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Document 62013CC0091

    Conclusioni dell’avvocato generale Y. Bot, presentate l’8 maggio 2014.
    Essent Energie Productie BV contro Minister van Sociale Zaken en Werkgelegenheid.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Raad van State (Paesi Bassi).
    Accordo di associazione CEE-Turchia – Articoli 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale e 13 della decisione n. 1/80 – Ambito di applicazione – Introduzione di nuove restrizioni alla libertà di stabilimento, alla libera prestazione di servizi e alle condizioni d’accesso all’occupazione – Divieto – Libera prestazione dei servizi – Articoli 56 TFUE e 57 TFUE – Distacco di lavoratori – Cittadini di Stati terzi – Obbligo del permesso di lavoro per la messa a disposizione di manodopera.
    Causa C‑91/13.

    Court reports – general

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2014:312

    CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    YVES BOT

    presentate l’8 maggio 2014 ( 1 )

    Causa C‑91/13

    Essent Energie Productie BV

    contro

    Minister van Sociale Zaken en Werkgelegenheid

    [domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Raad van State (Paesi Bassi)]

    «Accordo di associazione CEE‑Turchia — Articolo 13 della decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione — Articolo 41 del Protocollo addizionale — Clausole di “standstill” — Ambito di applicazione — Libera prestazione dei servizi — Articoli 56 TFUE e 57 TFUE — Distacco di lavoratori — Cittadini di Stati terzi — Obbligo del permesso di lavoro per la messa a disposizione di manodopera»

    1. 

    La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame è presentata nell’ambito di una controversia tra la Essent Energie Productie BV (in prosieguo: la «Essent») e il Minister van Sociale Zaken en Werkgelegenheid (Ministro degli Affari sociali e dell’Occupazione; in prosieguo: il «ministro»), riguardo a un’ammenda ad essa inflitta da quest’ultimo per aver fatto eseguire alcuni lavori da lavoratori cittadini di Stati terzi, senza che i medesimi avessero costituito oggetto di un permesso di lavoro.

    2. 

    La Essent è una società con sede nei Paesi Bassi che ha incaricato la BIS Industrial Services Nederland BV (in prosieguo: la «BIS»), anch’essa con sede nei Paesi Bassi, di eseguire alcuni lavori consistenti nell’installazione di un’impalcatura nella sua sede secondaria sita in Geertruidenberg (Paesi Bassi).

    3. 

    Secondo una relazione redatta dall’ispettorato del lavoro l’8 marzo 2010, in occasione di un controllo effettuato da quest’ultimo, nei giorni 15, 19 e 20 maggio 2008, presso detta sede, è stato accertato che 33 cittadini di Stati terzi, tra i quali 29 cittadini turchi, tre cittadini provenienti dalla ex Jugoslavia e un cittadino marocchino, hanno partecipato, tra il 1o gennaio e il 20 maggio 2008, alla realizzazione di tali lavori.

    4. 

    Secondo la medesima relazione, i lavoratori stranieri sono stati distaccati presso la BIS dalla Ekinci Gerüstbau GmbH (in prosieguo: la «Ekinci»), un’impresa tedesca con sede a Colonia (Germania) di cui tali lavoratori erano dipendenti, senza che fosse stato rilasciato, a tal fine, alcun permesso di lavoro.

    5. 

    Con decisione dell’11 maggio 2010, il ministro ha inflitto alla Essent un’ammenda di EUR 264 000 per infrazione all’articolo 2, paragrafo 1, della legge del 21 dicembre 1994 sul lavoro degli stranieri (Wet arbeid vreemdelingen) ( 2 ), nella versione applicabile alla controversia nel procedimento principale (in prosieguo: la «Wav 1994»), con la motivazione che tale società aveva fatto eseguire i suddetti lavori dai lavoratori stranieri senza che questi ultimi fossero stati oggetto di un permesso di lavoro, sebbene, in forza della normativa olandese, quest’ultimo fosse obbligatorio.

    6. 

    Nella stessa data la Essent ha presentato un reclamo contro tale decisione.

    7. 

    Con decisione del 22 dicembre 2010, il ministro ha dichiarato tale reclamo infondato sulla base del rilievo che il servizio prestato dalla Ekinci era consistito esclusivamente in un distacco di manodopera, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 96/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 1996, relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi ( 3 ), cosicché la Essent, in quanto committente e datore di lavoro dei lavoratori stranieri ai sensi della Wav 1994, doveva disporre di permessi di lavoro per questi ultimi.

    8. 

    Con sentenza del 27 settembre 2011, il Rechtbank 's‑Hertogenbosch (Paesi Bassi) ha respinto il ricorso proposto dalla Essent avverso la suddetta decisione. Tale giudice ha dichiarato, in particolare, riferendosi alla sentenza Vicoplus e a. ( 4 ), che il Minister ha giustamente inflitto un’ammenda alla Essent, in quanto non era stato rilasciato alcun permesso di lavoro, mentre il servizio prestato dalla Ekinci consisteva unicamente nel distacco di manodopera ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 96/71.

    9. 

    Per giungere a tale conclusione, il Rechtbank 's‑Hertogenbosch ha considerato che, sebbene la sentenza Vicoplus e a. (EU:C:2011:64), riguardasse una prestazione di servizi consistente in un distacco di manodopera polacca, era possibile dedurne che, in una situazione riguardante la messa a disposizione di lavoratori cittadini di Stati terzi, gli articoli 56 TFUE e 57 TFUE non ostassero a una normativa di uno Stato membro, nella fattispecie l’articolo 2, paragrafo 1, della Wav 1994, in cui viene prescritto che tali lavoratori fossero oggetto di un permesso di lavoro.

    10. 

    La Essent ha interposto appello contro la suddetta sentenza dinanzi al Raad van State (Paesi Bassi).

    11. 

    Al pari del Rechtbank ' s‑Hertogenbosch, il giudice del rinvio ha considerato che dalla sentenza Vicoplus e a. (EU:C:2011:64), si può dedurre che gli articoli 56 TFUE e 57 TFUE non ostano a che uno Stato membro subordini il distacco, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, lettera c) della direttiva 96/71, sul suo territorio di lavoratori provenienti da un paese terzo all’ottenimento di un permesso di lavoro. Poiché la questione della compatibilità dell’obbligo di siffatto permesso di lavoro con gli articoli 56 TFUE e 57 TFUE risulta in modo chiaro, secondo il giudice del rinvio, dalla sentenza Vicoplus e a. (EU:C:2011:64), il medesimo non ha ritenuto necessario interpellare la Corte su tale aspetto.

    12. 

    È sotto un altro profilo che esso ha deciso di adire la Corte, chiedendole di interpretare, da un lato, l’articolo 41 del Protocollo addizionale ( 5 ) all’accordo che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia ( 6 ) e, dall’altro, l’articolo 13 della decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione, del 19 settembre 1980, relativa allo sviluppo di tale associazione (in prosieguo: la «decisione n. 1/80»).

    13. 

    Questi due articoli contengono una clausola di standstill avente lo scopo di vietare agli Stati membri di introdurre, a decorrere dalla loro entrata in vigore, nuove restrizioni alla libertà di stabilimento, alla libera prestazione dei servizi e alla libera circolazione dei lavoratori tra la Repubblica di Turchia e gli Stati membri dell’Unione europea.

    14. 

    Più precisamente, l’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale, contenuto nel capo II del titolo II del medesimo, dispone quanto segue:

    «Le Parti Contraenti si astengono dall’introdurre tra loro nuove restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi».

    15. 

    Quanto all’articolo 13 della decisione n. 1/80, esso così recita:

    «Gli Stati membri della Comunità e la Turchia non possono introdurre nuove restrizioni sulle condizioni d’accesso all’occupazione dei lavoratori e dei loro familiari che si trovino sui loro rispettivi territori in situazione regolare quanto al soggiorno e all’occupazione».

    16. 

    Conformemente all’articolo 16, paragrafo 1, della suddetta decisione, tale disposizione è applicabile a decorrere dal 1o dicembre 1980.

    17. 

    Il giudice del rinvio si interroga, in particolare, sulla questione se la nozione di datore di lavoro, quale è stata elaborata nel diritto olandese, costituisca o meno una nuova restrizione ai sensi delle disposizioni in parola.

    18. 

    Vediamo, più precisamente, quali sono le disposizioni della normativa olandese che formano oggetto di discussione.

    19. 

    Il 1o dicembre 1980 l’occupazione degli stranieri nei Paesi Bassi era disciplinata dalla legge del 9 novembre 1978 sul lavoro dei lavoratori stranieri (Wet arbeid buitenlandse werknemers) ( 7 ).

    20. 

    Ai sensi dell’articolo 1, lettera b), 1o, della Wabw, ai fini dell’applicazione delle disposizioni di tale legge, o di quelle da esse derivanti, per datore di lavoro si intende qualsiasi soggetto che si vincola, mediante un contratto di lavoro, a un altro soggetto ai fini dello svolgimento di un’attività lavorativa, salvo che tale altro soggetto non sia distaccato presso un terzo durante il periodo di vigenza della legge del 31 luglio 1965 sulla messa a disposizione di manodopera (Wet op het ter beschikking stellen van arbeidskrachten) ( 8 ).

    21. 

    Ai sensi dell’articolo 1, lettera b), 3°, della Wabw, per datore di lavoro si intende inoltre qualsiasi soggetto presso il quale un altro soggetto è distaccato, qualora la legge sulla messa a disposizione di manodopera sia applicabile a tale distacco.

    22. 

    In forza dell’articolo 4 della Wabw, a un datore di lavoro è vietato far lavorare uno straniero senza permesso rilasciato dal ministro competente.

    23. 

    Ai sensi dell’articolo 1.1, lettera b), della legge sulla messa a disposizione di manodopera, per messa a disposizione di manodopera si intende il distacco di manodopera presso un terzo, dietro corrispettivo, ai fini dell’esercizio, nell’impresa di quest’ultimo, a titolo diverso da un contratto di lavoro concluso con tale impresa, di un’attività lavorativa normalmente svolta nell’ambito della stessa.

    24. 

    La versione della Wav 1994, applicabile nella fattispecie, è quella in vigore prima dell’entrata in vigore della legge del 25 giugno 2009 ( 9 ), il 1o luglio 2009.

    25. 

    Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), 1o, della Wav 1994, per datore di lavoro si intende colui che, nell’esercizio di una funzione, di una professione o di un’impresa, fa svolgere attività lavorative a un altro soggetto.

    26. 

    Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della Wav 1994, a un datore di lavoro è vietato far svolgere attività lavorative da uno straniero nei Paesi Bassi senza un permesso di lavoro.

    27. 

    Tale divieto non si applica, tuttavia, nei confronti dello straniero che, nell’ambito di una prestazione di servizi transnazionale, svolge temporaneamente un’attività lavorativa nei Paesi Bassi alle dipendenze di un datore di lavoro stabilito in uno Stato membro dell’Unione diverso dal Regno dei Paesi Bassi, a condizione che non si tratti di una prestazione di servizi consistente nella messa a disposizione di manodopera.

    28. 

    Inoltre, l’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della Wav 1994 precisa che il suddetto divieto non si applica a uno straniero che non può essere oggetto di un permesso di lavoro in forza di disposizioni di un accordo concluso con altri Stati o di una decisione adottata da un’organizzazione di diritto internazionale pubblico che vincola il Regno dei Paesi Bassi.

    29. 

    Da tale presentazione delle disposizioni nazionali emerge che, prima dell’entrata in vigore della decisione n. 1/80, il datore di lavoro doveva ottenere un permesso di lavoro ai sensi dell’articolo 1, lettera b), 1o, della Wabw se faceva svolgere un’attività lavorativa ad uno straniero in base a un contratto di lavoro, salvo che lo straniero non fosse distaccato presso un terzo durante il periodo di vigenza della legge sulla messa a disposizione di manodopera. Secondo l’articolo 1, lettera b), 3°, della Wabw, il datore di lavoro ai sensi di tale legge era, in tal caso, colui presso il quale lo straniero era stato distaccato. Ne consegue che la BIS, presso la quale i lavoratori stranieri sono stati distaccati ad opera della Ekinci, sarebbe stata, già prima dell’entrata in vigore della decisione n. 1/80, un datore di lavoro tenuto a rispettare l’obbligo del permesso.

    30. 

    Come osservato dal giudice del rinvio, dai lavori preparatori degli articoli 1 e 2 della Wav 1994 emerge che il datore di lavoro tenuto a rispettare l’obbligo del permesso è colui che fa svolgere effettivamente attività lavorative ad uno straniero e tale datore di lavoro è, in qualsiasi momento, responsabile dell’esistenza del permesso di lavoro necessario. L’esistenza di un contratto di lavoro o di un vincolo di subordinazione non rileva al riguardo. Il fatto che un’attività lavorativa sia effettivamente svolta su commissione o alle dipendenze di un datore di lavoro è sufficiente per stabilire la qualità di datore di lavoro. Il giudice del rinvio precisa che tale adeguamento della normativa nazionale era necessario in quanto, nella prassi, i datori di lavoro cercavano, per vie traverse e mediante costruzioni complesse, un mezzo per sottrarsi all’obbligo del permesso di lavoro in caso di assunzione di lavoratori stranieri. La soluzione prescelta è consistita nell’adottare una definizione ampia del concetto di datore di lavoro che possa essere ritenuto responsabile della mancanza di permessi di lavoro per i cittadini di Stati terzi cui esso fa svolgere attività lavorative.

    31. 

    Tenuto conto di tale ampia nozione di datore di lavoro, adottata nella Wav 1994, ne deriva che, in una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, l’obbligo del permesso di lavoro vale non solo per l’impresa utilizzatrice, nella fattispecie la BIS, ma anche per gli altri datori di lavoro nella catena occupazionale, tra cui il committente, nella fattispecie la Essent.

    32. 

    Il giudice del rinvio spiega di trovarsi di fronte alla questione se l’ampliamento della nozione di datore di lavoro da parte della Wav 1994 debba essere considerato come una nuova restrizione ai sensi della clausola di standstill contenuta nell’articolo 13 della decisione n. 1/80 nonché nell’articolo 41 del Protocollo addizionale e, pertanto, se l’irrogazione di un’ammenda alla Essent sia contraria a tali articoli. Dal punto di vista della Essent, l’ampliamento, dopo l’entrata in vigore dei suddetti articoli, della nozione di datore di lavoro che può essere ritenuto responsabile della mancanza di permessi di lavoro per i lavoratori stranieri ai quali esso fa svolgere attività lavorative comporterebbe la restrizione dell’accesso dei lavoratori turchi al mercato del lavoro olandese.

    33. 

    Prima di interrogarsi sulla questione se tale ampliamento della nozione di datore di lavoro costituisca una nuova restrizione contraria all’articolo 13 della decisione n. 1/80 nonché all’articolo 41 del Protocollo addizionale, il giudice del rinvio si chiede inoltre se la Essent sia legittimata a far valere tali articoli.

    34. 

    È in tale contesto che il Raad van State ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1)

    Se in una situazione come quella in esame nel procedimento principale un committente, che deve essere considerato come datore di lavoro dei lavoratori turchi di cui trattasi, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della [Wav 1994], possa invocare, nei confronti delle autorità olandesi, la clausola di standstill di cui all’articolo 13 della decisione n. 1/80 o la clausola di standstill di cui all’articolo 41 del Protocollo addizionale.

    2)

    a)

    Se la clausola di standstill di cui all’articolo 13 della decisione n. 1/80 o la clausola di standstill di cui all’articolo 41 del Protocollo addizionale debbano essere interpretate nel senso che esse ostano all’introduzione di un divieto per i committenti, come quello previsto all’articolo 2, paragrafo 1, della [Wav 1994], di far svolgere attività lavorative, nei Paesi Bassi, a lavoratori senza permesso di lavoro, cittadini di uno Stato terzo, nella fattispecie la [Repubblica di] Turchia, se i suddetti lavoratori sono alle dipendenze di un’impresa tedesca e lavorano nei Paesi Bassi per il committente tramite un’impresa utilizzatrice olandese.

    2)

    b)

    Se, al riguardo, sia rilevante il fatto che a un datore di lavoro, già prima dell’entrata in vigore sia della clausola di standstill di cui all’articolo 41 del Protocollo addizionale, sia della clausola di standstill di cui all’articolo 13 della decisione n. 1/80, fosse vietato far svolgere un’attività lavorativa, in base a un contratto di lavoro, a uno straniero senza permesso di lavoro e che parimenti tale divieto fosse stato esteso alle imprese utilizzatrici, presso le quali gli stranieri sono distaccati, prima dell’entrata in vigore della clausola di standstill di cui all’articolo 13 della decisione n. 1/80».

    I – Analisi

    35.

    Occorre ricordare che la circostanza che, formalmente, il giudice nazionale abbia formulato la questione pregiudiziale facendo riferimento a talune disposizioni del diritto dell’Unione non osta a che la Corte fornisca a detto giudice tutti gli elementi di interpretazione che possono essere utili per la soluzione della causa di cui è investito, indipendentemente dal fatto che esso vi abbia fatto o meno riferimento nella formulazione delle sue questioni. A tal proposito, la Corte è tenuta a trarre dall’insieme degli elementi forniti dal giudice nazionale e, in particolare, dalla motivazione della decisione di rinvio, gli elementi di diritto dell’Unione che richiedono un’interpretazione tenuto conto dell’oggetto della controversia ( 10 ).

    36.

    Orbene, per le ragioni che svilupperò in seguito, ritengo che gli articoli 13 della decisione n. 1/80 e 41 del Protocollo addizionale non siano rilevanti a fini della soluzione della controversia nel procedimento principale.

    37.

    Per contro, a mio parere, le questioni sollevate nella causa in esame dovrebbero essere trattate alla luce degli articoli 56 TFUE e 57 TFUE.

    A – Sulle norme del diritto dell’Unione applicabili

    38.

    È pacifico che la Ekinci è un’impresa avente sede in Germania. Secondo il registro delle imprese tedesco, detta impresa ha come attività la costruzione, il montaggio e l’affitto di impalcature.

    39.

    La Ekinci ha messo a disposizione della BIS lavoratori cittadini di vari Stati terzi, tra i quali la Repubblica di Turchia, ai fini della costruzione di impalcature, per un periodo compreso tra il 1o gennaio e il 20 maggio 2008.

    40.

    Non si contesta il fatto che i lavoratori interessati, costituiti in maggioranza da cittadini turchi, siano in possesso, in Germania, del permesso di soggiorno e che lavorino in tale Stato legalmente.

    1. Sull’inapplicabilità dell’articolo 13 della decisione n. 1/80

    41.

    Risulta da giurisprudenza costante che la clausola di standstill, prevista all’articolo 13 della decisione n. 1/80, proibisce in generale l’introduzione di qualsiasi nuova misura interna che abbia per oggetto o per effetto di assoggettare l’esercizio, da parte di un cittadino turco, della libera circolazione dei lavoratori sul territorio nazionale a condizioni più restrittive di quelle che gli erano applicabili al momento dell’entrata in vigore della decisione n. 1/80 nei confronti dello Stato membro considerato ( 11 ).

    42.

    Peraltro, la Corte ha ripetutamente affermato che i lavoratori turchi, contrariamente ai cittadini degli Stati membri, non hanno il diritto di circolare liberamente all’interno dell’Unione, ma fruiscono solo di taluni diritti nello Stato membro ospitante ( 12 ).

    43.

    Nella fattispecie, lo Stato membro ospitante dei lavoratori cittadini turchi è la Repubblica federale di Germania, Stato membro nel quale essi risiedono e lavorano legalmente. Ciò significa che tali lavoratori possono far valere nei confronti di tale Stato membro i diritti che derivano loro dalla decisione n. 1/80.

    44.

    Inoltre, l’articolo 13 della decisione n. 1/80 riguarda le misure nazionali relative all’accesso all’occupazione. La Corte ne ha dedotto che tale articolo «non è destinato a tutelare i cittadini turchi già integrati nel mercato del lavoro di uno Stato membro, ma è destinato ad applicarsi appunto ai cittadini turchi che non godono ancora dei diritti in materia di occupazione e, correlativamente, di soggiorno ai sensi dell’art[icolo] 6, [paragrafo] 1, della decisione n. 1/80» ( 13 ).

    45.

    Occorre inoltre ricordare quanto dichiarato dalla Corte nella sentenza Abatay e a. ( 14 ), a proposito di autotrasportatori turchi, dipendenti di un’impresa con sede in Turchia, che effettuavano in Germania trasporti internazionali di merci. Essa ha anzitutto sottolineato che tali autotrasportatori turchi «si trovano in territorio tedesco solo per periodi estremamente limitati, al solo fine di trasportar[vi] e scaricar[vi] merci (…) provenienti d[a]lla Turchia o di caricarvi merci da trasportare verso paesi quali la Turchia, l’Iran o l’Iraq» ( 15 ). Essa ha poi constatato che, «[d]opo ogni prestazione, essi ritornano in Turchia, ove risiedono con le loro famiglie e ove ha sede l’impresa che li ha assunti e li retribuisce» ( 16 ), per dedurne che «[t]ali cittadini turchi, pertanto, non hanno alcuna intenzione di integrarsi nel mercato del lavoro della Repubblica federale di Germania quale Stato membro ospitante» ( 17 ).

    46.

    Orbene, secondo la Corte, «dalla logica e dagli obiettivi della decisione n. 1/80 emerge che, allo stato attuale della libera circolazione dei lavoratori nell’ambito dell’associazione CEE‑Turchia (…), la detta decisione ha come scopo essenziale la progressiva integrazione dei lavoratori turchi [nello Stato membro ospitante] per effetto dell’esercizio di una regolare attività lavorativa ininterrotta, in linea di principio (…)» ( 18 ).

    47.

    L’articolo 13 della decisione n. 1/80 non si applicava quindi a una situazione caratterizzata dalla temporanea presenza in Germania di lavoratori cittadini turchi, che non poteva quindi essere considerata come volontà di tali lavoratori di integrarsi nel mercato del lavoro di tale Stato membro.

    48.

    Ciò vale, a mio avviso, anche nell’ambito della causa in esame, relativa a lavoratori cittadini turchi che risiedono e lavorano legalmente in Germania, costituente quindi il loro Stato ospitante all’interno dell’Unione, e che sono stati distaccati sul territorio olandese per un periodo limitato, corrispondente al tempo necessario per la costruzione di impalcature, di cui era incaricata la BIS. Dopo lo svolgimento di tale incarico, i lavoratori interessati hanno lasciato il territorio olandese e sono tornati i Germania. Come sottolinea giustamente il governo olandese, i suddetti lavoratori non hanno avuto quindi intenzione di integrarsi nel mercato del lavoro olandese. Ne consegue che l’articolo 13 della decisione n. 1/80 non trova applicazione nei confronti delle autorità olandesi nell’ambito del procedimento principale.

    2. Sull’inapplicabilità dell’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale

    49.

    L’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale, come risulta dal suo stesso tenore letterale, enuncia in termini chiari, precisi e categorici una clausola inequivocabile di standstill, che vieta alle parti contraenti di introdurre nuove restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libertà di prestazione dei servizi a partire dalla data di entrata in vigore del Protocollo addizionale ( 19 ).

    50.

    Secondo una giurisprudenza costante della Corte, l’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale ha effetto diretto. Di conseguenza, tale disposizione può essere invocata dinanzi ai giudici degli Stati membri dai cittadini turchi ai quali essa si applica ( 20 ).

    51.

    Va rilevato che la clausola di standstill vieta in via generale l’adozione di qualsiasi nuova misura che abbia per oggetto o per effetto di assoggettare l’esercizio da parte di un cittadino turco delle suddette libertà economiche nel territorio di uno Stato membro a condizioni più restrittive di quelle che erano applicabili alla data di entrata in vigore del Protocollo addizionale nei confronti di tale Stato membro ( 21 ).

    52.

    Al riguardo, la Corte ha già dichiarato, nella sentenza Abatay e a. (EU:C:2003:572), che l’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale può essere invocato da un’impresa con sede in Turchia che effettui legalmente prestazioni di servizi in uno Stato membro e da cittadini turchi, autotrasportatori dipendenti di siffatta impresa ( 22 ).

    53.

    Nella medesima sentenza la Corte ha considerato che tale disposizione vietava l’introduzione, nella normativa di uno Stato membro, dell’obbligo, non richiesto al momento dell’entrata in vigore del Protocollo addizionale, nei confronti di quest’ultimo, di un permesso di lavoro ai fini della fornitura di servizi nel territorio di tale Stato da parte di un’impresa con sede in Turchia e dei suoi dipendenti, cittadini turchi ( 23 ).

    54.

    Dalla sua formulazione letterale risulta che l’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale si inserisce nell’obiettivo diretto a eliminare tra le parti contraenti le restrizioni alla libera prestazione dei servizi ( 24 ). In particolare, tale disposizione vieta agli Stati membri di introdurre, a decorrere dall’entrata in vigore del Protocollo addizionale, nuovi ostacoli alla fornitura di prestazioni di servizi da parte di persone fisiche o giuridiche con sede in Turchia nonché all’ingresso dei cittadini turchi nel territorio di uno Stato membro al fine di eseguirvi prestazioni di servizi per conto di un’impresa avente sede in Turchia ( 25 ).

    55.

    Nell’ambito del procedimento principale, l’unico collegamento con la Repubblica di Turchia consiste nella presenza, in maggioranza, di cittadini turchi tra i lavoratori distaccati dalla Ekinci nel territorio olandese. Tale elemento di collegamento non è tuttavia sufficiente per far rientrare la situazione di cui trattasi nel procedimento principale nell’ambito di applicazione dell’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale.

    56.

    A tal fine, si sarebbe dovuta dimostrare l’esistenza di un’attività economica tra la Repubblica di Turchia e il Regno dei Paesi Bassi, ipotesi che si sarebbe verificata se i cittadini turchi di cui trattasi fossero stati lavoratori autonomi che eseguivano una prestazione di servizi in tale Stato membro o fossero stati lavoratori dipendenti distaccati da un’impresa con sede in Turchia.

    57.

    Poiché l’esercizio della libera prestazione dei servizi da parte di un cittadino turco non era in discussione nell’ambito del procedimento principale, l’applicazione dell’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale mi sembra quindi escluso.

    3. Sull’applicabilità degli articoli 56 TFUE e 57 TFUE

    58.

    Ho rilevato che il giudice del rinvio menziona, nell’ambito della decisione di rinvio, gli articoli 56 TFUE e 57 TFUE. Esso ha tuttavia escluso l’opportunità di interpellare la Corte su tale aspetto ritenendo che dalla sentenza Vicoplus e a. (EU:C:2011:64) risultasse chiaramente che tali articoli non ostavano a che uno Stato membro subordinasse il distacco, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 96/71, sul suo territorio di lavoratori, provenienti da uno Stato terzo, all’ottenimento di un permesso di lavoro.

    59.

    A mio parere, il giudice del rinvio ha ragione nel prospettare l’applicazione degli articoli 56 TFUE e 57 TFUE. Dalla giurisprudenza della Corte risulta, infatti, che l’attività consistente, per un’impresa, nel mettere a disposizione, dietro corrispettivo, manodopera che rimane dipendente di detta impresa, senza che nessun contratto di lavoro sia stipulato con l’utilizzatore, costituisce un’attività professionale avente le caratteristiche indicate dall’articolo 57, primo comma, TFUE e deve pertanto essere qualificata come servizio ai sensi di detta disposizione ( 26 ).

    60.

    Nell’ambito della causa in esame, la messa a disposizione di lavoratori è realizzata, in effetti, da un’impresa con sede in Germania, nei confronti di un’impresa utilizzatrice con sede nei Paesi Bassi. Siffatta prestazione di servizi tra due imprese aventi sede in due Stati membri diversi rientra senza dubbio nell’ambito di applicazione degli articoli 56 TFUE e 57 TFUE. La circostanza che il distacco di manodopera riguardi lavoratori cittadini di Stati terzi non rileva a tal proposito. La giurisprudenza della Corte dimostra, infatti, che il distacco di lavoratori cittadini di Stati terzi, nell’ambito di una prestazione di servizi, dev’essere considerato proprio alla luce delle norme del Trattato FUE relative alla libera prestazione dei servizi ( 27 ).

    61.

    Il giudice del rinvio, per contro, considera erroneamente che la giurisprudenza della Corte consente, sin d’ora, di fornire una risposta chiara alla questione se la normativa olandese, per la parte in cui esige che i lavoratori cittadini di Stati terzi, interessati da una messa a disposizione tra due imprese con sede in due Stati membri diversi siano oggetto di un permesso di lavoro, sia o meno conforme agli articoli 56 TFUE e 57 TFUE.

    62.

    In particolare, contrariamente a quanto osservato dal giudice del rinvio, ritengo che la risposta alle questioni sollevate dalla causa in esame non derivi in modo chiaro dalla sentenza Vicoplus e a. (EU:C:2011:64). Avrò occasione in seguito di precisare come la soluzione adottata dalla Corte nella causa che ha dato luogo a tale sentenza fosse strettamente dipendente dal suo particolare contesto, ossia l’applicazione di disposizioni transitorie successive all’adesione all’Unione di nuovi Stati membri.

    63.

    La questione principale da definire nell’ambito della causa in esame rimane quindi, finora, senza una risposta chiara da parte della Corte, il che giustifica, al fine di dare al giudice del rinvio una risposta utile alla soluzione della controversia nel procedimento principale, il fatto che la Corte proceda alla riformulazione delle questioni poste da quest’ultimo. La Corte dovrebbe quindi rispondere alla questione se gli articoli 56 TFUE e 57 TFUE debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa di uno Stato membro che subordina il distacco, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 96/71, sul territorio di tale Stato, di lavoratori cittadini di uno Stato terzo all’ottenimento di un permesso di lavoro.

    64.

    Come fa valere la Essent in via principale nelle sue osservazioni, la Corte dovrà stabilire se, nelle circostanze del caso di specie, ossia la messa a disposizione, da parte di un’impresa tedesca, di lavoratori cittadini di Stati terzi presso un’impresa utilizzatrice avente sede nei Paesi Bassi, la quale esegue lavori per conto di un’altra impresa, avente sede anch’essa nei Paesi Bassi, l’obbligo del permesso di lavoro da parte delle autorità olandesi sia compatibile o meno con gli articoli 56 TFUE e 57 TFUE.

    B – Sulla compatibilità della normativa olandese con gli articoli 56 TFUE e 57 TFUE

    65.

    Ho rilevato che la situazione di cui trattasi nel procedimento principale rientra negli articoli 56 TFUE e 57 TFUE. Prima di esaminare se la normativa olandese sia o meno compatibile con tali articoli, occorre anzitutto esporre le ragioni per cui la Essent debba essere considerata, a mio parere, legittimata a invocare i suddetti articoli nell’ambito del procedimento principale.

    1. Sulla possibilità per la Essent di invocare gli articoli 56 TFUE e 57 TFUE nell’ambito del procedimento principale

    66.

    Il contesto della causa in esame è caratterizzato dall’esistenza di una catena di imprese. Così, il committente, nella fattispecie la Essent, ha subappaltato a un’altra impresa, la BIS, la costruzione di impalcature in una delle sue sedi. Per svolgere tale incarico, la BIS ha fatto ricorso ai servizi di un’impresa con sede in Germania, la Ekinci, affinché quest’ultima le mettesse a disposizione manodopera.

    67.

    In siffatto contesto, la normativa olandese è stata modificata al fine di far gravare la responsabilità sul committente in caso di lavoro eseguito da cittadini di Stati terzi senza che questi ultimi siano stati oggetto di un permesso di lavoro. Tale scelta è stata motivata dalla volontà delle autorità olandesi di impedire che il moltiplicarsi delle imprese, che intervengono nell’esecuzione di un incarico, consenta di eludere l’obbligo del permesso di lavoro per i lavoratori cittadini di Stati terzi.

    68.

    Nella fattispecie, l’applicazione della normativa olandese da parte delle autorità nazionali competenti ha portato queste ultime a infliggere soltanto al committente, ossia alla Essent, il pagamento di un’ammenda per la mancanza del permesso di lavoro, e non alla BIS, quale impresa utilizzatrice della manodopera messa a disposizione dalla Ekinci.

    69.

    In tale contesto, negare alla Essent, l’unica impresa a essere chiamata in causa dalle autorità olandesi, la possibilità di invocare gli articoli 56 TFUE e 57 TFUE per contestare l’ammenda ad essa inflitta equivarrebbe a privare di efficacia le norme del Trattato FUE relative alla libera prestazione dei servizi.

    70.

    Ciò significherebbe ammettere che, sebbene l’obbligo del permesso di lavoro per i lavoratori cittadini di Stati terzi, che si trovano distaccati, debba essere inteso essenzialmente alla luce di tali articoli, la circostanza che la Essent si collochi al vertice della catena di imprese interessate, e quindi che essa non sia la destinataria diretta della messa a disposizione dei lavoratori, impedisce alla stessa di invocare l’unico mezzo di difesa, ossia gli articoli 56 TFUE e 57 TFUE.

    71.

    Dato che, in forza della normativa olandese, è il committente a poter essere ritenuto responsabile della mancanza del permesso di lavoro per i lavoratori cittadini di Stati terzi, esso è l’unico, quando ricorre tale ipotesi, a poter far valere utilmente tali articoli. Negargli detta possibilità equivarrebbe ad ammettere che il sistema istituito dalla normativa olandese, consistente nel risalire nella catena delle responsabilità sino al committente, consente di mantenere restrizioni alla libera prestazione dei servizi.

    72.

    Limitare la possibilità di invocare le norme del Trattato FUE, relative alla libera prestazione dei servizi, ai soli contraenti diretti equivarrebbe a ignorare che, come dimostra la causa in esame, più società possono essere coinvolte nelle catene di subappalto. Non è raro, pertanto, individuare più di quattro intermediari tra i dipendenti e il committente ( 28 ).

    73.

    A causa di tale realtà, potenziale fonte di abusi e di elusione della legislazione sociale, la normativa olandese consente di far gravare la responsabilità sul committente nel caso in cui non siano stati richiesti permessi di lavoro per cittadini di Stati terzi che lavorano alle dipendenze di uno dei suoi subappaltatori.

    74.

    In ciò la normativa olandese si inserisce nell’orientamento espresso dall’attuale dibattito per la modifica della normativa dell’Unione relativa al distacco dei lavoratori, di cui una delle possibili evoluzioni consisterebbe appunto nell’aumentare la responsabilità del committente.

    75.

    La giurisprudenza relativamente flessibile, elaborata dalla Corte a proposito dei soggetti legittimati a invocare le norme del Trattato FUE relative alla libera circolazione dei lavoratori, mi sembra deporre a favore di un approccio estensivo quanto all’invocabilità degli articoli 56 TFUE e 57 TFUE.

    76.

    In materia di libera circolazione di lavoratori, la Corte ha quindi considerato che «[b]enché sia pacifico che di questi diritti alla libera circolazione di cui [all’articolo 45 TFUE] godono i lavoratori (…), nulla nel disposto di detto articolo vieta che questi diritti possano essere invocati da altri soggetti» ( 29 ). Essa ha pertanto dichiarato che «il beneficio dell’articolo 45 TFUE può essere invocato non solo dai lavoratori stessi, ma anche dai loro datori di lavoro. Infatti, per essere efficace e utile, il diritto dei lavoratori di essere assunti e occupati senza discriminazione deve necessariamente avere come complemento il diritto dei datori di lavoro di assumerli in osservanza delle norme in materia di libera circolazione dei lavoratori» ( 30 ).

    77.

    La Corte ha così proceduto a una dissociazione tra i soggetti che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 45 TFUE e quelli che possono avvalersi di tale articolo. La seconda categoria è più ampia al fine di garantire l’efficacia pratica di detto articolo ( 31 ).

    78.

    La medesima logica dev’essere applicata, a mio avviso, in materia di libera prestazione dei servizi. Tale libertà fondamentale deve poter essere invocata da un soggetto che non ne è formalmente il destinatario. Infatti, la libera prestazione dei servizi, al pari della libera circolazione dei lavoratori, persegue un obiettivo di interesse generale consistente nell’istituzione di un mercato interno. Il perseguimento di tale obiettivo giustifica l’estensione del beneficio delle disposizioni del diritto dell’Unione a soggetti, diversi dai prestatori e dai destinatari di servizi, i quali, ciononostante, presentano un nesso significativo con un soggetto che riveste tale qualifica ( 32 ).

    79.

    Negare alla Essent la possibilità di invocare gli articoli 56 TFUE e 57 TFUE equivarrebbe ad ammettere che, accogliendo una definizione ampia del concetto di datore di lavoro, lo Stato membro di destinazione è in grado di vanificare le norme del Trattato FUE relative alla libera prestazione dei servizi e di sottrarsi al divieto delle restrizioni a tale libertà fondamentale prevista all’articolo 56 TFUE ( 33 ).

    80.

    Alla luce di tali circostanze, un committente come la Essent deve poter far valere diritti direttamente riconosciuti ai prestatori e ai destinatari di servizi dagli articoli 56 TFUE e 57 TFUE.

    81.

    Al riguardo, la constatazione secondo la quale né la Ekinci né la BIS sono parti del procedimento principale non mi sembra decisiva. Infatti, essa non fa venir meno l’interesse della Essent, quale committente sanzionato per la mancanza di permessi di lavoro, a che sia definita la questione della conformità dell’obbligo di siffatti permessi agli articoli 56 TFUE e 57 TFUE. In altri termini, tale questione è direttamente funzionale alla risoluzione della controversia nel procedimento principale, vertente sulla legittimità dell’ammenda inflitta alla Essent.

    2. Sull’esistenza di un ostacolo alla libera prestazione dei servizi

    82.

    In via preliminare, va ricordato che, secondo costante giurisprudenza, l’articolo 56 TFUE impone non solo l’eliminazione di qualsiasi discriminazione nei confronti del prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro in base alla sua cittadinanza, ma anche la soppressione di qualsiasi restrizione, anche qualora essa si applichi indistintamente ai prestatori nazionali e a quelli degli altri Stati membri, quando sia tale da vietare, ostacolare o rendere meno allettanti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, ove fornisce legittimamente servizi analoghi ( 34 ).

    83.

    Orbene, per quanto riguarda il distacco di lavoratori cittadini di uno Stato terzo da parte di un’impresa prestatrice di servizi stabilita in uno Stato membro dell’Unione, è già stato dichiarato che una normativa nazionale, che subordini al rilascio di un’autorizzazione amministrativa l’esercizio di prestazioni di servizi sul territorio nazionale da parte di un’impresa avente sede in un altro Stato membro, costituisce una restrizione a tale libertà ai sensi dell’articolo 56 TFUE ( 35 ).

    84.

    Ho osservato in precedenza che, secondo l’articolo 2, paragrafo 1, della Wav 1994, a un datore di lavoro è vietato far svolgere attività lavorative da uno straniero nei Paesi Bassi senza un permesso di lavoro. Tale divieto non si applica tuttavia nei confronti dello straniero che, nell’ambito di una prestazione di servizi transnazionale, svolge temporaneamente un’attività lavorativa nei Paesi Bassi alle dipendenze di un datore di lavoro avente sede in uno Stato membro dell’Unione diverso dal Regno dei Paesi Bassi, a condizione che non si tratti di una prestazione di servizi consistente nella messa a disposizione di manodopera.

    85.

    La normativa olandese riserva quindi un trattamento particolare alla prestazione di servizi consistente nella messa a disposizione di lavoratori cittadini di Stati terzi a favore di un’impresa con sede nei Paesi Bassi da parte di un’impresa con sede in un altro Stato membro. Per questo tipo di prestazione di servizi, l’obbligo del permesso di lavoro per i lavoratori cittadini di Stati terzi viene mantenuto.

    86.

    Alla luce della giurisprudenza della Corte da me citata, si deve ammettere che, a causa degli oneri amministrativi che esso presuppone, l’obbligo del permesso di lavoro per i lavoratori cittadini di Stati terzi, distaccati presso un’impresa utilizzatrice «come la BIS», da parte di un’impresa prestatrice di servizi con sede in un altro Stato membro, come la Ekinci, costituisce un ostacolo alla libera prestazione dei servizi, vietata in linea di principio dall’articolo 56 TFUE.

    87.

    L’ottenimento di permessi di lavoro per i lavoratori cittadini di Stati terzi, messi a disposizione di un’impresa con sede nei Paesi Bassi da un’impresa con sede in un altro Stato membro, è sottoposto a più condizioni, quali la preventiva verifica che non esista manodopera disponibile nel mercato nazionale del lavoro, nonché a limitazioni in termini di scadenze. Non si tratta quindi di una semplice formalità. In concreto, l’obbligo di permessi di lavoro può pertanto avere come effetto di dissuadere un’impresa come la Ekinci dall’esercitare la libertà di prestazione di servizi, in quanto essa si trova limitata nella scelta del personale che può mettere, agevolmente e in tempi brevi, a disposizione di un’impresa avente sede in un altro Stato membro.

    3. Sulla giustificazione dell’ostacolo

    88.

    Secondo una costante giurisprudenza, una normativa nazionale compresa in un settore che non abbia costituito oggetto di armonizzazione a livello dell’Unione e che si applichi indistintamente a tutte le persone o imprese che esercitino un’attività nel territorio dello Stato membro interessato può, nonostante gli effetti restrittivi sulla libera prestazione dei servizi, essere giustificata se risponde a ragioni imperative d’interesse generale, qualora tale interesse non sia già tutelato dalle norme cui il prestatore è soggetto nello Stato membro in cui è stabilito, se è idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e se non eccede quanto necessario per il suo raggiungimento ( 36 ).

    89.

    La materia relativa al distacco di lavoratori dipendenti cittadini di uno Stato terzo nell’ambito di una prestazione di servizi transfrontaliera non è armonizzata a livello dell’Unione. Occorre pertanto, in tale contesto, verificare se le restrizioni alla libera prestazione dei servizi derivanti dall’articolo 2, paragrafo 1, della Wav 1994 appaiano giustificate da un obiettivo d’interesse generale e se, eventualmente, siano necessarie per il conseguimento effettivo di tale obiettivo con i mezzi adeguati.

    90.

    Interrogato al riguardo in udienza, il governo olandese ha fatto valere l’obiettivo diretto a tutelare il mercato nazionale del lavoro.

    91.

    A questo proposito si deve ricordare che, benché lo scopo di evitare turbative del mercato del lavoro costituisca senza dubbio un motivo imperativo di interesse generale ( 37 ), la Corte ha più volte dichiarato che «i lavoratori alle dipendenze di un’impresa stabilita in uno Stato membro e che vengono distaccati in un altro Stato membro per effettuarvi una prestazione di servizi non intendono in alcun modo accedere al mercato del lavoro di quest’ultimo Stato, poiché essi tornano nel loro paese d’origine o di residenza dopo aver svolto il loro compito» ( 38 ).

    92.

    Ciò detto, la Corte ha ammesso che «uno Stato membro può accertare che l’impresa stabilita in un altro Stato membro, che distacchi sul proprio territorio lavoratori di uno Stato terzo, non si avvalga della libera prestazione dei servizi per uno scopo diverso dall’adempimento della prestazione di cui si tratta, ad esempio quello di far venire il proprio personale ai fini del collocamento o della messa a disposizione di lavoratori» ( 39 ).

    93.

    Secondo la Corte, «[c]ontrolli del genere devono però rispettare i limiti posti dal diritto [dell’Unione], in particolare quelli derivanti dalla libera prestazione dei servizi, che non può essere vanificata e il cui esercizio non può essere sottoposto alla discrezionalità dell’amministrazione» ( 40 ).

    94.

    La Corte ne ha concluso più volte che, a causa delle formalità e dei tempi procedurali implicati, l’obbligo del permesso di lavoro per i cittadini di Stati terzi che siano distaccati nell’ambito di una prestazione di servizi transfrontaliera priva di interesse la libera prestazione dei servizi sul territorio degli Stati membri effettuata mediante lavoratori distaccati, cittadini di Stati terzi ( 41 ). Poiché siffatto obbligo è sproporzionato alla luce degli obiettivi consistenti nel garantire, da un lato, la stabilità del mercato del lavoro dello Stato membro di destinazione e, dall’altro, la tutela sociale dei lavoratori distaccati, esso è stato dichiarato contrario alle norme del Trattato FUE relative alla libera prestazione dei servizi.

    95.

    Tuttavia, la Corte non è stata ancora chiamata a pronunciarsi specificamente sulla compatibilità, con gli articoli 56 TFUE e 57 TFUE, del mantenimento dell’obbligo del permesso di lavoro per i lavoratori cittadini di Stati terzi, il cui distacco costituisce non già l’elemento accessorio di una prestazione di servizi transfrontaliera, bensì l’oggetto esclusivo di siffatta prestazione.

    96.

    Al fine di cogliere con esattezza la novità e la portata della questione, occorre richiamare la definizione fornita dalla Corte di messa a disposizione di manodopera.

    97.

    Nella sentenza Vicoplus e a. (EU:C:2011:64), la Corte ha fornito, infatti, alcune precisazioni sulla definizione dell’operazione consistente, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 96/71, nel «distacc[are], in quanto imprese di lavoro temporaneo o in quanto imprese che effettuano la cessione temporanea di lavoratori, un lavoratore presso un’impresa utilizzatrice avente la sede o un centro di attività nel territorio di uno Stato membro, purché durante il periodo di distacco esista un rapporto di lavoro fra il lavoratore e l’impresa di lavoro temporaneo o l’impresa che lo cede temporaneamente».

    98.

    In tale sentenza la Corte ha dichiarato che «il distacco di lavoratori ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 96/71 è una prestazione di servizi fornita dietro retribuzione per la quale il lavoratore distaccato rimane alle dipendenze dell’impresa prestatrice, senza che alcun contratto di lavoro sia stipulato con l’impresa utilizzatrice. Esso è caratterizzato dal fatto che il trasferimento del lavoratore nello Stato membro ospitante costituisce l’oggetto stesso della prestazione di servizi effettuata dall’impresa prestatrice e che detto lavoratore svolge i suoi compiti sotto il controllo e la direzione dell’impresa utilizzatrice» ( 42 ).

    99.

    Alla luce di tale definizione, incomberà al giudice del rinvio verificare che esso si trova proprio di fronte a una situazione di messa a disposizione di manodopera rispondente ai criteri stabiliti dalla Corte nella sentenza Vicoplus e a. (EU:C:2011:64).

    100.

    Ricordo che, ai sensi dell’articolo 1.1, lettera b), della legge sulla messa a disposizione di manodopera, per messa a disposizione di manodopera si intende il distacco di manodopera presso un terzo, dietro corrispettivo, ai fini dell’esercizio, nell’impresa di quest’ultimo, a titolo diverso da un contratto di lavoro concluso con tale impresa, di un’attività lavorativa normalmente svolta nell’ambito della stessa. Tale definizione mi sembra meno completa di quella adottata dalla Corte.

    101.

    Il giudice del rinvio dovrà quindi assicurarsi che i lavoratori stranieri abbiano svolto effettivamente il lavoro sotto il controllo e la direzione della BIS, e non sotto il controllo e la direzione della Ekinci.

    102.

    Infatti, se tale seconda opzione dovesse essere accolta, saremmo in presenza non già di una messa a disposizione di manodopera rispondente ai criteri stabiliti dalla Corte nella sentenza Vicoplus e a. (EU:C:2011:64), bensì di un contratto di subappalto ( 43 ). In tale situazione, non sussistono dubbi quanto al fatto che la giurisprudenza della Corte vieti già l’obbligo del permesso di lavoro per i lavoratori cittadini di Stati terzi che siano distaccati nell’ambito di una prestazione di servizi.

    103.

    Per contro, se, come sembra, la prestazione di servizi di cui trattasi consiste effettivamente ed esclusivamente nella messa a disposizione di lavoratori rispondenti ai criteri adottati dalla Corte nella sentenza Vicoplus e a. (EU:C:2011:64), la giurisprudenza della Corte sembra ancora incerta e necessita quindi di chiarimenti.

    104.

    Infatti, dalla giurisprudenza della Corte risulta che la prestazione di servizi consistente nella messa a disposizione di lavoratori è stata sempre intesa come una prestazione di servizi di natura particolare ( 44 ). Essa è stata quindi oggetto di un trattamento specifico con conseguenze giuridiche adeguate alla sua particolare natura.

    105.

    In sostanza, gli elementi tratti dalla giurisprudenza della Corte consentono di concludere che la messa a disposizione di manodopera costituisce una prestazione di servizi di natura particolare, poiché essa si contraddistingue per via del suo oggetto consistente nel far accedere lavoratori al mercato del lavoro dello Stato membro ospitante. Sotto tale aspetto, pur costituendo un’attività economica che rientra in primo luogo nell’ambito di applicazione delle norme del Trattato FUE relative alla libera prestazione dei servizi, la messa a disposizione di lavoratori non può essere totalmente avulsa dalle problematiche collegate alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione.

    106.

    Nella sentenza Vicoplus e a. (EU:C:2011:64), la Corte ha posto in risalto la natura particolare della prestazione di servizi consistente nella messa a disposizione di manodopera. Facendo riferimento alla sentenza Webb ( 45 ), essa ha ricordato che «tale attività può avere un impatto sul mercato del lavoro dello Stato membro del destinatario della prestazione» ( 46 ). Infatti, secondo la Corte, da un lato, «i lavoratori occupati da imprese di fornitura di manodopera possono, se del caso, rientrare nella sfera di applicazione delle disposizioni degli art[icoli] 45 TFUE ‑ 48 TFUE e dei regolamenti dell’Unione adottati per la loro attuazione» ( 47 ). Dall’altro, «a causa delle peculiari caratteristiche del rapporto di lavoro sottostante alla fornitura di manodopera, l’esercizio di tale attività incide direttamente sia sui rapporti esistenti sul mercato del lavoro sia sui legittimi interessi dei lavoratori interessati» ( 48 ).

    107.

    Nella sentenza Vicoplus e a. (EU:C:2011:64), la Corte ha altresì ricordato che, al punto 16 della sentenza Rush Portuguesa ( 49 ), essa ha constatato che «un’impresa che fornisce manodopera, anche se prestatrice di servizi ai sensi del Trattato FUE, svolge attività che hanno per l’appunto lo scopo di far accedere i lavoratori al mercato del lavoro dello Stato membro ospitante» ( 50 ).

    108.

    Secondo la Corte, «[t]ale considerazione è giustificata dal fatto che il lavoratore distaccato ai sensi dell’art[icolo] 1, [paragrafo] 3, lett[era] c), della direttiva 96/71 è tipicamente destinato, durante il periodo della sua cessione temporanea, ad un posto in seno all’impresa utilizzatrice che altrimenti sarebbe stato occupato da un dipendente di quest’ultima» ( 51 ).

    109.

    Proprio alla luce di tali caratteristiche specifche della messa a disposizione di manodopera la Corte ha considerato, nel punto 32 della sua sentenza Vicoplus e a. (EU:C:2011:64), che la normativa di uno Stato membro che subordini il distacco, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 96/71, sul territorio di tale Stato, di lavoratori cittadini di un altro Stato membro all’ottenimento di un permesso di lavoro doveva essere considerata come «una misura che disciplina l’accesso dei cittadini polacchi al mercato del lavoro [del primo Stato] ai sensi del capitolo 2, punto 2, dell’allegato XII dell’Atto di adesione del 2003» ( 52 ).

    110.

    La Corte ne ha concluso che «[p]er tale motivo, tale normativa, che, durante il periodo transitorio di cui al capitolo 2, punto 2, dell’allegato XII dell’Atto di adesione del 2003, continua a subordinare il distacco, ai sensi dell’art[icolo] 1, [paragrafo] 3, lett[era] c), della direttiva 96/71, dei cittadini polacchi nel territorio di detto Stato al rilascio di un permesso di lavoro, è compatibile con gli art[icoli] 56 TFUE e 57 TFUE» ( 53 ).

    111.

    Occorre chiedersi se siffatto ragionamento sia automaticamente applicabile, come suggerisce il giudice del rinvio, a una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in cui l’obbligo del permesso di lavoro riguarda il distacco, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 96/71, di cittadini di Stati terzi.

    112.

    A mio parere, la risposta a tale quesito dovrebbe essere negativa.

    113.

    Occorre infatti sottolineare che la conclusione cui è giunta la Corte nella sentenza Vicoplus e a. (EU:C:2011:64) è sicuramente motivata non solo dalla particolare natura della prestazione di servizi costituita dalla messa a disposizione di lavoratori, ma anche dalla finalità della disposizione transitoria sulla cui interpretazione essa era chiamata a pronunciarsi.

    114.

    A tal proposito, la Corte ha considerato che la conclusione cui era giunta si imponeva parimenti «tenuto conto della finalità di detta disposizione che mira ad evitare che, in seguito all’adesione all’Unione di nuovi Stati membri, si verifichino perturbazioni sul mercato del lavoro degli Stati che erano già membri, dovute all’arrivo immediato di un numero elevato di lavoratori cittadini di detti nuovi Stati» ( 54 ). La Corte aggiunge che «[t]ale finalità risulta, in particolare, dal capitolo 2, punto 5, dell’allegato XII dell’Atto di adesione del 2003, in quanto tale paragrafo prevede la possibilità per uno Stato membro, se il suo mercato del lavoro subisce o rischia di subire gravi perturbazioni, di prorogare, fino alla fine del periodo di sette anni dopo la data di adesione della Repubblica di Polonia, le misure di cui al punto 2 dello stesso capitolo 2» ( 55 ).

    115.

    Tenuto conto della suddetta finalità, «distinguere fra l’afflusso di lavoratori sul mercato del lavoro di uno Stato membro a seconda che essi vi accedano mediante la cessione temporanea di manodopera o direttamente e in modo autonomo risulta artificiale, poiché, in entrambi i casi, tale movimento di lavoratori potenzialmente rilevante può perturbare il mercato del lavoro in questione» ( 56 ). Di conseguenza, «[e]scludere la cessione temporanea di manodopera dalla sfera di applicazione del capitolo 2, punto 2, dell’allegato XII dell’Atto di adesione del 2003 rischierebbe (…) di privare tale disposizione di una gran parte della sua utilità» ( 57 ).

    116.

    Così, nella sentenza Vicoplus e a. (EU:C:2011:64), la Corte ha ritenuto che il permesso di lavoro, richiesto ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della Wav 1994, per una prestazione di servizi consistente nella messa a disposizione di manodopera, fosse una misura proporzionata alla luce degli articoli 56 TFUE e 57 TFUE, tenuto conto della riserva formulata al capitolo 2, punto 2, dell’allegato XII dell’Atto di adesione del 2003 riguardo alla libera circolazione dei lavoratori, dello scopo specifico di questa disposizione nonché della necessità di preservarne l’efficacia pratica.

    117.

    Dato che la finalità specifica, consistente, per lo Stato membro di destinazione della messa a disposizione di manodopera, nel proteggere il suo mercato del lavoro dall’arrivo immediato e potenzialmente consistente di lavoratori, in seguito all’adesione all’Unione di nuovi Stati membri, non ha più rilevanza, occorre chiedersi se il mantenimento in via permanente di un permesso di lavoro per i lavoratori cittadini di Stati terzi, messi a disposizione da un’impresa con sede in un altro Stato membro, sia proporzionato all’obiettivo consistente nel garantire, in via generale, la stabilità del mercato del lavoro dello Stato membro di destinazione della messa a disposizione di manodopera.

    118.

    Orbene, ritengo che, sebbene, nei limiti in cui essa costituisca una forma di accesso al mercato del lavoro di tale Stato, la messa a disposizione di lavoratori possa essere assoggettata all’obbligo del permesso di lavoro durante un periodo transitorio successivo all’adesione all’Unione di nuovi Stati membri, caratterizzato da un rischio certo e maggiore di perturbazione immediata e consistente del mercato del lavoro di detto Stato, il mantenimento in via permanente di un siffatto permesso di lavoro per i lavoratori cittadini di Stati terzi, messi a disposizione da un’impresa con sede in un altro Stato membro, arreca tuttavia un pregiudizio eccessivo alla libera prestazione di servizi. Infatti, in quest’ultimo caso di specie, non è possibile individuare lo stesso tipo di rischio di pregiudizio alla stabilità del mercato del lavoro dello Stato membro di destinazione della messa a disposizione di manodopera.

    119.

    Il giudice del rinvio trae, a mio parere, dal punto 37 della sentenza Vicoplus e a. (EU:C:2011:64) conclusioni errate. In tale punto la Corte ricorda, facendo riferimento alle sentenze precedenti, che «uno Stato membro deve poter verificare, fatti salvi i limiti posti dal diritto dell’Unione, che una prestazione di servizi non riguarda, in realtà, la messa a disposizione di manodopera che non fruisce della libera circolazione dei lavoratori». Il giudice del rinvio, procedendo a un’interpretazione estensiva di tale sentenza, ne deduce che gli articoli 56 TFUE e 57 TFUE non ostano a che uno Stato membro subordini il distacco, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 96/71, sul suo territorio, di lavoratori provenienti da uno Stato terzo all’ottenimento di un permesso di lavoro.

    120.

    Siffatta interpretazione equivale a ritenere che, poiché la messa a disposizione di manodopera ha come effetto di far accedere i lavoratori cittadini di Stati terzi interessati al mercato del lavoro dello Stato membro di destinazione, quest’ultimo è legittimato a mantenere nei confronti di tali lavoratori le misure nazionali che disciplinano l’accesso di questi ultimi al mercato del lavoro del medesimo Stato membro.

    121.

    Ciò significa, a mio parere, considerare un po’ troppo rapidamente la condizione, espressamente menzionata dalla Corte, secondo la quale il potere di verifica di cui dispongono gli Stati membri deve rispettare i limiti posti dal diritto dell’Unione. Ricordo che la Corte ha avuto occasione di precisare che, fra tali limiti, rientrano «quelli derivanti dalla libera prestazione dei servizi, che non può essere vanificata e il cui esercizio non può essere sottoposto alla discrezionalità dell’amministrazione» ( 58 ).

    122.

    Sebbene, con tale potere di verifica, gli Stati membri debbano potersi assicurare della effettiva natura del distacco di lavoratori che viene effettuato sul loro territorio e poter applicare ad esso, di conseguenza, le misure di controllo adeguate, il riconoscimento di siffatto potere non significa tuttavia, a mio parere, che gli Stati membri siano legittimati a mantenere, in via permanente, l’obbligo del permesso di lavoro per i lavoratori cittadini di Stati terzi, messi a disposizione sul loro territorio da un’impresa con sede in un altro Stato membro. Una conclusione in senso contrario avrebbe come effetto di dissuadere un’impresa come la Ekinci dal mettere a disposizione il suo personale presso un’impresa come la BIS. Essa vanificherebbe la prestazione di servizi transfrontalieri in cui consiste la messa a disposizione di lavoratori qualora questi ultimi siano cittadini di Stati terzi.

    123.

    Peraltro, non va dimenticato che la messa a disposizione di lavoratori, nei limiti in cui essa costituisca una prestazione di servizi, è per natura temporanea ( 59 ).

    124.

    Pertanto, sebbene costituisca, naturalmente, una forma di accesso al mercato del lavoro dello Stato membro di destinazione, essa non può assolutamente consentire ai cittadini di Stati terzi distaccati di inserirsi in modo duraturo in tale mercato.

    125.

    In tale contesto, lo Stato membro di destinazione non può imporre tutte le condizioni che sarebbero richieste nel caso in cui il lavoratore desiderasse inserirsi in modo stabile o duraturo nel suo mercato del lavoro.

    126.

    A tal proposito, rilevo che la Corte ha più volte dichiarato che uno Stato membro non può subordinare l’esecuzione della prestazione di servizi sul suo territorio all’osservanza di tutte le condizioni prescritte per lo stabilimento, perché altrimenti priverebbe di qualsiasi efficacia pratica le disposizioni dirette a garantire la libera prestazione dei servizi ( 60 ). Analogamente, uno Stato membro non può, a mio avviso, subordinare la prestazione di servizi, consistente nella messa a disposizione di lavoratori cittadini di Stati terzi, a tutte le condizioni che disciplinano l’accesso diretto di tali lavoratori al suo mercato del lavoro, salvo privare di qualsiasi efficacia pratica le disposizioni del Trattato FUE dirette a garantire la libera prestazione dei servizi.

    127.

    Come riconosciuto dal governo olandese, la BIS ha utilizzato i lavoratori assunti, cittadini di Stati terzi, solo ai fini dell’incarico specifico che doveva essere svolto per conto della Essent. I lavoratori stranieri si trovavano quindi nei Paesi Bassi solo per questo incarico specifico. Dopo lo svolgimento del suddetto incarico, tali lavoratori hanno lasciato il territorio olandese e sono tornati in Germania ( 61 ). Pertanto, il governo olandese constata, esso stesso, che i cittadini di Stati terzi, di cui trattasi nel procedimento principale, non hanno avuto intenzione di inserirsi nel mercato del lavoro del Regno dei Paesi Bassi ( 62 ).

    128.

    Anche se, in un siffatto contesto, il mantenimento in via permanente, da parte di uno Stato membro, dell’obbligo del permesso di lavoro per i lavoratori cittadini di Stati terzi, messi a disposizione di un’impresa con sede in tale Stato da un’impresa con sede in un altro Stato membro, mi sembra che arrechi un pregiudizio eccessivo alla libera prestazione dei servizi di cui fruisce quest’ultima impresa, è tuttavia indispensabile, a mio avviso, che allo Stato membro di destinazione siano riconosciuti poteri di controllo adeguati alla particolare natura della prestazione di servizi in cui consiste la messa a disposizione di manodopera.

    129.

    In particolare, lo Stato membro di destinazione deve essere posto in condizione di verificare che la fornitura di una prestazione di servizi, consistente nella messa a disposizione di lavoratori cittadini di Stati terzi, non sia, in realtà, utilizzata con l’obiettivo di eludere il suo diritto nazionale in materia di immigrazione e la sua normativa nazionale sul lavoro dei cittadini di Stati terzi. In altri termini, si deve consentire allo Stato membro di destinazione di premunirsi contro l’abuso della libera prestazione dei servizi, quando la medesima è utilizzata al solo fine di eludere le restrizioni imposte legittimamente dagli Stati membri ai cittadini di Stati terzi che intendano esercitare, nel loro territorio, un’attività di lavoro dipendente.

    130.

    Tra le misure di controllo che possono essere applicate dallo Stato membro di destinazione rientra la verifica che la messa a disposizione di manodopera sia effettuata al fine di svolgere, presso un’impresa avente sede in tale Stato, un incarico specifico e di durata limitata.

    131.

    Peraltro, lo Stato membro di destinazione è legittimato ad applicare le misure necessarie ad assicurarsi dell’avvenuto ritorno dei lavoratori cittadini di Stati terzi nel loro Stato membro di residenza al termine del distacco.

    132.

    Rinvio, su tale punto, alle misure che la Corte ha potuto citare, a titolo esemplificativo, come misure meno restrittive rispetto al permesso di lavoro. Essa ha così menzionato «l’obbligo imposto ad un’impresa prestatrice di servizi di segnalare preventivamente alle autorità locali la presenza di uno o più lavoratori dipendenti distaccati, la durata prevista di tale presenza e la/le prestazione/i di servizi che giustificano il distacco» ( 63 ). Secondo la Corte, un siffatto obbligo «sarebbe tale da consentire alle autorità di controllare il rispetto della normativa sociale [dello Stato membro di destinazione] durante il periodo di distacco, tenendo conto degli obblighi ai quali l’impresa è già soggetta per effetto delle norme di diritto del lavoro vigenti nello Stato membro di origine» ( 64 ).

    133.

    La Corte ha altresì citato come misura meno restrittiva rispetto al permesso di lavoro «l’obbligo imposto ad un’impresa prestatrice di servizi di fornire alle autorità locali indicazioni sulla regolarità della situazione dei lavoratori interessati, soprattutto in termini di residenza, di autorizzazione di lavoro e di copertura assicurativa» ( 65 ). Secondo la Corte, siffatto obbligo «offrirebbe a tali autorità, in maniera meno restrittiva e parimenti efficace rispetto [all’obbligo del permesso di lavoro], garanzie relative alla regolarità della situazione di quei lavoratori e al fatto che essi esercitino la loro attività principale nello Stato membro in cui ha sede l’impresa prestatrice di servizi. Unitamente alle informazioni fornite da tale impresa in merito al periodo di distacco previsto (…), tali indicazioni consentirebbero alle autorità [dello Stato membro di destinazione] di adottare le eventuali misure necessarie al termine di quel periodo» ( 66 ).

    II – Conclusione

    134.

    Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali poste dal Raad van State nei seguenti termini:

    Gli articoli 56 TFUE e 57 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa di uno Stato membro, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che subordina il distacco ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 96/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 1996, relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi, sul territorio di tale Stato, di lavoratori cittadini di uno Stato terzo all’ottenimento del permesso di lavoro.


    ( 1 ) Lingua originale: il francese.

    ( 2 ) Stb. 1994, n. 959.

    ( 3 ) GU 1997, L 18, pag. 1.

    ( 4 ) Da C‑307/09 a C‑309/09, EU:C:2011:64.

    ( 5 ) Protocollo firmato a Bruxelles il 23 novembre 1970 e concluso, approvato e ratificato a nome della Comunità con regolamento (CEE) n. 2760/72 del Consiglio, del 19 dicembre 1972 (GU L 293, pag. 1; in prosieguo: il «Protocollo addizionale»). Per la parte europea del Regno dei Paesi Bassi, il Protocollo addizionale è entrato in vigore il 1o gennaio 1973.

    ( 6 ) Accordo firmato, il 12 settembre 1963, ad Ankara dalla Repubblica di Turchia, da un lato, nonché dagli Stati membri della Comunità economica europea e dalla Comunità, dall’altro, e concluso, approvato e ratificato a nome di quest’ultima con decisione 64/732/CEE del Consiglio, del 23 dicembre 1963 (GU 1964, n. 217, pag. 3685).

    ( 7 ) Stb. 1978, n. 737; in prosieguo: la «Wabv».

    ( 8 ) Stb. 1965, n. 379; in prosieguo: la «legge sulla messa a disposizione di manodopera».

    ( 9 ) Stb. 2009, n. 265.

    ( 10 ) V., in particolare, sentenza Vicoplus e a. (EU:C:2011:64, punti 22 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 11 ) V., in particolare, sentenza Demir (C‑225/12, EU:C:2013:725, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 12 ) V., in particolare, sentenza Derin (C‑325/05, EU:C:2007:442, punto 66 e giurisprudenza ivi citata). V. inoltre sentenza Demirkan (C‑221/11, EU:C:2013:583, punto 53).

    ( 13 ) Sentenza Sahin, C‑242/06 (EU:C:2009:554, punto 51).

    ( 14 ) C‑317/01 e C‑369/01, EU:C:2003:572.

    ( 15 ) Punto 89.

    ( 16 ) Idem.

    ( 17 ) Idem.

    ( 18 ) Sentenza Abatay e a. (EU:C:2003:572, punto 90).

    ( 19 ) V., in particolare, sentenza Demirkan (EU:C:2013:583, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 20 ) Ibidem (punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 21 ) Ibidem (punto 39 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 22 ) Punti 105 e 106.

    ( 23 ) Punto 117, sesto trattino.

    ( 24 ) Sentenza Demirkan (EU:C:2013:583, punto 43 e giurisprudenza ivi citata). La Corte ha tuttavia precisato, nella medesima sentenza, che «l’obiettivo dell’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale nonché il contesto in cui tale disposizione si inscrive si differenziano fondamentalmente da quelli dell’articolo 56 TFUE, segnatamente per quanto riguarda l’applicabilità di tali disposizioni ai destinatari di servizi» (punto 49). Così, «la nozione di “libera prestazione dei servizi” di cui all’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale deve essere interpretata nel senso che essa non include la libertà per i cittadini turchi, destinatari di servizi, di recarsi in uno Stato membro per fruire ivi di una prestazione di servizi.» (punto 63).

    ( 25 ) Per quanto riguarda quest’ultimo caso di specie, v. sentenza Soysal e Savatli (C‑228/06, EU:C:2009:101).

    ( 26 ) Sentenza Vicoplus e a. (EU:C:2011:64, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 27 ) V., in particolare, sentenza Commissione/Lussemburgo (C‑445/03, EU:C:2004:655).

    ( 28 ) V. Muller, F., «L’affaire Flamanville: détachement ou fraude sociale?», Droit social, n. 7/8, 2012, pag. 675, in particolare pag. 685.

    ( 29 ) V., in particolare, sentenza Caves Krier Frères (C‑379/11, EU:C:2012:798, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 30 ) V., in particolare, sentenza Las (C‑202/11, EU:C:2013:239, punto 18 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 31 ) Nella sentenza ITC (C‑208/05, EU:C:2007:16), la Corte ha così ammesso che un’agenzia privata di collocamento, che aveva concluso un contratto di collocamento con una persona in cerca di lavoro, potesse avvalersi dei diritti direttamente attribuiti ai lavoratori dell’Unione dall’articolo 45 TFUE (punto 25).

    ( 32 ) V., per analogia, paragrafi 19 e 21 delle conclusioni dell’avvocato generale Fennelly nella causa Clean Car Autoservice (C‑350/96, EU:C:1997:587).

    ( 33 ) V., per analogia, sentenza Clean Car Autoservice (C‑350/96, EU:C:1998:205, punto 21).

    ( 34 ) V., in particolare, sentenza dos Santos Palhota e a. (C‑515/08, EU:C:2010:589, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 35 ) V., in particolare, sentenza Commissione/Austria (C‑168/04, EU:C:2006:595, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 36 ) V., in particolare, sentenza dos Santos Palhota e a. (EU:C:2010:589, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 37 ) V., in particolare, sentenza Commissione/Lussemburgo (EU:C:2004:655, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 38 ) V., in particolare, sentenza Commissione/Austria (EU:C:2006:595, punto 55 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 39 ) Ibidem (punto 56 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 40 ) V., in particolare, sentenza Commissione/Lussemburgo (EU:C:2004:655, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 41 ) Ibidem (punto 41).

    ( 42 ) Sentenza Vicoplus e a. (EU:C:2011:64, punto 51).

    ( 43 ) V., al riguardo, paragrafi da 62 a 64 delle mie conclusioni nella causa Vicoplus e a. (da C‑307/09 a C‑309/09, EU:C:2010:510).

    ( 44 ) Ho avuto occasione di sviluppare tale aspetto ai paragrafi da 31 a 43 delle mie conclusioni nella causa Vicoplus e a. (EU:C:2010:510), paragrafi ai quali rinvio.

    ( 45 ) 279/80, EU:C:1981:314.

    ( 46 ) Sentenza Vicoplus e a. (EU:C:2011:64, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 47 ) Idem.

    ( 48 ) Ibidem (punto 29 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 49 ) C‑113/89, EU:C:1990:142.

    ( 50 ) Sentenza Vicoplus e a. (EU:C:2011:64, punto 30).

    ( 51 ) Ibidem (punto 31).

    ( 52 ) Atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica ceca, della Repubblica di Estonia, della Repubblica di Cipro, della Repubblica di Lettonia, della Repubblica di Lituania, della Repubblica di Ungheria, della Repubblica di Malta, della Repubblica di Polonia, della Repubblica di Slovenia e della Repubblica slovacca e agli adattamenti dei trattati sui quali si fonda l’Unione (GU 2003, L 236, pag. 33; in prosieguo: l’«atto di adesione del 2003»).

    ( 53 ) Sentenza Vicoplus e a. (EU:C:2011:64, punto 33).

    ( 54 ) Sentenza Vicoplus e a. (EU:C:2011:64, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 55 ) Idem.

    ( 56 ) Sentenza Vicoplus e a. (EU:C:2011:64, punto 35).

    ( 57 ) Idem.

    ( 58 ) V., in particolare, sentenza Commissione/Lussemburgo (EU:C:2004:655, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 59 ) Sulla temporaneità delle attività rientranti nella libera prestazione di servizi, v., in particolare, sentenza Gebhard (C‑55/94, EU:C:1995:411, punti 26 e 27).

    ( 60 ) V., in particolare, sentenza Vander Elst (C‑43/93, EU:C:1994:310, punto 17 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 61 ) V. punto 25 delle sue osservazioni.

    ( 62 ) V. punto 26 delle sue osservazioni.

    ( 63 ) V., in particolare, sentenza Commissione/Lussemburgo (EU:C:2004:655, punto 31).

    ( 64 ) Idem.

    ( 65 ) Ibidem (punto 46).

    ( 66 ) Idem.

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