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Document 62018CC0128

    Conclusioni dell’avvocato generale M. Campos Sánchez-Bordona, presentate il 30 aprile 2019.
    Dumitru-Tudor Dorobantu.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall'Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg.
    Rinvio pregiudiziale – Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale – Decisione quadro 2002/584/GAI – Mandato d’arresto europeo – Motivi di rifiuto di esecuzione – Articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Divieto di trattamenti inumani o degradanti – Condizioni di detenzione nello Stato membro emittente – Valutazione da parte dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione – Criteri.
    Causa C-128/18.

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2019:334

    CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    MANUEL CAMPOS SÁNCHEZ-BORDONA

    presentate il 30 aprile 2019 ( 1 )

    Causa C‑128/18

    Dumitru-Tudor Dorobantu

    con l’intervento di

    Generalstaatsanwaltschaft Hamburg

    [domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore anseatico del Land di Amburgo, Germania)]

    «Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale – Mandato d’arresto europeo – Decisione quadro 2002/584/GAI – Articolo 1, paragrafo 3 – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 4 – Divieto di trattamenti inumani o degradanti – Obbligo delle autorità giudiziarie di esecuzione di esaminare le condizioni di detenzione nello Stato membro emittente – Portata dell’esame – Criteri»

    I. Introduzione

    1.

    Il presente rinvio pregiudiziale rientra nell’ambito dell’esame, da parte dell’autorità giudiziaria tedesca, della legittimità della consegna del sig. Dumitru-Tudor Dorobantu all’autorità giudiziaria rumena, la quale ha emesso, sulla base della decisione quadro 2002/584/GAI ( 2 ), un mandato d’arresto europeo. Tale mandato d’arresto europeo è stato emesso, in un primo tempo, ai fini dell’esercizio di un’azione penale e poi, in un secondo tempo, ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà.

    2.

    In linea con le sentenze del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru ( 3 ), e del 25 luglio 2018, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria) ( 4 ), il presente rinvio contribuisce alla definizione delle garanzie che devono essere attuate al fine di assicurare il rispetto dei diritti fondamentali della persona consegnata in forza di un mandato d’arresto europeo in una situazione in cui il sistema penitenziario dello Stato membro emittente soffre di una carenza sistemica o generalizzata.

    3.

    In particolare, detto rinvio invita la Corte a precisare l’intensità del controllo a cui l’autorità giudiziaria di esecuzione è tenuta a procedere al fine di valutare il rischio concreto di trattamento inumano o degradante al quale sarebbe esposta la persona interessata a causa delle proprie condizioni di detenzione nello Stato membro emittente, nonché i diversi fattori e criteri che la medesima è tenuta a prendere in considerazione ai fini di siffatta valutazione.

    II. Contesto normativo

    A.   Diritto dell’Unione

    1. Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

    4.

    L’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ( 5 ), intitolato «Proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti», così recita:

    «Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti».

    5.

    Le spiegazioni relative alla Carta ( 6 ) precisano che «[i]l diritto di cui all’articolo 4 [della Carta] corrisponde a quello garantito dall’articolo 3 della [Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ( 7 )], la cui formulazione è identica (…). Ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 3[,] della Carta, esso ha pertanto significato e portata identici a quelli del suddetto articolo» ( 8 ).

    2. Decisione quadro 2002/584

    6.

    Il mandato d’arresto europeo istituito dalla decisione quadro 2002/584 è stato concepito al fine di sostituire il meccanismo classico dell’estradizione, che implica una decisione del potere esecutivo, uno strumento di cooperazione tra le autorità giudiziarie nazionali basato sui principi di riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie nonché di fiducia reciproca tra gli Stati membri ( 9 ).

    7.

    Detta decisione quadro instaura quindi un nuovo sistema semplificato e più efficace di consegna delle persone condannate o sospettate di aver violato la legge penale ( 10 ), limitando i motivi di non esecuzione e fissando termini per l’emanazione delle decisioni relative al mandato d’arresto europeo ( 11 ).

    8.

    I considerando 12 e 13 della decisione quadro 2002/584 sono formulati come segue:

    «(12)

    La presente decisione quadro rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi sanciti dall’articolo 6 [TUE] e contenuti nella Carta (…), segnatamente il capo VI (…)

    (13)

    Nessuna persona dovrebbe essere allontanata, espulsa o estradata verso uno Stato allorquando sussista un serio rischio che essa venga sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altri trattamenti o pene inumane o degradanti».

    9.

    L’articolo 1 della medesima decisione quadro, intitolato «Definizione del mandato d’arresto europeo ed obbligo di darne esecuzione», dispone quanto segue:

    «1.   Il mandato d’arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà.

    2.   Gli Stati membri danno esecuzione ad ogni mandato d’arresto europeo in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della presente decisione quadro.

    3.   L’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall’articolo 6 [TUE] non può essere modificat[o] per effetto della presente decisione quadro».

    B.   Diritto tedesco

    10.

    Gli articoli da 78 a 83k del Gesetz über die internationale Rechtshilfe in Strafsachen (legge sulla cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale) ( 12 ), del 23 dicembre 1982, come modificato dal Gesetz zur Umsetzung des Rahmenbeschlusses über den Europäischen Haftbefehl und die Übergabeverfahren zwischen den Mitgliedstaaten der Europäischen Union (legge di trasposizione della decisione quadro relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri) ( 13 ), del 20 luglio 2006, hanno trasposto nell’ordinamento giuridico tedesco la decisione quadro 2002/584.

    11.

    Ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 1, dell’IRG, il quale, a termini dell’articolo 78, paragrafo 1, dell’IRG, è applicabile al mandato d’arresto europeo, l’Oberlandesgericht (Tribunale superiore del Land, Germania) decide, su richiesta della Staatsanwaltschaft (pubblico ministero, Germania), sulla legittimità dell’estradizione qualora l’imputato non abbia acconsentito all’estradizione semplificata. La decisione è emessa mediante ordinanza, a norma dell’articolo 32 dell’IRG.

    12.

    L’articolo 73 dell’IRG così recita:

    «L’assistenza giudiziaria, nonché la trasmissione di informazioni senza previa richiesta, sono illecite se contravvengono a principi fondamentali dell’ordinamento giuridico tedesco. In caso di richiesta ai sensi della parte ottava (…), l’assistenza giudiziaria è illecita se contravviene ai principi di cui all’articolo 6 TUE».

    III. Fatti del procedimento principale e questioni pregiudiziali

    13.

    Il sig. Dorobantu è un cittadino rumeno residente ad Amburgo (Germania).

    14.

    Le autorità giudiziarie tedesche hanno ricevuto una domanda di consegna dell’interessato in forza di un primo mandato d’arresto europeo emesso il 12 agosto 2016 dalla Judecătoria Medgidia (Tribunale di primo grado di Medgidia, Romania). Tale mandato è stato emesso ai fini dell’esercizio di un’azione penale per fatti costitutivi di reati contro il patrimonio nonché di falso o di uso di documenti falsi.

    15.

    Nell’ambito dell’esecuzione di detto mandato, lo Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore anseatico del Land di Amburgo, Germania) ha tenuto conto di indizi concreti di carenze sistemiche o generalizzate nelle condizioni di detenzione in Romania. In applicazione dei principi stabiliti dalla Corte nella sentenza Aranyosi e Căldăraru, siffatto tribunale ha esaminato le informazioni comunicate dalle autorità rumene riguardo alle condizioni nelle quali il sig. Dorobantu sarebbe stato incarcerato a seguito della sua consegna. Da tali informazioni risulterebbe che l’interessato sarebbe detenuto, nell’ipotesi di custodia cautelare, in celle collettive di quattro persone (le superfici sarebbero di 12,30 m2, di 12,67 m2 e di 13,50 m2) o di dieci persone (la superficie sarebbe di 36,25 m2). Per contro, nell’ipotesi dell’esecuzione di una pena privativa della libertà, il sig. Dorobantu sarebbe recluso, per un periodo di 21 giorni, in un istituto all’interno del quale ciascun detenuto disporrebbe di una superficie di 3 m2 e, in seguito, nelle stesse condizioni qualora l’interessato dovesse essere sottoposto al «regime detentivo chiuso». Tuttavia, qualora il sig. Dorobantu dovesse beneficiare di un regime detentivo aperto o semiaperto, disporrebbe di uno spazio personale la cui superficie sarebbe di 2 m2 per persona ( 14 ).

    16.

    Il giudice del rinvio ha effettuato una valutazione globale di siffatte condizioni di detenzione sulla base della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Tenuto conto del notevole miglioramento del sistema rumeno di esecuzione delle pene, per quanto riguarda sia le infrastrutture sia i meccanismi di controllo, esso ha concluso per l’assenza di un rischio concreto di trattamento inumano o degradante dell’interessato, ai sensi della sentenza Aranyosi e Căldăraru.

    17.

    Inoltre, il giudice del rinvio ha constatato che, nel caso in cui la consegna dell’interessato fosse rifiutata, i reati che quest’ultimo avrebbe commesso rimarrebbero impuniti, il che contrasterebbe con l’obiettivo di garantire l’efficacia della giustizia penale all’interno dell’Unione europea.

    18.

    Sulla base delle ordinanze del 3 e 19 gennaio 2017 dello Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore anseatico del Land di Amburgo), la Generalstaatsanwaltschaft Hamburg (pubblico ministero di Amburgo, Germania) ha quindi autorizzato la consegna del sig. Dorobantu alle autorità rumene dopo che quest’ultimo ha scontato la pena detentiva alla quale era stato condannato per altri reati commessi in Germania.

    19.

    Tuttavia, dette ordinanze sono state annullate con ordinanza del 19 dicembre 2017 del Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale, Germania). Infatti, quest’ultimo ha dichiarato che la valutazione relativa alla legittimità della consegna dell’interessato esigeva che, in precedenza, fosse adita in via pregiudiziale la Corte di giustizia affinché quest’ultima si pronunciasse sui fattori rilevanti ai fini dell’esame delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente.

    20.

    Con sentenza dell’8 febbraio 2018, lo Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore anseatico del Land di Amburgo) ha quindi deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1)

    Quali siano i requisiti minimi delle condizioni di detenzione alla luce dell’articolo 4 della Carta nel contesto della decisione quadro [2002/584].

    a.

    Se, segnatamente sotto il profilo del diritto dell’Unione, sussista un limite minimo “assoluto” con riguardo alle dimensioni della cella di detenzione al di sotto del quale sussista in ogni caso una violazione dell’articolo 4 della Carta.

    i.

    Se sulla determinazione dello spazio individuale della cella di detenzione incida il fatto che si tratti di una cella individuale o di una cella comune.

    ii.

    Se, nel calcolo della dimensione della cella di detenzione, debba essere sottratta la superficie occupata dagli arredi (letto, armadio ecc.).

    iii.

    Quali siano i requisiti strutturali eventualmente rilevanti ai fini della questione inerente alle condizioni di detenzione conformi al diritto dell’Unione. Se rilevino al riguardo l’accesso diretto (ovvero solo indiretto) dalla cella, ad esempio, ai locali sanitari o ad altri spazi, nonché la fornitura di acqua fredda e calda, riscaldamento, illuminazione ecc.

    b.

    In qual misura incidano sulla valutazione i differenti “regimi detentivi”, segnatamente le differenze nelle ore d’aria e nel grado di libertà di movimento all’interno dell’istituto penitenziario.

    c.

    Se sia lecito – come ritenuto dal giudice del rinvio nelle proprie decisioni di ammissibilità – prendere in considerazione le modifiche in melius a livello tanto normativo quanto organizzativo intervenute nello Stato membro emittente (introduzione di un sistema di ombudsman, insediamento di giudici dell’esecuzione penale ecc.).

    2)

    In base a quali criteri debbano essere valutate le condizioni di detenzione sotto il profilo dei diritti fondamentali dell’Unione. In qual misura detti criteri condizionino l’interpretazione della nozione di “rischio concreto” ai sensi della giurisprudenza della Corte nelle cause Aranyosi e Căldăraru.

    a.

    Se le autorità giudiziarie dello Stato membro di esecuzione possano effettuare, a tal riguardo, un controllo esaustivo delle condizioni di detenzione sussistenti nello Stato membro emittente ovvero se debbano limitarsi ad un “controllo sommario”.

    b.

    Nel caso in cui la Corte, nella risposta fornita alla prima questione pregiudiziale, dovesse ritenere, in, conclusione, che sussistano requisiti “assoluti” di diritto dell’Unione in ordine alle condizioni di detenzione: Se un peggioramento di tali condizioni minime sia “sottratto a valutazione” nel senso che, in tal modo, sussisterebbe altrimenti sempre un “rischio concreto” di impedimenti all’estradizione, oppure se lo Stato membro di esecuzione possa ugualmente procedere a detta valutazione. Se, a tal riguardo, possano essere presi in considerazione aspetti quali il mantenimento della cooperazione giudiziaria all’interno dell’Unione, il funzionamento del sistema penale europeo oppure i principi della fiducia reciproca e del mutuo riconoscimento».

    21.

    Con ordinanza del 25 settembre 2018, lo Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore anseatico del Land di Amburgo) ha informato la Corte che il sig. Dorobantu era stato, nel frattempo, condannato dalla Judecătoria Medgidia (Tribunale di primo grado di Medgidia) ad una pena privativa della libertà di due anni e quattro mesi per reati commessi sul territorio rumeno. Tale sentenza è stata emessa in contumacia il 14 giugno 2018. Il giudice del rinvio ha quindi comunicato alla Corte che il mandato d’arresto europeo emesso il 12 agosto 2016 ai fini dell’esercizio di un’azione penale era stato «sostituito» da un nuovo mandato d’arresto europeo emesso il 1o agosto 2018 ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà. Detto giudice ha nondimeno affermato di voler mantenere la propria domanda di pronuncia pregiudiziale, in quanto le questioni sollevate conservavano tutta la loro rilevanza ai fini del procedimento principale.

    IV. Considerazioni preliminari

    22.

    Prima di esaminare le questioni che il giudice del rinvio sottopone alla Corte, ritengo necessario formulare due osservazioni preliminari.

    23.

    La prima riguarda la «sostituzione» di mandati d’arresto europei alla quale il giudice del rinvio ha fatto riferimento nella sua ordinanza del 25 settembre 2018. La seconda è relativa allo stato della giurisprudenza della Corte, la quale stabilisce, a mio avviso, il contesto in cui occorre rispondere alle questioni pregiudiziali in esame.

    A.   La «sostituzione» di mandati d’arresto europei

    24.

    Come ho già esposto, il giudice del rinvio ha comunicato alla Corte, con ordinanza del 25 settembre 2018, che il mandato d’arresto europeo emesso dalla Judecătoria Medgidia (Tribunale di primo grado di Medgidia) nei confronti del sig. Dorobantu ai fini dell’esercizio di un’azione penale è stato «sostituito» nel corso del procedimento principale da un nuovo mandato d’arresto europeo emesso dal medesimo giudice ai fini, questa volta, dell’esecuzione di una pena privativa della libertà.

    25.

    Sebbene le questioni sollevate dal giudice del rinvio conservino tutta la loro rilevanza nell’ambito dell’esecuzione di detto secondo mandato d’arresto europeo – il che è stato confermato da tutte le parti all’udienza – è tuttavia necessario che l’autorità giudiziaria di esecuzione pronunci nel più breve termine la caducazione del primo mandato d’arresto europeo e riprenda ab initio la procedura di esecuzione del secondo. Ciò è indispensabile al fine di garantire il rispetto del principio della certezza del diritto nonché dei diritti e delle garanzie che la decisione quadro 2002/584 attribuisce alla persona ricercata.

    26.

    Infatti, per la sua stessa natura e stanti i requisiti giuridici e sostanziali della sua attuazione, l’esecuzione di detto secondo mandato d’arresto europeo non può avvenire mediante una semplice sostituzione.

    27.

    Dall’articolo 1, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584 risulta che «[i]l mandato d’arresto europeo è una decisione giudiziaria». L’asserita «sostituzione» non può quindi nascondere il fatto che il secondo mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà si fondi su una nuova sentenza nazionale e costituisca una decisione giudiziaria che è distinta dalla decisione sulla quale si basa il primo mandato d’arresto europeo e che, per tale ragione, deve soddisfare specifici requisiti giuridici e sostanziali. È sufficiente rilevare, in tal senso, che l’esecuzione di siffatto secondo mandato d’arresto europeo può comportare un nuovo periodo di detenzione che verrà assimilato non già ad una misura di custodia cautelare precedente alla sentenza – come avveniva in forza del primo mandato d’arresto europeo – bensì all’inizio dell’esecuzione della pena, cosicché il periodo di detenzione in tal modo scontato dovrà essere dedotto dalla pena da scontare ( 15 ).

    28.

    L’esecuzione del secondo mandato d’arresto europeo richiede quindi che l’autorità giudiziaria di esecuzione, da una parte, dichiari la caducazione del primo mandato d’arresto europeo e, dall’altra, riprenda ab initio la procedura di esecuzione, controllando così la validità del complesso delle condizioni di esecuzione di tale secondo mandato, il che sembra risultare, nel procedimento principale, dall’ordinanza del 25 settembre 2018 comunicata dal giudice del rinvio.

    B.   La giurisprudenza «Aranyosi e Căldăraru»

    29.

    La seconda osservazione riguarda le regole e i principi che la Corte ha stabilito nella sentenza Aranyosi e Căldăraru e ha ripreso, in seguito, nella sentenza Generalstaatsanwaltschaft. Siffatta giurisprudenza determina l’ambito nel quale occorre analizzare e rispondere alle questioni pregiudiziali in esame.

    30.

    Nella sentenza Aranyosi e Căldăraru, la Corte ha, per la prima volta, riconosciuto un limite ai principi della fiducia reciproca e del mutuo riconoscimento tra Stati membri esigendo che l’autorità giudiziaria di esecuzione effettui un controllo delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente, nel caso in cui, a causa delle carenze del sistema penitenziario di tale Stato, la persona interessata possa essere esposta ad un rischio concreto di trattamenti inumani o degradanti, contrari all’articolo 4 della Carta.

    31.

    In detta sentenza, la Corte ha stabilito l’ambito nel quale deve essere esercitato siffatto controllo, determinandone la base giuridica, la finalità, la tipologia nonché la natura e le ripercussioni.

    32.

    Detto controllo si basa sull’articolo 1, paragrafo 3, sull’articolo 5 e sull’articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584 e ha lo scopo di garantire il rispetto dell’articolo 4 della Carta, il quale sancisce, come ha rammentato la Corte, «uno dei valori fondamentali dell’Unione e dei suoi Stati membri» ( 16 ) e «ha carattere assoluto» ( 17 ).

    33.

    Il controllo in parola è attuato esclusivamente nel caso in cui l’autorità giudiziaria di esecuzione constati, sulla base degli elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati di cui essa dispone, che il sistema penitenziario dello Stato membro emittente soffre di carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone, vuoi ancora che colpiscono determinati centri di detenzione ( 18 ).

    34.

    In tali circostanze, l’autorità giudiziaria di esecuzione è tenuta a verificare in modo «concreto e preciso» se sussistano motivi gravi e comprovati di ritenere che la persona interessata sarà esposta, a causa delle proprie condizioni di detenzione, ad un rischio concreto di trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta ( 19 ).

    35.

    Alla constatazione di una carenza generale del sistema penitenziario dello Stato membro emittente segue pertanto una valutazione individuale e circostanziata del rischio al quale sarà esposta la persona interessata.

    36.

    Siffatto controllo può avere una conseguenza importante sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo. La Corte ha confermato che esso può indurre l’autorità giudiziaria di esecuzione a rinviare o addirittura a porre fine alla procedura di consegna della persona interessata ( 20 ).

    37.

    In seguito alla sentenza Aranyosi e Căldăraru, lo Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore anseatico del Land, Brema, Germania) ha sottoposto alla Corte due nuovi rinvii pregiudiziali. Il primo, proposto il 12 settembre 2016 nell’ambito del procedimento di esecuzione di due mandati d’arresto europei emessi nei confronti del sig. Pál Aranyosi, ha dato luogo all’emissione di un’ordinanza di non luogo a statuire, poiché i mandati d’arresto europei emessi nei confronti dell’interessato erano stati revocati prima che la Corte statuisse ( 21 ).

    38.

    Il secondo, proposto il 27 marzo 2018 nell’ambito dell’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso nei confronti di ML, ha consentito alla Corte, nella sentenza Generalstaatsanwaltschaft, di precisare la portata e l’ambito dei principi da essa stabiliti nella sentenza Aranyosi e Căldăraru ( 22 ), in particolare, nel contesto della valutazione individuale e circostanziata del rischio di trattamento inumano o degradante.

    39.

    La Corte ha così dichiarato, nella sentenza Generalstaatsanwaltschaft, che l’articolo 1, paragrafo 3, l’articolo 5 e l’articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584 devono essere interpretati nel senso che «l’autorità giudiziaria dell’esecuzione, qualora disponga di elementi comprovanti l’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate delle condizioni di detenzione all’interno degli istituti penitenziari dello Stato membro emittente, (…):

    (…)

    l’autorità giudiziaria dell’esecuzione è tenuta unicamente ad esaminare le condizioni di detenzione negli istituti penitenziari nei quali è probabile, secondo le informazioni a sua disposizione, che la [persona interessata da un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà] sarà detenuta, anche in via temporanea o transitoria;

    l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve verificare, a tal fine, solo le condizioni di detenzione concrete e precise della persona interessata che siano rilevanti al fine di stabilire se essa correrà un rischio reale di trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della [Carta];

    l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può prendere in considerazione talune informazioni fornite da autorità dello Stato membro emittente diverse dall’autorità giudiziaria emittente, quali, in particolare, la garanzia che la persona interessata non sarà sottoposta a un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della [Carta]».

    40.

    La sentenza Generalstaatsanwaltschaft è stata emessa il 25 luglio 2018, vale a dire alcuni mesi dopo la proposizione del presente rinvio pregiudiziale. A mio avviso, essa risponde alla maggior parte delle domande che si pone il giudice del rinvio nella causa in esame.

    V. Analisi

    41.

    È preferibile procedere all’analisi delle questioni sollevate in un ordine diverso da quello nel quale il giudice del rinvio le ha esposte.

    42.

    Sebbene, infatti, con la sua prima questione e con la sua seconda questione, lettera b, il giudice del rinvio inviti la Corte a pronunciarsi sui diversi fattori che l’autorità giudiziaria di esecuzione deve prendere in considerazione al fine di valutare, in modo concreto e preciso, le condizioni di detenzione nello Stato membro emittente, mi sembra indispensabile determinare, in via preliminare, l’intensità di siffatto controllo, come ci invita a fare il giudice del rinvio con la sua seconda questione, lettera a.

    A.   L’intensità del controllo delle condizioni di detenzione nell’istituto nel quale è probabile che la persona interessata sarà reclusa

    43.

    Con la sua seconda questione, lettera a, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte di precisare l’intensità del controllo che deve essere effettuato dall’autorità giudiziaria di esecuzione quando quest’ultima esamina, in modo individuale e circostanziato, se la persona di cui è richiesta la consegna rischi di essere esposta a trattamenti inumani o degradanti a causa delle condizioni della propria detenzione nello Stato membro emittente.

    44.

    In particolare, il giudice del rinvio desidera sapere se l’autorità giudiziaria di esecuzione debba effettuare un esame «esaustivo» delle condizioni nelle quali la persona interessata verrà detenuta nello Stato membro emittente o se essa debba piuttosto procedere ad un controllo «ridotto» o «sommario» di tali condizioni. In tale contesto, il giudice del rinvio sembra chiedersi se l’autorità giudiziaria di esecuzione possa accontentarsi della garanzia, fornita dallo Stato membro emittente, che la persona interessata non subirà un trattamento inumano o degradante a causa delle proprie condizioni di detenzione.

    45.

    Come ho già affermato, le regole e i principi che la Corte ha stabilito nella sentenza Aranyosi e Căldăraru e ha ripreso, in seguito, nella sentenza Generalstaatsanwaltschaft consentono di rispondere a siffatte domande.

    46.

    Sebbene, nella sentenza Generalstaatsanwaltschaft, la Corte abbia limitato la portata ratione loci del controllo al quale deve procedere l’autorità giudiziaria di esecuzione limitandolo alle condizioni di detenzione all’interno degli istituti penitenziari nei quali «è probabile» ( 23 ) o «sia concretamente previsto» che detta persona sarà detenuta, anche in via temporanea o transitoria ( 24 ), essa ha, per contro, dedicato un’attenzione particolare a dimostrare che siffatto controllo implica un esame di tutti gli aspetti materiali rilevanti della detenzione.

    47.

    È assodato che il diritto a non essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, è un diritto assoluto, la cui violazione può essere constatata soltanto al termine di un esame che tenga conto di tutte le circostanze rilevanti del caso di specie.

    48.

    Siffatto principio è stato affermato implicitamente, anzitutto, nella sentenza Aranyosi e Căldăraru, laddove la Corte ha richiesto che l’autorità giudiziaria di esecuzione valuti in modo «concreto e preciso» ( 25 ) la sussistenza di un rischio concreto di trattamenti inumani o degradanti.

    49.

    Il principio in parola è stato poi confermato nella sentenza Generalstaatsanwaltschaft.

    50.

    Nella causa che ha dato luogo a tale sentenza, si chiedeva alla Corte, in particolare, se il rispetto dell’articolo 1, paragrafo 3, dell’articolo 5 e dell’articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584 comportasse che l’autorità giudiziaria di esecuzione effettui «di volta in volta un esame completo delle (…) condizioni di detenzione» nello Stato membro emittente, accertando non solo la superficie dello spazio individuale di cui dispone il detenuto, ma anche «le altre condizioni della reclusione» ( 26 ). Veniva chiesto, inoltre, se dette condizioni debbano essere valutate alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di cui alla sentenza del 20 ottobre 2016, Muršić c. Croazia ( 27 ).

    51.

    Nella sentenza Generalstaatsanwaltschaft, la Corte ha anzitutto affermato che, ai sensi dell’articolo 3 della CEDU, la valutazione della soglia minima di gravità di un maltrattamento dipende «dall’insieme dei dati [del caso di specie]» ( 28 ) e ha pertanto richiesto che l’autorità giudiziaria di esecuzione chieda, se necessario, chiarimenti in merito alle «condizioni di detenzione concrete e precise» della persona interessata ( 29 ).

    52.

    Per quanto riguarda le condizioni di detenzione, la Corte ha fatto riferimento a quelle espressamente menzionate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sua sentenza Muršić c. Croazia ( 30 ). L’autorità giudiziaria di esecuzione deve tenere conto non solo dello spazio personale di cui beneficerà il detenuto durante la sua reclusione, ma anche degli altri aspetti rilevanti che possono incidere sulle condizioni della sua detenzione. Detta autorità deve quindi prendere in considerazione la durata e la portata della restrizione, ma anche la libertà di movimento e l’offerta di attività fuori cella di cui il detenuto può beneficiare e, infine, tenere conto del carattere globalmente dignitoso delle infrastrutture e dei servizi dell’istituto penitenziario interessato. Per contro, la Corte ha escluso che l’autorità giudiziaria di esecuzione fondi la propria valutazione su fattori che non presentano alcuna evidente rilevanza per quanto riguarda la privazione della libertà ( 31 ).

    53.

    Alla luce dei principi stabiliti dalla Corte nella sentenza Generalstaatsanwaltschaft, l’autorità giudiziaria di esecuzione è quindi tenuta a valutare il rischio concreto di trattamento inumano o degradante al quale la persona interessata sarebbe esposta a causa delle proprie condizioni di detenzione nell’istituto penitenziario nel quale quest’ultima verrà probabilmente reclusa, esaminando tutti gli aspetti materiali della detenzione che siano rilevanti ai fini di siffatta valutazione. Per contro, e come ho già rilevato nell’ambito delle mie conclusioni nella causa che ha dato luogo alla medesima sentenza, tale esame non può vertere su aspetti che vanno oltre quanto è indispensabile ai fini di detta valutazione ( 32 ).

    54.

    Ora, per quanto riguarda l’importanza che occorre attribuire alla garanzia fornita dalle autorità dello Stato membro emittente, rilevo che, nella summenzionata sentenza, la Corte ha dichiarato che essa costituisce un elemento che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione «non può ignorare» ( 33 ). In particolare, la Corte ha considerato che, in assenza di qualsivoglia elemento preciso che permetta di ritenere che le condizioni di detenzione esistenti all’interno di un determinato istituto siano contrarie all’articolo 4 della Carta, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione «deve fidarsi [di detta garanzia]» tenuto conto della fiducia reciproca sulla quale si fonda il mandato d’arresto europeo ( 34 ).

    55.

    Non posso pertanto condividere l’opinione secondo cui l’autorità giudiziaria di esecuzione potrebbe mettere in dubbio e controllare l’affidabilità di siffatta garanzia alla luce dei dati disponibili quanto alle condizioni di detenzione nello Stato membro interessato.

    56.

    Una simile verifica, lungi dal richiamare la fiducia reciproca che deve presiedere ai rapporti tra le autorità giudiziarie di emissione e le autorità giudiziarie di esecuzione, nutrirebbe una sfiducia reciproca e, di riflesso, rimetterebbe in discussione il sistema semplificato di consegna sul quale si fonda il mandato d’arresto europeo.

    57.

    Inoltre, rammento che, nel diritto dell’Unione, gli impegni assunti da un’autorità di uno Stato membro impegnano quest’ultimo, in conformità ai principi che disciplinano il ricorso per inadempimento. Ad esempio, se gli impegni assunti dall’autorità giudiziaria emittente, tramite un’autorità appartenente all’amministrazione penitenziaria, non fossero rispettati, cosicché la persona interessata potrebbe essere esposta a trattamenti inumani o degradanti contrari alle disposizioni della Carta e della CEDU, ciò farebbe sorgere la responsabilità dello Stato membro emittente. Peraltro, come avevo già sottolineato nelle mie conclusioni nella causa ML (Condizioni di detenzione in Ungheria) ( 35 ), l’inosservanza di un simile impegno potrebbe essere fatta valere dinanzi ai giudici dello Stato membro emittente dalla persona interessata.

    B.   I criteri sui quali si basa il controllo delle condizioni di detenzione nell’istituto nel quale è probabile che la persona interessata sarà reclusa

    58.

    La prima questione nonché la seconda questione, lettera b, che il giudice del rinvio sottopone alla Corte devono essere esaminate congiuntamente. Infatti, entrambe riguardano i criteri sulla base dei quali l’autorità giudiziaria di esecuzione deve valutare, in modo concreto e preciso, il rischio concreto di trattamento inumano o degradante a causa delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente.

    59.

    Anzitutto, il giudice del rinvio sottopone alla Corte interrogativi quanto al punto se il diritto dell’Unione europea imponga un limite minimo assoluto con riguardo alla superficie dello spazio personale che dev’essere assegnato al detenuto. Esso le chiede, inoltre, di precisare le modalità di calcolo di quest’ultimo nel contesto di una cella individuale o comune all’interno della quale si trovino mobili e apparecchi sanitari.

    60.

    Inoltre, il giudice del rinvio si interessa degli altri fattori che possono essere presi in considerazione ai fini di detta valutazione, menzionando, in particolare, i requisiti strutturali dell’istituto penitenziario, la natura del regime detentivo nonché le modifiche in melius a livello tanto normativo quanto organizzativo intervenute nello Stato membro emittente con riguardo all’esecuzione della pena.

    61.

    Infine, nell’ipotesi in cui la Corte ritenesse che sussistano requisiti «assoluti» di diritto dell’Unione in ordine alle condizioni di detenzione, il giudice del rinvio desidera sapere se l’autorità giudiziaria di esecuzione possa nondimeno procedere ad un bilanciamento tra il rispetto di siffatti requisiti e le esigenze imposte dal rispetto dei principi della fiducia reciproca e del mutuo riconoscimento nonché dall’efficacia del sistema sul quale si fonda il mandato d’arresto europeo.

    62.

    Ancora una volta, la sentenza Generalstaatsanwaltschaft fornisce le indicazioni che la Corte deve seguire per rispondere al giudice del rinvio.

    1. I contributi della sentenza Generalstaatsanwaltschaft

    63.

    In tale sentenza, la Corte ha anzitutto voluto rilevare che il diritto dell’Unione non stabilisce alcuna norma minima per quanto riguarda le condizioni di detenzione.

    64.

    Poiché l’articolo 4 della Carta ha lo stesso significato e la stessa portata dell’articolo 3 della CEDU, la Corte si è basata sui principi che scaturiscono dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ( 36 ).

    65.

    In particolare, la Corte si è riferita alla sentenza Muršić c. Croazia, nella quale la Corte europea dei diritti dell’uomo, riunita in Grande Sezione, ha riassunto le regole e le norme che emergono dalla propria giurisprudenza in materia di sovraffollamento delle carceri e ha chiarito le condizioni nelle quali la mancanza di spazio personale in cella può essere giudicata contraria all’articolo 3 della CEDU.

    66.

    La Corte ha quindi adottato l’approccio che essa aveva già utilizzato nella sentenza Aranyosi e Căldăraru. In tale sentenza, la Corte si era, infatti, espressamente riferita alla sentenza di principio della Corte europea dei diritti dell’uomo dell’8 gennaio 2013, Torreggiani e altri c. Italia ( 37 ), al fine di determinare gli obblighi generali che incombono alle autorità dello Stato membro emittente quanto alla reclusione di qualsiasi detenuto ( 38 ).

    67.

    Nella sentenza Generalstaatsanwaltschaft, la Corte ha così rammentato che, ai sensi dell’articolo 3 della CEDU, un maltrattamento deve raggiungere una soglia minima di gravità, la cui valutazione dipende da un insieme di dati, in particolare, dalla durata di tale trattamento e dai suoi effetti fisici o psichici nonché, in certi casi, dal sesso, dall’età e dallo stato di salute della vittima ( 39 ).

    68.

    La Corte si è poi occupata del fattore spaziale delle condizioni di detenzione, rilevando, ai punti 92 e 93 della propria sentenza, quanto segue:

    «92

    Tenuto conto dell’importanza attribuita al fattore spaziale nella valutazione globale delle condizioni di detenzione, il fatto che lo spazio personale di cui dispone un detenuto sia inferiore a 3 m2 in una cella collettiva fa nascere una forte presunzione di violazione dell’articolo 3 della CEDU ([sentenza Muršić c. Croazia], § 124).

    93

    Tale forte presunzione di violazione dell’articolo 3 della CEDU può, di norma, essere superata solo se: in primo luogo, le riduzioni dello spazio personale in rapporto al minimo obbligatorio di 3 m2 sono brevi, occasionali e minori; in secondo luogo, esse si accompagnano a una libertà di movimento sufficiente fuori della cella e ad attività fuori cella adeguate, e, in terzo luogo, l’istituto offre, in linea generale, condizioni di detenzione dignitose e la persona interessata non è sottoposta ad altri elementi ritenuti circostanze aggravanti delle cattive condizioni di detenzione ([sentenza Muršić c. Croazia], § 138)».

    69.

    Ai punti da 97 a 100 di detta sentenza, la Corte si è inoltre pronunciata sulla portata del fattore relativo alla durata del periodo di detenzione, insistendo, in particolare, sul fatto che «la brevità relativa di un periodo di detenzione, di per sé, non sottrae automaticamente il trattamento controverso all’ambito di applicazione dell’articolo 3 della CEDU qualora altri elementi siano sufficienti per farlo rientrare nell’ambito di tale disposizione» ( 40 ).

    70.

    Infine, al punto 103 della medesima sentenza, la Corte ha escluso il fatto che l’autorità giudiziaria di esecuzione valuti l’esistenza di un rischio concreto di trattamento inumano o degradante basandosi su aspetti privi di rilevanza evidente rispetto alla privazione della libertà, come quelli relativi alla pratica di un culto, alla possibilità di fumare, alle modalità di lavaggio dei vestiti nonché all’installazione di barre o di persiane alle finestre delle celle.

    71.

    Nonostante le critiche suscitate dalla sentenza Muršić c. Croazia ( 41 ), ritengo che, allo stato attuale del diritto dell’Unione, la Corte abbia adottato un approccio che consente di garantire la necessaria coerenza tra la Carta e la CEDU, conformemente all’obiettivo perseguito dall’articolo 52, paragrafo 3, della Carta ( 42 ).

    72.

    È pur vero che detta disposizione non osta a che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa di quella offerta dalla CEDU ( 43 ). Tuttavia, ritengo che le condizioni materiali necessarie a tal fine non ricorrano nel caso di specie. Infatti, attualmente, non esiste alcuna disposizione che disciplini le condizioni di detenzione nell’Unione e non spetta alla Corte stabilire norme numeriche quanto allo spazio personale di cui deve disporre un detenuto, quand’anche si tratti di uno standard minimo. Siffatto compito rientra non già nelle sue funzioni, bensì in quelle del legislatore. Inoltre, occorre riconoscere che la Corte non dispone, attualmente, della necessaria competenza a tal fine, contrariamente alla Corte europea dei diritti dell’uomo o agli altri organi del Consiglio d’Europa, che beneficiano di una speciale competenza nel campo dei sistemi penitenziari e di una conoscenza pratica delle condizioni di detenzione negli Stati, grazie al contenzioso di cui la prima è investita o alle relazioni e alle visite in loco che competono al secondo.

    73.

    Infine, ricordo che i requisiti stabiliti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo costituiscono norme minime. All’interno dell’Unione e, in particolare, nell’ambito dello spazio penale europeo, tali requisiti devono consentire di garantire un livello minimo uniforme, applicabile al complesso dei sistemi penitenziari degli Stati membri e che supera le loro differenze, il che contribuisce a rafforzare la fiducia reciproca che deve esistere tra gli Stati membri. Rammento inoltre che, a livello nazionale, tuttavia, ogni Stato membro rimane libero di prevedere uno standard più generoso per quanto riguarda le condizioni di detenzione nei propri istituti penitenziari, standard che esso non può opporre agli Stati vicini nel contesto dell’esecuzione di un mandato d’arresto europeo.

    74.

    Occorre adesso esaminare nei dettagli le questioni che il giudice del rinvio ha sottoposto alla Corte.

    2. La superficie minima dello spazio personale che dev’essere assegnato al detenuto

    75.

    Come ho già affermato, nella sentenza Generalstaatsanwaltschaft, la Corte ha anzitutto precisato che, nel diritto dell’Unione, non esistono regole minime relative alle condizioni di detenzione ( 44 ). Ciò posto, la Corte ha definito la superficie minima dello spazio personale che dev’essere assegnato al detenuto con riferimento alla soglia stabilita dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, vale a dire una soglia di 3 m2.

    76.

    Tale soglia non è assoluta.

    77.

    Invero, la valutazione della soglia minima che un maltrattamento deve raggiungere per rientrare nell’articolo 3 della CEDU è, per sua natura, relativa. Detta soglia non può ridursi alla determinazione precisa del numero di metri quadrati di cui deve beneficiare il detenuto, poiché un siffatto approccio non consente di tenere conto dell’insieme delle condizioni di detenzione nelle quali si inquadra la sua realtà quotidiana.

    78.

    Come la Corte riconosce, il fattore spaziale è un fattore importante ( 45 ). Tuttavia, esso dev’essere inquadrato nell’ambito di una valutazione globale delle condizioni di detenzione, che deve tenere conto di tutti gli aspetti materiali rilevanti. Sebbene una superficie minima inferiore a 3 m2 in una cella collettiva faccia quindi sorgere una forte presunzione di violazione dell’articolo 3 della CEDU, tale presunzione può, tuttavia, essere superata qualora sussistano fattori idonei a compensare adeguatamente la carenza di spazio personale. La Corte lo ha chiaramente affermato ai punti 92 e 93 della sentenza Generalstaatsanwaltschaft ( 46 ).

    79.

    Dal canto suo, la Corte europea dei diritti dell’uomo non considera in modo sistematico che uno scostamento minore rispetto alla regola minima dei 3 m2 di superficie al suolo per detenuto in una cella collettiva costituisca, di per sé, un trattamento inumano o degradante.

    80.

    Analogamente, il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (in prosieguo: il «CPT») non rivendica il carattere assoluto delle norme relative allo «spazio vitale per detenuto» che esso raccomanda. Il CPT può ammettere uno scostamento minore rispetto alla regola dei 4 m2 di spazio vitale in una cella collettiva o dei 6 m2 di spazio vitale in una cella individuale qualora sussistano altri fattori positivi relativi, ad esempio, all’insieme delle attività alle quali il detenuto può partecipare al di fuori della propria cella ( 47 ).

    81.

    Al fine di determinare la soglia che fissa la superficie minima dello spazio personale da assegnare al detenuto, è necessario prendere in considerazione una serie di fattori.

    82.

    In primo luogo, la determinazione di siffatta soglia dipende dal punto se il detenuto sia collocato in una cella individuale o in una cella collettiva ( 48 ).

    83.

    Invero, si tratta di due tipi di sistemazione che sollevano preoccupazioni distinte e richiedono, di conseguenza, una valutazione particolare dello spazio di vita del detenuto. La sistemazione in una cella individuale, sebbene sia spesso considerata come l’unica in grado di garantire la dignità e la sicurezza fisica del detenuto, può esporre quest’ultimo a rischi specifici connessi con la solitudine e con la mancanza di interazione sociale. Per contro, la sistemazione in una cella collettiva può esporre il detenuto a condizioni igieniche precarie e a rischi di intimidazione o addirittura di violenza aumentati in caso di dimensioni estremamente esigue. Ciò posto, le regole minime che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito nella sentenza Muršić c. Croazia per quanto riguarda la sistemazione in cella collettiva non sono applicabili, in quanto tali, alla sistemazione in cella individuale, come quest’ultima ha peraltro riconosciuto ( 49 ).

    84.

    Quanto al CPT, esso riconosce che le norme riguardanti lo spazio vitale individuale differiscono in funzione non solo del tipo di istituto, ma anche del livello di occupazione della cella e del regime al quale i detenuti sono sottoposti ( 50 ). Per quanto riguarda il livello di occupazione della cella, il CPT distingue molto nettamente le celle individuali dalle celle collettive. In quest’ultimo caso, esso rifiuta, peraltro, di assimilare una cella doppia ad una cella destinata ad accogliere da sei a dieci detenuti e si preoccupa inoltre di distinguere i dormitori che accolgono una decina di detenuti dai grandi dormitori occupati da fino a un centinaio di persone.

    85.

    In secondo luogo, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nonché dalle raccomandazioni del CPT risulta che la superficie minima dello spazio personale non deve comprendere la superficie occupata dai sanitari che si trovano all’interno di una cella ( 51 ).

    86.

    Per contro, detta superficie deve, in linea di principio, includere lo spazio occupato dal mobilio sul suolo. La Corte europea dei diritti dell’uomo terrà conto, nondimeno, della misura in cui lo spazio di vita del detenuto è in realtà ridotto dal mobilio presente, al fine di assicurarsi che il detenuto abbia la possibilità di muoversi normalmente nella cella o di spostarsi liberamente tra i mobili ( 52 ).

    87.

    Nel caso in cui lo spazio personale a disposizione del detenuto sia inferiore a 3 m2 in una cella collettiva, la Corte europea dei diritti dell’uomo esamina gli effetti cumulativi delle altre condizioni materiali di detenzione, in modo tale da determinare se queste ultime, a causa della loro carenza, costituiscano circostanze aggravanti o se, al contrario, a causa della loro conformità agli standard definiti, esse consentano di «compensare adeguatamente la carenza di spazio personale» ( 53 ) e quindi di superare la presunzione di violazione dell’articolo 3 della CEDU.

    88.

    Il giudice del rinvio invita quindi la Corte a precisare tali altri aspetti materiali della detenzione che sono rilevanti ai fini della valutazione delle condizioni concrete della detenzione.

    3. Gli altri aspetti materiali della detenzione

    89.

    Al punto 93 della sentenza Generalstaatsanwaltschaft, la Corte ha elencato una serie di aspetti che l’autorità giudiziaria di esecuzione è tenuta ad esaminare al fine di valutare se la carenza di spazio personale sia o meno accompagnata da condizioni materiali di detenzione compatibili con i diritti fondamentali del detenuto.

    90.

    Il primo aspetto riguarda la durata e la portata della restrizione.

    91.

    Rammento che, ai punti da 97 a 100 di detta sentenza, la Corte ha fornito indicazioni sul modo di valutare la durata e la portata della restrizione. Basandosi sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la Corte ha rammentato che la durata del periodo di detenzione costituisce un fattore rilevante. Tuttavia, la Corte ha voluto precisare che la brevità relativa di un periodo di detenzione o il carattere temporaneo o transitorio di quest’ultima non sono idonei, di per sé soli, ad escludere un rischio di trattamenti inumani o degradanti qualora altri elementi siano sufficienti per farlo rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 3 della CEDU.

    92.

    Il secondo aspetto concerne la libertà di movimento e l’offerta di attività fuori cella di cui il detenuto può beneficiare.

    93.

    L’autorità giudiziaria di esecuzione deve quindi valutare lo spazio personale di cui dispone il detenuto tenuto conto del tempo che egli trascorre nella propria cella. Nella sentenza Generalstaatsanwaltschaft, la Corte non ha fornito precisazioni sul modo di valutare tale aspetto della detenzione. Tuttavia, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sintetizzata nella sentenza Muršić c. Croazia vi supplisce. Secondo quest’ultima, i detenuti devono poter trascorrere una parte ragionevole della loro giornata fuori dalla propria cella nell’ambito di attività professionali o di formazione o di attività sportive, ma anche in occasione di passeggiate di cui essa valuta le condizioni qualitative e quantitative. A tale riguardo, la Corte europea dei diritti dell’uomo tiene conto della configurazione delle strutture esterne, le quali devono offrire uno spazio sufficiente e aperto.

    94.

    Infine, il terzo aspetto riguarda il carattere globalmente dignitoso delle condizioni di detenzione.

    95.

    La Corte,, non ha del pari fornito indicazioni riguardo alla valutazione di tale aspetto nella sentenza Generalstaatsanwaltschaft. Tuttavia, se si fa riferimento alle precisazioni fornite dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza Muršić c. Croazia, si comprende che l’autorità giudiziaria di esecuzione deve in questo caso effettuare un esame dell’organizzazione della cella nonché dei servizi e delle infrastrutture essenziali dell’istituto penitenziario nel quale la persona interessata sarà probabilmente reclusa ( 54 ).

    96.

    Insisto sul carattere «essenziale» dei servizi e delle infrastrutture penitenziarie rilevanti ai fini di detta valutazione. Invero, l’autorità giudiziaria di esecuzione non può esaminare e, a tal fine, formulare richieste di informazioni complementari riguardanti aspetti della detenzione che non presentino assolutamente alcuna utilità sotto il profilo dell’articolo 4 della Carta. Quest’ultimo caso si è verificato nell’ambito della causa che ha dato luogo alla sentenza Generalstaatsanwaltschaft. La Corte ha, in quell’occasione, espressamente rilevato che possono formare oggetto di una richiesta di informazioni complementari soltanto gli aspetti della detenzione che siano rilevanti ai fini della valutazione della gravità della sofferenza o dell’umiliazione subite da un detenuto a causa delle cattive condizioni di detenzione. Come ho già rilevato, essa ha quindi escluso aspetti come quelli relativi alla pratica di un culto, alla possibilità di fumare o a servizi quali quello di lavaggio dei vestiti ( 55 ).

    97.

    Sottolineo che la valutazione di tali diversi fattori deve necessariamente tenere conto del tipo di istituto penitenziario nel quale il detenuto è recluso nonché del regime detentivo a cui egli è sottoposto.

    98.

    Infatti, le condizioni di detenzione di un detenuto recluso in un carcere di massima sicurezza, vale a dire un istituto che ospita persone condannate a pene di lunga durata o che presentano rischi particolari, sono molto diverse da quelle a cui è esposto un detenuto collocato in un centro di semilibertà o che beneficia di un regime di collocamento all’esterno. La Corte europea dei diritti dell’uomo ritiene quindi che il primo debba beneficiare di disposizioni più favorevoli per quanto riguarda la propria libertà di movimento all’interno dell’istituto e l’offerta di attività fuori cella (lavoro, svago, formazione). Ciò è logico in quanto il secondo è autorizzato ad assentarsi dall’istituto durante il giorno al fine di esercitare un’attività professionale, seguire un corso o partecipare a qualsiasi altro progetto di inserimento o reinserimento.

    99.

    È alla luce di tali diversi aspetti che l’autorità giudiziaria di esecuzione deve valutare se la carenza di spazio personale sia o meno compensata da condizioni materiali di detenzione adeguate.

    100.

    In una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in cui dalle informazioni fornite dallo Stato membro emittente risulta che lo spazio al suolo di cui beneficerà la persona interessata sarà inferiore o pari a 3 m2 ( 56 ), rammento che il fattore spaziale è determinante e fa sorgere una forte presunzione di violazione dell’articolo 4 della Carta. La valutazione degli effetti cumulativi di detti diversi aspetti deve quindi consentire all’autorità giudiziaria di esecuzione di determinare se siffatta presunzione possa essere superata.

    101.

    Invece, la situazione sarebbe del tutto diversa qualora lo spazio al suolo a disposizione del detenuto fosse compreso fra 3 e 4 m2. Sebbene il fattore spaziale rimanga un elemento importante, esso non fa sorgere alcuna presunzione di violazione. L’autorità giudiziaria di esecuzione deve quindi determinare se siffatta carenza di spazio personale sia accompagnata da condizioni materiali di detenzione che siano adeguate o, al contrario, incompatibili con i diritti fondamentali del detenuto, nel qual caso occorrerebbe constatare una violazione dell’articolo 4 della Carta.

    4. La rilevanza dei fattori tratti da misure legislative e strutturali che comportano un miglioramento dell’esecuzione delle pene nello Stato membro emittente

    102.

    Il giudice del rinvio chiede alla Corte se l’autorità giudiziaria di esecuzione possa tenere conto dei miglioramenti apportati dallo Stato membro emittente per quanto riguarda sia le sue infrastrutture penitenziarie sia i suoi meccanismi di controllo dell’esecuzione delle pene.

    103.

    L’autorità giudiziaria di esecuzione può tenere conto di tutte le misure adottate dallo Stato membro emittente che, siano esse di natura legislativa o strutturale, contribuiscano al rafforzamento della protezione delle persone private della libertà contro il rischio concreto di trattamenti inumani o degradanti. In tal senso, il riconoscimento di un diritto del detenuto a presentare una denuncia, l’istituzione di un sistema efficace di ricorsi dinanzi all’amministrazione penitenziaria e alle autorità preposte alla sorveglianza dell’esecuzione delle pene o l’istituzione di un organo indipendente incaricato di garantire il rispetto dei diritti dell’uomo all’interno dei luoghi di privazione della libertà costituiscono altrettante misure che contribuiscono alla creazione di un regime di esecuzione delle pene rispettoso dei diritti fondamentali.

    104.

    Tuttavia, come avevo già rilevato nelle mie conclusioni nella causa ML (Condizioni di detenzione in Ungheria) ( 57 ), siffatte misure potrebbero non essere sufficienti qualora l’autorità giudiziaria di esecuzione dovesse nutrire dubbi fondati quanto all’eventualità che la persona interessata possa subire nell’immediato un trattamento inumano o degradante, indipendentemente dal fatto che tale pregiudizio venga successivamente riparato per mezzo di ricorsi giudiziari efficaci nello Stato membro emittente. Pertanto, a prescindere dalla loro natura, dette misure conservano, in linea di principio, una portata generale e, in quanto tali, non potrebbero compensare il rischio concreto di trattamento inumano o degradante al quale la persona interessata sarebbe esposta a causa delle proprie condizioni di detenzione nell’istituto penitenziario nel quale verrà probabilmente reclusa.

    5. La rilevanza dei fattori tratti dai principi generali sui quali si basa lo spazio penale europeo

    105.

    Con la sua seconda questione, lettera b, il giudice del rinvio chiede alla Corte se, nel caso in cui essa ritenesse che sussistano requisiti «assoluti» di diritto dell’Unione in ordine alle condizioni di detenzione, l’autorità giudiziaria di esecuzione possa, nell’ambito della propria valutazione del rischio concreto di trattamento inumano o degradante, procedere ad un bilanciamento in modo tale da tenere conto delle esigenze imposte dal rispetto dei principi della fiducia reciproca e del mutuo riconoscimento nonché dalla salvaguardia dell’efficacia del sistema sul quale si fonda il mandato d’arresto europeo.

    106.

    Sebbene sussista un requisito assoluto di diritto dell’Unione, siffatto requisito riguarda non già le norme relative alle condizioni di detenzione, bensì il rispetto, conformemente agli articoli 1 e 4 della Carta, della dignità umana e del divieto di qualsiasi trattamento inumano o degradante causato da tali condizioni di detenzione.

    107.

    Orbene, il diritto alla dignità umana e il diritto a non essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti sono diritti di natura assoluta, il che esclude, di per sé, qualsiasi bilanciamento. La Corte ha voluto rammentarlo nella sentenza Aranyosi e Căldăraru, rilevando che la CEDU vieta in termini assoluti la tortura e le pene e i trattamenti inumani o degradanti, qualunque sia il comportamento dell’interessato, e ciò in ogni circostanza, anche in caso di lotta al terrorismo e al crimine organizzato ( 58 ). Detti diritti non possono quindi essere oggetto di alcuna delle limitazioni previste dall’articolo 52, paragrafo 1, della Carta.

    108.

    Nell’ambito del controllo che l’autorità giudiziaria di esecuzione deve effettuare, è pertanto escluso che quest’ultima proceda ad un bilanciamento tra, da una parte, la necessità di garantire che la persona interessata non sarà sottoposta ad alcun trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta e, dall’altra, le esigenze imposte dal rispetto dei principi della fiducia reciproca e del mutuo riconoscimento nonché dall’efficacia del sistema sul quale si fonda il mandato d’arresto europeo.

    109.

    Inoltre, la presa in considerazione di tali fattori è esclusa in ragione dell’essenza e della natura stessa del controllo che l’autorità giudiziaria di esecuzione deve effettuare nell’ambito dell’esecuzione di un mandato d’arresto europeo. Come risulta dalla giurisprudenza Aranyosi e Căldăraru, siffatto controllo costituisce, di per sé, un’eccezione ai principi della fiducia reciproca e del mutuo riconoscimento e può vertere soltanto sulle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente – che si tratti delle condizioni generali vigenti in tale Stato o delle condizioni specifiche nelle quali si prevede di detenere la persona interessata in detto Stato –, ad esclusione di qualsiasi altra considerazione relativa ai principi sui quali si fonda lo spazio penale europeo.

    110.

    Tenuto conto di tutte queste considerazioni, spetta adesso all’autorità giudiziaria di esecuzione valutare, alla luce delle informazioni fornite dalle autorità dello Stato membro emittente, se le condizioni nelle quali il sig. Dorobantu sarà detenuto a seguito della sua consegna non rischino di violare il diritto garantitogli dall’articolo 4 della Carta.

    111.

    A tale riguardo, osservo che il dubbio sulla legittimità della consegna del sig. Dorobantu era stato dissipato in senso favorevole dall’autorità giudiziaria di esecuzione prima che il Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale) annullasse le ordinanze del 3 e 19 gennaio 2017 per difetto di rinvio pregiudiziale alla Corte.

    112.

    Rilevo che, nell’ambito del procedimento principale, l’autorità giudiziaria di esecuzione aveva effettuato una valutazione globale delle condizioni nelle quali il sig. Dorobantu sarebbe incarcerato a seguito della sua consegna, esaminando le informazioni fornite dalle autorità rumene alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

    113.

    Osservo inoltre che, all’udienza, il governo rumeno ha confermato che il sig. Dorobantu sarebbe detenuto, a seguito della sua consegna, nell’ambito di un regime semiaperto. Di conseguenza, esso ha affermato che l’interessato potrebbe beneficiare di una grande libertà di movimento e potrebbe inoltre lavorare, il che limiterebbe il tempo trascorso nella sua cella.

    VI. Conclusione

    114.

    Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dallo Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore anseatico del Land di Amburgo, Germania) nel modo seguente:

    L’articolo 1, paragrafo 3, l’articolo 5 e l’articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, letti in combinato disposto con l’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che:

    qualora l’autorità giudiziaria di esecuzione disponga di elementi comprovanti l’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate delle condizioni di detenzione all’interno degli istituti penitenziari dello Stato membro emittente, essa è tenuta a valutare il rischio concreto di trattamento inumano o degradante al quale la persona interessata sarebbe esposta a causa delle proprie condizioni di detenzione nell’istituto penitenziario nel quale quest’ultima verrà probabilmente reclusa, effettuando un esame globale di tutti gli aspetti materiali della detenzione che siano rilevanti ai fini di siffatta valutazione;

    l’autorità giudiziaria di esecuzione deve attribuire un’importanza particolare al fattore relativo alla superficie minima dello spazio personale di cui beneficerà la persona interessata nel corso della propria detenzione. In assenza di norme stabilite dal diritto dell’Unione, detto fattore è determinato con riferimento alla soglia definita dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale non costituisce una soglia assoluta;

    nel determinare la superficie minima dello spazio personale di cui beneficerà la persona interessata, l’autorità giudiziaria di esecuzione deve tenere conto del carattere individuale o collettivo della cella nella quale detta persona verrà probabilmente collocata. Tale autorità deve includere lo spazio occupato dal mobilio sul suolo, ma escludere la superficie occupata dai sanitari;

    qualora dalle informazioni fornite dallo Stato membro emittente risulti che la superficie minima dello spazio personale di cui beneficerà la persona interessata è inferiore o pari a 3 m2, l’autorità giudiziaria di esecuzione deve determinare se gli altri aspetti materiali della detenzione siano idonei a compensare adeguatamente la carenza di spazio personale e a superare la presunzione di violazione dell’articolo 4 della Carta. In particolare, detta autorità deve valutare le condizioni relative all’organizzazione della cella nella quale la persona interessata verrà collocata, il carattere globalmente dignitoso dei servizi e delle infrastrutture essenziali dell’istituto penitenziario nonché gli aspetti relativi alla libertà di movimento e all’offerta di attività fuori cella di cui essa beneficerà;

    la valutazione di questi diversi aspetti deve necessariamente tenere conto della durata e della portata della restrizione, del tipo di istituto penitenziario nel quale la persona interessata verrà reclusa nonché del regime detentivo a cui quest’ultima sarà sottoposta;

    l’autorità giudiziaria di esecuzione può inoltre tenere conto delle misure legislative e strutturali che comportano un miglioramento dell’esecuzione delle pene nello Stato membro emittente. Tuttavia, tenuto conto della loro portata generale, dette misure non possono, in quanto tali, compensare il rischio concreto di trattamento inumano o degradante al quale la persona interessata sarebbe esposta a causa delle proprie condizioni di detenzione nell’istituto penitenziario interessato;

    nell’ambito della sua valutazione, l’autorità giudiziaria di esecuzione non può procedere ad un bilanciamento tra, da una parte, la necessità di garantire che la persona interessata non sarà sottoposta ad alcun trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta e, dall’altra, le esigenze imposte dal rispetto dei principi della fiducia reciproca e del mutuo riconoscimento nonché dalla salvaguardia dell’efficacia del sistema europeo di giustizia penale.


    ( 1 ) Lingua originale: il francese.

    ( 2 ) Decisione quadro del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri (GU 2002, L 190, pag. 1), come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009 (GU 2009, L 81, pag. 24) (in prosieguo: la «decisione quadro 2002/584»).

    ( 3 ) C‑404/15 e C‑659/15 PPU; in prosieguo: la «sentenza Aranyosi e Căldăraru, EU:C:2016:198.

    ( 4 ) C‑220/18 PPU; in prosieguo: la «sentenza Generalstaatsanwaltschaft, EU:C:2018:589.

    ( 5 ) In prosieguo: la «Carta».

    ( 6 ) GU 2007, C 303, pag. 17.

    ( 7 ) Firmata a Roma il 4 novembre 1950; in prosieguo: la «CEDU».

    ( 8 ) V. spiegazione relativa all’articolo 4.

    ( 9 ) Articolo 82, paragrafo 1, primo comma, TFUE nonché considerando 5, 6, 10 e 11 della decisione quadro 2002/584.

    ( 10 ) V. sentenze del 29 gennaio 2013, Radu (C‑396/11, EU:C:2013:39, punto 34), e del 26 febbraio 2013, Melloni (C‑399/11, EU:C:2013:107, punto 37).

    ( 11 ) V. sentenza del 30 maggio 2013, F (C‑168/13 PPU, EU:C:2013:358, punti 5758).

    ( 12 ) BGBl. 1982 I, pag. 2071.

    ( 13 ) BGBl. 2006 I, pag. 1721; in prosieguo: l’«IRG».

    ( 14 ) Tali informazioni figurano nelle ordinanze del 3 e 19 gennaio 2017 dello Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale superiore anseatico del Land di Amburgo), allegata al fascicolo nazionale di cui dispone la Corte. All’udienza, il rappresentante del governo rumeno ha precisato che il sig. Dorobantu trascorrerà un periodo molto limitato in detto spazio inferiore a 3 m2, poiché egli sarà detenuto nell’ambito di un regime semiaperto, beneficiando così della possibilità di spostarsi senza essere accompagnato e di lavorare.

    ( 15 ) V. articolo 26, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584.

    ( 16 ) Sentenza Aranyosi e Căldăraru (punto 87).

    ( 17 ) Sentenza Aranyosi e Căldăraru (punto 85).

    ( 18 ) V. sentenza Aranyosi e Căldăraru (punto 89).

    ( 19 ) V. sentenza Aranyosi e Căldăraru (punto 92).

    ( 20 ) V. sentenza Aranyosi e Căldăraru (punti 98 e 104).

    ( 21 ) La causa «Aranyosi II» è quindi rimasta priva di oggetto, come ha dichiarato la Corte nell’ordinanza del 15 novembre 2017, Aranyosi (C‑496/16, non pubblicata, EU:C:2017:866).

    ( 22 ) Nella sentenza del 25 luglio 2018, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario) (C‑216/18 PPU, EU:C:2018:586), la Corte ha adottato gli stessi principi e ha seguito la stessa logica adottata nelle sentenze Aranyosi e Căldăraru e Generalstaatsanwaltschaft a proposito del rischio concreto di violazione del diritto fondamentale a un processo equo garantito dall’articolo 47, secondo comma, della Carta a causa di carenze sistemiche o generalizzate che compromettono l’indipendenza del potere giudiziario dello Stato membro emittente.

    ( 23 ) Sentenza Generalstaatsanwaltschaft (punto 117).

    ( 24 ) Sentenza Generalstaatsanwaltschaft (punto 87).

    ( 25 ) Sentenza Aranyosi e Căldăraru (punto 92).

    ( 26 ) Riprendo qui gli stessi termini impiegati dallo Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore anseatico del Land, Brema) nel suo rinvio pregiudiziale.

    ( 27 ) CE:ECHR:2016:1020JUD000733413; in prosieguo: la «sentenza Muršić c. Croazia».

    ( 28 ) Sentenza Generalstaatsanwaltschaft (punto 91).

    ( 29 ) Sentenza Generalstaatsanwaltschaft (punto 101).

    ( 30 ) V. sentenza Generalstaatsanwaltschaft (punti 92 e 93).

    ( 31 ) V. sentenza Generalstaatsanwaltschaft (punto 103).

    ( 32 ) Conclusioni nella causa ML (Condizioni di detenzione in Ungheria) (C‑220/18 PPU, EU:C:2018:547, paragrafi 6276).

    ( 33 ) Sentenza Generalstaatsanwaltschaft (punto 111).

    ( 34 ) Sentenza Generalstaatsanwaltschaft (punto 112).

    ( 35 ) C‑220/18 PPU, EU:C:2018:547 (paragrafo 64).

    ( 36 ) La Corte ha fondato il proprio ragionamento sul testo dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta (v. paragrafo 5 delle presenti conclusioni).

    ( 37 ) CE:ECHR:2013:0108JUD004351709, § 65.

    ( 38 ) V. sentenza Aranyosi e Căldăraru (punto 90).

    ( 39 ) V. sentenza Generalstaatsanwaltschaft (punto 91).

    ( 40 ) V. sentenza Generalstaatsanwaltschaft (punto 98).

    ( 41 ) V., a tale riguardo, opinioni dissenzienti allegate a detta sentenza nonché, nella dottrina, Tulkens, F., «Cellule collective et espace personnel, un arrêt en trompe-l’œil (obs. sous Cour eur. dr. h., Gde Ch., arrêt Muršic c. Croatie, 20 octobre 2016)», Revue trimestrielle des droits de l’homme, n. 112, Anthemis, Wavre, 2017, pagg. da 989 a 1004; Robert, A-G., «Conséquences du manque flagrant d’espace personnel», AJ Pénal, Dalloz, Parigi, 2017, pag. 47.

    ( 42 ) V. spiegazione relativa all’articolo 52 della Carta (v. nota 6 delle presenti conclusioni).

    ( 43 ) V. sentenza del 21 dicembre 2016, Tele2 Sverige e Watson e a. (C‑203/15 e C‑698/15, EU:C:2016:970, punto 129 e giurisprudenza ivi citata). V., inoltre, sentenza del 25 luglio 2018, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario) (C‑216/18 PPU, EU:C:2018:586, punti da 62 a 67), nella quale la Corte si è basata segnatamente sulla sentenza del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses (C‑64/16, EU:C:2018:117), al fine di enunciare il contenuto dell’articolo 47 della Carta, che garantisce il diritto ad un giudice indipendente e imparziale.

    ( 44 ) V. sentenza Generalstaatsanwaltschaft (punto 90).

    ( 45 ) V. sentenza Generalstaatsanwaltschaft (punto 92).

    ( 46 ) V. paragrafo 68 delle presenti conclusioni.

    ( 47 ) V. norme del CPT relative allo «Spazio vitale per detenuto negli istituti penitenziari», del 15 dicembre 2015, disponibili al seguente indirizzo Internet: https://rm.coe.int/16806ccb8d (punto 21).

    ( 48 ) Analogamente, la determinazione di detto spazio dipende dal punto se la persona sia detenuta in isolamento o in altri regimi detentivi analoghi, oppure nei locali di trattenimento o negli spazi simili utilizzati per periodi molto brevi (locali per fermi di polizia, istituti psichiatrici, centri di trattenimento per stranieri), il che non è tuttavia evocato nel caso di specie [v. sentenza Muršić c. Croazia (§ 92)].

    ( 49 ) V., in tal senso, sentenza Muršić c. Croazia (§ 92).

    ( 50 ) V. norme del CPT (punto 7) citate alla nota 47.

    ( 51 ) Sentenza Muršić c. Croazia (§ 114) nonché norme del CPT (punto 10) citate alla nota 47.

    ( 52 ) V., a tale riguardo, Corte EDU, 2 febbraio 2010, Marina Marinescu c. Romania (CE:ECHR:2010:0202JUD003611003, § 66 e giurisprudenza ivi citata), nonché 10 gennaio 2012, Ananyev e altri c. Russia (CE:ECHR:2012:0110JUD004252507, § 148).

    ( 53 ) Sentenza Muršić c. Croazia (§ 126).

    ( 54 ) Tali fattori sono menzionati nella sentenza Muršić c. Croazia (§§ da 132 a 135).

    ( 55 ) V. sentenza Generalstaatsanwaltschaft (punto 103).

    ( 56 ) Rammento che, come risulta dall’ordinanza del 3 gennaio 2017, allegata al fascicolo nazionale di cui dispone la Corte, il sig. Dorobantu dovrebbe scontare la propria pena in una cella che gli offrirebbe uno spazio personale di 3 m2 qualora venisse sottoposto al «regime detentivo chiuso» e di meno di 3 m2 qualora fosse sottoposto al regime di semilibertà.

    ( 57 ) C‑220/18 PPU, EU:C:2018:547 (paragrafo 57).

    ( 58 ) V. sentenza Aranyosi e Căldăraru (punto 87). La Corte ha citato, a questo proposito, la sentenza della Corte EDU del 28 settembre 2015, Bouyid c. Belgio (CE:ECHR:2015:0928JUD002338009, § 81 e giurisprudenza ivi citata).

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