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Document 62016CJ0403

Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 13 dicembre 2017.
Soufiane El Hassani contro Minister Spraw Zagranicznych.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Naczelny Sąd Administracyjny.
Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Regolamento (CE) n. 810/2009 – Articolo 32, paragrafo 3 – Codice comunitario dei visti – Decisione di diniego di un visto – Diritto del richiedente di proporre ricorso contro tale decisione – Obbligo di uno Stato membro di garantire il diritto a un ricorso giurisdizionale.
Causa C-403/16.

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2017:960

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

13 dicembre 2017 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Regolamento (CE) n. 810/2009 – Articolo 32, paragrafo 3 – Codice comunitario dei visti – Decisione di diniego di un visto – Diritto del richiedente di proporre ricorso contro tale decisione – Obbligo di uno Stato membro di garantire il diritto a un ricorso giurisdizionale»

Nella causa C‑403/16,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa, Polonia), con decisione del 28 giugno 2016, pervenuta in cancelleria il 19 luglio 2016, nel procedimento

Soufiane El Hassani

contro

Minister Spraw Zagranicznych,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta da R. Silva de Lapuerta (relatore), presidente di sezione, C.G. Fernlund, A. Arabadjiev, S. Rodin ed E. Regan, giudici,

avvocato generale: M. Bobek

cancelliere: V. Giacobbo-Peyronnel, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 17 maggio 2017,

considerate le osservazioni presentate:

per S. El Hassani, da J. Białas, radca prawny;

per il Minister Spraw Zagranicznych, da K. Pawłowska-Nojszewska e M. Arciszewski, in qualità di agenti;

per il governo polacco, da B. Majczyna, M. Kamejsza-Kozłowska e K. Straś, in qualità di agenti;

per il governo ceco, da M. Smolek e J. Vláčil, in qualità di agenti;

per il governo estone, da N. Grünberg, in qualità di agente;

per la Commissione europea, da A. Stobiecka-Kuik e C. Cattabriga, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 7 settembre 2017,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 32, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 810/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, che istituisce un codice comunitario dei visti (GU 2009, L 243, pag. 1), come modificato dal regolamento (UE) n. 610/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013 (GU 2013, L 182, pag. 1; in prosieguo: il «codice dei visti»).

2

Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra il sig. Soufiane El Hassani e il Minister Spraw Zagranicznych (Ministro per gli Affari esteri, Polonia) in merito a una decisione con la quale il Wojewódzki Sąd Administracyjny w Warszawie (Tribunale amministrativo del voivodato di Varsavia, Polonia) ha respinto il ricorso promosso dal sig. El Hassani contro la decisione del Konsul Rzeczypospolitej Polskiej w Rabacie [console della Repubblica di Polonia in Rabat (Marocco)] del 27 gennaio 2015, che gli rifiutava il rilascio di un visto.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

3

Il considerando 29 del codice dei visti enuncia:

«Il presente regolamento rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi sanciti in particolare dalla convenzione [europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,] del Consiglio d’Europa [in prosieguo: la “CEDU”] e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea [in prosieguo: la “Carta”]».

4

L’articolo 1, paragrafo 1, di tale regolamento così recita:

«Il presente regolamento fissa le procedure e le condizioni per il rilascio del visto di transito o per soggiorni previsti sul territorio degli Stati membri non superiori a 90 giorni su un periodo di 180 giorni».

5

L’articolo 32, paragrafi 1 e 3, del medesimo regolamento dispone:

«1.   Ferme restando le disposizioni di cui all’articolo 25, paragrafo 1, il visto è rifiutato:

(…)

b)

qualora vi siano ragionevoli dubbi sull’autenticità dei documenti giustificativi presentati dal richiedente o sulla veridicità del loro contenuto, sull’affidabilità delle dichiarazioni fatte dal richiedente o sulla sua intenzione di lasciare il territorio degli Stati membri prima della scadenza del visto richiesto.

(…)

3.   I richiedenti cui sia stato rifiutato il visto hanno il diritto di presentare ricorso. I ricorsi sono proposti nei confronti dello Stato membro che ha adottato la decisione definitiva in merito alla domanda e disciplinati conformemente alla legislazione nazionale di tale Stato membro. Gli Stati membri forniscono ai richiedenti informazioni sulla procedura cui attenersi in caso di ricorso, come precisato nell’allegato VI».

Diritto polacco

6

L’articolo 76, paragrafo 1, dell’ustawa o cudzoziemcach (legge sugli stranieri), del 12 dicembre 2013 (in prosieguo: la «legge sugli stranieri»), così recita:

«Avverso la decisione di rifiuto di un visto Schengen (…) adottata da:

1)

un console, spetta il diritto di chiederne il riesame dinanzi alla stessa autorità;

2)

un Komendant placówki Straży Granicznej (Comandante di divisione della guardia di frontiera), spetta un reclamo dinanzi al Komendant Główny Straży Granicznej (Comandante generale della guardia di frontiera)».

7

L’articolo 5 dell’ustawa-Prawo o postępowaniu przed sądami administracyjnymi (legge sui procedimenti dinanzi alla giustizia amministrativa), del 30 agosto 2002 (in prosieguo: il «codice di procedura giurisdizionale amministrativa»), enuncia quanto segue:

«Non rientrano nella competenza dei giudici amministrativi le seguenti materie:

(…)

4)

visti rilasciati dai consoli, ad eccezione dei visti rilasciati agli stranieri che sono familiari di un cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea, di un paese membro dell’Associazione europea di libero scambio che è parte all’accordo sullo Spazio economico europeo (SEE) o della Confederazione svizzera, ai sensi dell’articolo 2, punto 4, dell’ustawa o wjeździe na terytorium Rzeczypospolitej Polskiej, pobycie oraz wyjeździe z tego terytorium obywateli państw członkowskich Unii Europejskiej i członków ich rodzin (legge sull’ingresso, il soggiorno e l’uscita dal territorio della Repubblica di Polonia da parte dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari), del 14 luglio 2006 [in prosieguo: la “legge sull’ingresso nel territorio”]».

8

Ai sensi dell’articolo 58, paragrafo 1, del codice di procedura giurisdizionale amministrativa:

«Il giudice respinge il ricorso:

1)

qualora la controversia non rientri nella competenza del tribunale amministrativo; (…)».

9

L’articolo 2 della legge sull’ingresso nel territorio è formulato nei seguenti termini:

«Ai fini della presente legge, si intende per:

3)

cittadino UE – uno straniero che è:

a)

cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea;

b)

cittadino di un paese membro dell’Associazione europea di libero scambio che è parte all’accordo sul SEE;

c)

cittadino della Confederazione svizzera;

4)

familiare – uno straniero avente o meno la cittadinanza UE, che è:

a)

il coniuge di un cittadino UE;

b)

un discendente diretto di un cittadino UE o del suo coniuge, di età non superiore a 21 anni o a carico del cittadino UE o del suo coniuge;

c)

un ascendente diretto di un cittadino UE o del suo coniuge a carico del cittadino UE o del suo coniuge».

Fatti all’origine della controversia e questione pregiudiziale

10

Il sig. El Hassani presentava al console della Repubblica di Polonia in Rabat domanda di rilascio di un visto Schengen per far visita alla moglie e al figlio minorenne, entrambi cittadini polacchi [e residenti in Polonia]. Con decisione del 5 gennaio 2015, il console respingeva la domanda.

11

Come permesso dalle norme di procedura polacche, il sig. El Hassani depositava una domanda di riesame dinanzi al medesimo console che, il 27 gennaio 2015, adottava di nuovo una decisione di rigetto della domanda argomentando che non vi fosse alcuna certezza che il sig. El Hassani intendesse lasciare il territorio della Polonia prima della scadenza del visto.

12

Il ricorrente nel procedimento principale proponeva pertanto ricorso avverso tale decisione dinanzi al Wojewódzki Sąd Administracyjny w Warszawie (Tribunale amministrativo del voivodato di Varsavia). Egli affermava, in sostanza, che il rifiuto di rilasciare un visto in circostanze del genere integrasse una violazione dell’articolo 60 della legge sugli stranieri, in combinato disposto con l’articolo 8 della CEDU. Inoltre, l’articolo 76 della legge sugli stranieri non avrebbe garantito un livello di tutela conforme a quanto prescritto all’articolo 13 della CEDU.

13

Il sig. El Hassani faceva altresì valere che, con moglie e figlio cittadini polacchi residenti in Polonia, la legge polacca non gli dava diritto di proporre ricorso dinanzi a un giudice amministrativo, in caso di diniego di visto, mentre i coniugi stranieri di cittadini di altri Stati membri dell’Unione avevano tale possibilità.

14

Con controricorso del 30 marzo 2015, il Ministro per gli Affari esteri chiedeva la declaratoria di irricevibilità del ricorso ai sensi dell’articolo 5, punto 4, del codice di procedura giurisdizionale amministrativa e, in subordine, il rigetto del ricorso in quanto infondato e la chiusura del procedimento.

15

Il sig. El Hassani chiedeva indi al Wojewódzki Sąd Administracyjny w Warszawie (Tribunale amministrativo del voivodato di Varsavia) di deferire alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale riguardo all’interpretazione dell’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti, per stabilire se tale disposizione includesse nel suo ambito di applicazione altresì il diritto di proporre ricorso giurisdizionale contro le decisioni di diniego di visto.

16

Con ordinanza del 24 novembre 2015, il Wojewódzki Sąd Administracyjny w Warszawie (Tribunale amministrativo del voivodato di Varsavia) respingeva il ricorso sul fondamento dell’articolo 5, punto 4, del codice di procedura giurisdizionale amministrativa, dichiarando che i ricorsi contro la decisione di un console di rifiutare il rilascio di un visto Schengen non erano di competenza del giudice amministrativo. Il medesimo tribunale rifiutava peraltro di deferire una domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte.

17

Il 28 aprile 2016, il sig. El Hassani proponeva ricorso dinanzi al Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa, Polonia) facendo valere, in sostanza, che, in quanto cittadino di un paese terzo non «familiare» di un cittadino di uno Stato membro dell’Unione ai sensi della legge sull’ingresso nel territorio, era stato privato del diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo dinanzi a una istanza nazionale, ciò che avrebbe integrato una violazione dell’articolo 13 della CEDU nonché dell’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti, in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta, i quali garantiscono il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice.

18

Secondo il giudice del rinvio, in diritto polacco, la possibilità di adire un giudice amministrativo contro una decisione relativa a una domanda di visto dipende tanto dall’autorità da cui promana la decisione contestata quanto dalla statuto personale di chi propone ricorso.

19

Infatti, mentre le decisioni delle autorità nazionali che rifiutano il rilascio di un visto adottate dal Comandante di divisione della guardia di frontiera o dal Ministro per gli Affari esteri, o il rifiuto di proroga del visto adottato dal Voivoda (Polonia), sono suscettibili di ricorso dinanzi al tribunale amministrativo, non sempre vale altrettanto per una decisione di diniego di visto di un console, anche nel caso di visto Schengen. Ai sensi dell’articolo 2, punto 4, della legge sull’ingresso nel territorio, solamente un cittadino di un paese terzo che sia familiare di un cittadino di uno Stato membro dell’Unione o di un paese membro dell’Associazione europea di libero scambio che è parte all’accordo sul SEE o della Confederazione svizzera può proporre ricorso dinanzi a un tribunale amministrativo contro una tale decisione. Ogni altro cittadino di paese terzo beneficia unicamente di un rimedio amministrativo, ossia di una domanda di riesame da parte della medesima autorità, conformemente all’articolo 76, paragrafo 1, punto 1, della legge sugli stranieri.

20

Il giudice del rinvio constata che l’assenza di competenza dei giudici amministrativi per le cause relative ai visti rilasciati dai consoli, quale prevista all’articolo 5, punto 4, del codice di procedura giurisdizionale amministrativa, può violare l’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti, in combinato disposto con l’articolo 47, primo comma, della Carta, che garantisce il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice.

21

Il Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa) ha perciò deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 32, paragrafo 3, del [codice dei visti], tenuto conto del considerando 29 del codice dei visti e dell’articolo 47, primo comma, della [Carta], debba essere interpretato nel senso che esso impone allo Stato membro l’obbligo di garantire un mezzo di impugnazione (ricorso) effettivo dinanzi a un organo giurisdizionale».

Sulla questione pregiudiziale

22

Con la sua questione il giudice del rinvio domanda, in sostanza, se l’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, debba esser interpretato nel senso che esso prescrive agli Stati membri di prevedere un ricorso giurisdizionale.

23

Occorre ricordare che, ai termini dell’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti, i richiedenti cui una decisione abbia rifiutato il visto possono proporre «ricorso» avverso tale decisione, chiamando in giudizio lo Stato membro richiesto di adottare la decisione definitiva, «conformemente alla legislazione nazionale di tale Stato membro».

24

Ne discende che, in caso di decisione definitiva di diniego di visto, tale disposizione accorda esplicitamente al richiedente il visto la possibilità di intentare un ricorso conformemente alla legislazione nazionale dello stesso Stato membro da cui promana la decisione.

25

Il legislatore dell’Unione ha dunque lasciato agli Stati membri la cura di decidere della natura e delle modalità concrete di ricorso a disposizione dei richiedenti un visto.

26

A tal riguardo occorre ricordare che, conformemente a una giurisprudenza costante, in mancanza di norme dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità processuali dei ricorsi giurisdizionali destinati a garantire la salvaguardia dei diritti dei soggetti dell’ordinamento, in forza del principio di autonomia processuale, a condizione tuttavia che esse non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività) (sentenza del 15 marzo 2017, Aquino, C‑3/16, EU:C:2017:209, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).

27

Di conseguenza, affinché uno Stato membro possa far valere il principio dell’autonomia processuale in casi disciplinati dal diritto dell’Unione, devono essere rispettate due condizioni cumulative, vale a dire il rispetto del principio di equivalenza e il rispetto del principio di effettività (sentenza del 15 marzo 2017, Aquino, C‑3/16, EU:C:2017:209, punto 49).

28

Tali esigenze di equivalenza e di effettività esprimono l’obbligo generale per gli Stati membri di garantire la tutela giurisdizionale dei diritti spettante ai singoli in forza del diritto dell’Unione. Esse valgono sia sul piano della designazione dei giudici competenti a conoscere delle azioni fondate su tale diritto sia per quanto riguarda la definizione delle modalità procedurali (sentenza del 18 marzo 2010, Alassini e a., da C‑317/08 a C‑320/08, EU:C:2010:146, punto 49).

29

Da un lato, per quanto riguarda il principio di equivalenza, va rammentato che esso richiede che la complessiva disciplina dei ricorsi si applichi indistintamente ai ricorsi fondati sulla violazione del diritto dell’Unione e a quelli simili fondati sulla violazione del diritto interno (sentenza del 15 marzo 2017, Aquino, C‑3/16, EU:C:2017:209, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).

30

Dall’altro lato, per quanto riguarda il principio di effettività, una norma di procedura nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, non deve essere tale da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (sentenza del 15 marzo 2017, Aquino, C‑3/16, EU:C:2017:209, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).

31

Spetta al giudice del rinvio, l’unico competente a interpretare il diritto nazionale, determinare se e in quale misura il sistema di riesame oggetto del procedimento principale soddisfi tali esigenze.

32

Al riguardo il giudice nazionale deve tener conto del fatto che l’interpretazione delle disposizioni del codice dei visti deve essere condotta, come discende dal considerando 29 del medesimo codice, nel rispetto dei diritti fondamentali e dei principi riconosciuti dalla Carta.

33

Secondo costante giurisprudenza, infatti, i diritti fondamentali garantiti nell’ordinamento giuridico dell’Unione sono predisposti per essere applicati in tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione, ma non al di fuori di esse. A tal proposito la Corte ha già ricordato che essa, per quanto riguarda la Carta, non può valutare una normativa nazionale che non si collochi nell’ambito del diritto dell’Unione. Per contro, una volta che una siffatta normativa rientri nell’ambito di applicazione di tale diritto, la Corte, adita in via pregiudiziale, deve fornire tutti gli elementi di interpretazione necessari per la valutazione, da parte del giudice nazionale, della conformità di tale normativa con i diritti fondamentali di cui essa garantisce il rispetto (v., in particolare, sentenza del 26 settembre 2013, Texdata Software, C‑418/11, EU:C:2013:588, punto 72 e giurisprudenza ivi citata).

34

Orbene, nella specie è pacifico che il rigetto della domanda di visto del ricorrente nel procedimento principale, quale comunicatogli mediante il formulario tipo figurante nell’allegato VI del codice dei visti, è stato fondato su uno dei motivi enumerati all’articolo 32, paragrafo 1, di tale codice.

35

La Corte ha, al riguardo, già dichiarato che il codice dei visti stabilisce le condizioni di rilascio, di annullamento o di abrogazione dei visti uniformi e che, di conseguenza, le autorità competenti degli Stati membri non possono rifiutare di rilasciare un visto uniforme fondandosi su un motivo diverso da quelli previsti dal codice dei visti (sentenza del 19 dicembre 2013, Koushkaki, C‑84/12, EU:C:2013:862, punti 4751).

36

Se è vero che le autorità nazionali beneficiano, nell’esame delle domande di visto, di un ampio margine di manovra per quanto concerne le condizioni di applicazione dei motivi di rigetto previsti dal codice dei visti e la valutazione dei fatti pertinenti, è vero pure che un tale margine di manovra non toglie che dette autorità applichino direttamente una disposizione del diritto dell’Unione.

37

Ne risulta che, quando uno Stato membro adotta una decisione di diniego di visto ai sensi dell’articolo 32, paragrafo 1, del codice dei visti, è applicabile la Carta.

38

Ora, l’articolo 47 della Carta, che ribadisce il principio della tutela giurisdizionale effettiva, richiede, al suo primo comma, che ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati abbia diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice nel rispetto delle condizioni previste nel medesimo articolo (v., in tal senso, sentenza del 17 dicembre 2015, Tall, C‑239/14, EU:C:2015:824, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).

39

A sua volta, l’articolo 47, secondo comma, della Carta enuncia che ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata da un giudice indipendente e imparziale. Il rispetto di tale diritto presuppone che la decisione di un’autorità amministrativa che, di per sé, non soddisfa i requisiti di indipendenza e di imparzialità sia sottoposta a un successivo controllo da parte di un organo giurisdizionale che deve, segnatamente, essere competente ad approfondire tutte le questioni pertinenti (sentenza del 16 maggio 2017, Berlioz Investment Fund, C‑682/15, EU:C:2017:373, punto 55).

40

La nozione di indipendenza, intrinseca alla funzione giurisdizionale, implica innanzitutto che l’organo interessato si trovi in posizione di terzietà rispetto all’autorità che ha adottato la decisione oggetto del ricorso (sentenza del 19 settembre 2006, Wilson, C‑506/04, EU:C:2006:587, punto 49).

41

Ne scaturisce, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 119 delle sue conclusioni, che l’articolo 47 della Carta fa obbligo agli Stati membri di garantire, in un dato stadio del procedimento, la possibilità di avviare una causa giudiziale avente ad oggetto una decisione definitiva di diniego di visto.

42

Tutto ciò considerato, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, deve essere interpretato nel senso che esso fa obbligo agli Stati membri di prevedere una procedura di ricorso contro le decisioni di diniego di visto, le cui modalità siano definite dall’ordinamento giuridico del singolo Stato membro nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività. Tale procedura deve garantire, a un dato stadio del procedimento, un ricorso giurisdizionale.

Sulle spese

43

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

 

L’articolo 32, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 810/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, che istituisce un codice comunitario dei visti, come modificato dal regolamento (UE) n. 610/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che esso fa obbligo agli Stati membri di prevedere una procedura di ricorso contro le decisioni di diniego di visto, le cui modalità siano definite dall’ordinamento giuridico del singolo Stato membro nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività. Tale procedura deve garantire, a un dato stadio del procedimento, un ricorso giurisdizionale.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il polacco.

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