EUR-Lex Access to European Union law

Back to EUR-Lex homepage

This document is an excerpt from the EUR-Lex website

Document 62003CC0094

Conclusioni dell'avvocato generale Kokott del 26 maggio 2005.
Commissione delle Comunità europee contro Consiglio dell'Unione europea.
Ricorso di annullamento - Decisione del Consiglio 2003/106/CE riguardante l'approvazione della Convenzione di Rotterdam - Procedura di previo assenso informato - Prodotti chimici e pesticidi pericolosi oggetto di commercio internazionale - Scelta del fondamento normativo - Artt. 133 CE e 175 CE.
Causa C-94/03.

Raccolta della Giurisprudenza 2006 I-00001

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2005:308

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 26 maggio 2005 1(1)

Causa C‑94/03

Commissione delle Comunità europee

contro

Consiglio dell’Unione europea

«Prodotti chimici e pesticidi pericolosi – Convenzione di Rotterdam – Scelta della base giuridica – Politica commerciale comune, politica in materia ambientale»





I –    Introduzione

1.     La presente causa ha per oggetto la controversia tra la Commissione delle Comunità europee e il Consiglio dell’Unione europea sulla scelta della corretta base giuridica per la conclusione di un accordo internazionale, segnatamente la Convenzione di Rotterdam sulla procedura di previo assenso informato per taluni prodotti chimici e pesticidi pericolosi nel commercio internazionale (2) (in prosieguo: la «convenzione»).

2.     Mentre la Commissione ritiene che il fondamento normativo per la partecipazione della Comunità europea alla convenzione debba essere la politica commerciale comune (art. 133 CE), il Consiglio difende la scelta infine effettuata di concludere la convenzione sulla base della politica in materia ambientale (art. 175, n. 1, CE), e a suo sostegno intervengono il Parlamento europeo nonché cinque Stati membri.

3.     Nel parallelo procedimento pendente nella causa C‑178/03 (3) viene in esame la scelta della base giuridica per il regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2003, n. 304, riguardante l’esportazione ed importazione di prodotti chimici pericolosi (4). Tale regolamento è volto, tra l’altro, al recepimento della convenzione nell’ordinamento comunitario (5).

II – La convenzione

A –    Estratto dei ‘considerando’

4.     I seguenti brani del preambolo della convenzione rivestono particolare importanza nel caso di specie (primo, secondo, terzo, sesto, settimo, ottavo e undicesimo ‘considerando’):

«consapevoli degli effetti nocivi che possono avere sulla salute umana e sull’ambiente taluni prodotti chimici e pesticidi pericolosi oggetto di scambi internazionali,

rammentando le disposizioni pertinenti della dichiarazione di Rio su Ambiente e sviluppo ed il capitolo 19 dell’Agenda 21 sulla “Gestione ecologicamente razionale delle sostanze chimiche tossiche, compresa la prevenzione del traffico internazionale illegale di prodotti tossici e pericolosi”,

memori delle attività intraprese dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) e dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) per l’esecuzione della procedura volontaria di previo assenso informato (PIC), descritta negli orientamenti di Londra dell’UNEP sullo scambio di informazioni sui prodotti chimici nel commercio mondiale, modificati (di seguito denominati “orientamenti di Londra modificati”), e nel codice di condotta internazionale della FAO sulla distribuzione e l’impiego di pesticidi (di seguito denominato “codice di condotta internazionale”),

(...)

riconoscendo che tutti i paesi dovrebbero promuovere buone prassi di gestione dei prodotti chimici, basate tra l’altro sulle norme facoltative del codice di condotta internazionale e del codice di etica del commercio internazionale di prodotti chimici dell’UNEP,

desiderose di garantire che i prodotti chimici pericolosi esportati dal loro territorio siano imballati ed etichettati in modo da proteggere adeguatamente la salute umana e l’ambiente, conformemente ai principi degli orientamenti di Londra modificati e del codice di condotta internazionale,

riconoscendo che le politiche commerciali ed ambientali dovrebbero concorrere vicendevolmente al conseguimento di uno sviluppo sostenibile,

(…)

decise a proteggere la salute umana, compresa la salute dei consumatori e dei lavoratori, nonché l’ambiente contro gli effetti potenzialmente nocivi di taluni prodotti chimici e pesticidi pericolosi nel commercio internazionale».

5.     Occorre altresì rinviare al terzo ‘considerando’ della decisione del Consiglio 19 dicembre 2002, 2003/106/CE, riguardante l’approvazione, a nome della Comunità europea, della Convenzione di Rotterdam sulla procedura di previo assenso informato per taluni prodotti chimici e pesticidi pericolosi nel commercio internazionale (6) (in prosieguo definita anche: la «decisione impugnata»), che così recita:

«La convenzione rappresenta un importante passo ai fini di una più efficiente disciplina internazionale del commercio di taluni prodotti chimici e pesticidi pericolosi, con l’obiettivo di proteggere la salute umana e l’ambiente contro i potenziali pericoli che tali sostanze rappresentano e di contribuire ad incentivarne l’uso compatibile con l’ambiente».

B –    Sintesi delle disposizioni principali della convenzione

6.     Le più importanti disposizioni della convenzione si possono riassumere – semplificando – come segue:

7.     Lo scopo della convenzione è, ai sensi del suo art. 1, «di promuovere la responsabilità solidale e la cooperazione tra le parti nel commercio internazionale di taluni prodotti chimici pericolosi, a tutela della salute umana e dell’ambiente contro i potenziali effetti nocivi di tali sostanze, nonché di contribuire al loro utilizzo ecologicamente razionale, favorendo gli scambi di informazioni sulle loro caratteristiche, istituendo una procedura di decisione nazionale per la loro importazione ed esportazione e prescrivendo la notifica delle relative decisioni alle parti» (7).

8.     A tal fine la convenzione assoggetta il commercio internazionale di taluni prodotti chimici, unanimemente classificati dalle parti contraenti come pericolosi, ad una cosiddetta procedura di Prior Informed Consent (procedura di previo assenso informato; in prosieguo: la «procedura PIC»). Nell’allegato III della convenzione figura un elenco dei prodotti chimici di cui trattasi (8). La procedura PIC è descritta in dettaglio agli artt. 10 e 11 della convenzione e prevede in sostanza uno scambio di informazioni tra le parti contraenti della convenzione in merito alle rispettive prassi di importazione dei prodotti chimici in questione (9). Inoltre le parti si impegnano a trasmettere le informazioni così ottenute sulla prassi di importazione delle altre parti contraenti agli operatori nell’ambito del loro territorio, e a garantirne il rispetto.

L’art. 10, n. 9, della convenzione contiene inoltre la seguente disposizione:

«Se una delle parti decide (…) di non autorizzare l’importazione di una sostanza chimica o di autorizzarla soltanto a determinate condizioni, essa deve [– ove non l’abbia già fatto –] simultaneamente vietare o sottoporre alle medesime condizioni:

a)      l’importazione di detta sostanza da qualsiasi provenienza; nonché

b)       la produzione nel proprio territorio della sostanza per uso interno».

9.     Anche per altri prodotti chimici, vale a dire quelli non assoggettati alla procedura PIC conformemente all’allegato III, la convenzione prevede all’art. 5, nn. 1‑4, una procedura di scambio di informazioni tra le parti riguardo ai rispettivi divieti nazionali e alle restrizioni rigorose da esse imposte per i prodotti chimici (10). L’art. 12 della convenzione fa obbligo alle parti, qualora una sostanza chimica da esse vietata o sottoposta a rigorose restrizioni venga esportata dal loro territorio, di notificare tale esportazione (notifica di esportazione) al paese importatore (cosiddetta parte importatrice).

10.   L’art. 13 della convenzione dispone in sostanza che per l’esportazione di prodotti chimici debbano valere requisiti di etichettatura tali da fornire sufficienti informazioni circa i rischi e/o i pericoli per la salute umana o per l’ambiente (11).

11.   L’art. 14 della convenzione esorta le parti a uno scambio di informazioni concernenti i prodotti chimici oggetto della convenzione, mentre secondo gli artt. 11, n. 1, lett. c), e 16 della convenzione le parti sono tenute all’assistenza tecnica, segnatamente per i paesi in via di sviluppo e i paesi a economia in transizione; detta assistenza tecnica mira allo sviluppo dell’infrastruttura e del potenziale necessari alla gestione dei prodotti chimici durante tutto il loro ciclo di vita.

12.   Ai sensi dell’art. 15, n. 2, le parti provvedono, nella misura del possibile, affinché il pubblico sia adeguatamente informato sulle modalità di manipolazione dei prodotti chimici, sul modo di procedere in caso di incidente e sulle sostanze alternative che risultano più sicure per l’uomo o per l’ambiente rispetto ai prodotti chimici elencati all’allegato III, classificati quali particolarmente pericolosi e assoggettati alla procedura PIC.

13.   Ai sensi dell’art. 15, n. 4, la convenzione lascia impregiudicato il diritto delle parti di adottare provvedimenti più rigorosi ai fini della protezione della salute umana e dell’ambiente, a condizione che tali provvedimenti siano compatibili con le disposizioni della convenzione e conformi al diritto internazionale.

III – Fatti, conclusioni delle parti e procedimento

A –    Fatti all’origine della controversia

14.   La convenzione è stata adottata a Rotterdam il 10 settembre 1998 e sottoscritta a nome della Comunità l’11 settembre 1998.

15.   Il 24 gennaio 2002 la Commissione ha proposto al Consiglio di approvare la convenzione sulla base dell’art. 133 CE, in combinato disposto con l’art. 300, nn. 2, primo comma, prima frase, e 3, primo comma, CE (12).

16.   Il 19 dicembre 2002 il Consiglio ha approvato la convenzione a nome della Comunità europea. Tuttavia, contrariamente a quanto proposto dalla Commissione, il Consiglio ha in questa sede deciso all’unanimità, previa consultazione del Parlamento europeo ai sensi dell’art. 300, n. 3, CE, di assumere quale base giuridica per l’approvazione l’art. 175, n. 1, CE in sostituzione della disposizione di cui all’art. 133 CE.

17.   Come prevede l’art. 25, n. 3, della convenzione, unitamente al deposito dell’atto di approvazione, la Comunità europea ha inoltre reso una dichiarazione sulla portata della propria competenza riguardo alle materie disciplinate dalla convenzione (13). Anche in questa dichiarazione si fa riferimento all’art. 175, n. 1, CE, e non all’art. 133 CE.

18.   Oltre alla Comunità europea, anche la maggior parte degli Stati membri dell’Unione europea sono parti della convenzione (14). La questione se la Comunità, ai sensi della «giurisprudenza AETR» (15), non avesse forse già all’epoca in questione una competenza esclusiva riguardo alla conclusione della convenzione (16) va al di là dell’oggetto del ricorso proposto dalla Commissione e, di conseguenza, non occorre discuterne nel caso di specie.

B –    Conclusioni delle parti e procedimento dinanzi alla Corte

19.   Con il ricorso di annullamento proposto il 27 febbraio 2003 la Commissione chiede, ai sensi dell’art. 230 CE, che la Corte voglia:

–       annullare la decisione del Consiglio 19 dicembre 2002, 2003/106/CE, riguardante l’approvazione, a nome della Comunità europea, della convenzione di Rotterdam sulla procedura di previo assenso informato per taluni prodotti chimici e pesticidi pericolosi nel commercio internazionale;

–       condannare il Consiglio alle spese del procedimento.

20.   Dal canto suo, il Consiglio chiede che la Corte voglia:

–       respingere il ricorso;

–       condannare la ricorrente alle spese del procedimento.

21.   Con ordinanza del Presidente della Corte in data 16 luglio 2003 è stato ammesso l’intervento del Parlamento europeo nonché della Repubblica francese, del Regno dei Paesi Bassi, della Repubblica d’Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord a sostegno del Consiglio.

22.   Tutte le parti hanno presentato osservazioni nella fase scritta del procedimento; la Commissione, il Parlamento, il Consiglio e il Regno Unito hanno presentato osservazioni anche all’udienza, comune alla causa C‑178/03, tenutasi il 7 aprile 2005.

IV – Analisi

23.   Con il ricorso proposto, la Commissione fa valere un unico motivo di annullamento, vale a dire la scelta di una base giuridica errata per l’approvazione della convenzione a nome della Comunità. In tal modo la Commissione deduce una violazione del Trattato CE ex art. 230, secondo comma, CE.

24.   La scelta della corretta base giuridica riveste una notevole importanza di natura pratica, istituzionale, ed anche costituzionale (17). Da essa dipende, com’è noto, non solo la procedura legislativa applicabile (diritti di partecipazione del Parlamento, unanimità o maggioranza qualificata in Consiglio (18)), ma anche la decisione sulla questione se la competenza a legiferare o a concludere un accordo internazionale spetti in via esclusiva alla Comunità o debba essere ripartita con gli Stati membri (19).

A –    Criteri di scelta della base giuridica

25.   Vi è sostanzialmente unanimità tra le parti riguardo ai criteri astratti di scelta della corretta base giuridica per l’approvazione della convenzione.

26.   Secondo una giurisprudenza costante, la scelta del fondamento giuridico di un atto comunitario deve basarsi su elementi oggettivi, suscettibili di controllo giurisdizionale; tra questi elementi figurano, in particolare, lo scopo e il contenuto dell’atto (20).

27.   Se l’esame di un atto comunitario dimostra che esso persegue una duplice finalità o che ha una doppia componente, e se una di queste è identificabile come principale o preponderante, mentre l’altra è solo accessoria, l’atto deve fondarsi su una sola base giuridica, ossia quella richiesta dalla finalità o componente principale o preponderante (21).

28.   In questo senso, l’approvazione di un atto comunitario può fondarsi sulla politica commerciale comune (art. 133 CE) anche nel caso in cui esso, oltre all’obiettivo principale di politica commerciale, ne persegua anche altri, quali ad esempio obiettivi di politica dello sviluppo (22), obiettivi di politica estera e di sicurezza (23), esigenze di salvaguardia dell’ambiente (24) o della salute (25). Ciò vale a maggior ragione in considerazione del fatto che le disposizioni relative alla politica commerciale comune si fondano su una concezione aperta e dinamica, per nulla limitata agli aspetti tradizionali del commercio estero (26). Per quanto riguarda in special modo la tutela dell’ambiente e la protezione della salute, già gli artt. 6 CE e 152, n. 1, primo comma, CE mostrano come esse costituiscano obiettivi trasversali, di cui occorre tener conto in tutte le altre politiche comunitarie e, di conseguenza, anche nella politica commerciale comune.

29.   All’opposto, però, anche accordi internazionali che perseguono in primo luogo obiettivi di politica ambientale possono avere incidentalmente conseguenze sul commercio. L’approvazione di siffatti accordi va fondata sull’art. 175, n. 1, CE e non sull’art. 133 CE, purché rimanga sempre prevalente la loro finalità di politica ambientale (27).

30.   Per distinguere tra politica commerciale comune (art. 133 CE) e politica in materia ambientale (art. 175 CE) quali possibili fondamenti giuridici di accordi internazionali, la Corte ha formulato il criterio dell’effetto diretto e immediato (28). Quindi, qualora un accordo internazionale con finalità di politica ambientale sia privo di effetti diretti e immediati sul commercio, va fondato sull’art. 175 CE; in caso contrario esso va fondato sull’art. 133 CE (29). A questo riguardo, per poter far ricadere un accordo internazionale nell’ambito di applicazione dell’art. 133 CE, non è necessario che gli effetti diretti e immediati sul commercio consistano nel promuovere o agevolare gli scambi commerciali; piuttosto, è sufficiente che tale accordo sia «uno strumento destinato essenzialmente (...) a promuovere, ad agevolare oppure a disciplinare gli scambi commerciali» (30).

31.   Alla luce di quanto precede occorre a questo punto esaminare, in base al contenuto, alla finalità e al contesto della convenzione, quale sia nel caso di specie l’intima ratio di quest’ultima e se essa produca eventuali effetti diretti e immediati sul commercio (a questo riguardo, v. infra, parte B). Per completezza occorrerà altresì chiarire quali conseguenze si produrrebbero sulla validità dell’approvazione della convenzione, qualora si ritenesse che questa avrebbe dovuto essere fondata su una base giuridica non unica, bensì duplice (a questo riguardo, v. infra, parte C).

B –    Contenuto, obiettivi e contesto della convenzione

32.   Le parti controvertono sull’ambito politico in cui occorre classificare la convenzione in base al contenuto, agli obiettivi e al contesto suoi propri. La Commissione sostiene la tesi secondo cui la convenzione rientra essenzialmente nell’ambito di applicazione della politica commerciale comune, mentre il Consiglio, sostenuto dalle parti intervenienti, vi riconosce soprattutto uno strumento di politica in materia ambientale. In questo modo le due parti nella presente causa difendono sostanzialmente le stesse posizioni sostenute nella causa C‑178/03 trattata in parallelo.

33.   Sottolineo anzitutto che la tesi della Commissione non mi convince.

34.   Di fatto è vero che il tenore letterale della convenzione non è privo di riferimenti alla politica commerciale. Sia il titolo, sia il preambolo (31), sia taluni articoli della convenzione parlano di commercio internazionale, di politica commerciale nonché di importazione ed esportazione. Tuttavia, il testo della convenzione contiene riferimenti alla politica in materia ambientale perlomeno altrettanto evidenti. Infatti, il preambolo (32) e in particolare l’art. 1 della convenzione vertono sulla tutela ambientale, sullo sviluppo sostenibile, sulla protezione della salute umana, sulla promozione di una corretta gestione dei prodotti chimici e sull’uso ecocompatibile di tali prodotti; all’art. 16 si parla di una gestione dei prodotti chimici durante tutto il loro ciclo di vita.

35.   Sotto il profilo contenutistico si deve in effetti convenire con la Commissione e con il Consiglio che la convenzione è imperniata sulla procedura PIC, disciplinata in dettaglio agli artt. 10 e 11. Tuttavia, contrariamente alla tesi della Commissione, una procedura PIC non è affatto in primo luogo uno strumento di politica commerciale, bensì, al contrario, come la Corte ha dichiarato già nel parere 2/00, un tipico strumento di politica in materia ambientale (33). A differenza di quanto sostiene la Commissione, la valutazione compiuta nel parere 2/00 in relazione alla procedura PIC di cui al Protocollo di Cartagena può essere trasposta alla procedura PIC di cui al caso di specie. Infatti, anche in relazione ai prodotti chimici pericolosi pertinenti nel caso in esame, la procedura PIC serve «in via prioritaria allo scambio di informazioni riguardanti i benefici e i rischi connessi con l’utilizzo di prodotti chimici e mira a promuovere un uso ecocompatibile delle sostanze tossiche mediante lo scambio di informazioni scientifiche, tecniche, economiche e giuridiche» (34).

36.   Quindi il commercio internazionale di taluni prodotti chimici qualificati di comune accordo dalle parti contraenti come pericolosi (35) costituisce unicamente l’elemento di collegamento esterno della procedura PIC. Infatti, tale procedura non si propone in realtà, in primo luogo, di promuovere, agevolare o anche solo disciplinare il traffico commerciale di prodotti chimici pericolosi (36), ma ha solo per oggetto lo scambio di informazioni tra le parti contraenti riguardo alle rispettive prassi di importazione (art. 10, nn. 7 e 10, della convenzione (37)), unitamente all’inoltro delle informazioni in tal modo ottenute agli operatori interessati [art. 11, n. 1, lett. a), della convenzione].

37.   Mediante la procedura PIC, come pure attraverso le notifiche di esportazione relative a taluni prodotti chimici (art. 12 della convenzione), si intende anzitutto impedire che una parte contraente – in special modo un paese in via di sviluppo – si trovi a dover affrontare l’importazione di prodotti chimici pericolosi senza aver avuto in precedenza la possibilità di adottare le precauzioni necessarie per quanto riguarda la tutela dell’ambiente e della salute umana (38).

38.   È tutt’al più in modo indiretto che la procedura PIC può contribuire, mediante l’informazione degli operatori interessati citata in precedenza [art. 11, n. 1, lett. a), della convenzione], a una maggiore trasparenza delle disposizioni vigenti nei diversi paesi e, quindi, eventualmente, ad agevolare il commercio di prodotti chimici pericolosi. Dall’altro lato, la convenzione può anche aggravare i costi commerciali per l’esportatore interessato, ad esempio nel caso in cui a quest’ultimo venga chiesto di adempiere le formalità necessarie per la notifica di esportazione (art. 12 della convenzione) (39).

39.   Tuttavia, fatta eccezione per siffatti effetti indiretti sul commercio, la convenzione non reca, in sostanza, disposizioni di politica commerciale. In particolare, la convenzione non prevede norme comuni delle parti contraenti per quanto riguarda l’importazione e l’esportazione di prodotti chimici pericolosi. Essa non contiene alcuna disposizione che stabilisca se e a quali condizioni l’importazione di prodotti chimici pericolosi debba o possa essere concessa ovvero negata. Tanto meno sono previste norme relative al riconoscimento reciproco di prodotti. Ciascuna parte resta pienamente libera di autorizzare l’importazione di un prodotto chimico pericoloso, di non autorizzarla o di autorizzarne l’importazione solo a determinate condizioni [art. 10, nn. 1, 2, 4, lett. a), e 6, della convenzione]. Le altre parti la sostengono esclusivamente facendo sì («garantendo») che gli esportatori osservino la legge vigente nei rispettivi paesi importatori [art. 11, n. 1, lett. b), della convenzione]. Per il resto, la convenzione in quanto tale ricollega alla prassi di importazione delle singole parti unicamente un effetto accessorio con conseguenze indirette sul commercio, imponendo loro un divieto di discriminazione (40) in relazione all’origine dei prodotti chimici pericolosi importati, nonché un obbligo di parità di trattamento rispetto ai prodotti chimici pericolosi nazionali (41) (art. 10, n. 9, della convenzione).

40.   Anche estendendo l’esame alle altre disposizioni della convenzione, viene confermata l’impressione che quest’ultima costituisca in sostanza uno strumento di politica in materia ambientale e non di politica commerciale. Né lo scambio di informazioni tra le parti (art. 14 della convenzione), né l’assistenza tecnica reciproca [artt. 11, n. 1, lett. c), e 16 della convenzione], né l’informazione del pubblico (art. 15, n. 2, della convenzione) mirano a promuovere, agevolare o anche solo a disciplinare il traffico commerciale di prodotti chimici pericolosi. Come emerge già dal testo di queste disposizioni, esse sono volte piuttosto, in primo luogo, alla tutela dell’ambiente, oltre che alla protezione della salute umana.

41.   Nonostante la prima impressione, neanche le disposizioni di cui all’art. 13 della convenzione relative a etichettatura e informazioni obbligatorie per i prodotti chimici si configurano come disposizioni di politica commerciale, bensì rientrano nella politica in materia ambientale. Infatti, nelle dette disposizioni non assume valore preminente – come invece solitamente avviene ­– il ravvicinamento o il riconoscimento reciproco degli imballaggi e delle informazioni obbligatorie, al fine di garantire la commerciabilità dei prodotti chimici o di migliorare il loro accesso al mercato (42). La finalità è piuttosto soltanto quella di soddisfare le esigenze di informazione del pubblico sui rischi e/o pericoli per la salute umana o per l’ambiente nella gestione dei prodotti chimici in questione. Conformemente a ciò, la convenzione stabilisce unicamente l’obiettivo di politica ambientale di etichettare i prodotti chimici accludendovi informazioni obbligatorie, mentre la fissazione dei concreti requisiti sostanziali per detti imballaggi e informazioni obbligatorie resta affidata alle rispettive normative nazionali delle parti contraenti.

42.   Per quanto riguarda gli obiettivi della convenzione, dall’art. 1 di quest’ultima risulta che la preminenza è accordata ad obiettivi di politica ambientale, vale a dire la promozione della condivisione delle responsabilità, la tutela della salute e dell’ambiente da potenziali danni, la facilitazione dello scambio di informazioni sulle caratteristiche dei prodotti chimici pericolosi, nonché l’uso ecocompatibile di tali sostanze. La grande importanza attribuita agli obiettivi di politica ambientale è confermata anche dal preambolo della convenzione, il quale fin dal primo ‘considerando’ parla degli effetti di taluni prodotti chimici e pesticidi pericolosi sulla salute umana e sull’ambiente, ed anche al settimo, nono e undicesimo ‘considerando’ si occupa in maniera significativa della tutela dell’ambiente. Questo è anche l’orientamento del sesto e dell’ottavo’considerando’, dedicati alla promozione di un buon uso dei prodotti chimici e all’obiettivo di uno sviluppo sostenibile.

43.   In effetti, un accenno al commercio internazionale non manca neppure nelle disposizioni programmatiche, segnatamente nel secondo, nell’ottavo e nel nono’considerando’ del preambolo, nonché nel testo dell’art. 1 della convenzione. Tuttavia, anche in questo caso il commercio funge piuttosto da elemento di collegamento per gli effettivi obiettivi di politica ambientale della convenzione, senza assumere un’autonoma e significativa importanza nell’ambito di questi ultimi. Si tratta di un accordo in materia ambientale presentante connessioni con la politica commerciale, e non di un accordo di politica commerciale presentante connessioni con la politica in materia ambientale (43).

44.   Si perviene alla stessa conclusione valutando il contesto in cui si colloca la convenzione. Essa non è stata conclusa nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), bensì si rifà alle attività intraprese dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) e dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) (44). Queste due istituzioni hanno promosso le trattative per la convenzione e svolgono ora, ai sensi dell’art. 19, n. 3, la funzione di segretariato per le parti contraenti. Inoltre, la stessa convenzione si propone di raccogliere l’eredità della conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo, svoltasi a Rio de Janeiro (Brasile) nel 1992; la convenzione rinvia espressamente (45) alla dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo (46), nonché al capitolo 19 dell’«Agenda 21» (47). Tra gli atti più recenti occorre inoltre menzionare il piano d’azione approvato nel 2002 nell’ambito del vertice mondiale per lo sviluppo sostenibile a Johannesburg (Sudafrica), che invita alla rapida ratifica e trasposizione della convenzione di Rotterdam (48). È altresì importante, dal punto di vista interno della Comunità, il sesto programma di azione in materia di ambiente del 22 luglio 2002 (49); questo programma, a sua volta fondato sull’art. 175 CE, presenta, sotto il profilo tematico, numerosi punti di contatto con la convenzione (50) e inserisce la rapida ratifica della convenzione tra le azioni prioritarie della politica comunitaria in materia ambientale (51).

45.   In sintesi si deve dunque rilevare che, tenuto conto del contenuto e degli obiettivi della convenzione, nonché del contesto in cui essa è stata conclusa, la sua intima ratio va ricercata non nell’ambito della politica commerciale comune, bensì in quello della politica in materia ambientale. Gli effetti – senz’altro possibili – della convenzione sul commercio internazionale di prodotti chimici pericolosi sono piuttosto indiretti che diretti (52). In questo senso condivido l’opinione del Consiglio e degli intervenienti a suo sostegno, secondo cui la convenzione ha più affinità, per quanto riguarda la base giuridica per la sua approvazione, con il Protocollo di Cartagena relativo alla sicurezza biologica (53), che con l’accordo Energy Star (54). Era dunque corretto fondare l’approvazione della convenzione sull’art. 175, n. 1, CE e non sull’art. 133 CE (55).

46.   La Commissione obietta peraltro che si dovrebbero temere un grave pregiudizio del mercato interno e distorsioni degli scambi qualora si assumesse come base giuridica l’art. 175, n. 1, CE e non l’art. 133 CE. Infatti, in mancanza di competenza esclusiva della Comunità, gli Stati membri potrebbero adottare unilateralmente disposizioni più rigorose in materia di importazione ed esportazione di prodotti chimici pericolosi, ed anche eludere le disposizioni già vigenti a livello comunitario in materia di classificazione, imballaggio ed etichettatura di sostanze pericolose.

47.   A questo riguardo occorre anzitutto rilevare che nell’ambito della politica in materia ambientale, secondo la «giurisprudenza AETR», può senz’altro configurarsi una competenza esterna esclusiva della Comunità (56). In definitiva però è superfluo stabilire se ricorresse tale ipotesi in relazione alla conclusione della convenzione controversa nel caso di specie. Infatti, anche nell’ambito della ripartizione delle competenze gli Stati membri devono attenersi al diritto comunitario vigente per l’esercizio dei poteri a essi restanti. A questo riguardo essi non possono violare né il diritto derivato vigente, né il diritto primario, e segnatamente non possono violare le libertà fondamentali garantite dal Trattato CE e l’art. 95, nn. 4‑10, CE. Ciò si impone in forza del principio del primato del diritto comunitario. L’obiezione sollevata dalla Commissione è pertanto infondata.

48.   Nel complesso pervengo quindi alla conclusione che il ricorso proposto dalla Commissione è infondato e, di conseguenza, va respinto.

C –    Sulla questione di una duplice base giuridica

49.   Non si perverrebbe ad una conclusione diversa neppure supponendo che la convenzione avrebbe dovuto essere fondata non su una base giuridica unica, bensì, in realtà, su un duplice fondamento normativo, vale a dire sull’art. 175, n. 1, CE e sull’art. 133 CE contemporaneamente.

50.   In realtà è possibile fondare un atto su varie pertinenti basi giuridiche, e precisamente nel caso in cui si accerti, in via eccezionale, che l’atto persegue contemporaneamente diversi obiettivi inscindibilmente connessi tra loro, senza che uno sia subordinato e indiretto rispetto all’altro (57).

51.   Nel caso di specie il ricorso ad una duplice base giuridica sarebbe venuto in questione ove si fosse partiti dal presupposto che nella convenzione siano presenti su un piede di parità aspetti di politica commerciale e di politica in materia ambientale (58) e che dunque – contrariamente alla tesi suesposta – la convenzione non sia riconducibile in maniera univoca a nessuna delle due politiche.

52.   Al riguardo occorre anzitutto rilevare che le differenze nelle procedure rispettivamente previste per la conclusione di accordi in materia di politica commerciale, da un lato, e di accordi in materia di politica ambientale, dall’altro, non sono insormontabili (59). Difatti, nell’ambito degli accordi in materia di politica commerciale, il Parlamento viene di norma informato solo in via non ufficiale (60), senza che gli spetti, in base al Trattato, un qualsivoglia diritto di partecipazione formale, laddove invece, ai sensi dell’art. 300, n. 3, primo comma, CE, la consultazione di tale istituzione prima della conclusione di accordi in materia di politica ambientale è obbligatoria. Tuttavia, nulla impedisce al Consiglio di consultare il Parlamento in via facoltativa anche nell’ambito di accordi in materia di politica ambientale (61).

53.   Appare comunque decisivo il fatto che un annullamento dell’approvazione della convenzione potrebbe essere preso in considerazione solo se l’asserito vizio nella scelta della base giuridica fosse qualcosa di più di un semplice errore formale.

54.   La Corte ha ad esempio ritenuto sussistente un mero vizio di forma in un caso in cui un atto era stato erroneamente fondato su una duplice base giuridica, invece che su un unico fondamento normativo (62). Lo stesso dovrebbe accadere anche nell’ipotesi opposta, ossia qualora si addebitasse al legislatore comunitario di aver preso in considerazione un unico fondamento normativo, anziché una duplice base giuridica. Infatti, per l’annullamento di un atto comunitario non è sufficiente la mera menzione erronea della base giuridica o delle basi giuridiche nei ‘considerando’ dell’atto stesso, ma occorre che tale errore nella scelta del fondamento normativo abbia determinato conseguenze ulteriori, in particolare portando all’applicazione di una procedura illegittima (63) o arrecando altrimenti pregiudizio alla posizione giuridica delle istituzioni interessate.

55.   Nel caso di specie ha avuto luogo la consultazione del Parlamento ai sensi dell’art. 300, n. 3, primo comma, CE. I diritti procedurali del Parlamento sono stati dunque rispettati. Il ricorso all’art. 133 CE quale base giuridica aggiuntiva non sarebbe valso a conferire alla detta istituzione diritti ulteriori; al contrario, già dal testo dell’art. 300, n. 3, primo comma, CE emerge che i diritti procedurali del Parlamento nell’ambito di accordi di politica commerciale hanno portata più ristretta rispetto al caso, ad esempio, di accordi in materia di politica ambientale (64).

56.   Non emergono neanche elementi concreti che inducano a ritenere che la mancanza dell’art. 133 CE quale fondamento normativo aggiuntivo abbia indebolito il ruolo svolto dalla Commissione nella conduzione delle trattative (65). Infatti, per la politica commerciale comune (art. 133 CE) si configura una competenza esclusiva della Comunità (66), mentre nell’ambito della politica in materia ambientale (art. 175 CE) essa condivide, in linea di principio, la competenza con gli Stati membri (67); quindi, solo in quest’ultimo caso gli Stati membri siedono, accanto alla Commissione, al tavolo delle trattative, mentre nel primo caso la conduzione delle trattative spetta esclusivamente alla Commissione. Il ricorso all’art. 133 CE quale base giuridica aggiuntiva può dunque rafforzare la posizione procedurale della Commissione ogniqualvolta l’accordo in questione includa diversi ambiti specifici separati tra loro, uno dei quali rientri in ogni caso nella competenza esclusiva della Comunità (68). In un caso come quello di specie non consta però che sarebbe stato possibile distinguere così chiaramente l’una dall’altra le varie disposizioni della convenzione. La convenzione costituisce piuttosto un insieme unitario; pertanto, il ricorso all’art. 133 CE quale base giuridica aggiuntiva accanto all’art. 175, n. 1, CE non avrebbe potuto rafforzare la posizione della Commissione nelle trattative, e l’assenza della summenzionata base giuridica non ha indebolito il ruolo negoziale della detta istituzione.

57.   Quindi, anche ammettendo che nella convenzione controversa gli aspetti di politica commerciale e quelli di politica ambientale emergano con pari rilevanza, il mancato ricorso all’art. 133 CE quale base giuridica aggiuntiva costituirebbe soltanto un mero vizio di forma che non giustificherebbe un annullamento dell’atto impugnato. La decisione del Consiglio di approvare la convenzione sulla base dell’art. 175, n. 1, CE, in combinato disposto con l’art. 300, nn. 2, primo comma, prima frase, e 3, primo comma, CE, non potrebbe quindi essere annullata neppure sotto questo profilo.

V –    Sulle spese

58.   Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione è rimasta soccombente, le spese del procedimento vanno poste a suo carico come richiesto dal Consiglio.

59.   In deroga a quanto precede, consegue dall’art. 69, n. 4, del regolamento di procedura che il Parlamento europeo, quale istituzione interveniente, nonché i cinque Stati membri parimenti intervenuti nella controversia, sopportano le proprie spese.

VI – Conclusione

60.   Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di statuire come segue:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      Il Parlamento europeo, la Repubblica francese, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica d’Austria, la Repubblica di Finlandia nonché il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sopportano ciascuno le proprie spese. Per il resto la Commissione delle Comunità europee è condannata alle spese del procedimento.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2  – Pubblicata in GU 2003, L 63, pagg. 29 e segg..


3  – Commissione/Parlamento e Consiglio. V. a questo proposito anche le conclusioni da me presentate in data odierna (causa decisa con sentenza 10 gennaio 2006, Racc. pag. I‑107).


4  – GU L 63, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento n. 304/2003».


5  – V. per esempio il terzo ‘considerando’ del regolamento n. 304/2003 e l’art. 1, n. 1, lett. a), di quest'ultimo.


6  – GU 2003, L 63, pag. 27.


7  – In conformità della convenzione, per prodotti chimici si intendono anche, ai sensi dell’art. 2, lett. a), i pesticidi.


8  – La conferenza delle parti contraenti, su raccomandazione di un comitato per l’esame dei prodotti chimici, può ampliare questo elenco ovvero eliminare taluni prodotti dall’elenco stesso (artt. 7 e 8, in combinato disposto con l’art. 5, nn. 5 e 6, della convenzione).


9  – In una comunicazione relativa alla propria prassi di importazione, una parte può autorizzare l’importazione del prodotto chimico in questione, autorizzarne l’importazione solo a determinate condizioni, non autorizzarla, oppure limitarsi a rendere una dichiarazione provvisoria (art. 10, n. 4, della convenzione). Il segretariato comune coadiuva nello scambio di siffatte informazioni (art. 10, nn. 7 e 10, della convenzione).


10  – Lo scambio di informazioni ha luogo tramite il segretariato comune e deve includere talune informazioni, indicate in dettaglio nell’allegato I della convenzione, relative al tipo di sostanza da esportare e, in particolare, alle sue caratteristiche chimico-fisiche, tossicologiche ed ecotossicologiche, nonché relative ai motivi di politica ambientale o sanitaria alla base di siffatti divieti o restrizioni.


11  – Tale disposizione riguarda non solo l’esportazione di prodotti chimici assoggettati alla procedura PIC conformemente all’allegato III della convenzione, ma anche l’esportazione di prodotti chimici vietati o sottoposti a rigorose restrizioni da una delle parti nel rispettivo territorio. Inoltre le parti possono estendere questa norma anche ad altri prodotti chimici sottoposti a requisiti di etichettatura in conformità del proprio diritto nazionale.


12  – COM (2001) 802 def. (GU 2002, C 126 E, pag. 274). Nel contempo la Commissione ha presentato una proposta di regolamento del Consiglio sull’esportazione ed importazione dei prodotti chimici pericolosi, fondandola sull’art. 133 CE (GU 2002, C 126 E, pag. 291).


13  – GU 2003, L 63, pag. 47.


14  – V. a questo proposito il prospetto sullo stato attuale delle ratifiche, disponibile alla pagina Internet della convenzione < http://www.pic.int/fr/ViewPage.asp?id='272' > (visitata da ultimo il 1° febbraio 2005).


15  – Riguardo allo stato della giurisprudenza avviata con la sentenza 31 marzo 1971, causa 22/70, Commissione/Consiglio, «AETR» (Racc. pag. 263, punto 22), v. in particolare i pareri 19 marzo 1993, 2/91 (Racc. pag. I‑1061, punto 9), e 6 dicembre 2001, 2/00 («Protocollo di Cartagena sulla sicurezza biologica», Racc. pag. I‑9713, punti 45‑47), nonché le cosiddette «sentenze open skies» 5 novembre 2002, cause C‑467/98, Commissione/Danimarca (Racc. pag. I‑9519, punti 82‑84), C‑468/98, Commissione/Svezia (Racc. pag. I‑9575, punti 78‑80), C‑469/98, Commissione/Finlandia (Racc. pag. I‑9627, punti 82‑84), C‑471/98, Commissione/Belgio (Racc. pag. I‑9681, punti 95‑97), C‑472/98, Commissione/Lussemburgo (Racc. pag. I‑9741, punti 88-90), C‑475/98, Commissione/Austria (Racc. pag. I‑9797, punti 97‑99), e C‑476/98, Commissione/Germania (Racc. pag. I‑9855, punti 108‑110).


16  – Riguardo al diritto derivato all’epoca vigente, v. in particolare il regolamento (CEE) del Consiglio 23 luglio 1992, n. 2455, relativo alle esportazioni e importazioni comunitarie di taluni prodotti chimici pericolosi (GU L 251, pag. 13), con il quale, tra l'altro, la Comunità si assoggettava già a una procedura PIC, a quel tempo ancora volontaria. Detto regolamento è l’antesignano del regolamento n. 304/2003 attualmente in vigore.


17  – Parere 2/00 (cit. alla nota 15, punto 5).


18  – V. al riguardo, per esempio, la sentenza 11 settembre 2003, causa C‑211/01, Commissione/Consiglio, «trasporto di merci» (Racc. pag. I‑8913, punto 52).


19  – V. al riguardo, per esempio, pareri 15 novembre 1994, 1/94 («OMC», Racc. pag. I‑5267), e 2/00 (cit. alla nota 15).


20  – Sentenze 3 dicembre 1996, causa C‑268/94, Portogallo/Consiglio (Racc. pag. I‑6177, punto 22), 30 gennaio 2001, causa C‑36/98, Spagna/Consiglio, «Convenzione per la protezione del Danubio» (Racc. pag. I‑779, punto 58), 12 dicembre 2002, causa C‑281/01, Commissione/Consiglio, «Energy Star» (Racc. pag. I‑12049, punto 33), e sentenza «trasporto di merci» (cit. alla nota 18, punto 38), oltre al parere 2/00 (cit. alla nota 15, punto 22). Già la sentenza 11 giugno 1991, causa C‑300/89, Commissione/Consiglio, «biossido di titanio» (Racc. pag. I‑2867, punto 10), rivestiva importanza fondamentale.


21  – Sentenze «Energy Star» (cit. alla nota 20, punto 34), «Convenzione per la protezione del Danubio» (cit. alla nota 20, punto 59) e «trasporto di merci» (cit. alla nota 18, punto 39), nonché parere 2/00 (cit. alla nota 15, punto 23). Già la sentenza 17 marzo 1993, causa C‑155/91, Commissione/Consiglio, «direttiva rifiuti» (Racc. pag. I‑939, punti 19 e 21) rivestiva importanza fondamentale.


22  – Sentenza 26 marzo 1987, causa 45/86, Commissione/Consiglio (Racc. pag. 1493, punti 17‑21). V. anche le conclusioni dell’avvocato generale Lenz presentate il 29 gennaio 1987 nella stessa causa, in particolare paragrafo 62.


23  – Sentenze 17 ottobre 1995, causa C‑70/94, Werner (Racc. pag. I‑3189, punto 10), e 14 gennaio 1997, causa C‑124/95, Centro‑Com (Racc. pag. I‑81, punto 26).


24  – Sentenze 29 marzo 1990, causa C‑62/88, Grecia/Consiglio, «Cernobyl» (Racc. pag. I-1527, punti 15‑19), ed «Energy Star» (cit. alla nota 20, punti 39‑43).


25  – In questo senso, ancorché in riferimento al rapporto intercorrente tra disposizioni in materia di mercato interno e politica sanitaria, v. sentenza 5 ottobre 2000, causa C‑376/98, Germania/Parlamento e Consiglio (Racc. pag. I‑8419, punto 88), nonché sentenze 14 dicembre 2004, causa C‑434/02, Arnold André (Racc. pag. I‑11825, punti 32‑34), e C‑210/03, Swedish Match (Racc. pag. I‑11893, punti 31‑33). Queste considerazioni possono essere trasposte al rapporto esistente tra politica commerciale comune e politica sanitaria.


26  – Giurisprudenza costante: v. pareri 4 ottobre 1979, 1/78 («gomma naturale», Racc. pag. 2871, punti 44 e 45), e 1/94 (cit. alla nota 19, punto 41), nonché sentenza 26 marzo 1987, Commissione/Consiglio (cit. alla nota 22, punto 19).


27  – V. il parere 2/00 (cit. alla nota 15, in particolare punti 25 e 40‑44). Analogamente, la Corte ha proceduto anche alla distinzione tra art. 95 CE (ex art. 100 A del Trattato CE) e art.  175 CE (ex art. 130 S del Trattato CE), statuendo nella sentenza «direttiva rifiuti» (cit. alla nota 21, punto 19) che «(…) il solo fatto che siano interessati l’instaurazione o il funzionamento del mercato interno non è sufficiente affinché vada applicato l’art. 100 A del Trattato. Dalla giurisprudenza della Corte emerge infatti che non è giustificato il rinvio all’art. 100 A allorché l’atto da adottare abbia solo accessoriamente come effetto quello di armonizzare le condizioni del mercato all’interno della Comunità». V., nel medesimo senso, sentenza 28 giugno 1994, causa C‑187/93, Parlamento/Consiglio (Racc. pag. I‑2857, punto 25).


28  – Sentenza Energy Star (cit. alla nota 20, punti 40 in fine e 41 in fine). In senso analogo la Corte aveva già distinto in precedenza, ad esempio, tra politica culturale (ex art. 128 del Trattato CE) e politica industriale (ex art. 130 del Trattato CE): sentenza 23 febbraio 1999, causa C‑42/97, Parlamento/Consiglio (Racc. pag. I‑869, punto 63).


29  – Sentenza Energy Star (cit. alla nota 20, punti 40, 41, 43 e 48) e parere 2/00 (cit. alla nota 15, punti 40 e 42‑44).


30  – In questo senso v. il parere 2/00 (cit. alla nota 15, punto 37 in fine; il corsivo è mio). Infatti, gli strumenti di politica commerciale non sempre mirano solo a promuovere o agevolare il commercio; l’art. 133 CE consente anzi anche misure tradizionali (protezionistiche) di politica commerciale, che possono equivalere a ostacolare o, addirittura, a vietare l'importazione ovvero l'esportazione di taluni prodotti, per esempio in caso di imposizione di dazi antidumping o di un embargo commerciale (quanto a quest'ultima fattispecie v., ad esempio, sentenza Centro‑Com, cit. alla nota 23).


31  – V. in particolare il secondo, l’ottavo e il nono ‘considerando’ della convenzione; in senso analogo, peraltro, v. anche il terzo ‘considerando’ della decisione del Consiglio 2003/106/CE impugnata.


32  – V. in particolare il primo, il secondo, il sesto, il settimo, l’ottavo, il nono e l’undicesimo ‘considerando’ della convenzione; in senso analogo, peraltro, anche il terzo ‘considerando’ della decisione del Consiglio 2003/106/CE impugnata.


33  – Parere 2/00 (cit. alla nota 15, punto 33).


34  – Così si legge al punto 19.33 dell’«Agenda 21», con cui ha inizio la sezione che mette in rilievo lo strumento della procedura PIC. «Agenda 21» è stata approvata nel 1992 in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo, svoltasi a Rio de Janeiro (Brasile), il cosiddetto «vertice mondiale». Il testo è disponibile, tra l'altro, in lingua inglese all'indirizzo < http://www.un.org/esa/sustdev/documents/agenda21/index.htm >; si può consultare una traduzione in tedesco sul sito: < http://www.agrar.de/agenda/agd21k00.htm > (entrambi i siti da ultimo visitati il 2 marzo 2005).


35  – L’elenco di questi prodotti chimici figura nell’allegato III della convenzione.


36  – Sotto questo profilo la convenzione si distingue, per esempio, dalle convenzioni, allegate all’accordo OMC, sull’applicazione di misure sanitarie e fitosanitarie («Sanitary and Phytosanitary Measures» - in prosieguo: «SPS») e sulle barriere tecniche al commercio («Technical Barriers to Trade» – in prosieguo: «TBT»). Infatti, l’accordo SPS «si limita (…) all’istituzione di un quadro multilaterale di regole e norme intese a orientare l’elaborazione, l’adozione e l’applicazione delle misure sanitarie e fitosanitarie onde minimizzarne gli effetti negativi sul commercio», mentre le disposizioni dell’accordo TBT «sono semplicemente destinate ad evitare che i regolamenti tecnici e le norme, nonché le procedure (…), creino indebiti ostacoli al commercio internazionale» (parere 1/94, cit. alla nota 19, punti 31 e 33; il corsivo è mio).


37  – L’art. 5 della convenzione disciplina un ulteriore aspetto relativo allo scambio di informazioni.


38  – A questo proposito, al punto 19.35 dell’«Agenda 21» (cit. alla nota 34) si legge: «L’esportazione in paesi in via di sviluppo di prodotti chimici vietati nei paesi produttori o il cui uso è soggetto a una disciplina rigorosa in alcuni paesi industrializzati desta preoccupazioni, in quanto taluni paesi importatori non dispongono dei mezzi atti a garantirne una gestione sicura, a causa delle infrastrutture inadeguate a controllare l’importazione, la distribuzione, l’immagazzinaggio, la formulazione e l’eliminazione dei prodotti chimici» (il corsivo è mio).


39  – V. a questo riguardo, per esempio, l’art. 7, in particolare nn. 1 e 7, del regolamento n. 304/2003.


40  – In parole povere: per l’importazione di prodotti chimici pericolosi devono applicarsi le stesse condizioni o divieti, indipendentemente dal paese d’origine.


41 In parole povere: qualora l’importazione di prodotti chimici pericolosi sia soggetta a restrizioni, queste ultime devono applicarsi anche all’industria nazionale.


42  – Sotto questo profilo il caso di specie si distingue dalla causa Energy Star (cit. alla nota 20, in particolare punto 40 della sentenza), vertente su un programma di etichettatura che doveva in primo luogo consentire ai produttori di utilizzare, sulla base di una procedura di riconoscimento reciproco, un logo comune, affinché i consumatori potessero riconoscere taluni prodotti.


43 – Come osserva a ragione la Commissione, le misure di politica ambientale possono anche costituire ostacoli al commercio e, sotto questo profilo, occorre esaminare le giustificazioni che le sorreggono, ad esempio nell’ambito delle disposizioni dell’Accordo generale sulle tariffe e sul commercio (GATT). Tuttavia, ciò non priva le misure in questione del loro carattere politico‑ambientale.


44  – Terzo ‘considerando’ del preambolo della convenzione.


45 – Secondo ‘considerando’ del preambolo della convenzione.


46  – La dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo è consultabile in inglese sul sito < http://www.un.org/esa/sustdev/documents/agenda21/index.htm > (da ultimo visitato il 2 marzo 2005), quale allegato I alla relazione «Report of the United Nations Conference on Environment and Development» (documento n. A/CONF.151/26 [Vol. I]).


47  – Il capitolo 19 dell’«Agenda 21» (cit. alla nota 34) è intitolato «Gestione ecologicamente razionale delle sostanze chimiche tossiche, compresa la prevenzione del traffico internazionale illegale di prodotti tossici e pericolosi». Nella sezione «C. Scambio di informazioni su prodotti chimici tossici e rischi derivanti» si evidenzia in particolare la procedura PIC (punti 19.36 e 19.37).


48  – Punto 23, lett. a), del piano d’azione, consultabile al sito < http://www.johannesburgsummit.org > (da ultimo visitato il 2 marzo 2005), quale parte della relazione «Report of the World Summit on Sustainable Development» (documento n. A/CONF.199/20).


49  – GU 2002, L 242, pag. 1.


50  – Per esempio la valutazione e la gestione del rischio in relazione ai prodotti chimici, nonché l’informazione del pubblico [art. 7, n. 2, lett. b), del sesto programma di azione in materia ambientale].


51  – Art. 7, n. 2, lett. d), primo trattino, del sesto programma di azione in materia ambientale.


52  – Per quanto riguarda il criterio degli effetti diretti (e immediati) ovvero indiretti (e a lungo termine), v. paragrafo 30 delle presenti conclusioni.


53  – Su cui verte il parere 2/00 (cit. alla nota 15). A puro titolo di esempio si osservi che i due capitoli dell’«Agenda 21» (capitolo 15 e capitolo 19), nel cui contesto si collocano il Protocollo di Cartagena e la convenzione di Rotterdam in questione nel caso di specie, rientrano entrambi nella Parte II dell’Agenda 21, recante il titolo «Conservazione e gestione delle risorse per lo sviluppo».


54  – Su cui verte la sentenza Energy Star (cit. alla nota 20).


55  – Poiché la convenzione mira anche alla protezione della salute umana, non occorre una base giuridica distinta oltre all’art. 175, n. 1, CE. Infatti, come emerge dall’art. 174, n. 1, secondo trattino, CE, la politica della Comunità in materia ambientale contribuisce anche alla protezione della salute umana.


56 – V. a questo proposito già il paragrafo 18 delle presenti conclusioni. La possibilità di una competenza esterna esclusiva della Comunità nella politica in materia ambientale viene ammessa anche dal parere 2/00 (cit. alla nota 15, punti 45 e 46).


57  – Parere 2/00 (cit. alla nota 15, punto 23, in fine), nonché sentenze Energy Star (cit. alla nota 20, punti 35 e 39) e «trasporto di merci» (cit. alla nota 18, punto 40). V. anche sentenza «biossido di titanio» (cit. alla nota 20, punti 13 e 17).


58  – A sostegno di questa tesi si potrebbero richiamare, ad un esame superficiale, per esempio l’ottavo ‘considerando’ della convenzione e il terzo ‘considerando’ della decisione del Consiglio impugnata, nei quali la politica commerciale e la politica in materia ambientale vengono menzionate congiuntamente e, in apparenza, su un piede di parità.


59  – Secondo la giurisprudenza, il cumulo di differenti basi giuridiche è escluso quando le rispettive procedure previste sono tra loro incompatibili; v. sentenza «biossido di titanio» (cit. alla nota 20, punti 17‑21), sentenze 25 febbraio 1999, cause riunite C‑164/97 e C‑165/97, Parlamento/Consiglio (Racc. pag. I‑1139, punto 14), e 29 aprile 2004, causa C‑338/01, Commissione/Consiglio (Racc. pag. I‑4829, punto 57). Da questa giurisprudenza si può dedurre che un cumulo di due fondamenti normativi viene tutt’al più preso in considerazione nel caso in cui le due basi giuridiche prevedano la stessa procedura legislativa o, comunque, procedure legislative compatibili; v. in questo senso anche sentenza 9 settembre 2004, cause riunite C‑184/02 e C‑223/02, Spagna e Finlandia/Parlamento europeo e Consiglio (Racc. pag. I‑7789, punti 42‑44).


60  – V. in questo senso l’accordo quadro 5 luglio 2000, sui rapporti tra il Parlamento europeo e la Commissione, vigente alla data di approvazione della convenzione; v. segnatamente l’allegato 2 «Informazione e inclusione del Parlamento europeo riguardo a convenzioni internazionali e all’allargamento» (GU 2001, C 121, pagg. 122 e segg., segnatamente pag. 128).


61  – In questo senso – riguardo ad altri fondamenti normativi – v. per esempio la sentenza 27 settembre 1988, causa 165/87, Commissione/Consiglio (Racc. pag. 5545, punto 20), secondo cui la consultazione del Parlamento, della quale il Consiglio ha sempre la facoltà di avvalersi, non può essere considerata illegittima anche se non è obbligatoria. Dalla sentenza 2 marzo 1994, causa C‑316/91, Parlamento/Consiglio (Racc. pag. I‑625, punto 16, seconda frase), non emergono al riguardo elementi in senso contrario. Infatti, in quest’ultima sentenza la Corte dichiara che la realizzazione di una consultazione facoltativa del Parlamento non può sostituirne la consultazione obbligatoria; resta tuttavia impregiudicata la possibilità di procedere a una consultazione facoltativa in tutti i casi in cui il Trattato non prevede affatto una consultazione (obbligatoria).


62 – Nella sentenza Swedish Match, emessa di recente (cit. alla nota 25, punto 44), la Corte dichiara che l’erroneo riferimento all’art. 133 CE come fondamento normativo aggiuntivo di un atto non determina di per sé l’invalidità di quest’ultimo; v. anche la sentenza 10 dicembre 2002, causa C‑491/01, British American Tobacco (Racc. pag. I‑11453, punto 98).


63 – V. in tal senso – nel caso dell’erronea presa in considerazione di un duplice fondamento normativo – la sentenza Swedish Match (cit. alla nota 25, punto 44); v. anche le sentenze 9 settembre 2004, Spagna e Finlandia/Parlamento (cit. alla nota 59, punto 44), 27 settembre 1988, Commissione/Consiglio (cit. alla nota 61, punto 19), 26 marzo 1987, Commissione/Consiglio (cit. alla nota 22, punti 12 e 22), e «biossido di titanio» (cit. alla nota 20, punti 18‑20 e 25).


64 – V. anche paragrafo 51 delle presenti conclusioni.


65 – Art. 133, n. 3, CE, in combinato disposto con l’art. 300, n. 1, seconda frase, CE.


66  – Parere 11 novembre 1975, 1/75 («spese locali», Racc. pag. 1355, in particolare pagg. 1363 e segg.), sentenza 15 dicembre 1976, causa 41/76, Donckerwolcke (Racc. pag. 1921, punto 32), pareri 2/91 (cit. alla nota 15, punto 8) e 1/94 (cit. alla nota 19, punto 34).


67  – Tuttavia, nel caso specifico può emergere anche in questo ambito una competenza esclusiva, segnatamente in applicazione della «giurisprudenza AETR», citata alla nota 15. Anche il parere 2/00 (cit. alla nota 15, punti 45 e 46) ammette la possibilità di una competenza esterna esclusiva della Comunità nella politica in materia ambientale.


68  – V. a questo proposito, per esempio, il parere 1/94 (cit. alla nota 19), che in relazione alla costituzione dell'OMC opera un distinzione tra gli specifici ambiti GATT, GATS e TRIPS e li riconduce a fondamenti normativi distinti.

Top