Lotus, France v. Turkey, Ser. A. n. 10.

( 35 ) V., ad esempio, Ryngaert, C., Jurisdiction in International Law, 2a ed., Oxford University Press, 2015, pagg. da 30 a 48; Beaulac, «The Lotus Case in Context» in Allen, S., e a., Oxford Handbook of Jurisdiction in International Law, Oxford University Press, 2019, pagg. da 40 a 58.

( 36 ) Decisione della Corte internazionale di giustizia del 14 febbraio 2002, Mandato di arresto dell’11 aprile 2000 (Repubblica democratica del Congo c. Belgio) [2002] CIJ Recueil 2002, punto 16, delle conclusioni separate del presidente Guillaume.

( 37 ) V., in tal senso, punto 39 della sentenza Petruhhin.

( 38 ) Paragrafi 6869 delle conclusioni (C‑182/15, EU:C:2016:330).

( 39 ) Conclusioni presentate dall’avvocato generale Bot nella causa Petruhhin (C‑182/15, EU:C:2016:330, paragrafo 68).

( 40 ) Punto 50 della sentenza Petruhhin.

( 41 ) Sentenza del 13 novembre 2018 (C‑247/17, EU:C:2018:898).

( 42 ) Conclusioni presentate dall’avvocato generale Bot nella causa Raugevicius (C‑247/17, EU:C:2018:616).

( 43 ) Conclusioni presentate dall’avvocato generale Bot nella causa Raugevicius (C‑247/17, EU:C:2018:616, paragrafo 55).

( 44 ) Conclusioni presentate dall’avvocato generale Bot nella causa Raugevicius (C‑247/17, EU:C:2016:330, paragrafo 56).

( 45 ) Punto 50 della sentenza Petruhhin.

( 46 ) Sentenza del 13 novembre 2018, Raugevicius (C‑247/17, EU:C:2018:898, punto 31).

( 47 ) Sentenza del 13 novembre 2018, Raugevicius (C‑247/17, EU:C:2018:898, punto 36).

( 48 ) Serie dei Trattati Europei n. 112 («Convenzione sul trasferimento delle persone condannate»).

( 49 ) Sentenza del 13 novembre 2018, Raugevicius (C‑247/17, EU:C:2018:898, punti 4748).

( 50 ) Sentenza del 13 novembre 2018, Raugevicius (C‑247/17, EU:C:2018:898).

( 51 ) Sentenza del 13 novembre 2018 (C‑247/17, EU:C:2018:898).

( 52 ) Ossia, constatando (se del caso) che il sig. Raugevicius era residente di lungo periodo in Finlandia e poteva quindi essere trattato come se fosse cittadino finlandese.

( 53 ) Punto 50 della sentenza Petruhhin.

( 54 ) La Commissione sottolinea che dette risposte sono state sollecitate con un breve preavviso e solo a livello di personale, il che significa che gli Stati membri possono completare e/o precisare la loro risposta in qualsiasi momento.

( 55 ) Termini più lunghi saranno meno problematici se la persona ricercata si trova già in stato di detenzione per un reato diverso da quello per cui è ricercato.

( 56 ) Benché non si tratti di un elemento dirimente a causa della preminenza del diritto dell’Unione rispetto ai trattati internazionali di cui l’Unione non è essa stessa parte. V. anche infra, paragrafo 107 delle presenti conclusioni.

( 57 ) Sentenza del 20 marzo 1997, Hayes (C‑323/95, EU:C:1997:169, punto 13) nonché punto 27 della sentenza Petruhhin e giurisprudenza ivi citata.

( 58 ) V., in tal senso, sentenza del 26 febbraio 2019, Rimšēvičs e BCE/Lettonia (C‑202/918 e C‑238/18, EU:C:2019:139, punto 57).

( 59 ) V., in tal senso, sentenze del 2 febbraio 1989, Cowan (186/87, EU:C:1989:47, punto 19); del 24 novembre 1998, Bickel e Franz (C‑274/96, EU:C:1998:563, punto 17), nonché del 28 aprile 2011, El Dridi (C‑61/11 PPU, EU:C:2011:268, punti 5354).

( 60 ) Sentenze del 2 ottobre 2003, Garcia Avello (C‑148/02, EU:C:2003:539, punti da 22 a 24), e del 13 giugno 2019, TopFit e Biffi (C‑22/18, EU:C:2019:497, punto 28) e giurisprudenza ivi citata. V. altresì, in tal senso, sentenza del 2 aprile 2020, I.N. (C‑897/19 PPU, EU:C:2020:262, punto 40).

( 61 ) Sentenza del 5 maggio 2011, McCarthy (C‑434/09, EU:C:2011:277, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).

( 62 ) Sentenza del 9 novembre 2000, Yiadom (C‑357/98, EU:C:2000:604, punto 24) e giurisprudenza ivi citata, e, per la prima parte di detta affermazione, sentenza del 19 ottobre 2004, Zhu e Chen (C‑200/02, EU:C:2004:639, punto 31).

( 63 ) Sentenza del 5 maggio 2011 (C‑434/09, EU:C:2011:277).

( 64 ) Sentenza del 5 maggio 2011, McCarthy (C‑434/09, EU:C:2011:277, punto 49).

( 65 ) Sentenza del 5 maggio 2011, McCarthy (C‑434/09, EU:C:2011:277, punto 46).

( 66 ) Sentenza del 12 luglio 2005, Schempp (C‑403/03, EU:C:2005:446, punto 25).

( 67 ) Sentenza del 19 ottobre 2004, Zhu e Chen (C‑200/02, EU:C:2004:639, punto 19).

( 68 ) Sentenza del 2 ottobre 2003, Garcia Avello (C‑148/02, EU:C:2003:539, punto 27).

( 69 ) Sentenza del 13 novembre 2018, Raugevicius (C‑247/17, EU:C:2018:898, punto 29), v. anche sentenza del 7 luglio 1992, Micheletti e a. (C‑369/90, EU:C:1992:295, punto 19).

( 70 ) Sentenza del 5 maggio 2011, McCarthy (C‑434/09, EU:C:2011:277).

( 71 ) Sentenza del 14 novembre 2017 (C‑165/16, EU:C:2017:862).

( 72 ) V., in tal senso, punto 42 della sentenza Petruhhin.

( 73 ) Dato che la persona ricercata è un cittadino dello Stato membro di cittadinanza, solo una discriminazione inversa potrebbe far rientrare il suo caso nell’ambito di applicazione degli articoli 18 e 21 TFUE. Nella sentenza dell’11 luglio 2002, D’Hoop (C‑224/98, EU:C:2002:432, punto 30), la Corte ha dichiarato che «sarebbe incompatibile con il diritto alla libera circolazione che gli si potesse applicare nello Stato membro di cui è cittadino un trattamento meno favorevole di quello di cui beneficerebbe se non avesse usufruito delle facilitazioni concesse dal Trattato in materia di circolazione». Le suddette cause riguardano i cittadini che fanno ritorno nel loro paese di cittadinanza dopo aver esercitato il proprio diritto alla libera circolazione e che sono trattati diversamente dai cittadini rimasti nel proprio paese di cittadinanza. Non è questo il caso di BY. V. altresì, in tal senso, sentenza del 7 luglio 1992, Singh (C‑370/90, EU:C:1992:296, punto 23).

( 74 ) Latvijas Vēstnesis, 11.05.2005, Nr 74 (3232). Consultabile all’indirizzo: https://likumi.lv/ta/en/en/id/107820 (ultimo accesso effettuato l’11 settembre 2020). Secondo la risposta scritta della Commissione a un quesito posto dalla Corte, la Repubblica d’Austria ha parimenti modificato in modo analogo la propria normativa aggiungendo un nuovo paragrafo (1a) all’articolo 31 del Bundesgesetz über die Auslieferung und die Rechtshilfe in Strafsachen (legge federale sull’estradizione e sull’assistenza giudiziaria in materia penale), pubblicato nel BGBl. I. n. 20/2020, entrato in vigore il 1o giugno 2020.

( 75 ) Sentenza del 10 aprile 2018, Pisciotti (C‑191/16, EU:C:2018:222, punto 56).

( 76 ) Punto 50 della sentenza Petruhhin.

( 77 ) Sentenza del 10 aprile 2018, Pisciotti (C‑191/16, EU:C:2018:222, punto 56).

( 78 ) Sentenza del 10 aprile 2018 (C‑191/16, EU:C:2018:222).

( 79 ) Punto 50 della sentenza Petruhhin.

( 80 ) Sentenza del 10 aprile 2018 (C‑191/16, EU:C:2018:222).

( 81 ) Sentenza del 28 giugno 2018, Crespo Rey (C‑2/17, EU:C:2018:511, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).

( 82 ) Sentenza del 24 ottobre 2013, Stoilov i Ko (C‑180/12, EU:C:2013:693, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

( 83 ) Bundesgerichtshof, ordinanza del 23 aprile 2019 (4StR 41/19), disponibile sul sito Internet della Corte federale di giustizia: https://juris.bundesgerichtshof.de/cgi-bin/rechtsprechung/document.py?Gericht=bgh&Art=en&sid= 09ff6a4c826bba36ff9531132f1210e7&nr= 96151&pos= 0&anz= 1 (ultima consultazione effettuata l’11 settembre 2020).

( 84 ) V., altresì, conclusioni presentate dall’avvocato generale Bot nella causa Pisciotti (C‑191/16, EU:C:2017:878, paragrafo 48) e sentenza del 10 aprile 2018, Pisciotti (C‑191/16, EU:C:2018:222, punto 49), che rinviano alla stessa interpretazione di detta disposizione.

( 85 ) Sentenza del 13 giugno 2013, Kostov (C‑62/12, EU:C:2013:391, punti 2425, e giurisprudenza ivi citata).

( 86 ) Il legale di BY ha sostenuto che tale disposizione è applicabile al caso di specie.

( 87 ) Punto 39 della sentenza Petruhhin.

( 88 ) Sentenza del 10 aprile 2018 (C‑191/16, EU:C:2018:222).

( 89 ) Conclusioni presentate dall’avvocato generale Bot nella causa Pisciotti (C‑191/16, EU:C:2017:878, paragrafo 48).

( 90 ) Sentenza del 10 aprile 2018, Pisciotti (C‑191/16, EU:C:2018:222, punto 50).

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