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Document 62007CC0228

    Conclusioni dell'avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer del 15 maggio 2008.
    Jörn Petersen contro Landesgeschäftsstelle des Arbeitsmarktservice Niederösterreich.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Verwaltungsgerichtshof - Austria.
    Previdenza sociale - Regolamento (CEE) n. 1408/71- Artt. 4, n. 1, lett. b) e g), 10, n. 1, e 69 - Libera circolazione delle persone -Artt. 39 CE e 42 CE - Regime legale dell’assicurazione pensione o infortunio - Prestazione assicurativa per diminuita capacità lavorativa o invalidità - Anticipo versato ai disoccupati richiedenti - Qualifica della prestazione come ‘prestazione di disoccupazione’ o come ‘prestazione d’invalidità’ - Requisito di residenza.
    Causa C-228/07.

    Raccolta della Giurisprudenza 2008 I-06989

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2008:281

    CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    DÁMASO RUIZ-JARABO COLOMER

    presentate il 15 maggio 2008 ( 1 )

    Causa C-228/07

    Jörn Petersen

    contro

    Landesgeschäftsstelle des Arbeitsmarktservice Niederösterreich

    «Previdenza sociale — Regolamento (CEE) n. 1408/71 — Artt. 4, n. 1, lett. b) e g), 10, n. 1, e 69 — Libera circolazione delle persone — Artt. 39 CE e 42 CE — Regime legale dell’assicurazione pensione o infortunio — Prestazione assicurativa per diminuita capacità lavorativa o invalidità — Anticipo versato ai disoccupati richiedenti — Qualificazione della prestazione come “prestazione di disoccupazione” o come “prestazione d’invalidità” — Requisito di residenza»

    I — Introduzione

    1.

    Talvolta l’essere umano elabora categorie che sopravvivono soltanto nel mondo delle idee. Tuttavia, se le tassonomie attecchiscono e mostrano di avere una vita propria, si corre il rischio di intavolare discussioni che non portano a nulla. Tale risultato è preoccupante soprattutto quando le dette categorie hanno una portata prevalentemente pratica, come accade nell’ambito del diritto.

    2.

    Nella presente causa, il Verwaltungsgerichtshof austriaco (Corte suprema) nutre un dubbio che, in sé e per sé, non trova una risposta univoca. Pertanto, la Corte di giustizia dovrà cercare la soluzione più appropriata, sebbene non possa essere l’unica possibile; si tratta di una prestazione previdenziale che, alla luce del regolamento del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408 ( 2 ), può essere qualificata in due modi diversi, entrambi convincenti; ma il vero problema nasce non già dalla tipizzazione specifica della prestazione in oggetto, ma dall’obiettivo perseguito dal diritto comunitario, strettamente legato alla creazione della cittadinanza dell’Unione, il cui contenuto è stato elaborato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

    3.

    Come aveva intuito il principe Amleto, primo esistenzialista dell’epoca moderna, la differenza tra l’essere e il non essere è una questione di pura fantasia ( 3 ). Di conseguenza, dobbiamo essere estremamente rigorosi nell’elaborare una proposta giusta e conforme al diritto.

    II — Antefatti della causa principale

    4.

    Il sig. Jörn Petersen, cittadino europeo di nazionalità tedesca, svolgeva attività di lavoro dipendente in Austria, paese in cui si era stabilito. Nell’aprile del 2000 egli chiedeva al Pensionsversicherungsanstalt austriaco (ente che gestisce i fondi pensionistici) una pensione d’invalidità professionale, che gli veniva rifiutata, motivo per cui presentava un ricorso in sede giurisdizionale. Nel corso del procedimento giudiziario, l’Arbeitsmarktservice (ufficio del lavoro) concedeva al sig. Petersen un anticipo sull’indennità di disoccupazione, ai sensi dell’art. 23 dell’Arbeitslosenversicherungsgesetz del 1977 (legge in materia di assicurazione contro la disoccupazione; in prosieguo: l’«AIVG»). Con l’erogazione di tale prestazione, la normativa austriaca intende garantire ai disoccupati che richiedano una pensione d’invalidità un reddito minimo per la durata della procedura di assegnazione della pensione medesima.

    5.

    Dopo aver ottenuto il detto anticipo, il sig. Petersen ha comunicato alle autorità austriache la propria intenzione di trasferirsi nella Repubblica federale di Germania, con la speranza che la prestazione in parola non subisse sospensioni né cambiamenti. Tuttavia, il 28 ottobre 2003, l’amministrazione austriaca gli ha revocato il detto aiuto a motivo del cambio di residenza. Contro tale decisione il sig. Petersen ha adito nuovamente il giudice, avviando un procedimento che ha portato alla formulazione delle presenti questioni pregiudiziali.

    III — Ambito normativo

    A — La normativa comunitaria

    6.

    Nella causa deferita dal giudice austriaco, a un lavoratore che ha trasferito la propria residenza in un altro Stato membro, nella specie, la Germania, è stata revocata una prestazione previdenziale che egli percepiva in Austria, paese in cui l’interessato aveva trascorso la propria vita professionale. Pertanto, il presente rinvio riguarda la libera circolazione delle persone e, in particolare, la libera circolazione dei lavoratori subordinati. Occorre innanzitutto porre in rilievo le pertinenti disposizioni del Trattato CE:

    «Articolo 17

    1.   È istituita una cittadinanza dell’Unione. È cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell’Unione costituisce un complemento della cittadinanza nazionale e non sostituisce quest’ultima.

    2.   I cittadini dell’Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti dal presente trattato».

    «Articolo 18

    1.   Ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal presente trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso.

    (…)».

    «Articolo 39

    1.   La libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità è assicurata.

    2.   Essa implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro.

    3.   Fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, essa importa il diritto:

    a)

    di rispondere a offerte di lavoro effettive;

    b)

    di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri;

    c)

    di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un’attività di lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l’occupazione dei lavoratori nazionali;

    d)

    di rimanere, a condizioni che costituiranno l’oggetto di regolamenti di applicazione stabiliti dalla Commissione, sul territorio di uno Stato membro, dopo aver occupato un impiego.

    (…)».

    «Articolo 42

    Il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all’articolo 251, adotta in materia di sicurezza sociale le misure necessarie per l’instaurazione della libera circolazione dei lavoratori, attuando in particolare un sistema che consenta di assicurare ai lavoratori migranti e ai loro aventi diritto:

    a)

    il cumulo di tutti i periodi presi in considerazione dalle varie legislazioni nazionali, sia per il sorgere e la conservazione del diritto alle prestazioni sia per il calcolo di queste;

    b)

    il pagamento delle prestazioni alle persone residenti nei territori degli Stati membri.

    (…)».

    7.

    Le norme di diritto derivato cui si riferisce l’art. 42 sono contenute essenzialmente nel regolamento n. 1408/71 ( 4 ), e, tra di esse, sono particolarmente rilevanti per il caso che ci occupa gli artt. 4, 10 e 69:

    «Articolo 4

    1.   Il presente regolamento si applica a tutte le legislazioni relative ai settori di sicurezza sociale riguardanti:

    (…)

    b)

    le prestazioni d’invalidità, comprese quelle dirette a conservare o migliorare la capacità di guadagno;

    (…)

    e)

    le prestazioni per infortunio sul lavoro e malattie professionali;

    (…)

    g)

    le prestazioni familiari;

    (…)».

    «Articolo 10

    Salvo quanto diversamente disposto dal presente regolamento, le prestazioni in denaro per invalidità, vecchiaia o ai superstiti, le rendite per infortunio sul lavoro o per malattia professionale e gli assegni in caso di morte acquisiti in base alla legislazione di uno o più Stati membri, non possono subire alcuna riduzione, né modifica, né sospensione, né soppressione, né confisca per il fatto che il beneficiario risiede nel territorio di uno Stato membro diverso da quello nel quale si trova l’istituzione debitrice.

    (…)».

    «Articolo 69

    1.   Il lavoratore subordinato o autonomo in disoccupazione completa, che soddisfa alle condizioni prescritte dalla legislazione di uno Stato membro per avere diritto alle prestazioni e che si reca in uno o più altri Stati membri per cercarvi una occupazione, conserva il diritto a tali prestazioni, alle condizioni e nei limiti sottoindicati:

    a)

    prima della sua partenza deve essere stato iscritto quale richiedente lavoro ed essere rimasto a disposizione degli uffici del lavoro dello Stato competente durante almeno quattro settimane dall’inizio della disoccupazione. Gli uffici o istituzioni competenti possono tuttavia autorizzare la sua partenza prima della scadenza di tale termine;

    b)

    deve iscriversi quale richiedente lavoro presso gli uffici del lavoro di ciascuno degli Stati membri in cui si reca e sottoporsi al controllo ivi organizzato. Tale condizione si ritiene soddisfatta per il periodo anteriore all’iscrizione se si procede all’iscrizione entro un termine di sette giorni dalla data alla quale l’interessato ha cessato di essere a disposizione degli uffici del lavoro dello Stato che ha lasciato. In casi eccezionali, tale termine può essere prolungato dagli uffici o istituzioni competenti;

    c)

    il diritto alle prestazioni è mantenuto per un periodo di tre mesi al massimo a partire dalla data alla quale l’interessato ha cessato di essere a disposizione degli uffici del lavoro dello Stato che ha lasciato, senza che la durata totale della concessione delle prestazioni possa superare la durata delle prestazioni a cui ha diritto a norma della legislazione di detto Stato. Nel caso di un lavoratore stagionale, tale durata è inoltre limitata al periodo che rimane da compiere fino al termine della stagione per la quale egli è stato assunto.

    (…)».

    B — La normativa nazionale

    8.

    La disciplina della prestazione controversa nel presente procedimento è contenuta nell’AIVG, in particolare, agli artt. 7, 16 e 23.

    «Articolo 7

    1)   Ha diritto all’indennità di disoccupazione chiunque:

    1.

    sia a disposizione degli uffici di collocamento;

    2.

    abbia maturato il periodo assicurativo minimo richiesto, e

    3.

    non abbia superato il periodo massimo di fruibilità della prestazione.

    2)   Si considera a disposizione degli uffici di collocamento chiunque sia capace e legittimato ad assumere un impiego (n. 3), sia idoneo al lavoro (n. 8), disposto a lavorare (n. 9) e disoccupato (n. 12).

    (…)

    4)   Si prescinde dal requisito relativo all’idoneità al lavoro nel caso delle persone disoccupate cui siano state applicate misure di riabilitazione professionale, che abbiano realizzato l’obiettivo perseguito da tali misure [art. 300, nn. 1 e 3, della Allgemeines Sozialversicherungsgesetz (legge generale in materia di previdenza sociale)] e che abbiano maturato il periodo minimo di assicurazione obbligatorio conformemente alle dette misure.

    (…)».

    «Articolo 16

    1)   Il diritto all’indennità di disoccupazione è sospeso:

    (…)

    g)

    durante il soggiorno all’estero, salvo il caso in cui trovino applicazione il n. 3 ovvero altre normative basate su accordi internazionali;

    (…)

    3)   Su istanza del disoccupato, la sospensione dell’indennità di disoccupazione di cui al precedente n. 1, lett. g) può essere differita fino a tre mesi, nell’arco del periodo di fruibilità della prestazione, qualora sussistano circostanze meritevoli di considerazione e dopo aver sentito il Regionalbeirat [commissione regionale]. Si considerano tali, quelle circostanze finalizzate a porre termine allo stato di disoccupazione, in special modo quando il disoccupato dimostri di essersi trasferito all’estero per cercare lavoro, per presentarsi ad un datore di lavoro, per seguire un corso di formazione o, infine, per motivi imperativi di carattere familiare.

    (…)».

    «Articolo 23

    1)   Alle persone disoccupate che abbiano chiesto l’erogazione:

    1.

    di un’indennità per incapacità lavorativa totale o parziale, di un’indennità transitoria a carico del regime pensionistico obbligatorio ovvero di prestazioni per infortuni, o

    2.

    di una prestazione contro il rischio vecchiaia in forza del regime assicurativo previsto dall’Allgemeines Sozialversicherungsgesetz, dal Gewerbliches Sozialversicherungsgesetz (legge sulla previdenza sociale nel settore del commercio e dell’industria) o dal Bauern-Sozialversicherungsgesetz (legge sulla previdenza sociale nel settore agricolo), nonché di una prestazione speciale ai sensi del Nachtschwerarbeitsgesetz (legge sul lavoro notturno),

    può essere concesso un anticipo sulla prestazione o sull’indennità di disoccupazione finché non venga presa una decisione in merito alla loro richiesta.

    2)   Per la concessione di un anticipo sull’indennità di disoccupazione è necessario che:

    1.

    a prescindere dal requisito dell’idoneità, della volontà di lavorare e della disponibilità al lavoro conformemente all’art. 7, n. 3, punto 1, siano soddisfatte le restanti condizioni per la concessione di tale prestazione;

    2.

    tenuto conto delle circostanze del caso concreto, appaia probabile la concessione della detta prestazione previdenziale, e

    3.

    nell’ipotesi di cui al n. 1, punto 2, sia stato rilasciato un attestato da parte dell’ente previdenziale competente dal quale risulti che, probabilmente, non sarà possibile prendere una decisione definitiva in merito alla prestazione richiesta entro il termine di due mesi dalla maturazione del diritto a pensione.

    (…).

    4)   L’anticipo dev’essere corrisposto in conformità al n. 1, punto 1, o al n. 2, in misura pari all’importo della prestazione (o indennità) corrispondente, fino ad un tetto massimo pari ad un trentesimo del valore medio delle prestazioni, ivi compresi gli assegni per figli a carico. Qualora la sede regionale dell’Arbeitsmarktservice venga informata, con comunicazione scritta dell’ente previdenziale competente, del fatto che la prestazione richiesta sarà di importo inferiore, l’anticipo verrà conseguentemente ridotto. Nell’ipotesi contemplata al n. 1, punto 2, l’anticipo va versato retroattivamente a decorrere dalla data di maturazione della pensione, sempreché il richiedente abbia fatto domanda entro quattordici giorni dal rilascio dell’attestato di cui al n. 2, punto 3.

    5)   Qualora un ufficio regionale abbia versato un anticipo ai sensi del n. 1, punto 1 o punto 2, una prestazione o un’indennità di disoccupazione, il diritto del disoccupato ad una prestazione ai sensi del n. 1, punto 1 o punto 2, si trasferisce, per una medesima durata, al governo federale, a sostegno della gestione della politica dell’occupazione, per un importo pari alle prestazioni erogate dall’ufficio regionale, ad esclusione dei contributi versati per l’assicurazione malattia e a condizione che l’ufficio regionale faccia valere la trasmissione di tale diritto dinanzi all’ente previdenziale competente (surrogazione legale). Tale trasferimento del diritto produce effetti solo fino a concorrenza dell’importo totale delle prestazioni ancora da versare; il relativo diritto di credito ha carattere privilegiato.

    6)   I contributi per l’assicurazione malattia versati attraverso l’uso di fondi dell’assicurazione contro la disoccupazione nel periodo indicato al n. 5 devono essere rimborsati dagli enti dell’assicurazione malattia competenti attraverso la Hauptverband der österreichischen Sozialversicherungsträger (associazione centrale degli enti di previdenza sociale austriaci), mediante prelievo sulle somme rimborsate dagli enti previdenziali competenti ai sensi del n. 5, secondo le aliquote indicate all’art. 73, n. 2, dell’ASVG.

    7)   Qualora venga negata la pensione di cui al n. 1, l’anticipo va considerato versato a titolo di prestazione o di indennità di disoccupazione per la durata e l’importo goduti, ragione per cui non si procederà a nessun conguaglio e il periodo di erogazione della prestazione verrà ridotto conformemente all’art. 18».

    IV — Questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte di giustizia

    9.

    Su tali premesse, il 25 aprile 2007 il Verwaltungsgerichtshof austriaco ha sottoposto alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1.

    Se una prestazione pecuniaria dell’assicurazione contro la disoccupazione, concessa a disoccupati che abbiano richiesto un’indennità per incapacità lavorativa totale o parziale in forza del regime obbligatorio pensionistico o di assicurazione contro gli infortuni, versata a titolo di anticipo sulla prestazione richiesta fino alla decisione sulla anzidetta domanda e soggetta a successivo conguaglio, che ha come presupposti la disoccupazione e la maturazione di un periodo minimo di assicurazione, ma non i requisiti generalmente richiesti per la concessione dell’indennità di disoccupazione (l’idoneità, la volontà di lavorare e la disponibilità al lavoro) e che, peraltro, viene concessa solo se, alla luce delle circostanze del caso, si possa fare affidamento sulla concessione di prestazioni di assicurazione pensionistica o contro gli infortuni, si configuri come prestazione di disoccupazione ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. g), del regolamento (CEE) del Consiglio 14 giugno 1971, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità, ovvero come prestazione d’invalidità, ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. b), del medesimo regolamento.

    2.

    Qualora la prima questione vada risolta nel senso che la summenzionata prestazione si configura come una prestazione di disoccupazione ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. g), del regolamento n. 1408/71:

     

    se l’art. 39 CE osti ad una norma di diritto interno che sancisce la sospensione del diritto alla prestazione nel caso in cui il disoccupato risieda all’estero (in un altro Stato membro), con l’eccezione di una proroga per un periodo massimo di tre mesi, concessa solo su istanza del disoccupato, sempreché sussistano circostanze meritevoli di considerazione».

    10.

    La presente domanda di pronuncia pregiudiziale è pervenuta nella cancelleria della Corte di giustizia il 9 maggio 2007.

    11.

    Hanno presentato osservazioni scritte il sig. Petersen, i governi tedesco, austriaco, spagnolo, italiano e la Commissione europea.

    12.

    All’udienza del 3 aprile 2008 erano presenti per svolgere osservazioni orali il legale del sig. Petersen, nonché gli agenti del governo austriaco e della Commissione europea.

    V — Analisi delle questioni pregiudiziali

    A — Alcuni chiarimenti a titolo preliminare: la cittadinanza dell’Unione e i criteri di coerenza nella giurisprudenza della Corte di giustizia

    1. Le norme sulla cittadinanza e la loro trasposizione nella giurisprudenza

    13.

    Le questioni sollevate nel presente procedimento hanno ad oggetto la libera circolazione dei lavoratori. Ciononostante, come solitamente accade nei casi di questo genere, la lite verte, in ultima analisi, su cittadini europei che esercitano la libera circolazione. Perciò, una volta introdotta la nozione di cittadinanza, la controversia non si inquadra esclusivamente nell’ambito di applicazione dell’art. 39 CE, ma interessa anche altre disposizioni del Trattato, in particolare, gli art. 17 e 18 CE, il cui contenuto non è stato ancora completamente definito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

    14.

    I soggetti che sono intervenuti nel presente procedimento pregiudiziale hanno confermato l’importanza della cittadinanza prevista dal Trattato CE. Il sig. Petersen, nonché la Commissione e i governi tedesco e spagnolo, invocano l’art. 18 CE in difesa delle loro rispettive posizioni; tuttavia gli artt. 17 CE e 18 CE contengono norme di carattere generale, applicabili fintantoché non esistano norme speciali. Tale circostanza sussiste nel caso che ci occupa, in cui un lavoratore esercita la propria libertà di circolazione e invoca l’art. 39 CE per far valere i suoi diritti nei confronti di uno Stato membro.

    15.

    Ultimamente, la giurisprudenza ha compiuto notevoli passi avanti in questo campo. A partire dalla sentenza Martínez Sala ( 5 ), la cittadinanza europea ha ricevuto un impulso straordinario, collocandosi in testa alle materie di avanguardia del repertorio di questa Corte che, dopo l’introduzione, nel 1992, della parte seconda del Trattato CE, ha saputo interpretare la volontà del costituente, attribuendo al cittadino che si sposta uno status più ampio rispetto a quello dell’operatore economico ( 6 ). Con ritmo lento ma costante, la tutela comunitaria è stata estesa a soggetti tradizionalmente esclusi dall’ambito di applicazione dei Trattati, come gli studenti ( 7 ), i richiedenti un’indennità ( 8 ) o i cittadini di Stati terzi aventi legami con un cittadino dell’Unione ( 9 ). Usando un’espressione grafica, si può dire che la Corte di giustizia ha trasformato il paradigma dell’homo œconomicus in quello dell’homo civitatis ( 10 ).

    16.

    Ho già avuto modo di pronunciarmi sulle ragioni che giustificano tale evoluzione giurisprudenziale, intrapresa certamente con coraggio ma anche con destrezza, per rafforzare lo status individuale del cittadino, mettendo in secondo piano la discussione sulle barriere di accesso e sulla discriminazione ( 11 ). Insomma, come ha rilevato l’avvocato generale Jacobs nell’ambito della causa Konstantinidis, «un cittadino comunitario che si rechi in un altro Stato membro come lavoratore dipendente o autonomo (…) [ha] il diritto non solo di svolgere la sua attività commerciale o professionale e di godere delle stesse condizioni di vita e di lavoro dei cittadini dello Stato ospitante, ma altresì di contare sul fatto che, dovunque egli si rechi per guadagnarsi da vivere all’interno della Comunità europea, egli sarà trattato in conformità ad un codice comune di valori fondamentali (…). In altre parole, egli ha il diritto di dichiarare «civis europeus sum» e di invocare tale status per opporsi a qualunque violazione dei suoi diritti fondamentali» ( 12 ).

    17.

    Benché le citate conclusioni dell’avvocato generale Jacobs siano imperniate sull’invocazione dei diritti fondamentali dell’Unione, a mio parere la loro dialettica è stata accolta dalla Corte di giustizia ( 13 ). Casi come Carpenter ( 14 ), Baumbast ( 15 ), Bidar ( 16 ), Tas-Hagen ( 17 ) o Morgan ( 18 ) dimostrano una tendenza in difesa del singolo, una preoccupazione per la situazione giuridica soggettiva di colui che si avvale di un diritto garantito dai Trattati, in passato solo timidamente accennata. In tal modo, la libera circolazione delle persone acquista un’identità propria, influenzata da contenuti costituzionali ancor più che giuridici, trasformandosi in una libertà affine alla dinamica che caratterizza i diritti fondamentali ( 19 ).

    18.

    Alla luce di tale orientamento giurisprudenziale non deve sorprendere il fatto che, sempre più spesso, le sentenze della Corte di giustizia in materia di libera circolazione dei lavoratori si fondino sugli artt. 17 CE e 18 CE. Alcuni avvocati generali, utilizzando una tecnica più ortodossa, difendono l’applicazione esclusiva dell’art. 39 CE quando si tratta di risolvere questioni riguardanti i lavoratori subordinati. Tuttavia, la Corte di giustizia ha accolto la possibilità di applicare simultaneamente le norme sulla cittadinanza e quelle relative alla libera circolazione dei lavoratori. Ritengo che tale impostazione sia coerente con la giurisprudenza pronunciata in tale settore del diritto, tuttavia il risultato così ottenuto non appare sempre chiaro e convincente. Tale difetto si coglie al passare in rassegna alcune recenti decisioni della Corte di giustizia.

    19.

    Nella causa Commissione/Germania ( 20 ) si discuteva di un aiuto alla proprietà immobiliare, concesso alle persone integralmente soggette all’imposta sul reddito a condizione che l’immobile fosse situato in territorio tedesco. La Corte di giustizia ha constatato un inadempimento del diritto comunitario, ma ha anche precisato che si configurava una duplice violazione: venivano violati, da un lato, gli artt. 39 CE e 43 CE, allorché i soggetti passivi esercitavano un’attività economica; e dall’altro, l’art. 17 CE, qualora l’interessato non esercitasse alcuna attività redditizia ( 21 ). L’avvocato generale Bot, nelle conclusioni relative a tale procedimento, si è limitato a constatare la violazione dei citati artt. 39 CE e 43 CE, non ritenendo necessario esaminare le implicazioni delle disposizioni sulla cittadinanza in un caso del genere ( 22 ). La Corte di giustizia non ha condiviso tale opinione.

    20.

    La sentenza Silke Gaumain-Cerri ( 23 ), nell’ambito dell’esame relativo al requisito della residenza come condizione per la concessione di un aiuto sociale a chi si prenda cura delle persone non autosufficienti, ha confermato l’applicazione del regolamento n. 1408/71 e, pertanto, del diritto derivato in materia di previdenza sociale; e questo benché, a fronte dei dubbi circa la qualifica degli interessati, i cui servizi prestati a persone non autosufficienti non si adattavano esattamente alla nozione comunitaria di «lavoratore», abbia dovuto estendere il regime applicabile alla fattispecie. Prima di affrontare la questione della qualifica della prestazione, che avrebbe influito sulla soluzione del caso, la Corte di giustizia ha dichiarato che il requisito della residenza era illegittimo«(…) senza che occorra pronunciarsi (…) sulla qualità o meno di lavoratore dei terzi interessati, ai sensi dell’art. 39 CE o del regolamento n. 1408/71. È infatti pacifico che, nelle cause principali, tali terzi sono cittadini dell’Unione ai sensi dell’art. 17 CE» ( 24 ).

    21.

    È pertanto ininfluente la circostanza che a chi presta cure alle persone non autosufficienti venga riconosciuta la qualifica di «lavoratore», giacché la tutela del diritto comunitario gli deriverebbe comunque dall’art. 39 CE (e dalle relative norme di attuazione del diritto derivato) o dall’art. 17 CE. Analogamente a quanto aveva stabilito nella causa Commissione/Germania, la Corte di giustizia non ha accolto la tesi dell’avvocato generale che, dopo aver svolto una dettagliata descrizione della situazione lavorativa di coloro che prestano assistenza alle persone non autosufficienti, conclude che si tratta di «lavoratori» ai sensi del diritto comunitario ( 25 ).

    22.

    Le summenzionate sentenze riguardavano singoli che invocavano le norme comunitarie dinanzi al proprio Stato di origine, giustificando in tal modo l’applicazione dell’art. 17 CE, il cui enunciato si limita a dichiarare che i cittadini dell’Unione «godono dei diritti e sono soggetti ai doveri» previsti dal Trattato CE. Una stessa apertura si riscontra nell’art. 18 CE, che sancisce il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Anche tale norma, rivolta sostanzialmente ai cittadini che fanno valere i propri diritti nei confronti di Stati membri diversi da quello di origine, è stata progressivamente integrata negli artt. 39 CE, 43 CE e 49 CE.

    23.

    La sentenza Baumbast ha permesso ad un cittadino tedesco, che si era avvalso delle libertà di circolazione nel Regno Unito, di mantenere la propria residenza in questo Stato membro in forza dell’art. 18 CE ( 26 ). Nella causa Trojani la Corte di giustizia ha considerato che, anche nel caso in cui un cittadino che risiedeva saltuariamente in Belgio fosse privo della qualità di soggetto economico (valutazione che la Corte ha lasciato al giudice nazionale), egli poteva pur sempre far affidamento sulla tutela che gli conferiva il citato art. 18 CE ( 27 ). La sentenza Schwarz ha approfondito tale linea giurisprudenziale, delegando al giudice nazionale l’applicazione dell’art. 49 CE o dell’art. 18 CE, pur confermando, in entrambi i casi, l’esistenza di una violazione ( 28 ). In definitiva, nonostante la separazione degli ambiti di applicazione degli articoli relativi, rispettivamente, alla cittadinanza e alla libera circolazione, richieda una sorta di “asepsi” concettuale, all’atto pratico tale separazione non comporta differenze rilevanti. La Corte di giustizia procede con passo deciso verso il conseguimento di un livello omogeneo di tutela nell’ambito della libera circolazione delle persone, utilizzando le norme sulla cittadinanza come un valido strumento a tal fine.

    24.

    In tale scenario è utile ricapitolare alcuni concetti al fine di predisporre un sostrato di nozioni che permetta di risolvere la causa che ci occupa e che fornisca orientamenti chiari per il futuro. Il procedimento pregiudiziale concilia la specificità del caso concreto con le esigenze proprie di una giurisprudenza pronunciata per una comunità di cinquecento milioni di abitanti, che chiedono risposte di portata tanto individuale quanto universale. A tal fine, propongo alla Corte di giustizia di utilizzare una metodologia di interpretazione delle norme sulla cittadinanza capace di risolvere la lite del sig. Petersen e di orientare la soluzione di molte controversie che sorgeranno nell’Unione negli anni a venire.

    2. La circolazione di liberi cittadini all’interno di un’Unione di diritto

    25.

    Questa Corte di giustizia è stata promotrice dell’importante svolta data al concetto di cittadinanza introdotto dagli Stati membri nei Trattati istitutivi nel 1992. Alla base di tale evoluzione si trovano due idee motrici, che forniscono criteri utili per dotare la giurisprudenza di coerenza e pragmatismo: da un lato, l’irruzione dei diritti fondamentali; dall’altro, la formazione di un’identità democratica nella comunità politica europea.

    26.

    All’inizio, la nozione di cittadinanza europea, come appare nella seconda parte del Trattato CE, ha fornito una copertura più simbolica che reale delle disposizioni poste a garanzia della libera circolazione. La creazione di meccanismi di partecipazione nei processi democratici locali o la protezione diplomatica e consolare conferivano uno status destinato ad esaurirsi nell’ambito delle disposizioni comprese tra gli artt. 17 CE-22 CE ( 29 ). Tuttavia, la Corte di giustizia ha percepito che le libertà di circolazione erano soggette a forti limitazioni. Tali carenze rappresentavano spesso vere e proprie ingiustizie per il destinatario dei diritti conferiti dal diritto comunitario. Casi ben noti come Martínez Sala, Baumbast o Carpenter ponevano la Corte di giustizia dinanzi ad un difficile dilemma: se avesse applicato rigidamente le norme sulla libera circolazione, avrebbe prodotto un risultato insostenibile per chi chiedeva giustizia, e se, al contrario, avesse esteso la tutela garantita da tali libertà, avrebbe ampliato l’ambito dei Trattati spingendolo su un terreno dal destino incerto. Per evitare entrambi i rischi, la Corte di giustizia ha fatto ricorso alla nozione di cittadinanza di cui agli artt. 17 CE e 18 CE, allo scopo di conferire alle dette libertà un contenuto più sofisticato ( 30 ).

    27.

    Ritengo che questa nuova dialettica debba essere interpretata nel seguente modo: la nozione di cittadinanza, che implica uno status giuridico del singolo, impone agli Stati membri di prestare un attenzione specifica alla situazione giuridica del singolo. A tal fine, i diritti fondamentali svolgono un ruolo essenziale. Come parte integrante dello status del cittadino, i diritti fondamentali rafforzano la posizione giuridica della persona, introducendovi una dimensione determinante ai fini della giustizia sostanziale del caso. Esercitando i propri diritti come prerogative di libertà, il cittadino europeo conferisce un maggior grado di legittimità alle proprie rivendicazioni. Anche nei casi in cui, pur non essendo in gioco un diritto fondamentale, venga commessa una violazione manifesta, occorre procedere ad un attento esame della proporzionalità ( 31 ). Tale accezione ci obbliga a reinterpretare le libertà di circolazione allorché il titolare di queste ultime gode dello status riconosciuto negli artt. 17 CE e 18 CE.

    28.

    In tal modo, la libera circolazione delle persone diventa la circolazione dei liberi cittadini. Un cambiamento di prospettiva non facile, poiché il centro dell’attenzione viene spostato dalla libertà di circolazione al singolo.

    29.

    Se i diritti fondamentali introducono una dimensione individuale, l’elemento democratico garantisce una maggiore attenzione alle condizioni di appartenenza ad una comunità politica. Mentre le libertà di circolazione sono state circoscritte all’eliminazione delle barriere e al divieto di discriminazione, era implicito che il singolo che si sposta apparteneva ad una comunità di origine: lo Stato di cui possiede la cittadinanza. Tale realtà giustificherebbe, da sola, il principio secondo cui la responsabilità sui cittadini debba incombere ai rispettivi Stati di origine, facendo sì che le politiche di solidarietà siano rivolte esclusivamente a coloro che apportano mezzi e partecipano alla formazione della polis ( 32 ).

    30.

    La Corte di giustizia ha superato tale prospettiva statale, permeando l’acquis comunitario di una sensibilità più conforme alla natura della cittadinanza europea ( 33 ). Nella giurisprudenza si nota un affievolimento delle responsabilità e degli obblighi dello Stato di origine, a fronte di maggiori responsabilità ed obblighi dello Stato ospitante ( 34 ). Ne consegue che uno Stato membro non può negare un diritto ad un cittadino europeo per il motivo che non risiede formalmente sul suo territorio, qualora la vita personale e professionale dell’interessato si svolga all’interno delle sue frontiere ( 35 ). Allo stesso modo, gli Stati membri devono fornire servizi identici a tutti i cittadini europei, a prescindere dalla loro nazionalità o residenza, qualora dimostrino di esercitare attività analoghe a coloro che hanno un legame effettivo con la comunità politica di tale Stato, anche qualora tale obbligo comporti un onere per l’erario ( 36 ). Tale approccio si rafforza quando il cittadino europeo dimostra di non costituire un onere per le finanze pubbliche dello Stato ospitante, a prescindere dalla provenienza delle risorse o dalla tecnica impiegata per acquisire la cittadinanza ( 37 ).

    31.

    Pertanto, è la nozione di appartenenza in senso materiale, estranea a qualsiasi esigenza di carattere amministrativo, l’elemento che giustifica l’inclusione di un cittadino europeo nella comunità politica ( 38 ). Spezzando i legami di identità con un solo Stato per dividerli con altri paesi, si crea un nesso all’interno di uno spazio più esteso. Di conseguenza, si dà vita alla nozione di appartenenza europea, che i Trattati raccomandano di rafforzare. Tale concetto è stato espresso in maniera ineguagliabile dal giudice Benjamín Cardozo nella sentenza Baldwin c. G.A.F. Seelig quando, riferendosi alla Costituzione degli Stati Uniti d’America, ha osservato che essa «si fonda sulla teoria secondo cui i popoli dei diversi Stati devono affondare o nuotare insieme e che, sostanzialmente, la prosperità e la salvezza si ottengono con l’unione e non con la divisione» ( 39 ).

    32.

    Di conseguenza, l’intervento dei diritti fondamentali, da un lato, e, dall’altro, il legame con lo Stato che integra effettivamente il cittadino conferiscono alla giurisprudenza uno spessore costituzionale. Si protegge in tal modo la situazione del libero cittadino nel contesto democratico dell’Unione; risultato che attesta la realtà di un’Unione di diritto le cui norme, in particolare quelle dei Trattati, garantiscono la libertà individuale e l’uguaglianza democratica ( 40 ).

    3. Libertà e cittadinanza: criteri per la convivenza

    33.

    Esposta la questione in tali termini, suggerisco alla Corte di giustizia di continuare a rafforzare la cittadinanza, ma anche di affinare le tecniche giuridiche di tutela poiché, in certi casi, l’applicazione dei Trattati è quella scorretta. In questo senso, considero imprescindibile precisare la portata degli artt. 17 CE e 18 CE allo scopo di definire lo status del cittadino europeo, specialmente quando i fatti si collegano alla libera circolazione delle persone, e a prescindere dal fatto che si tratti di lavoratori o di imprenditori.

    34.

    Questa Corte ha suddiviso con precisione gli ambiti, rispettivamente, della libertà di circolazione dei lavoratori (art. 39 CE), della libertà di stabilimento (art. 43) e della libera prestazione dei servizi (art. 49 CE). Nonostante i progressi della giurisprudenza, sorgono dubbi circa la possibilità di invocare tali norme del Trattato, in quanto il soggetto interessato non è un lavoratore vero e proprio ai sensi del Trattato, o perché non svolge un’attività economica. In tale contesto, entrerebbero in gioco gli artt. 17 CE e 18 CE, come clausole di chiusura del sistema, poste a tutela del cittadino che si sposta e non riceve copertura da nessun’altra norma, ovvero quando tale copertura è limitata, a causa tanto della mancanza di armonizzazione in materia quanto della specificità dei casi che insorgono in tale ambito.

    35.

    Parallelamente, si avverte una certa ostinazione da parte della giurisprudenza ad esaminare i casi separando quelli riguardanti la cittadinanza dal gruppo dei casi riguardanti le libertà, per poi trattarli in maniera identica. Tale tendenza si riscontra nelle sentenze Schwarz e Commissione/Germania, citate nei precedenti paragrafi, dalle quali si deduce una separazione, ma anche una comunione di contenuti e di risultati. Se tale identità è più sostanziale che formale, non mi sembra utile mantenere ambiti di applicazione separati.

    36.

    Propongo pertanto alla Corte di giustizia di esaminare la presente causa in relazione alle libertà di circolazione dei lavoratori subordinati e autonomi (artt. 39 CE, 43 CE e 49 CE), tenendo conto delle circostanze particolari del caso. Qualora vi fosse un nesso con i diritti fondamentali o con i presupposti democratici di appartenenza alla comunità politica, le libertà dovrebbero essere interpretate alla luce degli artt. 17 CE e 18 CE, per garantire al cittadino europeo la massima protezione.

    37.

    Al contrario, qualora le libertà di cui agli artt. 39 CE, 43 CE e 49 CE non fossero applicabili al caso di specie, invito la Corte di giustizia a discernere due livelli di tutela negli artt. 17 CE e 18 CE: qualora sussistano le condizioni di libertà e di democrazia poc’anzi descritte, si concede al singolo il livello di tutela più elevato; quando, invece, tali condizioni non sussistono, deve essere ampliato il potere discrezionale del legislatore comunitario e delle autorità nazionali.

    38.

    Tale impostazione avrebbe il pregio di dotare lo spirito che permea la giurisprudenza di una tecnica giuridica più rigorosa. Al contempo, gli artt. 17 CE e 18 CE acquisterebbero pieno significato, compreso il caso in cui sfiorino i confini delle libertà di circolazione tradizionali. Infine, la Corte rafforzerebbe la posizione del cittadino europeo, sotto il profilo tanto dei suoi diritti quanto dell’integrazione.

    39.

    Sulla base di tali premesse dobbiamo esaminare le questioni pregiudiziali deferite dal Verwaltungsgerichtshof austriaco.

    VI — Prima questione: l’anticipo su un’indennità di disoccupazione concesso ai richiedenti una prestazione per incapacità lavorativa e la sua qualificazione

    A — Impostazione

    40.

    Il sig. Petersen ha fruito di una prestazione previdenziale che presenta gli elementi costitutivi di un’indennità di disoccupazione e di una prestazione per incapacità lavorativa. Benché non sorgano dubbi sul fatto che si tratta di una prestazione ai sensi del regolamento n. 1408/71 ( 41 ), è necessario optare per l’una o per l’altra categoria, dato che tale testo normativo prevede regimi diversi per le misure nazionali di sospensione o di modifica delle prestazioni medesime allorché interviene un cambio di residenza del titolare. Mentre è vietato sospendere o modificare le prestazioni per incapacità lavorativa a motivo del cambio di residenza ( 42 ), agli Stati membri viene riconosciuto un più ampio margine di manovra quando la prestazione di cui trattasi costituisce un sussidio contro la disoccupazione ( 43 ).

    41.

    Ribadisco che, applicando il ragionamento esposto nelle presenti conclusioni, la scelta dell’una o dell’altra categoria conduce ad uno stesso risultato. Qualora si optasse per la prestazione per incapacità lavorativa, il divieto posto dal regolamento offrirebbe una risposta decisa al Verwaltungsgerichtshof. Se, al contrario, si preferisse qualificare la prestazione in oggetto come sussidio contro la disoccupazione, si dovrebbe concludere che il sig. Petersen soddisfa una delle condizioni esposte nei precedenti paragrafi 25-38, che gli consente di beneficiare del massimo livello di tutela offerto dall’ordinamento comunitario a norma degli artt. 18 CE e 39 CE.

    42.

    Nonostante siffatta identità di conseguenze, occorre affrontare la discussione sulla qualificazione della detta prestazione, poiché le questioni pregiudiziali in esame vertono in primo luogo su tale aspetto.

    B — Osservazioni dei governi, della Commissione e del sig. Petersen

    43.

    Nelle loro rispettive osservazioni, i governi tedesco, austriaco e italiano, nonché la Commissione, sostengono che la prestazione controversa costituisce un’indennità di disoccupazione, che rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 4, n. 1, lett. g), del regolamento n. 1408/71. Essi richiamano all’unisono la sentenza De Cuyper ( 44 ), che ha indicato lo scopo e la base del calcolo della prestazione come criteri per una corretta qualificazione di quest’ultima ( 45 ).

    44.

    Così, i governi tedesco e austriaco segnalano che l’anticipo controverso è diretto a coprire una situazione di disoccupazione, poiché, infatti, tale condizione è necessaria ai fini della concessione dell’aiuto. Essi rilevano altresì che il rischio inerente alla prestazione per invalidità è legato a circostanze che rimangono sconosciute fino al momento in cui viene presa la decisione amministrativa di concessione dell’aiuto. Infine, essi adducono che la prestazione viene calcolata conformemente alle norme che disciplinano l’indennità di disoccupazione, salvo l’applicazione di un coefficiente correttore per evitare squilibri nel momento in cui il beneficiario ottiene la prestazione per incapacità.

    45.

    La Commissione condivide sostanzialmente tali argomenti, pur sottolineando che, quando viene versata la prestazione per incapacità lavorativa, l’amministrazione competente a gestire tale prestazione deve rimborsare all’organismo responsabile delle prestazioni di disoccupazione gli importi versati a titolo di anticipo; in caso di diniego dell’aiuto richiesto, gli importi corrisposti vengono detratti dall’indennità di disoccupazione cui aveva inizialmente diritto il richiedente l’anticipo (poiché gli veniva richiesta la condizione di essere disoccupato).

    46.

    Infine, i governi tedesco, austriaco e italiano, unitamente alla Commissione, relativizzano il fatto che non sia fatto obbligo all’interessato, al fine di percepire il detto anticipo, di cercare un lavoro, giacché, ciò facendo, si snaturalizzerebbe una prestazione diretta a sostenere chi chiede una prestazione d’incapacità, ma ignora l’esito della sua richiesta e, per di più, si trova in stato di disoccupazione. Per ovviare a tali circostanze, è stato istituito in Austria un tertium genus, che possiede tutti gli elementi dell’indennità di disoccupazione, ma che ammette una logica eccezione, poiché difficilmente si potrebbe obbligare a cercare lavoro una persona che chiede una prestazione d’invalidità.

    47.

    Da parte loro, il sig. Petersen e il governo spagnolo dissentono dalle tesi dei summenzionati governi e della Commissione, ritenendo che, nel caso dell’aiuto controverso, si tratti di una prestazione assistenziale per incapacità, ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1408/71.

    48.

    Il Regno di Spagna, rinviando ad un’interpretazione letterale della sentenza De Cuyper, sostiene che, in quanto manca la capacità lavorativa, l’aiuto in questione mira a coprire la probabile invalidità del sig. Petersen. L’indennità di disoccupazione ha lo scopo di «permettere ai lavoratori interessati di provvedere alle loro esigenze in seguito alla perdita involontaria del lavoro quando ancora posseggono la capacità lavorativa» ( 46 ). Quest’ultima precisazione, che presupporrebbe, per chi chiede un’indennità di disoccupazione, la condizione di essere idoneo per il mercato del lavoro, escluderebbe il sig. Petersen trasformando il suo anticipo in una prestazione per incapacità.

    49.

    Il rappresentante del sig. Petersen non invoca la sentenza De Cuyper e imposta la difesa sulla qualifica dell’aiuto in parola come una prestazione previdenziale, richiamando le sentenze Jauch ( 47 ) e Offermanns ( 48 ).

    C — Valutazione

    50.

    Le argomentazioni svolte riflettono il problema con cui la Corte di giustizia deve confrontarsi, esistendo argomenti a favore e contrari rispetto a ciascuna opzione. In linea di principio, si tratta di una prestazione sui generis, difficile da inquadrare nella tipologia comunitaria, che intende colmare le carenze delle persone che credono di avere diritto a determinati aiuti.

    51.

    Tuttavia, esistono validi motivi per qualificare l’aiuto in questione come assistenza ai disoccupati piuttosto che come prestazione per incapacità.

    52.

    È vero che l’anticipo controverso non presuppone la capacità lavorativa del richiedente ( 49 ), né che quest’ultimo rimanga a disposizione dell’ufficio del lavoro ( 50 ). Se viene accordata la prestazione per incapacità lavorativa, la relativa decisione acquista una sorta di retroattività rispetto all’anticipo, trasformando la prestazione in parola in un aiuto ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. b) del regolamento n. 1408/71, e l’organismo responsabile del regime d’invalidità rimborsa l’amministrazione che gestisce le prestazioni per disoccupazione per l’erogazione dell’anticipo ( 51 ). Infine, la sentenza De Cuyper ha definito l’indennità di disoccupazione in termini rigorosi, ponendo l’accento sulla capacità lavorativa dell’interessato ( 52 ).

    53.

    Con tali premesse, si potrebbe considerare l’anticipo controverso come una prestazione per incapacità; tuttavia esistono importanti motivi per contestare tale precipitosa conclusione.

    54.

    Il primo motivo attiene al carattere sui generis dell’anticipo, concepito come una prestazione specifica, volta a rimediare ad una situazione particolare. L’anticipo controverso, come è stato descritto dalla Commissione nel corso dell’udienza, si colloca in una specie di «limbo» giuridico. Esso presenta caratteristiche dell’una e dell’altra categoria di prestazioni, ma al contempo difetta di alcuni elementi rappresentativi di entrambe le tipologie e, di conseguenza, è impossibile farlo rientrare in una categoria che possieda al cento per cento i tratti costitutivi delle prestazioni di incapacità o di disoccupazione nel diritto comunitario.

    55.

    Con tale idea di fondo, si deve relativizzare il fatto che il sig. Petersen, come qualsiasi altro titolare dell’anticipo in esame, non sia in grado di lavorare né di render conto all’ufficio del lavoro durante il periodo di disoccupazione. Come il detto anticipo si distingue dall’indennità di disoccupazione per tali aspetti (che costituiscono elementi essenziali di quest’ultima, ai sensi dell’art. 7, n. 1, primo punto, dell’AIVG), allo stesso modo esso è carente di una condizione sostanziale della prestazione per incapacità, ossia del contenuto economico, che viene calcolato conformemente alle norme regolanti le indennità di disoccupazione ( 53 ).

    56.

    Il secondo motivo si riferisce al fatto che la prestazione per incapacità lavorativa viene pagata retroattivamente per compensare finanziariamente gli importi versati a titolo di indennità di disoccupazione. Il detto anticipo si trasforma nel momento in cui la domanda di sussidio per incapacità ottiene un esito favorevole, ma quando tale domanda viene rifiutata, esso si consolida come indennità di disoccupazione in senso stretto, senza dar luogo ad alcun conguaglio tra le amministrazioni competenti ( 54 ).

    57.

    Si deve altresì relativizzare l’importanza della sentenza De Cuyper, per apprezzarla in giusta misura. In tale causa, un cittadino belga percepiva un’indennità di disoccupazione, con la particolarità che era dispensato dall’obbligo di iscriversi nelle liste del collocamento e, pertanto, dall’obbligo di tenersi a disposizione del mercato del lavoro ( 55 ). Siffatta esenzione, che presupponeva una deroga alle condizioni tassativamente imposte dalla legge per la concessione delle prestazioni per la disoccupazione, non ha impedito alla Corte di giustizia di qualificare la detta prestazione come indennità di disoccupazione. La sentenza, al punto 27, ha descritto tali prestazioni come quelle il cui beneficiario è ancora in grado di lavorare; tuttavia, ha ritenuto che una prestazione analoga, benché carente di uno dei requisiti richiesti, possedesse la qualifica di indennità di disoccupazione, ciò che sarebbe applicabile al caso che ci occupa, poiché l’anticipo austriaco, pur essendo privo di una condizione essenziale per rientrare nella definizione dei sussidi per la disoccupazione, presenta un ampio spettro di caratteristiche che lo accomunano a tale genere di prestazioni.

    58.

    In primo luogo, l’anticipo viene versato perché esiste un lavoratore disoccupato che, oltre tutto, ha richiesto una prestazione per incapacità, dettaglio dal quale si deduce che si tratta di un soggetto particolarmente vulnerabile ( 56 ). In tali circostanze, si prevede la concessione di un’indennità di disoccupazione, a carico dei fondi dell’assicurazione contro la disoccupazione e conformemente alle norme regolanti questo tipo di prestazione. In secondo luogo, l’anticipo si estingue automaticamente, se il beneficiario accetta un posto di lavoro durante l’iter per la concessione della prestazione per incapacità. Come il disoccupato perde il diritto ad un’indennità di disoccupazione quando ottiene un lavoro, il titolare dell’anticipo subisce identiche conseguenze. In terzo luogo, il calcolo dell’anticipo viene effettuato in base alle norme regolanti le prestazioni di disoccupazione, sebbene con l’applicazione di un coefficiente correttore per evitare liquidazioni sostanziali nel caso in cui, in futuro, venga concesso l’aiuto per incapacità. In quarto luogo, l’invalidità del beneficiario dell’anticipo è soltanto un’ipotesi, poiché l’unica certezza è la disoccupazione, ragion per cui appare corretto che l’anticipo sia congegnato in tal modo.

    59.

    Ma l’elemento principale al fine di inclinare l’ago della bilancia a favore della qualificazione del detto anticipo come una prestazione di disoccupazione consiste nella finalità di tale misura ( 57 ). Dalla lettera e dallo spirito della legislazione austriaca si evince che siffatto aiuto ha lo scopo di sostituire i redditi da lavoro per un lasso di tempo che, per quanto non si sappia con certezza, potrebbe concludersi con un ritorno sul mercato del lavoro ovvero con un’espulsione da quest’ultimo. In tal modo si cerca di mantenere il richiedente economicamente attivo sul detto mercato e, al contempo, come ha osservato il governo tedesco, psicologicamente animato.

    60.

    Perciò, l’anticipo in parola copre un duplice rischio: che la richiesta di una prestazione per incapacità sia respinta e che il richiedente decida di tornare sul mercato del lavoro abbandonando la pretesa iniziale.

    61.

    Da quanto esposto si evince che l’anticipo disciplinato dall’art. 23 dell’AIVG è una prestazione di disoccupazione ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. g), del regolamento n. 1408/71, sebbene tale qualificazione non sia determinante al fine di risolvere la seconda questione pregiudiziale che, senza dubbio, costituisce la chiave per risolvere il presente caso.

    VII — La seconda questione pregiudiziale: il requisito della residenza applicato all’anticipo

    A — Preambolo

    62.

    La seconda questione posta dal Verwaltungsgerichtshof, conseguenza logica della prima, si riferisce alla residenza come condizione richiesta affinché il sig. Petersen possa fruire dell’anticipo in esame.

    63.

    Quando qualifica un aiuto come prestazione di disoccupazione, l’art. 69 del regolamento n. 1408/71 pone tre condizioni affinché un singolo possa risiedere in un altro Stato membro mentre riceve una prestazione di disoccupazione: che sia stato iscritto prima della sua partenza presso gli uffici del lavoro; che si iscriva, dopo il trasferimento, presso gli uffici del lavoro dello Stato ospitante, e che cominci a lavorare entro un periodo determinato.

    64.

    Evidentemente, il sig. Petersen non soddisfa nessuna di queste tre condizioni.

    65.

    A differenza della Commissione e del ricorrente, tutti i governi che hanno presentato osservazioni nel presente procedimento pregiudiziale hanno fatto leva su tale inadempimento per giustificare la sospensione dell’anticipo percepito dal sig. Petersen. Tuttavia, tale argomento contiene un trabocchetto nel quale non dobbiamo cadere.

    B — Argomenti dei governi, della Commissione e del sig. Petersen

    66.

    I governi tedesco, austriaco, spagnolo e italiano adducono unanimemente due motivi. Da un lato, affermano che il sig. Petersen non soddisfa nessuna delle condizioni previste dal regolamento n. 1408/71 per il trasferimento della prestazione di cui fruisce. Dall’altro, essi sostengono l’applicazione della citata sentenza De Cuyper alla fattispecie.

    67.

    I summenzionati quattro governi ritengono che non sia sproporzionato imporre una condizione relativa alla residenza ad un lavoratore come il sig. Petersen, poiché gli artt. 69-71 del regolamento n. 1408/71 contemplano varie ipotesi in cui è possibile esportare le prestazioni e il ricorrente non rientra in nessuna di esse. Sembra quindi pacifico che il regolamento n. 1408/71 contenga un elenco esaustivo di casi, al di fuori dei quali non è ammessa la prestazione, quando l’interessato si reca in un altro Stato membro.

    68.

    Inoltre, la sentenza De Cuyper avalla la tesi dei detti governi, avendo dichiarato la compatibilità di una condizione relativa alla residenza con l’art. 18 CE; in tale sentenza, la Corte ha considerato che, in un caso come quello allora in esame, l’efficacia delle ispezioni effettuate dall’amministrazione del lavoro riposava sul fatto che il beneficiario degli aiuti, che doveva tenersi a disposizione dell’ufficio del lavoro, risiedesse nello Stato che erogava la prestazione.

    69.

    Tuttavia, la Commissione sostiene che la condizione della residenza viola l’art. 39 CE, basandosi anch’essa sulla sentenza De Cuyper; secondo tale istituzione, esiste una differenza sostanziale tra i fatti all’origine del presente caso e quelli che facevano da sfondo alla causa allora in discussione: mentre il sig. De Cuyper doveva tenersi a disposizione dell’ufficio del lavoro, l’anticipo concesso al sig. Petersen comporta l’esenzione totale da tale obbligo. Se la lotta contro la frode passa in secondo piano, un provvedimento come quello attualmente in esame diventa sproporzionato. Di conseguenza, benché il regolamento n. 1408/71 non contempli una situazione come quella di specie, ciò non significa che quest’ultima rimanga esclusa dalla tutela elargita dai Trattati. Al contrario, l’ordinamento comunitario tutela una situazione del genere e vieta l’imposizione di una condizione relativa alla residenza come quella stabilita nel presente caso.

    70.

    Il sig. Petersen analizza l’illegittimità della condizione relativa alla residenza sotto due aspetti: la violazione del diritto fondamentale di proprietà e la violazione del principio di uguaglianza. La drastica riduzione degli attivi, unitamente al trattamento discriminatorio del ricorrente rispetto ai cittadini austriaci che non si recano in un altro Stato membro, determinerebbe l’incompatibilità della decisione nazionale con il diritto comunitario.

    C — Valutazione

    71.

    Né il Verwaltungsgerichtshof né le parti nella causa principale hanno messo in questione lo status di «lavoratore» del sig. Petersen. La Commissione si è limitata ad affermare che, se lo si considerasse un lavoratore subordinato, gli sarebbe applicabile l’art. 39 CE; in caso contrario, l’art. 18 CE.

    72.

    Sono propenso a riconoscere al ricorrente lo status di lavoratore, giacché il diritto controverso deriva da un rapporto di lavoro. Sebbene la sentenza De Cuyper risulti ambigua su questo punto, mi sembra che la giurisprudenza della Corte di giustizia abbia confermato l’applicazione dell’art. 39 CE quando i diritti in gioco sorgono direttamente da un rapporto di lavoro ( 58 ). Nel caso presente, il nesso tra la prestazione e la qualità di lavoratore del sig. Petersen è evidente, giacché si tratta di un anticipo la cui concessione è subordinata alla concomitanza di due circostanze: lo stato di disoccupazione e l’incapacità lavorativa, entrambe associate ad un precedente rapporto di lavoro.

    73.

    Ciononostante, benché, per risolvere la presente questione pregiudiziale, assuma particolare rilievo l’art. 39 CE, occorre prendere in considerazione anche l’art. 18 CE. Come già anticipato, il sig. Petersen rappresenta un caso di circolazione dei liberi cittadini, il che, a tenore di quanto esposto nei precedenti paragrafi 25-38, attribuisce una particolare forza normativa alla situazione del ricorrente nella sua dimensione individuale e collettiva.

    1. La posizione giuridica individuale del sig. Petersen

    74.

    Il sig. Petersen è un disoccupato che a suo tempo, avendo prestato lavoro subordinato, ha maturato il periodo assicurativo minimo che gli dà diritto ad una prestazione per incapacità lavorativa. Essendo rimasto senza lavoro, ha chiesto un anticipo, concepito allo scopo di tutelare i disoccupati che, al contempo, richiedono una prestazione per incapacità. La concessione del suddetto anticipo è subordinata alla sussistenza delle condizioni richieste per l’indennità di disoccupazione, tranne per il fatto che il beneficiario è esentato dall’obbligo di cercare lavoro. Le norme nazionali in materia di previdenza sociale vengono rese più flessibili a tal fine; tuttavia i governi intervenuti in tale procedimento pregiudiziale chiedono alla Corte di giustizia un’interpretazione restrittiva delle norme comunitarie in materia previdenziale, giacché il sig. Petersen non soddisfa i requisiti stabiliti agli artt. 69-71 [del regolamento n. 1408/71] per autorizzare l’esportazione delle prestazioni, cosicché l’anticipo dev’essere revocato allorché il ricorrente trasferisce la propria residenza in un altro Stato membro.

    75.

    Siffatta impostazione mette il sig. Petersen dinanzi ad un tragico dilemma, poiché, qualunque cosa faccia, perde sempre. Se soddisfa i suddetti requisiti, non riceve l’anticipo. Anche se soddisfa tutti i requisiti tranne quello per il quale è esentato, non riceve comunque l’anticipo a causa del cambio di residenza. E se non lo riceve, corre il rischio di vedersi negata la prestazione per incapacità e di essere estromesso dal mercato del lavoro. Egli non può far altro che chiedere un’indennità di disoccupazione ordinaria, sebbene, date le difficoltà che sta attraversando (ha richiesto una prestazione per incapacità), probabilmente non si trova nelle migliori condizioni per ottenere un impiego in un ambiente mediamente competitivo.

    76.

    È irrilevante che la situazione specifica del sig. Petersen non compaia tra le ipotesi elencate dal regolamento n. 1408/71, poiché tale strumento non mira ad escludere tutte le altre ipotesi, ma a dare attuazione all’art. 39 CE. Ogni disposizione di diritto derivato va interpretata alla luce del diritto primario; ciò implica che una condizione relativa alla residenza come quella imposta nella fattispecie non trovi una giustificazione oggettiva e ragionevole, considerazione cui deve aggiungersi che nessuno nel presente procedimento, e in particolare, nemmeno il governo austriaco, è riuscito a giustificare il rifiuto dell’amministrazione ad autorizzare il cambio di residenza del sig. Petersen ( 59 ).

    77.

    A prescindere dal fatto che la cittadinanza europea esige che sia data un’attenzione prioritaria alla situazione giuridica del singolo, è evidente che, sebbene non siano in gioco diritti fondamentali, la decisione austriaca difficilmente supererebbe un test comunitario di proporzionalità ( 60 ). Pertanto, ai sensi dell’art. 39 CE e dell’art. 18 CE, una misura come quella controversa, che comporta una disparità di trattamento in funzione del luogo di residenza del beneficiario di una prestazione previdenziale, è incompatibile con il diritto comunitario.

    2. Le condizioni di appartenenza alla comunità politica

    78.

    Il sig. Petersen è un cittadino tedesco che ha svolto una grande parte dell’attività professionale in Austria. Dopo molti anni di residenza legale in quest’ultimo paese, fa ritorno al paese natale, avendo chiesto alle autorità austriache l’erogazione di una prestazione per incapacità e un anticipo su tale prestazione. È pacifico che il ricorrente presenti un legame diretto con lo Stato austriaco, fosse solo per il fatto di aver pagato i contributi previdenziali all’amministrazione del lavoro austriaca, fino a maturare il periodo assicurativo minimo previsto dalla legge. Il legame del sig. Petersen con l’Austria parla da sé, soprattutto considerato il tipo di aiuto che gli viene negato.

    79.

    Qualora la Corte di giustizia propendesse per qualificare l’anticipo di cui trattasi come una prestazione per incapacità, ci si scontrerebbe con il problema che il regolamento n. 1408/71 vieta o la sospensione o la modifica di questo genere di vantaggi sociali a causa della residenza ( 61 ). Tale limitazione ha una sua logica, poiché vuole incrementare la libera circolazione delle persone che hanno terminato la vita professionale e decidono di recarsi in altri Stati membri, per motivi, vuoi climatici, vuoi familiari o affettivi.

    80.

    Tuttavia, se la Corte preferisse considerare che il sig. Petersen fruisce di un’indennità di disoccupazione, essa non dovrebbe dimenticare che l’anticipo erogato all’interessato è l’anticamera per riceve una prestazione per incapacità che, qualora venga negata, trasforma l’indennità in una prestazione di disoccupazione, sempreché l’interessato soddisfi le condizioni di cui agli artt. 69-71 del regolamento n. 1408/71 quando cambia il luogo di residenza. Ciononostante, una di tali condizioni implica che «tenuto conto delle circostanze del caso concreto, appaia probabile la concessione della detta prestazione [per incapacità]» ( 62 ). Di conseguenza, il sig. Petersen può risiedere in Germania, esente dai controlli dell’amministrazione del lavoro, per un periodo determinato, ossia, per la durata della procedura per la concessione della prestazione per incapacità.

    81.

    Durante tale lasso di tempo, l’amministrazione austriaca che, in precedenza, ha invitato il sig. Petersen a chiedere un anticipo con il quale gli riconosce implicitamente che appare «probabile la concessione della prestazione» richiesta, può assumere l’onere economico dell’aiuto qui in discussione. Qualora gli venga negata la prestazione per incapacità, il ricorrente recupera la situazione originaria. Però, nel frattempo, il cambio della residenza del sig. Petersen, effettuato nel corso di una procedura al termine della quale probabilmente egli riceverà un aiuto che gli permetterà di risiedere in qualsiasi Stato membro, non condiziona in alcun modo la capacità di agire o l’integrità finanziaria delle autorità austriache.

    82.

    Il legame che il sig. Petersen ha dimostrato di possedere evidenzia il carattere sproporzionato della misura adottata dall’amministrazione del lavoro austriaca. Tenuto conto dell’appartenenza del sig. Petersen alla comunità con cui ha avuto un legame effettivo, occorre interpretare l’art. 39 CE alla luce dell’art. 18 CE. Pertanto, applicando un elevato standard di tutela del cittadino europeo, concludo la mia proposta rilevando una violazione di entrambe le suddette disposizioni.

    VIII — Conclusione

    83.

    Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di giustizia di risolvere la questione pregiudiziale sollevata dal Verwaltungsgerichtshof dichiarando che:

    «Una prestazione pecuniaria dell’assicurazione contro la disoccupazione, concessa a disoccupati che abbiano richiesto una prestazione per incapacità lavorativa, costituisce una prestazione di disoccupazione ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. g), del regolamento (CEE) del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità.

    Gli artt. 18 CE e 39 CE ostano ad una disposizione nazionale che prevede la sospensione del diritto a tale prestazione quando il disoccupato interessato risiede in un altro Stato membro».


    ( 1 ) Lingua originale: lo spagnolo.

    ( 2 ) Regolamento (CEE) del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità (GU L 149, pag. 2).

    ( 3 ) L’idea che non esista la verità assoluta ma solo una verità relativa proviene dai sofisti, secondo i quali sarebbe impossibile conoscere la realtà attraverso i sensi poiché ogni senso interpreta il mondo in modo diverso. Tale scetticismo nei confronti della verità determina il celebre monologo in cui il principe Amleto afferma che la differenza tra l’essere e il non essere appartiene alla sfera dell’immaginazione soggettiva (Rosenberg M., The Masks of Hamlet, Associated University Presses, Londra, 1992, pagg. 65-82).

    ( 4 ) Corpo normativo sostituito dal regolamento dl Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, n. 883, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU L 166, pag. 1).

    ( 5 ) Sentenza 12 maggio 1998, causa C-85/96, Martínez Sala (Racc. pag. I-2691).

    ( 6 ) È interessante l’analisi storica del negoziato che ha portato all’introduzione della cittadinanza europea nel Trattato dell’Unione europea svolta da O'Leary, S., The Evolving Concept of Community Citizenship. From the Free Movement of Persons to Union Citizenship, Kluwer Law International, L’Aja, 1996, pagg. 23-30.

    ( 7 ) Sentenze 15 marzo 2005, causa C-209/03, Bidar (Racc. pag. I-2119) e 23 ottobre 2007, cause riunite C-11/06 e C-12/06, Morgan e Bucher (Racc. pag. I-9161).

    ( 8 ) Sentenze 20 settembre 2001, causa C-184/99, Grzelczyk (Racc. pag.  I-6193) e 26 ottobre 2006, causa C-192/05, Tas-Hagen eTas (Racc. pag. I-10451).

    ( 9 ) Sentenze 11 luglio 2002, causa C-60/00, Carpenter (Racc. pag.  I-6279) e 17 settembre 2002, causa C-413/99, Baumbast e R (Racc. pag. I-7091).

    ( 10 ) I curatori della rivista Common Market Law Review analizzano, nel n. 1, vol. 45, del 2008, alle pagg. 2 e 3, l’evoluzione della giurisprudenza in questo settore, rilevando che la differenza tra individui economicamente attivi e non attivi o tra situazioni puramente interne e situazioni di dimensione comunitaria, ha ormai perso importanza, come nel caso della logica della discriminazione ai sensi dell’art. 12 CE. La nozione di cittadinanza, consacrata negli artt. 17 e 18 CE, è progressivamente diventata il nuovo motore dell’integrazione.

    ( 11 ) Si vedano le conclusioni relative ai procedimenti che hanno dato luogo alle sentenze 17 giugno 1997, cause riunite C-65/95 e C-111/95, Shingara e Radiom (Racc. pag. I-3343, paragrafo 34) e 16 settembre 2004, causa C-386/02, Baldinger (Racc. pag. I-8411, paragrafo 25). V, ugualmente, i paragrafi 56-74 delle mie conclusioni relative alla causa Collins [sentenza 23 marzo 2004, causa C-138/02 (Racc. pag. I-2703)], nonché i paragrafi 37-68 delle mie conclusioni nella causa Morgan e Bucher (sentenza cit. alla nota 7).

    ( 12 ) Conclusioni 9 dicembre 1992 nella causa Konstantinidis [sentenza 30 marzo 1993, causa C-168/91 (Racc. pag. I-1191)], paragrafo 46.

    ( 13 ) La Corte di giustizia non ha seguito la proposta specifica dell’avvocato generale, ma ne ha accolto la filosofia sottostante, giacché l’avvocato generale Poiares Maduro ha tentato di portare avanti l’insieme delle idee difese da Jacobs, nelle conclusioni relative alla causa Centro Europa 7, presentate il 12 settembre 2007 [sentenza 31 gennaio 2008, causa C-380/05 (Racc. pag. I-349)], paragrafi 16-22.

    ( 14 ) Sentenza Carpenter, cit. alla nota 9.

    ( 15 ) Sentenza Baumbast, cit. al la nota 9.

    ( 16 ) Sentenza Bidar, cit. alla nota 7.

    ( 17 ) Sentenza Tas-Hagen, cit. alla nota 8.

    ( 18 ) Sentenza Morgan, cit. alla nota 7.

    ( 19 ) Spaventa, E., «Seeing the wood despite the trees? On the scope of Union citizenship and its constitutional effects», in Common Market Law Review, 45, 2008, pag. 40, ha descritto questo tipo di approccio ai casi in materia di cittadinanza, sottolinenado che «the national authorities must take into due consideration the personal situation of the claimant so that even when the rule in the abstract is compatible with Community law, its application to that particular claimant might be contrary to the requirements of proportionality or fundamental rights protection. (…) This qualitative change is of constitutional relevance both in relation to the Community's own system, and in relation to the domestic constitutional systems».

    ( 20 ) Sentenza 17 gennaio 2008, causa C-152/05, Commissione/Germania (Racc. pag. I-39).

    ( 21 ) Sentenza Commissione/Germania, cit. alla nota precedente (punti 29 e 30).

    ( 22 ) Conclusioni presentate il 28 giugno 2007 nella causa Commissione/Germania, decisa con sentenza 17 gennaio 2008, cit. alla nota 20.

    ( 23 ) Sentenza 8 luglio 2004, cause riunite C-502/01 e C-31/02, Gaumain-Cerri (Racc. pag. I-6483).

    ( 24 ) Sentenza Gaumain-Cerri, cit. nella nota precedente (punti 32 e 33).

    ( 25 ) Conclusioni dell’avvocato generale Tizzano presentate il 2 dicembre 2003 nella causa Gaumain-Cerri (sentenza cit. alla nota 23).

    ( 26 ) Sentenza Baumbast, cit. alla nota 9.

    ( 27 ) Sentenza 7 settembre 2004, causa C-456/02, Trojani (Racc. pag. I-7573).

    ( 28 ) Sentenza 11 settembre 2007, causa C-76/05, Schwarz e Gootjes-Schwarz (Racc. pag.  I-6849).

    ( 29 ) Closa, C., «The Concept of Citizenship in the Treaty on European Union», in Common Market Law Review n. 29, 1992, pp. 1140-1146.

    ( 30 ) Besselink, L., «Dynamics of European and national citizenship: inclusive or exclusive?», in European Constitutional Law Review, n. 3, vol. I, 2007, pagg. 1 e 2; Castro Oliveira, Á., «Workers and other persons: step-by-step from movement to citizenship — Case Law 1995-2001» in Common Market Law Review n.39, 2002; Dougan, M. & Spaventa, E., «Educating Rudy and the (nin-) English patient: A double-bill on residency rights under Article 18 EC», n.28, European Law Review, 2003, pagg. 700-704; Martin, D. «A Big Step Forward for Union Citizens, but a Step Backwards for Legal Coherence» in European Journal of Migration and Law 2002, vol. 4, pagg. 136-144; O'Leary, S., «Putting flesh on the bones of European Union citizenship», n. 28 in European Law Review, 1999, pagg. 75-79; Shaw, J. & Fries, S., «Citizenship of the Union: First Steps in the European Court of Justice», n. 4, European Public Law, 1998, pag. 533.

    ( 31 ) Spaventa, E., op. cit., pagg. 37 e 38, analizza la giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di cittadinanza relativamente ai casi riguardanti situazioni puramente interne e riconosce che «either one argues that the Court has gone too far in say Baumbast, Bidar, and also Carpenter, or there is a challenging argument to be made as to why crossing a border should make such a difference to claimants' rights». In effetti, la logica della discriminazione potrebbe portare paradossalmente a conseguenze ingiuste. È precisamente questa la circostanza che la Corte di giustizia ha cercato di evitare con la giurisprudenza più recente.

    ( 32 ) Una dimensione che si proietta nella politica sociale con un profilo specifico, come un peculiare motore dell’integrazione tra le persone; v., Hantrais, L., Social policy in the European Union, St. Martin's Press, New York, 1995, pagg. 34-42, e Majone, G., «The EC Between Social Policy and Social Regulation, in Journal of Common Market Studies»31, n. 2, 1993. Una menzione speciale merita il noto rapporto Pintasilgo, elaborato nel 1996 da un gruppo di saggi e presentato con il titolo Per un’Europa dei diritti sociali e del cittadino, che sottolinea ugualmente l’importanza delle politiche sociali come veicoli dell’integrazione.

    ( 33 ) L’esempio più significativo di tale rottura con gli elementi nazionali di collegamento con la partecipazione democratica è fornito dalla sentenza della Corte di giustizia 12 settembre 2006, causa C-145/04, Spagna/Regno Unito (Racc. pag.  I-7917), in cui era stata messa in questione la legittimità di una legge elettorale britannica che riconosceva il diritto di voto per le elezioni del Parlamento Europeo ai cittadini di Stati terzi che avessero legami di identità con il Regno Unito. La Corte di giustizia ha confermato la legittimità di tale misura in termini generali, considerando che il legame di un cittadino con il suo Stato di origine non esclude ulteriori manifestazioni della partecipazione democratica in altre comunità politiche. Al punto 78 della sentenza, la Corte di giustizia ha affermato chiaramente che: «(…) la determinazione dei titolari del diritto di elettorato attivo e passivo per le elezioni del Parlamento europeo rientra nella competenza di ciascuno Stato membro, nel rispetto del diritto comunitario, e (…) gli artt. 189 CE, 190 CE, 17 CE e 19 CE non si oppongono a che gli Stati membri concedano tale diritto di elettorato attivo e passivo a determinate persone che possiedono stretti legami con essi, pur non essendo loro cittadini o cittadini dell’Unione residenti sul loro territorio». Sullo stato di tale questione a livello nazionale, in cui il processo democratico può coinvolgere persone che non necessariamente devono avere il diritto di essere rappresentate, e viceversa, v.  Presno Linera, M.A., El derecho de voto, Tecnos, Madrid, 2003, pagg. 155 -172.

    ( 34 ) È opportuno segnalare che la Corte suprema degli Stati Uniti ha seguito un orientamento analogo nel corso di una giurisprudenza secolare, in particolare, a partire dall’approvazione del XIV emendamento, il cui contenuto, come noto, deriva dalla sentenza Dred Scott c. Sandford (60 U.S. [19 How.] 393 [1856]) e dalla successiva guerra civile che, tra il 1861 ed il 1865, ha bagnato di sangue la giovane Federazione di Stati. Il citato emendamento stabilisce che: «all persons born or naturalized in the United States, and subject to the jurisdiction thereof, are citizens of the United States and of the State wherein they reside. No State shall make or enforce any law which shall abridge the privileges or immunities of citizens of the United States». È significativo il fatto che, ancora oggi, a distanza di quasi un secolo e mezzo dall’approvazione di tale norma, la Corte suprema continui a combattere quelle norme statali che impongono il requisito della residenza alle persone che desiderino avvalersi di un diritto. Nella recente sentenza Saenz c. Roe, 526 U.S. 489 (1999), la Corte Suprema ha dichiarato l’incostituzionalità di una legge californiana che impediva l’accesso ad una prestazione a chi non avesse mantenuto la residenza in tale Stato per almeno dodici mesi. Con due pareri dissenzienti, la Corte suprema ha stabilito che si trattava di un provvedimento incompatibile con la libertà di movimento di ogni cittadino dell’Unione. Al riguardo, sebbene risalga ad un periodo anteriore alla pronuncia della suddetta sentenza, v. l’autorevole voce di Warren, E., «Fourteenth Amendment: Retrospect and Prospect», in Schwartz, B. (ed.), The Fourteenth Amendment, New York University Press, New York, 1970, pag. 216 e segg.

    ( 35 ) Sentenza Grzelczyk, cit. alla nota 8.

    ( 36 ) Sentenza Bidar, cit. alla nota 7.

    ( 37 ) Sentenza 19 ottobre 2004, causa C-200/02, Zhu e Chen (Racc. pag. I-9925).

    ( 38 ) Ciò che, a contrario, esclude l’appartenenza di chi cerca di strumentalizzare le norme sulla cittadinanza senza dar prova di alcun collegamento con la comunità politica, come accadeva nella causa Collins [sentenza 23 marzo 2004, causa C-138/02, Collins (Racc. pag. I-2703)].

    ( 39 ) Baldwin c. G.A.F. Seelig, Inc., 294 U.S. 522, 523 (1935).

    ( 40 ) Riprendo l’espressione Unione di diritto coniata da Rideau, J., nella sua opera «L'incertaine montée vers l'Union de droit», De la Communauté de droit à l'Union de droit. Continuités et avatars européens, LGDJ, Parigi, 2000, pag. 1.

    ( 41 ) Essa soddisfa, infatti, tutte le condizioni stabilite dal citato regolamento e dalla giurisprudenza, poiché una prestazione può essere considerata previdenziale «se è attribuita ai beneficiari, prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle loro esigenze personali, in base ad una situazione legalmente definita e se si riferisce ad uno dei rischi espressamente elencati nell'art. 4, n. 1, del regolamento n. 1408/71» [sentenze 27 marzo 1985, causa 249/83, Hoeckx (Racc. pag. 973, punti 12-14) e 16 luglio 1992, causa C-78/91, Hughes (Racc. pag. I-4839, punto 15)].

    ( 42 ) Art. 10 del regolamento n. 1408/71.

    ( 43 ) Art. 69 del regolamento n. 1408/71.

    ( 44 ) Sentenza 18 luglio 2006, causa C-406/04, De Cuyper (Racc. pag. I-6947).

    ( 45 ) Sentenza De Cuyper, cit. alla nota precedente, punto 25: «(…) per essere qualificate di tipo previdenziale, le prestazioni debbono essere considerate, indipendentemente dalle caratteristiche proprie delle diverse legislazioni nazionali, della stessa natura, qualora il loro oggetto, il loro scopo, nonché la base di calcolo e le condizioni di attribuzione siano identici. Per contro, caratteristiche puramente formali non vanno considerate come elementi decisivi ai fini della qualificazione delle prestazioni».

    ( 46 ) Sentenza De Cuyper, cit. alla nota 44 (punto 27).

    ( 47 ) Sentenza 8 marzo 2001, causa C-215/99, Jauch, (Racc. pag. I-1901).

    ( 48 ) Sentenza 15 marzo 2001, causa C-85/99, Offermanns (Racc. pag. I-2261).

    ( 49 ) Art. 23, n. 1, dell’AIVG.

    ( 50 ) Logica conseguenza della prima esenzione.

    ( 51 ) Art. 23, n. 5, dell’AIVG.

    ( 52 ) Sentenza De Cuyper, cit. alla nota 44 (punto 27).

    ( 53 ) Art. 23, n. 4, dell’AIVG.

    ( 54 ) Art. 23, nn. 5 e 6, dell’AIVG.

    ( 55 ) Sentenza De Cuyper, cit. alla nota 44 (punto 30).

    ( 56 ) L’art. 23, n. 2, comma 3, dell’AIVG, esige, ai fini della concessione dell’anticipo alle persone che richiedono un’indennità per incapacità lavorativa, che l’«ente previdenziale competente rilasci un attestato dal quale risulti che, probabilmente, non sarà possibile prendere una decisione definitiva in merito alla prestazione richiesta entro il termine di due mesi dalla maturazione del diritto a pensione», ciò che dimostra che il detto anticipo è destinato a coprire lo sfasamento temporale provocato da una lunga procedura amministrativa.

    ( 57 ) Sentenza De Cuyper, cit. alla nota 44 (punto 25).

    ( 58 ) Sentenze Martínez Sala, cit.  alla nota 5 (punto 32); 27 novembre 1997, causa C-57/96, Meints (Racc. pag. I-6689, punti 16 e 17), e 6 novembre 2003, causa C-413/01, Ninni-Orasche (Racc. pag. I-13187, punto 34).

    ( 59 ) Ai punti 12-14 delle osservazioni scritte, il governo austriaco si limita a ripetere il contenuto dell’art. 39 CE, così come quello degli artt. 10 e 67 del regolamento n. 1408/71, senza apportare elementi sostanziali per giustificare il rifiuto opposto al sig. Petersen di esportare l’anticipo quando ha trasferito la propria residenza in un altro Stato membro.

    ( 60 ) Paragrafo 27 delle presenti conclusioni.

    ( 61 ) Art. 10 del regolamento n. 1408/71.

    ( 62 ) Non mi sembra determinante il fatto che la detta prestazione sia stata negata al sig. Petersen in un primo momento. Come ha infatti spiegato l’esperto del governo austriaco durante l’udienza, il 60% delle richieste relative a prestazioni per incapacità vengono respinte, ciò che mostra l’applicazione di una politica restrittiva da parte dell’amministrazione nella valutazione delle condizioni che permettono di acquisire il diritto alla prestazione. Considero pertanto che il rigetto iniziale della domanda della sig. Petersen non significhi prima facie che non si potesse prevedere la probabile concessione della prestazione richiesta.

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