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Document 62016CC0057

Conclusioni dell’avvocato generale Y. Bot, presentate il 28 novembre 2017.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2017:909

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 28 novembre 2017 ( 1 )

Causa C‑57/16 P

ClientEarth

contro

Commissione europea

«Impugnazione – Accesso ai documenti delle istituzioni – Regolamento (CE) n. 1049/2001 – Domanda di accesso al progetto di relazione sulla valutazione d’impatto, alla relazione sulla valutazione d’impatto e al parere del comitato per la valutazione d’impatto – Presunzione generale di riservatezza – Diniego di accesso – Documenti legislativi»

I. Introduzione

1.

La presente impugnazione si inserisce nell’ambito di un ricorso di annullamento proposto dinanzi al Tribunale dell’Unione europea da parte della ClientEarth avverso due decisioni della Commissione europea che le hanno negato l’accesso a taluni documenti. Più precisamente, con una decisione del 1o aprile 2014, la Commissione ha negato alla ricorrente l’accesso ad una relazione sulla valutazione d’impatto riguardante un progetto di strumento vincolante che definisce il quadro strategico per le procedure di ispezione e di sorveglianza incentrate sui rischi e relative alla normativa ambientale dell’Unione europea, nonché ad un parere del comitato per la valutazione d’impatto. Inoltre, con una decisione del 3 aprile 2014, la Commissione ha parimenti negato alla ricorrente l’accesso a un progetto di relazione sulla valutazione d’impatto relativa all’accesso alla giustizia in materia ambientale a livello degli Stati membri nel settore della politica ambientale dell’Unione e a un parere del comitato per la valutazione d’impatto (in prosieguo: i «documenti controversi»).

2.

La ricorrente ha dunque formato ricorso avverso queste due decisioni, ricorso che è stato respinto dal Tribunale con la sentenza del 13 novembre 2015, ClientEarth/Commissione (T‑424/14 e T‑425/14, EU:T:2015:848; in prosieguo: la «sentenza impugnata»).

3.

In tale sentenza, il Tribunale ha dichiarato, in sostanza, che i documenti controversi rientravano nella stessa categoria e che una presunzione generale di riservatezza si imponeva, dal momento che la loro divulgazione arrecava pregiudizio al processo decisionale di elaborazione di proposte di atti legislativi da parte della Commissione.

4.

La ricorrente, sostenuta dai governi finlandese e svedese, ha proposto impugnazione avverso detta sentenza.

5.

Nell’ambito di tale impugnazione, la Corte sarà chiamata a pronunciarsi principalmente sulla questione se un’istituzione possa fondare il suo rifiuto di accesso a valutazioni d’impatto su una presunzione generale di riservatezza, tenuto conto della natura stessa di tali valutazioni. In tal senso, essa dovrà verificare se la Commissione, quando elabora atti connessi al procedimento legislativo, intervenga in qualità di legislatore. Tale esame porterà la Corte a pronunciarsi sul necessario equilibrio fra il principio di trasparenza, il miglioramento del dibattito pubblico, l’indipendenza della Commissione e la riservatezza delle informazioni, nei termini in cui tali nozioni risultano dal regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione ( 2 ).

6.

Nelle presenti conclusioni, spiegherò le ragioni per cui ritengo che la sentenza impugnata debba essere annullata.

II. Contesto normativo

A.   Il regolamento n. 1049/2001

7.

I considerando 2 e 6 di tale regolamento così recitano:

«(2)

Questa politica di trasparenza consente una migliore partecipazione dei cittadini al processo decisionale e garantisce una maggiore legittimità, efficienza e responsabilità dell’amministrazione nei confronti dei cittadini in un sistema democratico. La politica di trasparenza contribuisce a rafforzare i principi di democrazia e di rispetto dei diritti fondamentali sanciti dall’articolo 6 del trattato UE e dalla carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

(…)

(6)

Si dovrebbe garantire un accesso più ampio ai documenti nei casi in cui le istituzioni agiscono in veste di legislatore, anche in base a competenze delegate, preservando nel contempo l’efficacia del loro processo di formazione delle decisioni. Nella più ampia misura possibile tali documenti dovrebbero essere resi direttamente accessibili».

8.

L’articolo 2, paragrafi 1 e 4, di detto regolamento prevede quanto segue:

«1.   Qualsiasi cittadino dell’Unione e qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha un diritto d’accesso ai documenti delle istituzioni, secondo i principi, le condizioni e le limitazioni definite nel presente regolamento.

(…)

4.   Fatti salvi gli articoli 4 e 9, i documenti sono resi accessibili al pubblico su domanda scritta ovvero direttamente, sotto forma elettronica o attraverso un registro. In particolare, i documenti formati o ricevuti nel corso di una procedura legislativa sono resi direttamente accessibili ai sensi dell’articolo 12».

9.

L’articolo 4, paragrafi 3 e 6, del regolamento n. 1049/2001 così recita:

«3.   L’accesso a un documento elaborato per uso interno da un’istituzione o da essa ricevuto, relativo ad una questione su cui la stessa non abbia ancora adottato una decisione, viene rifiutato nel caso in cui la divulgazione del documento pregiudicherebbe gravemente il processo decisionale dell’istituzione, a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione.

L’accesso a un documento contenente riflessioni per uso interno, facenti parte di discussioni e consultazioni preliminari in seno all’istituzione interessata, viene rifiutato anche una volta adottata la decisione, qualora la divulgazione del documento pregiudicherebbe seriamente il processo decisionale dell’istituzione, a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione.

(…)

6.   Se solo alcune parti del documento richiesto sono interessate da una delle eccezioni, le parti restanti del documento sono divulgate».

10.

L’articolo 12, paragrafo 2, di tale regolamento stabilisce che, «[i]n particolare, fatti salvi gli articoli 4 e 9, i documenti legislativi, vale a dire i documenti redatti o ricevuti nel corso delle procedure per l’adozione di atti giuridicamente vincolanti negli o per gli Stati membri, dovrebbero essere resi direttamente accessibili».

B.   Il regolamento n. 1367/2006

11.

I considerando 7 e 15 del regolamento (CE) n. 1367/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 settembre 2006, sull’applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale [ ( 3 )] ( 4 ), così recitano:

«(7)

[L]e disposizioni relative all’accesso a informazioni ambientali dovrebbero applicarsi alle istituzioni ed agli organi comunitari che agiscono nell’esercizio del potere legislativo.

(…)

(15)

Le eccezioni previste dal regolamento (…) n. 1049/2001 dovrebbero trovare applicazione, fatte salve eventuali disposizioni più specifiche del presente regolamento in materia di richieste di informazioni ambientali. Le motivazioni di rifiuto per quanto riguarda l’accesso alle informazioni ambientali dovrebbero essere interpretate in modo restrittivo, tenendo conto dell’interesse pubblico che la rivelazione di dette informazioni persegue e valutando se le informazioni richieste riguardano le emissioni nell’ambiente. I termini “interessi commerciali” abbracciano accordi in materia di riservatezza conclusi da istituzioni o organismi che agiscono a titolo di istituto bancario».

12.

L’articolo 1, paragrafo 1, lettera a) e b), di tale regolamento dispone quanto segue:

«1.   L’obiettivo del presente regolamento è quello di contribuire all’adempimento degli obblighi derivanti dalla convenzione [di Aarhus], stabilendo le regole per applicare le disposizioni della convenzione alle istituzioni e agli organi comunitari, e a tal fine:

a)

garantisce al pubblico il diritto di accesso alle informazioni ambientali ricevute o elaborate dalle istituzioni o dagli organi comunitari e da essi detenute, e definisce le condizioni generali e le modalità pratiche per l’esercizio di tale diritto;

b)

assicura la progressiva disponibilità e diffusione al pubblico delle informazioni ambientali per garantirne la più ampia possibile disponibilità e diffusione sistematica al pubblico, promuovendo in particolare, a tal fine, l’uso di tecnologie di telecomunicazione informatica e/o elettronica, se disponibili».

13.

Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, di detto regolamento:

«1.   Ai fini del presente regolamento, si intende per:

(…)

d)

“informazioni ambientali”, qualsiasi informazione disponibile in forma scritta, visiva, sonora, elettronica o in qualunque altra forma materiale riguardante:

(…)

iii)

le misure (compresi i provvedimenti amministrativi) quali le politiche, le disposizioni legislative, i piani, i programmi, gli accordi ambientali e le attività che incidono o possono incidere sugli elementi e sui fattori di cui ai punti i) e ii), nonché le misure o le attività intese a proteggere i suddetti elementi;

iv)

i rapporti sull’attuazione della normativa ambientale;

v)

le analisi costi-benefici ed altre analisi e ipotesi economiche utilizzate nell’ambito delle misure e attività di cui al punto iii);

(…)».

14.

L’articolo 3 del regolamento n. 1367/2006 stabilisce quanto segue:

«Il regolamento (…) n. 1049/2001 si applica a tutte le richieste di accesso alle informazioni ambientali detenute dalle istituzioni e dagli organi comunitari senza discriminazioni basate sulla cittadinanza, la nazionalità o la residenza del richiedente e, qualora si tratti di persone giuridiche, sull’ubicazione della sede legale o del centro effettivo delle loro attività.

Ai fini del presente regolamento, il termine “istituzione” di cui al regolamento (…) n. 1049/2001 deve intendersi come “istituzione o organo comunitario”».

15.

L’articolo 6 di tale regolamento prevede quanto segue:

«1.   Per quanto concerne l’articolo 4, paragrafo 2, primo e terzo trattino, del regolamento (…) n. 1049/2001, eccezion fatta per le indagini, in particolare quelle relative ad una possibile violazione della normativa comunitaria, si ritiene che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione qualora le informazioni richieste riguardino emissioni nell’ambiente. Circa le altre eccezioni di cui all’articolo 4 del regolamento (…) n. 1049/2001, i motivi del rifiuto di accesso vanno interpretati in modo restrittivo, tenendo conto dell’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione e del fatto che le informazioni richieste riguardino emissioni nell’ambiente.

2.   Oltre alle eccezioni di cui all’articolo 4 del regolamento (…) n. 1049/2001, le istituzioni e gli organi comunitari possono rifiutare l’accesso alle informazioni ambientali, quando la loro divulgazione possa ripercuotersi negativamente sulla tutela dell’ambiente cui le informazioni si riferiscono, quali i siti di riproduzione delle specie rare».

III. Fatti della causa

16.

La ricorrente è un organismo senza scopo di lucro avente per oggetto la tutela dell’ambiente.

17.

Il 20 gennaio 2014, essa ha formulato presso la Commissione due domande di accesso a taluni documenti, in forza del regolamento n. 1049/2001. Come si è visto, la prima di tali domande mirava ad accedere alla relazione sulla valutazione d’impatto realizzata dalla Commissione in merito all’attuazione del pilastro «accesso alla giustizia» della convenzione di Aarhus, mentre la seconda era intesa ad ottenere l’accesso alla valutazione d’impatto realizzata dalla Commissione in merito alla revisione del quadro normativo europeo sulle ispezioni e della sorveglianza ambientali a livello nazionale e a livello dell’Unione.

18.

Con lettera del 13 febbraio 2014, la Commissione ha respinto la seconda domanda. Essa ha precisato, in tale occasione, che siffatta domanda riguardava una «[r]elazione sulla valutazione d’impatto riguardante un progetto di strumento vincolante che definisce il quadro strategico delle procedure di ispezione e di sorveglianza incentrate sui rischi e relative alla normativa ambientale dell’[Unione]», nonché il parere del comitato per la valutazione d’impatto espresso su tale relazione. Tale diniego era basato sull’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001.

19.

Con lettera del 17 febbraio 2014, la Commissione ha parimenti respinto la prima domanda. In tale occasione, essa ha precisato che tale domanda riguardava un «progetto di relazione sulla valutazione dell’impatto sull’accesso alla giustizia in materia ambientale a livello degli Stati membri nel settore della politica ambientale dell’[Unione]», nonché un parere del comitato per la valutazione d’impatto espresso su tale progetto. Tale diniego era basato sull’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 3, prima comma, di tale regolamento.

20.

Il 4 marzo 2014, la ricorrente ha formulato, in forza dell’articolo 7, paragrafo 2, di questo stesso regolamento, due domande confermative presso la Commissione.

21.

Con lettere del 24 marzo 2014, la Commissione ha informato la ricorrente che, in conformità all’articolo 8, paragrafo 2, di detto regolamento, il termine per la risposta a siffatte domande confermative era prolungato di quindici giorni lavorativi.

22.

Con lettere del 1o e del 3 aprile 2014, la Commissione ha confermato il diniego di accesso ai documenti controversi in base all’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001 (in prosieguo: le «decisioni impugnate»).

23.

Nelle decisioni impugnate, in primo luogo, la Commissione ha anzitutto rilevato che, nel contesto di discussioni e di negoziati in vista dell’adozione, ad opera sua, di iniziative legislative relative alle ispezioni e alla sorveglianza in materia ambientale e all’accesso alla giustizia nella stessa materia, essa aveva intrapreso valutazioni d’impatto che erano ancora in corso. Essa ha precisato, a tal riguardo, che le valutazioni d’impatto erano destinate a coadiuvare la preparazione di siffatte iniziative e che le scelte strategiche («policy choices») contenute in un’iniziativa legislativa sarebbero confortate dal contenuto di una valutazione d’impatto.

24.

Secondo la Commissione, poi, la divulgazione, in questa fase, dei documenti controversi arrecherebbe grave pregiudizio ai suoi processi decisionali in corso, in quanto essa inciderebbe sul suo margine di manovra e ridurrebbe la sua capacità di raggiungere compromessi. Per giunta, una tale divulgazione rischierebbe di generare pressioni esterne che potrebbero ostacolare i difficili processi decisionali in cui dovrebbe regnare un clima di fiducia. La Commissione si è riferita, inoltre, alle disposizioni dell’articolo 17, paragrafo 1 e paragrafo 3, terzo comma, TUE.

25.

A tal riguardo, da un lato, nella decisione del 1o aprile 2014, la Commissione ha insistito sul fatto che le ispezioni e la sorveglianza costituivano un elemento chiave dell’attuazione delle politiche pubbliche, settore in cui, dal 2001, le istituzioni tentano di attirare l’attenzione e di promuovere un’azione sul piano dell’Unione, e sul fatto che la discussione doveva essere preservata da fattori di influenza esterna poiché una siffatta influenza inciderebbe sulla qualità del controllo sugli Stati membri.

26.

Dall’altro, nella decisione del 3 aprile 2014, la Commissione ha posto l’accento sulla natura sensibile della questione relativa all’accesso alla giustizia in materia ambientale, sulle possibili divergenze di opinioni tra Stati membri, nonché sul fatto che dieci anni erano trascorsi dalla sua proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 2003, sull’accesso alla giustizia in materia ambientale ( 5 ).

27.

Infine, la Commissione ha aggiunto, nelle decisioni impugnate, che diversi documenti relativi alle due valutazioni di impatto in corso erano già disponibili su Internet, e che tutti gli altri documenti relativi alle suddette valutazioni d’impatto sarebbero stati pubblicati al momento dell’adozione delle proposte legislative da parte del collegio dei commissari.

28.

Alla luce di tali elementi, nelle decisioni impugnate la Commissione è giunta alla conclusione che l’accesso ai documenti richiesti doveva essere negato in base all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001, in quanto i processi decisionali erano in una fase iniziale e sensibile («at a very early and delicate stage»).

29.

In secondo luogo, la Commissione ha considerato che nessun interesse pubblico prevalente giustificasse la divulgazione dei documenti richiesti. A tal riguardo, essa ha osservato che l’Unione era tenuta a preservare, tutelare e migliorare la qualità dell’ambiente e, di conseguenza, della salute umana. Tale obiettivo potrebbe essere conseguito grazie a un accesso non discriminatorio alla giustizia in materia ambientale. Tuttavia, da una parte, la Commissione non riteneva di essere in grado di determinare in che modo la divulgazione, in questa fase, dei documenti richiesti aiuterebbe le persone che vivono nell’Unione a influenzare indirettamente l’ambiente in cui vivevano, posto che l’accesso alla giustizia è già possibile dinanzi ai giudici nazionali e che i processi decisionali in questione tendono solo al miglioramento di tale accesso. Inoltre, la Commissione ha aggiunto che, nel 2013, era stata organizzata una consultazione pubblica durante la quale le parti interessate, tra cui la società civile, avevano potuto contribuire alla definizione delle grandi linee delle proposte. Dall’altra, secondo la Commissione, la divulgazione in tale fase arrecherebbe pregiudizio ai processi decisionali e inciderebbe sulla possibilità di raggiungere il migliore compromesso possibile. Inoltre, a suo avviso, l’interesse pubblico sarebbe meglio garantito dalla possibilità di proseguire i processi decisionali di cui trattasi senza alcuna pressione esterna.

30.

In terzo luogo, la Commissione ha escluso la possibilità di concedere un accesso parziale ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 6, del regolamento n. 1049/2001, in quanto i documenti richiesti erano integralmente coperti dall’eccezione.

31.

A seguito di tale diniego di divulgazione, l’11 giugno 2014, la ClientEarth ha proposto due ricorsi intesi al rispettivo annullamento della decisione del 1o aprile 2014 (causa T‑425/14) e di quella del 3 aprile 2014 (causa T‑424/14).

32.

La ClientEarth, con la prima parte di un motivo unico, addebitava alla Commissione di aver concluso a torto per la sussistenza di un rischio di grave pregiudizio ai suoi processi decisionali e per l’assenza di un interesse pubblico prevalente alla divulgazione dei documenti controversi.

33.

Con la seconda parte di tale motivo, la ClientEarth ha fatto valere che la Commissione aveva violato il suo obbligo di motivazione.

34.

Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto i ricorsi della ClientEarth.

IV. Conclusioni delle parti

35.

Con la sua impugnazione, la ClientEarth chiede alla Corte di annullare la sentenza impugnata e di condannare la Commissione alle spese, incluse quelle sostenute dalle parti intervenienti.

36.

Con decisione del presidente della Corte del 12 luglio 2016, i governi finlandese e svedese sono stati ammessi ad intervenire nel presente procedimento a sostegno della ricorrente.

37.

La Commissione conclude per il rigetto dell’impugnazione e per la condanna della ClientEarth alle spese.

V. Esame dell’impugnazione

A.   Osservazioni preliminari

38.

All’udienza tenutasi il 3 luglio 2017, la Commissione ha affermato di aver pubblicato una comunicazione il 28 aprile dello stesso anno, nella quale essa indicava che l’iniziativa «accesso alla giustizia» in materia ambientale era terminata ed abbandonata senza seguito legislativo. Essa ha inoltre precisato che, a seguito della pubblicazione di tale comunicazione, la stessa aveva pubblicato, il 28 giugno 2017, uno dei documenti controversi, ossia il progetto di relazione sulla valutazione d’impatto relativa all’accesso alla giustizia in materia ambientale ( 6 ), tenuto conto del quale essa aveva respinto, con decisione del 3 aprile 2014, la domanda di accesso formulata dalla ClientEarth.

39.

Secondo una costante giurisprudenza, l’oggetto della controversia deve perdurare, così come l’interesse ad agire, fino alla pronuncia della decisione del giudice, pena il non luogo a statuire, il che presuppone che il ricorso possa procurare, con il suo esito, un beneficio alla parte che lo ha proposto ( 7 ). Nella misura in cui uno dei documenti controversi, al quale la ClientEarth desidera accedere, è stato reso pubblico, una parte del ricorso esperito da quest’ultima è divenuto senza oggetto; non occorre più statuire sulla domanda concernente l’accesso al progetto di relazione sulla valutazione d’impatto relativa all’accesso alla giustizia in materia ambientale.

40.

Di conseguenza, ritengo che la Corte debba pronunciare un non luogo a statuire per quanto riguarda la domanda di annullamento della decisione del 3 aprile 2014 nella parte in cui riguarda l’accesso al progetto di relazione sulla valutazione d’impatto relativa all’accesso alla giustizia in materia ambientale.

B.   Valutazione

41.

La ClientEarth deduce due motivi a sostegno della sua impugnazione. Con il primo motivo, essa addebita al Tribunale di essere incorso in un errore di diritto nel riconoscere l’esistenza di una presunzione generale di riservatezza a favore dei documenti controversi.

42.

Con il secondo motivo, dedotto in subordine, essa sostiene che il Tribunale ha commesso un errore di diritto nel non riconoscere, ai punti da 133 a 163 della sentenza impugnata, l’esistenza di un interesse pubblico prevalente alla divulgazione dei documenti controversi.

43.

Il primo motivo è suddiviso in cinque parti, che devono essere esaminate nel modo seguente.

1. Sulla quarta parte del primo motivo, relativa ad un errore di diritto in quanto il Tribunale non avrebbe tenuto conto della natura specifica dei documenti controversi per accordare un accesso quanto più ampio possibile a tali documenti

a) Argomenti delle parti

44.

La ClientEarth, sostenuta dai governi finlandese e svedese, considera che il Tribunale abbia commesso un errore di diritto nel ritenere, ai punti da 100 a 106 della sentenza impugnata, che il principio dell’accesso più ampio possibile del pubblico ai documenti delle istituzioni non sia applicabile ai documenti controversi nella misura in cui la Commissione, quanto elabora una valutazione d’impatto ai fini della presentazione di una proposta legislativa, non agisce in veste di legislatore, poco rilevando, a tal riguardo, la natura dei documenti in questione.

45.

In primo luogo, secondo la ricorrente, il Tribunale avrebbe dovuto tenere conto del fatto che tali documenti, vale a dire le valutazioni di impatto, fanno parte integrante del processo legislativo e, più specificamente, della decisione di sottoporre o meno una proposta legislativa. Essa ritiene che, sebbene la Commissione, quando elabora questo tipo di documenti, non agisca formalmente in veste di legislatore, ciò non tolga che tali documenti costituirebbero il fondamento di una proposta legislativa.

46.

Il governo finlandese cita, a tale titolo, la giurisprudenza della Corte secondo la quale «[l]a trasparenza, al riguardo, contribuisce a rafforzare la democrazia permettendo ai cittadini di controllare tutte le informazioni che hanno costituito il fondamento di un atto legislativo. Infatti, la possibilità per i cittadini di conoscere il fondamento dell’azione legislativa è condizione per l’esercizio effettivo, da parte di questi ultimi, dei loro diritti democratici» ( 8 ). Esso ritiene che, in forza di tale giurisprudenza, l’elemento centrale del quale occorre tenere conto non sia tanto la qualità di legislatore dell’istituzione che ha adottato il documento al quale viene chiesto l’accesso quanto la natura stessa di tale documento che può formare la base della futura legislazione.

47.

Quanto al governo svedese, esso ritiene che la Commissione, allorché redige valutazioni d’impatto, agisca in veste di legislatore, dal momento che essa prepara ed elabora proposte di atti di natura legislativa.

48.

Di conseguenza, la ricorrente, al pari dei governi finlandese e svedese, ritiene che, in conformità al considerando 6 del regolamento n. 1049/2001 e alla giurisprudenza della Corte, ai cittadini dell’Unione dovrebbe essere appunto garantito un accesso quanto più ampio possibile ai documenti del tipo dei documenti controversi.

49.

In secondo luogo, la ricorrente ritiene che, contrariamente a quanto dichiarato dal Tribunale al punto 106 della sentenza impugnata, la giurisprudenza della Corte non giustifichi il riconoscimento di presunzioni generali applicabili ai documenti legislativi oppure ai documenti afferenti ad eventuali proposte legislative.

50.

La Commissione, al contrario, sostiene che, alla data in cui è stato chiesto l’accesso ai documenti controversi, non era stata presentata alcuna proposta legislativa e non esisteva pertanto, all’epoca, alcun documento legislativo. Essa osserva, a tal riguardo, che, allorché la proposta politica viene adottata oppure abbandonata, questo tipo di documento viene reso pubblico e i cittadini possono, pertanto, venirne a conoscenza al fine di controllare tutte le informazioni che costituiscono il fondamento dell’azione legislativa dell’Unione.

51.

Inoltre, la Commissione considera che, anche qualora i documenti controversi dovessero essere qualificati come «legislativi» ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001, ciò non toglie che tale disposizione lasci impregiudicati gli articoli 4 e 9 di tale regolamento, come avrebbe rilevato il Tribunale al punto 105 della sentenza impugnata. Pertanto, il riconoscimento dell’esistenza di una presunzione generale di riservatezza in un contesto legislativo non sarebbe escluso, come rileva il Tribunale al punto 106 della sentenza impugnata citando la sentenza del 1o luglio 2008, Svezia e Turco/Consiglio ( 9 ).

b) Valutazione

52.

Ricordo che l’articolo 15, paragrafo 3, TFUE e l’articolo 42 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») sanciscono il diritto di accesso ai documenti delle istituzioni. In forza dell’articolo 1 del regolamento n. 1049/2001, quest’ultimo mira a definire i principi, le condizioni e le limitazioni di tale diritto di accesso. A tal riguardo, poiché l’accesso ai documenti delle istituzioni costituisce il principio, ogni eccezione a tale principio deve essere interpretata restrittivamente ( 10 ).

53.

È per questo motivo che l’articolo 4 di tale regolamento stabilisce un elenco delle eccezioni al diritto di accesso ai documenti delle istituzioni, fra le quali figura quella fatta valere dalla Commissione per negare l’accesso ai documenti controversi nella causa principale. Se la Commissione decide di negare l’accesso ad un documento la cui divulgazione arrechi pregiudizio ad uno degli interessi tutelati da tale articolo, essa deve, in linea di principio, spiegare come l’accesso a tale documento potrebbe arrecare concretamente ed effettivamente pregiudizio all’interesse tutelato da tale disposizione ( 11 ). Incombe poi all’istituzione verificare che non esista un interesse pubblico prevalente che giustifichi la divulgazione del documento di cui trattasi nonostante il pregiudizio all’interesse protetto all’articolo 4, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 1049/2001 ( 12 ).

54.

La Corte ha tuttavia ammesso che l’istituzione di cui trattasi poteva basarsi su presunzioni a carattere generale applicabili a determinate categorie di documenti per giustificare come l’accesso a tali documenti avrebbe potuto ledere concretamente ed effettivamente l’interesse tutelato da un’eccezione prevista all’articolo 4 di tale regolamento. A tal riguardo, essa deve precisare su quali considerazioni di ordine generale essa fonda la presunzione secondo la quale la divulgazione arrecherebbe pregiudizio ad uno degli interessi tutelati dalle eccezioni previste da tale disposizione. Per farlo, essa non è tenuta ad effettuare una valutazione concreta del contenuto di ciascuno di tali documenti ( 13 ).

55.

Tuttavia, l’applicazione di una presunzione generale di riservatezza non esclude il diritto per le persone che hanno fatto domanda di accesso al documento di cui trattasi di dimostrare che un dato documento di cui viene chiesta la divulgazione non rientra nella detta presunzione o che sussiste un interesse pubblico prevalente atto a giustificare tale divulgazione ( 14 ).

56.

A tutt’ oggi, la Corte ha ammesso cinque presunzioni generali di riservatezza. In tal senso, una presunzione generale di riservatezza è stata ritenuta sussistente in relazione all’accesso ai documenti del fascicolo amministrativo relativo ad un procedimento di controllo degli aiuti di Stato ( 15 ); all’accesso a memorie depositate da un’istituzione nell’ambito di un procedimento giurisdizionale ( 16 ); alla domanda di accesso ai documenti scambiati tra la Commissione e le parti notificanti o i terzi durante un procedimento di controllo delle operazioni di concentrazione tra imprese ( 17 ); alla domanda di un’organizzazione senza scopo di lucro intesa ad ottenere l’accesso ad un fascicolo amministrativo relativo ad un procedimento per inadempimento nella fase precontenziosa ( 18 ), e alla domanda diretta ad ottenere l’accesso ad un insieme di documenti compresi in un fascicolo relativo ad un procedimento di applicazione dell’articolo 81 CE, divenuto articolo 101 TFUE ( 19 ).

57.

Nell’ambito dell’attività legislativa, il principio di trasparenza riveste un’accresciuta importanza. Infatti, se il considerando 4 e l’articolo 1 del regolamento n. 1049/2001 conferiscono al pubblico un diritto di accesso ai documenti delle istituzioni il cui effetto deve essere il più ampio possibile, il considerando 6 di questo stesso regolamento indica che un accesso più ampio a tali documenti deve essere garantito proprio quando le istituzioni agiscono in veste di legislatore. In tal senso, la Corte ha già affermato che «[l]a trasparenza, al riguardo, contribuisce a rafforzare la democrazia permettendo ai cittadini di controllare tutte le informazioni che hanno costituito il fondamento di un atto legislativo. Infatti, la possibilità per i cittadini di conoscere il fondamento dell’azione legislativa è condizione per l’esercizio effettivo, da parte di questi ultimi, dei loro diritti democratici» ( 20 ).

58.

Il bilanciamento tra l’interesse specifico che deve essere tutelato mediante la non divulgazione del documento in questione e, in particolare, l’interesse generale a che il documento al quale viene chiesto l’accesso sia reso accessibile, presenta una rilevanza del tutto particolare allorché l’istituzione agisce in veste di legislatore ( 21 ).

59.

Di conseguenza, tenuto conto degli elementi che precedono, la questione che si pone nella specie è se, alla luce della natura dei documenti controversi di cui viene chiesta la divulgazione, il Tribunale potesse validamente ammettere una presunzione generale di riservatezza nei loro confronti.

60.

Risulta dalla sentenza impugnata che il Tribunale ha considerato, al punto 102 di tale sentenza, che, «sebbene il potere di proporre l’adozione di atti legislativi a norma dell’articolo 289, paragrafo 3, TFUE, in linea di principio e salvo disposizione contraria, spetti alla Commissione, conformemente alle disposizioni dell’articolo 17, paragrafo 2, TUE, rimane nondimeno il fatto che, conformemente all’articolo 14, paragrafo 1, TUE e all’articolo 16, paragrafo 1, TUE, sono il Parlamento e il Consiglio ad esercitare, congiuntamente, la funzione legislativa. Del pari, emerge dall’articolo 289, paragrafi da 1 a 3, TFUE che costituisce un atto legislativo qualsiasi atto adottato mediante una procedura legislativa, ossia, da un parte, qualsiasi regolamento, direttiva o decisione adottati mediante la procedura legislativa ordinaria esposta all’articolo 294 TFUE congiuntamente dal Parlamento e dal Consiglio su proposta della Commissione e, dall’altra, qualsiasi regolamento, direttiva o decisione adottati secondo una procedura legislativa speciale, vale a dire, a seconda dei casi, dal Parlamento con la partecipazione del Consiglio o da quest’ultimo con la partecipazione del Parlamento».

61.

Il Tribunale prosegue, al punto 103 di detta sentenza, affermando che «[n]e consegue che, quando prepara ed elabora una proposta di atto, anche di natura legislativa, la Commissione stessa non agisce in veste di legislatore in quanto, da un lato, tale processo di preparazione e di elaborazione è necessariamente un processo preliminare alla procedura legislativa in senso proprio, durante il quale, peraltro, la natura stessa dell’atto da proporre deve essere determinata e, dall’altro, sono il Parlamento e il Consiglio ad esercitare la funzione legislativa».

62.

Al punto 105 della sentenza impugnata, il Tribunale, rispondendo ad uno degli argomenti della ricorrente, precisa che, «anche ammettendo che i documenti richiesti debbano essere qualificati come “documenti legislativi” ai sensi del suddetto articolo 12, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001, va rilevato che tale disposizione si applica soltanto “fatti salvi gli articoli 4 e 9” del medesimo regolamento (…). Orbene, come evidenziato ai precedenti punti 97 e 99 [di tale sentenza], in sede di applicazione dell’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del suddetto regolamento, la Commissione è legittimata a presumere che la divulgazione dei documenti richiesti arrechi, in linea di principio, grave pregiudizio al processo decisionale di elaborazione di una proposta politica, fintantoché essa non abbia adottato una decisione a quest’ultimo titolo».

63.

Se è vero che la Commissione non può essere qualificata in senso stretto come «legislatore», ritengo cionondimeno che il suo ruolo nel processo legislativo ne faccia, se non un quasi legislatore, quantomeno un attore legislativo indispensabile senza l’impulso del quale l’attività legislativa dell’Unione sarebbe inesistente. Infatti, come ricordato dalla Corte nella sentenza del 14 aprile 2015, Consiglio/Commissione ( 22 ), «in forza dell’articolo 17, paragrafo 2, TUE, un atto legislativo dell’Unione può essere adottato solo “su proposta della Commissione”, salvo il caso (…) in cui i Trattati dispongano diversamente» ( 23 ). È ad essa che spetta «decidere di presentare o meno una proposta di atto legislativo, salva l’ipotesi (…) in cui essa sia tenuta, in forza del diritto dell’Unione, a presentare una proposta siffatta. In virtù di tale potere, in caso di presentazione di una proposta di atto legislativo, spetta parimenti alla Commissione, la quale, conformemente all’articolo 17, paragrafo 1, TUE, promuove l’interesse generale dell’Unione e adotta le iniziative appropriate a tal fine, determinare l’oggetto, la finalità e il contenuto di tale proposta» ( 24 ).

64.

Inoltre, alla luce della lettera stessa dell’articolo 12, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001, nonché dell’economia di tale regolamento e dello scopo da esso perseguito, ritengo che non sia tanto la qualità dell’istituzione ad essere determinante ai fini di un diritto di accesso più ampio ai documenti dell’Unione, quanto la natura stessa di tali documenti.

65.

Infatti, tale articolo, che riecheggia il considerando 6 di detto regolamento – il quale, lo ricordo, prevede un accesso più ampio ai documenti nei casi in cui le istituzioni agiscono in veste di legislatore –, stabilisce che «fatti salvi gli articoli 4 e 9, i documenti legislativi, vale a dire i documenti redatti o ricevuti nel corso delle procedure per l’adozione di atti giuridicamente vincolanti negli o per gli Stati membri, dovrebbero essere resi direttamente accessibili».

66.

Come ho ricordato al paragrafo 57 delle presenti conclusioni, la trasparenza in materia legislativa contribuisce a rafforzare la democrazia permettendo ai cittadini di controllare tutte le informazioni che hanno costituito il fondamento di un atto legislativo. Infatti, la possibilità, per i cittadini, di conoscere i fondamenti delle azioni legislative è condizione per l’esercizio effettivo, da parte di questi ultimi, dei loro diritti democratici.

67.

Orbene, poiché la Commissione è all’origine degli atti legislativi, i documenti che essa prepara ed elabora nell’ambito del processo legislativo costituiscono appunto i fondamenti di tali azioni legislative che i cittadini dell’Unione hanno il diritto di conoscere. È ben dunque in relazione a tali documenti che un accesso più ampio deve essere accordato, in forza dell’articolo 12, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001, in combinato disposto con il considerando 6 di quest’ultimo.

68.

Le valutazioni d’impatto, nonché le relazioni che vi fanno seguito, si collocano esattamente in tale categoria di documenti. Infatti, al fine di determinare l’oggetto, la finalità e il contenuto di una proposta legislativa, la Commissione ricorre, segnatamente, a valutazioni d’impatto che consentono una valutazione concreta e documentata dei dati della situazione, nonché una valutazione delle prevedibili conseguenze dell’adozione, se del caso, di una siffatta legislazione. Come si evince dagli orientamenti in materia di valutazione d’impatto ( 25 ), «[l]a valutazione d’impatto costituisce un insieme di fasi logiche da seguire nella preparazione di proposte legislative. È un processo nel corso del quale vengono raccolte, per i responsabili politici, informazioni su vantaggi ed inconvenienti delle possibili opzioni politiche, tramite un esame dei loro potenziali impatti. Le risultanze di tale processo sono riassunte e presentate nella relazione sulla [valutazione d’impatto]» ( 26 ).

69.

Di conseguenza, è pacifico, a mio avviso, che le valutazioni d’impatto e le relazioni sulle valutazioni d’impatto debbano fruire di un accesso più ampio, in conformità alle disposizioni del regolamento n. 1409/2001. La presunzione generale di riservatezza non può pertanto essere loro applicata.

70.

Infatti, i documenti in relazione ai quali la Corte ha riconosciuto l’esistenza di una presunzione generale di riservatezza si riferivano tutti o ad un procedimento amministrativo o ad un procedimento giurisdizionale in corso ( 27 ).

71.

La situazione in esame è del tutto diversa.

72.

Ci si trova, nella specie, nell’ambito di un processo di natura legislativa, e non nell’ambito di una procedura amministrativa o giurisdizionale, in relazione al quale il legislatore dell’Unione stesso intende assicurare una maggiore trasparenza ( 28 ). Da ciò discende, appunto, un diritto di accesso ai documenti delle istituzioni senza il quale tale trasparenza voluta non esisterebbe. La Corte non ha mancato di richiamarne le ragioni nella sentenza del 1o luglio 2008, Svezia e Turco/Consiglio ( 29 ), allorché ha affermato che «proprio la trasparenza [nel processo legislativo], nel consentire che i diversi punti di vista vengano apertamente discussi, contribuisce a conferire alle istituzioni una maggiore legittimità agli occhi dei cittadini europei e ad accrescere la loro fiducia. Di fatto, è piuttosto la mancanza di informazioni e di dibattito che può suscitare dubbi nei cittadini, non solo circa la legittimità di un singolo atto, ma anche circa la legittimità del processo decisionale nel suo complesso» ( 30 ).

73.

Gli Stati membri, a partire dal Trattato di Maastricht, hanno preso coscienza dell’importanza di tale principio e hanno invitato la Commissione a presentare senza indugio al Consiglio una relazione su misure intese ad accrescere l’accesso del pubblico alle informazioni di cui dispongono le istituzioni ( 31 ). Ne è seguito l’inserimento dell’articolo 255 CE nel Trattato di Amsterdam, divenuto articolo 15 TFUE e, soprattutto, la consacrazione con l’articolo 42 della Carta, il quale assurge il diritto di accesso ai documenti delle istituzioni a diritto fondamentale.

74.

L’esistenza di una presunzione generale di riservatezza è un’eccezione a tale diritto fondamentale, e deve pertanto essere interpretata restrittivamente, come ricordato dalla Corte a più riprese, e segnatamente, nella sentenza del 1o luglio 2008, Svezia e Turco/Consiglio ( 32 ).

75.

Inoltre, si è visto che, in conformità alle disposizioni di cui al regolamento n. 1049/2001, la Commissione conserva il diritto di negare l’accesso ai suoi documenti qualora essa giustifichi, in un caso concreto, un rischio di grave pregiudizio al processo decisionale e qualora verifichi che non sussiste un interesse pubblico prevalente alla divulgazione di tali documenti. Orbene, decidere di applicare una presunzione generale di riservatezza in un caso come quello di specie equivarrebbe, in realtà, a capovolgere l’equilibrio del sistema attuato da tale regolamento. Infatti, la Commissione potrebbe esimersi dal giustificare il diniego di accesso a detti documenti in maniera concreta ed individuale, e fondare tale diniego su considerazioni di ordine generale. Inoltre, spetterebbe a colui che desidera accedere ai documenti della Commissione provare la presenza di un siffatto interesse pubblico prevalente. Ciò darebbe luogo, di fatto, ad un inversione dell’onere della prova; il tutto risulta incompatibile con l’articolo 42 della Carta, con la giurisprudenza della Corte già menzionata nelle presenti conclusioni, nonché con la volontà stessa del legislatore dell’Unione concernente i documenti legislativi.

76.

Per giunta, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, ritengo che il Tribunale sia incorso in un errore di diritto, al punto 106 della sentenza impugnata, affermando che, nella sentenza del 1o luglio 2008, Svezia e Turco/Consiglio ( 33 ), «per la prima volta, la Corte ha enunciato la possibilità per un’istituzione di basarsi su presunzioni generali» a beneficio di documenti legislativi. Infatti, il Tribunale prende in considerazione, specificamente, i punti 46, 47 e 50 di tale sentenza. Orbene, tali punti si inseriscono nelle spiegazioni fornite dalla Corte in merito allo svolgimento dell’esame che deve essere effettuato dall’istituzione interessata da una domanda di accesso ai documenti e quanto al contenuto della motivazione che deve seguire. È solo successivamente che la Corte procede all’esame dei motivi dedotti dai ricorrenti. Il mero richiamo effettuato dalla Corte ai punti 46, 47 e 50 non può pertanto essere inteso nel senso che esso enuncia la possibilità per un’istituzione di fondarsi su presunzioni generali in un siffatto caso.

77.

Di conseguenza, alla luce degli elementi che precedono, ritengo che il Tribunale, concludendo, ai punti da 100 a 106 della sentenza impugnata, che la Commissione poteva validamente fondarsi su una presunzione generale di riservatezza per negare l’accesso ai documenti controversi, abbia commesso un errore di diritto.

2. Sulla prima parte del primo motivo, relativa ad un’applicazione asseritamente erronea della giurisprudenza della Corte

a) Argomenti delle parti

78.

Secondo la ClientEarth, sostenuta dai governi finlandese e svedese, il Tribunale, ai punti da 55 a 127 della sentenza impugnata, avrebbe proceduto ad un’applicazione errata della giurisprudenza della Corte relativa al riconoscimento di una presunzione generale di riservatezza. In tal senso, il Tribunale avrebbe omesso di prendere in considerazione il fatto che la Corte ha già dichiarato che esso aveva commesso un errore di diritto nell’ammettere l’estensione del perimetro della presunzione generale di riservatezza a studi relativi alla conformità della legislazione di diversi Stati membri al diritto ambientale dell’Unione. La Corte aveva allora posto l’accento sull’«esigenza di stretta interpretazione e applicazione di tale presunzione, che costituisce, infatti, un’eccezione all’obbligo di esame concreto e specifico, da parte dell’istituzione interessata, di ciascun documento oggetto di una domanda di accesso (…) nonché, più in generale, al principio del più ampio accesso possibile del pubblico ai documenti detenuti dalle istituzioni dell’Unione» ( 34 ).

79.

Riconoscendo la presunzione generale di riservatezza a beneficio delle valutazioni d’impatto, il Tribunale non avrebbe tenuto conto di tale esigenza e avrebbe ignorato la natura fondamentale del principio di trasparenza sancito dal Trattato, nonché dal regolamento n. 1049/2001.

80.

Inoltre, la ricorrente addebita al Tribunale di aver desunto dalla giurisprudenza della Corte, al punto 67 della sentenza impugnata, che una presunzione generale di riservatezza può essere riconosciuta qualora il «corretto svolgimento» del procedimento in questione lo esiga, sebbene le cause in cui una siffatta presunzione è stata riconosciuta riguardassero unicamente documenti afferenti ad un procedimento giurisdizionale o amministrativo in corso – agendo la Commissione, in quest’ultimo caso, nella sua qualità di custode dei Trattati e in quanto organo di esecuzione del diritto dell’Unione – e tali presunzioni siano state riconosciute sulla base del principio di parità delle armi o di considerazioni simili, oppure in quanto l’accesso a siffatti documenti rischiava di arrecare direttamente pregiudizio agli interessi dell’istituzione di cui trattasi, compromettendo la sua capacità di difendersi in maniera efficace, o agli interessi dei terzi a che la riservatezza delle informazioni trasmesse alla Commissione sia preservata.

81.

Inoltre, la ricorrente e il governo finlandese ritengono che, nelle cause in cui la Corte ha riconosciuto l’esistenza di una presunzione generale di riservatezza, quest’ultima abbia giustificato tale riconoscimento con il fatto che l’applicazione di una siffatta presunzione generale era espressamente giustificata dall’esistenza di una normativa specifica che limitava in un modo o in un altro l’accesso ai documenti o prevedeva che l’accesso dei terzi a tali documenti non fosse accordato ( 35 ).

82.

Secondo la ricorrente, l’applicazione, da parte del Tribunale, della giurisprudenza della Corte è parimenti erronea, in quanto i documenti controversi non riguardano un procedimento amministrativo, nel quale incombe alla Commissione vigilare sul rispetto del diritto dell’Unione, né un procedimento giurisdizionale; l’accesso a tali documenti non può arrecare pregiudizio ad interessi normalmente tutelati dalla giurisprudenza della Corte tramite una presunzione generale, come la parità delle armi, e tale accesso non favorirebbe gli interessi di un terzo in particolare, poiché la ClientEarth è un’organizzazione non governativa che ha come obiettivo la tutela dell’ambiente e non tenta di promuovere interessi privati.

83.

La Commissione replica che non emerge affatto dalla giurisprudenza della Corte relativa al riconoscimento di presunzioni generali di riservatezza una regola secondo la quale la Commissione, per applicare tali presunzioni, dovrebbe agire quale organo di esecuzione del diritto dell’Unione. Essa ritiene, al contrario, che il Tribunale abbia correttamente applicato tale giurisprudenza considerando, ai punti da 68 a 75, 78 e 97 della sentenza impugnata, che il riconoscimento di una presunzione generale di riservatezza per documenti come i documenti controversi presuppone, da un lato, che tali documenti appartengano ad un’unica categoria di documenti e, dall’altro, che, alla luce delle norme che disciplinano la preparazione, da parte della Commissione, di proposte politiche, l’accesso ai documenti richiesti arrecherebbe grave pregiudizio a tale procedimento particolare fintantoché esso è pendente.

84.

Inoltre, la Commissione sostiene, contrariamente a quanto farebbe intendere la ricorrente, che l’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001 prevede appunto che l’efficacia del processo decisionale delle istituzioni costituisce un interesse proprio, la cui tutela può giustificare eccezioni all’accesso del pubblico ai documenti.

b) Valutazione

85.

Secondo la ricorrente, il Tribunale avrebbe effettuato un’applicazione erronea della giurisprudenza relativa alle presunzioni generali di riservatezza.

86.

Al punto 66 della sentenza impugnata, il Tribunale rileva che «dalla giurisprudenza [della Corte] emerge che, affinché una presunzione generale sia validamente opposta alla persona richiedente l’accesso a documenti in base al regolamento n. 1049/2001, è necessario che i documenti richiesti facciano parte della stessa categoria di documenti o siano della stessa natura». Al punto 67 di tale sentenza, esso ritiene poi che «da tale giurisprudenza deriv[i] che l’applicazione delle presunzioni generali è essenzialmente dettata dall’esigenza imperativa di garantire il corretto funzionamento delle procedure in questione e di garantire che non ne vengano compromessi gli obiettivi. Pertanto, il riconoscimento di una presunzione generale può essere basato sull’incompatibilità dell’accesso ai documenti di talune procedure con il corretto svolgimento delle stesse e sul rischio di un pregiudizio ai medesimi, posto che le presunzioni generali consentono di preservare l’integrità dello svolgimento del procedimento limitando l’ingerenza dei terzi». Il Tribunale prosegue affermando che «[l]’applicazione di norme specifiche previste da un atto giuridico relativo a un procedimento svolto dinanzi a un’istituzione dell’Unione per le cui esigenze sono stati prodotti i documenti richiesti è uno dei criteri atti a giustificare il riconoscimento di una presunzione generale».

87.

Risulta da quanto precede che il Tribunale sembra ritenere che, ai fini dell’applicazione di una presunzione generale di riservatezza, tre criteri debbano essere presi in considerazione, ossia che i documenti appartengano alla stessa categoria o siano della stessa natura; che l’accesso a tali documenti ostacolerebbe il corretto svolgimento del procedimento di cui trattasi, e che esista un testo legislativo che disciplini specificamente le modalità di accesso ai documenti richiesti; quest’ultimo criterio non è, secondo il Tribunale, un criterio decisivo ( 36 ).

88.

È pacifico che dalla giurisprudenza della Corte risulta che, ai fini dell’applicazione di una presunzione generale di riservatezza, i documenti in questione devono essere della stessa natura ( 37 ). Per contro, se è vero che, nei cinque casi in cui la Corte ha riconosciuto siffatte presunzioni ( 38 ), era in gioco il buon funzionamento di uno specifico procedimento, non ritengo che tali presunzioni possano applicarsi in tutti i tipi di procedimenti, incluso il procedimento legislativo. Infatti, come ricordato dalla Corte nella sentenza del 16 luglio 2015, ClientEarth/Commissione ( 39 ), «[i]n tutte le cause [nelle quali è stata accettata una presunzione generale di riservatezza], il diniego di accesso di cui trattasi era relativo a una serie di documenti chiaramente circoscritti dalla loro comune appartenenza a un fascicolo afferente a un procedimento amministrativo o giurisdizionale in corso» ( 40 ).

89.

In tale sentenza, emessa qualche mese prima della sentenza impugnata, la Corte sembra, al contrario, avere chiaramente limitato il ricorso alle presunzioni generali di riservatezza ai casi in cui i documenti dei quali è stata chiesta la divulgazione rientrano in un procedimento amministrativo o giurisdizionale in corso. A tal riguardo, come ricordato dalla ClientEarth, la Corte ha espressamente escluso l’estensione del perimetro della presunzione di riservatezza agli studi relativi alla conformità delle normative di diversi Stati membri con il diritto ambientale dell’Unione, realizzati da un’impresa su richiesta e per conto della Commissione, i quali, alla data di invio della decisione di rifiuto di accesso a tali studi, non erano relativi alla fase precontenziosa di un procedimento per inadempimento ( 41 ).

90.

Inoltre, come si è visto ai paragrafi da 72 a 75 delle presenti conclusioni, si evince non solo dai testi del diritto primario e del diritto derivato, bensì anche dalla giurisprudenza della Corte, che il diritto di accesso ai documenti delle istituzioni, emanazione del principio di trasparenza, è un diritto le cui eccezioni devono essere interpretate in maniera ancora più restrittiva in quanto si tratta di un diritto fondamentale e che siamo in presenza, nella specie, di documenti legislativi.

91.

Pertanto, anche se il Tribunale, ai punti da 58 a 61 della sentenza impugnata, ha correttamente richiamato la giurisprudenza della Corte concernente l’esigenza di un’interpretazione restrittiva delle eccezioni al diritto di accesso ai documenti delle istituzioni, esso, a mio avviso, non ne tuttavia tratto le conseguenze che si imponevano alla luce della particolare natura dei documenti controversi.

92.

Di conseguenza, il Tribunale, effettuando, ai punti da 55 a 127, un’applicazione erronea della giurisprudenza della Corte, ha commesso un errore di diritto.

3. Sulla seconda parte del primo motivo, relativa ad un errore di diritto dovuto al fatto che il Tribunale ha ritenuto che l’articolo 17, paragrafi da 1 a 3, TUE costituisca una base legale per sancire una presunzione generale di riservatezza a beneficio dei documenti controversi

a) Argomenti delle parti

93.

Con la seconda parte del primo motivo, la ClientEarth, sostenuta dai governi finlandese e svedese, ritiene che il Tribunale non potesse fondarsi sull’articolo 17, paragrafi da 1 a 3, TUE, per fondare una presunzione generale di riservatezza a favore dei documenti controversi. Essa è dell’avviso, in primo luogo, che una maggiore trasparenza del processo decisionale rafforzi l’indipendenza della Commissione e non abbia come effetto, contrariamente a quanto dichiarato dal Tribunale ai punti da 55 a 99 della sentenza impugnata, di renderla più vulnerabile alle influenze e alle pressioni esterne di ogni tipo, impedendole così di esercitare il ruolo conferitole, ai sensi dell’articolo 17, paragrafi da 1 a 3, TUE, in piena indipendenza e nell’interesse generale.

94.

La ricorrente considera, viceversa, che, come affermato dalla Corte al punto 45 della sentenza del 1o luglio 2008, Svezia e Turco/Consiglio ( 42 ), un aumento della trasparenza rafforzerebbe la legittimità, l’efficienza e la responsabilità dell’amministrazione nei confronti dei cittadini in un sistema democratico. L’accesso del pubblico a documenti come i documenti controversi consentirebbe dunque non solo di resistere meglio alle pressioni esterne, nella misura in cui la trasparenza del processo di valutazione d’impatto renderebbe tali pressioni più visibili al mondo esterno, ma permetterebbe anche ai cittadini di capire meglio le implicazioni del processo decisionale e di far sorgere, se del caso, un dibattito, senza tuttavia arrecare pregiudizio all’indipendenza della Commissione né allo spazio di riflessione di cui essa deve beneficiare.

95.

Inoltre, la ClientEarth sostiene che la Corte avrebbe indicato chiaramente, ai punti 62 e 63 della sentenza del 1o luglio 2008, Svezia e Turco/Consiglio ( 43 ), che un’istituzione non può rifiutare l’accesso e opporre il pregiudizio arrecato alla sua indipendenza per il semplice motivo che l’accesso ai documenti potrebbe far correre un rischio di pressione esterna.

96.

In secondo luogo, la ricorrente ritiene che l’articolo 17 TUE non possa costituire una base generale che consente alla Commissione di opporsi all’accesso ai suoi documenti adducendo che la loro divulgazione arrecherebbe un grave pregiudizio al processo decisionale. Essa ritiene, infatti, che un siffatto approccio rischierebbe di avere come conseguenza quella di estendere in maniera eccessiva l’eccezione al diritto di accesso ai documenti delle istituzioni, nella misura in cui sarebbe sufficiente, per la Commissione, far valere l’articolo 17 TUE per negare un siffatto diritto. La ClientEarth cita, a tal riguardo, i paragrafi da 43 a 45 delle conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón nelle cause ClientEarth/Commissione e ClientEarth e PAN Europe/EFSA ( 44 ). La ricorrente aggiunge che un tale approccio, qualora venisse confermato dalla Corte, sarebbe contrario al principio secondo il quale ogni eccezione all’esercizio del diritto di accesso deve essere interpretata restrittivamente.

97.

La Commissione risponde che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, le norme che disciplinano la preparazione e l’elaborazione, ad opera della Commissione, di proposte politiche, non prevedono che quest’ultima lo faccia in costante dialogo con le parti interessate. Essa afferma, al contrario, che, come correttamente riconosciuto dal Tribunale ai punti da 79 a 84 e 96 della sentenza impugnata, qualora un siffatto dialogo permanente fosse instaurato, segnatamente a seguito della pubblicazione di documenti come i documenti controversi, la stessa non disporrebbe di uno spazio di deliberazione autonomo sufficiente e si troverebbe nell’incapacità di decidere in piena indipendenza, come previsto dall’articolo 17, paragrafo 3, TUE.

98.

Quanto all’argomento della ricorrente consistente nell’affermare che la comprensione del processo decisionale non nuocerà all’indipendenza della Commissione, quest’ultima ribatte che, se la domanda di accesso ai documenti controversi riguarda la corretta comprensione di tale processo, la ricorrente o qualsiasi altra parte interessata può certamente aspettare la pubblicazione di tali documenti una volta terminato tale processo, o in quanto è stata fatta una proposta legislativa o in quanto l’iniziativa è stata abbandonata.

b) Valutazione

99.

La ricorrente addebita al Tribunale, in sostanza, di aver dichiarato che il ricorso, da parte della Commissione, ad una presunzione generale di riservatezza al fine di negare l’accesso ai documenti controversi era giustificato nella misura in cui «una siffatta presunzione generale si impone alla luce delle norme che disciplinano la preparazione e l’elaborazione, ad opera della Commissione, di proposte politiche, ivi comprese eventualmente proposte di atti legislativi» ( 45 ).

100.

Dopo aver ricordato, ai punti da 79 a 82 di tale sentenza, il ruolo della Commissione nel processo legislativo, il Tribunale ha affermato che la Commissione doveva poter agire in piena indipendenza e al servizio dell’interesse generale in sede di preparazione ed elaborazione di proposte politiche ( 46 ). Dopo aver spiegato la funzione delle valutazioni d’impatto e ammesso che siffatte valutazioni rientrano in un obiettivo di trasparenza e di apertura del processo decisionale della Commissione volto alla preparazione e all’elaborazione di proposte politiche e in un obiettivo di partecipazione delle parti interessate al suddetto processo ( 47 ), il Tribunale ne ha desunto che, una volta consultate le parti interessate e raccolte le informazioni, la Commissione doveva poter beneficiare di uno spazio di riflessione al fine di decidere in piena indipendenza, senza pressione esterna né influenza da parte di terzi, delle iniziative politiche da proporre ( 48 ). Più precisamente, il Tribunale ha dichiarato, al punto 95 di tale sentenza, che «occorre (…) tutelare [il] potere di iniziativa [della Commissione in materia legislativa] da ogni influenza di interessi pubblici o privati che tenterebbero, al di fuori delle consultazioni organizzate, di costringere la Commissione ad adottare un’iniziativa politica, a modificarla, o persino a rinunciarvi, e che prolungherebbero ovvero complicherebbero quindi la discussione in seno a tale istituzione».

101.

Al punto 96 di detta sentenza, il Tribunale ha pertanto considerato che, «poiché la relazione sulla valutazione d’impatto comporta, come emerge dal (…) punto 88 [della sentenza impugnata], una comparazione delle diverse opinioni politiche ipotizzabili in questa fase, la divulgazione di tale relazione, anche solo allo stato di progetto, nonché dei pareri espressi dal comitato al riguardo comporta un rischio maggiore che terzi tentino, al di fuori della consultazione pubblica organizzata dalla Commissione, ad esercitare in modo mirato un’influenza sulla scelta, da parte della Commissione, di un’opzione politica e sul significato della proposta politica che essa è indotta ad adottare. Le stesse persone o organismi che hanno presentato osservazioni durante la consultazione pubblica, se avessero accesso immediatamente ai documenti della valutazione d’impatto, potrebbero presentare nuove osservazioni o critiche delle possibili opzioni ed ipotesi, sostenendo precisamente che la loro opinione non è stata sufficientemente o debitamente considerata, mentre la Commissione deve poter beneficiare, dopo la fase pubblica di consultazione, di uno spazio di riflessione autonoma, temporaneamente al riparo da influenze e pressioni esterne di ogni tipo».

102.

Anzitutto, come si è visto in precedenza, non penso che un’istituzione possa ricorrere ad una presunzione generale di riservatezza concernente documenti legislativi come i documenti controversi.

103.

Come fatto valere dalla ricorrente, tale valutazione sembra inoltre confermata dalla giurisprudenza della Corte. Infatti, nella sentenza del 1o luglio 2008, Svezia e Turco/Consiglio ( 49 ), la Corte ha dichiarato, in relazione ad una causa avente ad oggetto il diniego di accesso ad un documento legislativo, che «proprio la trasparenza su tale punto, nel consentire che i diversi punti di vista vengano apertamente discussi, contribuisce a conferire alle istituzioni una maggiore legittimità agli occhi dei cittadini europei e ad accrescere la loro fiducia. Di fatto, è piuttosto la mancanza di informazioni e di dibattito che può suscitare dubbi nei cittadini, non solo circa la legittimità di un singolo atto, ma anche circa la legittimità del processo decisionale nel suo complesso» ( 50 ).

104.

La Corte ha poi ritenuto che, «per quanto riguarda l’argomento (…) secondo il quale l’indipendenza del (…) servizio giuridico [del Consiglio] sarebbe messa in pericolo da una possibile divulgazione dei pareri giuridici emessi da quest’ultimo nell’ambito di procedimenti legislativi, si deve constatare che tale timore costituisce proprio il fulcro degli interessi tutelati dall’eccezione prevista nell’art[icolo] 4, [paragrafo] 2, secondo trattino, del regolamento n. 1049/2001. Infatti (…), tale eccezione è volta appunto a tutelare l’interesse di un’istituzione a domandare consulenza legale e a ricevere pareri franchi, obiettivi e completi». La Corte ha proseguito affermando che, «[s]i deve tuttavia rilevare che il Consiglio si è basato, al riguardo, sia dinanzi al Tribunale sia dinanzi alla Corte, su semplici affermazioni non suffragate in alcun modo da argomentazioni circostanziate. Orbene, alla luce delle considerazioni che seguono, non è ravvisabile alcun rischio effettivo, ragionevolmente prevedibile e non meramente ipotetico, di pregiudizio a detto interesse» ( 51 ).

105.

Infine, la Corte, al punto 64 di questa stessa sentenza, ha dichiarato che, «[c]on riferimento a eventuali pressioni esercitate al fine di influenzare il contenuto dei pareri espressi dal servizio giuridico del Consiglio, è sufficiente rilevare che, anche supponendo che i membri di tale servizio giuridico subiscano a tal fine pressioni illegittime, sarebbero queste pressioni, e non la possibilità di divulgazione dei pareri giuridici, a pregiudicare l’interesse di tale istituzione a ricevere pareri giuridici franchi, obiettivi e completi, e spetterebbe evidentemente al Consiglio adottare le misure necessarie per porvi fine».

106.

Si evince, a mio avviso, da tale giurisprudenza, che, se è vero che la Commissione, al pari del Consiglio, deve poter beneficiare di uno spazio di riflessione al riparo da qualsiasi pressione esterna al fine di preservare la propria indipendenza in materia legislativa, e che, a tal titolo, essa può giustificare il rifiuto di accesso ad un documento legislativo sul fondamento dell’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001, incombe tuttavia alla stessa dimostrare che esiste un rischio concreto, ragionevolmente prevedibile e non meramente ipotetico, di pregiudizio al processo decisionale.

107.

Mi sembra pertanto incompatibile con tale giurisprudenza ammettere che un’istituzione possa avvalersi di una presunzione generale di riservatezza al fine di negare l’accesso ad un documento legislativo anche se, come si è visto, essa è legittimata a giustificare tale presunzione con considerazioni di ordine generale. Del resto, ritengo che, nella sentenza del 1o luglio 2008, Svezia e Turco/Consiglio ( 52 ), la Corte abbia appunto escluso la possibilità di ricorrere ad una presunzione generale di riservatezza concernente i pareri giuridici, documenti legislativi, in quanto ha dichiarato, al punto 57 di tale sentenza, che «il Tribunale ha erroneamente considerato che esista un’esigenza generale di riservatezza connessa alla consulenza legale del servizio giuridico del Consiglio relativa a questioni legislative».

108.

Di conseguenza, il Tribunale, concludendo, al punto 97 della sentenza impugnata, che «la Commissione è legittimata a presumere, senza procedere a un esame concreto ed individuale di ciascun documento predisposto nell’ambito della preparazione di una valutazione d’impatto, che la divulgazione di tali documenti, in linea di principio, arreca grave pregiudizio al suo processo decisionale di elaborazione di una proposta politica», è incorso in un errore di diritto.

4. Sulla terza parte del primo motivo, relativa ad un errore di diritto in quanto il Tribunale non avrebbe verificato l’esistenza di un pregiudizio specifico, concreto ed effettivo, all’interesse tutelato dall’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001

a) Argomenti delle parti

109.

Con la terza parte del primo motivo, la ClientEarth fa valere, sostenuta in ciò dal governo svedese, che il Tribunale ha commesso un errore di diritto nel riconoscere una presunzione generale di riservatezza a favore dei documenti controversi senza verificare il rischio che la divulgazione di questo tipo di documenti arrechi un pregiudizio specifico, concreto ed effettivo all’interesse tutelato dall’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001.

110.

Infatti, la ricorrente ritiene che, in conformità alla giurisprudenza della Corte, le istituzioni dell’Unione possano rifiutare l’accesso ai loro documenti solo qualora esse spieghino come l’accesso a tali documenti possa arrecare concretamente ed effettivamente pregiudizio all’interesse tutelato da un’eccezione ( 53 ), anche se l’istituzione in questione si fonda su una presunzione generale concernente una categoria di documenti. La ricorrente considera che questa condizione preliminare sia necessaria affinché ciascun cittadino sia in grado di conoscere le ragioni del rigetto della sua domanda, nonché per garantire che un’eccezione al principio dell’accesso più ampio possibile sia giustificata solo quando l’accesso ai documenti richiesti arrechi specificamente ed effettivamente pregiudizio all’interesse tutelato dall’articolo 4, paragrafo 3, di tale regolamento.

111.

Orbene, la ClientEarth sostiene che il Tribunale ha commesso un errore di diritto nel considerare, al punto 96 della sentenza impugnata, che la Commissione poteva fondarsi su considerazioni di ordine generale ed ipotetico per negare l’accesso ai documenti controversi. Infatti, la ricorrente ritiene che non sia sufficiente affermare, come avrebbe ammesso il Tribunale, che la divulgazione arrecherebbe specificamente ed effettivamente pregiudizio al processo decisionale dell’istituzione di cui trattasi, dal momento che un terzo potrebbe tentare di esercitare un’influenza sulle decisioni politiche definite nella relazione sulla valutazione d’impatto. Una siffatta giustificazione di ordine generale ed ipotetico potrebbe in tal caso essere invocata abusivamente dalla Commissione al fine di giustificare il rifiuto di accesso a tutti i suoi documenti.

112.

Il governo finlandese aggiunge che, a suo avviso, non ogni divulgazione di informazioni contenute nei documenti controversi può essere considerata automaticamente come causa di un «grave pregiudizio» ai processi decisionali della Commissione ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, di detto regolamento.

113.

La Commissione ribatte, in primo luogo, che il Tribunale ha illustrato, al punto 96 della sentenza impugnata, quale fosse il rischio oggettivo, reale e specifico che la divulgazione dei documenti controversi avrebbe implicato per i suoi processi decisionali. In tal senso, tale rischio risiederebbe nel fatto che una siffatta divulgazione consentirebbe alle persone che hanno già sottoposto osservazioni in occasione della consultazione pubblica di presentare nuove osservazioni o critiche e di arrecare pertanto pregiudizio allo spazio di riflessione autonoma di cui la Commissione deve poter beneficiare. In secondo luogo, la Commissione fa valere che, come affermato dal Tribunale al punto 120 della sentenza impugnata, la ricorrente ignora la principale caratteristica e l’oggetto della presunzione generale che, una volta riconosciuta, consente appunto alla Commissione di fondarsi su motivi di diniego a carattere generale e di fare a meno di un esame concreto ed individuale dei documenti richiesti.

b) Valutazione

114.

Mi sembra di capire che la ricorrente ritenga che, qualora un’istituzione neghi l’accesso a taluni documenti sulla base di una presunzione generale di riservatezza, essa debba tuttavia verificare se la divulgazione di questo tipo di documenti rischi di arrecare un pregiudizio specifico, concreto ed effettivo all’interesse tutelato dall’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001. Essa sostiene, in realtà, che l’esame che l’istituzione è chiamata ad effettuare debba essere lo stesso di quello che è tenuta a fare allorché procede ad un esame individuale e concreto del documento.

115.

Non condivido tale opinione. Ricordo che, secondo una giurisprudenza costante, l’istituzione di cui trattasi «può, in linea di principio, [al fine di negare l’accesso a taluni documenti], basarsi al riguardo su presunzioni di carattere generale che si applicano a determinate categorie di documenti, in quanto a domande di divulgazione riguardanti documenti della stessa natura possono applicarsi considerazioni di ordine generale analoghe» ( 54 ). La presunzione generale di riservatezza consente dunque all’istituzione che se ne avvale di giustificare il diniego di accesso a taluni documenti invocando il pregiudizio che, di regola, la divulgazione di questo tipo di documento arrecherebbe. La Corte ha così riconosciuto che tale pregiudizio poteva essere una violazione dei diritti della difesa, della parità delle armi o, ancora, una violazione globale dei procedimenti giurisdizionali.

116.

Peraltro, la Corte ha dichiarato, nella sentenza del 21 settembre 2010, Svezia e a./API e Commissione ( 55 ), che «la Commissione può basarsi sulla presunzione secondo cui la divulgazione di memorie depositate nell’ambito di procedimenti giurisdizionali pendenti arrechi pregiudizio a tali procedimenti ai sensi dell’art[icolo] 4, [paragrafo] 2, secondo trattino, [del regolamento n. 1049/2001] e può quindi, per tutta la durata di siffatti procedimenti, opporre un rifiuto ad una domanda d’accesso avente ad oggetto siffatti documenti, senza essere tenuta ad effettuarne un esame concreto» ( 56 ). Analogamente, nella sentenza del 14 luglio 2016, Sea Handling/Commissione ( 57 ), la Corte ha dichiarato, con riferimento a documenti relativi ai procedimenti di controllo degli aiuti di Stato, che «nel caso di specie, il Tribunale non era tenuto a esaminare la questione se la divulgazione del contenuto dei documenti richiesti dalla Sea Handling fosse in grado di pregiudicare gli interessi tutelati, bensì soltanto a verificare se la Commissione potesse legittimamente ritenere che tali documenti rientrassero in un’indagine condotta nell’ambito di un procedimento di controllo di aiuti di Stato» ( 58 ). Essa ha considerato che, «[i]nvero, come giustamente osservato dal Tribunale al punto 65 della [sua] sentenza [del 25 marzo 2015, Sea Handling/ Commissione (T‑456/13, non pubblicata, EU:T:2015:185)], la necessità di verificare se una tale presunzione generale si applichi concretamente a uno specifico caso non può essere interpretata nel senso che l’istituzione dovrebbe esaminare singolarmente tutti i documenti di cui è chiesta la divulgazione, poiché tale obbligo priverebbe del suo effetto utile detta presunzione generale» ( 59 ).

117.

La ratio di una siffatta presunzione si basa, esattamente, sulla possibilità di presumere che la divulgazione di un tipo di documenti arrecherebbe pregiudizio ad uno degli interessi tutelati, senza dover passare attraverso un esame concreto e individuale di tali documenti. Questo è altresì il motivo per cui tale eccezione al diritto di accesso ai documenti delle istituzioni deve essere interpretata, come si è visto, ancor più restrittivamente.

118.

Per tali motivi, ritengo che il Tribunale non abbia commesso un errore di diritto nel non verificare l’esistenza di un pregiudizio specifico, concreto ed effettivo all’interesse tutelato dall’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001.

5. Sulla quinta parte del primo motivo, relativa ad un errore di diritto nella misura in cui il riconoscimento, da parte del Tribunale, di una presunzione generale di riservatezza a beneficio dei documenti controversi finisce per rendere assoluta tale presunzione

119.

La ClientEarth, sostenuta dal governo finlandese, sostiene che il Tribunale ha commesso un errore di diritto, ai punti da 113 a 127 della sentenza impugnata, fissando criteri che rendono assoluta la presunzione generale di riservatezza. Più specificamente, dichiarando, al punto 120 di tale sentenza, che gli argomenti della ricorrente relativi, segnatamente, alla mancata dimostrazione di un rischio reale di pressione pubblica, al carattere non sensibile dei documenti controversi e all’irrilevanza del fatto che i processi decisionali si trovano in una fase iniziale, non erano affatto idonei a confutare tale presunzione generale, in quanto tali argomenti si limitavano a censurare la genericità della motivazione addotta nelle decisioni impugnate e non fornivano elementi concreti che consentissero di confutare detta presunzione generale, il Tribunale avrebbe reso assoluta tale presunzione.

120.

La Commissione replica che, con i suoi argomenti, la ricorrente travisa proprio la natura stessa della presunzione generale di riservatezza di questo tipo di documenti. Inoltre, essa ritiene che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, il fatto che il Tribunale abbia indicato che non esisteva alcun elemento concreto che consentisse di confutare tale presunzione generale dimostri chiaramente che quest’ultima è relativa, ma che, nella specie, è la ricorrente a non avere dimostrato in che modo la divulgazione dei documenti richiesti non arrecherebbe pregiudizio ai processi decisionali della Commissione.

121.

Nella misura in cui penso che il Tribunale abbia commesso un errore di diritto nel riconoscere l’esistenza di una presunzione generale di riservatezza a favore dei documenti controversi, ritengo che non occorra rispondere alla quinta parte del primo motivo.

122.

Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, ritengo che il primo motivo sia fondato e che, pertanto, la sentenza impugnata debba essere annullata.

123.

Di conseguenza, non mi sembra necessario esaminare il secondo motivo, presentato in subordine dalla ricorrente.

VI. Sulle spese

124.

Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Nella specie, poiché la Commissione è rimasta soccombente, essa deve essere condannata alle spese, conformemente alla domanda della ClientEarth.

125.

Inoltre, quali parti intervenienti, la Repubblica di Finlandia e il Regno di Svezia sopporteranno ciascuno le proprie spese, ai sensi dell’articolo 140, paragrafo 1, del regolamento di procedura.

VII. Conclusione

126.

Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di statuire come segue:

1)

Non vi è più luogo a statuire sulla domanda di annullamento della decisione del 3 aprile 2014 con la quale la Commissione europea ha negato l’accesso al progetto di relazione sulla valutazione d’impatto relativa all’accesso alla giustizia in materia ambientale a livello degli Stati membri nel settore della politica ambientale dell’Unione europea.

2)

La sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 13 novembre 2015, ClientEarth/Commissione (T‑424/14 e T‑425/14, EU:T:2015:848), è annullata.

3)

La Commissione è condannata alle spese.

4)

La Repubblica di Finlandia e il Regno di Svezia sopportano le proprie spese.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) GU 2001, L 145, pag. 43.

( 3 ) GU 2005, L 124, pag. 1; in prosieguo: la «convenzione di Aarhus».

( 4 ) GU 2006, L 264, pag. 13.

( 5 ) COM(2003) 624 definitivo.

( 6 ) Tale documento è disponibile al seguente indirizzo Internet: http://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/10102/2017/EN/SWD-2017-255-F1-EN-MAIN-PART‑1.PDF.

( 7 ) V. sentenza del 21 dicembre 2016, Commissione/Hansestadt Lübeck (C‑524/14 P, EU:C:2016:971, punto 26 e la giurisprudenza ivi citata).

( 8 ) V..sentenze del 1o luglio 2008, Svezia e Turco/Consiglio (C‑39/05 P e C‑52/05 P, EU:C:2008:374, punti 4546), nonché del 17 ottobre 2013, Consiglio/Access Info Europe (C‑280/11 P, EU:C:2013:671, punti 3233).

( 9 ) C‑39/05 P e C‑52/05 P, EU:C:2008:374.

( 10 ) V. sentenza del 1o luglio 2008, Svezia e Turco/Consiglio (C‑39/05 P e C‑52/05 P, EU:C:2008:374, punti 3536).

( 11 ) V. sentenze del 21 settembre 2010, Svezia e a./API e Commissione (C‑514/07 P, C‑528/07 P e C‑532/07 P, EU:C:2010:541, punti 7172), nonché del 17 ottobre 2013, Consiglio/Access Info Europe (C‑280/11 P, EU:C:2013:671, punto 31).

( 12 ) V., in tal senso, sentenza del 1o luglio 2008, Svezia e Turco/Consiglio (C‑39/05 P e C‑52/05 P, EU:C:2008:374, punto 44).

( 13 ) V. sentenza del 17 ottobre 2013, Consiglio/Access Info Europe (C‑280/11 P, EU:C:2013:671, punti 7273, e la giurisprudenza ivi citata).

( 14 ) V. sentenza del 29 giugno 2010, Commissione/Technische Glaswerke Ilmenau (C‑139/07 P, EU:C:2010:376, punto 62).

( 15 ) Sentenza del 29 giugno 2010, Commissione/Technische Glaswerke Ilmenau (C‑139/07 P, EU:C:2010:376).

( 16 ) Sentenza del 21 settembre 2010, Svezia e a./API e Commissione (C‑514/07 P, C‑528/07 P e C‑532/07 P, EU:C:2010:541).

( 17 ) Sentenza del 28 giugno 2012, Commissione/Éditions Odile Jacob (C‑404/10 P, EU:C:2012:393).

( 18 ) Sentenza del 14 novembre 2013, LPN e Finlandia/Commissione (C‑514/11 P e C‑605/11 P, EU:C:2013:738).

( 19 ) Sentenza del 27 febbraio 2014, Commissione/EnBW (C‑365/12 P, EU:C:2014:112).

( 20 ) V. sentenze del 1o luglio 2008, Svezia e Turco/Consiglio (C‑39/05 P e C‑52/05 P, EU:C:2008:374, punto 46), nonché del 17 ottobre 2013, Consiglio/Access Info Europe (C‑280/11 P, EU:C:2013:671, punto 33).

( 21 ) V., in tal senso, sentenza del 17 ottobre 2013, Consiglio/Access Info Europe (C‑280/11 P, EU:C:2013:671, punti 3233).

( 22 ) C‑409/13, EU:C:2015:217.

( 23 ) V. punto 68 di tale sentenza.

( 24 ) V. punto 70 di detta sentenza.

( 25 ) Orientamenti in materia di valutazione d’impatto, della Commissione, del 15 gennaio 2009 [SEC(2009) 92].

( 26 ) V. pag. 5 di tali orientamenti.

( 27 ) V. sentenza del 16 luglio 2015, ClientEarth/Commissione (C‑612/13 P, EU:C:2015:486, punto 78).

( 28 ) V. articolo 12, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001, in combinato con il considerando 6 di quest’ultimo.

( 29 ) C‑39/05 P e C‑52/05 P, EU:C:2008:374.

( 30 ) V. punto 59 di tale sentenza.

( 31 ) V. dichiarazione n. 17, sul diritto di accesso all’informazione, allegata al Trattato di Maastricht.

( 32 ) C‑39/05 P e C‑52/05 P, EU:C:2008:374.

( 33 ) C‑39/05 P e C‑52/05 P, EU:C:2008:374.

( 34 ) V. sentenza del 16 luglio 2015, ClientEarth/Commissione (C‑612/13 P, EU:C:2015:486, punti 8081).

( 35 ) La ClientEarth cita, a tale titolo, la sentenza del 27 febbraio 2014, Commissione/EnBW (C‑365/12 P, EU:C:2014:112). Il governo finlandese cita, segnatamente, le sentenze del 29 giugno 2010, Commissione/Technische Glaswerke Ilmenau (C‑139/07 P, EU:C:2010:376), del 28 giugno 2012, Commissione/Éditions Odile Jacob (C‑404/10 P, EU:C:2012:393), del 28 giugno 2012, Commissione/Agrofert Holding (C‑477/10 P, EU:C:2012:394), e del 14 novembre 2013, LPN e Finlandia/Commissione (C‑514/11 P e C‑605/11 P, EU:C:2013:738).

( 36 ) V. punti 76 e 77 della sentenza impugnata.

( 37 ) V., segnatamente, sentenza del 1o luglio 2008, Svezia e Turco/Consiglio (C‑39/05 P e C‑52/05 P, EU:C:2008:374, punto 50).

( 38 ) V. paragrafo 56 delle presenti conclusioni.

( 39 ) C‑612/13 P, EU:C:2015:486.

( 40 ) V. punto 78 di tale sentenza.

( 41 ) V. punti da 77 a 82 di detta sentenza.

( 42 ) C‑39/05 P e C‑52/05 P, EU:C:2008:374.

( 43 ) C‑39/05 P e C‑52/05 P, EU:C:2008:374.

( 44 ) C‑612/13 P e C‑615/13 P, EU:C:2015:219.

( 45 ) V. punto 78 della sentenza impugnata.

( 46 ) V. punti 83 e 84 di tale sentenza.

( 47 ) V. punti da 85 a 93 di detta sentenza.

( 48 ) V. punto 94 della sentenza impugnata.

( 49 ) C‑39/05 P e C‑52/05 P, EU:C:2008:374.

( 50 ) V. punto 59 di tale sentenza.

( 51 ) V. punti 62 e 63 di detta sentenza.

( 52 ) C‑39/05 P e C‑52/05 P, EU:C:2008:374.

( 53 ) Sentenza del 27 febbraio 2014, Commissione/EnBW (C‑365/12 P, EU:C:2014:112, punto 64).

( 54 ) V. sentenze del 1o luglio 2008, Svezia e Turco/Consiglio (C‑39/05 P e C‑52/05 P, EU:C:2008:374, punto 50), del 21 settembre 2010, Svezia e a./API e Commissione (C‑514/07 P, C‑528/07 P e C‑532/07 P, EU:C:2010:541, punto 74), del 14 novembre 2013, LPN e Finlandia/Commissione (C‑514/11 P e C‑605/11 P, EU:C:2013:738, punto 45), e del 27 febbraio 2014, Commissione/EnBW (C‑365/12 P, EU:C:2014:112, punto 65).

( 55 ) C‑514/07 P, C‑528/07 P e C‑532/07 P, EU:C:2010:541.

( 56 ) V. punto 146 di tale sentenza.

( 57 ) C‑271/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:557.

( 58 ) V. punto 68 di tale sentenza.

( 59 ) V. punto 69 di detta sentenza.

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