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Document 61995CC0368

    Conclusioni dell'avvocato generale Tesauro del 13 marzo 1997.
    Vereinigte Familiapress Zeitungsverlags- und vertriebs GmbH contro Heinrich Bauer Verlag.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Handelsgericht Wien - Austria.
    Misura di effetto equivalente - Diffusione di periodici - Giochi a premi - Divieto nazionale.
    Causa C-368/95.

    Raccolta della Giurisprudenza 1997 I-03689

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:1997:150

    61995C0368

    Conclusioni dell'avvocato generale Tesauro del 13 marzo 1997. - Vereinigte Familiapress Zeitungsverlags- und vertriebs GmbH contro Heinrich Bauer Verlag. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Handelsgericht Wien - Austria. - Misura di effetto equivalente - Diffusione di periodici - Giochi a premi - Divieto nazionale. - Causa C-368/95.

    raccolta della giurisprudenza 1997 pagina I-03689


    Conclusioni dell avvocato generale


    1 Risolvere (o quantomeno tentare di risolvere) un cruciverba, un rebus o altro enigma rientra nel quotidiano degli appassionati del genere, cui è ormai dedicata una abbondante "letteratura" specialistica; ma è altresì un modo per distrarsi, per sfuggire alla noia o alla solitudine. Ciò spiega la presenza di giochi e indovinelli vari anche in periodici non specializzati, in qualche caso finanche in quotidiani. La possibilità di vincere un premio, che sempre più spesso accompagna la corretta soluzione dei giochi in questione, costituisce poi un indubbio incentivo supplementare (e non da poco) a dar prova della propria abilità in tale campo e, ancor prima, ad acquistare periodici che contengano giochi a premi di tale tipo.

    All'origine della presente procedura vi è precisamente la possibilità di vincere un premio che un settimanale tedesco, distribuito anche in Austria, offre ai lettori che risolvono correttamente i giochi in esso contenuti. Essendo tale possibilità vietata dalla normativa austriaca sulla concorrenza sleale, lo Handelsgericht di Vienna, dinanzi al quale è pendente la controversia principale, chiede alla Corte se l'art. 30 del Trattato osti all'applicazione di una normativa nazionale, quale quella austriaca, che si risolve in un divieto assoluto di vendita sul territorio nazionale di periodici contenenti giochi e/o concorsi a premi, anche qualora legalmente prodotti e commercializzati in altri Stati membri.

    La possibilità di risolvere cruciverba e continuare a sognare di vincere un premio dipende dunque, in ipotesi quali quella appena prospettata, dall'interpretazione delle norme sulla libera circolazione delle merci che la Corte fornirà nella presente procedura.

    Il contesto normativo e fattuale, il quesito pregiudiziale

    2 Con legge del 1992 (1), il legislatore austriaco ha provveduto ad una profonda liberalizzazione in materia di concorrenza, abrogando, tra l'altro, le norme che vietavano ai commercianti la concessione di premi ed altri vantaggi a favore dei consumatori. Al contempo, è stato tuttavia inserito nella legge contro la concorrenza sleale (Gesetz gegen den unlauteren Wettbewerb; nel prosieguo: l'«UWG») un articolo 9 bis, che, così come modificato nel 1993, impone specificamente, oltre al più generale divieto di accordare ai consumatori premi senza contropartita collegati alla vendita di beni e servizi, il divieto di proporre, annunciare e accordare premi senza contropartita ai consumatori di periodici (art. 9 bis, primo comma, punto 1) (2).

    Va qui aggiunto che lo stesso art. 9 bis prevede, al punto 8 del secondo comma, che il divieto di accordare premi senza contropartita non si applica ove il premio consista nella possibilità di partecipare ad un concorso in cui il valore totale dei premi messi in gioco non superi un determinato importo; tale disposizione non è tuttavia applicabile, come sancito dalla stessa, alla possibilità di partecipare ad una lotteria offerta da periodici (3). Ne consegue che un periodico che contenga giochi e/o concorsi a premi si pone in contrasto con la normativa austriaca sulla concorrenza sleale.

    3 E veniamo ai fatti. La Heinrich Bauer Verlag (nel prosieguo: la «convenuta»), impresa con sede in Germania, è editrice, tra l'altro, della rivista «Laura», prodotta in Germania e distribuita anche in Austria. Tale rivista contiene giochi a premi che consentono a chi li risolve correttamente di partecipare ad un'estrazione a sorte che arricchisce i fortunati sorteggiati con premi in danaro che variano dai 500 DM ai 5 000 DM. Ad esempio, il numero della rivista cui fa riferimento il giudice di rinvio (4) contiene un primo cruciverba che consente a due fortunati sorteggiati di vincere 500 DM, un secondo cruciverba il cui unico premio messo in gioco è di 1 000 DM ed infine un terzo gioco che consente di vincere a colui che sarà estratto ben 5 000 DM.

    La Vereinigte Familiapress Zeitungsverlags- und vertriebs GmbH (nel prosieguo: la «ricorrente»), impresa con sede in Austria che distribuisce il settimanale «Die Ganze Woche» ed il quotidiano «Täglich Alles», precisamente fondandosi sull'art. 9 bis dell'UWG, ha presentato ricorso dinanzi allo Handelsgericht di Vienna, chiedendo che fosse ingiunto alla convenuta di astenersi dalla vendita sul territorio austriaco di pubblicazioni, quali la rivista «Laura», che concedono ai lettori la possibilità di partecipare a giochi a premi.

    4 Rilevato che la normativa tedesca sulla concorrenza sleale non contiene una disposizione analoga all'art. 9 bis dell'UWG (5) e che il divieto di vendita dei periodici, quale derivante dalla disposizione in parola, è tale da incidere sul commercio intracomunitario, lo Handelsgericht ha ritenuto necessario, ai fini della sua decisione, sottoporre alla Corte il seguente quesito pregiudiziale:

    «Se l'art. 30 del Trattato CEE vada interpretato nel senso che osta all'applicazione delle norme giuridiche di uno Stato membro A, che impedisce ad un'impresa con sede nello Stato membro B di vendere anche nello Stato membro A pubblicazioni periodiche prodotte nel suddetto Stato membro B, se esse contengono indovinelli o giochi a premi organizzati legalmente in quest'ultimo Stato membro».

    Sull'applicabilità dell'art. 30 del Trattato

    5 La Corte è dunque chiamata a stabilire se il divieto di commercializzare una rivista contenente giochi a premi costituisca una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa ai sensi dell'art. 30 del Trattato. A tal fine, occorre anzitutto verificare se la normativa nazionale in discussione esaurisca l'ipotesi di misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative in quanto idonea, secondo la ben nota formula Dassonville, «ad ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari» (6).

    Tenuto conto che la misura in questione, sebbene indistintamente applicabile ai prodotti nazionali e ai prodotti importati, vieta l'accesso al mercato austriaco di riviste legalmente prodotte e commercializzate nello Stato membro di provenienza, appare già a prima vista che si tratta di una misura idonea ad ostacolare il commercio intracomunitario e che dunque rientra nella formula Dassonville.

    6 Il governo austriaco ha tuttavia sostenuto che la possibilità di partecipare ad un gioco a premi, offerta da un periodico ai suoi lettori, altro non è che un metodo di promozione delle vendite, dunque una misura riguardante le modalità di vendita e non le caratteristiche del prodotto. In tali condizioni, si tratterebbe, ad avviso dello stesso governo, di una misura che - conformemente al nuovo orientamento in materia, quale affermato dalla Corte a partire dalla sentenza Keck (7) - neppure rientrerebbe nel campo di applicazione dell'art. 30 del Trattato.

    La Commissione, il governo tedesco e la convenuta hanno invece sostenuto che i giochi a premi in questione costituiscono parte integrante del contenuto della rivista e che, pertanto, il divieto di vendita di periodici aventi tali caratteristiche, quale risultante dalla normativa nazionale qui in discussione, riguarda direttamente il prodotto e non le modalità concernenti la sua vendita. La giurisprudenza Keck sarebbe pertanto inapplicabile al caso di specie.

    7 E' opportuno a questo punto ricordare che nella sentenza Keck la Corte ha anzitutto confermato la giurisprudenza Cassis de Dijon (8), ribadendo che l'art. 30 del Trattato, in assenza di armonizzazione delle legislazioni, vieta gli ostacoli alla libera circolazione delle merci, legalmente prodotte e commercializzate nello Stato membro di provenienza, derivanti da norme che impongano requisiti ai quali le merci in questione devono rispondere, come quelle riguardanti, ad esempio, la presentazione, l'etichettatura o il confezionamento; e ciò anche qualora tali norme siano indistintamente applicabili ai prodotti nazionali e a quelli importati. In tali ipotesi, pertanto, le misure nazionali di cui si tratta possono essere giustificate solo in funzione di finalità di interesse generale che si rivelino tali da prevalere sulle esigenze della libera circolazione delle merci.

    Nella stessa sentenza, la Corte ha però precisato che «non può costituire ostacolo diretto o indiretto, in atto o in potenza, agli scambi commerciali tra gli Stati membri ai sensi della giurisprudenza Dassonville (...) l'assoggettamento di prodotti provenienti da altri Stati membri a disposizioni nazionali che limitino o vietino talune modalità di vendita, sempreché tali disposizioni valgano nei confronti di tutti gli operatori interessati che svolgano la propria attività sul territorio nazionale e sempreché incidano in egual misura, tanto sotto il profilo giuridico quanto sotto quello sostanziale, sullo smercio dei prodotti sia nazionali sia provenienti da altri Stati membri» (9).

    8 Alla luce di tale distinzione, occorre dunque stabilire se il divieto di cui alla normativa austriaca sulla concorrenza sleale costituisca una misura riguardante le caratteristiche del prodotto o invece le modalità di vendita dello stesso. Orbene, è certo vero che l'inserimento di giochi a premi in una rivista ben può costituire, come sostenuto dal governo austriaco, un metodo di promozione delle vendite della rivista in questione. Resta, nondimeno, che i giochi in discussione, e con essi i premi messi in palio, fanno parte del contenuto della rivista e che, pertanto, attengono direttamente al prodotto. Il divieto in discussione, sebbene generale e non discriminatorio, non può dunque essere considerato come una «modalità di vendita», nel senso chiarito dalla giurisprudenza Keck.

    Sul punto, ricordo peraltro che, chiamata a pronunciarsi - successivamente alla sentenza Keck - su un divieto concernente una determinata forma di pubbblicità, effettuata sullo stesso imballaggio del prodotto in oggetto, la Corte ha affermato che «ancorché indistintamente applicabile a tutti i prodotti, un divieto (...) riguardante l'immissione in commercio in uno Stato membro di prodotti recanti le stesse indicazioni pubblicitarie legalmente utilizzate in altri Stati membri, è atto a costituire un ostacolo agli scambi intracomunitari. Tale divieto può infatti costringere l'importatore a dare ai propri prodotti una presentazione diversa a seconda dei luoghi in cui questi devono essere posti in commercio e, conseguentemente, a dover far fronte a maggiori spese di confezionamento e di pubblicità» (10).

    9 L'ipotesi che ci occupa è sicuramente analoga a quella appena richiamata e ben spiega, a mio avviso, perché la Corte, pur senza fornire delle indicazioni più precise, abbia incluso nel nuovo orientamento giurisprudenziale in materia solo «talune» e non tutte le modalità di vendita (11). Peraltro, non è superfluo qui sottolineare che, sempre nella sentenza Keck, la Corte ha precisato che, nella misura in cui risultino soddisfatti i requisiti da essa stabiliti (12), «l'applicazione di normative di tal genere [concernenti le modalità di vendita] alla vendita di prodotti provenienti da un altro Stato membro e rispondenti alle norme stabilite da tale Stato non costituisce elemento atto ad impedire l'accesso di tali prodotti al mercato o ad ostacolarlo in misura maggiore rispetto all'ostacolo rappresentato per i prodotti nazionali» (13).

    Nel caso che ci occupa, è appena il caso di rilevarlo, la misura in questione vieta l'accesso al mercato di periodici aventi le caratteristiche del settimanale «Laura». Anche a volerla qualificare come una modalità di vendita, resta dunque che si tratta di una misura che, in quanto impedisce l'accesso al mercato del prodotto di cui si tratta, non ricade nella giurisprudenza Keck. Una conferma in tal senso è data dalla sentenza Alpine Investments, in cui la Corte, confrontata alla possibilità di applicare per analogia i criteri utilizzati nella sentenza Keck anche alla materia dei servizi, ha precisamente posto l'accento sulla circostanza che, a differenza del caso Keck, il divieto in discussione nella specie «condiziona direttamente l'accesso al mercato dei servizi negli altri Stati membri. Esso è quindi atto ad ostacolare il commercio intracomunitario dei servizi» (14).

    10 Significativa al riguardo si rivela, inoltre, una ricognizione delle misure che la Corte ha finora considerato come «modalità di vendita» che esulano dal campo di applicazione dell'art. 30. Oltre al divieto di vendita sottocosto di cui alla sentenza Keck, sono state infatti considerate in modo analogo: il divieto di vendita con un margine di profitto molto basso (15); normative relative agli orari di apertura dei negozi (16) e dei distributori di benzina (17); il divieto di vendere latte per neonati al di fuori delle farmacie (18); il sistema di vendita al dettaglio dei tabacchi manifatturati (19); il divieto imposto ai farmacisti di fare la pubblicità di prodotti parafarmaceutici al di fuori delle farmacie (20); il divieto di pubblicità televisiva a favore di imprese di distribuzione (21). Le misure nazionali appena elencate, come può facilmente rilevarsi, non sono affatto tali da «condizionare direttamente l'accesso al mercato» del prodotto di cui si tratta.

    Più in generale, ritengo pertanto possa ragionevolmente affermarsi che sono escluse dal campo di applicazione dell'art. 30 soltanto le misure a carattere assolutamente generale, beninteso indistintamente applicabili, che non ostino alle importazioni e che possano al più risolversi in una riduzione (presunta ed eventuale) delle importazioni, solo quale conseguenza di un'altrettanto eventuale riduzione globale delle vendite. Del resto, la stessa Corte non ha mancato di evidenziare, o meglio ha posto come premessa di un tale orientamento giurisprudenziale, che «il fatto che una normativa nazionale sia atta a restringere, in generale, il volume delle vendite dei prodotti provenienti da altri Stati membri non è sufficiente per qualificarla misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all'importazione» (22).

    11 Ritornando alla misura in discussione nella specie, rilevo pertanto che, sebbene indistintamente applicabile, essa incide direttamente sulla commercializzazione del prodotto in questione ed impone all'operatore interessato di rivedere la presentazione ed il contenuto dello stesso. A differenza di quanto avveniva nel caso Keck, nonché nei successivi casi decisi dalla Corte in modo analogo, si tratta dunque di un divieto niente affatto collegato ad una eventuale riduzione delle importazioni derivante da una più generale diminuzione globale delle vendite.

    In definitiva, la misura in questione, vietando l'importazione di una rivista che è confezionata in un certo modo e presenta determinate caratteristiche, si risolve in un divieto assoluto di importazione di un certo prodotto, al quale è pertanto negato tout court, finché manterrà quella presentazione e quel contenuto, l'accesso al mercato. Tale misura è dunque tale da ostacolare il commercio intracomunitario e rientra pertanto sicuramente, quantomeno in via di principio, nel campo di applicazione dell'art. 30.

    Sui motivi dedotti a giustificazione del divieto

    12 Una volta accertato che la misura in questione, sebbene indistintamente applicabile, è tale da risolversi in un ostacolo per gli scambi intracomunitari, occorre ora verificare se le giustificazioni invocate nel corso della procedura, al fine di sottrarre tale misura al divieto di cui all'art. 30, possano essere considerate tali da prevalere sulle esigenze della libera circolazione delle merci.

    Conformemente ad una costante giurisprudenza della Corte in materia (23), eventuali ostacoli agli scambi - riconducibili, come nella specie, alla disparità di legislazioni nazionali a confronto - sono tollerati dal sistema se le «esigenze imperative» invocate per giustificare la misura nazionale di cui si tratta soddisfino le tre seguenti condizioni: a) siano considerate degne di tutela dal punto di vista del diritto comunitario; b) siano idonee a conseguire l'obiettivo perseguito; c) risultino adeguate e necessarie ai fini del raggiungimento di tale obiettivo, ciò che si verifica allorché non esistano misure alternative che siano meno restrittive per gli scambi.

    13 Comincio col rilevare che nel caso che ci occupa non sono certo le giustificazioni a mancare; nel corso della procedura, infatti, ne sono state evocate ed invocate più d'una, forse troppe. E' così che, oltre alla tutela del consumatore, alla lealtà delle transazioni commerciali ed alla garanzia del pluralismo della stampa, sono state rappresentate esigenze inerenti all'ordine pubblico, quali la lotta alla criminalità ed all'evasione fiscale, motivi di tutela della salute, sotto il profilo della lotta alla "schiavitù da gioco", nonché la salvaguardia della moralità pubblica.

    Si tratta di esigenze imperative già riconosciute come tali dalla giurisprudenza e che pertanto, è appena il caso di rilevarlo, sono sicuramente degne di tutela dal punto di vista del diritto comunitario. Ritengo tuttavia che non poche (e fondate) perplessità sorgano in ordine all'idoneità di talune di esse, già sotto il profilo del nesso di causalità, a giustificare la misura nazionale qui in discussione. E' pertanto opportuno, a mio avviso, sgombrare il campo da qualche equivoco emerso al riguardo nel corso della procedura e restringere, ricorrendone i presupposti, il ventaglio delle giustificazioni suscettibili, nella specie, di essere prese in considerazione.

    14 In tale ottica, non è certo superfluo richiamare le ragioni che sono alla base del divieto di commercializzazione di periodici contenenti giochi e/o concorsi a premi, così come espressamente indicate nella motivazione della relativa legge nazionale. Il divieto è infatti così motivato: «Per quanto riguarda i periodici, occorre invero tener conto del fatto che una concorrenza intensiva attraverso l'offerta di premi, in particolare la possibilità di partecipare a dei concorsi, determina un grave peso economico per le imprese più piccole di giornali e riviste, tenuto conto del numero elevato di giornali e riviste venduti, peso che potrebbe condurre ad una concorrenza rovinosa. L'interesse al pluralismo della stampa impone di opporvisi. (...) esiste dunque il pericolo (...) che il consumatore dia più importanza alla possibilità di vincere che alla qualità del prodotto e che un elemento poco serio sia così introdotto nella distribuzione delle merci. In effetti, il desiderio di vincere d'azzardo finirebbe per costituire la molla che spinge all'acquisto del bene».

    Così come motivato, pertanto, il divieto di vendita di periodici contenenti giochi e/o concorsi a premi risulta avere come scopo essenziale il mantenimento del pluralismo della stampa (24), nonché, in misura minore, la protezione del consumatore e la lealtà delle transazioni commerciali. Sono queste, dunque, le esigenze imperative che possono eventualmente giustificare il divieto in questione; sono queste, peraltro, le sole giustificazioni addotte dal governo austriaco per difenderne la legittimità rispetto alla disciplina del Trattato sulla libera circolazione delle merci.

    15 Nel corso della procedura, come già accennato, è stato tuttavia sostenuto, da alcuni degli altri Stati intervenuti, che il divieto in parola, in quanto inerente ai giochi d'azzardo, sarebbe altresì da giustificare in base a motivi di tutela dell'ordine pubblico, di tutela della salute e della moralità pubblica. A sostegno di tale tesi è stata invocata la sentenza Schindler (25), in cui, lo ricordo, la Corte ha sancito che le disposizioni del Trattato relative alla libera prestazione dei servizi non ostano, tenuto conto delle preoccupazioni di politica sociale e di prevenzione delle frodi che la giustificano, ad una disciplina nazionale che vieti le lotterie. La Corte ha infatti riconosciuto che, «tenuto conto della rilevanza delle somme che consentono di raccogliere e dei premi che possono offrire ai giocatori, soprattutto quando sono organizzate su grande scala, le lotterie comportano elevati rischi di criminalità e di frode. Esse costituiscono inoltre un'incitazione alla spesa che può avere conseguenze individuali e sociali dannose» (26).

    Non ritengo che questo tipo di valutazione possa essere trasposto al caso che ci occupa. Le due ipotesi - lotterie su grande scala, da un lato, giochi e/o concorsi a premi, dall'altro - sono infatti, a mio avviso, difficilmente comparabili, atteso che nella seconda ipotesi si tratta di giochi su piccola scala, che mettono in palio premi minori e che, comunque, costituiscono parte integrante del contenuto del periodico di cui si tratta (27). Le preoccupazioni di politica sociale e di evasione fiscale alla base della sentenza Schindler non entrano pertanto neppure in gioco, non intercorrendo alcuna relazione tra di esse ed il divieto in questione. Il silenzio del legislatore austriaco al riguardo è peraltro emblematico ed induce ad escludere che si possano apprezzare «esigenze» estranee alla motivazione di tale divieto, quale espressamente esposta nella relativa legge.

    Resta, in ogni caso, che non è facilmente comprensibile in che modo la mera possibilità di vincere un premio di 500 DM, collegata alla corretta soluzione di un cruciverba, imponga il divieto di commercializzare, in nome della lotta alla criminalità, il periodico che contenga tale gioco. Né possono ritenersi credibili le giustificazioni inerenti alla tutela della salute, sotto il profilo della lotta alla "schiavitù da gioco"; ovvero alla pubblica moralità, in quanto si tratterebbe di un vizio socialmente riprovevole. A tacer d'altro, gli stessi Stati che hanno invocato tali "catastrofi sociali" ben conoscono, oltre alle lotterie su grande scala, anche sistemi di "gratta e vinci" aut similia e non risulta che, rispetto a tali giochi, si preoccupino più di tanto di combattere la "schiavitù da gioco" (28).

    16 Sull'incidenza della sentenza Schindler rispetto al caso che ci occupa ritengo necessaria un'ulteriore osservazione. Le peculiarità delle lotterie e, più in generale, dei giochi d'azzardo, hanno indotto la Corte ad affermare che «le autorità nazionali dispongano di un potere discrezionale sufficiente per definire le esigenze di tutela dei giocatori e più in generale, tenendo conto delle specificità socio-culturali di ogni Stato membro, di tutela dell'ordine sociale, sia per quanto riguarda le modalità di organizzazione delle lotterie, il volume delle puntate, sia per quanto riguarda la destinazione degli utili da esse ricavati. Spetta pertanto loro valutare non solo la necessità di limitare le attività di lotterie ma anche di vietarle, purché dette limitazioni non siano discriminatorie» (29). In altre parole, la Corte, pur tenendo in debito conto l'idoneità del divieto in questione a raggiungere gli obiettivi perseguiti, ha considerato che la specificità dei giochi d'azzardo sia tale da consentire agli Stati membri un ampio potere discrezionale in materia, con la conseguenza che neppure è necessario, sempreché si tratti di misure non discriminatorie, verificarne la proporzionalità sotto il profilo dell'esistenza di misure meno restrittive per gli scambi ed idonee a raggiungere gli stessi obiettivi: essa non ha dunque proceduto ad un test di proporzionalità rigoroso.

    Tenuto conto delle differenze già evocate tra le grandi lotterie e i concorsi a premi collegati alla soluzione di un cruciverba e parte integrante di un periodico, ritengo che, rispetto ad una fattispecie quale quella qui esaminata, non possa essere lasciata al legislatore nazionale altrettanta discrezionalità. Sono peraltro convinto che la soluzione adottata nella sentenza Schindler sia e debba essere opportunamente circoscritta alle specificità di quel caso. Beninteso, ove così non fosse, ove cioè tale soluzione dovesse essere considerata valida per ogni gioco qualificabile d'azzardo, intendendo con tale espressione qualsiasi premio assegnato mediante un'estrazione a sorte, indipendentemente dalla sua entità e dall'ambito del gioco stesso, dunque anche rispetto al nostro caso, verrebbe ad aprirsi una breccia pericolosa e niente affatto giustificata in ordine all'esercizio di libertà fondamentali garantite dal Trattato. Eventuali restrizioni a tali libertà, è appena il caso di ricordarlo, costituiscono infatti delle eccezioni, come tali di stretta interpretazione e pertanto da sottoporre ad un rigoroso test di proporzionalità.

    17 Tutto ciò premesso, passo dunque ad esaminare la proporzionalità della misura in questione rispetto alle «esigenze imperative» qui pertinenti, quelle poste espressamente a base della sua adozione, vale a dire la protezione del consumatore e la lealtà delle transazioni commerciali, nonché il mantenimento del pluralismo della stampa.

    - Protezione del consumatore e lealtà delle transazioni commerciali

    18 E' stato sostenuto, da un lato, che il consumatore potrebbe essere attratto più dal gioco e dalla speranza di vincita ad esso collegata che dalla qualità della rivista; dall'altro, e per ciò stesso, che risulterebbero in tal modo falsate le condizioni di concorrenza sotto il profilo della lealtà dei negozi commerciali. Inoltre, lo stesso consumatore potrebbe essere indotto in errore quanto al prezzo reale del prodotto. In altre parole, la possibilità di vincere un premio devierebbe l'attenzione del consumatore ed avrebbe come conseguenza di alterare le condizioni di una concorrenza basata sulla competitività, che dev'essere imperniata sulla qualità e sul valore del prodotto.

    La legittimità di restrizioni agli scambi derivanti da normative quali quella in discussione avrebbe, peraltro, ricevuto l'avallo della Corte già nella sentenza Oosthoek (30), in cui, infatti, ha affermato che «l'offerta di prodotti in omaggio come mezzo di promozione delle vendite può indurre in errore i consumatori sui prezzi reali dei prodotti in vendita e falsare le condizioni di una concorrenza basata sulla competitività. Una normativa che, per questo motivo, limiti o addirittura vieti siffatte pratiche commerciali è quindi atta a contribuire alla tutela dei consumatori e alla lealtà dei negozi commerciali».

    19 Osservo anzitutto che il riferimento alla sentenza Oosthoek è solo parzialmente pertinente. In quel caso, infatti, era in discussione un divieto generale di offrire prodotti in omaggio; nel nostro caso si tratta invece di un divieto che riguarda solo i periodici e non anche altri tipi di pubblicazioni o comunicazioni rivolte al pubblico: giochi e/o concorsi a premi sono infatti consentiti, a determinate condizioni (31), allorché collegati alla vendita di prodotti diversi dai periodici. Siffatta circostanza è già di per sé tale da rendere l'esigenza che è alla base di questo tipo di giustificazione meno «imperativa» di quanto sostenuto, non potendosi ammettere, in assenza di peculiarità distintive, che il consumatore meriti di essere protetto solo rispetto all'acquisto di periodici e non di altri prodotti.

    Se è vero, poi, che l'offerta di un prodotto in omaggio potrebbe far ritenere che esso sia del tutto gratuito e, per ciò stesso, indurre in errore quanto al prezzo reale del prodotto che si intende acquistare, non mi sembra possa dirsi altrettanto in relazione all'acquisto di un periodico che contenga dei cruciverba. A tal fine, non è superfluo ricordare che il consumatore preso in considerazione nella giurisprudenza della Corte, al fine di fornirgli adeguata protezione rispetto a comportamenti che possano indurlo in errore o altrimenti nuocergli, è il consumatore medio, vale a dire «un consumatore munito di un normale potere di discernimento» (32). Tale consumatore, a mio avviso, ben difficilmente potrà essere indotto in errore sul prezzo reale di un periodico per il solo fatto che esso contenga dei giochi a premi, tanto più ove si tratti, come nella specie, di un settimanale ameno, che pertanto si propone essenzialmente come strumento di distrazione e di piacere.

    20 Invero, la ratio del divieto in questione, come si evince dalla sua motivazione, consiste nell'evitare che il consumatore sia condizionato nell'acquisto di periodici dalla possibilità di vincere un premio, in quanto una tale attitudine avrebbe delle conseguenze negative sui piccoli editori, che normalmente non sono in grado di offrire la stessa possibilità. In tali condizioni, non può non riconoscersi che tanto la protezione del consumatore quanto la lealtà delle transazioni commerciali non costituiscono degli obiettivi autonomamente rilevanti, ma sono invece collegati a quello del mantenimento del pluralismo della stampa.

    - Il mantenimento del pluralismo della stampa

    21 Avendo la Corte incluso la salvaguardia del pluralismo tra i motivi di interesse generale idonei a giustificare restrizioni alla libera prestazione dei servizi (33), va da sé, tenuto conto in particolare del parallelismo tra merci e servizi, che si tratta di un'esigenza degna di tutela anche rispetto alla fattispecie che ci occupa.

    Resta da verificare se il divieto in discussione è effettivamente necessario per garantire il pluralismo della stampa e se, ai fini del raggiungimento di tale obiettivo, non esistano misure meno restrittive per gli scambi intracomunitari.

    22 Dirò subito che, qualora la presenza sul mercato austriaco di periodici quali il settimanale «Laura» sia effettivamente tale da determinare, in ragione dei giochi a premi in essi contenuti, uno spostamento dei consumatori verso tali periodici e ciò si risolva a detrimento dei piccoli editori austriaci, dovrebbe senz'altro concludersi nel senso che la misura in questione è necessaria per garantire il pluralismo.

    Per contro, tale misura deve invece essere considerata non necessaria ove risulti che i giochi a premi non costituiscono un incitamento all'acquisto che determini uno spostamento dei consumatori verso tale genere di periodici e/o gli stessi comunque non influiscono, in ragione del pubblico cui si rivolgono e dei diversi bisogni cui rispondono, sulla vendita di periodici nazionali prodotti da piccoli editori. Infatti, se scopo della misura in questione è, come indicato nella motivazione prima richiamata, di evitare che le piccole imprese di giornali e riviste siano esposte ad una concorrenza rovinosa, tale da minacciare il pluralismo della stampa, va da sé che tale scopo non può certo essere perseguito imponendo agli editori di altri Stati membri di non commercializzare sul territorio austriaco periodici che, sebbene contengano giochi a premi, all'occorrenza neppure entrano in competizione con quelli prodotti da piccoli editori nazionali; in assenza dunque di un rischio, per questi ultimi, di estromissione dal mercato o di sensibile riduzione della quota di mercato.

    23 In tali condizioni, ritengo che l'idoneità della misura in questione a conseguire l'obiettivo perseguito non possa essere stabilita a priori ma necessiti una verifica in concreto, da effettuarsi sulla base dei dati relativi al mercato della stampa in Austria. In particolare, dovrà tenersi conto delle quote di mercato detenute da ciascun editore o gruppo editoriale e della loro evoluzione; del mercato del prodotto rilevante e dunque della sostituibilità, per il consumatore, di periodici che, a prima vista, rispondono a bisogni completamente diversi (34); infine, delle conseguenze subìte dalle piccole imprese a causa della vendita sul territorio austriaco di periodici quali il settimanale «Laura».

    Non è compito della Corte procedere a tale verifica, considerato peraltro che non dispone di sufficienti elementi al riguardo (35). Spetta pertanto al giudice nazionale accertare se detti periodici effettivamente costituiscano, in ragione dei giochi a premi in essi contenuti, un incitamento all'acquisto tale da orientare la scelta dei consumatori (36); nonché, e comunque, se siano in concorrenza con quelli prodotti da piccole imprese nazionali ovvero con analoghi periodici di "distrazione" offerti da grandi gruppi editoriali. In quest'ultimo caso, è certo che la misura in questione non potrà essere considerata necessaria ai fini del mantenimento del pluralismo della stampa austriaca.

    24 Aggiungo, per l'ipotesi in cui tale misura sia invece considerata necessaria alla realizzazione dell'esigenza in discorso, che essa è altresì proporzionata, data l'assenza di mezzi meno restrittivi per gli scambi, idonei a garantire lo stesso risultato. Al riguardo, ritengo infatti ininfluente la tesi, pure avanzata nel corso della procedura, secondo cui la misura sarebbe sproporzionata in quanto l'editore tedesco ben potrebbe prevedere che i giochi contenuti nel periodico di cui si tratta non sono diretti ai residenti austriaci ovvero, più in generale, a quegli Stati in cui sono vietati: e ciò attraverso una "avvertenza" in tal senso apposta sullo stesso periodico, dunque senza oneri supplementari o necessità di una produzione differenziata in funzione dello Stato in cui la rivista è destinata ad essere commercializzata.

    Invero, la soluzione così proposta, che ben potrebbe costituire una scelta dell'operatore interessato o meglio un'eventuale sua reazione, al fine di continuare a commercializzare la rivista «Laura» sul territorio austriaco, ad una decisione della Corte che confermasse la legittimità della misura in questione rispetto alla circolazione delle merci, non investe la proporzionalità della misura stessa. Quest'ultima, è appena il caso di rilevarlo, vieta la commercializzazione di periodici contenenti giochi a premi precisamente perché offrono la possibilità di vincere un premio e non perché contengono dei giochi. Insomma, ove la rivista «Laura» non offrisse tale possibilità anche ai residenti austriaci, la Corte non sarebbe stata chiamata a pronunciarsi sul divieto in questione.

    25 Un'ultima osservazione. Nel corso della procedura, è stata a più riprese evocata la circostanza che gli stessi periodici austriaci in fatto offrono la possibilità di vincere premi (37). Secondo quanto sostenuto dalla Commissione, un tale stato di cose sarebbe da collegare alla giurisprudenza della Corte suprema austriaca, in base alla quale il divieto in questione sarebbe applicabile solo nell'ipotesi in cui la possibilità di partecipare ad un gioco a premi costituisca un incitamento all'acquisto, una attrazione irresistibile per il consumatore (38).

    Considerato che, a mio avviso, è comunque necessario che il giudice nazionale verifichi, al fine di decidere sulla necessità della misura in questione, se effettivamente la presenza di giochi a premi costituisca un incitamento all'acquisto, non ritengo di dover aggiungere altro in proposito. Nondimeno, è qui doveroso sottolineare che l'applicazione dell'art. 9 bis dell'UWG non può che essere la stessa sia rispetto ai periodici nazionali che a quelli importati. Ove così non fosse, infatti, la misura in questione, o meglio la sua applicazione nella prassi, sarebbe discriminatoria e pertanto non potrebbe in alcun caso essere giustificata attraverso l'invocata esigenza di garantire il pluralismo della stampa.

    In altri termini, se il giudice nazionale dovesse accertare che in fatto i periodici austriaci possono liberamente e legittimamente offrire al pubblico ciò che è precluso ai periodici di altri Stati membri, il problema sarebbe già risolto, in quanto si tratterebbe di un ostacolo discriminatorio agli scambi e come tale non giustificabile né in base alle esigenze imperative di cui alla giurisprudenza "Cassis de Dijon"; né in base all'art. 36 del Trattato, non ricorrendone le condizioni ivi tassativamente indicate.

    Sull'art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo

    26 Sebbene non sia oggetto di uno specifico quesito del giudice a quo, ritengo che il problema della compatibilità della normativa nazionale in discussione rispetto all'art. 10 della Convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (nel prosieguo: la «convenzione»), evocato nel corso della procedura, meriti una risposta da parte della Corte. E ciò, beninteso, nell'ipotesi in cui quest'ultima pervenga alla conclusione che la normativa in questione possa essere giustificata sulla base delle esigenze imperative appena esaminate.

    La giurisprudenza in materia ha infatti chiarito in modo inequivocabile che il controllo della Corte comunitaria, oltre che gli atti adottati dalle istituzioni comunitarie nell'esercizio delle loro funzioni e gli atti adottati dagli Stati membri per dare attuazione ad un atto comunitario e/o eventuali comportamenti dell'esecutivo nazionale di altro tipo, concerne anche le giustificazioni addotte da uno Stato membro rispetto ad una misura nazionale altrimenti incompatibile con il diritto comunitario (39). La circostanza che il rispetto dei diritti fondamentali deve necessariamente figurare tra le condizioni che lo Stato membro invoca per giustificare la misura nazionale di cui trattasi si spiega peraltro agevolmente: se così non fosse, infatti, potrebbe aversi una violazione di tali diritti autorizzata, con l'avallo della Corte, dal diritto comunitario.

    27 Orbene, la Corte ha già riconosciuto, come motivo di interesse generale degno di tutela, il mantenimento del pluralismo nel settore delle comunicazioni audiovisive: e ciò precisamente in quanto si tratta di un valore connesso alla libertà di espressione di cui all'art. 10 della convenzione (40). A prima vista potrebbe pertanto apparire fin troppo ovvia la compatibilità della giustificazione addotta rispetto all'art. 10 della convenzione (41).

    Vero è che rispetto al caso che ci occupa vengono in rilievo due diritti ugualmente tutelati dalla stessa norma: da un lato, la libertà di stampa da riconoscersi in via di principio a ciascun operatore del settore, nonché, altra e rilevantissima faccia della stessa medaglia, la libertà del pubblico di ricevere ogni sorta di informazioni e di idee; dall'altro, il mantenimento del pluralismo della stampa in una società democratica. In tali condizioni, il rispetto dell'art. 10 della convenzione esige che siano conciliati, nei limiti del possibile, due interessi altrettanto fondamentali quali la libertà di stampa e la salvaguardia del pluralismo, che, è fin troppo evidente, potrebbe essere minacciato da una concentrazione eccessiva dei mezzi d'informazione in poche mani (42).

    28 Ciò premesso, comincio col ricordare che la libertà di stampa può essere compressa solo in nome di un «bisogno sociale imperioso» (43), bisogno riconducibile a uno di quelli tassativamente indicati nello stesso art. 10, n. 2, della convenzione (44). Aggiungo che la stessa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo è fin troppo chiara nel senso che anche il "messaggio commerciale" o, se si preferisce, l'uso commerciale della libertà di espressione è garantito dall'art. 10 (45). In tale ipotesi, tuttavia, la stessa Corte procede ad un test di proporzionalità meno rigoroso, ritenendo che gli Stati godano in materia di un più ampio margine di apprezzamento (46).

    Quanto, poi, alla salvaguardia del pluralismo di informazione, la stessa Corte di Strasburgo ha riconosciuto che, sebbene una tale esigenza non sia espressamente prevista dall'art. 10, n. 2, della convenzione, come deroga alla libertà di espressione, si tratta invero di un obiettivo legittimo in sé, tale dunque da consentire un'ingerenza dello Stato, sempreché prevista dalla legge e necessaria in una società democratica (47). In altre parole, l'esigenza del pluralismo d'informazione consente talune limitazioni alla libertà individuale di espressione e di informazione, a condizione tuttavia che siano necessarie e proporzionate al fine perseguito.

    29 Tutto ciò premesso, in particolare la valenza riconosciuta dalla Corte di Strasburgo ai due valori qui in discussione, sono indotto a ritenere che il divieto di commercializzare periodici contenenti giochi a premi non si ponga in contrasto con l'obbligo di garantire la libertà di espressione, e sia dunque conforme all'art. 10 della convenzione, ma solo nei limiti in cui sia effettivamente necessario e proporzionato al conseguimento della salvaguardia del pluralismo della stampa. Tali limiti, non posso che ribadirlo, sono quelli restrittivi da me tracciati nell'esaminare l'idoneità e la proporzionalità della misura in questione rispetto all'esigenza imperativa in parola (48).

    Conclusione

    30 Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere come segue al quesito posto dallo Handelsgericht di Vienna:

    «L'art. 30 del Trattato CE va interpretato nel senso che non osta all'applicazione di una normativa nazionale che impedisce l'importazione di periodici legalmente prodotti e commercializzati in un altro Stato membro per il fatto di contenere indovinelli e/o giochi a premi, a condizione che tale normativa sia necessaria e proporzionata rispetto al soddisfacimento di esigenze imperative, nella specie la salvaguardia del pluralismo della stampa. A tal fine, spetta al giudice nazionale verificare, alla luce dei dati relativi al mercato nazionale della stampa, se un periodico avente tali caratteristiche sia in concorrenza con analoghi periodici di distrazione editi da grandi gruppi editoriali ovvero con quelli prodotti da piccoli editori; e se, nella seconda ipotesi, si risolva in un incitamento all'acquisto a detrimento di questi ultimi».

    (1) - Si tratta della legge n. 1992/147 sulla «deregolamentazione della concorrenza».

    (2) - L'art. 9 bis, quale inserito nell'UWG con la già citata legge n. 1992/147, è stato infatti modificato un anno dopo, con legge n. 1993/227, precisamente nel senso di escludere ogni possibilità di concedere premi senza contropartita ovvero di effettuare concorsi e/o giochi a premi collegati alla vendita di periodici.

    (3) - Più precisamente, il primo comma dell'art. 9 bis non è applicabile quando il premio consiste «nella possibilità di partecipare ad un concorso (lotteria) nel quale il valore di ogni possibilità di partecipazione derivante dalla somma totale dei premi messi in gioco rispetto al numero dei buoni di partecipazione distribuiti non superi i 5 scellini ed il valore totale dei premi messi in gioco non superi i 300 000 scellini». La possibilità di giochi e/o concorsi a premi è dunque ammessa, nei limiti appena ricordati, sia relativamente alla vendita di servizi che alla vendita di prodotti che non siano periodici.

    (4) - Si tratta del n. 9 del 22 febbraio 1995. In modo del tutto analogo, sia per quanto riguarda il tipo di giochi che i premi messi in palio, si presentano anche i successivi numeri della stessa rivista.

    (5) - Conformemente all'art. 1 della legge tedesca sulla concorrenza sleale, la vendita di periodici contenenti premi è infatti vietata solo se, in un caso concreto, essi siano per particolari motivi contrari al buon costume. Per contro, tali giochi a premi sono ammessi qualora, come nel caso che ci occupa, costituiscano parte integrante della rubrica ricreativa della pubblicazione.

    (6) - Sentenza 11 luglio 1974, causa 8/74, Dassonville (Racc. pag. 837, punto 5).

    (7) - Sentenza 24 novembre 1993, cause riunite C-267/91 e C-268/91, Keck e Mithouard (Racc. pag. I-6097). Nello stesso senso v., da ultimo, sentenza 20 giugno 1996, cause riunite C-418/93, C-419/93, C-420/93, C-421/93, C-460/93, C-461/93, C-462/93, C-464/93, C-9/94, C-10/94, C-11/94, C-14/94, C-15/94, C-23/94, C-24/94 e C-332/94, Casa Uno e a. (Racc. pag. I-2975).

    (8) - Sentenza 20 febbraio 1979, causa 120/78, Rewe-Zentral (Racc. pag. 649).

    (9) - Sentenza Keck (citata alla nota 7), punto 16; il corsivo è mio.

    (10) - Sentenza 6 luglio 1995, causa C-470/93, Mars (Racc. pag. I-1923, punto 13).

    (11) - Nelle mie conclusioni relative al caso Hünermund rilevavo peraltro che possono meritare un apprezzamento specifico, tra le misure concernenti le modalità di vendita, quelle concernenti i metodi di vendita o di promozione delle vendite, in quanto tali da poter incidere, in presenza di determinate condizioni, in modo più caratterizzato e specifico sulle importazioni e dunque, in definitiva, da poter costituire un ostacolo alla circolazione intracomunitaria dei prodotti (causa C-292/92, Racc. 1993, pag. I-6800, punti 16-18 e, in particolare, punto 22).

    (12) - Il riferimento è ai requisiti prescritti, affinché una normativa nazionale sulle modalità di vendita esuli dal campo di applicazione dell'art. 30, al già ricordato punto 16 della stessa sentenza Keck (v. supra, punto 8).

    (13) - Sentenza Keck (citata alla nota 7), punto 17; il corsivo è mio.

    (14) - Sentenza 10 maggio 1995, causa C-384/93 (Racc. pag. I-1141, punto 38). Nella stessa ottica va letta la sentenza 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman (Racc. pag. I-4921, punti 92-104). In tale sentenza, lo ricordo, la Corte ha considerato contrarie alla disciplina sulla libera circolazione delle persone normative, quali quelle sul trasferimento da una federazione all'altra, che «condizionano direttamente l'accesso dei calciatori al mercato del lavoro negli altri Stati membri» (punto 103).

    (15) - Sentenza 11 agosto 1995, causa C-63/94, Belgapom (Racc. pag. I-2467, punti 12 e 15).

    (16) - Sentenza 2 giugno 1994, cause riunite C-69/93 e C-258/93, Punto Casa e PPV (Racc. pag. I-2355, punti 12 e 15); nonché sentenza 20 giugno 1996 (citata alla nota 7), punti 12 e 13.

    (17) - Sentenza 2 giugno 1994, cause riunite C-401/92 e C-402/92, Tankstation (Racc. pag. I-2199, punti 12, 15 e 18).

    (18) - Sentenza 29 giugno 1995, causa C-391/92, Commissione/Grecia (Racc. pag. I-1621, punti 13-18).

    (19) - Sentenza 14 dicembre 1995, causa C-387/93, Banchero (Racc. pag. I-4663, punti 36 e 37).

    (20) - Sentenza 15 dicembre 1993, causa C-292/92, Hünermund (Racc. pag. I-6787, punti 20-23).

    (21) - Sentenza 9 febbraio 1995, causa C-412/93, Leclerc-Siplec (Racc. pag. I-179, punti 21-24).

    (22) - Sentenza Casa Uno e a. (citata alla nota 7), punto 24. Nello stesso senso v. sentenza Keck (citata alla nota 7), punto 13.

    (23) - V., in particolare, sentenza Cassis de Dijon (citata alla nota 8), punto 8; nonché, da ultimo, sentenza 26 novembre 1996, causa C-313/94, F.lli Graffione (Racc. pag. I-6039, punto 17).

    (24) - Ricordo peraltro che la stessa corte costituzionale austriaca ha considerato l'art. 9 bis dell' UWG conforme alla Costituzione precisamente sulla base del rilievo che il divieto da esso è imposto è necessario ai fini del mantenimento del pluralismo della stampa (sentenza 11 marzo 1994, ÖBl 1994, pag. 151).

    (25) - Sentenza 24 marzo 1994, causa C-275/92 (Racc. pag. I-1039).

    (26) - La Corte ha inoltre aggiunto che «non è privo d'interesse il rilievo, pur non potendo essere considerato di per sé una giustificazione oggettiva, che le lotterie possono essere un mezzo di finanziamento rilevante per attività di beneficenza o di interesse generale come le opere sociali, le opere caritatevoli, lo sport o la cultura» (punto 60; il corsivo è mio).

    (27) - Diverso sarebbe solo ove il periodico fosse costruito sulla lotteria, fosse cioè un pretesto per organizzare una lotteria su grande scala e di grandi dimensioni, in particolare rispetto all'importanza delle somme in gioco. All'evidenza, non è questo il caso.

    (28) - Anche a voler considerare che il gioco rappresenti, come sostenuto dal grande filosofo Benedetto Croce, «una tassa sugli sciocchi», non mi pare che l'indubbia utilità per lo Stato di una tale «tassa» possa giustificare che la si combatta quando a beneficiare dei proventi non sia lo Stato di appartenenza del giocatore, ma un altro Stato ovvero, come nella specie, un altro soggetto.

    (29) - Sentenza Schindler (citata alla nota 25), punto 61.

    (30) - Sentenza 15 dicembre 1982, causa 286/81 (Racc. pag. 4575, punto 18).

    (31) - V. supra, punto 2, in particolare nota 3.

    (32) - E' questa, ad esempio, l'espressione utilizzata nella sentenza Mars (citata alla nota 10), punto 24. In tale ottica, non ritengo pertanto che meriti particolari commenti la tesi del governo portoghese secondo cui il consumatore potrebbe essere indotto ad acquistare centinaia di esemplari della stessa rivista al fine di aumentare le sue probabilità di essere il fortunato sorteggiato. Una persona che compri centinaia di esemplari di una stessa rivista e risolva centinaia di volte lo stesso cruciverba ha bisogno, mi sia consentito, di ben altro tipo di protezione. A tacer d'altro, poi, la stessa persona ben potrebbe comprare centinaia di biglietti di una stessa lotteria ovvero, e quotidianamente, più tagliandi di "gratta e vinci" o giochi analoghi, che, tuttavia, non risultano affatto proibiti.

    (33) - V., ad esempio, sentenza 25 luglio 1991, causa C-353/89, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. I-4069), in cui la Corte ha affermato che «la preservazione del pluralismo (...) è infatti connessa alla libertà d'espressione, tutelata dall'art. 10 della convenzione sulla salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e fa parte dei diritti fondamentali dell'ordinamento giuridico comunitario» (punto 30). Nello stesso senso v. già sentenza 14 maggio 1974, causa 4/73, Nold (Racc. pag. 491, punto 13).

    (34) - Al riguardo, rilevo che se è ben vero, come sostenuto dalla Commissione, che non è possibile operare una distinzione tra giornali d'opinione e giornali di distrazione e che il pluralismo non deve essere salvaguardato solo in relazione ai primi, è altrettanto vero che un settimanale come «Laura» non può, in via di principio, che essere in competizione con periodici dello stesso tipo, non certo con la stampa locale, con i giornali d'opinione ovvero con quelli sportivi.

    (35) - Invero, il governo austriaco si è limitato, nel corso dell'udienza, ad affermare che in Austria vi è un problema di concentrazione della stampa in capo a pochi operatori e che agli inizi degli anni novanta il maggiore gruppo editoriale austriaco aveva una quota di mercato pari al 50%, quota poi scesa al 40%. Non è tuttavia chiaro se tale diminuzione sia dovuta ad un aumento della quota delle piccole imprese nazionali o invece, e precisamente, alla presenza di periodici provenienti da altri Stati membri.

    (36) - Si tratta dunque di stabilire se la presenza di giochi a premi costituisca l'elemento decisivo ai fini dell'acquisto di un determinato periodico, indipendentemente dalle caratteristiche dello stesso, nella specie di rivista di "distrazione". In altre parole, il consumatore che sceglie di acquistare un settimanale quale «Laura» acquisterebbe indifferentemente, purché offra la possibilità di vincere un premio, anche un giornale sportivo, di attualità, letterario o scientifico? O invece acquisterebbe comunque un giornale di "distrazione", scegliendo tra questi in funzione delle sue preferenze, che possono essere influenzate, certo, dalla presenza di giochi a premi, ma anche da una copertina particolarmente stimolante o da altro ancora.

    (37) - Ad esempio, la rivista «Täglich Alles», edita dalla ricorrente, offre la possibilità di vincere dei compact disc a chi indovina il titolo di un film (v. numero del 25 gennaio 1996). La rivista «News», a sua volta, pubblicizza la possibilità di partecipare ad estrazioni a sorte che consentono di vincere, compilando e inviando una scheda di partecipazione in essa contenuta, un'auto Nissan (v., ad esempio, n. 1 del 4 gennaio 1996).

    (38) - V., ad esempio, le sentenze dell'Oberster Gerichtshof (OGH): 9 maggio 1995, sui "voli gratuiti" (WBl. 1995, p. 466); e 22 marzo 1994, sulla "giornata gratuita" (Öbl. 1994, pag. 166).

    (39) - V., al riguardo, sentenza 18 giugno 1991, causa C-260/89, ERT (Racc. pag. I-2925). In tale sentenza, la Corte ha infatti precisato che, «quando uno Stato membro invoca il combinato disposto degli articoli 56 e 66 per giustificare una normativa idonea a frapporre ostacolo all'esercizio della libera prestazione dei servizi, questa giustificazione, prevista dal diritto comunitario, deve essere interpretata alla luce dei principi generali del diritto e, in particolare, dei diritti fondamentali. In tal modo, la normativa nazionale considerata potrà fruire delle eccezioni previste dal combinato disposto degli articoli 56 e 66 solo se è conforme ai diritti fondamentali di cui la Corte garantisce il rispetto» (punto 43). La Corte ha pertanto deciso che «in un siffatto caso, è compito del giudice nazionale e, eventualmente, della Corte valutare l'applicazione di dette disposizioni, con riguardo a tutte le norme di diritto comunitario, ivi compresa la libertà di espressione sancita dall'art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in quanto principio generale del diritto di cui la Corte garantisce il rispetto» (punto 44). Le stesse considerazioni valgono, all'evidenza, anche rispetto ad esigenze addotte per giustificare misure nazionali che ostacolino gli scambi di merci.

    (40) - V. supra, nota 33.

    (41) - In questo senso v., peraltro, la già ricordata sentenza della corte costituzionale austriaca (citata alla nota 24), in cui è sottolineato che i mezzi di informazione sono non solo una merce ma anche un elemento essenziale della formazione dell'opinione. Un legislatore che si sforza, con misure che vietano determinate forme di pubblicità, di garantire la sopravvivenza delle piccole imprese editoriali, oltre che della costituzione austriaca, garantisce anche il rispetto dell'art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

    (42) - In tal senso v. il rapporto della Commissione europea dei diritti dell'uomo nella causa De Geïrllustreerde Pers NV c. Paesi Bassi, DR 8, pag. 5.

    (43) - V. sentenze Sunday Times I (26 aprile 1979, A n. 30); Barthold c. RFA (25 marzo 1985, A n. 90); Lingens c. Austria (8 luglio 1986, A n. 103).

    (44) - Tale norma, è appena il caso di ricordarlo, prevede infatti che l'esercizio delle libertà da essa garantite «può essere soggetto a formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni previste dalla legge, che costituiscono delle misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all'integrità territoriale o alla sicurezza pubblica, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione del crimine, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni confidenziali o per garantire l'autorità e l'imparzialità del potere giudiziario».

    (45) - In tal senso v., ad esempio, Groppera Radio AG c. Svizzera, sentenza 28 marzo 1990, A n. 173. A fronte delle argomentazioni del governo convenuto, il quale avanzava dubbi sulla possibilità di invocare l'art. 10 rispetto a programmi essenzialmente di musica leggera e messaggi pubblicitari, la Corte di Strasburgo ha infatti precisato che l'art. 10, n. 1, è applicabile senza che «occorra distinguere secondo il contenuto dei programmi» (v., in particolare, parr. 54 e 55). Nello stesso senso v. anche Markt Int. Verlag e Klaus Beermann c. RFA, sentenza 20 novembre 1989, A n. 165, in cui la Corte non ha accolto il principio secondo cui il campo di applicazione dell'art. 10 sarebbe limitato a dichiarazioni di carattere artistico, religioso, scientifico, politico e politico-economico e non anche a «dichiarazioni o attitudini commerciali volte a promuovere degli interessi economici».

    (46) - V. sentenza Markt Int. Verlag e Klaus Beermann c. RFA, citata alla nota precedente.

    (47) - V., in tal senso, Informationsverein Lentia e a. c. Austria, sentenza 24 novembre 1993, A n. 276. In tale sentenza, la Corte ha infatti affermato che il pluralismo d'informazione costituisce un valore essenziale in una società democratica e che pertanto può condurre ad una limitazione della libertà di espressione. La stessa Corte non ha tuttavia accolto la tesi del governo convenuto secondo cui il monopolio della televisione fosse un mezzo adeguato e necessario per assicurare il pluralismo, in particolare la qualità e l'equilibrio dei programmi e delle opinioni. Al contrario, essa ha rilevato che il pluralismo d'informazione è normalmente garantito dalla concorrenza e che comunque non era ammissibile un monopolio così rigido come quello in questione nella specie.

    (48) - V. supra, punti da 21 a 25.

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