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Document 62013CJ0625

Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 26 gennaio 2017.
Villeroy & Boch AG contro Commissione europea.
Impugnazione – Concorrenza – Intese – Mercati belga, tedesco, francese, italiano, olandese e austriaco delle ceramiche sanitarie e rubinetteria – Decisione che constata un’infrazione all’articolo 101 TFUE e all’articolo 53 dell’accordo sullo Spazio economico europeo – Coordinamento dei prezzi e scambio di informazioni commerciali sensibili – Infrazione unica – Prova – Ammende – Giurisdizione estesa al merito – Termine ragionevole – Proporzionalità.
Causa C-625/13 P.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2017:52

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

26 gennaio 2017 ( *1 )

«Impugnazione — Concorrenza — Intese — Mercati belga, tedesco, francese, italiano, olandese e austriaco delle ceramiche sanitarie e rubinetteria — Decisione che constata un’infrazione all’articolo 101 TFUE e all’articolo 53 dell’accordo sullo Spazio economico europeo — Coordinamento dei prezzi e scambio di informazioni commerciali sensibili — Infrazione unica — Prova — Ammende — Giurisdizione estesa al merito — Termine ragionevole — Proporzionalità»

Nella causa C‑625/13 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 29 novembre 2013,

Villeroy & Boch AG, con sede in Mettlach (Germania), rappresentata da M. Klusmann e T. Kreifels, Rechtsanwälte, assistiti da S. Thomas, professeur,

ricorrente,

procedimento in cui l’altra parte è:

Commissione europea, rappresentata da L. Malferrari, F. Castillo de la Torre e F. Ronkes Agerbeek, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta in primo grado,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta da A. Tizzano, vicepresidente della Corte, facente funzione di presidente della Prima Sezione, M. Berger, E. Levits, S. Rodin (relatore) e F. Biltgen, giudici,

avvocato generale: M. Wathelet

cancelliere: K. Malacek, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 10 settembre 2015,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 26 novembre 2015,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con la sua impugnazione, la Villeroy & Boch AG chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 16 settembre 2013, Villeroy & Boch Austria e a./Commissione (T‑373/10, T‑374/10, T‑382/10 e T‑402/10, non pubblicata; in prosieguo: la «sentenza impugnata», EU:T:2013:455), nella parte in cui, con tale sentenza, detto giudice ha parzialmente respinto il suo ricorso di annullamento della decisione C (2010) 4185 definitivo della Commissione, del 23 giugno 2010, relativa ad un procedimento di applicazione dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (caso COMP/39092 – Ceramiche sanitarie e rubinetteria; in prosieguo: la «decisione controversa»), nella parte in cui la riguarda.

Contesto normativo

Il regolamento (CE) n. 1/2003

2

Il regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101 TFUE] e [102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1), all’articolo 23, paragrafi 2 e 3, prevede che:

«2.   La Commissione può, mediante decisione, infliggere ammende alle imprese ed alle associazioni di imprese quando, intenzionalmente o per negligenza:

a)

commettono un’infrazione alle disposizioni dell’articolo [101 TFUE] o [102 TFUE] (…)

(...)

Per ciascuna impresa o associazione di imprese partecipanti all’infrazione, l’ammenda non deve superare il 10% del fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente.

(...)

3.   Per determinare l’ammontare dell’ammenda occorre tener conto, oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata».

Gli orientamenti del 2006

3

Gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003 (GU 2006, C 210, pag. 2; in prosieguo: gli «orientamenti del 2006») indicano, al loro punto 2, che, per quanto riguarda la determinazione delle ammende, «la Commissione deve prendere in considerazione la durata e la gravità dell’infrazione» e che «[l]’ammenda inflitta non deve poi superare i limiti indicati all’articolo 23, paragrafo 2, secondo e terzo comma, del regolamento (CE) n. 1/2003».

4

Il punto 37 degli orientamenti del 2006 recita quanto segue:

«Nonostante i presenti orientamenti espongano la metodologia generale per la fissazione delle ammende, le specificità di un determinato caso o la necessità di raggiungere un livello dissuasivo possono giustificare l’allontanamento da tale metodologia o dai limiti fissati al punto 21».

Fatti e decisione controversa

5

I prodotti interessati dall’intesa sono le ceramiche sanitarie e la rubinetteria che fanno parte di uno dei tre seguenti sottogruppi di prodotti: la rubinetteria, i box doccia e i loro accessori nonché gli articoli sanitari in ceramica (in prosieguo: i «tre sottogruppi di prodotti»).

6

I fatti all’origine della controversia sono illustrati ai punti da 1 a 19 della sentenza impugnata e possono essere sintetizzati come segue.

7

Con la decisione controversa, la Commissione ha dichiarato l’esistenza di un’infrazione all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE e all’articolo 53 dell’accordo sullo Spazio economico europeo, del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3; in prosieguo: l’«accordo SEE») nel settore delle ceramiche sanitarie e della rubinetteria. Tale infrazione, alla quale avrebbero partecipato 17 imprese, si sarebbe svolta nel corso di diversi periodi compresi tra il 16 ottobre 1992 e il 9 novembre 2004 e avrebbe preso la forma di un insieme di accordi anticoncorrenziali o di pratiche concertate sui territori belga, tedesco, francese, italiano, olandese e austriaco.

8

In particolare, nella decisione impugnata la Commissione ha dichiarato che l’infrazione accertata consisteva, in primo luogo, nel coordinamento da parte dei suddetti produttori di ceramiche sanitarie e di rubinetteria degli incrementi di prezzo annuali e di altri elementi di determinazione dei medesimi nell’ambito di regolari riunioni delle associazioni nazionali del settore, in secondo luogo, nella fissazione o nel coordinamento dei prezzi in occasione di eventi specifici, quali l’aumento del costo delle materie prime, l’introduzione dell’euro nonché l’introduzione di pedaggi autostradali e, in terzo luogo, nella divulgazione e nello scambio di informazioni commerciali sensibili. Inoltre, la Commissione ha constatato che la fissazione dei prezzi nel settore delle ceramiche sanitarie e della rubinetteria seguiva un ciclo annuale. In tale contesto, i produttori fissavano le loro tabelle di prezzi, che restavano normalmente in vigore per un anno e servivano da base alle relazioni commerciali con i grossisti.

9

La Villeroy & Boch nonché le altre ricorrenti in primo grado, la Villeroy & Boch Austria GmbH (in prosieguo: la «Villeroy & Boch Austria»), la Villeroy & Boch SAS (in prosieguo: la «Villeroy & Boch France») e la Villeroy & Boch Belgium SA (in prosieguo: la «Villeroy & Boch Belgium») operano nel settore delle ceramiche sanitarie e della rubinetteria. La Villeroy & Boch detiene tutto il capitale della Villeroy & Boch Austria, della Villeroy & Boch France, della Villeroy & Boch Belgium, della Ucosan BV e delle sue controllate nonché della Villeroy & Boch SARL (in prosieguo: la «Villeroy & Boch Luxembourg»).

10

Il 15 luglio 2004 la Masco Corp. e le sue controllate, tra le quali la Hansgrohe AG, che produce articoli di rubinetteria, e la Hüppe GmbH, che produce box doccia, hanno informato la Commissione dell’esistenza di un’intesa nel settore delle ceramiche sanitarie e della rubinetteria e hanno chiesto di beneficiare dell’immunità dalle ammende, in forza della comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese (GU 2002, C 45, pag. 3; in prosieguo: la «comunicazione del 2002 sul trattamento favorevole») o, in alternativa, di una riduzione dell’importo delle ammende ad esse applicabili. Il 2 marzo 2005, la Commissione ha adottato una decisione di immunità condizionale dalle ammende a vantaggio della Masco, ai sensi del punto 8, lettera a), e del punto 15 di detta comunicazione.

11

Il 9 e il 10 novembre 2004, la Commissione ha effettuato accertamenti senza preavviso presso gli uffici di diverse società e associazioni nazionali di categoria attive nel settore delle ceramiche sanitarie e della rubinetteria.

12

Il 15 e il 19 novembre 2004, la Grohe Beteiligungs GmbH e le sue controllate nonché la American Standard Inc. (in prosieguo: la «Ideal Standard») hanno, rispettivamente, sollecitato l’immunità dalle ammende ai sensi della comunicazione del 2002 sul trattamento favorevole o, in alternativa, la riduzione del loro importo.

13

Avendo inviato, nel corso del periodo dal 15 novembre 2005 al 16 maggio 2006, domande di informazioni a diverse società e associazioni operanti nel settore delle ceramiche sanitarie e rubinetteria, tra cui le ricorrenti in primo grado, la Commissione, il 26 marzo 2007, ha emanato una comunicazione degli addebiti, che è stata loro notificata.

14

Il 17 e il 19 gennaio 2006 anche la Roca SARL nonché la Hansa Metallwerke AG e le sue controllate hanno chiesto, rispettivamente, di beneficiare dell’immunità dalle ammende in forza della comunicazione del 2002 sul trattamento favorevole oppure, in alternativa, della riduzione del loro importo. Il 20 gennaio 2006, la Aloys F. Dornbracht GmbH & Co. KG Armaturenfabrik ha presentato una domanda analoga.

15

In esito a un’audizione, svoltasi dal 12 al 14 novembre 2007, alla quale hanno partecipato le ricorrenti in primo grado, all’invio, il 9 luglio 2009, di una lettera di esposizione dei fatti che attirava la loro attenzione su alcune prove sulle quali la Commissione prevedeva di fondarsi nel contesto dell’adozione di una decisione finale e di domande di informazioni supplementari inviate successivamente, in particolare, a dette ricorrenti, la Commissione, in data 23 giugno 2010, ha adottato la decisione controversa. Con tale decisione, essa ha considerato che le pratiche descritte al punto 8 della presente sentenza facevano parte di un piano globale inteso a limitare la concorrenza tra i destinatari di detta decisione e presentavano le caratteristiche di un’infrazione unica e continuata, il cui campo di applicazione copriva i tre sottogruppi di prodotti e si estendeva ai territori belga, tedesco, francese, italiano, olandese e austriaco. A questo riguardo, essa ha evidenziato, segnatamente, che dette pratiche avevano seguito un modello ricorrente, che risultava uniforme in tutti i sei Stati membri interessati dalla sua indagine. Essa ha parimenti rilevato l’esistenza di associazioni nazionali di settore riguardanti l’insieme dei tre sottogruppi di prodotti, che ha denominato «organismi di coordinamento», di associazioni nazionali di categoria comprendenti membri la cui attività riguardava almeno due di questi tre sottogruppi di prodotti, che ha denominato «associazioni interprodotto», nonché associazioni specializzate comprendenti membri la cui attività riguardava uno di questi tre sottogruppi di prodotti. Infine, essa ha rilevato la presenza di un gruppo centrale di imprese che avevano partecipato all’intesa in diversi Stati membri e nel contesto di organismi di coordinamento e di associazioni interprodotto.

16

Secondo la Commissione, le ricorrenti in primo grado hanno partecipato all’infrazione in questione in quanto membri delle seguenti associazioni: l’IndustrieForum Sanitär, che ha sostituito dal 2001 il Freundeskreis der deutschen Sanitärindustrie, l’Arbeitskreis Baden und Duschen, che ha sostituito dal 2003 Arbeitskreis Duschabtrennungen e il Fachverband Sanitär-Keramische Industrie (in prosieguo: il «FSKI») in Germania, l’Arbeitskreis Sanitärindustrie (in prosieguo: l’«ASI») in Austria, il Vitreous China-group (in prosieguo: il «VCG») in Belgio, la Sanitair Fabrikanten Platform nei Paesi Bassi e l’Association française des industries de céramique sanitaire (AFICS) in Francia. Quanto all’infrazione compiuta nei Paesi Bassi, la Commissione ha rilevato, in sostanza, al punto 1179 della decisione controversa, che alle imprese che avevano partecipato a tale infrazione non poteva essere inflitta un’ammenda a questo titolo in ragione della prescrizione.

17

All’articolo 1 della decisione impugnata, la Commissione elenca le imprese che essa sanziona per violazione dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE, a causa della partecipazione ad un’intesa nel settore delle ceramiche sanitarie e della rubinetteria in Belgio, in Germania, in Francia, in Italia, nei Paesi Bassi e in Austria per periodi variabili compresi tra il 16 ottobre 1992 e il 9 novembre 2004. Quanto alle ricorrenti in primo grado, la Commissione ha sanzionato, all’articolo 1, paragrafo 1, di detta decisione, la Villeroy & Boch per la sua partecipazione a detta infrazione unica dal 28 settembre 1994 al 9 novembre 2004 e le sue controllate Villeroy & Boch Belgium, Villeroy & Boch France e Villeroy & Boch Austria per periodi dal 12 ottobre 1994 sino ad almeno il 9 novembre 2004.

18

All’articolo 2, paragrafo 8, della decisione controversa, la Commissione ha inflitto ammende, in primo luogo, alla Villeroy & Boch, per EUR 54436347; in secondo luogo, in solido, alla Villeroy & Boch e alla Villeroy & Boch Austria, per EUR 6083604; in terzo luogo, in solido, alla Villeroy & Boch e alla Villeroy & Boch Belgium, per EUR 2942608, e, in quarto luogo, in solido, alla Villeroy & Boch e alla Villeroy & Boch Francia, per EUR 8068441. L’importo complessivo delle ammende inflitte alle ricorrenti in primo grado era pari, pertanto, a EUR 71531000.

19

Ai fini del calcolo di queste ammende, la Commissione si è fondata sugli orientamenti del 2006.

Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

20

Con atto introduttivo depositato presso il Tribunale l’8 settembre 2010, la ricorrente ha proposto ricorso nella causa T‑374/10 chiedendo l’annullamento della decisione controversa nella parte in cui la riguarda o, in subordine, la riduzione dell’importo delle ammende che le sono state inflitte.

21

A sostegno della sua domanda di annullamento, la ricorrente fa valere dinanzi al Tribunale che la Commissione erroneamente ha qualificato l’infrazione contestata quale infrazione unica, complessa e continuata e, in subordine, che, così procedendo, essa ha violato l’obbligo di motivazione, segnatamente non delimitando in modo sufficientemente preciso i mercati in questione.

22

La Villeroy & Boch ha parimenti fatto valere di non aver commesso alcuna infrazione sui mercati di prodotti e geografici in questione, vale a dire in Belgio, in Germania, in Francia, in Italia, nei Paesi Bassi e in Austria. Per quanto riguarda, più in particolare, le infrazioni asseritamente commesse in Germania, in Francia e in Austria, la Villeroy & Boch ha dedotto che la responsabilità del comportamento anticoncorrenziale delle sue controllate su tali mercati non poteva esserle imputata.

23

Infine, la Villeroy & Boch ha contestato il carattere solidale delle ammende che le sono state inflitte e ha sostenuto, in subordine, che l’importo di tali ammende avrebbe dovuto essere ridotto in quanto, in particolare, la Commissione ha erroneamente preso in considerazione vendite prive di nesso con l’infrazione, ove tale importo è sproporzionato, violando in tal modo l’articolo 23, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003, e in considerazione della durata eccessiva del procedimento amministrativo.

24

In subordine, la ricorrente ha presentato una domanda di riduzione dell’importo delle ammende inflitte.

25

Il Tribunale ha statuito, al punto 395 della sentenza impugnata, che la Commissione non aveva acclarato che la Villeroy & Boch aveva partecipato all’infrazione unica in parola precedentemente al 12 ottobre 1994. L’annullamento parziale dell’articolo 1, paragrafo 7, della decisione controversa pronunciato dal Tribunale non ha tuttavia avuto alcuna conseguenza sul calcolo dell’importo delle ammende inflitte alla Villeroy & Boch all’articolo 2, paragrafo 8, di detta decisione. Ai fini di tale calcolo, infatti, la Commissione avrebbe preso in considerazione la sua partecipazione ad un’infrazione solo a far data dal 12 ottobre 1994, come risulta chiaramente dalla tabella D della decisione controversa.

26

Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto il ricorso quanto al resto.

Conclusioni delle parti

27

La ricorrente chiede che la Corte voglia:

annullare in toto la sentenza impugnata, nella parte in cui, con tale sentenza, il Tribunale ha parzialmente respinto il suo ricorso;

in subordine, annullare parzialmente l’articolo 1 della decisione controversa nella forma risultante dalla sentenza impugnata, nella parte in cui la riguarda;

in ulteriore subordine, ridurre debitamente l’ammenda che le è stata inflitta a titolo dell’articolo 2 della decisione controversa;

in ancora ulteriore subordine, rinviare la causa al Tribunale, affinché questo statuisca nuovamente, e

condannare la Commissione alle spese.

28

La Commissione chiede che la Corte voglia:

respingere l’impugnazione in toto in quanto in parte irricevibile e in parte infondata, e

condannare la ricorrente alle spese.

Sull’impugnazione

29

A sostegno dell’impugnazione, la ricorrente deduce undici motivi.

Sul primo motivo

Argomenti delle parti

30

Con il suo primo motivo, la ricorrente fa valere che il Tribunale è incorso in molteplici errori di diritto a suo danno in relazione a fatti commessi in Francia.

31

Il Tribunale, con la medesima sezione e il medesimo giudice relatore, in pari data, nonché riguardo alle medesime questioni e alla medesima decisione, avrebbe valutato due elementi di prova, vale a dire le dichiarazioni compiute nel contesto del programma di trattamento favorevole dalla Ideal Standard e dalla Roca, in modo diametralmente opposto nella sentenza impugnata e nella sentenza del 16 settembre 2013, Keramag Keramische Werke e a./Commissione (T‑379/10 e T‑381/10, non pubblicata, EU:T:2013:457, punti da 118 a 120), in violazione del principio di parità di trattamento e della presunzione di innocenza, a danno della ricorrente.

32

Infatti, ai punti da 287 a 290 della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe affermato che le dichiarazioni della Ideal Standard e quelle della Roca avevano consentito di acclarare la partecipazione della Villeroy & Boch France a tre riunioni dell’AFICS organizzate durante il 2004, nel corso delle quali avrebbero avuto luogo discussioni illecite. Al riguardo, il Tribunale avrebbe ricordato, in sostanza, che la testimonianza di un’impresa che ha fatto domanda di trattamento favorevole non può servire come prova, in virtù del principio testis unus, testis nullus (un solo testimone, nessun testimone), a meno che una siffatta testimonianza non sia supportata da quella di altri partecipanti all’intesa. Tuttavia, secondo il Tribunale, ciò avverrebbe nella presente causa, in quanto la testimonianza fornita nell’ambito della domanda di trattamento favorevole della Ideal Standard sarebbe stata confermata dalla dichiarazione della Roca.

33

Orbene, secondo la ricorrente, la valutazione delle prove così effettuata dal Tribunale è manifestamente in contrasto con quella fatta dei medesimi elementi di prova nella sentenza del 16 settembre 2013, Keramag Keramische Werke e a./Commissione (T‑379/10 e T‑381/10, non pubblicata, EU:T:2013:457, punti da 118 a 120), che riguarda parimenti la decisione controversa.

34

Del pari, la ricorrente ritiene che il Tribunale abbia considerato il valore probatorio della dichiarazione della Duravit AG in maniera contraddittoria in quest’ultima sentenza e nella sentenza impugnata, violando in tal modo il principio di parità di trattamento degli elementi di prova nonché il principio in dubio pro reo. Infatti, nella sentenza del 16 settembre 2013, Keramag Keramische Werke e a./Commissione (T‑379/10 e T‑381/10, non pubblicata, EU:T:2013:457, punti 115116), il Tribunale avrebbe affermato che tale dichiarazione non era opponibile alle ricorrenti in tale procedimento, dal momento che non era stata comunicata loro nel corso del procedimento amministrativo. Per contro, nella sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe accettato di tener conto di questa stessa dichiarazione. In tal senso, al punto 293 di tale sentenza, il Tribunale avrebbe affermato che, se è pur vero che la decisione controversa «non si fonda» su detta dichiarazione, cionondimeno essa ha confermato quella della Ideal Standard quanto al tenore delle discussioni illecite che si sono «probabilmente» svolte il 25 febbraio 2004.

35

Inoltre, la ricorrente sostiene che il Tribunale, considerando quale elemento a suo carico la dichiarazione fatta dalla Duravit, di cui sapeva, tuttavia, che non era ad essa opponibile e che la Commissione stessa non l’aveva presa in considerazione nella decisione controversa, ha modificato la motivazione di tale decisione e ha violato l’articolo 263 e l’articolo 296, secondo comma, TFUE.

36

Dal momento che non è stato fatto valere nessun altro elemento di prova quanto all’infrazione che poteva essere asseritamente imputata alla ricorrente in Francia, la condanna di quest’ultima si fonderebbe sui summenzionati errori di diritto, trattandosi di fatti compiuti in Francia.

37

La Commissione chiede che il primo motivo venga respinto.

Giudizio della Corte

38

Per rispondere al primo motivo di impugnazione, occorre ricordare che la valutazione, da parte del Tribunale, del valore probatorio di un documento, in linea di principio, non può essere sottoposta al controllo della Corte nel contesto di un’impugnazione. Infatti, come risulta dall’articolo 256 TFUE e dall’articolo 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, l’impugnazione è limitata alle questioni di diritto. Il Tribunale è dunque competente in via esclusiva ad accertare e valutare i fatti pertinenti, nonché a valutare gli elementi di prova, salvo il caso di snaturamento di tali fatti e di tali elementi (v., segnatamente, sentenza del 2 ottobre 2003, Salzgitter/Commissione, C‑182/99 P, EU:C:2003:526, punto 43 e giurisprudenza ivi citata), che non è stato invocato nella specie.

39

Per contro, secondo costante giurisprudenza, la questione se la motivazione di una sentenza del Tribunale sia contraddittoria o insufficiente costituisce una questione di diritto che può, in quanto tale, essere sollevata nell’ambito di un giudizio di impugnazione (v., segnatamente, sentenza del 21 settembre 2006, Nederlandse Federatieve Vereniging voor de Groothandel op Elektrotechnisch Gebied/Commissione, C‑105/04 P, EU:C:2006:592, punto 71 e giurisprudenza ivi citata).

40

Nella specie il Tribunale, al punto 287 della sentenza impugnata, ha affermato che la Commissione si è fondata sulle dichiarazioni della Ideal Standard e della Roca per dimostrare la partecipazione della Villeroy & Boch France alle riunioni dell’AFICS nel 2004. Al punto 289 di detta sentenza, il Tribunale ha sottolineato che, se è pur vero che dalla giurisprudenza emerge che la dichiarazione del beneficiario di una riduzione totale o parziale di ammende che sia contestata da una parte deve essere suffragata, cionondimeno una siffatta corroborazione può risultare dalla testimonianza di un’altra impresa che ha partecipato all’intesa, ancorché quest’ultima a sua volta abbia parimenti beneficiato di una riduzione delle ammende. Dopo aver esaminato il valore probatorio della dichiarazione della Roca, il Tribunale, al punto 290 della medesima sentenza ha concluso che occorre affermare che la dichiarazione della Ideal Standard, come suffragata da quella della Roca, prova a sufficienza di diritto lo svolgimento delle discussioni illecite in parola.

41

Orbene, la ricorrente sostiene che questa motivazione sia contradittoria rispetto a quella di cui alla sentenza del 16 settembre 2013, Keramag Keramische Werke e a./Commissione (T‑379/10 e T‑381/10, non pubblicata, EU:T:2013:457).

42

Tuttavia, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, l’obbligo del Tribunale di motivare le sue sentenze, in linea di principio, non può estendersi sino ad imporre che esso giustifichi la soluzione accolta in una causa rispetto a quella accolta in un’altra causa che ha deciso, ancorché si tratti della medesima decisione (v. sentenza dell’11 luglio 2013, Team Relocations e a./Commissione, C‑444/11 P, non pubblicata, EU:C:2013:464, punto 66 e giurisprudenza ivi citata).

43

Pertanto, l’argomento della ricorrente relativo alla contraddittorietà tra la motivazione della sentenza impugnata e la sentenza del 16 settembre 2013, Keramag Keramische Werke e a./Commissione (T‑379/10 e T‑381/10, non pubblicata, EU:T:2013:457) deve essere respinto.

44

Quanto all’argomento della ricorrente secondo il quale il Tribunale non poteva considerare quale elemento a suo carico la dichiarazione fatta dalla Duravit, è giocoforza rilevare che esso risulta da una lettura erronea della sentenza impugnata. Infatti, la menzione di tale dichiarazione, al punto 293 della sentenza impugnata, è intesa unicamente a rispondere ad un argomento delle ricorrenti in primo grado che invoca detta dichiarazione e tende a mettere in discussione la veridicità delle dichiarazioni della Ideal Standard e della Roca. In tal senso, il Tribunale non ha considerato la dichiarazione della Duravit come elemento a carico della ricorrente, come risulta confermato dal punto 295 di detta sentenza, in cui il Tribunale ha affermato che le dichiarazioni della Ideal Standard e della Roca sono sufficienti per dimostrare l’esistenza di un’infrazione all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE.

45

Alla luce di quanto precede, il primo motivo deve essere respinto in quanto infondato.

Sul secondo motivo

Argomenti delle parti

46

Con il suo secondo motivo, che si articola su due capi, la ricorrente sostiene, in primo luogo, che il Tribunale ha violato l’obbligo di motivazione ove, al punto 233 della sentenza impugnata, ha respinto il motivo relativo all’assenza di infrazione in Italia sul postulato erroneo secondo cui non avrebbe contestato il fatto che era venuta a conoscenza dell’attuazione di pratiche anticoncorrenziali sul territorio di tale Stato membro.

47

In secondo luogo, la ricorrente fa valere che la sentenza impugnata viola le regole della logica e il divieto di discriminazione quanto alla valutazione materiale e all’imputazione dell’infrazione asseritamente commessa in Italia. Infatti, al punto 234 della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe imputato alla ricorrente tale infrazione commessa da un terzo sulla base della sua conoscenza dell’infrazione stessa, che era stata dedotta, e questo anche se la ricorrente non avrebbe esercitato un’attività in Italia e non avrebbe partecipato alle riunioni dell’associazione di categoria in detto Stato membro. Orbene, al contempo, le principali censure invocate contro i principali presunti autori della stessa infrazione sarebbero state in gran parte o del tutto respinte in tre altre sentenze relative alla decisione controversa pronunciate in pari data dalla medesima sezione del Tribunale composta dai medesimi giudici.

48

In tal senso, ai punti 335 e seguenti della sentenza del 16 settembre 2013, Duravit e a./Commissione (T‑364/10, non pubblicata, EU:T:2013:477), il Tribunale avrebbe dichiarato che alla Duravit, alla Duravit SA e alla Duravit BeLux SPRL/BVBA non poteva censurarsi né la loro partecipazione alle infrazioni commesse in Italia, né la loro conoscenza delle infrazioni medesime, anche se esse erano presenti nel mercato italiano con l’intermediazione di un’impresa comune.

49

La medesima conclusione potrebbe essere tratta da un’altra sentenza pronunciata dalla medesima sezione con il medesimo giudice relatore, in pari data, relativa alle medesime questioni relative all’Italia, vale a dire la sentenza del 16 settembre 2013, Wabco Europe e a./Commissione (T‑380/10, EU:T:2013:449, punti 70 e seguenti). In tale sentenza, il Tribunale avrebbe infatti indicato che le imprese del gruppo Ideal Standard, nonostante la loro partecipazione, acclarata, a riunioni dell’associazione di categoria in Italia, nel corso delle quali avrebbero avuto luogo discussioni in contrasto con le regole della concorrenza, non dovevano essere coinvolte quanto al periodo dal marzo 1993 al marzo 2000.

50

Una motivazione identica avrebbe parimenti indotto il Tribunale, nella sentenza del 16 settembre 2013, Keramag Keramische Werke e a./Commissione (T‑379/10 e T‑381/10, non pubblicata, EU:T:2013:457, punti 222223), a differenza da quanto ha statuito nella sentenza impugnata, a annullare parzialmente la decisione controversa quanto all’infrazione contestata in Italia.

51

Alla luce delle suesposte considerazioni, la valutazione delle prove compiuta dal Tribunale, al punto 233 della sentenza impugnata, letta in combinato disposto con i punti 66 e seguenti della sentenza stessa, non può essere accolta nel merito.

52

La Commissione chiede che il secondo motivo venga respinto.

Giudizio della Corte

53

Per quanto riguarda il primo capo del secondo motivo, è giocoforza constatare, leggendo il punto 59 del ricorso di annullamento invocato dalla ricorrente a sostegno di detto motivo, che – come il Tribunale ha sostanzialmente rilevato al punto 233 della sentenza impugnata – la ricorrente si è limitata a contestare di essere venuta a conoscenza di pratiche anticoncorrenziali in Italia, senza dedurre alcun argomento a sostegno di tale affermazione e senza che essa si fondi su elementi di prova circostanziati. A ciò si aggiunge che detto punto 59 si riferisce al primo motivo di annullamento, e non al terzo capo del terzo motivo di annullamento, sicché non può censurarsi al Tribunale di non aver risposto, nell’analisi di quest’ultimo capo, ai punti da 231 a 234 della sentenza impugnata.

54

Ne consegue che il primo capo del secondo motivo è infondato.

55

Quanto al secondo capo del secondo motivo, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, una violazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE può risultare non soltanto da un atto isolato, ma anche da una serie di atti o persino da un comportamento continuato, anche quando uno o più elementi di questa serie di atti o di questo comportamento continuato potrebbero altresì costituire, di per sé e considerati isolatamente, una violazione di detta disposizione. Quindi, qualora le diverse azioni facciano parte di un «piano d’insieme», a causa del loro identico oggetto di distorsione del gioco della concorrenza all’interno del mercato comune, la Commissione può imputare la responsabilità di tali azioni in funzione della partecipazione all’infrazione considerata nel suo insieme (v. sentenza del 24 giugno 2015, Fresh Del Monte Produce/Commissione e Commissione/Fresh Del Monte Produce, C‑293/13 P e C‑294/13 P, EU:C:2015:416, punto 156 nonché giurisprudenza ivi citata).

56

Un’impresa che abbia partecipato a una tale infrazione unica e complessa con comportamenti suoi propri, rientranti nella nozione di accordo o di pratica concordata a scopo anticoncorrenziale ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE e miranti a contribuire alla realizzazione dell’infrazione nel suo complesso, può essere quindi responsabile anche dei comportamenti attuati da altre imprese nell’ambito della medesima infrazione per tutto il periodo della sua partecipazione alla stessa. Questa ipotesi ricorre quando è dimostrato che detta impresa intendeva contribuire con il proprio comportamento agli obiettivi comuni perseguiti da tutti i partecipanti e che era al corrente dei comportamenti illeciti previsti o attuati da altre imprese nel perseguire i medesimi obiettivi, oppure che poteva ragionevolmente prevederli ed era pronta ad accettarne il rischio (v. sentenza del 24 giugno 2015, Fresh Del Monte Produce/Commissione e Commissione/Fresh Del Monte Produce, C‑293/13 P e C‑294/13 P, EU:C:2015:416, punto 157 nonché giurisprudenza ivi citata).

57

In tal senso, un’impresa può avere partecipato direttamente al complesso dei comportamenti anticoncorrenziali che compongono l’infrazione unica e continuata, nel qual caso correttamente la Commissione può imputarle la responsabilità di tutti questi comportamenti e, pertanto, di tale infrazione nel suo insieme. Un’impresa può anche avere partecipato direttamente solo ad alcuni dei comportamenti anticoncorrenziali che compongono l’infrazione unica e continuata, ma essere stata al corrente di tutti gli altri comportamenti illeciti previsti o attuati dagli altri partecipanti all’intesa nel perseguire i medesimi obiettivi, o aver potuto ragionevolmente prevederli ed essere stata pronta ad accettarne il rischio. Anche in un caso del genere la Commissione può ben imputare a tale impresa la responsabilità di tutti i comportamenti anticoncorrenziali che compongono tale infrazione e, di conseguenza, dell’infrazione nel suo complesso (v. sentenza del 24 giugno 2015, Fresh Del Monte Produce/Commissione e Commissione/Fresh Del Monte Produce, C‑293/13 P e C‑294/13 P, EU:C:2015:416, punto 158 nonché giurisprudenza ivi citata).

58

Peraltro, ai fini della qualificazione di comportamenti diversi come infrazione unica e continuata, non occorre verificare se essi presentino un nesso di complementarietà nel senso che ciascuno di essi è destinato a far fronte ad una o più conseguenze del gioco normale della concorrenza e se essi contribuiscano, interagendo reciprocamente, alla realizzazione di tutti gli effetti anticoncorrenziali voluti dai rispettivi autori nell’ambito di un piano complessivo diretto ad ottenere un unico obiettivo. Per contro, la condizione relativa alla nozione di obiettivo unico implica che debba verificarsi se non sussistano elementi che caratterizzano i diversi comportamenti costitutivi dell’infrazione che siano suscettibili di indicare che i comportamenti materialmente adottati da altre imprese partecipanti non condividono il medesimo oggetto o il medesimo effetto anticoncorrenziale e non si iscrivono, conseguentemente, in un «piano d’insieme», a causa del loro identico oggetto di distorsione del gioco della concorrenza all’interno del mercato comune (v., in tal senso, sentenza del 19 dicembre 2013, Siemens e a./Commissione, C‑239/11 P, C‑489/11 P e C‑498/11 P, non pubblicata, EU:C:2013:866, punti 247248).

59

Inoltre dalla giurisprudenza della Corte non si può dedurre che l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE riguardi solo le imprese attive nel mercato interessato dalle restrizioni della concorrenza, o in mercati posizionati a monte, a valle o nei pressi del medesimo, oppure le imprese che limitano la loro autonomia di comportamento in un determinato mercato in forza di un accordo o di una pratica concordata. Da una giurisprudenza consolidata della Corte risulta infatti che il testo dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE si riferisce in generale a tutti gli accordi e a tutte le pratiche concordate che, in rapporti orizzontali o verticali, falsano la concorrenza nel mercato comune, indipendentemente dal mercato in cui le parti sono attive, nonché dal fatto che solo il comportamento commerciale di una di esse sia interessato dai termini degli accordi in questione (v., in tal senso, sentenza del 22 ottobre 2015, AC-Treuhand/Commissione, C‑194/14 P, EU:C:2015:717 punti 3435 nonché giurisprudenza ivi citata).

60

Risulta da questa giurisprudenza che il Tribunale poteva, senza incorrere in un errore di diritto, affermare che la ricorrente aveva partecipato ad un’infrazione unica che riguardava, segnatamente, il territorio italiano, dal momento che era venuta a conoscenza dell’attuazione di pratiche anticoncorrenziali su tale territorio, pratiche che facevano parte del piano globale descritto al punto 15 della presente sentenza, e questo nonostante il fatto che detta ricorrente non avesse direttamente attuato tali pratiche.

61

Per quanto riguarda l’argomento relativo alla soluzione accolta nelle sentenze del 16 settembre 2013, Wabco Europe e a./Commissione (T‑380/10, EU:T:2013:449), del 16 settembre 2013, Keramag Keramische Werke e a./Commissione (T‑379/10 et T‑381/10, non pubblicata, EU:T:2013:457), e del 16 settembre 2013, Duravit e a./Commissione (T‑364/10, non pubblicata, EU:T:2013:477), occorre ricordare, come esposto al punto 42 della presente sentenza, che l’obbligo del Tribunale di motivare le sue sentenze, in linea di principio, non può estendersi sino ad imporre che esso giustifichi la soluzione accolta in una causa rispetto a quella accolta in un’altra causa che ha deciso, ancorché si tratti della medesima decisione.

62

Inoltre, il fatto che il Tribunale abbia potuto procedere all’annullamento parziale della decisione controversa nella parte in cui essa riguarda la partecipazione alle infrazioni contestate di taluni altri membri dell’impresa interessata, su alcuni mercati geografici e durante periodi determinati, non è sufficiente a rimettere in questione l’affermazione effettuata nella sentenza impugnata, relativa all’esistenza di un piano d’insieme che riguarda i tre sottogruppi di prodotti e i sei Stati membri interessati a causa dell’identico oggetto dei comportamenti in parola, di distorsione del gioco della concorrenza all’interno del mercato comune. Eventualmente, tali annullamenti parziali possono sfociare solo in una riduzione dell’ammenda imposta a ciascuna delle imprese interessate, ove i mercati geografici in questione siano stati presi considerazione nel calcolo dell’ammenda inflitta a tali imprese.

63

Pertanto, erroneamente la ricorrente sostiene che il Tribunale sia incorso in un errore di diritto nel respingere il suo motivo attinente all’assenza di infrazione in Italia mentre ha considerato che la partecipazione a tale infrazione di alcune delle imprese presenti sul mercato italiano non era dimostrata, in tutto o in parte, durante tutti i periodi presi in considerazione dalla Commissione.

64

Ne consegue che il secondo capo del secondo motivo non è fondato.

65

Occorre pertanto respingere il secondo motivo in quanto infondato.

Sul terzo motivo

Argomenti delle parti

66

Con il primo capo del suo terzo motivo, la ricorrente censura, in sostanza, il fatto che il Tribunale abbia illegittimamente riconosciuto il legittimo interesse della Commissione ad accertare un’infrazione prescritta commessa nei Paesi Bassi, in violazione delle sue competenze ai sensi dell’articolo 263 TFUE e dell’obbligo di motivazione previsto dall’articolo 296, secondo comma, TFUE. Il presente procedimento, infatti, non riguarderebbe una situazione nella quale sussista un interesse siffatto.

67

Con il secondo capo del suo terzo motivo, la ricorrente sostiene che sussista una contraddizione manifesta tra il punto 2 del dispositivo e i motivi della sentenza impugnata. Infatti, mentre la Commissione aveva inizialmente preso in considerazione un’infrazione continuata di una durata di più di cinque anni nei Paesi Bassi, il Tribunale avrebbe poi affermato, al punto 321 della sentenza impugnata, che la ricorrente poteva essere sanzionata per l’infrazione commessa in tale Stato membro solo per i periodi che vanno, da una parte, dal 26 novembre 1996 al 1o dicembre 1997 e, dall’altra, dal20 gennaio al 1o dicembre 1999. Secondo le sue stesse osservazioni, il Tribunale avrebbe dovuto, come è stato fatto, relativamente all’infrazione commessa in Germania, al punto 2 del dispositivo della sentenza impugnata, annullare la decisione controversa a tal riguardo, ove è in essa indicato che la ricorrente ha partecipato nei Paesi Bassi a un’intesa nel settore delle ceramiche sanitarie per una durata superiore ai summenzionati periodi. Orbene, il Tribunale avrebbe omesso di tenerne conto, ciò che costituisce un errore di diritto che deve, conseguentemente, portare all’annullamento, quantomeno parziale, della sentenza impugnata.

68

La Commissione chiede che il terzo motivo venga respinto.

Giudizio della Corte

69

Per rispondere al primo capo del terzo motivo, per quanto riguarda, in primo luogo, l’argomento della ricorrente relativo alla violazione dell’articolo 263 TFUE, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, dall’articolo 256 TFUE, dall’articolo 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, nonché dall’articolo 169, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte risulta che un’impugnazione deve indicare in modo preciso gli elementi contestati della sentenza di cui si chiede l’annullamento nonché gli argomenti di diritto dedotti a specifico sostegno di tale domanda. Non risponde a questo requisito il ricorso d’impugnazione che, senza neppure contenere un argomento specificamente inteso ad individuare l’errore di diritto che vizierebbe la sentenza impugnata, si limiti a riprodurre i motivi e gli argomenti già dedotti dinanzi al Tribunale (v., in tal senso, sentenze del 30 giugno 2005, Eurocermex/UAMI, C‑286/04 P, EU:C:2005:422, punti 4950, nonché del 12 settembre 2006, Reynolds Tobacco e a./Commissione, C‑131/03 P, EU:C:2006:541, punti 4950).

70

Orbene, la ricorrente non espone le ragioni per cui ritiene che il Tribunale abbia violato le sue competenze ai sensi dell’articolo 263 TFUE nell’affermare che, nella specie, la Commissione disponeva di un legittimo interesse ad accertare l’infrazione commessa nei Paesi Bassi.

71

Pertanto, questo argomento è irricevibile.

72

Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’argomento della ricorrente relativo alla violazione dell’obbligo di motivazione, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, il Tribunale non è tenuto a fornire una spiegazione che ripercorra esaustivamente e singolarmente tutti i ragionamenti svolti dalle parti della controversia, purché la motivazione consenta agli interessati di conoscere le ragioni per le quali non ha accolto i loro argomenti ed alla Corte di disporre degli elementi sufficienti per esercitare il suo controllo giurisdizionale (v., segnatamente, sentenze del 2 aprile 2009, Bouygues e Bouygues Télécom/Commissione, C‑431/07 P, EU:C:2009:223, punto 42, nonché del 22 maggio 2014, Armando Álvarez/Commissione, C‑36/12 P, EU:C:2014:349, punto 31).

73

Orbene, dopo aver ricordato che, conformemente all’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003 e a costante giurisprudenza, la Commissione può, ove disponga di un legittimo interesse, accertare la commissione di un’infrazione che non può più dar luogo alla condanna al pagamento di un’ammenda a causa della prescrizione, il Tribunale, al punto 304 della sentenza impugnata, ha affermato che la Commissione era titolare di un siffatto interesse nella specie. Infatti, per rafforzare la sua affermazione secondo cui era stata commessa un’infrazione unica, la Commissione, secondo il Tribunale, aveva un legittimo interesse ad accertare l’insieme delle pratiche illecite alle quali imprese come la ricorrente – che essa ha considerato parte del «gruppo centrale di imprese» che ha attuato l’infrazione censurata – avrebbero partecipato, anche per i periodi che potrebbero essere considerati coperti dalla prescrizione.

74

Così procedendo, il Tribunale, che non era tenuto a rispondere all’insieme delle affermazioni della ricorrente, ha motivato la sentenza impugnata a sufficienza di diritto.

75

Ne consegue che il primo capo del terzo motivo è parzialmente irricevibile e parzialmente infondato.

76

Per quanto riguarda il secondo capo di questo motivo, relativo alla contraddittorietà tra i motivi e il punto 2 del dispositivo della sentenza impugnata, che non rispecchierebbe le affermazioni compiute dal Tribunale al punto 321 di tale sentenza, occorre sottolineare che esse non invalidano l’affermazione, di cui al punto 2 di detto dispositivo, secondo la quale la ricorrente ha partecipato, a far data dal 12 ottobre 1994, a un’infrazione unica nel settore delle ceramiche sanitarie e rubinetteria in Belgio, in Germania, in Francia, in Italia, nei Paesi Bassi e in Austria, ove il Tribunale ha rilevato che le infrazioni in parola avevano iniziato da tale data in quest’ultimo Stato membro. Del resto, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, se il Tribunale ha parzialmente annullato la decisione controversa nella causa T‑374/10, questo non dipende dal fatto che la Commissione sarebbe incorsa in un errore di valutazione quanto all’infrazione commessa in Germania, ma dipende proprio dal fatto che la Commissione non aveva dimostrato a sufficienza di diritto che la ricorrente aveva partecipato a un’infrazione nei Paesi Bassi dal 28 settembre 1994, come risulta chiaramente dalla lettura congiunta dei punti 321 e 395 della sentenza impugnata.

77

Ne consegue che il secondo capo del sesto motivo è infondato.

78

Sulla base delle considerazioni che precedono, il terzo motivo deve essere respinto in quanto in parte irricevibile e in parte infondato.

Sul quarto motivo

Argomenti delle parti

79

Con il suo quarto motivo, che si articola su quattro capi, la ricorrente fa valere, in primo luogo, che le affermazioni che essa ha compiuto nel contesto del procedimento relativo ai fatti compiuti in Belgio sono state riportate in modo non corretto, il che ha comportato un errore di motivazione della sentenza impugnata in contrasto con l’articolo 296, secondo comma, TFUE. I motivi considerati dal Tribunale, ai punti 243 e seguenti di detta sentenza, si fonderebbero, effettivamente, sull’ipotesi scorretta secondo la quale il sig. Z. faceva ancora parte del personale della Villeroy & Boch Belgium dopo il 1o gennaio 2003. In realtà, come la ricorrente avrebbe esposto in udienza dinanzi al Tribunale e come lo stesso avrebbe constatato, il sig. Z. non avrebbe più avuto, da questa data, alcun legame organizzativo o risultante da un contratto di lavoro con la Villeroy & Boch Belgium, ciò che esclude, di conseguenza, qualsivoglia imputazione dei fatti alla ricorrente.

80

In secondo luogo, la ricorrente sostiene, in subordine, che il Tribunale ha violato l’articolo 101 TFUE nel considerare che la Villeroy & Boch Belgium avesse partecipato a un’infrazione relativa agli articoli in ceramica in Belgio, mentre essa non era più attiva su tale mercato dalla fine del 2002. In particolare, il Tribunale non avrebbe indicato con quali «azioni» tale società avrebbe potuto, dopo il suo ritiro dal mercato, coordinarsi con gli altri partecipanti all’intesa per limitare la concorrenza su tale mercato. Alla luce della motivazione adottata dal Tribunale nelle sentenze del 16 settembre 2013, Wabco Europe e a./Commissione (T‑380/10, EU:T:2013:449, punti 79 e segg.), nonché del 16 settembre 2013, Keramag Keramische Werke e a./Commissione (T‑379/10 e T‑381/10, non pubblicata, EU:T:2013:457, punti 222 e segg.), non sarebbe possibile imputare alla Villeroy & Boch Belgium, o indirettamente alla ricorrente, la responsabilità di fatti di terzi, che sarebbero stati compiuti dopo la data di tale ritiro. Come sarebbe stato indicato dal Tribunale in tali sentenze, una siffatta censura avrebbe imposto che fossero provati gli altri elementi costitutivi dell’infrazione unica, più precisamente la concordanza dell’«oggetto» o dell’«effetto» delle restrizioni della concorrenza sul mercato belga, condizione che tuttavia non sarebbe manifestamente soddisfatta nella presente controversia. In ogni caso, la valutazione contraddittoria dei fatti nella sentenza impugnata e nella sentenza del 16 settembre 2013, Wabco Europe e a./Commissione (T‑380/10, EU:T:2013:449), costituirebbe una violazione del principio di parità di trattamento a danno della ricorrente.

81

In terzo luogo, per quanto riguarda la prova dell’esistenza di pratiche concertate alle riunioni del 28 e del 29 aprile 2003 in Belgio, il Tribunale avrebbe riconosciuto, al punto 271 della sentenza impugnata, che la produzione delle prove sia limitata all’osservazione secondo la quale l’assenza di fissazione di una percentuale unica di concessione di bonus ai grossisti «non consente di escludere che la concorrenza sia stata falsata in conseguenza dello scambio di informazioni in questione». Tuttavia, anche se si dovesse ritenere che tale tesi del Tribunale sia fondata, ciò non sarebbe logicamente sufficiente ad apportare la prova dell’infrazione. Sussisterebbe una violazione dell’obbligo di motivazione, ai sensi dell’articolo 296, secondo comma, TFUE, o una violazione del principio in dubio pro reo di cui all’articolo 48, paragrafo 1, della carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

82

In quarto luogo la sentenza impugnata sarebbe viziata, ai punti 272 e 274, da un errore di diritto ove si assume un’infrazione unica, complessa e continuata quanto all’insieme delle infrazioni contestate sul mercato belga delle ceramiche sanitarie.

83

I fatti accertati dalla Commissione sulla base della riunione del VCG non consentirebbero, infatti, di concludere che tutto il periodo dell’infrazione preso in considerazione debba essere interpretato come costitutivo di un’infrazione unica. Al contrario, dopo la riunione del VCG del 28 e 29 aprile 2003, sarebbe stata osservata un’interruzione manifesta che avrebbe ostacolato una fusione, sul piano giuridico, delle riunioni precedenti e successive per formare un’infrazione unica e continuata.

84

La Commissione chiede che il quarto motivo venga respinto.

Giudizio della Corte

85

Per quanto riguarda, in primo luogo, il primo capo del quarto motivo, relativo alla violazione dell’obbligo di motivazione in quanto il Tribunale non avrebbe tenuto conto dell’affermazione della ricorrente secondo cui il sig. Z. non aveva più alcun legame con la Villeroy & Boch Belgium dal 1o gennaio 2003, occorre rilevare che, durante la fase scritta del procedimento dinanzi al Tribunale, la ricorrente si era limitata a segnalare, per contestare la propria partecipazione all’intesa in Belgio da questa data, che la Villeroy & Boch Luxembourg «aveva ripreso, alla fine del 2002, l’impresa di ceramica della società belga». Pertanto, è solo nel corso della fase orale del procedimento dinanzi al Tribunale che la ricorrente ha sostenuto espressamente, per la prima volta, che non poteva essere considerata responsabile di un comportamento anticoncorrenziale sul mercato belga degli articoli in ceramica dal 1o gennaio 2003 in quanto la persona che ha partecipato alle riunioni dell’intesa, vale a dire il sig. Z., da tale data era dipendente non più della Villeroy & Boch Belgium, ma della Villeroy & Boch Luxembourg.

86

Orbene, a termini dell’articolo 48, paragrafo 2, del regolamento di procedura del Tribunale, è vietata la deduzione di motivi nuovi in corso di causa, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento. Pertanto, l’argomento della ricorrente dedotto all’udienza dinanzi al Tribunale era manifestamente irricevibile, dato che verteva su un motivo nuovo fondato su un elemento di fatto del quale la ricorrente era la prima ad essere stata informata e che non era emerso durante il procedimento.

87

Certamente il Tribunale non si è pronunciato espressamente quanto alla ricevibilità o alla fondatezza di tale argomento. Tuttavia, conformemente alla giurisprudenza della Corte, non si può esigere che esso, ogni volta che una parte fa valere, nel corso del procedimento, un motivo nuovo che non risponda manifestamente ai requisiti dell’articolo 48, paragrafo 2, del suo regolamento di procedura, chiarisca nella sua sentenza le ragioni per le quali tale motivo è irricevibile ovvero che lo esamini nel merito (v., segnatamente, sentenza del 20 marzo 2014, Rousse Industry/Commissione, C‑271/13 P, non pubblicata, EU:C:2014:175, punto 22 e giurisprudenza ivi citata).

88

Ne deriva che il Tribunale non ha violato l’obbligo di motivazione affermando, al punto 248 della sentenza impugnata, senza tener conto dell’affermazione tardiva della ricorrente secondo la quale il sig. Z. non era più, a far data dal 1o gennaio 2003, dipendente della Villeroy & Boch Belgium e senza chiarire per quale ragione tale affermazione era manifestamente irricevibile, che la partecipazione del sig. Z. alle riunioni dell’intesa «dimostra che Villeroy & Boch Belgium continuava a partecipare attivamente all’infrazione nel suo interesse nonché in quello dell’impresa, ai sensi del diritto della concorrenza, di cui faceva parte».

89

Pertanto, il primo capo del quarto motivo è infondato.

90

Per quanto riguarda, in secondo luogo, il secondo capo di questo motivo, attinente alla violazione dell’articolo 101 TFUE, occorre sottolineare che la ricorrente non rimette in questione l’affermazione del Tribunale secondo cui le riunioni del VCG prima e dopo il 1o gennaio 2003 avevano un carattere illecito, ma ritiene che erroneamente il Tribunale abbia statuito che essa aveva partecipato all’infrazione, mentre la Villeroy & Boch Belgium non era più attiva sul mercato belga degli articoli in ceramica dalla fine del 2002.

91

Orbene, dalla giurisprudenza citata al punto 59 della presente sentenza risulta che correttamente che il Tribunale, al punto 242 della sentenza impugnata, ha affermato che un’impresa può violare il divieto previsto dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE quando il suo comportamento, coordinato con quello di altre imprese, ha per obiettivo di restringere la concorrenza su un mercato rilevante particolare, senza che ciò presupponga necessariamente che essa stessa sia attiva su tale mercato.

92

A tal riguardo, occorre precisare che, da una parte, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, il Tribunale ha dimostrato che la Villeroy & Boch Belgium aveva partecipato attivamente all’infrazione contestata. In tal senso, ai punti 244 e 248 della sentenza impugnata, ha sottolineato che la partecipazione ininterrotta del sig. Z. per conto della Villeroy & Boch Belgium alle riunioni del VCG, di cui la ricorrente non contesta il carattere illecito, prima e dopo il 1o gennaio 2003, vale a dire anche dopo la cessazione di ogni attività da parte di detta società sul mercato degli articoli in ceramica, dimostrava la partecipazione attiva di quest’ultima all’infrazione. D’altra parte, contrariamente a quanto fa valere la ricorrente, i diversi comportamenti contestati ai partecipanti a tale infrazione, tra i quali la Villeroy & Boch Belgium, sono stati esposti dettagliatamente ai punti da 255 a 277 della sentenza impugnata.

93

Risulta dalle suesposte considerazioni che l’argomento della ricorrente secondo il quale la Villeroy & Boch Belgium aveva cessato ogni attività nel settore degli articoli in ceramica dalla fine del 2002 deve essere respinto.

94

In considerazione della giurisprudenza citata al punto 42 della presente sentenza, tale conclusione non può essere rimessa in questione alla luce della soluzione accolta nelle sentenze del 16 settembre 2013, Wabco Europe e a./Commissione (T‑380/10, EU:T:2013:449, punto 84), e del 16 settembre 2013, Keramag Keramische Werke e a./Commissione (T‑379/10 e T‑381/10, non pubblicata, EU:T:2013:457, punti 220 e segg.).

95

Ne consegue che il secondo capo del quarto motivo è infondato.

96

Infine, per quanto riguarda, in terzo luogo, gli argomenti dedotti dalla ricorrente nel contesto del terzo e del quarto capo di tale motivo, occorre osservare che, con tali argomenti, la ricorrente intende essenzialmente, sotto l’apparenza di affermazioni di errori di diritto commessi dal Tribunale, contestare la valutazione delle prove relative alle diverse riunioni illecite, che ricade nella competenza esclusiva del Tribunale. Tali argomenti devono quindi essere respinti in quanto irricevibili.

97

Sulla base delle considerazioni che precedono, il quarto motivo deve essere respinto in quanto in parte irricevibile e in parte infondato.

Sul quinto motivo

Argomenti delle parti

98

Con il suo quinto motivo, la ricorrente fa valere che la sentenza impugnata viola l’articolo 101 TFUE ove conferma l’esistenza di un’infrazione commessa nel corso degli anni dal 2002 al 2004 in Germania.

99

Per quanto riguarda, più in particolare, la prova di pratiche anticoncorrenziali relative ai box doccia durante il 2002, la ricorrente considera che il ragionamento del Tribunale ai punti 116 e 117 della sentenza impugnata è viziato da un errore di diritto, in quanto non prende in considerazione le affermazioni contenute al punto 135 del suo ricorso di annullamento e al punto 49 della sua memoria di replica dinanzi al Tribunale. Quest’ultimo sarebbe incorso, inoltre, in un errore di diritto nel qualificare quale scambio illecito di informazioni commerciali sensibili una discussione tra concorrenti relativa alla data di invio dei nuovi elenchi di prezzi annuali.

100

Per quanto riguarda la prova di comportamenti anticoncorrenziali nel settore degli articoli in ceramica nel corso del 2002, la ricorrente ritiene che il Tribunale non potesse, al punto 143 della sentenza impugnata, affermare che essa non aveva interrotto la sua partecipazione alle pratiche illecite per il 2002 argomentando che gli effetti anticoncorrenziali delle discussioni illecite che avevano avuto luogo nel 2001 si sarebbero dispiegati nel corso del 2002 e che essa non si sarebbe distanziata pubblicamente da tali discussioni né da quelle che si sono svolte nel corso del 2003, e questo anche se, come rilevato dal Tribunale, non sussisteva una prova diretta dello svolgimento di riunioni illecite nel corso del 2002.

101

Per quanto riguarda i comportamenti contestati nel mercato degli articoli in ceramica per il 2003, la ricorrente fa valere che il punto 144 della sentenza impugnata snatura le sue affermazioni quanto alla prova della sua partecipazione alle riunioni del FSKI del 17 gennaio 2003 nonché del 4 e del 5 luglio 2003, violando in tal modo l’articolo 101 TFUE e il diritto a un equo processo. Il Tribunale, infatti, avrebbe indicato che non è stato contestato dalla ricorrente che, secondo il verbale di quest’ultima riunione, «i produttori di articoli in ceramica si erano accordati perché l’aumento dei costi dei pedaggi autostradali non fosse sostenuto unicamente dai produttori di articoli in ceramica, ma si ripercuotessero sui loro clienti», e che la ricorrente non ha contestato «la credibilità» di questo verbale, il che sarebbe scorretto e in assoluto contrasto con gli argomenti chiaramente invocati dalla ricorrente dinanzi al Tribunale.

102

Inoltre, il Tribunale non avrebbe esposto, al punto 145 della sentenza impugnata, sotto qual profilo gli scambi svoltisi nel corso di tali riunioni avrebbero comportato una riduzione effettiva dei segreti relativi alla concorrenza in ragione dell’eliminazione di incertezze pertinenti riguardo alla concorrenza, né quali aspetti delle informazioni scambiate sarebbero costitutivi di tali segreti. Orbene, dal momento che, come la ricorrente avrebbe esposto dinanzi al Tribunale, nel caso di specie, le informazioni scambiate erano di notorietà pubblica, tali scambi non possono essere qualificati come intesa illecita vietata ai sensi dell’articolo 101 TFUE.

103

Del pari, l’esistenza di un’infrazione relativa ai box doccia e agli articoli in ceramica commessa nel corso del 2004 non sarebbe stata acclarata. Infatti, per dimostrare la partecipazione della ricorrente a tale infrazione, il Tribunale, ai punti 121 e 148 della sentenza impugnata, si sarebbe fondato esclusivamente sul fatto che i membri di IndustrieForum Sanitär e di Freundeskreis der deutschen Sanitärindustrie, nel corso di una riunione organizzata il 20 luglio 2004, «si erano scambiati informazioni commerciali dettagliate, società per società, relative all’evoluzione dei loro fatturati in Germania e alle loro esportazioni nonché con riguardo alle loro previsioni di crescita» e, in particolare, sul fatto che la ricorrente avrebbe indicato che il suo fatturato era aumentato del 5,5%, che le esportazioni stavano aumentando e che le sue previsioni erano di un aumento del 5% del suo fatturato in Germania.

104

Orbene, da una parte, la sentenza impugnata sarebbe viziata da un difetto di motivazione in quanto il Tribunale non avrebbe esposto le ragioni per cui considerava che le discussioni che si erano svolte durante detta riunione del 20 luglio 2004 potevano ridurre i segreti relativi alla concorrenza tutelati ai sensi dell’articolo 101 TFUE.

105

Dall’altra, è impossibile, secondo la ricorrente, che la comunicazione a concorrenti o a terzi non concorrenti del fatturato totale registrato nel corso dell’esercizio precedente di un’impresa o di un gruppo, lo scambio di informazioni sull’aumento delle esportazioni o, ancora, la comunicazione delle previsioni in termini di aumento del fatturato o di statistiche sulla sua evoluzione possano essere qualificati come violazione dell’articolo 101 TFUE. Tali dati commerciali, infatti, non consentirebbero, di per sé, di trarre alcuna conclusione quanto alle pratiche dell’impresa interessata sul mercato, alla redditività delle operazioni che essa realizza o alla strategia prevista per conseguire gli obiettivi di evoluzione del fatturato. In tal senso, nessun operatore sul mercato potrebbe, sulla base delle informazioni scambiate, anticipare con maggiore certezza il comportamento commerciale futuro dei suoi concorrenti sul mercato. Inoltre, alcuni di questi dati sarebbero pubblicati regolarmente e rapidamente da praticamente tutte le imprese, ove una siffatta pubblicazione, nella maggior parte dei casi, è obbligatoria in forza delle disposizioni di diritto commerciale, del diritto dei mercati di capitali e delle regole applicabili in materia di concentrazione.

106

La Commissione chiede che il quinto motivo venga respinto.

Giudizio della Corte

107

Alla luce della giurisprudenza esposta al punto 38 della presente sentenza, gli argomenti dedotti dalla ricorrente nel contesto del suo quinto motivo sono irricevibili nella parte in cui sono intesi ad ottenere una nuova valutazione dei fatti e degli elementi di prova quanto alle infrazioni commesse in Germania nel corso degli anni dal 2002 al 2004.

108

Quanto al resto, occorre sottolineare, per quanto riguarda, in primo luogo, i comportamenti relativi ai box doccia durante il 2002, da una parte, che erroneamente la ricorrente contesta al Tribunale di non aver risposto alle sue affermazioni contenute al punto 135 del suo ricorso di annullamento e al punto 49 della sua memoria di replica dato che, come rilevato dalla Commissione, tali affermazioni erano relative all’infrazione commessa in Austria e non in Germania.

109

D’altra parte, l’argomento della ricorrente secondo il quale il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto nel qualificare come scambio illecito una discussione tra concorrenti relativa alla data di invio dei nuovi elenchi dei prezzi annuali deriva da una lettura erronea della sentenza impugnata. Infatti, ai punti 116 e 117 di tale sentenza, il Tribunale si è limitato ad affermare che da tale scambio di informazioni risultava che la ricorrente e le sue concorrenti non avevano cessato, tra il 2001 e il 2003, di scambiare informazioni commerciali sensibili. In tal senso, il Tribunale non ha statuito che detto scambio violava, di per sé, l’articolo 101 TFUE.

110

Per quanto riguarda, in secondo luogo, gli argomenti della ricorrente relativi ai comportamenti commessi nel settore degli articoli in ceramica nel corso del 2002, il Tribunale ha affermato, al punto 143 della sentenza impugnata, che, nonostante l’assenza di prove dirette della partecipazione della ricorrente a riunioni illecite nel corso di tale anno, la Commissione poteva validamente considerare che essa non aveva interrotto la sua partecipazione all’infrazione censurata nel corso di questo stesso anno. A tal riguardo, il Tribunale ha infatti constatato, da una parte, che gli effetti anticoncorrenziali delle discussioni illecite che si erano svolte nel corso del 2001 quanto agli aumenti dei prezzi per il 2002 – riunioni alle quali la ricorrente ha partecipato – si erano dispiegati nel corso di quest’ultimo anno e, d’altra parte, che la ricorrente aveva partecipato a discussioni illecite relative agli aumenti dei prezzi nel corso del 2001 e del 2003 e non se ne era pubblicamente distanziata.

111

Orbene, come risulta da costante giurisprudenza della Corte, nella maggior parte dei casi, l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale dev’essere dedotta da un certo numero di coincidenze e di indizi, i quali, considerati nel loro insieme, possono rappresentare, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle regole sulla concorrenza. Pertanto, per quanto riguarda, in particolare, un’infrazione estesa su più anni, la circostanza che non sia stata fornita la prova diretta della partecipazione di una società a tale infrazione durante un periodo di tempo determinato non impedisce che tale partecipazione durante questo stesso periodo sia constatata, purché tale constatazione si fondi su indizi obiettivi e concordanti, ove l’assenza di dissociazione pubblica di tale società può essere presa in considerazione al riguardo (v., in tal senso, sentenza del 17 settembre 2015, Total Marketing Services/Commissione, C‑634/13 P, EU:C:2015:614, punti da 26 a 28 e giurisprudenza ivi citata).

112

Alla luce di tale giurisprudenza e delle constatazioni in punto di fatto del Tribunale esposte al punto 110 della presente sentenza, è senza incorrere in errore di diritto o di motivazione che quest’ultimo ha statuito che poteva ritenersi che la ricorrente avesse mantenuto la sua partecipazione all’intesa in parola durante il 2002.

113

Per quanto riguarda, in terzo luogo, il 2003, occorre sottolineare, da una parte, che la circostanza che, contrariamente a quanto avrebbe indicato il Tribunale al punto 144 di questa sentenza, la ricorrente avrebbe contestato, al punto 115 del suo ricorso di annullamento, l’interpretazione del resoconto della riunione del FSKI del 4 e del 5 luglio 2003 fatta dalla Commissione, non è tale da mettere in questione, di per sé, le constatazioni in punto di fatto del Tribunale.

114

Per quanto riguarda, d’altra parte, la fondatezza delle affermazioni effettuate al punto 145 della sentenza impugnata, occorre rilevare che, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, il Tribunale non ha considerato che ogni scambio di informazioni tra concorrenti poteva violare l’articolo 101 TFUE e ha esposto le ragioni per le quali considerava che le discussioni che si erano svolte alla riunione del FSKI del 4 e 5 luglio 2003 avessero un carattere anticoncorrenziale. A tal riguardo, il Tribunale non ha commesso un errore di diritto nel considerare che discussioni nel corso delle quali i produttori di articoli in ceramica si sono accordati affinché l’aumento dei costi di pedaggio autostradale si ripercuotesse sui clienti, sopprimendo il grado di incertezza tra i concorrenti e corrispondendo a un coordinamento sui prezzi, sicché esse costituiscono una pratica anticoncorrenziale, e questo anche se una siffatta ripercussione fosse stata prevedibile dai terzi o dal pubblico.

115

Per quanto riguarda, poi, il 2004, occorre, da una parte, respingere l’argomento della ricorrente relativo a un difetto di motivazione della sentenza impugnata. Infatti, contrariamente a quanto quest’ultima fa valere, il Tribunale ha esposto, ai punti 123 e 149 della sentenza impugnata, le ragioni in forza delle quali considerava che gli scambi di informazioni di cui ai punti 121 e 148 di tale sentenza fossero anticoncorrenziali. In tal senso, il Tribunale ha sottolineato che tali scambi intervenivano a sostegno del coordinamento degli aumenti di prezzi deciso nel corso del 2003 per il 2004 e che erano tali da consentire alla ricorrente e alle sue concorrenti di anticipare con maggiore certezza il loro rispettivo comportamento commerciale futuro sul mercato. Così facendo, il Tribunale ha motivato la sentenza impugnata.

116

Per quanto riguarda, d’altra parte, la fondatezza di tali affermazioni del Tribunale, è sufficiente rilevare che la ricorrente non rimette in questione l’affermazione del Tribunale di cui ai punti 123 e 149 della sentenza impugnata, secondo la quale gli scambi indicati ai punti 121 e 148 di detta sentenza sono anticoncorrenziali in quanto intervengono a sostegno del coordinamento degli aumenti di prezzi deciso nel corso del 2003 per il 2004, ove nemmeno l’esistenza di un siffatto coordinamento risulta contestata dalla ricorrente nell’ambito della presente impugnazione. Dato che un tale elemento è sufficiente per accertare l’esistenza di un’infrazione, gli argomenti della ricorrente secondo i quali detti scambi, in quanto tali, non sono costitutivi di una violazione delle regole di concorrenza, sono inconferenti.

117

Di conseguenza, il quinto motivo dev’essere respinto in quanto in parte irricevibile, in parte inconferente e in parte infondato.

Sul sesto motivo

Argomenti delle parti

118

Con il suo sesto motivo la ricorrente, quanto alle infrazioni asseritamente commesse in Austria nel corso del periodo compreso tra il 12 ottobre 1994 e il 9 novembre 2004, fa valere che le affermazioni del Tribunale non sono corrette e devono essere annullate.

119

Per quanto riguarda, più in particolare, il 1994, il Tribunale, ai punti 175 e 176 della sentenza impugnata, avrebbe compiuto un’interpretazione estensiva delle affermazioni della Commissione, modificando in tal modo la motivazione della decisione controversa in violazione dell’articolo 296, secondo comma, TFUE. Infatti, contrariamente a quanto avrebbe statuito il Tribunale, la Commissione non avrebbe rilevato, ai punti da 299 a 301 di detta decisione, che durante le riunioni dell’ASI svoltesi nel corso del 1994, non erano in questione solo i box doccia e gli articoli di rubinetteria, bensì parimenti gli articoli in ceramica per i bagni.

120

Per quanto riguarda gli anni dal 1995 al 1997, il Tribunale, ai punti 185, 190 e 196 della sentenza impugnata, avrebbe osservato che la Villeroy & Boch Austria ha partecipato a discussioni illecite nel corso delle riunioni svoltesi il 16 novembre 1995, il 23 aprile 1996 e il 15 ottobre 1997.

121

Tuttavia, quanto alla riunione svoltasi il 16 novembre 1995, la ricorrente sostiene, in sostanza, che tale conclusione sia viziata da errori di diritto, se non altro perché il Tribunale non ha risposto a tutti i suoi argomenti. Le osservazioni del Tribunale, ai punti 189 e seguenti della sentenza impugnata, quanto alla riunione del 23 aprile 1996, secondo le quali rileva poco che la discussione in parola sia stata organizzata su domanda dei grossisti, sarebbero parimenti viziate da errori di diritto, dal momento che sussiste una spiegazione alternativa assolutamente lecita alle pratiche contestate, secondo la quale i grossisti nel settore degli articoli sanitari esigevano espressamente l’introduzione di elenchi di prezzi annuali a talune date al fine di poter pubblicare i loro cataloghi. Quanto alla riunione del 15 ottobre 1997, il Tribunale, al punto 194 della sentenza impugnata, avrebbe inoltre superato i limiti del controllo di legittimità previsto dall’articolo 263 TFUE nel fondarsi su motivi che non risulterebbero nella comunicazione degli addebiti della Commissione.

122

Per l’anno 1998, le osservazioni del Tribunale, ai punti 197 e seguenti della sentenza impugnata, quanto alla dedotta partecipazione della Villeroy & Boch Austria a un’infrazione al diritto delle intese, sarebbero parimenti viziate da errori di diritto in quanto contraddittorie. Il Tribunale, infatti, avrebbe osservato, ai punti da 197 a 202 di detta sentenza, che la Commissione non ha apportato la prova della partecipazione della Villeroy & Boch Austria a discussioni in contrasto con il diritto della concorrenza nel corso del 1998. In particolare, la testimonianza della Masco non avrebbe consentito di provare una siffatta partecipazione. Sarebbe illogico che il Tribunale si fondi, poi, sulla medesima testimonianza della Masco, al punto 203 della stessa sentenza, per provare che la Villeroy & Boch non ha preso le distanze dalle pratiche illecite nel corso del 1998. Il Tribunale avrebbe pertanto parimenti violato i principi di diritto fissati dalla giurisprudenza, secondo i quali un insieme di indizi può essere sufficiente a dimostrare il contrasto con il diritto della concorrenza di una riunione solo quando dimostra il carattere sistematico delle riunioni nonché il loro contenuto anticoncorrenziale e ciò sia suffragato dalla dichiarazione di un’impresa che possegga un rilevante valore probatorio. Nella causa in esame nessuna di queste due condizioni sarebbe soddisfatta.

123

Per quanto riguarda il 1999, le conclusioni del Tribunale, al punto 208 della sentenza impugnata, secondo le quali la prova apportata dalla Commissione, vale a dire il verbale manoscritto della riunione dell’ASI del 6 settembre 1999 redatto dalla Ideal Standard, dimostra a sufficienza di diritto la partecipazione della Villeroy & Boch a discussioni illecite, sarebbero viziate da errori di diritto. Infatti, la testimonianza di un’impresa che ha chiesto una riduzione dell’ammenda ai sensi della comunicazione del 2002 sul trattamento favorevole non può costituire una prova sufficiente dell’esistenza di un’infrazione ove la sua esattezza sia contestata da diverse altre imprese accusate.

124

Per quanto riguarda il 2000, il Tribunale avrebbe ritenuto, fondandosi sul resoconto della riunione dell’ASI del 12 e del 13 ottobre 2000 al punto 214 della sentenza impugnata che, nonostante l’assenza di prove dirette della partecipazione della Villeroy & Boch Austria ai comportamenti anticoncorrenziali nel corso di tale anno, «occorre rilevare che gli effetti delle discussioni illecite, che si sono svolte nel 1999, si sono dispiegati durante il 2000». Orbene, tale resoconto, di cui il Tribunale compie del resto un’interpretazione erronea, non costituirebbe una prova sufficiente al riguardo.

125

Per quanto riguarda il 2001, il Tribunale avrebbe riconosciuto, ai punti da 214 a 218 della sentenza impugnata, la partecipazione della Villeroy & Boch Austria alle discussioni illecite sulla base dell’unico rilievo secondo il quale le discussioni illecite dedotte nel corso del 2000 avrebbero continuato a produrre i loro effetti. Per motivare le sue osservazioni, il Tribunale si sarebbe limitato a un rinvio ai punti da 652 a 658 della decisione controversa, senza chiarire sotto qual profilo le osservazioni alle quali rinvia sono convincenti.

126

Per quanto riguarda gli anni 2002 e 2003, il Tribunale non avrebbe tenuto conto delle affermazioni della ricorrente.

127

Per quanto riguarda, infine, il 2004, le osservazioni del Tribunale al punto 228 della sentenza impugnata sarebbero contraddittorie e viziate da errori di diritto. Infatti, il Tribunale, in tale punto, avrebbe ritenuto che la Villeroy & Boch Austria, che non ha partecipato alla riunione dell’ASI del 22 gennaio 2004, fosse stata informata, dal resoconto di tale riunione, delle decisioni adottate dai suoi concorrenti nel corso di queste ultime, mentre, al punto 212 della sentenza impugnata, il Tribunale ha considerato che il fatto che i verbali delle riunioni dell’ASI dovessero, in linea di principio, essere inviati a tutti i membri di tale associazione non consentiva di dimostrare, di per sé, che la Villeroy & Boch Austria ne avesse effettivamente preso conoscenza.

128

La Commissione chiede che il sesto motivo venga respinto.

Giudizio della Corte

129

Con il suo sesto motivo, la ricorrente invoca diversi errori nelle affermazioni del Tribunale quanto alle infrazioni asseritamente commesse in Austria tra il 12 ottobre 1994 e il 9 novembre 2004.

130

Per quanto riguarda, in primo luogo, gli argomenti della ricorrente relativi al 1994, è giocoforza rilevare che, nella specie, la ricorrente si limita a riprodurre l’argomentazione dedotta in primo grado dinanzi al Tribunale. Lo stesso vale quanto agli argomenti relativi alla riunione del 23 aprile 1996. Conformemente alla giurisprudenza ricordata al punto 69 della presente sentenza, siffatti argomenti devono essere respinti in quanto irricevibili.

131

Per quanto riguarda, in secondo luogo, gli argomenti della ricorrente relativi alle riunioni che hanno avuto luogo il 16 novembre 1995 e il 15 ottobre 1997, relativi, in sostanza, al difetto di motivazione della sentenza impugnata, occorre parimenti respingerli. Infatti, il Tribunale, ai punti da 180 a 185 e da 192 a 196 della sentenza impugnata, ha esaminato e respinto gli argomenti della ricorrente relativi alle infrazioni commesse in Austria riguardo a tali diverse riunioni. Per ciascuna di esse, il Tribunale si è riferito alle prove rilevanti e alla decisione controversa prima di respingere l’argomentazione della ricorrente in quanto infondata. Così facendo, il Tribunale ha motivato la sentenza impugnata.

132

Quanto alla riunione del 15 ottobre 1997, occorre inoltre respingere l’argomento della ricorrente secondo il quale il Tribunale si sarebbe fondato su motivi che non sarebbero stati inclusi nella comunicazione degli addebiti alla Commissione. Infatti, è giocoforza rilevare che il Tribunale, al punto 194 della sentenza impugnata, si è fondato sui motivi esposti ai punti 295 e 307 della decisione controversa. Orbene, la ricorrente non ha fatto valere, dinanzi al Tribunale, la discordanza tra tale decisione e la comunicazione degli addebiti su tale punto. Conseguentemente, essa non può, secondo costante giurisprudenza (v., segnatamente, sentenza del 22 ottobre 2015, AC-Treuhand/Commissione, C‑194/14 P, EU:C:2015:717, punto 54), far valere un siffatto argomento in fase di impugnazione dinanzi alla Corte.

133

Per quanto riguarda, in terzo luogo, le riunioni del 30 aprile e del 18 giugno 1998, occorre rilevare che il Tribunale ha affermato, al punto 199 della sentenza impugnata, che nessuna delle prove dedotte dalla Commissione consente di dimostrare la partecipazione della ricorrente all’infrazione. Tuttavia, al punto 203 di detta sentenza, il Tribunale ha chiaramente considerato che, in assenza di un distanziamento pubblico della ricorrente e considerando che gli effetti anticoncorrenziali dell’accordo del 15 ottobre 1997 continuavano a dispiegare i loro effetti nel corso dell’anno successivo, la Commissione poteva considerare che la ricorrente non aveva cessato la sua partecipazione all’infrazione durante il 1998. Così procedendo, il Tribunale non solo ha rispettato il suo obbligo di motivazione, consentendo in tal modo alle parti di contestare il suo ragionamento e alla Corte di esercitare il suo controllo nel contesto dell’impugnazione, ma, alla luce della giurisprudenza esposta al punto 111 della presente sentenza, non è incorso in alcun errore di diritto nella produzione della prova. Il Tribunale non si è nemmeno contraddetto né ha violato il suo obbligo di motivazione nell’affermare che la dichiarazione della Masco, nonostante il fatto che non consente, di per sé, di provare la partecipazione della ricorrente agli scambi di informazioni nel corso del 1998, poteva legittimamente essere presa in considerazione, insieme ad altri elementi, nel contesto dell’insieme di indizi concordanti descritti al punto 203 della sentenza impugnata al fine di dimostrare che la Villeroy & Boch Austria non aveva interrotto la sua partecipazione alle pratiche illecite per il 1998.

134

Per quanto riguarda, poi, le riunioni che si sono svolte nel corso del 1999, occorre rilevare che, come risulta senza ambiguità dal punto 206 della sentenza impugnata, la Commissione si è fondata sul resoconto manoscritto della riunione del 6 settembre 1999, redatto da un rappresentante della Ideal Standard lo stesso giorno della riunione che costituisce infrazione. Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, una prova siffatta, che non reca la data della presentazione da parte di tale società della sua domanda di clemenza ai sensi della comunicazione del 2002 sul trattamento favorevole, ma che è coeva ai fatti, come esposto dal Tribunale al punto 207 della sentenza impugnata, non richiede altre prove concordanti. Occorre pertanto respingere detto argomento in quanto infondato.

135

Inoltre, per quanto riguarda la riunione dell’ASI del 12 e del 13 ottobre 2000, è giocoforza rilevare che gli argomenti della ricorrente si fondano su una lettura erronea del punto 214 della sentenza impugnata. Infatti, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, il Tribunale non si è basato sul resoconto di questa riunione per dichiarare che gli effetti delle discussioni illecite che si sono svolte nel corso del 1999 si sono dispiegati durante il 2000. Tali argomenti, poi, sono intesi essenzialmente a rimettere in questione la valutazione degli elementi di prova da parte del Tribunale, senza tuttavia provare un loro snaturamento. Pertanto, alla luce della giurisprudenza esposta al punto 38 della presente sentenza, essi sono irricevibili.

136

A ciò si aggiunge che, per quanto riguarda il 2001, l’argomento della ricorrente si fonda parimenti su una lettura erronea della sentenza impugnata e deve, pertanto, essere respinto. Infatti, risulta chiaramente dai punti da 215 a 218 di tale sentenza che il Tribunale non ha riconosciuto la partecipazione della Villeroy & Boch Austra alle discussioni illecite svolte nel corso del 2001 in esito al rilievo secondo cui quelle che si erano svolte nel 2000 avrebbero continuato a produrre i loro effetti l’anno successivo. Infatti, ai punti da 215 a 217 di detta sentenza, il Tribunale si è basato sulla partecipazione di tale società a diverse riunioni svoltesi durante il 2001, nel corso delle quali i partecipanti si sono accordati quanto alla data in cui le tabelle dei prezzi sarebbero state inviate ai grossisti e quanto alla data dell’aumento dei prezzi, nonché quanto alla concordanza di tali riunioni con altre riunioni che si sono svolte nel corso del 2000 e del 2001, alle quali detta società non ha partecipato, ma durante le quali i membri dell’ASI hanno richiamato aumenti di prezzi calcolati a far data dal 1o gennaio 2002.

137

Per quanto riguarda, quindi, gli argomenti della ricorrente relativi all’insufficienza di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale non ha tenuto conto delle sue affermazioni relative agli anni 2002 e 2003, è sufficiente rilevare che, per ciascuna delle riunioni pertinenti, il Tribunale, ai punti da 219 a 226 della sentenza impugnata, si è riferito alle prove pertinenti e alla decisione controversa prima di respingere l’argomentazione della ricorrente in quanto infondata. Alla luce della giurisprudenza esposta al punto 72 della presente sentenza, esso non era tenuto a rispondere a tutte le affermazioni della ricorrente. Pertanto, i presenti argomenti della ricorrente devono essere respinti.

138

Quanto, infine, agli argomenti della ricorrente relativi alla riunione del 22 gennaio 2004, è giocoforza rilevare che la ricorrente intende rimettere in questione la valutazione degli elementi di prova compiuta dal Tribunale, senza tuttavia invocare il loro snaturamento. Pertanto, tali argomenti, alla luce della giurisprudenza esposta al punto 38 della presente sentenza, sono irricevibili.

139

Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre respingere il sesto motivo in quanto in parte irricevibile e in parte infondato.

Sul settimo e il nono motivo

Argomenti delle parti

140

Con il suo settimo motivo, dedotto in subordine, la ricorrente, quanto ai comportamenti censurati relativamente alle infrazioni asseritamente compiute in Belgio, in Francia e in Austria, sostiene che essi non consentono di accertare la sua partecipazione a tali infrazioni, in quanto sono imputabili alle sue controllate, e non direttamente ad essa.

141

A tal riguardo, la ricorrente sostiene che la nozione di unità economica, quale applicata dalla Commissione e dal Tribunale nella presente controversia, comporta l’imputazione di comportamenti ad una società indipendentemente da qualsivoglia errore da parte di quest’ultima, in violazione delle garanzie offerte dalla Carta, in particolare del diritto alla presunzione di innocenza e del principio in dubio pro reo, garantiti dal suo articolo 48, paragrafo 1, del principio di legalità dei diritti e delle pene e dell’articolo 101 TFUE, tanto più dal momento che la presunzione di esistenza di un’unità economica in caso di detenzione, da parte della società controllante, del 100% del capitale della sua controllata, sarebbe nella prassi irrefutabile. Se è vero che, secondo la ricorrente, la Corte ha riconosciuto questa nozione nella sua giurisprudenza precedente all’entrata in vigore della Carta, detta giurisprudenza dovrebbe evolvere. Inoltre, la sentenza impugnata violerebbe l’obbligo di motivazione risultante dall’articolo 296, secondo comma, TFUE, in quanto non risponderebbe a detti argomenti della ricorrente e non conterrebbe alcuna motivazione quanto a parti importanti dell’infrazione contestata.

142

Con il suo nono motivo, la ricorrente critica il fatto che la sentenza impugnata ha confermato l’ammenda che le è stata inflitta in quanto debitore in solido con la sua controllata.

143

Infatti, anche se fosse possibile invocare la responsabilità della società controllante per i comportamenti della sua controllata in applicazione della nozione di unità economica, il riconoscimento di una responsabilità in solido per il pagamento delle ammende inflitte alle controllate della ricorrente dovrebbe essere escluso dal momento che, da una parte, nessun atto giuridico dell’Unione contiene una disposizione che preveda che si infligga un’ammenda in solido e, dall’altra, il riconoscimento di una siffatta responsabilità in solido priverebbe la ricorrente del diritto a un’ammenda inflitta a titolo individuale in funzione della colpa contestata, in violazione del principio di responsabilità personale. In subordine, la ricorrente sostiene che la Commissione e il Tribunale avrebbero dovuto, in ogni caso, calcolare la quota dell’importo dell’ammenda dovuta per ogni debitore in funzione della parte di responsabilità di ciascuno.

144

La Commissione chiede che il settimo e il nono motivo vengano respinti.

Giudizio della Corte

145

Occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza che non è stata rimessa in questione con l’entrata in vigore della Carta, in determinate circostanze, una persona giuridica che non abbia commesso un’infrazione al diritto della concorrenza può nondimeno essere sanzionata per il comportamento illecito di un’altra persona giuridica allorché tali persone giuridiche facciano tutte e due parte della stessa entità economica e formino così un’impresa ai sensi dell’articolo 101 TFUE (sentenza del 10 aprile 2014, Commissione e a./Siemens Österreich e a., da C‑231/11 P a C‑233/11 P, EU:C:2014:256, punto 45).

146

Risulta in tal senso da costante giurisprudenza che il comportamento di una controllata può essere imputato alla società controllante in particolare qualora, pur avendo personalità giuridica distinta, tale controllata non determini in modo autonomo la sua linea di condotta sul mercato, ma si attenga, in sostanza, alle istruzioni che le vengono impartite dalla società controllante, in considerazione in particolare dei vincoli economici, organizzativi e giuridici che intercorrono tra i due enti giuridici (sentenza del 10 aprile 2014, Commissione e a./Siemens Österreich e a., da C‑231/11 P a C‑233/11 P, EU:C:2014:256, punto 46 nonché giurisprudenza citata).

147

A tal riguardo, la Corte ha precisato che, nella particolare ipotesi in cui una società controllante detenga, direttamente o indirettamente, la totalità o la quasi totalità del capitale della propria controllata che abbia commesso un’infrazione alle regole di concorrenza dell’Unione europea, esiste una presunzione relativa secondo cui tale società controllante esercita effettivamente un’influenza determinante sulla sua controllata (sentenza del 16 giugno 2016, Evonik Degussa e AlzChem/Commissione, C‑155/14 P, EU:C:2016:446, punto 28 nonché giurisprudenza citata).

148

In una situazione del genere, è sufficiente che la Commissione dimostri che la totalità o la quasi totalità del capitale di una controllata sia detenuta, direttamente o indirettamente, dalla propria società controllante per considerare soddisfatta detta presunzione. Spetta poi a quest’ultima ribaltare detta presunzione fornendo sufficienti elementi di prova, relativi ai vincoli organizzativi, economici e giuridici intercorrenti tra la stessa e la sua controllata, idonei a dimostrare la condotta autonoma sul mercato da parte della propria controllata. Se la controllante non ribalta detta presunzione, la Commissione potrà ritenere che quest’ultima società e la sua controllata facciano parte della medesima unità economica e che la prima sia responsabile del comportamento della seconda, e condannare le due società in solido al pagamento di un’ammenda, senza che occorra dimostrare l’implicazione personale della controllante nell’infrazione (v., in tal senso, sentenza del 16 giugno 2016, Evonik Degussa e AlzChem/Commissione, C‑155/14 P, EU:C:2016:446, punti 27 e da 29 a 32 nonché giurisprudenza citata).

149

Del resto, occorre precisare che, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la giurisprudenza che precede non viola né il diritto alla presunzione di innocenza garantito dall’articolo 48, paragrafo 1, della Carta, né i principi in dubio pro reo e quello della legalità dei delitti e delle pene. Infatti, la presunzione dell’esercizio di un’influenza determinante da parte della controllante sulla sua controllata nell’ipotesi di detenzione della totalità o della quasi totalità del capitale di quest’ultima non si risolve in una presunzione di colpevolezza dell’una o dell’altra di queste società, sicché non viola né il diritto alla presunzione di innocenza né il principio in dubio pro reo. Quanto al principio della legalità dei diritti e delle pene, esso impone che la legge definisca chiaramente le infrazioni e le pene che le reprimono, ove tale condizione risulta soddisfatta quando l’amministrato può conoscere, dal tenore della disposizione pertinente e se necessario con l’aiuto dell’interpretazione che ne è fornita dalla giurisprudenza, quali atti e omissioni comportino la sua responsabilità penale (sentenza del 22 maggio 2008, Evonik Degussa/Commissione, C‑266/06 P, non pubblicata, EU:C:2008:295, punto 39). Orbene, la giurisprudenza della Corte citata ai punti da 145 a 148 della presente sentenza non viola questo principio.

150

Quanto alla mancata ripartizione delle ammende tra le società interessate, occorre ricordare che la nozione del diritto dell’Unione di solidarietà nel pagamento dell’ammenda, essendo semplicemente la manifestazione di un effetto di pieno diritto della nozione di impresa, riguarda solo l’impresa e non le società che la compongono (sentenza del 10 aprile 2014, Commissione e a./Siemens Österreich e a., da C‑231/11 P a C‑233/11 P, EU:C:2014:256, punto 57).

151

Benché, ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, la Commissione possa condannare in solido a un’ammenda più società se appartenevano ad una sola ed unica impresa, né il testo di tale disposizione né l’obiettivo del meccanismo di solidarietà consentono di considerare che tale potere sanzionatorio comprenda, al di là della determinazione del rapporto esterno di solidarietà, quello di stabilire le quote dei debitori in solido nei loro rapporti interni (sentenza del 10 aprile 2014, Commissione e a./Siemens Österreich e a., da C‑231/11 P a C‑233/11 P, EU:C:2014:256, punto 58).

152

Al contrario, il meccanismo della solidarietà costituisce uno strumento giuridico supplementare a disposizione della Commissione inteso a rafforzare l’efficacia dell’azione della medesima nella riscossione delle ammende inflitte per infrazioni al diritto della concorrenza, giacché tale meccanismo riduce, per la Commissione in quanto creditore del debito costituito da tali ammende, il rischio di insolvenza; ciò concorre all’obiettivo di dissuasione che è generalmente perseguito dal diritto della concorrenza, come lo stesso Tribunale ha del resto affermato, sostanzialmente e giustamente, al punto 325 della sentenza impugnata (sentenza del 10 aprile 2014, Commissione e a./Siemens Österreich e a., da C‑231/11 P a C‑233/11 P, EU:C:2014:256, punto 59 nonché giurisprudenza citata).

153

Orbene, la determinazione, nel rapporto interno tra debitori in solido, delle quote di questi ultimi non persegue questo duplice obiettivo. Si tratta, infatti, di una questione che interviene in un momento successivo e che, in linea di principio, non presenta più interesse per la Commissione, una volta che la totalità dell’ammenda le sia stata pagata da uno o più di tali debitori. Pertanto, non si può imporre alla Commissione di determinare siffatte quote (v., in tal senso, sentenza del 10 aprile 2014, Commissione e a./Siemens Österreich e a., da C‑231/11 P a C‑233/11 P, EU:C:2014:256, punti da 60 a 64).

154

Nella specie, la ricorrente non contesta il fatto che possedeva, al momento dell’infrazione che le è imputata, il 100% del capitale delle società i cui dipendenti hanno partecipato alle discussioni anticoncorrenziali in parola in Belgio, in Francia e in Austria, né pretende di aver sottoposto al Tribunale elementi tali da ribaltare la presunzione secondo cui essa esercitava un’influenza determinante su tali società. Pertanto, alla luce della giurisprudenza esposta ai punti da 145 a 153 della presente sentenza, correttamente il Tribunale ha affermato che la Commissione poteva imputarle il comportamento anticoncorrenziale delle sue controllate in Belgio, in Francia e in Austria e condannarla con queste ultime al pagamento di ammende in solido, senza determinare le quote dell’importo di queste ammende dovute da ciascuna di esse.

155

Infine, occorre respingere gli argomenti della ricorrente relativi alla carenza di motivazione della sentenza impugnata. Così, per quanto riguarda, in particolare, la possibilità, per la Commissione, di imputare alla ricorrente i comportamenti delle sue controllate in Francia e in Austria, occorre considerare che i punti da 155 a 165 della sentenza impugnata, nonché il punto 284 di tale sentenza, che rinvia ai suoi punti 97 e 98, sono sufficientemente motivati. Infatti, dopo aver ricordato la giurisprudenza relativa alla nozione di unità economica, il Tribunale ha rilevato che la Villeroy & Boch deteneva il 100% del capitale delle sue controllate e che non aveva tentato di ribaltare la presunzione secondo cui questa esercitava un’influenza determinante nei confronti di queste ultime, e ha quindi risposto agli argomenti della ricorrente relativi alla violazione del principio di legalità dei diritti e delle pene e al diritto alla presunzione di innocenza. Per quanto riguarda la possibilità, per la Commissione, di imputare alla ricorrente i comportamenti della Villeroy & Boch Belgium in quanto esercitava un’influenza determinante su quest’ultima, il Tribunale non era tenuto a prendere posizione su questo punto nella sentenza impugnata dal momento che la ricorrente, contrariamente a quanto sostiene, non ha contestato tale possibilità dinanzi al Tribunale.

156

Occorre, pertanto, respingere il settimo e il nono motivo in quanto infondati.

Sull’ottavo motivo

Argomenti delle parti

157

Con il suo ottavo motivo, la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata viola l’articolo 101 TFUE e l’articolo 53 dell’accordo SEE, poiché erroneamente il Tribunale ha riconosciuto l’esistenza di un’infrazione unica, complessa e continuata nella specie.

158

Al riguardo, la ricorrente fa valere, in primo luogo, che la nozione giuridica di infrazione unica, complessa e continuata, in quanto tale, è incompatibile con l’articolo 101 TFUE e l’articolo 53 dell’accordo SEE e non può pertanto trovare applicazione. Tale nozione, infatti, sarebbe priva di qualsivoglia base giuridica nel diritto dell’Unione. Inoltre, la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sia viziata da un’insufficienza di motivazione in quanto il Tribunale non ha risposto ai suoi argomenti su questo punto.

159

In secondo luogo, la ricorrente sostiene che, avendo constatato l’esistenza di un’infrazione unica nella presente controversia, la sentenza impugnata ha violato i principi dell’equo processo. Infatti, dal momento che il Tribunale ha ritenuto che si potesse imputare alla ricorrente un’infrazione alla quale essa non ha partecipato, ma che fa parte di un’infrazione unica alla quale ha partecipato, la ricorrente non potrebbe, per contestare la sua partecipazione a tale infrazione unica, far utilmente valere il fatto di non aver partecipato a detta prima infrazione e sarebbe pertanto privata di uno strumento di difesa efficace. Pertanto, essa potrebbe solo contestare la sua conoscenza dell’infrazione in parola.

160

In terzo luogo la ricorrente ritiene, in subordine, che le condizioni del riconoscimento di un’infrazione unica non ricorrevano nella specie, in quanto la Commissione non ha definito il mercato rilevante e l’esistenza di un rapporto di complementarietà tra i differenti comportamenti contestati non è stata dimostrata.

161

Infine, la ricorrente considera che, in ogni caso, in ragione dell’esistenza di annullamenti parziali della decisione controversa riguardo a taluni Stati membri nelle sentenze del 16 settembre 2013, Wabco Europe e a./Commissione (T‑380/10, EU:T:2013:449), del 16 settembre 2013, Keramag Keramische Werke e a./Commissione (T‑379/10 et T‑381/10, non pubblicata, EU:T:2013:457), nonché del 16 settembre 2013, Duravit e a./Commissione (T‑364/10, non pubblicata, EU:T:2013:477), e del fatto che talune imprese possono non essere venute a conoscenza dell’insieme dell’infrazione, non potrebbe sussistere un’infrazione globale quale definita in tale decisione.

162

La Commissione chiede che l’ottavo motivo venga respinto.

Giudizio della Corte

163

Alla luce della giurisprudenza esposta ai punti da 55 a 59 della presente sentenza, occorre, in primo luogo, respingere gli argomenti della ricorrente secondo cui la nozione giuridica di infrazione unica, complessa e continuata sarebbe incompatibile con l’articolo 101 TFUE e con l’articolo 53 dell’accordo SEE e violerebbe i principi dell’equo processo, senza considerare la ricevibilità di quest’ultimo argomento.

164

In secondo luogo, occorre rilevare che, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, il Tribunale, nel ricordare tale giurisprudenza ai punti da 32 a 34, 41, 42 e da 46 a 48 della sentenza impugnata, ha motivato la sentenza stessa a sufficienza di diritto.

165

In terzo luogo, quanto all’argomento della ricorrente secondo il quale le condizioni del riconoscimento di un’infrazione unica non ricorrerebbero nella specie in quanto la Commissione non avrebbe definito il mercato rilevante, occorre considerare, come correttamente rilevato dal Tribunale al punto 54 della sentenza impugnata e come la ricorrente riconosce, che la circostanza che i mercati di prodotti e geografici interessati dall’infrazione siano distinti non costituisce in ogni caso un ostacolo all’accertamento di un’infrazione unica. Pertanto, tale argomento è in ogni caso inoperante.

166

In quarto luogo il Tribunale, ai punti da 63 a 71 della sentenza impugnata, non è incorso in un errore di diritto nell’affermare che la Commissione poteva, nella specie, concludere nel senso dell’esistenza di un obiettivo unico inteso a accertare un’infrazione unica. Infatti, sulla base delle affermazioni in punto di fatto di cui ai punti 66, 69 e 71 della sentenza impugnata, esso ha dimostrato a sufficienza di diritto che i diversi comportamenti contestati erano intesi al medesimo scopo, vale a dire, per tutti i produttori di ceramiche sanitarie e rubinetteria, il coordinamento del loro comportamento nei confronti dei grossisti. A tal riguardo, occorre sottolineare che, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la nozione di obiettivo comune, come risulta da detti punti 66, 69 e 71, è stata determinata non da un generale riferimento all’esistenza di una distorsione della concorrenza sui mercati interessati dall’infrazione, bensì dal riferimento a diversi elementi oggettivi, quali il ruolo centrale assunto dai grossisti nel circuito di distribuzione, le caratteristiche di tale circuito, l’esistenza di organismi di coordinamento e di associazione nonché di associazioni interprodotto, l’analogia nell’attuazione di accordi collusivi e le sovrapposizioni materiali, geografiche e temporali tra le pratiche in parola.

167

In tale contesto, senza che occorra dimostrare un nesso di complementarietà tra le pratiche contestate, dato che un’infrazione unica e continuata può essere imputata a imprese non concorrenti e non richiede una definizione sistematica dei mercati rilevanti, e considerando che la ricorrente, da una parte, è responsabile della sua partecipazione diretta all’infrazione contestata e, dall’altra, è responsabile della sua partecipazione indiretta all’infrazione medesima, in quanto è venuta a conoscenza dell’insieme dei comportamenti illeciti presi in considerazione o attuati dagli altri partecipanti all’intesa in parola nel perseguimento dei medesimi obiettivi o per aver potuto ragionevolmente prevederli ed essere stata disposta da assumerne il rischio, non può contestarsi al Tribunale di aver affermato che la Commissione non è incorsa in alcun errore nel concludere nel senso dell’esistenza di un’infrazione unica e continuata nella specie.

168

Infine, per quanto riguarda l’argomentazione relativa agli annullamenti parziali della decisione controversa pronunciati nel contesto di altre controversie che si riferiscono alla presente intesa, occorre ricordare che la valutazione delle prove relative ai diversi mercati nazionali ricade nella competenza esclusiva del Tribunale. Nella misura in cui tale argomentazione sarebbe intesa a rimettere in questione l’esistenza di un’infrazione unica, complessa e continuata, occorre sottolineare, come esposto al punto 62 della presente sentenza, che il fatto che il Tribunale abbia parzialmente annullato la decisione controversa nella parte in cui essa riguarda la partecipazione all’infrazione contestata di alcune delle imprese interessate su alcuni mercati geografici durante periodi determinati non è sufficiente a rimettere in questione l’affermazione del Tribunale relativa all’esistenza di un piano d’insieme che riguarda i tre sottogruppi di prodotti e i sei Stati membri interessati a causa dell’identico oggetto di distorsione del gioco della concorrenza.

169

Conseguentemente, occorre respingere l’ottavo motivo in quanto in parte inconferente e in parte infondato.

Sul decimo e l’undicesimo motivo

Argomenti delle parti

170

Con il suo decimo motivo, la ricorrente fa valere l’errore di diritto in cui è incorso il Tribunale, che non ha esercitato appieno la competenza estesa al merito che gli è conferita.

171

Infatti, nella sentenza impugnata il Tribunale si sarebbe limitato a esercitare un controllo di legittimità sulla fissazione dell’importo dell’ammenda, contrariamente alle conclusioni della ricorrente.

172

Orbene, la ricorrente considera che, per ragioni di certezza del diritto e al fine di garantire il diritto a un equo processo, il Tribunale e la Corte sono tenuti, in ogni causa in cui sono chiamati a statuire quanto alla fissazione, da parte della Commissione, di un’ammenda o una penalità, ad esercitare effettivamente la competenza estesa al merito conferita loro ai sensi dell’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, in particolare in un contesto in cui nessuna norma prevede una armonizzazione delle sanzioni e in cui la Commissione ha applicato tre metodi diversi di calcolo delle ammende per gli anni dal 1998 al 2006.

173

Peraltro, nella specie, la ricorrente considera che il Tribunale non ha compiuto una verifica indipendente dell’importo iniziale dell’ammenda e che questa avrebbe dovuto essere ridotta, nell’esercizio della competenza estesa al merito, in considerazione della gravità dell’infrazione che riguarda solo un numero limitato di Stati membri, per lo più piccoli. A tal riguardo, non sarebbe comprensibile per quale ragione la Commissione ha sanzionato i comportamenti contestati nella specie più severamente delle intese della medesima natura, relative a tutto il territorio dello Spazio economico europeo. Inoltre, il Tribunale avrebbe dovuto concedere alla ricorrente una riduzione dell’importo dell’ammenda per violazione del principio del termine ragionevole in ragione della durata eccessiva del procedimento amministrativo, che ha avuto una durata complessiva di circa sei anni.

174

Con il suo undicesimo motivo, la ricorrente fa valere una violazione del principio di proporzionalità. A tal riguardo, essa ritiene che, per determinare la gravità dell’infrazione, il Tribunale sia tenuto a prendere in considerazione gli effetti dell’infrazione in parola sul mercato, nonché i fatturati realizzati sui mercati interessati, ciò che non ha fatto.

175

Il Tribunale avrebbe anche dovuto assicurarsi che l’importo delle ammende inflitte dalla decisione controversa fosse proporzionato in assoluto, ciò che non si verificherebbe ove il fatturato interessato dall’infrazione è pari a EUR 115 milioni e l’importo complessivo delle ammende è pari a EUR 71,5 milioni.

176

Pertanto, la ricorrente chiede alla Corte di rettificare queste omissioni contra legem del Tribunale e di ridurre essa stessa l’importo delle ammende inflitte.

177

La Commissione chiede il rigetto del decimo e dell’undicesimo motivo.

Giudizio della Corte

178

Secondo costante giurisprudenza, il controllo di legittimità di cui all’articolo 263 TFUE implica che il giudice dell’Unione eserciti un controllo tanto in diritto quanto in fatto degli argomenti dedotti dalla parte ricorrente nei confronti della decisione controversa e che disponga del potere di valutare le prove, di annullare tale decisione e di modificare l’importo delle ammende (v. sentenza del 10 luglio 2014, Telefónica e Telefónica de España/Commissione, C‑295/12 P, EU:C:2014:2062, punto 53 nonché giurisprudenza citata).

179

Il controllo di legittimità è completato dalla competenza estesa al merito riconosciuta al giudice dell’Unione dall’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, conformemente all’articolo 261 TFUE. Tale competenza autorizza il giudice, al di là del mero controllo di legittimità della sanzione, a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, a sopprimere, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità irrogata (v. sentenza dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione, C‑386/10 P, EU:C:2011:815, punto 63 e giurisprudenza citata).

180

Per soddisfare i requisiti di un controllo esteso al merito ai sensi dell’articolo 47 della Carta per quanto riguarda l’ammenda, il giudice dell’Unione è tenuto, nell’esercizio delle competenze previste agli articoli 261 e 263 TFUE, ad esaminare ogni censura, di fatto o di diritto, diretta a dimostrare che l’importo dell’ammenda non è adeguato alla gravità e alla durata dell’infrazione (v. sentenza del 18 dicembre 2014, Commissione/Parker Hannifin Manufacturing e Parker-Hannifin, C‑434/13 P, EU:C:2014:2456, punto 75 nonché giurisprudenza citata).

181

Orbene, l’esercizio di tale competenza estesa al merito non equivale, tuttavia, a un controllo d’ufficio e il procedimento è di tipo contraddittorio. Spetta al ricorrente, in linea di principio, dedurre i motivi a contestazione della decisione impugnata e fornire elementi di prova a sostegno di tali motivi (v. sentenza del 18 dicembre 2014, Commissione/Parker Hannifin Manufacturing e Parker-Hannifin, C‑434/13 P, EU:C:2014:2456, punto 76 nonché giurisprudenza citata).

182

A tal riguardo, occorre sottolineare che l’assenza di controllo d’ufficio della decisione impugnata in toto non viola il principio di tutela giurisdizionale effettiva. Infatti, non è indispensabile al rispetto di tale principio la circostanza che il Tribunale, che è senza dubbio tenuto a rispondere ai motivi sollevati e ad esercitare un controllo tanto in diritto quanto in fatto, abbia l’obbligo di procedere d’ufficio ad una nuova istruzione completa del fascicolo (v. sentenza dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione, C‑386/10 P, EU:C:2011:815, punto 66).

183

Peraltro, secondo consolidata giurisprudenza della Corte, il Tribunale è il solo competente a controllare il modo in cui la Commissione ha valutato, in ciascun caso di specie, la gravità dei comportamenti illeciti. Nell’ambito del procedimento d’impugnazione il sindacato della Corte è volto, da un lato, a verificare in che misura il Tribunale abbia preso in considerazione in maniera giuridicamente corretta tutti i fattori rilevanti ai fini della valutazione della gravità di un determinato comportamento alla luce dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 23 del regolamento n. 1/2003 e, dall’altro, ad appurare se il Tribunale abbia risposto in termini giuridicamente sufficienti all’insieme degli argomenti invocati a sostegno della domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda. La gravità delle infrazioni al diritto della concorrenza dell’Unione deve essere dimostrata in funzione di un gran numero di elementi quali, segnatamente, la portata dissuasiva delle ammende, le circostanze peculiari della controversia e il suo contesto, ivi incluso il comportamento di ciascuna delle imprese, il ruolo assunto da ciascuna di esse nella formazione dell’intesa, il profitto che esse ne hanno potuto trarre, le loro dimensioni e il valore delle merci interessate nonché il rischio che infrazioni di tal genere rappresentano per gli obiettivi dell’Unione (v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 2013, Team Relocations e a./Commissione, C‑444/11 P, non pubblicata, EU:C:2013:464, punti 95, 99100).

184

Inoltre, non spetta alla Corte, allorquando si pronuncia su questioni di diritto nell’ambito di un giudizio di impugnazione, sostituire, per motivi di equità, la propria valutazione a quella del Tribunale che statuisce, nell’esercizio della sua competenza giurisdizionale estesa al merito, sull’importo delle ammende inflitte a determinate imprese per una violazione, da parte loro, del diritto dell’Unione. In tal senso, soltanto nei limiti in cui la Corte ritenesse che il livello della sanzione sia non soltanto inadeguato, ma anche eccessivo, al punto da essere sproporzionato, occorrerebbe ravvisare un errore di diritto commesso dal Tribunale per incongruenza dell’importo dell’ammenda (v., segnatamente, sentenza del 30 maggio 2013, Quinn Barlo e a./Commissione, C‑70/12 P, non pubblicata, EU:C:2013:351, punto 57 e giurisprudenza citata).

185

È alla luce di tale giurisprudenza che occorre considerare il decimo e l’undicesimo motivo.

186

Orbene, dalla summenzionata giurisprudenza risulta chiaramente che, in primo luogo, il controllo di competenza estesa al merito riguarda unicamente la sanzione inflitta e non l’integralità della decisione impugnata e, in secondo luogo, né la competenza estesa al merito né il controllo di legittimità equivalgono al controllo d’ufficio e, pertanto, ciò non imponeva che il Tribunale procedesse d’ufficio ad una nuova istruttoria completa del fascicolo, indipendentemente dalle censure formulate dalla ricorrente.

187

Nella specie, occorre rilevare che il Tribunale ha esercitato, dal punto 335 della sentenza impugnata, un controllo effettivo dell’importo dell’ammenda, che ha risposto ai diversi argomenti della ricorrente e che, ai punti da 397 a 402 di tale sentenza, ha statuito in ordine alla domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda, non limitandosi pertanto a controllare la legittimità di tale importo, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente. A tal riguardo, il Tribunale ha rilevato, in particolare, al punto 384 di detta sentenza, che il coefficiente del 15% in ragione dei coefficienti «gravità dell’infrazione» e «importo addizionale» era un coefficiente minimo, alla luce della natura particolarmente grave dell’infrazione in parola, e ha poi affermato, ai punti da 397 a 401 della stessa sentenza, che nessuno degli elementi fatti valere dalle ricorrenti in primo grado giustificava una riduzione dell’importo dell’ammenda.

188

Per quanto riguarda, più in particolare, l’esame della gravità dell’infrazione contestata, occorre rilevare che il Tribunale ha ricordato, al punto 381 della sentenza impugnata, segnatamente il punto 23 degli orientamenti del 2006, ai sensi del quale «gli accordi orizzontali di fissazione dei prezzi, di ripartizione dei mercati e di limitazione della produzione, che sono generalmente segreti, costituiscono alcune delle più gravi restrizioni della concorrenza Nell’ambito della politica di concorrenza essi saranno severamente sanzionati. In generale, pertanto, la proporzione del valore delle vendite considerata per le infrazioni di questo tipo si situerà sui valori più alti previsti». Il Tribunale ha esposto, al punto 383 di detta sentenza, la motivazione assunta dalla Commissione al punto 1211 della decisione controversa, a termini del quale il coordinamento orizzontale dei prezzi era, in ragione della sua stessa natura, una delle restrizioni alla concorrenza più nocive e l’infrazione costituiva un’infrazione unica, continuata e complessa relativa a sei Stati membri e concernente i tre sottogruppi di prodotti, prima di dichiarare, al punto 384 della sentenza impugnata, la natura particolarmente grave dell’infrazione in parola che giustificava l’applicazione di un coefficiente di gravità del 15% e, al punto 385 della stessa sentenza, la partecipazione della ricorrente «al gruppo centrale di imprese» che aveva attuato l’infrazione constatata.

189

Avendo tenuto conto, in tal modo, di tutti i parametri pertinenti per valutare la gravità dell’infrazione contestata, ove il coordinamento orizzontale dei prezzi e la partecipazione alla stessa da parte della ricorrente erano peraltro provate, e avendo risposto agli argomenti della ricorrente su questo punto, il Tribunale non è incorso in alcun errore di diritto ed ha adempiuto il suo obbligo di controllo giurisdizionale effettivo della decisione controversa.

190

Per quanto riguarda la valutazione della durata eccessiva del procedimento amministrativo, occorre ricordare che, anche se la violazione del principio del rispetto del termine ragionevole da parte della Commissione può giustificare l’annullamento di una decisione adottata in esito a un procedimento amministrativo ai sensi degli articoli 101 e 102 TFUE qualora essa comporti altresì una violazione dei diritti della difesa dell’impresa interessata, una siffatta violazione del principio del rispetto del termine ragionevole, quand’anche dimostrata, non può condurre a una riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta (v., segnatamente, sentenze del 9 giugno 2016, CEPSA/Commissione, C‑608/13 P, EU:C:2016:414, punto 61, e del 9 giugno 2016, PROAS/Commissione, C‑616/13 P, EU:C:2016:415, punto 74 nonché giurisprudenza citata). Orbene, nella specie, come risulta dal punto 173 della presente sentenza, è pacifico che, con il suo argomento relativo alla valutazione non corretta della durata eccessiva del procedimento amministrativo da parte del Tribunale, la ricorrente intende unicamente ottenere una riduzione dell’importo dell’ammenda che le è stata inflitta.

191

Pertanto, senza analizzare la sua fondatezza, tale argomento deve essere respinto in quanto inconferente.

192

Infine, per quanto riguarda la proporzionalità dell’importo dell’ammenda inflitta in quanto tale, la ricorrente non deduce alcun argomento tale da dimostrare che il livello della sanzione inflitta è inadeguato o eccessivo. A tal riguardo, l’argomento secondo il quale l’importo di un’ammenda di EUR 71,5 milioni sarebbe sproporzionato rispetto al fatturato interessato dall’intesa di un importo di EUR 115 milioni, deve essere respinto. Infatti, è pacifico che, nella specie, l’importo finale dell’ammenda inflitta è stato ridotto in modo da non superare il 10% del fatturato totale della ricorrente realizzato nel corso del precedente esercizio sociale, conformemente all’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003. Orbene, tale limite garantisce già che il livello di questa ammenda non sia sproporzionato rispetto alle dimensioni dell’impresa, quali determinate dal suo fatturato complessivo (v., in tal senso, sentenza del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione, C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punti da 280 a 282).

193

Alla luce delle suesposte considerazioni, il decimo e l’undicesimo motivo devono essere respinti in quanto in parte inconferenti e in parte infondati.

194

Dal momento che nessuno dei motivi dedotti dalla ricorrente è stato accolto, l’impugnazione dev’essere respinta integralmente.

Sulle spese

195

A norma dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, quando l’impugnazione è respinta, quest’ultima statuisce sulle spese. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del medesimo regolamento, applicabile al procedimento di impugnazione in forza del successivo articolo 184, paragrafo 1, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. La ricorrente, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese, conformemente alla domanda della Commissione.

 

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

L’impugnazione è respinta.

 

2)

La Villeroy & Boch AG è condannata alle spese.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il tedesco.

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