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Document 61994CC0120

Conclusioni dell'avvocato generale Jacobs del 6 aprile 1995.
Commissione delle Comunità europee contro Repubblica ellenica.
Cancellazione dal ruolo.
Causa C-120/94.

Raccolta della Giurisprudenza 1996 I-01513

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1995:109

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

F.G. JACOBS

presentate il 6 aprile 1995 ( *1 )

1. 

Il 22 aprile 1994, la Commissione proponeva dinanzi alla Corte di giustizia un ricorso diretto a far dichiarare, ai sensi dell'art. 225, secondo comma, del Trattato CE, che la Repubblica ellenica aveva fatto un uso illegittimo dei poteri previsti dall'art. 224 del Trattato per giustificare i provvedimenti unilaterali adottati il 16 febbraio 1994 e volti a vietare il commercio, in particolare, attraverso il porto di Salonicco, di prodotti originari, provenienti o diretti verso l'ex Repubblica iugoslava di Macedonia, nonché l'importazione in Grecia di prodotti originari o provenienti dalla suddetta Repubblica e che, conseguentemente, era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell'art. 113 del Trattato nonché del regime applicabile alle esportazioni stabilito dal regolamento (CEE) del Consiglio 20 dicembre 1969 ( 1 ), n. 2603, del regime applicabile alle importazioni stabilito dal regolamento (CEE) del Consiglio 5 febbraio 1982 ( 2 ), n. 288, del regime applicabile alle importazioni nella Comunità di prodotti originari della Repubblica di Bosnia-Erzegovina, della Repubblica di Croazia, della Repubblica di Slovenia e dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia, stabilito dal regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1993 ( 3 ), n. 3698, e del regime di transito comunitario stabilito dal regolamento (CEE) del Consiglio 17 settembre 1990 ( 4 ), n. 2726.

I principali fatti

2.

Nel corso del 1991, la Repubblica federativa socialista di Iugoslavia incominciava a scindersi in cinque parti. Il 25 giugno 1991, la Slovenia e la Croazia dichiaravano la propria indipendenza. Il 17 settembre successivo, l'ex Repubblica iugoslava di Macedonia (in prosieguo: l'«ERIM») compiva uguale passo. Successivamente, il 16 ottobre 1991, la Bosnia-Erzegovina procedeva alla dichiarazione di sovranità. Unicamente la Serbia con il Montenegro ed il Kosovo continuavano a formare una sola unità. Prima in Croazia, poi in Bosnia Erzegovina scoppiava la guerra civile, che perdura ancor oggi.

3.

Nella specie, rilevano gli artt. 3 e 49 della Costituzione dell'ERIM; nel loro testo iniziale, prima di essere emendate, dette disposizioni così recitavano:

«Articolo 3

II territorio della Repubblica di Macedonia è indivisibile ed inalienabile.

Le frontiere esistenti della Repubblica di Macedonia sono inviolabili.

Esse possono essere modificate unicamente in base alla Costituzione».

«Articolo 49

La Repubblica vigila sulla situazione e sui diritti dei cittadini dei paesi limitrofi di origine macedone e degli espatriati macedoni, promuove il loro sviluppo culturale e promuove le relazioni con gli stessi.

La Repubblica vigila sui diritti culturali, economici e sociali dei cittadini della Repubblica all'estero».

4.

Il 17 novembre 1991, gli artt. 3 e 49 della Costituzione dell'ERIM venivano emendati nei termini seguenti:

«Emendamento I

1.

La Repubblica di Macedonia non fa valere pretese territoriali nei confronti dei paesi limitrofi.

2.

Le frontiere della Repubblica di Macedonia possono essere modificate solamente in base alla Costituzione, secondo il principio del consenso e conformemente alle norme internazionali generalmente riconosciute.

3.

Il punto 1 del presente emendamento integra l'art. 3, mentre il punto 2 sostituisce il terzo comma dell'art. 3 della Costituzione della Repubblica di Macedonia».

«Emendamento II

1.

La Repubblica non si ingerirà nei diritti sovrani di altri Stati né nei loro affari interni.

2.

Il presente emendamento integra il primo comma dell'art. 49 della Costituzione della Repubblica di Macedonia».

5.

La Grecia si è lamentata per talune azioni poste in essere dall'ERIM dopo l'acquisizione dell'indipendenza da parte di tale Repubblica. Essa ritiene che l'ERIM abbia promosso l'idea di una Macedonia unita, che ricomprenda taluni territori appartenenti alla Grecia stessa, fra cui la città di Salonicco. La Grecia si oppone all'utilizzazione da parte dell'ERIM di taluni simboli macedoni e del nome «Macedonia», che essa ritiene far parte del proprio patrimonio culturale.

6.

Il 16 dicembre 1991, il Consiglio delle Comunità europee emanava, nel corso di una riunione ministeriale straordinaria di cooperazione politica europea, due dichiarazioni, una relativa alla Iugoslavia e l'altra relativa alle «linee direttive riguardanti il riconoscimento di nuovi Stati nell'Europa orientale e nell'Unione sovietica». Nella prima dichiarazione si leggeva:

«La Comunità ed i suoi Stati membri esigono inoltre che ogni Repubblica sorta dall'ex Iugoslavia si impegni, prima del suo riconoscimento, a fornire garanzie costituzionali e politiche che escludano qualsiasi rivendicazione territoriale nei confronti di paesi limitrofi membri della Comunità ed a non condurre attività di propaganda ostile contro un paese limitrofo membro della Comunità, ivi compresa l'utilizzazione di una denominazione che implichi rivendicazioni territoriali».

7.

Nel settembre del 1991 veniva creata, nell'ambito della Conferenza sulla Iugoslavia, la Commissione arbitrale della Conferenza per la pace in Iugoslavia, composta da cinque arbitri, presidenti di corti costituzionali (o di istituzioni equivalenti) di Stati membri, e presieduta dal signor Robert Badinter, presidente del Conseil constitutionnel francese.

8.

L'11 gennaio 1992, la commissione arbitrale della Conferenza per la pace in Iugoslavia emanava il parere n. 6 «sul riconoscimento della Repubblica socialista di Macedonia da parte delle Comunità europee e dei suoi Stati membri», nelle cui conclusioni si afferma quanto segue:

«La Repubblica di Macedonia soddisfa le condizioni poste dalle linee direttrici relative al riconoscimento dei nuovi Stati nell'Europa dell'Est e nell'Unione sovietica nonché dalla Dichiarazione sulla Iugoslavia emanata dal Consiglio dei Ministri delle Comunità europee il 16 dicembre 1991;

(...) inoltre, la Repubblica di Macedonia ha rinunciato a qualsiasi rivendicazione territoriale di qualunque genere, mediante dichiarazioni univoche e aventi forza cogente nel diritto internazionale;

(...) conseguentemente, l'utilizzazione del nome “Macedonia” non può implicare alcuna rivendicazione territoriale nei confronti di un altro Stato;

(...) d'altro canto, la Repubblica di Macedonia si è formalmente impegnata, secondo il diritto internazionale, a non procedere in generale, né in particolare ai sensi dell'art. 49 della propria Costituzione, ad alcuna propaganda ostile nei confronti di un altro Stato: ciò emerge da una dichiarazione dell'11 gennaio 1992 indirizzata dal ministro degli Affari esteri della Repubblica di Macedonia alla Commissione arbitrale, su richiesta della medesima, ai fini dell'interpretazione dell'emendamento II della Costituzione del 6 gennaio 1992».

9.

Il 15 gennaio 1992, annunciando che la Slovenia e la Croazia sarebbero state riconosciute, la presidenza del Consiglio procedeva alla seguente dichiarazione ufficiale:

«Per quanto concerne le altre due repubbliche che hanno espresso il desiderio di acquisire l'indipendenza (Bosnia-Erzegovina ed ERIM), sussistono ancora problemi importanti da risolvere prima che la Comunità e i suoi Stati membri possano procedere ad una decisione di tal genere».

10.

Il 2 maggio 1992, il Consiglio delle Comunità europee rendeva pubblica la decisione secondo cui la Comunità e gli Stati membri erano disposti a riconoscere l'ERIM «quale Stato sovrano ed indipendente, compreso nelle proprie attuali frontiere, e con un nome che possa essere accettato da tutte le parti interessate».

11.

Il 27 giugno 1992, il Consiglio europeo di Lisbona dichiarava che la Comunità era disposta a riconoscere l'ERIM nelle frontiere esistenti, con un nome che non comportasse il termine «Macedonia».

12.

La presidenza del Consiglio inviava inoltre un «rappresentante speciale della presidenza» a Skopje, capitale dell'ERIM, e ad Atene al fine di individuare le basi di un accordo tra le due capitali, sul quale si potesse fondare il riconoscimento da parte delle Comunità e che fosse conforme alla dichiarazione di Lisbona del 27 giugno 1992.

13.

Nell'agosto del 1992, il parlamento dell'ERIM adottava quale emblema della bandiera nazionale il «sole di Vergina», un motivo solare a sei braccia che ornava il sarcofago in oro contenente le spoglie di Filippo II, scoperto nel 1977 sul sito di Ege, antica capitale macedone, attualmente Vergina nella Macedonia greca. La Grecia considera tale simbolo purissimamente greco e chiedeva pertanto all'ERIM di non utilizzarlo sulla sua bandiera, reiterando le proprie richieste affinché l'ERIM rinunciasse alle rivendicazioni territoriali nei confronti della Grecia e ponesse termine a qualsiasi propaganda ostile.

14.

Il rappresentante speciale della presidenza presentava la propria relazione al Consiglio europeo riunito a Edimburgo l'11 e 12 dicembre 1992. Egli faceva presente l'impegno assunto dall'ERIM di adottare il nome di «Repubblica di Macedonia (Skopje)» per tutte le esigenze internazionali, di concludere un trattato con la Grecia che confermasse l'inviolabilità delle frontiere comuni, di emendare l'art. 49 della Costituzione per sopprimere qualsiasi riferimento all'intenzione di tutelare lo «status» e i «diritti dei cittadini di origine macedone dei paesi limitrofi» nonché di concludere con la Grecia un trattato di buon vicinato.

15.

Nel Consiglio europeo riunito a Edimburgo non si riusciva a trovare alcun accordo.

16.

Il 7 aprile 1993 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite raccomandava all'Assemblea generale, con la risoluzione n. 817, di ammettere nell'Organizzazione delle Nazioni unite l'ERIM con il nome di «ex Repubblica iugoslava di Macedonia», «nell'attesa della composizione delle divergenze sorte con riguardo al suo nome». I coprésident! del comitato direttivo della Conferenza internazionale sull'ex Iugoslavia, Vance e Lord Owen, tentavano una mediazione, che culminava nella redazione di un progetto preliminare di trattato sulla «conferma delle frontiere esistenti e adozione di misure dirette a creare un clima di fiducia, di amicizia e di buon vicinato». Nessuna delle parti sottoscriveva tale progetto.

17.

Sei Stati membri dell'Unione europea riconoscevano l'ERIM nel dicembre del 1993, stabilendo relazioni diplomatiche. Gli Stati Uniti procedevano al riconoscimento dell'ERIM l'8 febbraio 1994.

18.

Il 16 febbraio 1994, il governo ellenico emanava i provvedimenti oggetto del presente procedimento, applicandoli a tutte le merci, ad esclusione di quelle assolutamente necessarie per ragioni umanitarie, quali le derrate alimentari ed i prodotti farmaceutici, e chiudeva il proprio consolato a Skopje.

19.

Il governo ellenico informava dei provvedimenti adottati il Consiglio e gli altri Stati membri. Il 21 febbraio 1994, la presidenza del Consiglio metteva gli Stati membri formalmente al corrente della natura di questi provvedimenti e dei motivi addotti a loro giustificazione. Il 23 febbraio successivo il rappresentante permanente della Repubblica ellenica inviava al segretario generale della Commissione ima lettera in cui venivano spiegati i provvedimenti di cui trattasi. Il presidente della Commissione aveva già inviato il giorno precedente al governo ellenico una lettera con cui lo invitava a giustificare i provvedimenti con riguardo ai Trattati ed esprimeva le serie preoccupazioni della Commissione circa la compatibilità di tali provvedimenti con il diritto comunitario.

20.

Il Primo ministro greco rispondeva il 25 febbraio 1994 facendo presente il contesto nel quale si collocavano i detti provvedimenti e dichiarando che la loro emanazione era stata resa inevitabile dall'intransigenza dell'ERIM e dalla minaccia che ne derivava per la Grecia. Il 26 febbraio 1994, il governo ellenico indirizzava alla Commissione un memorandum diretto ad illustrare la fondatezza, con riguardo sia al diritto internazionale sia al diritto comunitario, dei provvedimenti adottati il 16 febbraio 1994. Nel memorandum si sottolineava che le modalità con cui erano state imposte sanzioni alla Rhodesia del Sud, all'Africa del Sud e all'Argentina costituivano un elemento che avvalorava la tesi secondo cui la competenza in materia spetta agli Stati membri e non alla Comunità. Veniva richiamata al riguardo la sentenza della Corte 26 maggio 1987, Commissione/Consiglio ( 5 ), da cui il governo ellenico deduceva che la fattispecie esulava dalla sfera di applicazione dell'art. 113 del Trattato CE, benché i provvedimenti producessero ripercussioni sugli scambi commerciali. Il governo ellenico si richiamava infine all'art. 224 del Trattato osservando che tale articolo detta una clausola di salvaguardia di carattere generale, la quale consente agli Stati membri di adottare provvedimenti unilaterali qualora, come nella specie, sussista una «grave tensione internazionale che costituisca una minaccia di guerra». Il governo ellenico sottolineava che tale articolo prevede unicamente consultazioni al fine di risolvere problemi relativi al funzionamento del mercato comune e non riguarda invece le conseguenze che i provvedimenti adottati potrebbero avere per un paese terzo.

21.

Con lettera 3 marzo 1994 inviata al ministro degli Affari esteri greco la Commissione reiterava le proprie riserve. Essa insisteva sull'argomento secondo cui i provvedimenti in questione violavano il regime comune applicabile alle importazioni nella Comunità di prodotti originari di paesi terzi, il regime di esportazione verso i paesi terzi ed il regime del transito comunitario. La Commissione menzionava inoltre il pregiudizio arrecato ai legittimi interessi di numerosi esportatori stabiliti nella Comunità i cui autocarri e le cui merci erano stati bloccati in Grecia, nonché il controllo sistematico di una serie di contenitori di generi alimentari comunitari spediti da organizzazioni non governative a seguito di decisioni adottate dal Consiglio europeo.

22.

Il segretario generale per gli Affari comunitari greco rispondeva con una lettera del 15 marzo 1994, in cui insisteva sulla posizione del governo ellenico, aggiungendo quanto segue:

«Qualora la Commissione fosse in grado di provare che i provvedimenti adottati dalle autorità elleniche falsano il gioco della concorrenza nell'ambito del mercato comune, il governo ellenico si dichiara disposto a studiare la possibilità di un adeguamento di tali misure alla norme del Trattato, come previsto dall'art. 225, primo comma».

23.

Il 21 marzo 1994, la Commissione informava per lettera il Primo ministro greco che, avendo la Grecia addotto considerazioni di ordine politico a giustificazione dei provvedimenti controversi, la questione sarebbe stata esaminata con urgenza dai ministri nell'ambito della politica estera e di sicurezza comune. Secondo la Commissione, soltanto tale presa di posizione dei ministri le avrebbe consentito di valutare l'applicazione dell'art. 224 del Trattato da parte della Grecia nonché le relative ripercussioni sul funzionamento del mercato comune.

24.

La questione veniva discussa il 27 marzo 1994 nella riunione informale del Consiglio svoltasi a Giannina. Secondo il governo greco, in tale riunione non si sarebbe giunti ad alcun accordo né si sarebbe presa alcuna decisione. La Commissione sostiene invece che, come risulterebbe dalle discussioni, la Grecia non riuscì a provare l'effettiva esistenza di una minaccia di guerra o di disordini interni gravi che turbassero l'ordine pubblico, quale era stata allegata dal suo governo.

25.

Il 22 aprile del 1994 la Commissione proponeva il ricorso oggetto del presente procedimento, chiedendo l'accoglimento da parte della Corte delle suesposte conclusioni. In pari data essa presentava inoltre domanda di provvedimenti provvisori affinché venisse ingiunto alle autorità greche di sospendere provvisoriamente i provvedimenti adottati. Tale domanda veniva respinta dalla Corte con ordinanza 29 giugno 1994 ( 6 ).

Le questioni di diritto

26.

La Commissione chiede che venga dichiarato che la Repubblica ellenica, imponendo un embargo sugli scambi commerciali con l'ERIM, ha fatto un uso illegittimo dei poteri previsti dall'art. 224 del Trattato ed è pertanto venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi dell'art. 113 del Trattato nonché dei regolamenti del Consiglio nn. 2603/69, 288/82, 3698/93 e 2726/90.

27.

L'art. 224 del Trattato così dispone:

«Gli Stati membri si consultano al fine di prendere di comune accordo le disposizioni necessarie ad evitare che il funzionamento del mercato comune abbia a risentire delle misure che uno Stato membro può essere indotto a prendere nell'eventualità di gravi agitazioni interne che turbino l'ordine pubblico, in caso di guerra o di grave tensione internazionale che costituisca una minaccia di guerra ovvero per far fronte agli impegni da esso assunti ai fini del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale».

28.

L'art. 225 del Trattato così recita:

«Quando delle misure adottate nei casi contemplati dagli articoli 223 e 224 abbiano per effetto di alterare le condizioni di concorrenza nel mercato comune, la Commissione esamina con lo Stato interessato le condizioni alle quali tali misure possono essere rese conformi alle norme sancite dal presente Trattato.

In deroga alla procedura di cui agli articoli 169 e 170, la Commissione o qualsiasi Stato membro può ricorrere direttamente alla Corte di giustizia, ove ritenga che un altro Stato membro faccia un uso abusivo dei poteri contemplati dagli articoli 223 e 224. La Corte di giustizia giudica a porte chiuse».

29.

Al fine di potersi pronunciare sulla fondatezza del ricorso, occorre esaminare una serie di punti.

30.

Occorre accertare, in primo luogo, se, in assenza della clausola di salvaguardia prevista dall'art. 224, i provvedimenti adottati dalla Repubblica ellenica si porrebbero in contrasto con il diritto comunitario ed in particolare con le disposizioni di diritto comunitario indicate nel ricorso.

31.

In secondo luogo, nel caso in cui i provvedimenti emanati dalla Repubblica ellenica dovessero essere considerati contrari alle dette disposizioni, occorrerà accertare se la Grecia potesse richiamarsi all'art. 224 al fine di giustificare i provvedimenti medesimi in quanto diretti a far fronte a «gravi agitazioni interne che turbino l'ordine pubblico» o ad una «tensione internazionale che costituisca una minaccia di guerra».

32.

In terzo luogo, laddove la Repubblica ellenica potesse richiamarsi all'art. 224, occorrerà accertare, ai sensi del secondo comma dell'art. 225, se essa abbia fatto un uso illegittimo dei poteri previsti dall'art. 224.

La questione se, in assenza della clausola di salvaguardia di cui all'art. 224 del Trattato, i provvedimenti emanati dalla Repubblica ellenica si porrebbero in contrasto con il diritto comunitario

33.

La Commissione osserva che la politica commerciale comune prevista dall'art. 113 rientra nella sfera di competenza esclusiva della Comunità. Essa si richiama al riguardo al parere 1/75 dell'I 1 novembre 1975 ( 7 ), alla sentenza 15 dicembre 1976, Donckerwolcke e Schou ( 8 ), nonché al parere 2/91 del 19 marzo 1993 ( 9 ). La Commissione deduce da tale giurisprudenza che la sussistenza di una competenza esclusiva della Comunità esclude qualsiasi competenza parallela degli Stati membri in materia di politica commerciale.

34.

Nell'ambito di tale competenza esclusiva, la Comunità ha istituito un regime comune applicabile alle importazioni dai paesi terzi. Alla data di presentazione dell'atto introduttivo del procedimento, tale regime era disciplinato dal regolamento (CE) del Consiglio 7 marzo 1994, n. 518 (riguardante i prodotti diversi da quelli tessili) ( 10 ), nonché dal regolamento (CE) del Consiglio 7 marzo 1994, n. 517 (per quanto riguarda i prodotti tessili) ( 11 ). Tali regolamenti hanno sostituito il regolamento n. 288/92 al quale si fa riferimento nel ricorso della Commissione ( 12 ). Il regolamento n. 518/94 è stato a sua volta sostituito dal regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1994 ( 13 ), n. 3285.

35.

Ai sensi dell'art. 1, n. 2, del regolamento n. 3285/94, l'importazione nella Comunità di prodotti originari dei paesi terzi è, in Unea di principio, libera e non soggetta ad alcuna restrizione quantitativa. Tuttavia, l'art. 24, n. 2, consente agli Stati membri di imporre divieti o restrizioni in presenza di presupposti analoghi a quelli stabiliti dall'art. 36 del Trattato per quanto riguarda il commercio tra gli Stati membri. Gli artt. 2, n. 1, e 26, n. 2, del regolamento n. 517/94 dettano disposizioni corrispondenti per quanto riguarda i prodotti tessili. Gli artt. 1, n. 2, e 21 del regolamento n. 288/82 nonché gli artt. 1, n. 2, e 18, n. 2, del regolamento n. 518/94 contengono disposizioni simili.

36.

Le importazioni di prodotti originari della Bosnia-Erzegovina, della Croazia, della Slovenia e dell'ERIM sono disciplinate dalle disposizioni particolari fissate dal regolamento n. 3698/93 ( 14 ). L'art. 1 di detto regolamento così dispone:

«Fatte salve le disposizioni specifiche degli articoli da 2 a 8, i prodotti diversi da quelli elencati all'allegato II del Trattato che istituisce la Comunità europea e all'allegato A del presente regolamento, originari delle Repubbliche di Bosnia-Erzegovina, Croazia, Slovenia e dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia, sono ammessi all'importazione nella Comunità senza restrizioni quantitative né misure di effetto equivalente e in esenzione dai dazi doganali e dalle tasse di effetto equivalente.

(...)».

37.

A termini dell'art. 2:

«I dazi doganali e i prelievi (elementi mobili) applicabili all'importazione nella Comunità dei prodotti elencati all'allegato B sono indicati a fronte di ciascun prodotto nel medesimo allegato».

38.

Il regime comune applicabile alle esportazioni nei paesi terzi è disciplinato dal regolamento n. 2603/69 ( 15 ), a termini del quale le esportazioni sono, in linea di principio, libere, fatta salva l'eventuale emanazione di misure di salvaguardia in caso di penuria di prodotti essenziali. Anche l'art. 11 del detto regolamento contiene disposizioni analoghe a quelle dell'art. 36 del Trattato.

39.

Il regime comune relativo al transito di merci attraverso il territorio di uno Stato membro, ivi comprese le merci importate da paesi terzi, è disciplinato dal regolamento n. 2726/90 ( 16 ). Si tratta, essenzialmente, di norme di carattere tecnico attinenti in particolare ai documenti che devono accompagnare le merci in transito sul territorio degli Stati membri. Tali norme implicano il principio secondo cui le merci importate dall'esterno della Comunità possono attraversare il territorio di uno Stato membro (quale ad esempio la Grecia) per giungere alla loro destinazione finale sul territorio di un altro Stato membro. L'art. 5, n. 3, del detto regolamento così recita:

«Il presente regolamento è applicabile, fatti salvi i divieti o restrizioni d'importazione, di esportazione o di transito fìssati dagli Stati membri, purché essi siano compatibili con i tre trattati che istituiscono le Comunità europee».

40.

A nostro parere, appare evidente che l'embargo imposto dalla Grecia per quanto riguarda gli scambi con l'ERIM è incompatibile, in linea di principio, con le disposizioni del diritto comunitario invocate dalla Commissione, salvo che non possa ritenersi rientrante nella sfera di applicazione della clausola di salvaguardia prevista dall'art. 224 del Trattato. Il principio fondamentale su cui poggia la politica commerciale comune ai sensi dell'art. 113 del Trattato esige che il territorio degli Stati membri costituisca un territorio doganale unico con norme uniformi che disciplinino l'importazione di merci originarie di paesi terzi o l'esportazione di merci verso i paesi medesimi. Dal punto di vista doganale, i confini esterni della Comunità sono, in linea di principio, indivisibili. Attribuendo alla Comunità una competenza esclusiva nel settore della politica commerciale, gli Stati membri hanno rinunciato al potere di emanare provvedimenti unilaterali di restrizione degli scambi con i paesi terzi, fatte salve talune circostanze stabilite dal diritto comunitario.

41.

L'adozione di un embargo unilaterale sugli scambi con un paese terzo è inoltre contraria alle disposizioni generali dei regolamenti del Consiglio che disciplinano gli scambi con i paesi terzi (indicati precedentemente ai paragrafi 34-39). Taluni dei detti regolamenti (regolamenti nn. 288/82, 517/94, 518/94, 3285/94 e 2603/69) contengono certamente disposizioni che consentono deroghe per motivi analoghi a quelli previsti dall'art. 36 del Trattato. La Grecia non si è tuttavia richiamata a tali disposizioni e appare in ogni caso dubbio che provvedimenti del genere di cui trattasi possano essere fondati su di esse. Inoltre, il regolamento n. 3698/93, attinente specificamente alle importazioni di prodotti originari dell'ERIM e degli altri Stati creati a seguito del dissolvimento della Iugoslava, non prevede alcuna clausola equivalente all'art. 36 del Trattato.

42.

La Grecia sostiene che l'embargo sugli scambi con l'ERIM esula dalla sfera di applicazione dell'art. 113 in quanto non sarebbe stato concepito quale strumento di politica commerciale, bensì sarebbe diretto ad esercitare una pressione politica sull'ERIM. Tale argomento non ci sembra convincente. L'elemento decisivo risiede, a nostro parere, non nella finalità dell'embargo, bensì nei suoi effetti. Un provvedimento che abbia per effetto di impedire o di restringere direttamente gli scambi commerciali con un paese terzo rientra nella sfera di applicazione dell'art. 113, indipendentemente dalle sue finalità. D'altronde, come sottolineato dalla Commissione, ciò appare avvalorato dalla prassi seguita dalla Comunità. In varie occasioni il Consiglio ha assunto l'art. 113 a base giuridica di regolamenti che hanno imposto sanzioni economiche a paesi terzi per ragioni di politica estera piuttosto che di politica commerciale ( 17 ).

43.

Benché la Grecia sostenga che l'embargo sugli scambi con l'ERIM esula dalla sfera di applicazione dell'art. 113 del Trattato, va rilevato come essa abbia tuttavia riconosciuto ab initio la necessità di richiamarsi all'art. 224 del Trattato per valutare la compatibilità dell'embargo con il diritto comunitario. L'art. 224 è stato espressamente richiamato nel memorandum del 26 febbraio 1994 inviato dal governo ellenico alla Commissione con riguardo ai provvedimenti adottati nei confronti dell'ERIM il 16 febbraio precedente (v. allegato 12 al ricorso). In tale memorandum il governo ellenico ha fatto valere che il comportamento dell'ERIM nei confronti della Grecia aveva dato luogo a una tensione internazionale che costituiva una minaccia di guerra e che l'art. 224 rappresentava l'unica disposizione del Trattato che consentisse l'individuazione della soluzione al problema creatosi nel funzionamento del mercato comune, mediante le consultazioni ivi previste.

La questione se la Repubblica ellenica possa richiamarsi all'art. 224 del Trattato al fine di giustificare l'embargo, atteso che questo sarebbe diretto a far fronte a «gravi agitazioni interne che turbino l'ordine pubblico» o ad una «tensione internazionale che costituisca una minaccia di guerra»

44.

Nella sentenza 15 maggio 1986, Johnston ( 18 ), la Corte ha dichiarato che l'art. 224 del Trattato riguarda una «situazione del tutto eccezionale». Infatti, l'art. 224 contempla tre situazioni eccezionali in cui uno Stato membro può adottare provvedimenti che possono incidere sul funzionamento del mercato comune. Tali provvedimenti possono essere adottati dallo Stato membro a) in caso di gravi agitazioni interne che turbino l'ordine pubblico, b) in caso di guerra o di tensione internazionale grave che costituisca una minaccia di guerra, o c) per fra fronte agli impegni da esso assunti ai fini del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Appare evidente che quest'ultima ipotesi non rileva nella specie. Le due prime ipotesi sono invece entrambe richiamate dalla Grecia. Esamineremo, in primo luogo, la questione se la Grecia possa legittimamente emanare nei confronti dell'ERIM provvedimenti incompatibili con le norme generali del Trattato al fine di prevenire agitazioni interne gravi atte a turbare l'ordine pubblico.

45.

Uno dei problemi che occorre risolvere al riguardo attiene al rapporto tra il riferimento contenuto nell'art. 36 del Trattato alla sicurezza pubblica e quello operato dall'art. 224 alle gravi agitazioni interne che turbano l'ordine pubblico. La Commissione - sostiene che le due disposizioni sarebbero analoghe e che la giurisprudenza della Corte relativa all'interpretazione restrittiva dell'art. 36 è conseguentemente trasponibile all'art. 224.

46.

A nostro parere, l'analogia tra gli artt. 36 e 224 non può essere estesa oltre certi Umiti. Certamente, nella sentenza Johnston ( 19 ), la Corte ha posto gli artt. 36 e 224 sullo stesso piano di altri articoli del Trattato che prevedono deroghe relative alla sicurezza pubblica (vale a dire gli artt. 48, n. 3, 56, n. 1, e 223). Dopo aver rilevato che tutte le dette disposizioni «riguardano ipotesi eccezionali, chiaramente delimitate», la Corte ha affermato, al punto 26 della sentenza che «in ragione del loro carattere limitato, detti articoli non si prestano ad una interpretazione estensiva». È senz'altro esatta l'affermazione secondo cui gli artt. 36 e 224 richiedono entrambi un'interpretazione restrittiva in quanto derogano alle norme generali del Trattato. Questo è il denominatore comune delle due disposizioni. Esse presentano tuttavia differenze rilevanti. In primo luogo, mentre le fattispecie di cui all'art. 36 (e di cui agli artt. 48, n. 3, e 56, n. 1) possono essere considerate eccezionali, quelle oggetto dell'art. 224, come affermato dalla Corte al punto 27 della sentenza Johnston, sono del tutto eccezionali. Ciò spiega come l'art. 224 sia stato poco invocato, mentre il ricorso all'art. 36 è relativamente comune. Una seconda differenza riguarda l'ampiezza delle eventuali deroghe consentite dai due articoli. L'art. 36 consente deroghe ad un aspetto (certamente essenziale) del mercato comune; l'art. 224 consente, invece, di derogare alle norme del mercato comune in generale.

47.

L'art. 224, laddove contempla le «gravi agitazioni interne che turbino l'ordine pubblico», dev'essere interpretato a nostro parere nel senso che fa riferimento ad una perturbazione dell'ordine pubblico di scala ben più vasta rispetto al genere di agitazione civile che può giustificare il ricorso all'art. 36. L'ipotesi contemplata sembra essere quella di una situazione che si pone al limite di un completo crollo della sicurezza interna, perché altrimenti sarebbe difficile giustificare il ricorso a una deroga di carattere generale, che può autorizzare la sospensione di tutte le norme che disciplinano ordinariamente il mercato comune.

48.

Appare evidente, nella specie, come la Grecia non abbia fornito la prova che, senza l'embargo commerciale decretato nei confronti dell'ERIM, vi sarebbero stati disordini di tale ampiezza da rendere insufficienti gli strumenti di mantenimento dell'ordine pubblico a sua disposizione. Nel controricorso la Grecia sostiene che la quasi totalità della popolazione greca starebbe protestando contro il tentativo dell'ERIM di violare l'identità nazionale greca e che l'organizzazione di manifestazioni cui avrebbe partecipato la maggioranza della popolazione ed in cui sarebbe stata chiesta la chiusura delle frontiere nonché i timori di un'eventuale guerra con l'ERIM creerebbero logicamente il rischio di agitazioni interne atte a turbare l'ordine pubblico, agitazioni che lo Stato non sarebbe in grado di placare, in considerazione sia dell'ampiezza di tali manifestazioni sia del loro motivo ispiratore, vale a dire la salvaguardia dell'identità nazionale greca.

49.

Tali affermazioni non ci sembrano poter costituire prova del fatto che le autorità pubbliche si siano effettivamente trovate in Grecia di fronte ad agitazioni interne gravi nei confronti delle quali non si sarebbe potuto efficacemente agire senza l'adozione di sanzioni economiche nei confronti dell'ERIM. Le affermazioni della Grecia concernenti l'organizzazione di manifestazioni di massa appaiono vaghe e non provate. Nessuna precisazione è stata fornita quanto ad agitazioni particolari che turbassero l'ordine pubblico. La Grecia non ha infatti nemmeno lontanamente provato la sussistenza di quelle perturbazioni su larga scala dell'ordine pubblico che sono necessarie per giustificare il ricorso all'art. 224 a motivo di agitazioni interne gravi che turbino l'ordine pubblico. Riteniamo, conseguentemente, che la Grecia non potesse legittimamente invocare al riguardo l'art. 224.

50.

Ci si domanda allora se la Grecia potesse richiamarsi all'art. 224 a motivo di guerra o di tensione internazionale grave che costituisca minaccia di guerra. Si tratta di una questione ben più complessa, che solleva un tema fondamentale, vale a dire quello dei limiti del potere di controllo giurisdizionale attribuito in tali ipotesi alla Corte. Non si può evidentemente sostenere — né la Grecia lo sostiene d'altronde — che la questione esuli dalla sfera del sindacato giurisdizionale della Corte. Dallo stesso tenore dell'art. 225 del Trattato emerge come la Corte sia competente a conoscere della legittimità dei provvedimenti adottati da uno Stato membro ex art. 224; ciò implica il potere di accertare la sussistenza dei requisiti necessari per l'applicazione dell'art. 224. L'estensione e l'intensità del sindacato che la Corte può operare sono tuttavia strettamente limitate in considerazione della natura dei problemi in esame. Sono pochi i criteri applicabili, sotto il profilo giuridico, che consentirebbero alla Corte, o a qualsiasi altra giurisdizione, di stabilire se si sia in presenza di una tensione internazionale grave e se questa costituisca una minaccia di guerra. La base del problema è riassunta nelle osservazioni fatte da un giudice inglese in un contesto ben differente: «non c'è alcun criterio giuridico o di natura pratica che consenta di risolvere questi problemi (...) in altri termini (se cercasse di farlo) (...) il giudice si troverebbe, sotto l'aspetto giuridico, in una vera e propria terra di nessuno» ( 20 ).

51.

Va anche rilevato che i giudici della Repubblica federale di Germania, i quali si mostrano molto riluttanti ad ammettere che un atto dell'esecutivo possa sfuggire al sindacato giurisdizionale, riconoscono che, in materia di politica estera e di sicurezza, l'intensità di tale controllo può essere fortemente ridotta a causa della mancanza di un criterio giuridico idoneo che possa essere applicato in sede giurisdizionale ( 21 ).

52.

La guerra è un avvenimento imprevedibile per definizione. Il passaggio dalle dimostrazioni di forza al conflitto armato può essere rapido e drammatico, come conferma il richiamo anche sommario ad avvenimenti recenti. Chi avrebbe potuto predire, nella primavera del 1982, quando un gruppo di mercanti di ferraglia argentini cominciarono a smantellare un porto baleniero abbandonato sull'isola di Georgia del Sud, che il Regno Unito e l'Argentina sarebbero presto entrati in guerra per le isole Falkland? Pochi sono quelli che potevano immaginare, nell'estate del 1990, quando l'Iraq ammassò le sue truppe ai confini con il Kuwait, che si sarebbe arrivati ad un conflitto come la guerra del Golfo. E solo la mente più perspicace avrebbe potuto intravedere alla metà degli anni '80 che, qualche anno più tardi, la Iugoslavia sarebbe precipitata in una serie di implacabili guerre civili.

53.

È alla luce di tali considerazioni che la Corte deve valutare gli argomenti delle parti relativi alla minaccia di guerra. La Commissione riconosce l'esistenza di una guerra nei Balcani nonché il rischio che tale guerra si propaghi ad altre regioni dei Balcani ancora relativamente tranquille per il momento. La Commissione riconosce l'esistenza di un grave conflitto politico tra la Grecia e l'ERIM. Essa contesta tuttavia che la condotta dell'ERIM nei confronti della Grecia possa essere ragionevolmente equiparata ad una minaccia di guerra. Secondo la Commissione l'ERIM è un piccolo paese in piena crisi economica, con riserve di valuta straniera limitate e con mezzi militari estremamente modesti rispetto a quelli della Grecia, la quale gode inoltre della sicurezza garantitale dalla sua qualità di membro della NATO.

54.

Desideriamo sottolineare in tale contesto che non tocca alla Corte pronunciarsi in merito alla controversia tra la Grecia e l'ERIM. Non è compito della Corte stabilire a chi spetti il nome di «Macedonia», il sole di Vergina e il retaggio di Alessandro Magno, ovvero se l'ERIM intenda usurpare una parte dell'identità nazionale greca, o ancora se l'ERIM abbia mire a lungo termine sul territorio greco o intenda entrare immediatamente in guerra con la Grecia. La Corte deve decidere se, alla luce di tutte le circostanze della specie, ivi compreso il contesto geopolitico e storico, la Grecia abbia potuto avere valido motivo, dal proprio punto di vista soggettivo, per ritenere che la tensione nelle sue relazioni con l'ERIM potesse degenerare in conflitto armato. Insistiamo sul fatto che la questione dev'essere valutata nell'ottica dello Stato membro interessato. In considerazione delle peculiarità geografiche e storiche, ogni Stato membro presenta problemi e preoccupazioni specifici in materia di politica estera e di sicurezza. Ciascuno Stato membro è in grado di valutare i rischi che possono derivargli dalla condotta di un paese terzo meglio di quanto non siano in grado di farlo le istituzioni della Comunità o gli altri Stati membri. La sicurezza rappresenta, inoltre, una questione di percezione soggettiva piuttosto che di fatti indiscutibili. Ciò che ad uno Stato membro appare come minaccia immediata alla propria sicurezza esterna può invece essere considerato relativamente inoffensivo da un altro Stato membro.

55.

Il principio che spetti essenzialmente alle autorità dello Stato interessato valutare le questioni relative alla sicurezza nazionale è stato confermato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per quanto attiene all'art. 15 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che autorizza gli Stati contraenti ad adottare misure in deroga agli obblighi previsti dalla Convenzione «in caso di guerra o in caso di altre pubbliche calamità che minaccino la vita della nazione». Nella causa Irlanda/Regno Unito ( 22 ), la Corte di Strasburgo ha dichiarato:

«Spetta anzitutto ai singoli Stati contraenti, responsabili della “vita della (propria) nazione”, determinare se vi sia minaccia di una “pubblica calamità” e, in caso affermativo, fin dove essi possano agire per cercare di allontanarla. Le autorità nazionali, a contatto diretto e costante con la pressante realtà del momento, si trovano in linea di principio in una posizione più favorevole rispetto al giudice internazionale per potersi pronunciare quanto alla sussistenza di un siffatto pericolo nonché quanto alla natura e all'ampiezza delle deroghe necessarie per potervi far fronte».

56.

Gli elementi richiamati dalla Commissione possono far ritenere che una guerra tra la Grecia e l'ERIM sia poco probabile. Tuttavia, ove si valuti la situazione dal punto di vista soggettivo della Grecia, tenendo in debita considerazione l'ambiente geopolitico e i precedenti storici delle lotte etniche, delle controversie sui confini nonché dell'instabilità generale che da secoli caratterizza i Balcani, ivi compresa naturalmente la serie di conflitti armati che negli ultimi anni hanno frantumato l'ex Iugoslavia, non ci sembra possibile affermare che la Grecia, quando ha ritenuto che la tensione esistente con l'ERIM fosse foriera di minaccia di guerra, ancorché lontana e vaga, abbia agito in modo del tutto irragionevole.

57.

Non è necessario, si deve ripetere, stabilire chi abbia torto e chi abbia ragione nella controversia tra la Grecia e l'ERIM o pronunciarsi sulla questione del diritto al nome di «Macedonia» ed ai simboli macedoni. È invece necessario, per le ragioni suesposte, svolgere l'analisi della situazione dal punto di vista greco. Se abbiamo ben compreso, nell'ottica della Grecia, l'ERIM, in quanto Stato indipendente di nuova creazione e caratterizzato da una rilevante varietà etnica, mira a consolidare un sentimento di identità nazionale al fine di saldare la propria popolazione eterogenea, stimolando presso i propri cittadini una coscienza collettiva macedone e facendo sorgere in loro l'idea che essi siano gli eredi dell'antico regno di Filippo e di Alessandro. La Grecia vede in tale condotta, a torto o a ragione, un'usurpazione di una parte dell'identità nazionale greca. La Grecia richiama inoltre l'attenzione sull'utilizzazione di testi scolastici contenenti carte della Macedonia che comprendono, oltre al territorio attuale dell'ERIM, anche la regione bulgara di Pirin nonché una parte del territorio greco che si estende verso sud sino a Salonicco e al monte Olimpo. Un opuscolo dal titolo «Macedonia: more than a difference over a name» (v. allegato la al controricorso, pagg. 11 e 12), diffuso nell'aprile del 1994 dal segretariato generale greco competente per la stampa e l'informazione, espone i manifesti timori a lungo termine della Grecia nei seguenti termini:

«nell'ERIM una nuova generazione viene educata a credere che taluni territori appartenenti a paesi limitrofi facciano parte del “territorio della patria”, alla quale sarebbero stati ingiustamente sottratti. Di conseguenza non è difficile presumere che questa nuova generazione e le generazioni future nutriranno sentimenti di aggressività, di vendetta e di rivincita nei confronti dei vicini “usurpatori”».

58.

È possibile che i timori della Grecia siano completamente infondati, come la Commissione deduce, tra l'altro, dal fatto che la Costituzione dell'ERIM, nella versione emendata, prevede la possibilità di modificare le frontiere dell'ERIM solamente su base consensuale e conformemente alle norme internazionali generalmente riconosciute. Tuttavia, l'elemento determinante non risiede tanto nel fatto che i timori della Grecia possano rivelarsi ingiustificati, bensì piuttosto nella circostanza che il governo ellenico e, a quanto sembra, la maggioranza del popolo greco nutrono effettivamente e fermamente timori di tal genere. Quando un governo e un popolo hanno la ferma convinzione che un paese straniero si sta appropriando una parte del loro patrimonio culturale e nutre mire a lungo termine su una parte del loro territorio nazionale, appare difficile affermare che la guerra sia una ipotesi talmente improbabile da poterne escludere qualsiasi minaccia. Se situazioni del genere dovessero essere valutate esclusivamente secondo il metro di ciò che gli osservatori esterni considerano come una condotta ragionevole, non ci sarebbero mai guerre. Invece, in questa materia è spesso decisiva la valutazione soggettiva delle parti della controversia.

59.

Altri elementi di cui occorre tener conto nel presente caso sono la successione di dispute di confine nella regione dei Balcani e l'instabilità che ha colpito il territorio dell'ex Iugoslavia a seguito della dissoluzione di tale Stato. Non si può ignorare che su tale territorio ha avuto luogo una serie di guerre civili scaturite da disparità religiose ed etniche che ne dividono la popolazione. L'ambiente geopolitico in cui la Grecia deve muoversi non è semplice. Quanto all'argomento della Commissione secondo cui i provvedimenti adottati dalla Grecia sarebbero tali da accrescere la tensione e, pertanto, da produrre ripercussioni sulla sicurezza interna ed esterna della Grecia, si tratta certamente di una valutazione di ordine politico su una materia eminentemente politica. Mancano semplicemente gli strumenti di analisi giuridica che consentano di affrontare problemi di tal genere. Non esiste alcun criterio giuridico per determinare se uno Stato membro, che si trovi in contrasto con un paese terzo, abbia più possibilità di giungere a una composizione soddisfacente della controversia attraverso una politica di dialogo e di persuasione amichevole che non mediante il ricorso a sanzioni economiche.

60.

In considerazione del carattere strettamente limitato del sindacato giurisdizionale che può essere esercitato in materia, riteniamo che sarebbe erroneo dichiarare che la Grecia non poteva invocare l'art. 224 del Trattato perché non sussisteva una tensione internazionale grave che costituisse minaccia di guerra.

La questione se la Repubblica ellenica abbia fatto uso illegittimo dei poteri previsti dall'art. 224

61.

Si deve stabilire, in primo luogo, quali siano i limiti del sindacato giurisdizionale che la Corte può esercitare ex art. 225. La Commissione riconosce che l'intensità di tale controllo può essere limitata, in considerazione dell'ampio potere discrezionale riconosciuto agli Stati membri ai sensi dell'art. 224.

62.

La Commissione sostiene tuttavia che, a prescindere da tale riserva attinente all'oggetto stesso della controversia, la Corte dispone, qualora sia adita ai sensi dell'art. 225, dei propri normah poteri che le consentono di conoscere della legittimità degli atti di uno Stato membro. Secondo la Commissione, la Corte può verificare, ad esempio, non solo se un atto costituisca uno sviamento di potere, bensì anche se tale atto sia viziato da un errore manifesto di valutazione o se si ponga in contrasto con principi generali di diritto, come quelli della parità di trattamento o di proporzionalità. La Grecia sostiene invece che il termine «uso abusivo» di cui all'art. 225 del Trattato ha lo stesso significato del termine «sviamento di potere» contenuto nell'art. 173. La Grecia rileva che le versioni greca, tedesca ed olandese del Trattato utilizzano infatti espressioni identiche nei due articoli. La Grecia deduce da tale considerazione terminologica che il potere di controllo della Corte ex art. 225 è molto limitato e che si può ritenere che lo Stato membro che si richiami all'art. 224 sia incorso in un uso illegittimo dei poteri ad esso attribuiti dall'articolo medesimo solamente nel caso in cui esso affermi che la propria azione è diretta alla realizzazione di un obiettivo contemplato dalle disposizioni dell'art. 224 mentre persegue in realtà un altro obiettivo.

63.

Indipendentemente dalla questione se la nozione di «uso abusivo» dei poteri di cui all'art. 225 sia identica a quella di «sviamento di potere» di cui all'art. 173, appare chiaro che la portata del sindacato giurisdizionale operato ai sensi dell'art. 225 è molto limitata, non solo in considerazione del tenore terminologico di tale articolo e di quello che lo precede, ma anche alla luce dell'oggetto stesso della controversia.

64.

L'art. 224 riconosce che la politica estera resta essenzialmente materia di competenza dei singoli Stati membri, quanto meno nella versione originaria del Trattato. Gli Stati membri conservano la responsabilità ultima per quanto riguarda le proprie relazioni con i paesi terzi. Nonostante la cooperazione perseguita nell'ambito delle disposizioni introdotte dall'Atto unico europeo e dal Trattato sull'Unione europea, spetta ancora ai singoli Stati membri decidere in base ai propri interessi se procedere o meno al riconoscimento di un paese terzo e su quale piano collocare le proprie relazioni con tale paese.

65.

Qualora uno Stato membro ritenga, a torto o a ragione, che la condotta di un paese terzo minacci i suoi interessi vitali, la sua integrità territoriale o la sua stessa esistenza, spetta allo Stato medesimo decidere in qual modo occorra reagire alla condotta che esso percepisce come una minaccia: ad esempio, mediante pressioni diplomatiche, mediante la rottura delle relazioni sportive e culturali, mediante sanzioni economiche o persino mediante un'azione militare. Non tocca alla Corte valutare l'adeguatezza della reazione dello Stato membro dichiarando che il mezzo di azione scelto non appare atto a conseguire il fine voluto o che lo Stato membro potrebbe difendere meglio i propri interessi se ricorresse ad altri mezzi. Ancora una volta, non vi è alcun criterio giuridico in base al quale siffatte questioni possano essere valutate. Risulta difficile individuare un criterio giuridico preciso che consenta di stabilire se un embargo commerciale rappresenti uno strumento adeguato da usare nell'ambito di una controversia politica tra uno Stato membro ed un paese terzo. La decisione di ricorrere ad un siffatto provvedimento è di ordine essenzialmente politico.

66.

Gli artt. 224 e 225 riconoscono che, qualora uno Stato membro opti per misure economiche dirette ad esercitare una pressione su un paese terzo, tali misure possono avere ripercussioni su settori soggetti a politiche comunitarie giuridicamente vincolanti, quali la politica commerciale comune ed il mercato comune stesso. I detti articoli riconoscono che l'autonomia lasciata agli Stati membri in materia di politica estera è in pieno contrasto con l'integrazione realizzata nel settore della politica economica e commerciale. Tali articoli tentano di definire i contorni dell'autonomia lasciata agli Stati membri nel settore della politica estera, visto che tale autonomia può incidere sul «funzionamento del mercato comune» (art. 224) e «alterare le condizioni di concorrenza nel mercato comune» (art. 225).

67.

L'unico limite posto all'autonomia degli Stati membri risiede nell'obbligo di non abusare dei loro poteri. È chiaro che uno Stato membro farebbe un uso illegittimo di tali poteri se, imponendo un embargo sugli scambi commerciali con un paese terzo, mirasse in realtà non ad ottenere risultati in una controversia politica con il suddetto paese, bensì a proteggere la propria economica o gli interessi di operatori economici nazionali. Nulla induce a ritenere che tale sia stata la finalità dell'embargo imposto dalla Grecia sul commercio con l'ERIM.

68.

A prescindere da tale ipotesi, appare difficile comprendere come si possa rimproverare ad uno Stato membro che abbia imposto sanzioni economiche nei confronti di un paese terzo con cui si trovi in contrasto un uso illegittimo dei poteri attribuitigli dall'art. 224. La Commissione sostiene che la Grecia ha abusato di tali poteri poiché l'embargo mirerebbe non già ad allontanare una minaccia di guerra da parte dell'ERIM, bensì semplicemente a far pressione sull'ERIM nell'ambito della controversia politica in corso tra i due paesi. Tale argomento è infondato; esso non intende infatti dimostrare che la Grecia abbia abusato dei poteri riconosciutile dall'art. 224, ma intende invece provare che tale Stato non potrebbe comunque invocare il predetto articolo, in quanto mancherebbe il requisito di una tensione internazionale grave che costituisca una minaccia di guerra. Una volta riconosciuta la sussistenza di tale requisito, non si può sostenere che la Grecia stia abusando dei propri poteri solo perché cerca di esercitare una pressione nei confronti di un paese terzo con cui è in lite. Al contrario, proprio questo è l'intento dell'art. 224, quando autorizza gli Stati membri ad adottare provvedimenti atti ad incidere sul funzionamento del mercato comune al fine di far fronte ad una tensione internazionale grave che costituisca minaccia di guerra.

69.

La Commissione si richiama anche al principio di parità di trattamento ed a quello di proporzionalità. La violazione di tali principi potrebbe certamente rendere illegittimo l'esercizio, altrimenti lecito, dei poteri previsti dall'art. 224. Se, ad esempio, la Grecia imponesse un embargo discriminatorio sugli scambi con l'ERIM, autorizzando l'esportazione di prodotti greci e vietando al tempo stesso l'esportazione di prodotti provenienti da altri Stati membri o operando una discriminazione arbitraria tra categorie differenti di merci o di operatori, ciò potrebbe ben integrare la fattispecie di uso illegittimo dei poteri. Orbene, non è stato minimamente sostenuto che tale ipotesi ricorra nella specie.

70.

Quanto al principio di proporzionalità, rari sono i settori, se ve ne sono, in cui tale principio non trovi applicazione. La Commissione ritiene che l'embargo violi il principio di proporzionalità essendo sproporzionato rispetto alla minaccia che graverebbe sugli interessi della Grecia per effetto della condotta che la Grecia stessa contesta all'ERIM. La Commissione fa valere che l'embargo imposto dalla Grecia risulta in ogni caso sproporzionato in quanto minaccia l'esistenza stessa dell'ERIM, in particolare a causa dell'interruzione delle forniture di prodotti petroliferi. A suo parere, un embargo parziale limitato ai materiali militari ed alle merci di natura strategica sarebbe sufficiente. La Grecia sostiene invece che la propria azione è proporzionata, atteso che le forniture di derrate alimentari e di medicinali sono escluse dall'embargo.

71.

Molti esperti di politica internazionale sarebbero senza dubbio d'accordo con la Commissione nell'affermare che la reazione della Grecia è stata eccessiva e che il ricorso alle vie diplomatiche avrebbe potuto garantire una migliore protezione dei suoi interessi. Questa tesi si fonda tuttavia su un'analisi politica alla quale la Corte non può procedere.

72.

Quanto alla questione se tale opinione possa essere oggettivamente fondata sul principio giuridico di proporzionalità (a differenza di una valutazione politica relativa all'adeguatezza dei provvedimenti adottati dalla Grecia), occorre anzitutto individuare gli interessi di cui si deve tener conto nell'opera di ponderazione mediante cui si applica il criterio della proporzionalità. A nostro parere, emerge chiaramente dalla struttura degli artt. 224 e 225 che gli interessi che devono essere ponderati per stabilire se i provvedimenti adottati dalla Grecia siano o meno sproporzionati sono gli interessi — vale a dire gli interessi comunitari — espressamente affermati nei detti articoli, vale a dire il funzionamento del mercato comune e il mantenimento di una concorrenza non alterata. È pacifico che il pregiudizio derivante per tali interessi dall'adozione dei provvedimenti contestati è esiguo. L'embargo riguarda una percentuale minima del volume totale degli scambi della Comunità e non può incidere in misura rilevante sulla situazione della concorrenza nella Comunità. Non si può conseguentemente ritenere che, alla luce del criterio di proporzionalità, la Grecia abbia fatto un uso illegittimo dei poteri attribuitile dall'art. 224.

Conclusione

Pertanto, sottolineando che nella fattispecie in esame la Corte non è competente a pronunciarsi sul merito della controversia tra la Repubblica ellenica e l'ERIM, riteniamo che la Corte debba:

1)

respingere il ricorso;

2)

condannare la Commissione alle spese del giudizio, ivi comprese quelle relative al procedimento sommario.


( *1 ) Lingua originale: l'inglese.

( 1 ) GU L 324, pag. 25.

( 2 ) GU L 35, pag. 1.

( 3 ) GU L 344, pag. 1.

( 4 ) GU L 262, pag. 1.

( 5 ) Causa 45/86, Racc. 1987, pag. 1493.

( 6 ) Causa C-120/94 R, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-3037.

( 7 ) Race. pag. 1355, in particolare pag. 1363.

( 8 ) Causa 41/76, Race. pag. 1921, punto 32.

( 9 ) Race. pag. I-1061, punto 8.

( 10 ) GU L 67, pag. 77.

( 11 ) GU L 67, pag. 1.

( 12 ) Precedentemente citato, v. paragrafo 1.

( 13 ) GU L 349, pag. 53.

( 14 ) Citato al paragrafo 1.

( 15 ) V. nota 14.

( 16 ) Ibidem.

( 17 ) Regolamento (CEE) del Consiglio 15 marzo 1982, n. 596, che modifica il regime d'importazione di alcuni prodotti originari dell'URSS (GU L 72, pag. 15); regolamento (CEE) del Consiglio 16 aprile 1982, n. 877, che sospende l'importazione di qualsiasi prodotto originario dell'Argentina (GU L 102, pag. 1); regolamento (CEE) del Consiglio 8 agosto 1990, n. 2340, che impedisce gli scambi della Comunità per quanto riguarda l'Iraq ed il Kuwait (GU L 213, pag. 1); regolamento (CEE) del Consiglio 29 ottobre 1990, n. 3155, che amplia e modifica il regolamento (CEE) n. 2340/90 che impedisce gli scambi della Comunità per quanto riguarda l'Iraq ed il Kuwait (GU L 304, pag. 1); regolamento (CEE) del Consiglio 14 aprile 1992, n. 945, che impedisce la fornitura alla Libia di taluni beni e servizi (GU L 101, pag. 53); regolamento (CEE) del Consiglio 1o giugno 1992, n. 1432, che proibisce il commercio tra la Comunità economica europea e le Repubbliche di Serbia e di Montenegro (GU L 151, pag. 4). V. anche le osservazioni dell'avvocato generale Lenz al paragrafo 62 delle conclusioni relative alla sentenza Commissione/Consiglio (citata alla nota 5).

( 18 ) Causa 222/84, Racc. pag. 1651, punto 27.

( 19 ) Citata in nou 18.

( 20 ) V. Lord Wilberforce, in Buttes Gas and Oil Co v Hammer (1982) AC 888, pag. 938.

( 21 ) V. Franck, Political Questions/Judicial Answers: Does the Rule of Law Apply to Foreign Affairs? Capitolo 7.

( 22 ) Sentenza 18 gennaio 1978, CEDU, serie A, volume 25 (1978), pagg. 78 e 79.

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