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Document 52021XC1229(04)

Comunicazione della Commissione Orientamenti sull’interpretazione e sull’applicazione della direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio sui diritti dei consumatori (Testo rilevante ai fini del SEE) 2021/C 525/01

C/2021/9314

GU C 525 del 29.12.2021, p. 1–85 (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, HR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

29.12.2021   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 525/1


COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE

Orientamenti sull’interpretazione e sull’applicazione della direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio sui diritti dei consumatori

(Testo rilevante ai fini del SEE)

(2021/C 525/01)

INDICE

INTRODUZIONE 5

1.

Ambito di applicazione 6

1.1.

Le nozioni di «professionista» e di «consumatore» 6

1.2.

La nozione di «contratto» 7

1.3.

Contratti contemplati 8

1.4.

Contratti misti 9

1.5.

Distinzione tra servizi digitali e contenuto digitale online 10

1.6.

Contratti a pagamento e contratti in cui il consumatore fornisce dati personali 12

1.6.1.

Contratti a pagamento 12

1.6.2.

Contratti in cui il consumatore fornisce dati personali 13

1.7.

Contratti a cui la direttiva non si applica 14

1.7.1.

Contratti di locazione e contratti di costruzione 14

1.7.2.

Pacchetti turistici 15

1.7.3.

Contratti istituiti con l’intervento di un pubblico ufficiale 16

1.7.4.

Contratti per beni destinati al consumo corrente 16

1.7.5.

Trasporto di passeggeri 16

1.7.6.

Vendite automatizzate 17

1.7.7.

Contratti relativi alle comunicazioni elettroniche 17

1.8.

Possibile esenzione per i contratti di modesto valore negoziati fuori dei locali commerciali 18

1.9.

Norme per le aste pubbliche 19

2.

Contratti negoziati fuori dei locali commerciali 19

2.1.

Contratti conclusi fuori dei locali commerciali del professionista 19

2.2.

Contratti conclusi dopo aver avvicinato il consumatore fuori dei locali commerciali del professionista 20

2.3.

Contratti conclusi durante un viaggio promozionale organizzato dal professionista 21

3.

Informazioni per i consumatori 22

3.1.

Obblighi generali 22

3.1.1.

Introduzione 22

3.1.2.

Chiarezza delle informazioni e collegamento alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali 22

3.1.3.

Informazioni «già evidenti dal contesto» 23

3.1.4.

Obblighi di informazione nelle altre normative dell’UE 23

3.1.5.

Imposizione di obblighi di informazione aggiuntivi 24

3.1.6.

Esenzione delle transazioni quotidiane 25

3.1.7.

Natura vincolante delle informazioni precontrattuali 25

3.1.8.

Requisiti linguistici aggiuntivi 25

3.1.9.

Onere della prova 26

3.2.

Obblighi comuni per i contratti negoziati nei locali commerciali e i contratti a distanza/negoziati fuori dei locali commerciali 26

3.2.1.

Caratteristiche principali 26

3.2.2.

Identità ed estremi del professionista 27

3.2.3.

Prezzo 30

3.2.4.

Consegna ed esecuzione del contratto 31

3.2.5.

Modalità di pagamento 32

3.2.6.

Garanzie e servizi postvendita 32

3.2.7.

Durata e risoluzione del contratto 34

3.2.8.

Funzionalità, compatibilità e interoperabilità 34

3.3.

Obblighi aggiuntivi per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali e i contratti a distanza 36

3.3.1.

Prezzo personalizzato 36

3.3.2.

Costo dell’utilizzo di mezzi di comunicazione a distanza 36

3.3.3.

Depositi e garanzie finanziarie 37

3.3.4.

Meccanismi di ricorso extra-giudiziali 37

3.4.

Obblighi aggiuntivi per i mercati online 38

3.4.1.

Criteri di classificazione 38

3.4.2.

Status dell’altra parte contrattuale 40

3.4.3.

Informazioni sulla non applicabilità del diritto dei consumatori dell’UE 40

3.4.4.

Ripartizione delle responsabilità per il contratto 41

3.4.5.

Possibilità di imporre ulteriori obblighi di informazione 41

4.

Requisiti speciali per i contratti a distanza 42

4.1.

Definizione di contratto a distanza 42

4.2.

Informazioni precontrattuali 43

4.2.1.

Informazioni da presentare direttamente prima dell’inoltro dell’ordine 43

4.2.2.

Pulsante di conferma dell’ordine 44

4.2.3.

Informazioni sulle restrizioni relative alla consegna e sui mezzi di pagamento 44

4.2.4.

Contratti conclusi tramite mezzi di comunicazione a distanza che consentono uno spazio o un tempo limitato 45

4.3.

Contratti conclusi per telefono 46

4.4.

Conferma del contratto 47

5.

Diritto di recesso 49

5.1.

Calcolo del periodo di recesso 49

5.1.1.

Introduzione 49

5.1.2.

Decorrenza del periodo di recesso 50

5.2.

Informazioni sul diritto di recesso 51

5.3.

Esercizio del diritto di recesso 52

5.4.

Conseguenze del recesso per quanto riguarda i dati 53

5.5.

Diritto di recesso per quanto riguarda i beni 54

5.5.1.

Beni multipli o difettosi 54

5.5.2.

Restituzione dei beni 54

5.5.3.

Rimborso dei pagamenti ricevuti dal consumatore 55

5.5.4.

Responsabilità del consumatore per la manipolazione dei beni 56

5.5.5.

Rischi connessi alla restituzione dei beni al professionista 58

5.6.

Diritto di recesso dai contratti di servizi e dai contratti per la fornitura di servizi di pubblica utilità 58

5.6.1.

Consenso del consumatore all’esecuzione immediata 58

5.6.2.

Obbligo di compensazione del consumatore 60

5.7.

Diritto di recesso dai contratti per la fornitura di contenuto digitale online 61

5.8.

Conseguenze della mancata informazione sul diritto di recesso 62

5.8.1.

Conseguenze per quanto riguarda i beni 63

5.8.2.

Conseguenze relative ai servizi e ai servizi di pubblica utilità 63

5.8.3.

Conseguenze per quanto riguarda il contenuto digitale online 64

5.9.

Risoluzione del contratto in seguito all’esercizio del diritto di recesso 64

5.10.

Contratti accessori 65

5.11.

Eccezioni al diritto di recesso 65

5.11.1.

Beni o servizi il cui prezzo dipende dalle fluttuazioni del mercato finanziario 65

5.11.2.

Beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati 66

5.11.3.

Beni che rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente 67

5.11.4.

Beni sigillati per motivi igienici o connessi alla protezione della salute 67

5.11.5.

Beni inscindibilmente mescolati con altri beni 68

5.11.6.

Contratti con una data o un periodo di esecuzione specifici 68

5.11.7.

Riparazioni richieste dal consumatore 69

5.12.

Scelte normative nel caso di visite non richieste o di escursioni 69

5.12.1.

Introduzione 69

5.12.2.

Proroga del periodo di recesso 70

5.12.3.

Deroghe alle eccezioni al diritto di recesso 71

6.

Consegna 71

7.

Il passaggio del rischio 72

8.

Tariffe per l’utilizzo di mezzi di pagamento 73

8.1.

Introduzione 73

8.2.

Definizione di «tariffe» 73

8.3.

Definizione del «costo» sostenuto dal professionista 74

8.3.1.

Le commissioni per i servizi agli esercenti e altri costi diretti 74

8.3.2.

Costi generali di gestione di un’attività 74

8.3.3.

Costi che giustificano l’applicazione di una tariffa per l’uso di un mezzo di pagamento 74

8.4.

Pagamenti contanti in valuta estera 75

9.

Comunicazione telefonica 76

10.

Pagamenti supplementari 77

11.

Applicazione 77

11.1.

Applicazione a livello pubblico e privato 77

11.2.

Applicazione ai professionisti di paesi terzi 78

11.3.

Sanzioni 79

11.3.1.

Criteri per l’irrogazione di sanzioni 79

11.3.2.

Sanzioni nel contesto delle attività di esecuzione coordinate ai sensi del regolamento CPC 80
ALLEGATO 82

INTRODUZIONE

Scopo della direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (1) sui diritti dei consumatori (in prosieguo «la direttiva sui diritti dei consumatori» o «la direttiva») è conseguire un elevato livello di tutela dei consumatori in tutta l’Unione europea e contribuire al corretto funzionamento del mercato interno, armonizzando alcuni aspetti delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di contratti conclusi tra consumatori e professionisti (2).

La presente comunicazione orientativa (in prosieguo «comunicazione») si prefigge di agevolare l’efficace applicazione della direttiva. La comunicazione intende altresì accrescere la consapevolezza della direttiva tra tutte le parti interessate, quali i consumatori, le imprese, le autorità degli Stati membri, compresi gli organi giurisdizionali nazionali, e gli operatori del diritto in tutta l’UE. Essa contempla le modifiche introdotte dalla direttiva (UE) 2019/2161 del Parlamento europeo e del Consiglio (3) per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’Unione relative alla protezione dei consumatori, che entreranno in applicazione il 28 maggio 2022. Pertanto una parte del presente documento riflette ed esamina le norme che non sono ancora entrate in applicazione nella data della sua pubblicazione. Le sezioni e i punti pertinenti sono chiaramente indicati.

La comunicazione rispecchia la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (In prosieguo «la CGUE» o «la Corte») riguardante la direttiva dalla sua entrata in applicazione il 13 giugno 2014. Dalla data di applicazione, la direttiva ha sostituito la direttiva 85/577/CEE del Consiglio (4) per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (5) riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza. La direttiva sui diritti dei consumatori ha mantenuto alcune disposizioni delle precedenti direttive 85/577/CEE e 97/7/CE. Pertanto il presente documento fa riferimento, se del caso, anche alla pertinente giurisprudenza della Corte relativa all’interpretazione di tali direttive.

La comunicazione non esamina l’applicazione della direttiva nei singoli Stati membri, comprese le decisioni degli organi giurisdizionali nazionali e di altre autorità competenti. In aggiunta alle diverse fonti di informazione disponibili negli Stati membri, le informazioni riguardanti le disposizioni nazionali di recepimento della direttiva, la giurisprudenza e la dottrina sono reperibili nella banca dati sul diritto dei consumatori accessibile tramite il portale e-Justice (6).

La presente comunicazione è rivolta agli Stati membri e all’Islanda, al Liechtenstein e alla Norvegia, in qualità di firmatari dell’accordo sullo Spazio economico europeo (7) (SEE). I riferimenti all’UE, all’Unione o al mercato unico sono pertanto da intendersi come riferimenti al SEE o al mercato del SEE.

La presente comunicazione intende essere un mero documento di orientamento: soltanto gli atti legislativi dell’UE hanno efficacia giuridica. L’interpretazione autentica della normativa deve discendere dal testo della direttiva e direttamente dalle decisioni della Corte. La presente comunicazione tiene conto delle sentenze della Corte pubblicate fino all’ottobre 2021 e non è tale da pregiudicare ulteriori sviluppi della giurisprudenza della Corte.

I pareri espressi nella presente comunicazione non sono tali da pregiudicare la posizione che la Commissione europea può assumere dinanzi alla Corte. Le informazioni contenute nella presente comunicazione hanno carattere generale e non si rivolgono a nessun particolare individuo od organismo. Né la Commissione europea né qualunque persona che agisca a nome della Commissione è responsabile del possibile uso delle informazioni che seguono.

Poiché la presente comunicazione riflette la situazione al momento della sua stesura, gli orientamenti proposti potranno essere successivamente modificati.

1.   Ambito di applicazione

1.1.    Le nozioni di «professionista» e di «consumatore»

Come stabilito all’articolo 1, la direttiva sui diritti dei consumatori si applica ai «contratti conclusi tra consumatori e professionisti». Pertanto, affinché un contratto rientri nell’ambito di applicazione della direttiva, è necessario stabilire che una delle parti è un professionista quale definito all’articolo 2, punto 2), e l’altra parte è un consumatore quale definito all’articolo 2, punto 1).

Ai sensi dell’articolo 2, punto 1), per «consumatore» si intende qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della direttiva, agisca per fini che non rientrano nel quadro della sua attività commerciale, imprenditoriale, artigianale o professionale. Da tale disposizione consegue che devono essere soddisfatte due condizioni cumulative affinché una persona possa rientrare nell’ambito di applicazione di tale nozione, segnatamente che: i) la persona sia una persona fisica e ii) le persone agiscano per fini non professionali.

Come spiegato nel considerando 13, gli Stati membri possono mantenere o introdurre una legislazione nazionale corrispondente alla direttiva in materia di contratti che non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva, per esempio estendendo l’applicazione delle norme nazionali anche alle persone fisiche che non sono consumatori ai sensi dell’articolo 2, punto 1), o alle persone giuridiche, quali le organizzazioni non governative, le start-up o le piccole e medie imprese.

A tale riguardo, nella causa C-329/19 Condominio di Milano (8), la Corte ha confermato che la nozione di «consumatore» può essere estesa dalla giurisprudenza nazionale in modo tale che le norme a tutela dei consumatori siano applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico che non sia una persona fisica, quale il condominio nell’ordinamento italiano.

Inoltre la Corte ha ritenuto che la nozione di «consumatore» designi un privato non impegnato in attività commerciali o professionali (9). Questo secondo criterio dovrebbe essere interpretato alla luce del considerando 17, che introduce la qualifica di «uso predominante»: «[…] nel caso di contratti con duplice scopo, qualora il contratto sia concluso per fini che parzialmente rientrano nel quadro delle attività commerciali della persona e parzialmente ne restano al di fuori e lo scopo commerciale sia talmente limitato da non risultare predominante nel contesto generale del contratto, la persona in questione dovrebbe altresì essere considerata un consumatore».

Pertanto anche una persona fisica che, nei contratti oggetto della direttiva, agisca per fini che non rientrano principalmente nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale ricadrebbe nella definizione di «consumatore». Tale qualificazione dovrebbe basarsi su una valutazione caso per caso (10).

Il termine «professionista» è definito all’articolo 2, punto 2), come una persona fisica o giuridica che agisce «nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale» o in nome o per conto di un professionista. Possono qualificarsi come professionisti non solo i soggetti privati, ma anche quelli pubblici.

Nella causa C-105/17 Kamenova (11) , la Corte ha osservato che la nozione di «professionista» è definita in modo pressoché identico nell’ambito sia della direttiva sui diritti dei consumatori che della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (12) sulle pratiche commerciali sleali e deve pertanto essere interpretata in modo uniforme. Basandosi sulla giurisprudenza elaborata nell’ambito della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, la Corte ha interpretato la nozione di «professionista» in senso ampio, ritenendo che questa debba essere determinata in relazione alla nozione correlata ma diametralmente opposta di «consumatore». Rispetto ad un professionista, il consumatore si trova in una posizione di inferiorità e si deve ritenere che egli sia meno informato, economicamente più debole e meno esperto sul piano giuridico rispetto alla controparte. La qualificazione come «professionista» richiede una valutazione caso per caso, in cui si tenga conto dei criteri indicativi seguenti:

i)

se la vendita è stata effettuata in modo organizzato;

ii)

se tale vendita ha fini di lucro;

iii)

se il venditore dispone di informazioni e competenze tecniche relative ai prodotti offerti in vendita delle quali il consumatore non necessariamente dispone, in maniera tale da porlo in una posizione più vantaggiosa rispetto a detto consumatore;

iv)

se il venditore ha uno status giuridico che gli consente di compiere atti di commercio;

v)

in quale misura la vendita è collegata all’attività commerciale o professionale del venditore;

vi)

se il venditore è soggetto all’IVA;

vii)

se il venditore, agendo in nome di un determinato professionista o per suo conto o tramite un’altra persona che agisce in suo nome e per suo conto, ha percepito un compenso o una provvigione;

viii)

se il venditore acquista beni nuovi o d’occasione al fine di rivenderli, conferendo così a tale attività un carattere di regolarità, una frequenza e/o una simultaneità rispetto alla propria attività commerciale o professionale;

ix)

se i prodotti in vendita sono tutti del medesimo tipo o dello stesso valore; e

x)

se l’offerta è concentrata su un numero limitato di prodotti.

La CGUE ha sottolineato che tali criteri non sono tassativi né esclusivi e che, in linea di principio, il fatto che uno o più criteri siano soddisfatti non è sufficiente, di per sé solo, a qualificare la persona come «professionista». Il semplice fatto che la vendita persegua scopi di lucro o che una persona pubblichi, contemporaneamente, su una piattaforma online un certo numero di annunci per la vendita di beni nuovi e d’occasione non può essere sufficiente, di per sé solo, a qualificare tale persona come «professionista» (13).

Nei casi in cui vi sia il coinvolgimento di un intermediario (per esempio un mercato online) o di un professionista che ne rappresenta un altro, questi diversi professionisti dovrebbero chiarire al consumatore quale professionista è la controparte contrattuale del consumatore e quali sono i rispettivi ruoli e responsabilità dei diversi professionisti. La questione è ulteriormente approfondita nella sezione 3.2.2.1.

A tale riguardo, la direttiva (UE) 2019/2161 ha modificato la direttiva sui diritti dei consumatori introducendo l’obbligo per i fornitori dei mercati online di comunicare al consumatore se il fornitore terzo agisce in qualità di «professionista» o «non professionista» (consumatore alla pari), sulla base di una dichiarazione effettuata nei confronti dei fornitori dei mercati online dal fornitore terzo stesso. Gli obblighi di informazione per i mercati online sono trattati nella sezione 3.4.2.

1.2.    La nozione di «contratto»

Il fattore determinante per l’applicazione della direttiva è l’offerta di concludere un contratto tra un professionista e un consumatore. La direttiva non offre una definizione di «contratto» e non stabilisce in quali circostanze si ritiene concluso un contratto al quale si applica la direttiva. Spetta agli organi giurisdizionali nazionali e alle autorità preposte all’esecuzione della normativa nello Stato membro interessato valutare se un rapporto giuridico costituisca un «contratto». L’articolo 3, paragrafo 5, recita:

Articolo 3

5.   La presente direttiva non pregiudica il diritto contrattuale nazionale generale, quali le norme sulla validità, formazione o efficacia di un contratto, nella misura in cui gli aspetti relativi al diritto contrattuale generale non sono disciplinati dalla presente direttiva.

Per esempio, la direttiva lascia impregiudicate le norme nazionali di diritto contrattuale sul trasferimento dei diritti e degli obblighi contrattuali da un consumatore all’altro.

Occorre rilevare che un unico contratto può coprire più articoli, intesi sia come beni che come contenuti digitali. Per esempio, in funzione delle condizioni, un unico contratto di abbonamento potrà coprire la fornitura di una gamma di contenuti digitali. Ogni fornitura di singoli contenuti digitali compresa in un contratto di abbonamento non costituirà di conseguenza un nuovo contratto ai fini della direttiva.

Nella sentenza Stichting Waternet, C-922/19 (14) , la Corte si è pronunciata sulla questione se il mantenimento dell’allaccio idrico di un’abitazione in caso di cambio di inquilino senza una richiesta esplicita da parte del nuovo inquilino costituisca una «fornitura non richiesta» ai sensi dell’allegato I, punto 29), della direttiva sulle pratiche commerciali sleali (in prosieguo la «lista nera»), con un conseguente diritto per il consumatore di non pagare la fornitura ai sensi dell’articolo 27 della direttiva sui diritti dei consumatori. La causa di specie richiedeva, tra l’altro, di stabilire se un contratto può essere considerato concluso tra una società di distribuzione di acqua e un consumatore senza il consenso espresso di quest’ultimo.

La Corte ha riconosciuto che la fornitura di acqua non sempre richiede l’esistenza di un contratto. È anche possibile che il rapporto giuridico tra il rispettivo fornitore e consumatore sia interamente disciplinato dalla normativa nazionale, per quanto riguarda sia la fornitura di acqua da parte di [tale] professionista, sia le spese connesse a tale fornitura gravanti sul consumatore  (15).

In tal caso, in assenza di contratto, la direttiva non si applicherebbe al rapporto tra il fornitore e il consumatore. In ogni caso resta decisivo se il rispettivo rapporto sia considerato come «contratto» ai sensi del diritto nazionale applicabile.

1.3.    Contratti contemplati

La direttiva regola alcuni aspetti dei contratti conclusi tra un professionista e un consumatore. In primo luogo, essa distingue tra diversi contratti a seconda delle circostanze in cui sono conclusi:

(1)

contratti conclusi fuori dei locali commerciali del professionista (contratti negoziati fuori dei locali commerciali);

(2)

contratti che utilizzano mezzi di comunicazione a distanza, su internet, anche sui mercati online, per telefono ecc. (contratti a distanza); e

(3)

contratti diversi dai contratti a distanza o dai contratti negoziati fuori dei locali commerciali (di norma si tratta di contratti conclusi in normali negozi fisici, in prosieguo «contratti negoziati nei locali commerciali»).

La direttiva distingue inoltre tra i seguenti tipi di contratti in base al loro oggetto:

(1)

contratti di vendita;

(2)

contratti di servizi, compresi i contratti di servizi digitali;

(3)

contratti per la fornitura di contenuto digitale non fornito su un supporto materiale («contratti per la fornitura di contenuto digitale online»); e

(4)

contratti per la fornitura di acqua, gas o elettricità, quando non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità determinata, o di teleriscaldamento («contratti per la fornitura di servizi di pubblica utilità»).

La definizione dei contratti di vendita e dei contratti di servizi è contenuta nell’articolo 2, punti 5) e 6), della direttiva. La direttiva non definisce espressamente i contratti per la fornitura di contenuto digitale online né quelli per la fornitura di servizi di pubblica utilità, ma il considerando 19 precisa che, ai sensi della direttiva, questi non sono considerati né un contratto di vendita né un contratto di servizi.

Benché molte disposizioni della direttiva riguardino in generale tutti e quattro i tipi di contratti, alcune norme si applicano soltanto a un tipo specifico di contratto. In particolare (articolo 9) i diversi contratti prevedono norme diverse per il calcolo del periodo di recesso (si veda anche la sezione 5 sul diritto di recesso).

Il considerando 19 aggiunge che, se fornito su un supporto materiale, il contenuto digitale dovrebbe essere considerato un «bene» ai sensi della direttiva. A titolo esemplificativo cita il contenuto digitale fornito su CD o DVD, ma lo stesso approccio si applica anche al contenuto digitale fornito su altri vettori o su un dispositivo intelligente, come una console di gioco con giochi preinstallati. Indipendentemente dal tipo di supporto materiale (16), il contratto per tale contenuto digitale rientra nell’ambito di applicazione delle norme della direttiva sui diritti dei consumatori sul diritto di recesso applicabile ai contratti di vendita (17).

Poiché la definizione del contratto di vendita (di seguito) fa riferimento al trasferimento della proprietà di beni dal professionista al consumatore (ossia ai contratti tra imprese e consumatori), la direttiva non si applica ai contratti a norma dei quali è il consumatore a trasferire beni al professionista, per esempio un gioiello o un’autovettura di seconda mano.

1.4.    Contratti misti

Articolo 2

5)   «contratto di vendita»: qualsiasi contratto in base al quale il professionista trasferisce o si impegna a trasferire la proprietà di beni al consumatore, inclusi i contratti che hanno come oggetto sia beni che servizi;

6)   «contratto di servizi»: qualsiasi contratto diverso da un contratto di vendita in base al quale il professionista fornisce o si impegna a fornire un servizio, compreso un servizio digitale, al consumatore;

Nella pratica molti contratti conclusi tra professionisti e consumatori, regolati dalla direttiva, contengono sia elementi di servizi che di beni. In questi casi è rilevante l’ultima parte della definizione di cui all’articolo 2, punto 5), che definisce i contratti di vendita anche come «contratti che hanno come oggetto sia beni che servizi».

Secondo la definizione di cui all’articolo 2, punto 5), il criterio per classificare un contratto come «contratto di vendita» è il trasferimento della proprietà di beni al consumatore. Quindi se lo scopo principale di un contratto è il trasferimento della proprietà di determinati beni, tale contratto andrà classificato come contratto di vendita anche se comprende alcuni servizi associati forniti dal venditore, come l’installazione, la manutenzione o qualsiasi altra attività di trasformazione, indipendentemente dal valore relativo dei beni e servizi.

Ecco alcuni esempi di contratti che riguardano sia beni che servizi e che, in considerazione del loro scopo principale, di norma dovrebbero essere considerati di norma contratti di vendita:

l’acquisto di mobilio e elettrodomestici da cucina, compresa l’installazione presso il domicilio del consumatore;

l’acquisto di specifiche componenti edili, come finestre e porte, e la relativa installazione presso il domicilio del consumatore;

l’acquisto di uno smartphone collegato all’abbonamento a un servizio di comunicazione elettronica.

Al contrario, se il trasferimento della proprietà di determinati beni non è lo scopo principale del contratto misto, questo non sarà considerato un contratto di vendita.

Ecco alcuni esempi di contratti che riguardano sia beni che servizi e che devono essere classificati contratti di servizi in considerazione del loro scopo principale:

un contratto per la riparazione, la ristrutturazione e la costruzione di annessi di edifici (si veda il considerando 26);

un contratto per la partecipazione a conferenze, che comprenda la consegna di penne e cartelle ai partecipanti;

un contratto per un corso di formazione, che comprenda la consegna di un libro di testo a ciascun partecipante.

Questa interpretazione è corroborata dalla giurisprudenza costante della CGUE sulla libera circolazione delle merci e sulla libera prestazione dei servizi, che resta pertinente anche nel contesto della direttiva.

Per esempio, nella causa C-20/03 Marcel Burmanjer, la Corte ha affermato che un’attività economica deve essere esaminata nel contesto o della libera circolazione delle merci oppure della libera prestazione di servizi qualora risulti che una delle due «è affatto secondaria rispetto all’altra e può esserle ricollegata» (18).

Ciò significa anche che un contratto misto dovrebbe essere considerato un contratto di vendita se i fatti dimostrano che il suo scopo effettivo è il trasferimento della proprietà di beni:

per esempio, se la vendita del libro di testo riveste un’importanza particolare nell’offerta del corso di formazione da parte del professionista e nella comunicazione tra le parti, e se il libro di testo ha un considerevole valore relativo rispetto al prezzo complessivo della formazione, ai fini della direttiva il contratto può classificarsi come un contratto di vendita piuttosto che come un contratto di servizi.

D’altro canto, un contratto misto che comporti la produzione di qualcosa in forma materiale dovrebbe comunque essere considerato un contratto di servizi a condizione che l’oggetto del contratto sia un servizio intellettuale o qualificato e la successiva consegna abbia solo una funzione accessoria (19):

per esempio, il contratto con un architetto per la progettazione di una casa e il contratto con un avvocato per la preparazione e la presentazione di una causa sono entrambi contratti di servizi, anche se alla fine vi è un risultato materiale (per esempio, progetti di costruzione, un’azione legale o una domanda). Analogamente, il contratto con un artista per la realizzazione di un dipinto e il contratto con un fotografo per una sessione fotografica di matrimonio sono contratti di servizi.

In sintesi ciascun contratto misto andrà classificato in base al suo effettivo scopo principale. Il fatto che il contratto possa prevedere la possibilità di stipulare accordi successivi non ne altera di per sé le caratteristiche. Per esempio:

se un contratto per il noleggio di beni prevede soltanto l’opzione e non l’obbligo di trasferire la proprietà, ai fini della direttiva dovrebbe essere classificato come un contratto di servizi.

 

La classificazione di un contratto come contratto di vendita o di servizi determina le modalità di calcolo del periodo di recesso (articolo 9). Per i contratti di servizi, i 14 giorni del periodo di recesso decorrono a partire dalla conclusione del contratto. Per i contratti di vendita, il periodo di recesso decorre soltanto a partire dal ricevimento dei beni. Inoltre alcune delle disposizioni della direttiva, come gli articoli 18 e 20 sulla consegna e sul passaggio del rischio, si applicano soltanto ai contratti di vendita.

 

Lo stesso contratto di vendita o di servizi può inoltre coprire servizi non regolamentati dalla direttiva. Per esempio un contratto di vendita o di servizi può offrire la possibilità di pagamento rateale a un determinato tasso di interesse. Un tale contratto sarebbe soggetto anche alle norme specifiche che regolano i servizi finanziari ai consumatori (20). Le norme sui contratti accessori, di cui all’articolo 15 della direttiva, si applicano per analogia (si veda la sezione 5.10).

1.5.    Distinzione tra servizi digitali e contenuto digitale online

La direttiva (UE) 2019/2161 ha chiarito che la definizione di «contratto di servizi» di cui alla direttiva sui diritti dei consumatori comprende anche i contratti di «servizi digitali» (cfr. la definizione nella sezione precedente). Inoltre, all’articolo 2, punto 16, ha introdotto una definizione di«servizio digitale» che rinvia alla definizione di cui all’articolo 2, punto 2, della direttiva (UE) 2019/770 del Parlamento europeo e del Consiglio (21) sul contenuto digitale.

L’articolo 2 della direttiva sul contenuto digitale così dispone:

Articolo 2

1)   «contenuto digitale»: i dati prodotti e forniti in formato digitale;

2)   «servizio digitale»:

a)

un servizio che consente al consumatore di creare, trasformare, archiviare i dati o di accedervi in formato digitale; oppure

b)

un servizio che consente la condivisione di dati in formato digitale caricati o creati dal consumatore e da altri utenti di tale servizio o qualsiasi altra interazione con tali dati;

Il considerando 19 della direttiva sul contenuto digitale spiega che «per tener conto dei rapidi sviluppi tecnologici e preservare il carattere evolutivo del concetto di ‘contenuto digitale’ o di ‘servizio digitale’, la presente direttiva dovrebbe contemplare, tra l’altro, programmi informatici, applicazioni, file video, file audio, file musicali, giochi digitali, libri elettronici o altre pubblicazioni elettroniche, nonché i servizi digitali […] fra cui i software come servizio quali la condivisione audio e video e altri tipi di file hosting, la videoscrittura o i giochi offerti nell’ambiente di cloud computing e nei media sociali». Occorre rilevare che, mentre la seconda serie di esempi è chiaramente attribuita alla categoria dei servizi digitali, la qualificazione della prima serie di esempi come contenuto digitale o servizi digitali dipende della modalità di trasmissione o di accesso, così come da altri elementi specifici del tipo di attività.

Il considerando 30 della direttiva (UE) 2019/2161 fornisce ulteriori orientamenti per distinguere i contratti per la fornitura di contenuto digitale online dai contratti di servizi digitali. In particolare, «[e]sempi di servizi digitali sono i servizi di condivisione di file video e audio e altri tipi di file hosting, il trattamento testi o i giochi offerti nell’ambiente di cloud computing, l’archiviazione su cloud, la webmail, i media sociali e le applicazioni su cloud». Per contro, «[n]umerosi contratti per la fornitura di servizi digitali [online] […] sono caratterizzati da una singola fornitura da parte del professionista per fornire al consumatore uno o più elementi specifici del contenuto digitale, come file musicali o video».

Di conseguenza i servizi digitali sono, per esempio:

abbonamenti a servizi di archiviazione su internet di immagini create dal consumatore, a social network o a servizi di telefonia in video/in voce su internet;

abbonamenti a servizi online di informazioni meteorologiche o sul traffico;

abbonamenti a newsletter/giornali online (si veda anche l’eccezione al diritto di recesso di cui all’articolo 16, primo comma, lettera j), riguardante la fornitura di un giornale ma non gli abbonamenti ai giornali).

Il considerando 30 della direttiva (UE) 2019/2161 riconosce che può tuttavia risultare difficile distinguere tra alcuni tipi di contenuti digitali online e di servizi digitali. Pertanto «[q]ualora non sia chiaro se il contratto è un contratto di servizi o di fornitura di contenuti digitali forniti mediante un supporto non materiale, si dovrebbe applicare la norma sul diritto di recesso per i servizi».

La distinzione tra contratti per la fornitura di contenuto digitale online e contratti di servizi digitali è importante a motivo dei diversi regimi di diritto di recesso. Le norme sul diritto di recesso per i contratti di servizi consentono effettivamente al consumatore di testare il servizio e di decidere, durante il periodo di 14 giorni dalla conclusione del contratto, se mantenerlo o meno.

Per contro, ai sensi dell’articolo 16, primo comma, lettera m), non sussiste alcun diritto di recesso in caso di fornitura di contenuto digitale online, subordinatamente a diverse condizioni. Conformemente alle modifiche introdotte dalla direttiva (UE) 2019/2161, tali condizioni consistono nel fatto che l’esecuzione sia iniziata con il previo consenso espresso del consumatore e con la sua accettazione del fatto che avrebbe perso il diritto di recesso e che il professionista abbia fornito la conferma del contratto concluso (cfr. anche la sezione 5.7).

Nella sentenza C-641/19 PE Digital, la Corte ha chiarito che l’eccezione al diritto di recesso di cui all’articolo 16, lettera m), della direttiva sui diritti dei consumatori applicabile ai contratti per la fornitura di contenuto digitale online dovrebbe essere interpretata restrittivamente (22). La causa riguardava il recesso da un contratto di abbonamento premium per un sito internet di incontri, ma solo dopo che il consumatore aveva effettuato un test di personalità sulla cui base riceveva una selezione di proposte di incontri elaborata da un algoritmo proprietario.

La Corte ha precisato che l’articolo 16, lettera m), in combinato disposto con l’articolo 2, punto 11), della direttiva sui diritti dei consumatori, deve essere interpretato nel senso che la redazione di un siffatto profilo di personalità non costituisce fornitura di un «contenuto digitale». La Corte ha altresì rilevato più in generale che, alla luce del considerando 19 della direttiva, che consente al consumatore di creare, trattare o memorizzare dati in formato digitale, o di accedervi, e che consente la condivisione o qualsiasi altra interazione con dati in formato digitale che sono caricati o creati dal consumatore o da altri utenti di tale servizio non può essere considerato, in quanto tale, fornitura di un«contenuto digitale», ai sensi dell’articolo 16, lettera m) (23).

Per esempio, la fornitura di videogiochi può comportare sia contratti per la fornitura di contenuto digitale online sia contratti di servizi digitali. I giochi scaricabili si qualificheranno di norma come contenuto digitale online quando il loro utilizzo non dipende dal coinvolgimento continuo del fornitore di giochi. Per contro, i giochi online forniti in un ambiente di cloud computing si qualificheranno come servizi digitali.

Le microtransazioni in-game (acquisti in-app) di tali giochi che migliorano l’esperienza di gioco del rispettivo utente, come gli articoli virtuali, si qualificheranno di norma come contratti per la fornitura di contenuto digitale online. Anche gli acquisti in-app di contenuti che potrebbero essere utilizzati al di fuori del gioco (per esempio una registrazione della sessione di gioco che può essere scaricata o condivisa su una piattaforma per la condivisione di video) costituirà di norma un contratto per la fornitura di contenuto digitale online. Per contro, l’acquisto di contenuti premium che ampliano l’ambiente di gioco online rappresenterà un nuovo servizio digitale che integra quello originario.

1.6.    Contratti a pagamento e contratti in cui il consumatore fornisce dati personali

L’articolo 3 della direttiva sui diritti dei consumatori, che ne definisce l’ambito di applicazione, è stato modificato dalla direttiva (UE) 2019/2161. Il paragrafo 1 modificato fa ora riferimento al «pagamento di un prezzo» come condizione per l’applicazione della direttiva.

Nel contempo è stato aggiunto un nuovo paragrafo 1 bis che estende l’ambito di applicazione della direttiva ai contratti per la fornitura di contenuto digitale online e ai contratti di servizi digitali in cui il consumatore fornisce dati personali al professionista (fatte salve alcune eccezioni).

Articolo 3

1.   La presente direttiva si applica , alle condizioni e nella misura stabilita nelle sue disposizioni, a qualsiasi contratto concluso tra un professionista e un consumatore di cui quest’ultimo paga o si impegna a pagare il prezzo . Si applica ai contratti per la fornitura di acqua, gas, elettricità o teleriscaldamento, anche da parte di prestatori pubblici, nella misura in cui detti prodotti di base sono forniti su base contrattuale.

1 bis.    La presente direttiva si applica anche se il professionista fornisce o si impegna a fornire un contenuto digitale mediante un supporto non materiale o un servizio digitale al consumatore e il consumatore fornisce o si impegna a fornire dati personali al professionista , tranne i casi in cui i dati personali forniti dal consumatore siano trattati dal professionista esclusivamente ai fini della fornitura del contenuto digitale su supporto non materiale o del servizio digitale a norma della presente direttiva o per consentire l’assolvimento degli obblighi di legge cui il professionista è soggetto, e questi non tratti tali dati per nessun altro scopo.

1.6.1.   Contratti a pagamento

La direttiva (UE) 2019/2161 ha modificato le definizioni dei contratti di vendita e di servizi di cui all’articolo 2, punti 5) e 6), della direttiva sui diritti dei consumatori, che non fanno più riferimento al pagamento di un «prezzo» da parte del consumatore. Tuttavia, tenendo conto delle modifiche di cui all’articolo 3, tali contratti restano soggetti alla direttiva solo nel caso in cui il consumatore debba pagare un prezzo (a meno che l’oggetto di un contratto di servizi sia un servizio digitale, cfr. infra).

Il «pagamento di un prezzo» dovrebbe intendersi in senso ampio, includendo anche strumenti con un determinato valore convertibile o monetario (anche se può variare nel tempo), quali buoni (24), carte regalo, punti fedeltà, nonché rappresentazioni di valore digitali (25) quali buoni elettronici, coupon elettronici e valute virtuali.

La direttiva si applica a prescindere dal valore dell’operazione, pertanto sono contemplati anche i servizi di abbonamento di valore modesto (per esempio 5 EUR al mese o all’anno per ottenere l’accesso a beni o offerte premium). La direttiva si applica anche ai contratti di servizi, compresi i contratti di servizi digitali, che prevedono un periodo di prova gratuita, allo scadere del quale si convertono automaticamente in contratti a titolo oneroso (a meno che il consumatore rescinda il contratto prima della conclusione del periodo di prova).

Se è disponibile gratuitamente una versione (limitata) del servizio digitale, in seguito alla quale il consumatore può optare per il servizio (integrale) a pagamento, saranno conclusi due contratti distinti consecutivi. La direttiva si applicherà in questo caso al contratto a pagamento, mentre la sua applicabilità al primo contratto relativo alla versione gratuita (imitata) del servizio digitale dipenderà dal fatto che il consumatore fornisca o meno dati personali alle condizioni di cui all’articolo 3, paragrafo 1 bis.

La direttiva non si applica a doni o servizi prestati dal professionista senza il pagamento di un prezzo, vale a dire gratuitamente (26).

1.6.2.   Contratti in cui il consumatore fornisce dati personali

La direttiva si applica ai contratti per la fornitura di contenuto digitale online e ai contratti di servizi digitali in base ai quali il consumatore fornisce dati personali al professionista (27). A tale riguardo, la direttiva sui diritti dei consumatori segue lo stesso approccio della direttiva sul contenuto digitale.

Per esempio, la direttiva sui diritti dei consumatori si applicherà ai contratti che forniscono libero accesso al contenuto digitale online o ai servizi digitali e in cui il consumatore acconsente al trattamento dei dati personali anche a fini di marketing.

Tuttavia, come la direttiva sul contenuto digitale, la direttiva sui diritti dei consumatori non si applica ai contratti per la fornitura di contenuto digitale online e ai contratti di servizi digitali in cui i dati personali sono trattati unicamente ai fini dell’esecuzione del contratto e del rispetto degli obblighi di legge. Il considerando 34 della direttiva (UE) 2019/2161 chiarisce che tali obblighi di legge possono includere, per esempio, la registrazione del consumatore ai fini di sicurezza e di identificazione, ove espressamente previsto dalla legislazione applicabile.

Inoltre, come spiegato nel considerando 35 della direttiva (UE) 2019/2161, la direttiva non si applica alle situazioni in cui il consumatore, senza aver concluso un contratto con il professionista, è esposto a pubblicità solo allo scopo di ottenere l’accesso a un contenuto digitale o a un servizio digitale (28).

Tale considerando chiarisce inoltre che la direttiva non si applica alle situazioni in cui il professionista raccoglie solo metadati, come informazioni sul dispositivo o sul browser del consumatore («device fingerprinting» o «browser fingerprinting») o la cronologia del browser, tranne nel caso in cui tale situazione sia considerata come un contratto a norma del diritto nazionale (29).

Se il contratto comporta il trattamento di dati personali, il professionista deve rispettare gli obblighi derivanti dal diritto dei consumatori e, in qualità di titolare del trattamento, anche gli obblighi di cui al regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio (30) sulla protezione dei dati («GDPR»). Entrambi i quadri giuridici si applicano alla relazione tra impresa e consumatore contemporaneamente e in maniera complementare.

Per tutti i contratti in cui il consumatore fornisce dati personali (indipendentemente dal fatto che implichino o meno un pagamento), il professionista deve informare il consumatore delle finalità del trattamento nel momento in cui i dati personali sono ottenuti. Inoltre il titolare del trattamento deve dimostrare che il trattamento dei dati personali può basarsi su uno dei fondamenti giuridici di cui all’articolo 6, paragrafo 1, del GDPR. Il «contratto» (articolo 6, paragrafo 1, lettera b), del GDPR) è uno dei fondamenti giuridici ammessi in tal senso. Tuttavia esso è valido solo per il trattamento «necessario all’esecuzione di un contratto», che viene interpretato restrittivamente (31).

Di conseguenza, per i trattamenti che non sono necessari all’esecuzione del contratto, il professionista deve fare affidamento anche su un’altra base giuridica ammessa per il trattamento ai sensi del GDPR, per esempio il consenso libero e informato del consumatore (articolo 6, paragrafo 1, lettera a)] (32). Conformemente al GDPR, il consenso dei consumatori è valido solo se manifesta la volontà libera, specifica, informata e inequivocabile. Nel contesto di un rapporto contrattuale, il consenso può essere liberamente prestato solo se l’esecuzione del contratto non è condizionata ad esso (articolo 7, paragrafo 4, del GDPR). La capacità di revocare il consenso senza subire pregiudizio è pertanto un presupposto essenziale per la validità del consenso (considerando 42 del GDPR). Dopo la revoca del consenso, il professionista non può più trattare lecitamente i dati personali il cui trattamento si basava su tale consenso.

Di conseguenza, per i trattamenti che non sono necessari all’esecuzione del contratto, il professionista titolare del trattamento deve garantire che vi sia un’altra base giuridica per il trattamento ai sensi del GDPR. Per contro, il «contratto»ai sensi della direttiva sui diritti dei consumatori comprende tutti i diritti e gli obblighi delle parti, indipendentemente dalla distinzione nella base giuridica per il trattamento dei dati personali ai sensi del GDPR.

L’identificazione delle attività di trattamento nel contesto dei contratti con i consumatori e la corretta base giuridica ai sensi del GDPR possono aiutare il professionista a capire se il «contratto» che conclude con il consumatore è soggetto alla direttiva sui diritti dei consumatori. In pratica, quando il professionista deve basarsi su un consenso separato del consumatore o su un’altra base giuridica ai sensi del GDPR (ad eccezione dell’obbligo giuridico) per il trattamento dei dati personali dei consumatori, il contratto nell’ambito del quale avviene tale trattamento sarà soggetto ai requisiti della direttiva sui diritti dei consumatori.

1.7.    Contratti a cui la direttiva non si applica

Come spiegato nella sezione precedente, a seguito della modifica apportata dalla direttiva (UE) 2019/2161 all’articolo 3 della direttiva sui diritti dei consumatori, la direttiva non si applica ai contratti in cui il consumatore non paga un prezzo o, nel caso di contratti per la fornitura di contenuto digitale online o contratti di servizi digitali, in cui il consumatore non paga il prezzo né fornisce dati personali al professionista.

Inoltre l’articolo 3, paragrafo 3, elenca categorie specifiche di contratti escluse dall’ambito di applicazione della direttiva. Per esempio, la direttiva non si applica ai contratti di servizi finanziari, compresi i servizi di natura assicurativa e di investimento. Sono esclusi anche i servizi sociali e di assistenza sanitaria, le attività di azzardo, i contratti di multiproprietà e i relativi servizi per le vacanze. I contratti relativi ai servizi di trasporto passeggeri e ai pacchetti turistici (33) sono esclusi in linea di principio, sebbene siano ancora in vigore disposizioni specifiche.

Ulteriori spiegazioni sono fornite di seguito. Come regola generale tutte le eccezioni devono essere interpretate restrittivamente (34).

1.7.1.   Contratti di locazione e contratti di costruzione

Articolo 3

3.   La presente direttiva non si applica ai contratti:

e)

per la creazione, l’acquisizione o il trasferimento di beni immobili o di diritti su beni immobili;

f)

per la costruzione di nuovi edifici, la trasformazione sostanziale di edifici esistenti e per la locazione di alloggi a scopo residenziale;

L’eccezione di cui alla lettera e) riguarda la categoria generale dei beni immobili, terreni compresi, mentre la lettera f) riguarda gli edifici.

Mentre la locazione di alloggi a scopo residenziale è esclusa dall’ambito di applicazione della direttiva, la locazione di alloggi a scopo non residenziale è inclusa. Questo punto è illustrato anche nel considerando 26: «I contratti di servizi, in particolare quelli relativi alla costruzione di annessi di edifici (ad esempio un garage o una veranda) e quelli relativi alla riparazione e ristrutturazione di edifici diverse dalla trasformazione sostanziale, dovrebbero rientrare nell’ambito di applicazione della […] direttiva , così come i contratti relativi ai servizi di un agente immobiliare e quelli relativi alla locazione di alloggi a scopo non residenziale».

Per esempio la locazione di un posto auto o di una sala per ricevimenti rientra nell’ambito di applicazione della direttiva.

È opportuno operare una distinzione tra contratti di costruzione e contratti di servizi relativi alla costruzione. Nella causa C-208/19 NK, la Corte ha osservato che l’eccezione di cui all’articolo 3, paragrafo 3, lettera f), non si applicherebbe a un contratto tra un architetto e un consumatore, in forza del quale il primo sia tenuto a effettuare la progettazione per la costruzione di un nuovo edificio. Sebbene la progettazione preceda i lavori di costruzione, si tratta di un processo a parte e, in realtà, non vi è alcuna certezza che l’edificio sarà affatto costruito (35).

Inoltre, sulla base dell’articolo 2, punti 3) e 4), e dell’articolo 16, primo comma, lettera c), ai sensi di quest’ultima disposizione un siffatto contratto non può essere considerato come una fornitura di beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati. Sebbene i progetti possano essere forniti in formato materiale cartaceo o come contenuto digitale, l’oggetto del contratto è un servizio intellettuale di progettazione architettonica e la successiva consegna ha solo una funzione accessoria (36).

In base alla logica di cui sopra, la direttiva sui diritti dei consumatori dovrebbe applicarsi ai contratti di servizi che possono essere connessi alla costruzione ma che costituiscono un processo distinto con un risultato indipendente, come i contratti conclusi con geometri, i contratti per la progettazione di interni, la pianificazione del paesaggio ecc.

1.7.2.   Pacchetti turistici

Articolo 3

3.   La presente direttiva non si applica ai contratti:

g)

di pacchetti definiti all’articolo 3, punto 2), della direttiva (UE) 2015/2302 del Parlamento europeo e del Consiglio.

L’articolo 6, paragrafo 7, l’articolo 8, paragrafi 2 e 6, gli articoli 19, 21 e 22 della presente direttiva si applicano mutatis mutandis ai pacchetti definiti all’articolo 3, punto 2), della direttiva (UE) 2015/2302 in relazione ai viaggiatori definiti all’articolo 3, punto 6), di detta direttiva;

Alcune disposizioni della direttiva si applicano ai contratti relativi ai pacchetti turistici, quali definiti dalla direttiva (UE) 2015/2302 del Parlamento e del Consiglio relativa ai pacchetti turistici (37), segnatamente la scelta normativa degli Stati membri di stabilire requisiti linguistici relativi all’informazione contrattuale (articolo 6, paragrafo 7); le informazioni che i professionisti devono fornire direttamente ai consumatori prima di concludere un contratto con mezzi elettronici, anche in merito all’obbligo di pagare del consumatore (articolo 8, paragrafo 2); la scelta normativa degli Stati membri per quanto riguarda la conferma dell’offerta in caso di contratti a distanza conclusi per telefono (articolo 8, paragrafo 6); il divieto di imporre tariffe per l’utilizzo di mezzi di pagamento (articolo 19); il divieto di utilizzare numeri telefonici per i quali il consumatore sia tenuto a pagare più della tariffa di base (articolo 21); e l’obbligo del consenso espresso dei consumatori per i pagamenti supplementari (articolo 22).

Occorre rilevare che la direttiva relativa ai pacchetti turistici disciplina anche i cosiddetti «servizi turistici collegati» (38), che comprendono almeno due tipi diversi di servizi turistici acquistati per un unico viaggio o un’unica vacanza, ma non costituiscono un pacchetto (ai sensi di tale direttiva) e derivano dalla conclusione di contratti distinti con singoli fornitori di servizi turistici. La direttiva sui diritti dei consumatori stabilisce gli obblighi di informazione precontrattuale e si applica ai singoli contratti di servizi comprendenti un servizio turistico collegato, fatte salve le limitazioni di cui all’articolo 3, paragrafo 3, e all’articolo 16, primo comma, lettera l). Per esempio, per quanto riguarda i contratti di servizi di trasporto passeggeri, si applicano solo gli obblighi di cui all’articolo 8, paragrafo 2, e agli articoli 19, 21 e 22 (per maggiori informazioni si veda la sezione 1.7.5 di seguito).

1.7.3.   Contratti istituiti con l’intervento di un pubblico ufficiale

Articolo 3

3.   La presente direttiva non si applica ai contratti:

i)

che, secondo i diritti degli Stati membri, sono istituiti con l’intervento di un pubblico ufficiale, tenuto per legge all’indipendenza e all’imparzialità, il quale deve garantire, fornendo un’informazione giuridica completa, che il consumatore conclude il contratto soltanto sulla base di una decisione giuridica ponderata e con conoscenza della sua rilevanza giuridica;

La direttiva non individua i pubblici ufficiali di cui a questa disposizione. Tuttavia essa stabilisce i criteri che devono soddisfare affinché il contratto non rientri nell’ambito di applicazione della direttiva. L’eccezione si applica unicamente ai contratti istituiti con l’intervento di un pubblico ufficiale (come per esempio un notaio) soggetto, ai sensi del diritto nazionale, a tutte le condizioni di cui all’articolo 3, paragrafo 3, lettera i):

l’eccezione non si applicherebbe per esempio a un contratto per il quale un pubblico ufficiale, tenuto per legge all’indipendenza e all’imparzialità, si sia limitato a certificare l’identità delle parti.

Perché l’eccezione sia applicabile, non sembra necessario che il diritto nazionale esiga che il contratto in questione sia concluso con l’intervento di un pubblico ufficiale. L’eccezione si applica inoltre quando una o entrambe le parti del contratto richiedono volontariamente che un pubblico ufficiale istituisca il contratto che le riguarda (39).

1.7.4.   Contratti per beni destinati al consumo corrente

Articolo 3

3.   La presente direttiva non si applica ai contratti:

j)

di fornitura di alimenti, bevande o altri beni destinati al consumo corrente nella famiglia e fisicamente forniti da un professionista in giri frequenti e regolari al domicilio, alla residenza o al posto di lavoro del consumatore;

Tale eccezione richiede il rispetto di due condizioni:

a)

che il professionista fornisca i beni in «giri frequenti e regolari» e

b)

che i beni siano destinati «al consumo corrente nella famiglia».

L’esplicito riferimento della disposizione alla fornitura presso il «posto di lavoro» del consumatore indica che l’effettivo consumo dei beni non deve necessariamente aver luogo presso il domicilio del consumatore.

1.7.5.   Trasporto di passeggeri

Articolo 3

3.   La presente direttiva non si applica ai contratti:

k)

di servizi di trasporto passeggeri, fatti salvi l’articolo 8, paragrafo 2, e gli articoli 19, 21 e 22;

La direttiva (UE) 2019/2161 ha modificato tale eccezione e ha reso l’articolo 21 sull’obbligo della «tariffa di base» per le comunicazioni telefoniche post-contrattuali applicabile anche al trasporto passeggeri (per ulteriori informazioni si veda la sezione 9).

Nella causa C-583/18 DB Vertrieb, la Corte ha stabilito che tale eccezione non si applica alla vendita di carte sconto per il trasporto, che rientrano pertanto nell’ambito di applicazione della direttiva.

La Corte ha qualificato queste ultime come un tipo di «contratto di servizi» avente un obiettivo specifico che non mira direttamente, in quanto tale, a consentire la realizzazione di un trasporto passeggeri. Al contrario, il contratto inteso a far beneficiare il consumatore di una riduzione di prezzo al momento della successiva conclusione di contratti di trasporto passeggeri e il contratto vertente sull’acquisto di un titolo di trasporto passeggeri costituiscono due contratti giuridicamente distinti l’uno dall’altro, cosicché il primo non può essere considerato un contratto inscindibilmente legato al secondo. Infatti l’acquisto di una carta che consente al suo titolare di beneficiare di riduzioni di prezzo al momento dell’acquisto di titoli di trasporto non implica necessariamente la successiva conclusione di un contratto avente ad oggetto il trasporto passeggeri in quanto tale (40).

1.7.6.   Vendite automatizzate

Articolo 3

3.   La presente direttiva non si applica ai contratti:

l)

conclusi tramite distributori automatici o locali commerciali automatizzati;

Questa eccezione si applica ai contratti conclusi alla presenza fisica del consumatore e nel luogo in cui il bene o servizio è venduto/fornito con mezzi automatizzati, quali distributori automatici, stazioni di rifornimento automatizzate o parcheggi.

1.7.7.   Contratti relativi alle comunicazioni elettroniche

Articolo 3

3.   La presente direttiva non si applica ai contratti:

m)

conclusi con operatori delle telecomunicazioni impiegando telefoni pubblici a pagamento per il loro utilizzo o conclusi per l’utilizzo di un solo collegamento tramite telefono, internet o fax, stabilito dal consumatore.

La disposizione esclude due tipi di contratto dall’ambito di applicazione della direttiva.

Il primo tipo menzionato nella direttiva sui diritti dei consumatori comprende i contratti conclusi con fornitori di servizi di comunicazione elettronica impiegando telefoni pubblici a pagamento per il loro utilizzo. L’espressione «telefono pubblico a pagamento» indica qualsiasi apparecchio telefonico accessibile al pubblico, utilizzabile con mezzi di pagamento che possono includere monete e/o carte di credito/addebito e/o schede prepagate, comprese le schede con codice di accesso (41).

L’eccezione, che si applica ai contratti conclusi «impiegando» telefoni pubblici a pagamento, riguarda i casi in cui il contratto è concluso, per esempio, con l’inserimento di monete o facendo passare la carta di credito nel telefono pubblico a pagamento, al fine di effettuare una chiamata vocale o di accedere a un elenco telefonico o a un altro servizio di riferimento offerto dallo stesso operatore;

e non si applica ai contratti conclusi con operatori di telefoni pubblici a pagamento, per esempio previo acquisto di una carta telefonica di chiamata prepagata.

La seconda parte dell’articolo 3, paragrafo 3, lettera m), concernente i contratti conclusi per l’utilizzo di«un solo collegamento»stabilito dal consumatore, ha un ambito di applicazione più esteso. A differenza dei contratti per l’uso di telefoni pubblici a pagamento, non viene fatto riferimento alle parti che lo sottoscrivono, il che fa dedurre che la disposizione non riguarda solo i contratti conclusi con fornitori di servizi di comunicazione elettronica. Inoltre non vi è alcuna indicazione dei fini o del contenuto di questo tipo di contratto.

L’eccezione si applica pertanto, per esempio, a:

un contratto per l’utilizzo di un punto di accesso senza fili (WAP) per una singola sessione internet

e non si applica invece a contratti per servizi di comunicazione elettronica (42) che coprano un periodo e/o un volume di utilizzo determinati, per esempio:

contratti conclusi tramite il previo acquisto di una carta SIM prepagata per servizi di telefonia mobile oppure di un codice di accesso a servizi di accesso Wi-Fi a lungo termine o per utilizzo multiplo.

L’eccezione si applica anche a contratti conclusi con i prestatori di servizi a tariffa maggiorata (PRS), ossia servizi pagati tramite la bolletta telefonica del consumatore (43) nei casi in cui il contratto è concluso e nello stesso momento pienamente eseguito allorché il consumatore effettua una singola chiamata o invia un SMS al numero PRS, per esempio:

una telefonata effettuata al servizio di consultazione degli elenchi telefonici o il televoto in un programma.

Per contro, la direttiva sui diritti dei consumatori è applicabile ai contratti in cui la chiamata vocale o l’SMS a un numero PRS è un mezzo per concludere e pagare un contratto che viene eseguito successivamente:

per esempio, contratti conclusi tramite un SMS inviato a un fornitore di servizi di parcheggio.

In questi casi il professionista deve informare il consumatore in merito al costo della chiamata vocale o dell’SMS al numero PRS, in quanto tale costo costituirà il «prezzo» del contratto in questione, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera e). Inoltre, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera f), della direttiva, sono richieste informazioni sul costo dell’utilizzo del mezzo di comunicazione a distanza per la conclusione di un contratto quando tale costo è al di sopra della «tariffa di base». L’interpretazione della nozione di «tariffa di base» è ulteriormente approfondita nella sezione 8.

Il fatto che la direttiva non si applichi a certi contratti che comportano il ricorso a PRS, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, lettera m), non significa che essi non siano soggetti alle norme sulla protezione dei consumatori. Il quadro normativo dell’UE sulle comunicazioni elettroniche — e in particolare il codice europeo delle comunicazioni elettroniche (direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio (44)) — consente agli Stati membri e alle competenti autorità nazionali di regolamentazione di adottare misure specifiche per proteggere i consumatori nei confronti dei PRS. Alcuni Stati membri hanno perciò introdotto garanzie supplementari in questo settore, tra cui per esempio limiti di consumo o l’obbligo di segnalare il prezzo all’inizio della chiamata.

1.8.    Possibile esenzione per i contratti di modesto valore negoziati fuori dei locali commerciali

L’articolo 3, paragrafo 4, consente agli Stati membri di non applicare la direttiva ai contratti negoziati fuori dei locali commerciali per i quali il corrispettivo a carico del consumatore non supera i 50 EUR o un valore inferiore stabilito dalla legislazione nazionale. Se uno Stato membro decide di optare in tal senso, sussiste il rischio che i professionisti aggirino la direttiva suddividendo artificiosamente un singolo contratto, di valore superiore alla soglia fissata, in una serie di contratti. Come spiega il considerando 28: «Qualora due o più contratti con oggetto correlato siano conclusi allo stesso tempo dal consumatore, il costo totale dovrebbe essere tenuto in considerazione ai fini dell’applicazione di tale soglia». Questo principio si applica:

per esempio alla vendita dei singoli volumi di una trilogia con tre contratti distinti oppure alla vendita di un paio di orecchini con due singoli contratti allo stesso tempo.

 

Per i contratti a lungo termine (abbonamenti), l’importo rilevante per l’applicazione di questa eccezione è l’importo totale che il consumatore si impegna a pagare al momento della conclusione del contratto, ossia l’importo totale delle rate mensili o delle spese nel corso del periodo contrattuale concordato, compresi eventuali periodi «gratuiti».

1.9.    Norme per le aste pubbliche

La direttiva prevede norme specifiche sulle «aste pubbliche», definite dall’articolo 2, punto 13), come «metodo di vendita in cui beni o servizi sono offerti dal professionista ai consumatori che partecipano o cui è data la possibilità di partecipare all’asta di persona , mediante una trasparente procedura competitiva di offerte gestita da una casa d’aste e in cui l’aggiudicatario è vincolato all’acquisto dei beni o servizi».

Per le aste pubbliche, l’articolo 6, paragrafo 3, permette di sostituire l’identità, gli estremi e l’indirizzo geografico del luogo di stabilimento e di commercio del professionista che vende i beni o servizi con quelli della casa d’aste. Inoltre, in forza dell’eccezione di cui all’articolo 16, primo comma, lettera k), non esiste diritto di recesso dai contratti conclusi in occasione di un’asta pubblica.

Un’asta pubblica deve dare ai consumatori la possibilità di partecipare di persona, anche quando sia possibile presentare offerte online o per telefono: le aste online che non prevedono la possibilità di partecipare di persona non devono essere considerate aste pubbliche.

Il considerando 24 recita: «L’uso, a fini d’asta, di piattaforme online messe a disposizione di consumatori e professionisti non dovrebbe essere considerato un’asta pubblica ai sensi della presente direttiva». Di conseguenza le aste online devono conformarsi pienamente alla direttiva per quanto riguarda, per esempio, le informazioni precontrattuali da fornire prima che il consumatore sia vincolato dal contratto (dall’offerta) e il diritto di recesso.

Un esempio dei limiti dell’eccezione di cui sopra è una piattaforma online che offre ai consumatori articoli vari, quali parti di veicoli, piccole macchine, strumenti, elettronica e mobili. Anche se le operazioni possono essere concluse sotto forma di un’asta in cui il prezzo di vendita dei beni è determinato sulla base di offerte presentate a partire da un prezzo iniziale, ciò non sarebbe qualificabile come «asta pubblica». Pertanto i consumatori manterrebbero il diritto di ritirare un’offerta dopo averla presentata, purché siano rispettati i termini previsti dalla direttiva sui diritti dei consumatori.

2.   Contratti negoziati fuori dei locali commerciali

2.1.    Contratti conclusi fuori dei locali commerciali del professionista

L’articolo 2, punto 8), definisce i contratti negoziati fuori dei locali commerciali:

Articolo 2

8)   «contratto negoziato fuori dei locali commerciali»: qualsiasi contratto tra il professionista e il consumatore:

a)

concluso alla presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore, in un luogo diverso dai locali del professionista;

b)

per cui è stata fatta un’offerta da parte del consumatore, nelle stesse circostanze di cui alla lettera a); […]

L’articolo 2, punto 9), definisce i locali commerciali:

Articolo 2

9)   «locali commerciali»:

a)

qualsiasi locale immobile adibito alla vendita al dettaglio in cui il professionista esercita la sua attività su base permanente; oppure

b)

qualsiasi locale mobile adibito alla vendita al dettaglio in cui il professionista esercita la propria attività a carattere abituale;

Il considerando 22 fornisce diversi esempi di quelli che dovrebbero essere considerati «locali commerciali». Da un lato, la nozione riguarderebbe negozi, chioschi o camion, nonché chioschi di vendita al mercato o in una fiera, quando servono da luogo permanente o abituale di commercio per il professionista.

Analogamente, i locali adibiti alla vendita al dettaglio in cui il professionista esercita la sua attività a carattere stagionale, per esempio durante la stagione turistica in una località sciistica o balneare, dovrebbero essere considerati locali commerciali in quanto il professionista svolge la sua attività in tali locali in modo abituale.

D’altro canto, spazi accessibili al pubblico, quali strade, centri commerciali, spiagge, impianti sportivi e trasporti pubblici, che il professionista utilizza a carattere eccezionale per le sue attività commerciali non sono locali commerciali. Anche i domicili privati o il posto di lavoro (dei consumatori) non dovrebbero essere considerati locali commerciali.

I contratti conclusi durante la visita del professionista al domicilio o sul posto di lavoro del consumatore sono contratti negoziati fuori dei locali commerciali, indipendentemente dal fatto che la visita sia stata richiesta dal consumatore. Tali contratti negoziati fuori dei locali commerciali possono essere preceduti da fasi preparatorie:

per esempio, una visita di un rappresentante (tecnico) del professionista al domicilio del consumatore per vendere e installare contemporaneamente un’attrezzatura o un dispositivo sarà un contratto di servizi negoziato fuori dei locali commerciali, indipendentemente dal fatto che il consumatore avesse precedentemente richiesto (prenotato) tale visita dopo una visita personale al negozio del professionista;

per contro, se il contratto è stato effettivamente concluso durante la visita del cliente al negozio o mediante mezzi di comunicazione a distanza, la successiva visita del tecnico per installare le attrezzature necessarie presso il domicilio del consumatore non modificherà la qualifica del contratto in un contratto negoziato fuori dei locali commerciali.

Nella causa C-485/17 Verbraucherzentrale Berlin (45), la Corte ha confermato che l’espressione «a carattere abituale» ai sensi dell’articolo 2, punto 9), lettera b), deve essere intesa come facente riferimento al «carattere normale» che riveste, nel locale interessato, l’esercizio dell’attività di cui trattasi. L’applicazione di questa nozione richiede una valutazione caso per caso, tenendo conto in particolare del tipo di beni o servizi venduti e della pratica commerciale dello specifico professionista.

Più precisamente, la Corte si è occupata della situazione dello stand di un professionista presso una fiera commerciale, in cui egli esercita le proprie attività pochi giorni all’anno, e ha dichiarato che un siffatto stand è un«locale commerciale»se, alla luce dell’insieme delle circostanze di fatto che accompagnano le attività di cui trattasi, e in particolare dell’aspetto di tale stand e delle informazioni fornite nei locali della fiera stessa, un consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto possa ragionevolmente aspettarsi che detto professionista vi eserciti le proprie attività e che gli proponga di concludere un contratto (46).

La Corte ha inoltre riconosciuto la pertinenza delle sue precedenti conclusioni nella causa C-423/97 Travel-Vac, S.L., sull’interpretazione della precedente direttiva 85/577/CEE del Consiglio. In tale sentenza, la Corte ha espressamente dichiarato che:

«Per quanto riguarda il punto se il contratto sia stato stipulato fuori dei locali commerciali del commerciante, si deve prendere atto che questa nozione riguarda i locali nei quali il commerciante esercita abitualmente le proprie attività e che sono chiaramente individuati come locali di vendita al pubblico» (47).

Di conseguenza, se il professionista utilizza locali per la vendita di beni e servizi che non sono «normalmente utilizzati» per tale scopo e che non sono chiaramente individuati come locali di vendita al pubblico, i contratti conclusi con i consumatori saranno probabilmente contratti negoziati fuori dei locali commerciali.

Per esempio, è probabile che la vendita di beni nel corso di eventi (convegni, seminari, feste ecc.) organizzati in ristoranti, bar o alberghi presi in affitto ai fini dell’evento in questione sia un contratto negoziato fuori dei locali commerciali.

La classificazione di un contratto come contratto negoziato fuori dei locali commerciali dipende dalle circostanze in cui il contratto è concluso. Il professionista sarà a conoscenza della natura della propria attività e dovrà agire conformemente alle norme che regolano i contratti negoziati nei locali commerciali o fuori dei locali commerciali. Eventuali controversie, per esempio sull’applicabilità del diritto di recesso in caso di contratti da ritenersi negoziati al di fuori dei locali commerciali, andranno valutate caso per caso.

2.2.    Contratti conclusi dopo aver avvicinato il consumatore fuori dei locali commerciali del professionista

Articolo 2

8)   «contratto negoziato fuori dei locali commerciali»: qualsiasi contratto tra il professionista e il consumatore: […]

c)

concluso nei locali del professionista o mediante qualsiasi mezzo di comunicazione a distanza immediatamente dopo che il consumatore è stato avvicinato personalmente e singolarmente in un luogo diverso dai locali del professionista, alla presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore; o […]

L’articolo 2, punto 8), lettera c), offre un altro esempio di contratti negoziati fuori dei locali commerciali. L’espressione «avvicinato personalmente e singolarmente» contenuta nella presente disposizione deve essere riferita a offerte e simili comunicazioni commerciali (indipendentemente dalla loro classificazione giuridica) che sono formalizzate, immediatamente dopo, in un contratto nei locali del professionista o mediante qualsiasi mezzo di comunicazione a distanza.

Perché la disposizione possa applicarsi, l’offerta del professionista deve essere rivolta a un consumatore specifico, per esempio:

il rappresentante del professionista avvicina per strada un consumatore specifico offrendogli un abbonamento a una rivista mensile e il contratto viene firmato immediatamente dopo nei vicini locali del professionista;

al contrario la semplice distribuzione di dépliant pubblicitari nella strada vicina ai locali del professionista, non rivolta a singoli consumatori, non deve essere considerata, ai fini della presente disposizione, come un’attività nella quale il consumatore è avvicinato «personalmente e singolarmente».

Inoltre, perché la disposizione possa applicarsi, il contratto deve essere concluso immediatamente. Il contratto non è concluso immediatamente se il consumatore lascia i locali del professionista dopo esservi stato invitato e vi ritorna successivamente di propria iniziativa, per esempio il giorno successivo, dopo aver considerato l’offerta.

Nella causa C-465/19 B & L Elektrogeräte GmbH, la Corte ha stabilito che il corridoio comune ai diversi stand presenti in un padiglione nel quale si trova quello del professionista (a sua volta riconosciuto come «locale commerciale»), non poteva essere considerato un«locale commerciale», in quanto tale corridoio consentiva l’accesso a tutti gli stand dei professionisti presenti in detto padiglione. Pertanto, se un professionista avvicina un cliente in tale spazio comune della fiera e subito dopo viene concluso un contratto nello stand del professionista, si tratta di un «contratto negoziato fuori dei locali commerciali» ai sensi dell’articolo 2, punto 8), della direttiva sui diritti dei consumatori (48).

2.3.    Contratti conclusi durante un viaggio promozionale organizzato dal professionista

Articolo 2

8)   «contratto negoziato fuori dei locali commerciali»: qualsiasi contratto tra il professionista e il consumatore: […]

d)

concluso durante un viaggio promozionale organizzato dal professionista e avente lo scopo o l’effetto di promuovere e vendere beni o servizi al consumatore;

La direttiva definisce, all’articolo 2, punto 8), lettera d), contratti negoziati fuori dei locali commerciali i contratti conclusi durante un viaggio promozionale organizzato dal professionista a prescindere dal fatto che siano conclusi fuori dei locali o nei locali del professionista.

La direttiva si estende inoltre esplicitamente ai viaggi promozionali aventi lo «scopo» e l’«effetto» di promuovere e vendere prodotti al consumatore; quindi non è importante che il consumatore sia informato preventivamente dell’intenzione di vendere prodotti durante il viaggio promozionale.

Il concetto di «viaggio promozionale» comprende i viaggi che comportano giri turistici o altre attività del tempo libero, oppure i viaggi verso luoghi quali ristoranti, bar o alberghi in cui è organizzato un evento di vendita fuori dei locali commerciali. Nell’applicare questo concetto non ha importanza se il professionista che vende i prodotti durante il viaggio promozionale organizza il trasporto in prima persona o ha stretto accordi con una società di trasporti:

per esempio se un professionista si è accordato con l’organizzatore del viaggio promozionale affinché, durante tale viaggio promozionale, i turisti vengano condotti anche nel suo negozio, i contratti conclusi presso il negozio possono essere contratti negoziati fuori dei locali commerciali benché il negozio sia quello del professionista;

al contrario, un servizio di bus navetta organizzato da un centro commerciale all’unico scopo di portare i potenziali clienti nel centro commerciale è meramente accessorio rispetto allo scopo principale dell’attività (ossia la vendita di beni e servizi) e non deve essere considerato un «viaggio promozionale» ai sensi dell’articolo 2, punto 8).

3.   Informazioni per i consumatori

3.1.    Obblighi generali

3.1.1.   Introduzione

La direttiva definisce, agli articoli da 5 a 8, gli obblighi di informazione precontrattuale, distinguendo gli obblighi per i contratti negoziati nei locali commerciali (articolo 5, paragrafo 1) dagli obblighi per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali e i contratti a distanza (articolo 6, paragrafo 1). Gli obblighi per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali e i contratti a distanza sono più ampi e si aggiungono a quelli per i contratti negoziati nei locali commerciali. Obblighi di informazione supplementari specifici per i contratti conclusi sui mercati online sono stabiliti nell’articolo 6 bis che è stato aggiunto alla direttiva sui diritti dei consumatori dalla direttiva (UE) 2019/2161.

Gli obblighi di informazione concernenti il diritto di recesso di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettere da h) a k), sono trattati separatamente nella sezione 5.

3.1.2.   Chiarezza delle informazioni e collegamento alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali

L’articolo 7 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali vieta le omissioni ingannevoli, ossia le pratiche commerciali che omettono o presentano in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le «informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno […] per prendere una decisione consapevole di natura commerciale» quando tale pratica induca il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. L’articolo 7, paragrafo 4, stabilisce obblighi di informazione per l’«invito all’acquisto», ossia una comunicazione commerciale che include informazioni sulle caratteristiche e sul prezzo del prodotto e che pertanto copre anche la fase precontrattuale della transazione.

La direttiva sui direttiva sui diritti dei consumatori disciplina la fase precontrattuale in modo più dettagliato rispetto alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali. Gli articoli 5 e 6 della direttiva sui diritti dei consumatori contemplano tutti gli obblighi di informazione di cui all’articolo 7, paragrafo 4, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali (49). Pertanto, nel fornire informazioni precontrattuali conformemente alla direttiva sui diritti dei consumatori, un professionista rispetterà anche gli obblighi di informazione specifici per l’invito all’acquisto di cui all’articolo 7, paragrafo 4, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali. Ciò non pregiudica l’applicazione di altri obblighi di trasparenza ed equità previsti dalla direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

Sia l’articolo 5, paragrafo 1, che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva sui diritti dei consumatori prevedono che le informazioni siano fornite «in modo chiaro e comprensibile». Il considerando 34 specifica che, nel fornire le informazioni precontrattuali, «[…] il professionista dovrebbe tenere in considerazione le esigenze specifiche dei consumatori che sono particolarmente vulnerabili a motivo della loro infermità mentale, fisica o psicologica, della loro età o ingenuità, in un modo che il professionista può ragionevolmente prevedere. Tuttavia, la presa in considerazione di tali esigenze specifiche non dovrebbe condurre a discrepanze nei livelli di tutela dei consumatori».

Inoltre, ai sensi delle norme generali di cui all’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, i professionisti devono garantire che le informazioni siano comprensibili e tempestive, vale a dire che il metodo e il momento in cui sono fornite le pertinenti informazioni precontrattuali devono consentire al consumatore medio di prendere una decisione consapevole di natura commerciale.

Per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali, l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva sui diritti dei consumatori stabilisce inoltre che le informazioni precontrattuali debbano essere «leggibili e presentate in un linguaggio semplice e comprensibile» mentre per i contratti a distanza, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, della medesima direttiva le informazioni devono essere messe a disposizione del consumatore «in modo appropriato al mezzo di comunicazione a distanza impiegato in un linguaggio semplice e comprensibile. Nella misura in cui dette informazioni sono presentate su un supporto durevole, esse devono essere leggibili».

Non è sufficiente fornire le informazioni precontrattuali obbligatorie solo nell’ambito delle condizioni generali che il consumatore può dover accettare prima di passare al processo di transazione (50). L’obbligo di fornire informazioni in «modo chiaro e comprensibile» implica che le singole informazioni obbligatorie siano portate all’attenzione del consumatore.

Nel contesto online, i professionisti devono garantire che le informazioni obbligatorie siano facilmente accessibili e ben in vista per i consumatori. A causa del volume delle informazioni obbligatorie ai consumatori, potrebbe non essere possibile fornirle in modo «chiaro e comprensibile» su un’unica pagina. Si dovrebbero tuttavia evitare pagine di lunghezza eccessiva, che i consumatori dovrebbero scorrere a lungo per leggere tutti i contenuti.

I vari elementi delle informazioni precontrattuali dovrebbero piuttosto essere forniti nel momento in cui risultano più pertinenti durante il processo di conclusione del contratto, man mano che il consumatore passa da una pagina dell’interfaccia online a un’altra. Se necessario, le informazioni su argomenti specifici dovrebbero essere stratificate, con un puntatore ben visibile sulla prima pagina che conduce alla pagina collegata in cui sono forniti tutti i dettagli sull’argomento in questione (51).

Ulteriori requisiti di presentazione per i contratti a distanza conclusi con mezzi elettronici sono stabiliti all’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva, come ulteriormente discusso nella sezione 4.2.4.

3.1.3.   Informazioni «già evidenti dal contesto»

Per i contratti negoziati nei locali commerciali, l’articolo 5 consente ai professionisti di non fornire informazioni che siano «già evidenti dal contesto».

Il concetto di informazioni «già evidenti dal contesto» è utilizzato anche nell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali (52). Per esempio, l’indirizzo geografico e l’identità del professionista potrebbero essere considerati informazioni ovvie o evidenti dal contesto, in quanto i consumatori saranno normalmente a conoscenza dell’indirizzo di un negozio o ristorante in cui si trovano.

3.1.4.   Obblighi di informazione nelle altre normative dell’UE

La direttiva ha carattere trasversale. Essa integra le norme in materia di tutela dei consumatori specifiche per settori e prodotti, in particolare per quanto riguarda gli obblighi di informazione.

A norma dell’articolo 3, paragrafo 2 (53), la direttiva sui diritti dei consumatori non pregiudica l’applicazione degli obblighi di informazione previsti da altre normative settoriali dell’UE. Queste includono il regolamento (UE) 2016/679 (regolamento generale sulla protezione dei dati) e la direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (54) relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche, che sono particolarmente pertinenti nelle vendite online per questioni quali le informazioni sul trattamento dei dati e il consenso degli interessati al trattamento dei loro dati personali, ove richiesto.

Inoltre obblighi di informazione aggiuntivi per i servizi di comunicazione elettronica sono stabiliti nel codice europeo delle comunicazioni elettroniche («l’EECC», direttiva (UE) 2018/1972) e nel regolamento di esecuzione (UE) 2019/2243 della Commissione (55) relativo al modello sintetico di contratto.

L’articolo 102, paragrafo 1, dell’EECC, facendo riferimento agli articoli 5 e 6 della direttiva sui diritti dei consumatori e all’allegato VIII dell’EECC stesso, specifica le informazioni che i fornitori di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico dovrebbero fornire prima che il consumatore sia vincolato da un contratto o da un’offerta corrispondente. I fornitori di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico sono inoltre tenuti a fornire ai consumatori una sintesi contrattuale concisa e facilmente leggibile (articolo 102, paragrafo 3, dell’EECC e regolamento di esecuzione (UE) 2019/2243). Tuttavia la semplice fornitura della sintesi contrattuale non soddisfa pienamente tutti gli obblighi di informazione precontrattuale di cui all’articolo 102, paragrafo 1, e all’allegato VIII dell’EECC.

Obblighi di informazione aggiuntivi sono stabiliti anche dalla direttiva 2010/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (56) sui servizi di media audiovisivi, dalla direttiva 2009/72/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (57) per l’energia elettrica, dalla direttiva 2009/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (58) per il gas naturale ecc. (59).

L’articolo 6, paragrafo 8, della direttiva sui diritti dei consumatori riguarda specificamente la relazione tra gli obblighi di informazione di cui alla direttiva stessa e quelli contenuti nella direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (60) sui servizi e nella direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (61) sul commercio elettronico. In primo luogo specifica che gli obblighi di informazione previsti da questi tre strumenti sono complementari. In secondo luogo chiarisce che in caso di conflitto tra una disposizione di queste due direttive sul «contenuto e le modalità di fornitura delle informazioni» e una disposizione della direttiva sui diritti dei consumatori, quest’ultima prevale (62).

3.1.5.   Imposizione di obblighi di informazione aggiuntivi

Ai sensi dell’articolo 4 della direttiva sui diritti dei consumatori: «Salvo che la presente direttiva disponga altrimenti, gli Stati membri non mantengono o adottano nel loro diritto nazionale disposizioni divergenti da quelle stabilite dalla presente direttiva, incluse le disposizioni più o meno severe per garantire al consumatore un livello di tutela diverso».

Una delle deroghe a questo approccio di completa armonizzazione è l’articolo 5, paragrafo 4, che consente agli Stati membri di emanare o mantenere obblighi aggiuntivi di informazione precontrattuale per i contratti negoziati nei locali commerciali.

Mentre gli obblighi di informazione per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali e i contratti a distanza sono in linea di principio esaustivi, allo stesso tempo, conformemente all’articolo 6, paragrafo 8, e al considerando 12 della direttiva, gli Stati membri possono imporre obblighi di informazione aggiuntivi conformemente alla direttiva 2006/123/CE sui servizi e alla direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico.

La disposizione pertinente della direttiva sul commercio elettronico a tale riguardo è l’articolo 5, che impone agli Stati membri di provvedere affinché il prestatore renda facilmente accessibili in modo diretto e permanente ai destinatari del servizio e alle competenti autorità almeno le informazioni previste in tale articolo. L’articolo 10 della direttiva sul commercio elettronico stabilisce ulteriori obblighi di informazione in merito alla procedura per la conclusione del contratto.

Per quanto riguarda la direttiva sui servizi, l’articolo 22, paragrafi da 1 a 4, stabilisce obblighi specifici per le informazioni che i prestatori devono mettere a disposizione dei destinatari dei servizi, nonché l’obbligo di comunicare tali informazioni in modo chiaro, senza ambiguità e in tempo utile. L’articolo 22, paragrafo 5, stabilisce inoltre che tale obbligo non osta «a che gli Stati membri impongano requisiti supplementari in materia di informazioni ai prestatori stabiliti sul loro territorio».

L’imposizione di obblighi di informazione aggiuntivi ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 8, della direttiva sui diritti dei consumatori è una delle scelte normative in merito alle quali gli Stati membri devono informare la Commissione ai sensi dell’articolo 29. La Commissione pubblica tali informazioni online (63).

3.1.6.   Esenzione delle transazioni quotidiane

L’articolo 5, paragrafo 3, consente agli Stati membri di non applicare gli obblighi di informazione precontrattuale di cui all’articolo 5, paragrafo 1, ai contratti negoziati nei locali commerciali «che implicano transazioni quotidiane e che sono eseguiti immediatamente al momento della loro conclusione».

Per loro natura tali transazioni riguardano beni a basso costo. Un esempio evidente è l’acquisto di prodotti alimentari e bevande destinati al consumo immediato, per esempio spuntini, pasti da asporto ecc.

Inoltre l’articolo 5, paragrafo 3, può applicarsi anche a determinati servizi e non solo a beni. In tale contesto riveste particolare importanza il secondo criterio di cui all’articolo 5, paragrafo 3, ossia l’obbligo che il contratto sia eseguito immediatamente al momento della sua conclusione.

Esempi di servizi quotidiani: servizi di pulizia delle calzature prestati in strada e servizi cinematografici se il biglietto è acquistato (e quindi il contratto è concluso) immediatamente prima della visione del film.

3.1.7.   Natura vincolante delle informazioni precontrattuali

In relazione alla natura vincolante delle informazioni precontrattuali da fornire ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, l’articolo 6, paragrafo 5, recita: ‘5. Le informazioni di cui al paragrafo 1 formano parte integrante del contratto a distanza o del contratto negoziato fuori dei locali commerciali e non possono essere modificate se non con l’accordo espresso delle parti».

Di conseguenza le informazioni fornite sul sito del professionista devono essere vincolanti per le parti e se il professionista intende modificare uno dei loro elementi deve prima ottenere il consenso espresso del consumatore:

per esempio le parti potrebbero concordare espressamente, con scambio di e-mail, un termine di consegna dei beni diverso da quello specificato sul sito del professionista;

in ogni caso, una disposizione contenuta nelle condizioni generali in cui si affermi che il professionista può derogare alle informazioni fornite sul sito non rispetterebbe l’obbligo dell’accordo espresso delle parti.

 

L’articolo 6, paragrafo 5, non si applica alle modifiche delle condizioni del contratto dopo la sua conclusione. Quando tali modifiche si basano sulle condizioni del contratto, sarà pertinente la direttiva sulle clausole abusive (64).

3.1.8.   Requisiti linguistici aggiuntivi

Conformemente all’articolo 6, paragrafo 7, gli Stati membri possono imporre requisiti linguistici relativi all’informazione contrattuale nei contratti negoziati fuori dei locali commerciali e/o nei contratti a distanza (65).

Se tale scelta normativa è stata effettuata, i requisiti rilevanti, per esempio l’obbligo di fornire informazioni nella lingua ufficiale dello Stato membro interessato, si applicheranno ai professionisti transfrontalieri soggetti alle disposizioni del regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio (66) sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I). L’articolo 6 stabilisce che, se il professionista svolge le sue attività nel paese in cui il consumatore ha la residenza abituale o se dirige tali attività verso tale paese o vari paesi tra cui quest’ultimo, il contratto è disciplinato dalla legge del paese nel quale il consumatore ha la residenza abituale.

Se le parti scelgono una legge diversa, tale scelta non può privare il consumatore della protezione riconosciuta dalle disposizioni imperative del suo paese di residenza. Pertanto, anche in tale situazione, il professionista che diriga la propria attività verso consumatori in uno Stato membro che ha imposto requisiti linguistici ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 7, della direttiva sui diritti dei consumatori deve fornire ai consumatori le informazioni contrattuali nella lingua richiesta da tale Stato membro, se tale requisiti linguistico è considerato un «obbligo contrattuale» vincolante ai sensi del diritto nazionale.

Il concetto di «dirigere» le proprie attività commerciali o professionali verso il paese del consumatore è stato affrontato dalla CGUE nelle cause riunite C-585/08 e C-144/09, Peter Pammer e Hotel Alpenhof GmbH. Tale sentenza definisce una serie di criteri per stabilire se un sito internet è «diretto» a uno Stato membro specifico, per esempio se usa lingue o monete diverse (67).

Occorre rilevare che questa opzione normativa prevista dalla direttiva sui diritti dei consumatori è complementare alla normativa dell’Unione specifica per settori e prodotti, che consente agli Stati membri di stabilire requisiti linguistici per quanto riguarda le avvertenze o le istruzioni concernenti, per esempio, i giocattoli (68) o le apparecchiature radio (69). Inoltre la direttiva (UE) 2019/771 del Parlamento europeo e del Consiglio (70) consente di stabilire requisiti linguistici per quanto riguarda le garanzie commerciali per le merci.

3.1.9.   Onere della prova

Poiché la mancata fornitura, da parte del professionista, di specifiche informazioni previste dalla direttiva dà luogo a varie sanzioni conformemente alla direttiva (oltre alle sanzioni che possono applicarsi in conformità della legislazione nazionale), l’articolo 6, paragrafo 9, contiene una disposizione molto importante relativa ai contratti a distanza e negoziati fuori dei locali commerciali che recita: «L’onere della prova relativo all’adempimento degli obblighi di informazione di cui al presente capo incombe sul professionista».

Senza escludere la possibilità di dimostrare i fatti con altri mezzi, l’argomento del professionista diventerebbe ovviamente più debole se le informazioni richieste mancassero dalla conferma del contratto su mezzo durevole, che ai sensi dell’articolo 7, paragrafi 1 e 2, oppure dell’articolo 8, paragrafo 7, (come verrà discusso alla sezione 4.4) deve sempre includere le informazioni previste all’articolo 6, paragrafo 1, a meno che il professionista non abbia già fornito l’informazione al consumatore su un mezzo durevole.

3.2.    Obblighi comuni per i contratti negoziati nei locali commerciali e i contratti a distanza/negoziati fuori dei locali commerciali

3.2.1.   Caratteristiche principali

Articolo 5, paragrafo 1, lettera a), e articolo 6, paragrafo 1, lettera a)

«le caratteristiche principali dei beni o servizi, nella misura adeguata al supporto e ai beni o servizi»

Benché tale obbligo di informazione faccia espresso riferimento a «beni e servizi», ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, e dell’articolo 6, paragrafo 2, esso si applica anche ai servizi di pubblica utilità e al contenuto digitale online.

Lo stesso obbligo è imposto dall’articolo 7, paragrafo 4, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, che stabilisce gli obblighi di informazione per l’«invito all’acquisto». Di conseguenza, per scegliere le caratteristiche principali da comunicare al consumatore, i professionisti dovrebbero applicare lo stesso approccio utilizzato ai fini della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, ossia informare in merito alle caratteristiche di cui i consumatori hanno bisogno per prendere decisioni di acquisto informate. Informazioni sulle caratteristiche principali dei beni possono essere ricavate dall’imballaggio o dall’etichettatura, consultabili dal consumatore. Beni più complessi possono richiedere la comunicazione di informazioni supplementari per stabilire le loro caratteristiche principali.

In particolare tutte le caratteristiche dei prodotti e le condizioni restrittive che il consumatore medio non si aspetta normalmente da una determinata categoria o tipo di bene o servizio devono essere comunicate ai consumatori perché sono particolarmente suscettibili di influenzare le loro decisioni di natura commerciale (71).

Per tutti i contratti in cui il consumatore fornisce dati personali, indipendentemente dal fatto che implichino o meno un pagamento, il professionista deve informare il consumatore delle finalità del trattamento nel momento in cui i dati personali sono ottenuti.

3.2.2.   Identità ed estremi del professionista

Articolo 5, paragrafo 1

b)

l’identità del professionista, ad esempio la sua denominazione sociale, l’indirizzo geografico in cui è stabilito e il numero di telefono;

Articolo 6, paragrafo 1

b)

l’identità del professionista, ad esempio la sua denominazione sociale;

c)

l’indirizzo geografico dove il professionista è stabilito, così come il suo numero di telefono e il suo indirizzo elettronico. Inoltre, se il professionista fornisce qualsiasi altro mezzo di comunicazione elettronica che garantisca al consumatore di poter intrattenere con lui una corrispondenza scritta, che rechi la data e orario dei relativi messaggi, su un supporto durevole, il professionista deve fornire anche le informazioni relative a tale altro mezzo. Tutti questi mezzi di comunicazione forniti dal professionista devono consentire al consumatore di contattarlo rapidamente e di comunicare efficacemente con lui. Ove applicabile, il professionista fornisce anche l’indirizzo geografico e l’identità del professionista per conto del quale agisce;

d)

se diverso dall’indirizzo fornito in conformità della lettera c), l’indirizzo geografico della sede del professionista a cui il consumatore può indirizzare eventuali reclami e, se applicabile, quello del professionista per conto del quale agisce;

3.2.2.1.   Identità del professionista

Oltre alle disposizioni della direttiva sui diritti dei consumatori, l’articolo 7, paragrafo 4, lettera b), della direttiva sulle pratiche commerciali sleali stabilisce che le informazioni relative all’indirizzo geografico e all’identità del professionista sono considerate informazioni rilevanti nel caso di un invito all’acquisto. Per quanto riguarda i contratti negoziati nei locali commerciali, tali informazioni possono risultare evidenti dal contesto (cfr. anche sezione 3.1.3).

Nei contratti negoziati fuori dei locali commerciali o a distanza la direttiva sui diritti dei consumatori impone al professionista, che agisce per conto di un altro professionista, di indicare anche l’identità e l’indirizzo geografico di quest’ultimo professionista. Anche i mercati online, anche se sono semplici intermediari e non «agiscono per conto» di un altro professionista, devono adottare misure per garantire che il consumatore sia debitamente informato circa l’identità del professionista effettivo che offre i beni o servizi in questione, sulla base delle informazioni fornite dal professionista stesso. Di fatto, se il mercato non fornisce informazioni riguardanti l’identità del professionista effettivo e ciò crea l’impressione che il mercato sia il professionista effettivo, ciò potrebbe comportare la responsabile del mercato per gli obblighi del professionista.

Nella causa C-149/15 Wathelet (72) la Corte si è occupata della responsabilità, da parte di un intermediario offline (autorimessa), della conformità del bene venduto ai consumatori ai sensi della precedente direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (73) sulla vendita dei beni di consumo. La Corte ha affermato che, sebbene la direttiva 1999/44/CE non abbia per oggetto la responsabilità dell’intermediario nei confronti del consumatore, «non esclude di per sé che la nozione di ‘venditore’, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 1999/44/CE, possa essere interpretata nel senso che include un professionista che agisce per conto di un privato laddove egli, dal punto di vista del consumatore, si presenti come venditore di un bene di consumo in base a un contratto nell’ambito della propria attività professionale o commerciale. Questo professionista, infatti, potrebbe confondere il consumatore, inducendolo a credere a torto di agire in qualità di venditore proprietario del bene» (74).

La Corte ha inoltre dichiarato che «a questo proposito possono essere pertinenti, in particolare, il grado di partecipazione e l’intensità degli sforzi profusi dall’intermediario nella vendita, le circostanze in cui il bene è stato presentato al consumatore, nonché il comportamento di quest’ultimo, onde determinare se egli avrebbe potuto capire che l’intermediario agiva per conto di un privato» (75).

Queste conclusioni della Corte riguardanti la responsabilità dell’intermediario offline nei confronti della conformità del bene potrebbero essere pertinenti anche per altri intermediari e altri obblighi dei professionisti ai sensi del diritto dell’Unione, anche in un contesto online. In particolare, i mercati online potrebbero essere ritenuti responsabili degli obblighi del professionista riguardanti le informazioni precontrattuali o l’esecuzione contrattuale a norma della direttiva sui diritti dei consumatori laddove essi, dal punto di vista del consumatore, si presentino come professionisti ai sensi del(la) (proposta di) contratto.

Nella causa C-149/15 Wathelet la Corte ha sottolineato che «è indispensabile che il consumatore venga a conoscenza dell’identità del venditore, e in particolare della sua qualità di privato o di professionista, per poter usufruire della tutela conferitagli dalla direttiva 1999/44» (76). Tuttavia, anche laddove il fornitore effettivo sia anche un professionista e il consumatore non sarebbe privato dei propri diritti, il consumatore potrebbe non aver concluso il contratto se l’identità del professionista effettivo fosse stata nota. In particolare il consumatore potrebbe nutrire preoccupazioni in merito, per esempio, all’affidabilità di tale professionista e alla possibilità di far valere i diritti dei consumatori nei suoi confronti.

La mancata comunicazione di informazioni sull’identità del professionista o la fornitura di dati inesatti costituirebbe una violazione della direttiva sui diritti dei consumatori. Potrebbe inoltre costituire una pratica ingannevole ai sensi della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, nella misura in cui incida sulla decisione di natura commerciale del consumatore. Esistono anche disposizioni settoriali della legislazione dell’UE che rafforzano ulteriormente tale obbligo. Per esempio, nel caso della vendita online di medicinali (77), è severamente vietato offuscare la distinzione tra mercato e dettagliante. Un mercato che offre medicinali sul mercato dell’UE dovrebbe garantire che i consumatori possano verificare che il professionista sia in possesso delle pertinenti autorizzazioni e operi nel rispetto della legge (78).

La modalità di esecuzione del contratto che coinvolge un professionista terzo non pregiudica i diritti e gli obblighi relativi al contratto derivanti dalla direttiva sui diritti dei consumatori. Per esempio, nel tipo di attività «dropshipping» il professionista non tiene a magazzino determinati beni messi in vendita ma, su ordine di un consumatore, li acquista da un terzo e li fa spedire direttamente al cliente.

Tuttavia, se il professionista si limita a trattare l’ordine in qualità di intermediario e lo inoltra quindi a un altro professionista affinché questi lo evada a proprio nome, allora, come nella causa Wathelet, il primo professionista potrebbe essere ritenuto responsabile nei confronti del consumatore qualora, dal punto di vista di quest’ultimo, tale professionista si presenti come venditore di beni di consumo ai sensi del contratto. Al fine di evitare tale responsabilità, il professionista deve informare chiaramente il consumatore del fatto che agisce in qualità di intermediario e fornire in modo evidente informazioni sull’identità del venditore effettivo (79).

A tale riguardo occorre rilevare che l’articolo 6 bis, lettera b), introdotto dalla direttiva (UE) 2019/2161, contempla un obbligo supplementare specifico per i fornitori di mercati online di informare i consumatori in merito allo status del terzo che offre i beni, i servizi o il contenuto digitale sulla base delle informazioni fornite da tale terzo (cfr. sezione 3.4.2).

3.2.2.2.   Mezzi di comunicazione

Per quanto riguarda i contratti a distanza e i contratti negoziati fuori dei locali commerciali, l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), come modificato dalla direttiva (UE) 2019/2161, impone al professionista di fornire al consumatore informazioni sui mezzi di comunicazione seguenti nell’ambito delle informazioni precontrattuali:

l’indirizzo geografico, il numero di telefono e l’indirizzo elettronico del professionista; e

se disponibile, qualsiasi altro mezzo di comunicazione scritta online che consenta di conservare il contenuto, e che rechi la data e orario dei messaggi, su un supporto durevole.

L’articolo 2, punto 10), della direttiva sui diritti dei consumatori definisce un «supporto durevole» come «ogni strumento che permetta al consumatore o al professionista di conservare le informazioni che gli sono personalmente indirizzate in modo da potervi accedere in futuro per un periodo di tempo adeguato alle finalità cui esse sono destinate e che permetta la riproduzione identica delle informazioni memorizzate» (cfr. anche sezione 4.4).

Per esempio, per quanto riguarda le applicazioni di messaggistica, alcune di esse consentono al mittente, come il professionista nel contesto B2C, di cancellare automaticamente o manualmente, anche dal dispositivo del destinatario, i messaggi che ha inviato entro un certo (breve) lasso di tempo dopo la loro consegna. Di conseguenza tali mezzi di comunicazione non consentono effettivamente al consumatore di memorizzare il messaggio ricevuto. Il destinatario potrebbe sapere come effettuare il salvataggio o il backup dei propri messaggi, ma ciò richiederebbe competenze e conoscenze tecniche supplementari che non ci si può attendere dal consumatore medio. Di conseguenza sarà necessaria una valutazione individuale di ciascuna applicazione di messaggistica per stabilire se essa soddisfa i criteri definiti, tenendo conto anche del continuo sviluppo di tali applicazioni.

Nella causa C-649/17 Amazon EU la Corte ha specificamente osservato che la possibilità, per il consumatore, di contattare rapidamente il professionista e di comunicare efficacemente con lo stesso riveste un’importanza fondamentale per la salvaguardia e l’effettiva attuazione dei diritti del consumatore (80). Di conseguenza qualsiasi mezzo di comunicazione utilizzato dal professionista deve essere atto a soddisfare i criteri di una comunicazione diretta ed efficace.

In tale decisione, la Corte ha confermato che l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), non osta all’utilizzo da parte del professionista di mezzi di comunicazione che garantiscano una comunicazione diretta ed efficace, diversi da quelli elencati nella medesima disposizione (81).

Questa interpretazione rimane pertinente anche dopo le modifiche introdotte dalla direttiva (UE) 2019/2161. Sebbene il professionista sia tenuto a informare il consumatore, prima della conclusione del contratto, in merito ai mezzi di comunicazione elencati e conformi ai criteri di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), nulla impedisce al professionista di mettere a disposizione anche mezzi di comunicazione alternativi quali, per esempio, assistenti vocali automatizzati o mezzi di comunicazione scritta online (chatbot) che non presentano le caratteristiche di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c). A tali mezzi supplementari si applicheranno le regole generali della direttiva sulle pratiche commerciali sleali. In particolare, i professionisti dovrebbero informare in modo chiaro e tempestivo i consumatori se i mezzi alternativi consentono a questi ultimi di tenere traccia della corrispondenza scritta, compresi la data e l’orario.

Il professionista deve inoltre garantire che tutti i mezzi di comunicazione online di cui il consumatore è stato informato prima della conclusione del contratto (e nella conferma del contratto) a norma dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), siano facilmente accessibili sull’interfaccia del professionista. Qualsiasi mezzo di comunicazione supplementare non dovrebbe essere presentato e promosso in modo da rendere difficile per i consumatori l’accesso ai mezzi di comunicazione forniti a norma dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), e il loro utilizzo.

Lo scopo di fornire mezzi di comunicazione sta nel consentire al consumatore di contattare il professionista in maniera più rapida ed efficiente. Il professionista dovrà quindi assicurarsi, per esempio, di rispondere alle telefonate durante l’orario di ufficio o alle e-mail in modo tempestivo.

3.2.2.3.   Il luogo di stabilimento

Il concetto di «stabilimento», con riguardo a questo obbligo di informazione, è lo stesso utilizzato, per esempio, nella direttiva 2006/123/CE sui servizi ove viene definito (all’articolo 4) «l’esercizio effettivo di un’attività economica, di cui all’articolo 43 del trattato, a tempo indeterminato da parte del prestatore, con un’infrastruttura stabile a partire dalla quale viene effettivamente svolta l’attività di prestazione di servizi». Il considerando 37 di tale direttiva recita: «Se uno stesso prestatore ha più luoghi di stabilimento, è importante determinare da quale luogo di stabilimento è prestato il servizio effettivo in questione».

Lo stesso approccio può essere adottato per determinare il luogo di cui deve essere fornito l’indirizzo geografico ai sensi della direttiva. Poiché sono richieste informazioni sull’indirizzo «geografico», si deve far riferimento a un luogo fisico:

per esempio non è sufficiente limitarsi a fornire il numero di casella postale quale indirizzo del professionista.

3.2.2.4.   La sede dell’attività economica

La «sede dell’attività economica» deve essere intesa come il luogo in cui vengono adottate le decisioni essenziali concernenti la direzione generale dell’impresa del professionista e in cui sono svolte le funzioni di amministrazione centrale di quest’ultima. Tale conclusione discende, per esempio, dalla sentenza della Corte nella causa C-73/06 Planzer:

«La determinazione del luogo della sede dell’attività economica di una società implica la presa in considerazione di un complesso di fattori, al primo posto dei quali figurano la sede statutaria, il luogo dell’amministrazione centrale, il luogo di riunione dei dirigenti societari e quello, abitualmente identico, in cui si adotta la politica generale di tale società. Possono essere presi in considerazione anche altri elementi, quali il domicilio dei principali dirigenti, il luogo di riunione delle assemblee generali, di tenuta dei documenti amministrativi e contabili e di svolgimento della maggior parte delle attività finanziarie, in particolare bancarie» (82).

3.2.3.   Prezzo

Articolo 5, paragrafo 1

c)

il prezzo totale dei beni o servizi comprensivo delle imposte o, se la natura dei beni o dei servizi comporta l’impossibilità di calcolare ragionevolmente il prezzo in anticipo, le modalità di calcolo del prezzo e, se applicabili, tutte le spese aggiuntive di spedizione, consegna o postali oppure, qualora tali spese non possano ragionevolmente essere calcolate in anticipo, l’indicazione che tali spese potranno essere addebitate al consumatore;

Articolo 6, paragrafo 1

e)

il prezzo totale dei beni o dei servizi comprensivo delle imposte o, se la natura dei beni o servizi comporta l’impossibilità di calcolare ragionevolmente il prezzo in anticipo, le modalità di calcolo del prezzo e, se del caso, tutte le spese aggiuntive di spedizione, consegna o postali e ogni altro costo oppure, qualora tali spese non possano ragionevolmente essere calcolate in anticipo, l’indicazione che tali spese potranno essere addebitate al consumatore. Nel caso di un contratto a tempo indeterminato o di un contratto comprendente un abbonamento, il prezzo totale include i costi totali per periodo di fatturazione. Quando tali contratti prevedono la fatturazione di una tariffa fissa, il prezzo totale equivale anche ai costi mensili totali. Se i costi totali non possono essere ragionevolmente calcolati in anticipo, devono essere fornite le modalità di calcolo del prezzo;

Il sottolineato dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), rappresenta gli obblighi aggiuntivi per quanto riguarda le informazioni sui prezzi applicabili soltanto ai contratti a distanza o negoziati fuori dei locali commerciali rispetto a quelli di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettera c), per i contratti negoziati nei locali commerciali. In particolare per i contratti a distanza o negoziati fuori dei locali commerciali si richiedono informazioni specifiche per abbonamenti e contratti a tempo indeterminato.

Se il prodotto o uno dei prodotti forniti nell’ambito di un contratto a tempo indeterminato o di un abbonamento sono addebitati a tariffa fissa, occorre fornire le informazioni sul costo totale per periodo di fatturazione e sui costi mensili totali.

Per esempio gli abbonamenti a internet o a servizi di media audiovisivi sono solitamente addebitati a tariffa fissa mensile, bimestrale o trimestrale, indipendentemente dall’utilizzo. Il consumatore che desideri sottoscrivere un abbonamento online o fuori dei locali commerciali deve essere quindi informato sul costo mensile e, nel caso di diverso periodo di fatturazione, sui costi per periodo di fatturazione.

Se un contratto copre o include un prodotto per il quale il costo totale non può essere calcolato in anticipo, il professionista deve informare il consumatore cica le modalità di calcolo di questi costi variabili:

per esempio per i servizi di telefonia vocale il cui costo dipende dall’utilizzo effettivo, il professionista deve indicare al consumatore un listino prezzi dettagliato per le chiamate telefoniche (83).

Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 6, per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali e i contratti a distanza, se il professionista non adempie agli obblighi di informazione sulle spese aggiuntive o altri costi, i consumatori non sono tenuti a sostenere tali spese o costi aggiuntivi. Ciò riflette l’obbligo del professionista di informare il consumatore del prezzo pieno, compresi tutte le imposte, i dazi e gli oneri supplementari applicabili, in particolare l’IVA all’importazione, i dazi doganali, lo sdoganamento ecc. applicabili agli acquisti da professionisti di paesi terzi (84).

Se un contenuto o un servizio digitale prevede in opzione acquisti supplementari e incorporati, prima di acquistare il prodotto digitale il consumatore sarà debitamente informato della possibile offerta di acquisti supplementari in opzione. Tale obbligo interesserà per esempio:

le applicazioni che comprendono acquisti in-app, come add-on o livelli supplementari in un videogioco;

gli abbonamenti a servizi di contenuti audiovisivi che comprendono l’opzione di contenuti pay-per-view (film) offerti dietro ulteriore pagamento.

3.2.4.   Consegna ed esecuzione del contratto

Articolo 5, paragrafo 1

d)

se applicabili, le modalità di pagamento, consegna ed esecuzione, la data entro la quale il professionista si impegna a consegnare i beni o a prestare il servizio e il trattamento dei reclami da parte del professionista;

Articolo 6, paragrafo 1

g)

le modalità di pagamento, consegna ed esecuzione, la data entro la quale il professionista si impegna a consegnare i beni o a prestare i servizi e, se del caso, il trattamento dei reclami da parte del professionista;

Quest’obbligo di informazione è simile per i contratti negoziati nei locali commerciali e quelli negoziati fuori dei locali commerciali o a distanza salvo che, per i contratti negoziati nei locali commerciali, tutte le informazioni rilevanti devono essere fornite soltanto «se applicabili», mentre per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali o a distanza esse devono essere fornite in tutti i casi, tranne le informazioni sul trattamento dei reclami da parte del professionista, che sono richieste «se del caso».

Quest’obbligo di informazione è simile a quello di cui all’articolo 7, paragrafo 4, lettera d), della direttiva sulle pratiche commerciali sleali. Tuttavia, ai sensi della stessa direttiva le informazioni sulle condizioni di pagamento, consegna ed esecuzione devono essere fornite nell’invito all’acquisto solo nel caso in cui tali condizioni siano svantaggiose per il consumatore rispetto alla prassi di diligenza sul mercato.

Il professionista è inoltre tenuto a rispettare gli obblighi di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettera d), o all’articolo 6, paragrafo 1, lettera g), concernenti i tempi di consegna o di esecuzione se indica un periodo (per esempio«10 giorni»o«due settimane») dalla conclusione del contratto (inoltro dell’ordine da parte del consumatore). Il professionista non deve necessariamente indicare una data di calendario specifica, che non sempre è fattibile.

Per i contratti negoziati nei locali commerciali, l’obbligo di informare sul termine entro il quale il professionista si impegna a consegnare i beni o a prestare il servizio non si applica se la consegna o l’esecuzione sono immediate.

Per i contratti di vendita negoziati nei locali commerciali, l’obbligo di indicare il termine di consegna «se applicabile» deve essere interpretato alla luce dell’articolo 18. In particolare, il professionista non è tenuto a fornire informazioni sul termine di consegna dei beni se intende consegnarli entro il termine prestabilito di 30 giorni di cui all’articolo 18. Ovviamente ciò non impedisce al professionista di comunicare al consumatore un termine di consegna diverso né impedisce al professionista e al consumatore di concordare una data diversa. La data concordata costituirebbe in tal caso il termine di consegna «concordato» di cui all’articolo 18 (cfr. anche sezione 6 sulla consegna).

L’articolo 7 del regolamento (UE) 2018/644 del Parlamento europeo e del Consiglio (85) relativo ai servizi di consegna transfrontaliera dei pacchi impone a tutti i professionisti che concludono contratti di vendita con i consumatori che prevedano l’invio transfrontaliero di pacchi, ove possibile e applicabile, di mettere a disposizione, in fase precontrattuale, informazioni sulle opzioni di consegna transfrontaliera relative allo specifico contratto di vendita e sugli oneri pagabili dai consumatori per la consegna transfrontaliera dei pacchi, nonché, se del caso, sulle loro politiche di gestione dei reclami.

Per quanto riguarda il contenuto digitale online e i servizi digitali, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sul contenuto digitale, il professionista è tenuto a fornirli al consumatore senza indebito ritardo dopo la conclusione del contratto, salvo diverso accordo. Tuttavia, conformemente all’articolo 7, paragrafo 3, e all’articolo 8, paragrafo 8, della direttiva sui diritti dei consumatori per quanto riguarda i contratti di servizi (digitali) (cfr. sezione 5.6) e all’articolo 16, primo comma, lettera m), della medesima direttiva per quanto riguarda i contratti per la fornitura di contenuto digitale online (cfr. sezione 5.7), il fornitore dovrebbe ricevere una previa richiesta esplicita/ottenere il previo consenso espresso del consumatore per la fornitura di un servizio digitale o di contenuto digitale online prima della scadenza del diritto di recesso. In caso contrario, a norma dell’articolo 14, paragrafo 4, della direttiva sui diritti dei consumatori, il consumatore potrebbe ancora recedere dai rispettivi contratti e avrebbe il diritto di non pagare (o di chiedere il rimborso per) il servizio digitale o il contenuto digitale online ricevuto (cfr. sezione 5.8).

Inoltre l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva sul contenuto digitale chiarisce che il professionista ha adempiuto l’obbligo di fornitura quando:

a)

il contenuto digitale o qualunque mezzo idoneo per accedere al contenuto digitale o per scaricarlo è reso disponibile o accessibile al consumatore, o all’impianto fisico o virtuale scelto dal consumatore all’uopo;

b)

il servizio digitale è reso accessibile al consumatore o a un impianto fisico o virtuale scelto dal consumatore all’uopo.

3.2.5.   Modalità di pagamento

Esempi di modalità di pagamento che devono essere spiegate con particolare chiarezza al consumatore sono:

pagamento mediante la bolletta telefonica del consumatore;

nei contratti di abbonamento, per esempio per videogiochi online, la condizione in base alla quale il professionista utilizza le informazioni sui mezzi di pagamento (per esempio i dettagli della carta di credito) fornite dal consumatore al momento dell’abbonamento iniziale anche per fatturare i successivi acquisti senza chiedere al consumatore di inserirle nuovamente.

I pagamenti sono soggetti alla direttiva (UE) 2015/2366 del Parlamento europeo e del Consiglio (86) sui servizi di pagamento (cfr. anche sezione 8 «Tariffe per l’utilizzo di mezzi di pagamento» sull’articolo 19), il cui articolo 64, paragrafo 1, così recita: «Gli Stati membri assicurano che un’operazione di pagamento sia considerata autorizzata solo se il pagatore ha prestato il suo consenso ad eseguire l’operazione di pagamento. Un’operazione di pagamento può essere autorizzata dal pagatore prima o, se concordato dal pagatore e dal prestatore di servizi di pagamento, dopo l’esecuzione della stessa».

Inoltre, prima di procedere all’acquisto del prodotto digitale principale nel cui ambito sono offerti gli acquisti supplementari, il consumatore dovrà essere informato sin dall’inizio, in modo chiaro e evidente, sulle condizioni di pagamento degli acquisti supplementari.

Le impostazioni prestabilite per il pagamento non dovranno permettere acquisti supplementari senza l’esplicito consenso del consumatore (tramite password o altri mezzi adeguati). Quanto agli acquisti in-app, se il sistema prevede una durata limitata di validità dell’autenticazione (per esempio 15 minuti), i professionisti non dovranno applicare automaticamente le impostazioni prestabilite, ma richiederanno l’esplicito consenso del consumatore anche per quanto riguarda la durata di validità applicabile (87).

3.2.6.   Garanzie e servizi postvendita

Articolo 5, paragrafo 1

e)

oltre a un richiamo dell’esistenza della garanzia legale di conformità per i beni, il contenuto digitale e i servizi digitali, l’esistenza e le condizioni del servizio postvendita e delle garanzie commerciali, se applicabili;

Articolo 6, paragrafo 1

l)

un promemoria dell’esistenza della garanzia legale di conformità per i beni, il contenuto digitale e i servizi digitali;

m)

se applicabili, l’esistenza e le condizioni dell’assistenza postvendita al consumatore, dei servizi postvendita e delle garanzie commerciali;

Benché presentati in maniera leggermente diversa, i contratti negoziati nei locali commerciali e quelli negoziati fuori dei locali commerciali o a distanza sono soggetti a obblighi di informazione praticamente identici per quanto riguarda la garanzia legale e i possibili servizi postvendita.

Le norme sostanziali relative alla garanzia legale sono contenute nell’articolo 10 della direttiva sulla vendita di beni e nell’articolo 11 della direttiva sul contenuto digitale. Tali norme prevedono:

nel caso di beni, la responsabilità del venditore per il difetto di conformità (difetto) esistente al momento della consegna e che si manifesta entro due anni dalla consegna (o un periodo di responsabilità più lungo, secondo quanto previsto dal pertinente diritto nazionale);

nel caso di contenuto digitale o servizi digitali, la responsabilità del fornitore per il difetto di conformità esistente al momento della fornitura e che si manifesta entro due anni dalla fornitura (o un periodo di responsabilità più lungo, secondo quanto previsto dal pertinente diritto nazionale) quando sono forniti tramite una fornitura singola, o entro il periodo contrattuale di fornitura nel caso di contenuto digitale o servizi digitali forniti in modo continuativo.

L’articolo 6, paragrafo 1, lettera l), della direttiva sui diritti dei consumatori utilizza l’espressione «promemoria dell’esistenza», pertanto non è necessario fornire informazioni dettagliate sulla garanzia legale. Tuttavia, per rispettare gli obblighi di informazione, il professionista deve almeno informare i consumatori dell’esistenza di una garanzia legale e indicarne la durata.

In linea di principio, la direttiva sulla vendita di beni e la direttiva sul contenuto digitale armonizzano pienamente le norme rientranti nel loro ambito di applicazione. Solo per alcuni aspetti gli Stati membri possono garantire una maggiore tutela dei consumatori, in particolare periodi di responsabilità più lunghi (88).

I professionisti, in particolare i professionisti online transfrontalieri, possono rivolgersi con le loro offerte ai mercati di più Stati membri senza personalizzare le informazioni per ciascun mercato interessato. Pertanto, per tenere conto delle possibili differenze tra gli obblighi di legge a livello nazionale, tali professionisti dovrebbero anche riconoscere le eventuali norme più rigorose che possono esistere nei diversi Stati membri cui si rivolgono. In particolare dovrebbero fare riferimento al fatto che due anni rappresentano la durata minima della garanzia legale e che il diritto nazionale del paese di residenza del consumatore può prevedere diritti dei consumatori più estesi.

Oltre al richiamo della garanzia legale, il professionista che fornisce i beni o i servizi deve anche fornire informazioni su eventuali benefici postvendita offerti volontariamente dal fornitore dei beni o servizi o da altri professionisti interessati, come il fabbricante dei beni.

Le informazioni sull’esistenza e sulle condizioni dell’assistenza post-vendita al consumatore, dei servizi postvendita e/o delle garanzie commerciali devono essere fornite solo se tali benefici aggiuntivi sono effettivamente offerti.

La garanzia commerciale è definita in termini generali all’articolo 2, punto 14), della direttiva come l’impegno di rimborsare il prezzo pagato o sostituire, riparare, o intervenire altrimenti sul bene, qualora esso non sia conforme o non soddisfi altri requisiti. Non esistono definizioni per le altre forme di benefici. In pratica, lo stesso tipo di beneficio potrebbe essere commercializzato con nomi diversi da professionisti diversi.

La direttiva sulla vendita di beni rende giuridicamente vincolante per l’emittente la garanzia commerciale, che può essere fornita dal venditore o da un’altra parte, quale il produttore. Nonostante ciò, i diritti del consumatore in virtù della garanzia commerciale sono stabiliti contrattualmente e pertanto varieranno da un professionista all’altro o anche per beni diversi offerti dallo stesso professionista (89). Se, a norma dell’articolo 17 della direttiva sulla vendita di beni, il produttore rilascia una «garanzia commerciale di durabilità» per un determinato periodo di tempo, il consumatore ha diritto alla riparazione e alla sostituzione come stabilito nella medesima direttiva.

Le informazioni su tali benefici postvendita devono spiegare soprattutto dove sarà prestato il rispettivo servizio e chi sosterrà il costo del trasporto (se applicabile). Informazioni errate o ingannevoli sui benefici postvendita possono costituire una pratica ingannevole ai sensi della direttiva sulle pratiche commerciali sleali. La direttiva sulle pratiche commerciali sleali proibisce di «presentare i diritti conferiti ai consumatori dalla legge come una caratteristica propria dell’offerta fatta dal professionista» (cfr. articolo 6, paragrafo 1, lettera g), e punto 10) dell’allegato I) (90).

3.2.7.   Durata e risoluzione del contratto

Articolo 5, paragrafo 1, lettera f), e articolo 6, paragrafo 1, lettera o)

la durata del contratto, se applicabile, o, se il contratto è a tempo indeterminato o è un contratto a rinnovo automatico, le condizioni per recedere dal contratto;

Articolo 6, paragrafo 1

p)

se applicabile, la durata minima degli obblighi del consumatore a norma del contratto;

Le informazioni sulle condizioni di risoluzione di un contratto a tempo indeterminato o di un contratto a rinnovo automatico (richieste sia per i contratti negoziati nei locali commerciali, sia per quelli negoziati fuori dei locali commerciali o a distanza) devono contenere soprattutto informazioni su:

le tariffe applicabili;

le procedure di risoluzione, in particolare il periodo di preavviso e i mezzi di notifica della risoluzione (per esempio indirizzo elettronico o postale).

Per i contratti a distanza o negoziati fuori dei locali commerciali, l’articolo 6, paragrafo 1, lettera p), richiede inoltre informazioni sulla durata minima degli obblighi del consumatore, per esempio un periodo di tempo minimo durante il quale il consumatore è tenuto a pagare in base ai termini e alle condizioni previsti dal professionista:

per esempio un contratto di telefonia mobile di 24 mesi può prevedere una durata minima di sei mesi durante la quale il consumatore è tenuto da pagare in caso di risoluzione anticipata (91).

Ogni periodo minimo durante il quale non è ammessa la risoluzione del contratto deve essere considerato inoltre come una delle condizioni principali di risoluzione di un contratto a tempo indeterminato o di un contratto a rinnovo automatico ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera f). Le informazioni sulla durata minima devono quindi essere fornite anche per i contratti a tempo indeterminato e i contratti a rinnovo automatico conclusi nei locali commerciali e soggetti all’articolo 5, paragrafo 1, lettera f).

La direttiva stabilisce solo obblighi di informazione per quanto riguarda la risoluzione e la proroga dei contratti. La valutazione dell’equità delle rispettive clausole contrattuali è soggetta alla direttiva 93/13/CEE sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (92). Norme specifiche in materia di durata, proroga e risoluzione dei contratti possono essere stabilite nelle pertinenti normative settoriali dell’UE (93).

3.2.8.   Funzionalità, compatibilità e interoperabilità

Conformemente alle modifiche introdotte dalla direttiva (UE) 2019/2161, i professionisti che offrono beni con elementi digitali (dispositivi «intelligenti»), contenuto digitale e servizi digitali devono informare il consumatore anche in merito alla loro funzionalità, compatibilità e interoperabilità. I rispettivi obblighi sono definiti in termini identici all’articolo 6, paragrafo 1, lettere r) e s), per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali e i contratti a distanza e all’articolo 5, paragrafo 1, lettere g) e h), per i contratti negoziati nei locali commerciali.

Articolo 5, paragrafo 1, lettera g), e articolo 6, paragrafo 1, lettera r)

se applicabile, la funzionalità dei beni con elementi digitali, del contenuto digitale e dei servizi digitali, comprese le misure applicabili di protezione tecnica;

Articolo 5, paragrafo 1, lettera h), e articolo 6, paragrafo 1, lettera s)

qualsiasi compatibilità e interoperabilità pertinente dei beni con elementi digitali, del contenuto digitale e dei servizi digitali, di cui il professionista sia a conoscenza o di cui ci si può ragionevolmente attendere che sia venuto a conoscenza, se applicabile;

Le nozioni di funzionalità, compatibilità e interoperabilità sono definite all’articolo 2 della direttiva sul contenuto digitale.

I «beni con elementi digitali» (ossia i dispositivi «intelligenti») sono una sottocategoria nella definizione aggiornata di «beni» di cui alla direttiva sulla vendita di beni, che si applica anche nel contesto della direttiva sui diritti dei consumatori. Il considerando 14 della direttiva sulla vendita di beni spiega che i «beni con elementi digitali» incorporano o sono interconnessi con un contenuto digitale o un servizio digitale in modo tale che la mancanza di detto contenuto digitale o servizio digitale impedirebbe lo svolgimento delle funzioni di tali beni. Per contenuto digitale incorporato o interconnesso con un bene si può intendere qualsiasi dato prodotto e fornito in forma digitale, come i sistemi operativi, le applicazioni e qualsiasi altro software. Il contenuto digitale può essere preinstallato al momento della conclusione del contratto di vendita o installato successivamente, qualora tale contratto lo preveda. Tra i servizi digitali interconnessi con un bene possono figurare i servizi che consentono la creazione, la trasformazione o la memorizzazione di dati in formato digitale, nonché l’accesso a tali dati, quali i software come servizio offerti nell’ambiente di cloud computing, la fornitura continua di dati relativi al traffico in un sistema di navigazione oppure la fornitura continua di programmi di allenamento personalizzati nel caso di uno smartwatch.

Il professionista dovrebbe valutare la necessità di fornire informazioni sulle caratteristiche dei beni con elementi digitali, del contenuto digitale o del servizio digitale in base alle loro caratteristiche particolari. Il seguente elenco indicativo e non esaustivo di elementi, che comprende anche aspetti di funzionalità, compatibilità e interoperabilità, può essere utilizzato come lista di controllo per decidere quali informazioni fornire su uno specifico bene con elementi digitali, contenuto digitale o servizio digitale (cfr. anche sezione 3.2.1 relativa alle informazioni sulle caratteristiche principali):

(1)

la lingua o le lingue dell’interfaccia dei beni con elementi digitali, del contenuto o del servizio digitale e, se diverse, la lingua o le lingue delle istruzioni d’uso per il loro funzionamento;

(2)

il metodo di fornitura del contenuto o servizio digitale: per esempio streaming, online, download una tantum, accesso al download per un periodo specificato;

(3)

per file video o audio: la durata di esecuzione del contenuto;

(4)

per file scaricabili: il tipo e la dimensione del file;

(5)

l’eventuale impegno (o assenza di impegno) da parte del professionista o di un terzo a mantenere o aggiornare i beni con elementi digitali, il contenuto o il servizio digitale;

(6)

le condizioni non direttamente collegate all’interoperabilità, come:

a)

tracciamento e/o personalizzazione;

b)

la necessità di una connessione internet e i suoi requisiti tecnici (per esempio la velocità minima di download e upload);

c)

la necessità, per altri utenti, di installare un software specifico (per esempio software di comunicazione);

(7)

le limitazioni d’uso, come:

a)

limiti al numero di volte, o alla durata nel tempo in cui è possibile guardare, leggere o utilizzare un contenuto o servizio digitale;

b)

limiti al riutilizzo per effettuare copie private;

c)

restrizioni basate sull’ubicazione del dispositivo del consumatore;

d)

eventuali funzionalità che costituiscano una condizione per acquisti supplementari: per esempio contenuti a pagamento, iscrizione a un club, oppure hardware o software supplementari;

(8)

i dispositivi con cui può essere utilizzato il contenuto o servizio digitale e, se del caso, il sistema operativo e eventuali altri software, con il numero della versione, e l’hardware, con la velocità del processore e le caratteristiche della scheda grafica;

(9)

eventuali elementi specifici relativi alle funzionalità dell’«Internet degli oggetti» dei beni con elementi digitali.

3.3.    Obblighi aggiuntivi per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali e i contratti a distanza

3.3.1.   Prezzo personalizzato

Articolo 6, paragrafo 1

e bis)

se applicabile, l’informazione che il prezzo è stato personalizzato sulla base di un processo decisionale automatizzato;

Quest’obbligo di informazione introdotto dalla direttiva (UE) 2019/2161 si applica ai contratti a distanza e ai contratti negoziati fuori dei locali commerciali. In pratica, sarà pertinente solo per i contratti conclusi online che consentono il ricorso al processo decisionale automatizzato e alla profilazione del comportamento dei consumatori per personalizzare il prezzo per determinati consumatori o categorie specifiche di consumatori.

Qualora tali tecniche siano utilizzate per personalizzare il prezzo, i consumatori dovrebbero essere informati in modo chiaro e evidente, in modo da poter tenere conto dei possibili rischi insiti nella loro decisione di acquisto.

Come spiegato nel considerando 45 della direttiva (UE) 2019/2161, «tale obbligo di informazione non dovrebbe applicarsi nel caso di tecniche quali la fissazione di prezzo ‘dinamicà o ‘in tempo reale’, caratterizzata da una grande flessibilità e rapidità nel modificare il prezzo proposto per rispondere alle richieste del mercato, purché tali tecniche non comportino una personalizzazione basata su un processo decisionale automatizzato».

Per fissazione di prezzo dinamica si intende la variazione dei prezzi dovuta a variabili che non sono legate al cliente, quali l’ora del giorno, l’offerta disponibile, i prezzi dei concorrenti. Quando si utilizza una fissazione di prezzo dinamica senza personalizzazione dei prezzi, diversi consumatori o gruppi di consumatori che selezionano contemporaneamente lo stesso prodotto per l’acquisto dovrebbero vedere lo stesso prezzo, indipendentemente dal loro profilo e dalle loro caratteristiche individuali.

Non rappresentano una fissazione di prezzo personalizzata neppure le differenze di prezzo dovute a variazioni delle imposte o degli oneri applicabili (per esempio differenze nelle aliquote IVA tra gli Stati membri). Analogamente, non rientrano in tale categoria nemmeno le riduzioni di prezzo applicate in generale e che non riguardano una persona o un gruppo specifici selezionati mediante la profilazione automatizzata.

La fissazione di prezzo personalizzata consiste nell’adattamento al singolo consumatore. I professionisti raccolgono dati sui singoli consumatori ricorrendo a un processo decisionale automatizzato per delinearne il comportamento. I dati relativi alla cronologia delle ricerche o al dispositivo informatico sono alcuni degli elementi che potrebbero essere utilizzati per determinare il profilo del consumatore.

Per esempio, un professionista online che rilevi un aumento del traffico su internet potrebbe aumentare il prezzo come forma di fissazione di prezzo dinamica. Tuttavia il «numero di clic» del consumatore su una determinata pagina internet può anche essere utilizzato dall’algoritmo per effettuare la profilazione del comportamento del consumatore e personalizzare il prezzo per quest’ultimo.

L’obbligo previsto dalla direttiva sui diritti dei consumatori si limita alle informazioni a fini di personalizzazione. Esso costituisce un obbligo di informazione aggiuntivo che dovrebbe essere rispettato al momento dell’offerta di un prezzo personalizzato e «non pregiudica le disposizioni del regolamento (UE) 2016/679, che stabilisce, tra l’altro, il diritto delle persone fisiche di non essere assoggettate a processi decisionali automatizzati relativi alle persone fisiche, inclusa la profilazione» (considerando 45 della direttiva (UE) 2019/2161). La fissazione di prezzo personalizzata può rientrare nelle norme specifiche in materia di processo decisionale automatizzato di cui all’articolo 22 del GDPR (94). Altri obblighi previsti dal GDPR pertinenti in questo contesto comprendono l’obbligo di una base giuridica ai sensi dell’articolo 6, nonché gli obblighi di informazione di cui agli articoli da 12 a 14.

La fornitura di informazioni sul processo decisionale automatizzato nella politica in materia di protezione dei dati personali del professionista non sarà sufficiente per rispettare gli obblighi di informazione precontrattuale sulla personalizzazione dei prezzi di cui alla direttiva sui diritti dei consumatori. Le informazioni sulla personalizzazione dei prezzi dovrebbero essere fornite prima di ogni transazione, e non semplicemente come parte delle informazioni generali sul trattamento dei dati personali da parte del professionista.

3.3.2.   Costo dell’utilizzo di mezzi di comunicazione a distanza

Articolo 6, paragrafo 1

f)

il costo dell’utilizzo del mezzo di comunicazione a distanza per la conclusione del contratto quando tale costo è calcolato su una base diversa dalla tariffa di base;

Quest’obbligo di informazione si applica in particolare ai casi in cui il professionista pubblicizza un numero per servizi a tariffa maggiorata (PRS) che il consumatore deve chiamare per concludere il contratto concernente i beni o i servizi offerti.

3.3.3.   Depositi e garanzie finanziarie

Articolo 6, paragrafo 1

q)

se applicabili, l’esistenza e le condizioni di depositi o altre garanzie finanziarie che il consumatore è tenuto a pagare o fornire su richiesta del professionista;

I depositi e le garanzie finanziarie sono elementi tipici dei contratti di noleggio in base ai quali un oggetto di valore è messo a disposizione del consumatore, per esempio il noleggio di un’auto. Come spiega il considerando 33: «Il professionista dovrebbe essere tenuto ad informare il consumatore in anticipo di qualsiasi accordo che preveda il pagamento di un acconto da parte del consumatore al professionista, incluso un accordo in cui un importo viene trattenuto mediante la carta di credito o di debito del consumatore».

Per esempio, le informazioni sulle condizioni della garanzia devono spiegare soprattutto se l’importo in questione venga trattenuto dal conto del consumatore o addebitato su quest’ultimo e quando e a quali condizioni sarà sbloccato o rimborsato al consumatore.

3.3.4.   Meccanismi di ricorso extra-giudiziali

Articolo 6, paragrafo 1

t)

se applicabile, la possibilità di servirsi di un meccanismo extra-giudiziale di reclamo e ricorso cui il professionista è soggetto e le condizioni per avervi accesso.

L’obbligo di informazione di cui sopra si riferisce a qualsiasi meccanismo extra-giudiziale di reclamo e ricorso cui è soggetto il professionista, compresi i meccanismi che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2013/11/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (95) sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori («direttiva sull’ADR per i consumatori»).

La direttiva sull’ADR per i consumatori garantisce che i residenti dell’UE abbiano accesso a meccanismi extra-giudiziali di risoluzione delle controversie con professionisti stabiliti nell’UE. Essa prevede requisiti di qualità specifici per gli organismi e le procedure di risoluzione alternativa delle controversie. Solo gli organismi di risoluzione alternativa delle controversie che sono stati valutati dagli Stati membri in base a tali requisiti e che sono stati comunicati alla Commissione sono riconosciuti come «organismi ADR» ai sensi della direttiva sull’ADR per i consumatori.

La direttiva sull’ADR per i consumatori si applica alle controversie, nazionali e transfrontaliere, concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti di vendita o di servizi, indipendentemente dal prodotto o servizio acquistato dal consumatore (sono escluse solo le controversie relative all’assistenza sanitaria e all’istruzione superiore (96)), dal fatto che il prodotto o servizio sia stato acquistato online o offline e dal fatto che il professionista sia stabilito nello Stato membro del consumatore o in un altro Stato membro.

Di conseguenza, se il meccanismo extra-giudiziale in merito al quale il professionista informa il consumatore ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera t), della direttiva sui diritti dei consumatori è un «organismo ADR» quale definito all’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), della direttiva sull’ADR per i consumatori, il professionista deve rispettare anche gli obblighi di cui all’articolo 13 di tale direttiva. Questo impone ai professionisti di informare in merito all’organismo o agli organismi ADR competenti per essi, quando detti professionisti si impegnano o sono tenuti a ricorrere alla risoluzione alternativa delle controversie per risolvere le controversie con i consumatori. Tali informazioni devono includere l’indirizzo dei siti web degli organismi ADR pertinenti. A norma dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva sull’ADR per i consumatori, le informazioni sono fornite in modo chiaro, comprensibile e facilmente accessibile sul sito web del professionista, ove esista, e se del caso nelle condizioni generali applicabili al contratto di vendita o di servizi tra questo e un consumatore.

A tal riguardo la Corte ha precisato che, alla luce sia dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva sull’ADR per i consumatori sia dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera t), della direttiva sui diritti dei consumatori, non è sufficiente che il consumatore riceva le informazioni sulla risoluzione alternativa delle controversie soltanto al momento della conclusione del contratto con il professionista nell’ambito delle condizioni generali del contratto o in un documento separato. Al contrario, il consumatore deve ricevere tali informazioni in tempo utile prima della conclusione del contratto e non solo nella fase della sua conclusione (97).

Inoltre l’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 524/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio (98) relativo alla risoluzione delle controversie online dei consumatori (regolamento sull’ODR per i consumatori) impone ai professionisti stabiliti nell’Unione che operano mediante contratti di vendita o servizi online e ai mercati online stabiliti nell’Unione di fornire nei loro siti web un link elettronico alla piattaforma ODR (99)..

3.4.    Obblighi aggiuntivi per i mercati online

La direttiva (UE) 2019/2161 modifica sia la direttiva sui diritti dei consumatori che la direttiva sulle pratiche commerciali sleali, introducendo obblighi di informazione per i «mercati online». I mercati online sono definiti all’articolo 2, punto 17), della direttiva sui diritti dei consumatori (100).

Articolo 2

17)   «mercato online»: un servizio che utilizza un software, compresi siti web, parte di siti web o un’applicazione, gestito da o per conto del professionista, che permette ai consumatori di concludere contratti a distanza con altri professionisti o consumatori;

La direttiva (UE) 2019/2161 ha aggiunto alla direttiva sui diritti dei consumatori un nuovo articolo 6 bis«Obblighi di informazione supplementari specifiche per i contratti conclusi sui mercati online».

L’articolo 6 bis inizia con una clausola generale che stabilisce gli obblighi relativi all’accessibilità delle informazioni che devono essere fornite dal mercato online; questi obblighi formali corrispondono a quelli esistenti all’articolo 6, paragrafo 1, e all’articolo 8, paragrafo 1, per tutti i contratti a distanza:

Articolo 6 bis

1.   Prima che un consumatore sia vincolato da un contratto a distanza, o da una corrispondente offerta, su un mercato online, il fornitore del mercato online, ferma restando la direttiva 2005/29/CE, indica al consumatore anche, in maniera chiara e comprensibile e in modo appropriato al mezzo di comunicazione a distanza:

Gli obblighi di informazione specifici sono previsti all’articolo 6 bis, paragrafo 1. La lettera a) richiede la trasparenza dei parametri di classificazione, mentre gli obblighi di cui alle lettere b), c) e d) richiedono informazioni sullo status dell’altra parte contraente, sull’applicabilità dei diritti dei consumatori e su chi è responsabile dell’esecuzione del contratto.

3.4.1.   Criteri di classificazione

Articolo 6 bis, paragrafo 1

a)

informazioni generali, rese disponibili in un’apposita sezione dell’interfaccia online che sia direttamente e facilmente accessibile dalla pagina in cui sono presentate le offerte, in merito ai principali parametri che determinano la classificazione, quale definita all’articolo 2, paragrafo 1, lettera m), della direttiva 2005/29/CE, delle offerte presentate al consumatore come un risultato della sua ricerca e all’importanza relativa di tali parametri rispetto ad altri parametri;

La direttiva (UE) 2019/2161 ha aggiunto un analogo obbligo di informazione anche alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali, sotto forma di nuovo paragrafo 4 bis dell’articolo 7 sulle omissioni ingannevoli. Ha inoltre aggiunto un nuovo punto 11 bis) all’allegato I «lista nera» della direttiva, che impone di indicare chiaramente la presenza di annunci pubblicitari e di promozioni a pagamento all’interno dei risultati di ricerca.

L’obbligo previsto dalla direttiva sui diritti dei consumatori si applica ai mercati online che consentono la conclusione diretta di contratti tra consumatori e terzi (contratti B2C e C2C). Per contro, non si applica agli strumenti di confronto dei prezzi e ai motori di ricerca online, quando non agiscono in veste di mercati online: tali intermediari sono soggetti unicamente agli obblighi imposti dalla direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

La classificazione è definita all’articolo 2, lettera m), della direttiva sulle pratiche commerciali sleali come «rilevanza relativa attribuita ai prodotti, come illustrato, organizzato o comunicato dal professionista , a prescindere dai mezzi tecnologici usati per tale presentazione, organizzazione o comunicazione». La stessa definizione si applica anche nel contesto della direttiva sui diritti dei consumatori.

Il considerando 19 della direttiva (UE) 2019/2161 la definisce ulteriormente come comprensiva dei risultati di ricerca «[…] risultanti dall’utilizzo di meccanismi algoritmici di ordinamento in sequenza, valutazione o recensione, dalla messa in evidenza visiva o da altri strumenti di messa in rilievo, o da una combinazione tra questi».

L’obbligo di informare in merito ai parametri di classificazione sorge quando il mercato, a seguito di una ricerca di un consumatore, fornisce risultati di ricerca relativi a prodotti offerti da diversi professionisti o consumatori ospitati sul mercato. Non si applica invece all’organizzazione predefinita dell’interfaccia online che è visibile al consumatore e che non è il risultato di una ricerca specifica su quella interfaccia online.

Per quanto riguarda il contenuto delle informazioni, il mercato deve fornire informazioni «generali» in merito ai parametri principali che determinano la classificazione dei prodotti e all’«importanza relativa» di tali parametri rispetto ad altri parametri.

Ai sensi del considerando 22 della direttiva (UE) 2019/2161, «con ‘parametri che determinano la classificazione’ s’intende qualsiasi criterio generale, processo, segnale specifico integrato negli algoritmi o qualsiasi altro meccanismo di aggiustamento o di retrocessione utilizzato in connessione con la classificazione».

Le informazioni sulla classificazione non pregiudicano le disposizioni della direttiva (UE) 2016/943 del Parlamento europeo e del Consiglio (101) sui segreti commerciali. Come spiegato nell’obbligo parallelo di trasparenza del posizionamento per tutte le piattaforme online e tutti i motori di ricerca online di cui all’articolo 5 del regolamento (UE) 2019/1150 del Parlamento europeo e del Consiglio (102) («il regolamento P2B»), questo significa che la considerazione degli interessi commerciali dei fornitori pertinenti non dovrebbe mai portare ad un rifiuto di divulgare i parametri principali che determinano il posizionamento. Al tempo stesso né la direttiva (UE) 2016/943 né il regolamento P2B prevedono l’obbligo di comunicare il funzionamento dettagliato dei meccanismi di classificazione dei fornitori pertinenti, compresi gli algoritmi (103). Lo stesso approccio si applica all’obbligo di informazione di cui alla direttiva sui diritti dei consumatori.

La descrizione dei parametri di classificazione predefiniti può rimanere a livello generale e non deve necessariamente essere fornita individualmente per ogni ricerca effettuata (104). Oltre agli obblighi generali relativi all’accessibilità, le informazioni sui parametri di classificazione devono essere rese disponibili in un’apposita sezione dell’interfaccia online che sia direttamente e facilmente accessibile dalla pagina in cui sono presentate le offerte (105).

L’obbligo di informazione si applica anche nel caso in cui un professionista consenta di effettuare ricerche su un’interfaccia online per mezzo di comandi vocali (tramite «assistenti digitali»), anziché attraverso la digitazione. Anche in questo caso le informazioni devono essere rese disponibili per la consultazione sul sito internet/sull’applicazione del professionista «in un’apposita sezione dell’interfaccia online».

Le regole sulla trasparenza della classificazione nei confronti dei consumatori (nella direttiva sui diritti dei consumatori e nella direttiva sulle pratiche commerciali sleali) definiscono la «classificazione» in termini sostanzialmente simili a quelli del regolamento P2B. Il regolamento P2B prevede che le piattaforme informino i loro utenti commerciali tramite informazioni contenute nei termini e condizioni B2B della piattaforma, oppure rendano disponibili le informazioni nella fase precontrattuale.

Anche se i rispettivi obblighi di informazione sono simili, i loro «destinatari» sono differenti. Per questo motivo la direttiva sui diritti dei consumatori (e la direttiva sulle pratiche commerciali sleali) prevedono che siano indicate soltanto informazioni «generali» riguardo ai principali parametri di classificazione e alla loro importanza relativa. Questa differenza rispetto al regolamento P2B riflette le esigenze di informazione dei consumatori che richiedono informazioni concise che siano facili da capire. Per lo stesso motivo, ai sensi delle norme della direttiva sui diritti dei consumatori e della direttiva sulle pratiche commerciali sleali non è nemmeno necessario fornire una spiegazione dei «motivi» dell’importanza relativa dei principali parametri di classificazione, che è richiesta dal regolamento P2B.

Praticamente, i fornitori dei servizi di intermediazione online potranno utilizzare le informazioni più dettagliate che forniscono ai loro utenti commerciali ai sensi del regolamento P2B come base per elaborare una spiegazione dei parametri di classificazione orientata al consumatore. La Commissione ha pubblicato orientamenti sulla trasparenza del posizionamento a norma del regolamento P2B (106). Tali orientamenti affrontano varie questioni che sono indirettamente pertinenti anche ai fini dell’applicazione delle norme della direttiva sui diritti dei consumatori e della direttiva sulle pratiche commerciali sleali in materia di trasparenza della classificazione, quali le nozioni di «parametri principali», «rilevanza relativa» e «corrispettivi diretti e indiretti».

3.4.2.   Status dell’altra parte contrattuale

Articolo 6 bis, paragrafo 1

b)

se il terzo che offre beni, servizi o contenuto digitale è un professionista o meno, sulla base della dichiarazione del terzo stesso al fornitore del mercato online;

Un obbligo analogo per quanto riguarda lo status del fornitore terzo è stabilito nella nuova lettera f) dell’articolo 7, paragrafo 4, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali riguardante l’invito all’acquisto.

Questo obbligo di informazione, riguardante espressamente i mercati online, è volto a garantire che i consumatori sappiano sempre da chi stanno comprando un bene o un servizio sul mercato online (se da un professionista o da un altro consumatore). L’erronea supposizione che il fornitore terzo sia un professionista può causare problemi per il consumatore se qualcosa nell’acquisto online va storto (per esempio difetto di conformità dei prodotti) e se poi risulta che le norme relative alla protezione dei consumatori, come il diritto di recesso entro 14 giorni o la garanzia giuridica, di fatto non si applicano al contratto.

Le disposizioni sia della direttiva sui diritti dei consumatori che della direttiva sulle pratiche commerciali sleali specificano che le informazioni relative allo status del fornitore terzo devono basarsi su una dichiarazione del suddetto fornitore che successivamente il mercato online trasmette al consumatore. Di conseguenza il mercato online può basarsi principalmente sulla dichiarazione del fornitore terzo. Tale approccio è in linea con il divieto di imporre agli intermediari online obblighi di sorveglianza di carattere generale ai sensi della direttiva sul commercio elettronico (107), nella misura in cui le pertinenti disposizioni della direttiva sul commercio elettronico si applicano al mercato online. Al tempo stesso non pregiudica gli obblighi del mercato riguardanti i contenuti illegali, per esempio agire sulla base di una segnalazione che informa la piattaforma dell’esistenza di specifiche offerte fraudolente da parte dei professionisti (108).

È opportuno sottolineare che l’articolo 6 bis, paragrafo 1, lettera b), costituisce un obbligo di informazione volto a promuovere la chiarezza per i consumatori che fanno acquisti sui mercati online. L’autodichiarazione è un buon indicatore dello status giuridico del fornitore, ma non sostituisce la definizione di «professionista», che rimane da applicare conformemente ai criteri specificati. A tale proposito è opportuno fare riferimento all’allegato I «lista nera», punto 22), della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, che vieta ai professionisti di fingere di essere non professionisti. Tale divieto si applica a qualsiasi dichiarazione errata o inesatta di essere un non professionista ai sensi di questo nuovo obbligo di informazione.

3.4.3.   Informazioni sulla non applicabilità del diritto dei consumatori dell’UE

L’articolo 6 bis, paragrafo 1, lettera c), mira a incoraggiare i professionisti a dichiarare correttamente il loro status. Esso impone al fornitore del mercato online di avvertire i consumatori del fatto che non beneficiano dei diritti dei consumatori qualora il fornitore terzo abbia dichiarato di essere un non professionista.

Articolo 6 bis, paragrafo 1

c)

nel caso in cui il terzo che offre i beni, i servizi o il contenuto digitale non sia un professionista, che al contratto non si applicano i diritti dei consumatori derivanti dal diritto dell’Unione sulla tutela dei consumatori;

L’informazione riguardo alla non applicabilità dei diritti dei consumatori dell’UE al contratto deve accompagnare, in modo conciso e quanto più evidente possibile, l’informazione relativa alla dichiarazione del fornitore terzo di non essere un professionista. Lo scopo principale di tale notifica consiste nell’avvertire i consumatori che non possono contare sulla tutela giuridica che normalmente si aspetterebbero, come il diritto di recesso o la garanzia legale, in modo che stipulino il contratto con piena cognizione di tali limitazioni.

3.4.4.   Ripartizione delle responsabilità per il contratto

Articolo 6 bis, paragrafo 1

d)

se del caso, il modo in cui gli obblighi relativi al contratto sono ripartiti tra il terzo che offre i beni, i servizi o il contenuto digitale e il fornitore del mercato online. Tali informazioni lasciano impregiudicata la responsabilità che il fornitore del mercato online o il professionista terzo ha in relazione al contratto in base ad altre norme di diritto dell’Unione o nazionale.

I consumatori che utilizzano un mercato online stipulano contratti con il fornitore del mercato o con il fornitore terzo per la fornitura di prodotti specifici offerti sul mercato. Inoltre il consumatore ha anche un contratto (quadro) con il fornitore del mercato online e quest’ultimo ha a sua volta contratti con i fornitori sul mercato. Tali contratti disciplinano le condizioni di utilizzo del servizio del mercato per gli utenti, compresi i servizi che il mercato offre al consumatore in relazione ai contratti con i fornitori di prodotti specifici.

L’articolo 6 bis, paragrafo 1, lettera d), mira a chiarire ai consumatori il «modo in cui gli obblighi relativi al contratto sono ripartiti tra» il fornitore terzo e il fornitore del mercato al momento della conclusione di contratti con fornitori terzi sul mercato. Esso impone al mercato di ricordare al consumatore le eventuali responsabilità che il mercato ha assunto in relazione a tali contratti nei confronti del consumatore.

Tale informazione sulla ripartizione delle responsabilità tra il fornitore del mercato online e il fornitore terzo deve essere fornita «se del caso». In particolare, quest’obbligo si applica solo nei casi in cui vi siano responsabilità condivise nei confronti dei consumatori tra il mercato online e il fornitore terzo. Per esempio, il mercato online potrebbe assumersi la responsabilità della consegna dei beni, mentre il fornitore terzo rimane responsabile della loro conformità.

La direttiva sui diritti dei consumatori non disciplina le modalità di ripartizione delle responsabilità tra le parti. Spetta al mercato online e al professionista terzo, nel rispetto del diritto nazionale applicabile, concordare le rispettive responsabilità per quanto riguarda i contratti conclusi sul mercato, e quest’ultimo deve informare i consumatori di conseguenza.

Il considerando 27 della direttiva (UE) 2019/2161 illustra in che modo il mercato online potrebbe attuare questo nuovo obbligo di informazione: «Il fornitore del mercato online può indicare il professionista terzo come unico responsabile in materia di garanzia dei diritti dei consumatori, oppure può descrivere le sue specifiche responsabilità nel caso in cui tale fornitore si assuma la responsabilità di certi aspetti del contratto, per esempio la consegna o l’esercizio del diritto di recesso». Il suddetto considerando indica inoltre che le informazioni dovrebbero essere fornite in modo chiaro e comprensibile e non solo mediante i termini e le condizioni standard o analoghi documenti contrattuali.

3.4.5.   Possibilità di imporre ulteriori obblighi di informazione

L’articolo 6 bis, paragrafo 2, consente agli Stati membri di imporre ulteriori obblighi di informazione per i mercati online, tenendo conto delle norme della direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico.

Articolo 6 bis

2.   Fatta salva la direttiva 2000/31/CE, il presente articolo non impedisce agli Stati membri di imporre ulteriori obblighi di informazione per i fornitori dei mercati online. Tali disposizioni devono essere proporzionate, non discriminatorie e giustificate da motivi di tutela dei consumatori.

Di conseguenza questa opzione normativa è simile all’opzione più generale di cui all’articolo 6, paragrafo 8, che consente agli Stati membri di imporre obblighi di informazione aggiuntivi (come discusso nella sezione 3.1.5).

4.   Requisiti speciali per i contratti a distanza

4.1.    Definizione di contratto a distanza

L’articolo 2 definisce così i contratti a distanza: «7) «contratto a distanza»: qualsiasi contratto concluso tra il professionista e il consumatore nel quadro di un regime organizzato di vendita o di prestazione di servizi a distanza senza la presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore, mediante l’uso esclusivo di uno o più mezzi di comunicazione a distanza fino alla conclusione del contratto, compresa la conclusione del contratto stesso».

Il considerando 20 offre ulteriori spiegazioni su questo concetto, insieme a esempi di mezzi di comunicazione a distanza: «La definizione di contratto a distanza dovrebbe coprire tutti i casi in cui è concluso un contratto tra consumatore e professionista nel quadro di un regime organizzato di vendita o di prestazione di servizi a distanza, mediante l’uso esclusivo di uno o più mezzi di comunicazione a distanza ( ordine mediante posta, internet, telefono o fax ), fino al momento della conclusione del contratto incluso. Tale definizione dovrebbe anche includere le situazioni in cui il consumatore si limita a visitare i locali commerciali per raccogliere informazioni sui beni o i servizi e successivamente negozia e conclude il contratto a distanza. D’altro canto, un contratto negoziato nei locali del professionista e concluso definitivamente mediante comunicazione a distanza non dovrebbe essere considerato un contratto a distanza, così come non dovrebbe essere considerato un contratto a distanza il contratto avviato mediante comunicazione a distanza ma concluso definitivamente nei locali del professionista. Analogamente, il concetto di contratto a distanza non dovrebbe comprendere prenotazioni effettuate da un consumatore attraverso mezzi di comunicazione a distanza per richiedere la prestazione di un servizio da parte di un professionista, come nel caso di un consumatore che telefoni per chiedere un appuntamento da un parrucchiere.».

Al momento di concludere un contratto a distanza, le parti possono utilizzare anche una combinazione di diversi mezzi di comunicazione a distanza (per esempio un sito web, un’applicazione mobile o una telefonata). Il fatto che le parti si incontrino dopo aver concluso il contratto a distanza, solitamente al momento della consegna o del pagamento, non cambia la classificazione del contratto quale contratto a distanza. Se il consumatore si è limitato a visitare i locali del professionista per raccogliere informazioni sui beni o sui servizi, il contratto che successivamente negozia e conclude a distanza con il professionista deve essere considerato un contratto a distanza. Benché il semplice fatto di prendere un appuntamento con il professionista non sia considerato un contratto a distanza, una prenotazione vincolante, effettuata per esempio al telefono, di beni o servizi da ricevere in un momento preciso, può costituire un contratto a distanza ai fini della direttiva.

La direttiva si applica soltanto ai contratti a distanza conclusi nel quadro di un regime organizzato di vendita o di prestazione di servizi a distanza. Per esempio se un professionista, in via del tutto eccezionale, conclude un contratto con un consumatore per posta elettronica o per telefono, dopo essere stato contattato dal consumatore, tale contratto non deve essere considerato un contratto a distanza ai sensi della direttiva. Tuttavia non è necessario che il professionista ponga in essere un’organizzazione complessa, come un’interfaccia online, per le vendite a distanza. Anche modalità più semplici, come la promozione dell’uso della posta elettronica o del telefono per la conclusione di contratti con i consumatori, determinerebbero l’applicazione dei requisiti della direttiva sui diritti dei consumatori.

Il professionista può utilizzare un mercato online per la conclusione di contratti regolati dalla direttiva. Come spiega il considerando 20: «Il concetto di regime organizzato di vendita o di prestazione di servizi a distanza dovrebbe comprendere quei regimi offerti da un terzo diverso dal professionista ma utilizzati da quest’ultimo, come una piattaforma online. Dovrebbero tuttavia rimanere esclusi i casi in cui i siti web offrono informazioni solo sul professionista, sui beni e/o servizi che presta e sui suoi dati di contatto».

L’applicazione della direttiva sui diritti dei consumatori non dipende dalla tecnologia utilizzata da un professionista. È irrilevante il fatto che un consumatore concluda un contratto a distanza «normale» su internet o utilizzi la tecnologia blockchain (109).

4.2.    Informazioni precontrattuali

4.2.1.   Informazioni da presentare direttamente prima dell’inoltro dell’ordine

Articolo 8

2.   Se un contratto a distanza che deve essere concluso con mezzi elettronici impone al consumatore l’obbligo di pagare, il professionista gli comunica in modo chiaro ed evidente le informazioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettere a), e), o) e p), direttamente prima che il consumatore inoltri l’ordine.

L’articolo 8, paragrafo 2, fa riferimento alle informazioni che devono essere fornite direttamente ai consumatori prima della conclusione di contratti con mezzi elettronici e che comportano il pagamento di un prezzo.

La direttiva non dà una definizione di «mezzi elettronici» ma, in considerazione della spiegazione fornita dal considerando 39, il termine deve essere interpretato in relazione a contratti conclusi tramite siti web e altre interfacce online: «È importante garantire che, nei contratti a distanza conclusi tramite siti web, il consumatore sia in grado di leggere e comprendere nella loro interezza i principali elementi del contratto prima di inoltrare l’ordine. A tal fine è opportuno che la presente direttiva disponga che detti elementi siano visualizzati nell’immediata prossimità della conferma necessaria per l’inoltro dell’ordine». Inoltre, alla luce della definizione di «mezzi elettronici» di cui alla direttiva (UE) 2015/1535 del Parlamento europeo e del Consiglio (110), l’articolo 8, paragrafo 2, può anche applicarsi ad altre tecnologie, come il contenuto digitale fornito tramite set-top box televisivi.

L’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva sui diritti dei consumatori deve essere inquadrato nel contesto delle norme nazionali che recepiscono le disposizioni della direttiva sul commercio elettronico 2000/31/CE per quanto riguarda la stipula di contratti; queste si applicano se il contratto rientra nella definizione di «servizio della società dell’informazione», ossia qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica, e a richiesta individuale di un destinatario di servizi.

L’articolo 8, paragrafo 9, della direttiva sui diritti dei consumatori conferma espressamente di lasciare impregiudicate le disposizioni di cui agli articoli 9 e 11 della direttiva 2000/31/CE, in virtù delle quali il professionista deve consentire al consumatore di verificare l’ordine elettronico prima di inoltrarlo.

Di conseguenza l’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva sui diritti dei consumatori si applica in pratica nel momento in cui al consumatore viene chiesto di verificare l’ordine conformemente alla direttiva sul commercio elettronico, cioè quando deve controllare il contenuto del carrello della spesa prima di cliccare sul pulsante «acquista» (111).

L’espressione «direttamente prima» di cui all’articolo 8, paragrafo 2, riguarda innanzitutto l’aspetto temporale e deve essere interpretata nel senso di «immediatamente prima». Le espressioni «in modo chiaro ed evidente», di cui all’articolo 8, paragrafo 2, e «immediata prossimità», di cui al considerando 39, rimandano peraltro a obblighi di informazione più rigorosi rispetto a quelli generali di cui all’articolo 6, paragrafo 1, e all’articolo 8, paragrafo 1. Le informazioni devono essere presentate in modo che il consumatore possa vederle e leggerle prima di inoltrare l’ordine senza essere costretto a lasciare la pagina utilizzata per inoltrare l’ordine.

Gli specifici obblighi di informazione precontrattuale di cui all’articolo 8, paragrafo 2, sono:

(1)

le caratteristiche principali (articolo 6, paragrafo 1, lettera a)];

(2)

il prezzo totale (articolo 6, paragrafo 1, lettera e)];

(3)

la durata del contratto e le condizioni per recedere dal contratto (articolo 6, paragrafo 1, lettera o)];

(4)

se applicabile, la durata minima del contratto (articolo 6, paragrafo 1, lettera p)].

4.2.2.   Pulsante di conferma dell’ordine

Articolo 8

2.   […]

Il professionista garantisce che, al momento di inoltrare l’ordine, il consumatore riconosca espressamente che l’ordine implica l’obbligo di pagare. Se l’inoltro dell’ordine implica di azionare un pulsante o una funzione analoga, il pulsante o la funzione analoga riportano in modo facilmente leggibile soltanto le parole «ordine con obbligo di pagare» o una formulazione corrispondente inequivocabile indicante che l’inoltro dell’ordine implica l’obbligo di pagare il professionista. Se il professionista non osserva il presente comma, il consumatore non è vincolato dal contratto o dall’ordine.

L’articolo 8, paragrafo 2, secondo comma, richiede che il pulsante utilizzato per inoltrare l’ordine sul sito web dia indicazioni inequivocabili. Le rispettive indicazioni devono figurare sul pulsante stesso o immediatamente accanto ad esso. Esse possono assumere forma diversa purché indichino chiaramente l’obbligo di pagare (112):

per esempio frasi come «acquista ora», «paga ora» o «conferma l’acquisto» trasmettono il messaggio come previsto dalla disposizione;

mentre frasi come «registra», «conferma» oppure «ordina ora», o frasi inutilmente lunghe che potrebbero effettivamente celare il messaggio sull’obbligo di pagamento, difficilmente rispettano l’obbligo di leggibilità.

Quest’obbligo si applica anche quando il professionista presenta le informazioni precontrattuali dirette al consumatore come previsto all’articolo 8, paragrafo 4.

4.2.3.   Informazioni sulle restrizioni relative alla consegna e sui mezzi di pagamento

Articolo 8

3.   I siti di commercio elettronico indicano in modo chiaro e leggibile, al più tardi all’inizio del processo di ordinazione, se si applicano restrizioni relative alla consegna e quali mezzi di pagamento sono accettati.

A norma dell’articolo 8, paragrafo 3, i siti di commercio elettronico devono informare i consumatori in merito alle restrizioni relative alla consegna, comprese quelle di natura geografica, offrendo informazioni che siano facili da comprendere, in modo chiaramente visibile. Per esempio, tali informazioni non dovrebbero essere menzionate unicamente nei termini e condizioni generali del professionista o solo su pagine internet separate che non recano indicazioni chiare e che pertanto, probabilmente, non saranno consultate dai consumatori durante la sessione di acquisto.

Le informazioni sulle «restrizioni relative alla consegna» fornite a norma dell’articolo 8, paragrafo 3, devono corrispondere alle informazioni sulle modalità di consegna fornite ai sensi dell’articolo 6, lettera g), della direttiva sui diritti dei consumatori.

Le restrizioni relative alla consegna e ai pagamenti sono soggette al regolamento (UE) 2018/302 del Parlamento europeo e del Consiglio (113) sui blocchi geografici. In particolare, la modifica automatica delle informazioni sulle restrizioni relative alla consegna sulla base della geolocalizzazione dell’utente potrebbe comportare una violazione dell’articolo 4 del regolamento sui blocchi geografici, in special modo quando impedisce l’accesso ai beni in una zona normalmente servita dal professionista.

Per esempio, un professionista che offre consegne in un determinato Stato membro in base alle condizioni generali applicabili sul suo sito internazionale «.com» non deve escludere automaticamente questa opzione di consegna quando individua un consumatore che si collega da tali Stati membri e per il quale è disponibile anche un sito internet nazionale dedicato.

Per quanto riguarda i mezzi di pagamento, l’articolo 5 del regolamento sui blocchi geografici vieta ai professionisti di limitare la loro accettazione sulla base della nazionalità, del luogo di residenza o del luogo di stabilimento del cliente all’interno dell’UE, come il luogo di emissione della carta bancaria.

4.2.4.   Contratti conclusi tramite mezzi di comunicazione a distanza che consentono uno spazio o un tempo limitato

L’articolo 8, paragrafo 4, riguarda i mezzi di comunicazione a distanza che consentono uno spazio o un tempo limitato per visualizzare le informazioni:

Articolo 8

4.   Se il contratto è concluso mediante un mezzo di comunicazione a distanza che consente uno spazio o un tempo limitato per comunicare le informazioni, il professionista fornisce, su o mediante quello specifico mezzo e prima della conclusione del contratto, almeno le informazioni precontrattuali riguardanti le caratteristiche principali dei beni o servizi, l’identità del professionista, il prezzo totale, il diritto di recesso, la durata del contratto e, nel caso di contratti a tempo indeterminato, le condizioni di risoluzione del contratto, come indicato rispettivamente all’articolo 6, paragrafo 1, lettere a), b), e), h) e o), eccetto il modulo di recesso tipo figurante all’allegato I, parte B, di cui alla lettera h). Le altre informazioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, compreso il modello del modulo di recesso, sono fornite dal professionista in un modo appropriato conformemente al paragrafo 1 del presente articolo.

L’articolo 8, paragrafo 4, prevede quindi gli stessi obblighi di informazione dell’articolo 8, paragrafo 2, a cui aggiunge informazioni su:

(1)

l’identità del professionista, conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, lettera b);

(2)

il diritto di recesso, conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, lettera h), ossia informazioni sulle condizioni, i termini e le procedure per esercitare tale diritto.

L’articolo 8, paragrafo 4, non prevede l’obbligo di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettera p), consistente a fornire informazioni sulla «durata minima degli obblighi del consumatore a norma del contratto». Tuttavia, come già spiegato alla sezione 3.2.7, la durata minima è anche una delle condizioni principali per la risoluzione di un contratto a tempo indeterminato o di un contratto a rinnovo automatico ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera o). In pratica quindi questo elemento di informazione deve essere coperto anche dall’articolo 8, paragrafo 4.

L’articolo 8, paragrafo 4, si applica a contratti conclusi con tecnologie come il telefono, gli assistenti vocali per acquisti, gli SMS o altri mezzi di comunicazione a distanza, che pongono limiti tecnici alla quantità di informazioni che è possibile presentare al consumatore (114). In tali situazioni, la direttiva consente al professionista di fornire al consumatore una gamma più limitata di elementi di informazione prima della conclusione del contratto a distanza, mentre le altre informazioni richieste dall’articolo 6, paragrafo 1, devono essere fornite da un’altra fonte in un linguaggio semplice e comprensibile (cfr. anche il considerando 36, che fa riferimento alla fornitura di «un numero di telefono gratuito o un link ipertestuale ad una pagina web»).

La direttiva (UE) 2019/2161 ha modificato l’articolo 8, paragrafo 4, della direttiva sui diritti dei consumatori, escludendo dagli obblighi di informazione l’obbligo di fornire il modulo di recesso tipo di cui all’allegato I, parte B. La comunicazione attraverso un’altra fonte, in un linguaggio semplice e comprensibile, è pertanto sufficiente (115). Dopo la conclusione del contratto, le informazioni complete devono fare parte della conferma del contratto fornita su un mezzo durevole ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 7.

La Corte si è occupata dell’applicazione dell’articolo 8, paragrafo 4, nella causa C-430/17 Walbusch Walter Busch, relativa alle vendite a distanza per corrispondenza (cartolina per ordine d’acquisto distribuita tramite giornali e riviste).

La Corte ha deciso che «la valutazione della questione se, in un caso concreto, il mezzo di comunicazione consenta uno spazio o un tempo limitato per visualizzare le informazioni, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 4, […] dev’essere effettuata tenendo conto dell’insieme delle caratteristiche tecniche della comunicazione commerciale del professionista. Al riguardo, occorre verificare se, in considerazione dello spazio e del tempo occupati dalla comunicazione e delle dimensioni minime del carattere tipografico che sarebbero appropriate per un consumatore medio destinatario di tale comunicazione, tutte le informazioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, [della direttiva sui diritti dei consumatori] possano essere oggettivamente presentate nell’ambito di detta comunicazione».

Per contro, «le scelte effettuate dal professionista interessato in merito alla configurazione e all’utilizzo dello spazio e del tempo di cui dispone sulla base del mezzo di comunicazione che ha deciso di impiegare non sono pertinenti ai fini di tale valutazione» (116).

In pratica, «un mezzo di comunicazione a distanza che consente uno spazio o un tempo limitato» di cui all’articolo 8, paragrafo 4, è un mezzo che non consente di fornire informazioni stratificate (per esempio attraverso voci espandibili o collegamenti ipertestuali, indirizzando i consumatori verso una presentazione più dettagliata delle informazioni pertinenti), cfr. a questo proposito la sezione 3.1.1 relativa alla fornitura di informazioni ai consumatori in modo chiaro e comprensibile.

Gli smartphone non si qualificano come «mezzo di comunicazione a distanza che consente uno spazio o un tempo limitato per visualizzare le informazioni», in quanto è sempre possibile fornire ulteriori informazioni anche agli utenti di tali schermi attraverso menu ad albero espandibili o pagine aggiuntive. Il professionista, se ha personalizzato il contenuto e la presentazione dell’interfaccia online per tali dispositivi, può fare ricorso all’articolo 8, paragrafo 4, e alla relativa giurisprudenza come orientamento per selezionare le informazioni che dovrebbero essere fornite in modo più visibile. In questi casi, il professionista può concentrarsi sugli elementi di informazione di cui all’articolo 8, paragrafo 4, se del caso in un formato espandibile (117), e fornire il resto delle informazioni obbligatorie tramite pagine aggiuntive.

4.3.    Contratti conclusi per telefono

Articolo 8

5.   Fatto salvo il paragrafo 4, se il professionista telefona al consumatore al fine di concludere un contratto a distanza, all’inizio della conversazione con il consumatore egli deve rivelare la sua identità e, ove applicabile, l’identità della persona per conto della quale effettua la telefonata, nonché lo scopo commerciale della chiamata.

L’articolo 8, paragrafo 5, contiene una norma specifica concernente i contratti conclusi per telefono; questa impone l’obbligo di rivelare l’identità del professionista e lo scopo commerciale della chiamata all’inizio della conversazione. Poiché questa norma si applica «fatto salvo il paragrafo 4», i professionisti possono limitare le informazioni fornite nel corso della conversazione telefonica ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 4.

Articolo 8

6.   Quando un contratto a distanza deve essere concluso per telefono, gli Stati membri possono prevedere che il professionista debba confermare l’offerta al consumatore, il quale è vincolato solo dopo aver firmato l’offerta o dopo averla accettata per iscritto. Gli Stati membri possono anche prevedere che dette conferme debbano essere effettuate su un mezzo durevole.

L’articolo 8, paragrafo 6, prospetta agli Stati membri una scelta normativa. Alcuni Stati membri se ne sono avvalsi in senso restrittivo, applicando i rispettivi obblighi aggiuntivi solo ai contratti conclusi per telefono su iniziativa del professionista.

In questa disposizione per «mezzo durevole» si intendono i documenti su carta e altri supporti durevoli, come precisa il considerando 23: «I supporti durevoli dovrebbero permettere al consumatore di conservare le informazioni per il tempo ritenuto necessario ai fini della protezione dei suoi interessi derivanti dalla relazione con il professionista. Dovrebbero rientrare tra detti supporti in particolare documenti su carta, chiavi USB, CD-ROM, DVD, schede di memoria o dischi rigidi del computer nonché messaggi di posta elettronica». Gli Stati membri possono quindi imporre che siano effettuati su mezzo durevole sia la conferma dell’offerta da parte del professionista, sia il consenso del consumatore; tale mezzo durevole non deve necessariamente consistere in un documento su carta ma può consistere, per esempio, in uno scambio di e-mail.

4.4.    Conferma del contratto

Articolo 8

7.   Il professionista fornisce al consumatore la conferma del contratto concluso su un mezzo durevole, entro un termine ragionevole dopo la conclusione del contratto a distanza e al più tardi al momento della consegna dei beni oppure prima che l’esecuzione del servizio abbia inizio. Tale conferma comprende:

a)

tutte le informazioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, a meno che il professionista non abbia già fornito l’informazione al consumatore su un mezzo durevole prima della conclusione del contratto a distanza; e

b)

se del caso, la conferma del previo consenso espresso e dell’accettazione del consumatore conformemente all’articolo 16, lettera m).

Il professionista deve fornire al consumatore la conferma del contratto, con tutte le informazioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, a meno che tale conferma sia già stata fornita su mezzo durevole, come per esempio un catalogo di vendita per corrispondenza, un SMS o un’e-mail prima della conclusione del contratto.

La definizione di «mezzo durevole» è stata esaminata dalla Corte nella causa C-49/11, Content Services sulla direttiva riguardante la protezione dei consumatori nei contratti a distanza 97/7/CE, che prevede anch’essa la conferma di un contratto a distanza su un supporto duraturo (articolo 5, paragrafo 1). Secondo la Corte la semplice presenza delle informazioni su un sito web non costituisce un supporto duraturo: «L’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 1997, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, deve essere interpretato nel senso che non soddisfa i requisiti da esso imposti una prassi commerciale che consista nel rendere accessibili le informazioni richieste dalla norma precitata solamente attraverso un collegamento ipertestuale a un sito internet dell’impresa interessata , dal momento che tali informazioni non sono né ‘fornite’ da tale impresa né ‘ricev[ute]’ dal consumatore, come prescrive la suddetta disposizione, e che un sito internet come quello oggetto del procedimento principale non può essere considerato un ‘supporto duraturo’ ai sensi del medesimo articolo 5, paragrafo 1» (118).

La Corte non esclude però la possibilità che alcuni siti internet possano considerarsi supporti duraturi se soddisfano determinati requisiti: «Orbene, dal fascicolo di causa non risulta che il sito internet del venditore al quale rinvia il link indicato al consumatore consenta a quest’ultimo di conservare informazioni a lui personalmente dirette in modo da avervi accesso e da poterle riprodurre identiche per un periodo di congrua durata senza che il venditore possa modificarne unilateralmente il contenuto» (119).

La nozione di «supporto durevole» è stata ulteriormente analizzata nella causa C-375/15, BAWAG, in relazione alla direttiva 2007/64/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (120) relativa ai servizi di pagamento, che conteneva una definizione analoga di «supporto durevole». La Corte ha ritenuto che taluni siti internet possono essere qualificati «supporti durevoli», a determinate condizioni:

che il sito internet permetta al consumatore di memorizzare informazioni a lui personalmente dirette in modo da potervi accedere e riprodurle in maniera identica, per un periodo di congrua durata, senza possibilità di alcuna modifica unilaterale del loro contenuto da parte del prestatore o da parte di altro professionista; e

che, se il consumatore è obbligato a consultare il sito internet al fine di prendere conoscenza delle informazioni medesime, la trasmissione di tali informazioni sia accompagnata da un comportamento attivo da parte del prestatore di servizi di pagamento, destinato a portare a conoscenza del consumatore l’esistenza e la disponibilità di tali informazioni sul sito internet (121).

Pertanto un conto online privato del cliente presso il professionista nel quale il professionista carica le informazioni dirette al consumatore senza poterle rimuovere e modificarle unilateralmente può considerarsi un supporto duraturo ai fini della direttiva. Se questo tipo di conto è l’unico modo in cui il professionista fornisce la conferma del contratto, la sua costante accessibilità al consumatore dovrà essere garantita per un periodo adeguato, anche dopo la risoluzione del contratto tra consumatore e professionista.

Per quanto riguarda ciò che costituisce un «comportamento attivo» per rendere nota una nuova comunicazione, la CGUE ha confermato nella causa BAWAG che l’invio di un messaggio di posta elettronica alla casella di posta elettronica personale del consumatore può essere sufficiente, a condizione che: I) la rispettiva casella di posta elettronica sia abitualmente utilizzata dal consumatore per comunicare con altre persone e ii) l’utilizzo di tale casella sia stato pattuito dalle parti nel rispettivo contratto di servizi concluso tra il professionista e il consumatore. L’indirizzo così scelto non può tuttavia essere la casella di posta elettronica riservata al consumatore sul sito internet gestito dal professionista (122).

Il professionista rimane soggetto all’obbligo di cui all’articolo 8, paragrafo 7, di fornire la conferma del contratto su un mezzo durevole, anche qualora le informazioni precontrattuali siano state fornite al consumatore conformemente all’articolo 8, paragrafo 4. Tale obbligo può essere considerato debitamente adempiuto, tra l’altro, quando, con il consenso del consumatore, il professionista invia una conferma del contratto per posta elettronica.

Per quanto riguarda i termini temporali della conferma, l’articolo 8, paragrafo 7, prevede che essa sia inviata «entro un termine ragionevole dopo la conclusione del contratto a distanza». Inoltre la conferma deve essere inviata al più tardi al momento della consegna dei beni oppure prima che l’esecuzione del servizio abbia inizio.

Per i servizi non sussiste l’obbligo di inviare la conferma prima della fine del periodo di recesso (qualora l’esecuzione del contratto inizi dopo la fine di tale periodo). Tuttavia l’obbligo di inviare la conferma entro un «termine ragionevole» implica che debba essere inviata con sufficiente anticipo da consentire al consumatore di esercitare il diritto di recesso. Se, in caso di conferma inviata in ritardo, il termine debba considerarsi irragionevole ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 7, è una questione da decidere caso per caso.

Non esiste un’esplicita scadenza assoluta per la conferma dei contratti di fornitura di servizi di pubblica utilità e dei contratti per la fornitura di contenuto digitale online. Per analogia a questi contratti si applicano le norme sui contratti di servizi, ossia la conferma deve essere inviata al più tardi prima che inizi l’esecuzione del contratto. Tale analogia sembra corroborata dalle norme comuni previste dalla direttiva per quanto riguarda il calcolo del periodo di recesso, di cui all’articolo 9, paragrafo 2, lettere a) e c).

I contratti per la fornitura di contenuto digitale online vengono eseguiti di solito immediatamente, ossia prima della scadenza del periodo di recesso, e il metodo di conferma più comune è l’e-mail. In questo caso è importante chiedersi se i professionisti interessati debbano garantire che il consumatore riceva effettivamente la conferma per e-mail prima che abbiano inizio il download o lo streaming del contenuto digitale, o invece se sia sufficiente che il professionista invii l’e-mail prima che l’esecuzione del contratto inizi.

Occorre notare a questo riguardo che l’articolo 8, paragrafo 7, non accenna al «ricevimento» della conferma da parte del consumatore, ma impone al professionista di «fornire» la conferma. Il significato delle espressioni «fornire» e «ricevere» nel contesto della direttiva 97/7/CE sulla protezione dei consumatori nei contratti a distanza è stato esaminato dalla CGUE nella causa C-49/11, Content Services. Ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sulla protezione dei consumatori nei contratti a distanza il consumatore deve ricevere conferma per iscritto o su altro supporto duraturo a sua disposizione e a lui accessibile, in tempo utile, a meno che le informazioni non gli siano già state fornite, per iscritto o sull’altro supporto duraturo, prima della conclusione del contratto.

La sentenza della Corte rileva che i concetti di «fornito» e «ricevuto» sono diversi dalla formulazione «beneficiare» [nella versione italiana «ricevere»] utilizzata in altre disposizioni della direttiva e considerata «neutra» dalla Corte: «Occorre altresì rilevare a tale riguardo che, mentre ha optato, all’articolo 4 della direttiva 97/7, nella più gran parte delle versioni linguistiche, per una formulazione neutra, secondo la quale il consumatore deve ‘beneficiare’, nella versione italiana ‘ricevere’, delle informazioni pertinenti, il legislatore dell’Unione ha, viceversa, scelto un termine più vincolante per il professionista all’articolo 5, paragrafo 1, di detta direttiva, secondo il quale il consumatore deve ‘ricevere’ conferma di dette informazioni. […]» (123).

Si tenga inoltre presente che il professionista non può controllare il processo di trasmissione dell’e-mail di conferma. In considerazione di tutto ciò, gli obblighi di cui all’articolo 8, paragrafo 7, sono soddisfatti se l’e-mail di conferma viene inviata immediatamente prima della fornitura del contenuto digitale, ossia prima dell’inizio dello streaming o del download.

5.   Diritto di recesso

5.1.    Calcolo del periodo di recesso

5.1.1.   Introduzione

Articolo 9

1.   Fatte salve le eccezioni di cui all’articolo 16, il consumatore dispone di un periodo di quattordici giorni per recedere da un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali senza dover fornire alcuna motivazione e senza dover sostenere costi diversi da quelli previsti all’articolo 13, paragrafo 2, e all’articolo 14.

1 bis.   Gli Stati membri possono adottare norme in base alle quali il periodo di recesso di quattordici giorni di cui al paragrafo 1 è prolungato a trenta giorni, per i contratti conclusi nel contesto di visite non richieste di un professionista presso l’abitazione di un consumatore oppure di escursioni organizzate da un professionista con lo scopo o con l’effetto di promuovere o vendere prodotti ai consumatori […].

L’articolo 9 concede al consumatore 14 giorni per recedere da un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali senza dover fornire alcuna motivazione. Per i contratti conclusi nel contesto di visite non richieste di un professionista presso l’abitazione di un consumatore o di escursioni organizzate da un professionista con lo scopo o con l’effetto di promuovere o vendere prodotti ai consumatori, gli Stati membri possono prolungare il periodo di recesso da 14 a 30 giorni. L’applicazione delle scelte normative nel caso di visite non richieste o di escursioni è trattata nella sezione 5.9.

Il considerando 41 precisa: «Tutti i termini contenuti nella presente direttiva dovrebbero quindi essere intesi come espressi in giorni di calendario . Se un termine espresso in giorni deve essere calcolato dal momento in cui si verifica un evento o si compie un atto, il giorno nel quale si verifica tale evento o si compie tale atto non dovrebbe essere considerato incluso nel termine».

Pertanto i «quattordici giorni»/«trenta giorni» previsti dalla disposizione devono essere intesi rispettivamente come 14 o 30 giorni di calendario a partire dal giorno successivo a quello in cui si verifica l’evento in questione (per esempio la conclusione del contratto o la consegna dei beni):

per esempio se i beni vengono consegnati o il contratto di servizi viene concluso il 1o marzo, l’ultimo giorno per esercitare il diritto di recesso è il 15 marzo o, nei casi previsti al paragrafo 1 bis, il 31 marzo.

Il considerando 41 precisa che alla direttiva si applica il regolamento (CEE, Euratom) n. 1182/71 del Consiglio (124), in forza del quale (articolo 3, paragrafo 3): «I periodi di tempo comprendono i giorni festivi, le domeniche e i sabati, salvo che questi ne siano espressamente esclusi o che i periodi di tempo siano espressi in giorni lavorativi».

Quindi i giorni festivi, le domeniche e i sabati sono inclusi nei 14 giorni/30 giorni.

Se però termina in uno di questi giorni, il termine di recesso deve essere prorogato al giorno lavorativo successivo, conformemente all’articolo 3, paragrafo 4, del regolamento n. 1182/71: «Se l’ultimo giorno del periodo di tempo espresso non in ore è un giorno festivo, una domenica o un sabato, il periodo di tempo termina con lo spirare dell’ultima ora del giorno lavorativo successivo».

I giorni indicati dagli Stati membri come giorni festivi ai fini del regolamento n. 1182/71 sono pubblicati nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea (125):

per esempio il termine di 14 giorni per il recesso da un contratto concluso con un consumatore rumeno che termina il 25 dicembre 2021 deve essere prorogato fino al 27 dicembre dal momento che il 25 e il 26 dicembre sono giorni festivi in Romania.

I professionisti sono tenuti a accettare il diritto del consumatore di recedere dal contratto durante la proroga del periodo di recesso ma non sono espressamente obbligati a informare il consumatore che una proroga è possibile (si vedano anche le «Istruzioni tipo sul recesso» allegate alla direttiva).

5.1.2.   Decorrenza del periodo di recesso

Articolo 9

2.   Fatto salvo l’articolo 10, il periodo di recesso di cui al paragrafo 1 del presente articolo scade dopo quattordici giorni o, nel caso in cui gli Stati membri abbiano adottato le norme previste al paragrafo 1 bis del presente articolo, trenta giorni a decorrere da:

a)

nel caso dei contratti di servizi, dal giorno della conclusione del contratto;

b)

nel caso di contratti di vendita, dal giorno in cui il consumatore o un terzo, diverso dal vettore e designato dal consumatore, acquisisce il possesso fisico dei beni o:

i)

nel caso di beni multipli ordinati dal consumatore mediante un solo ordine e consegnati separatamente, dal giorno in cui il consumatore o un terzo, diverso dal vettore e designato dal consumatore, acquisisce il possesso fisico dell’ultimo bene;

ii)

nel caso di consegna di un bene costituito da lotti o pezzi multipli, dal giorno in cui il consumatore o un terzo, diverso dal vettore e designato dal consumatore, acquisisce il possesso fisico dell’ultimo lotto o pezzo;

iii)

nel caso di contratti per la consegna periodica di beni durante un determinato periodo di tempo, dal giorno in cui il consumatore o un terzo, diverso dal vettore e designato dal consumatore, acquisisce il possesso fisico del primo bene;

c)

nel caso di contratti per la fornitura di acqua, gas o elettricità, quando non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità determinata, di teleriscaldamento o di contenuto digitale non fornito su un supporto materiale, dal giorno della conclusione del contratto.

Il giorno da cui si calcolano i 14 giorni/30 giorni del periodo di recesso dipende dal tipo di contratto: contratto di vendita, contratto di servizi, contratto per la fornitura di contenuto digitale online o contratto per la fornitura di servizi di pubblica utilità. La direttiva prevede due decorrenze:

il giorno della conclusione del contratto – per i contratti di servizi, i contratti per la fornitura di servizi di pubblica utilità e i contratti per la fornitura di contenuto digitale online;

il giorno in cui si acquisisce il possesso fisico dei beni (consegna) – per i contratti di vendita ma fatte salve varie norme speciali per: 1) beni multipli ordinati in un solo ordine e consegnati separatamente; 2) beni costituiti da lotti o pezzi multipli e consegnati separatamente; 3) contratti per la consegna periodica di beni durante un periodo di tempo determinato.

Per i beni che vengono consegnati, il periodo di recesso comincia dal giorno successivo alla data in cui il consumatore o un’altra persona designata dal consumatore, diversa dal vettore, ne acquisisce il possesso fisico (articolo 9, paragrafo 2, lettera b)]. L’articolo 20 prevede invece il trasferimento del rischio al consumatore al momento della consegna al vettore, se il consumatore ha incaricato il vettore del trasporto e il vettore scelto non è stato proposto dal professionista.

Nel caso di consegne multiple, il periodo di recesso comincia dal giorno successivo alla consegna dell’ultimo dei beni ordinati mediante un solo ordine e consegnati separatamente (articolo 9, paragrafo 2, lettera b), punto i)]. Questa norma è giustificata dal legittimo interesse del consumatore di ricevere tutte le parti di un unico ordine prima di decidere se recedere dal contratto, per esempio per:

un bene principale e i relativi accessori, come una macchina fotografica e gli obiettivi, oppure

indumenti come giacca e pantaloni, ordinati insieme con l’intenzione di indossarli insieme.

In questi casi, si applica un unico periodo di recesso dal giorno successivo alla consegna dell’ultimo articolo.

Come spiega il considerando 40: «[…] il consumatore dovrebbe essere in grado di esercitare il diritto di recesso prima di acquisire il possesso fisico dei beni». Inoltre nulla impedisce al consumatore di rifiutarsi di acquisire il possesso dei beni nel caso in cui:

per esempio, dopo aver ordinato un bene dal professionista X, il consumatore trovi un’offerta migliore dal professionista Y; il consumatore quindi comunica al professionista X l’esercizio del diritto di recesso e non ritira il bene all’ufficio postale.

5.2.    Informazioni sul diritto di recesso

In forza dell’articolo 6, paragrafo 1, i professionisti devono fornire determinate informazioni sul diritto di recesso per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali e i contratti a distanza.

Articolo 6, paragrafo 1

h)

in caso di sussistenza di un diritto di recesso, le condizioni, i termini e le procedure per esercitare tale diritto conformemente all’articolo 11, paragrafo 1, nonché il modulo tipo di recesso di cui all’allegato I, parte B;

i)

se applicabile, l’informazione che il consumatore dovrà sostenere il costo della restituzione dei beni in caso di recesso e in caso di contratti a distanza qualora i beni per loro natura non possano essere normalmente restituiti a mezzo posta;

j)

che, se il consumatore esercita il diritto di recesso dopo aver presentato una richiesta ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, o dell’articolo 8, paragrafo 8, egli è responsabile del pagamento al professionista di costi ragionevoli, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 3;

k)

se non è previsto un diritto di recesso ai sensi dell’articolo 16, l’informazione che il consumatore non beneficerà di un diritto di recesso o, se del caso, le circostanze in cui il consumatore perde il diritto di recesso;

Secondo l’articolo 6, paragrafo 1, le informazioni devono essere chiare e comprensibili. In conformità dell’articolo 6, paragrafo 4, il professionista può utilizzare le istruzioni tipo sul recesso di cui all’allegato I, parte A, della direttiva per fornire le informazioni di cui alle lettere h), i) e j). Se le informazioni sono debitamente compilate e fornite al consumatore, il professionista ha soddisfatto gli obblighi di informazione.

Le istruzioni tipo sul recesso di cui all’allegato I, parte A, non sono obbligatorie e il professionista può adeguare la loro formulazione, per esempio sostituendo «noi» con «io/me» se è un imprenditore individuale o indicando la propria identità e i propri estremi nell’intestazione del modulo, con relativi rinvii nel testo.

Al contrario, se si applica il diritto di recesso ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera h), il professionista deve sempre fornire al consumatore il modulo di recesso tipo di cui all’allegato I, parte B, anche quando dà al consumatore in più la possibilità di compilare e inviare elettronicamente un modulo di recesso sul proprio sito web, come previsto all’articolo 11, paragrafo 3. Si applicano norme diverse per quanto riguarda la fornitura del modulo di recesso tipo quando i contratti sono conclusi tramite mezzi di comunicazione a distanza che consentono uno spazio o un tempo limitato a norma dell’articolo 8, paragrafo 4 (cfr. sezione 4.2.4).

Il modulo di recesso aggiuntivo che il professionista può scegliere di fornire sul proprio sito web in linea con l’articolo 11, paragrafo 3, può essere diverso dal modulo di recesso tipo di cui all’allegato I, parte B, della direttiva sui diritti dei consumatori. Se però il professionista intende utilizzare tale modulo per raccogliere ulteriori informazioni dal consumatore, per esempio i motivi del recesso, domande di questo tipo devono essere presentate separatamente lasciando la possibilità al consumatore di inviare il modulo senza rispondere.

Quando, in conformità dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera h), il professionista informa il consumatore sui termini del periodo di recesso per i contratti di vendita, come previsto all’articolo 9 (salvo i contratti per la consegna periodica di beni), laddove la modalità esatta di consegna (singola o multipla) non sia nota in anticipo, il professionista può informare il consumatore che il periodo di recesso scade 14 giorni/30 giorni dopo il giorno in cui il consumatore, o un terzo diverso dal vettore e indicato dal consumatore, acquisisce il possesso fisico dell’ultimo elemento o lotto dell’ordine.

Se si applica una delle eccezioni al diritto di recesso di cui all’articolo 16, il consumatore ne dovrà essere informato conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, lettera k).

Se si applica una delle eccezioni incondizionate, si devono fornire soltanto le informazioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettera k), e non le informazioni sul diritto di recesso di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettere h) e i):

per esempio per beni come i fiori, per cui vale l’eccezione di cui all’articolo 16, primo comma, lettera d), sono rilevanti solo le informazioni richieste all’articolo 6, paragrafo 1, lettera k): il professionista dovrà informare il consumatore che non beneficia del diritto di recesso trattandosi di beni che si deteriorano o scadono rapidamente.

Al contrario per le eccezioni che si applicano solo in certe circostanze, le informazioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettera k), devono essere fornite in aggiunta a quelle previste all’articolo 6, paragrafo 1, lettere h) e j):

per esempio, quando offre lenti a contatto o spazzolini da denti il cui imballaggio costituisce un «sigillo» ai sensi dell’articolo 16, primo comma, lettera e), il professionista deve informare il consumatore delle condizioni, dei termini ecc. per esercitare il diritto di recesso di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettera h). Il professionista deve anche informare il consumatore che, per motivi igienici o connessi alla protezione della salute, il consumatore perde il diritto di recesso se l’imballaggio dei beni è aperto.

Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera i), il professionista deve indicare il costo della restituzione dei beni che non possano essere normalmente restituiti a mezzo posta:

questo si applica per esempio a merci voluminose, come mobili e grandi elettrodomestici (frigoriferi, lavatrici ecc.) che sono solitamente consegnate a domicilio piuttosto che prelevate all’ufficio postale.

Ai sensi del considerando 36, l’obbligo di informazione sarà considerato ottemperato, per esempio, se il professionista specifica un vettore (come il vettore cui ha commissionato la consegna del bene) e un importo relativo al costo per la restituzione dei beni.

Il considerando 36 recita inoltre: «Quando il professionista non può ragionevolmente calcolare il costo della restituzione dei beni in anticipo, ad esempio perché non è lui ad occuparsi della restituzione dei beni, dovrebbe fornire una dichiarazione in cui precisa che tale costo può essere addebitato al consumatore e che la sua entità può essere elevata, accompagnata da una stima ragionevole del costo massimo che potrebbe essere basata sul costo della consegna al consumatore».

Se il professionista offre diversi metodi di consegna, il costo della restituzione può essere stimato sulla base del costo dello specifico metodo di consegna scelto dal consumatore:

per esempio se la consegna è organizzata presso l’indirizzo stradale del consumatore, anche il costo della restituzione può essere basato sul costo del ritiro dei beni a quell’indirizzo stradale.

Nell’obbligo di dichiarare il costo della restituzione o di darne una stima non rientra l’obbligo per il professionista di specificare queste informazioni in funzione dei possibili scenari di restituzione (per esempio la restituzione di mobili assemblati che sono stati consegnati non assemblati in un imballaggio).

5.3.    Esercizio del diritto di recesso

Conformemente all’articolo 11 della direttiva, il consumatore può esercitare il diritto di recesso dal contratto utilizzando il modulo tipo di recesso o presentando una qualsiasi altra dichiarazione esplicita della sua decisione di recedere dal contratto. Il considerando 44 fa riferimento al «rinvio dei beni con una chiara dichiarazione»: «Tuttavia, il consumatore dovrebbe restare libero di recedere con parole proprie, purché la dichiarazione con cui esplicita la sua decisione di recedere dal contratto al professionista sia inequivocabile. Una lettera, una telefonata o il rinvio dei beni con una chiara dichiarazione potrebbero soddisfare tale condizione, ma l’onere della prova dell’avvenuto recesso entro i termini stabiliti nella direttiva dovrebbe incombere al consumatore. Per tale motivo, è nell’interesse del consumatore avvalersi di un supporto durevole quando comunica al professionista il proprio recesso».

Non è quindi possibile recedere dal contratto semplicemente restituendo le merci senza una dichiarazione esplicita in tal senso. Il rifiuto della consegna o il mancato ritiro delle merci all’ufficio postale non sono considerati valide espressioni di recesso. In questo modo la direttiva garantisce che il professionista non consideri erroneamente recesso la restituzione di un pacco che non è stato consegnato al cliente per motivi tecnici.

D’altro canto la dichiarazione utilizzata dal consumatore per recedere dal contratto non deve necessariamente fare riferimento al «diritto di recesso» in termini giuridici:

sono da considerarsi sufficientemente «inequivocabili», per esempio, espressioni del tipo «risolvere» o «annullare» il contratto o formulazioni simili, purché il consumatore e il contratto in questione siano ben identificabili.

Poiché l’onere della prova, per quanto riguarda l’esercizio del diritto di recesso, incombe al consumatore, il considerando 44 della direttiva sui diritti dei consumatori sottolinea i benefici del supporto durevole in caso di controversia. In tal senso anche la prova dell’invio della notifica sarebbe ovviamente un’ulteriore garanzia a tutela del consumatore:

per esempio il consumatore potrebbe conservare una copia dell’e-mail inviata o della ricevuta della raccomandata.

5.4.    Conseguenze del recesso per quanto riguarda i dati

L’articolo 13 della direttiva sui diritti dei consumatori stabilisce gli obblighi del professionista nel caso di recesso. La direttiva (UE) 2019/2161 ha modificato tale articolo introducendo disposizioni sulle conseguenze dell’esercizio del diritto di recesso per quanto riguarda il trattamento dei dati.

Articolo 13

4.   Per quanto riguarda i dati personali del consumatore, il professionista rispetta gli obblighi applicabili a norma del regolamento (UE) 2016/679.

5.   Il professionista si astiene dall’utilizzare qualsiasi contenuto, diverso dai dati personali, che sia stato fornito o creato dal consumatore durante l’utilizzo del contenuto digitale o del servizio digitale fornito dal professionista, a meno che tale contenuto:

a)

sia privo di utilità al di fuori del contesto del contenuto digitale o del servizio digitale fornito dal professionista;

b)

riguardi unicamente l’attività del consumatore durante l’utilizzo del contenuto digitale o del servizio digitale fornito dal professionista;

c)

sia stato aggregato dal professionista ad altri dati e non possa essere disaggregato o possa esserlo soltanto con sforzi sproporzionati; oppure

d)

sia stato generato congiuntamente dal consumatore e da altre persone, e se altri consumatori possano continuare a farne uso.

6.   Fatta eccezione per le situazioni di cui al paragrafo 5, lettera a), b) o c), il professionista, su richiesta del consumatore, mette a disposizione di questi qualsiasi contenuto, diverso dai dati personali, fornito o creato dal consumatore durante l’utilizzo del contenuto digitale o del servizio digitale fornito dal professionista.

7.   Il consumatore ha il diritto di recuperare dal professionista tali contenuti digitali gratuitamente e senza impedimenti, entro un lasso di tempo ragionevole e in un formato di uso comune e leggibile da dispositivo automatico.

Queste disposizioni sono identiche a quelle dell’articolo 16, paragrafi da 2 a 4, della direttiva sul contenuto digitale. Entrambe affrontano le conseguenze della risoluzione del contratto: la direttiva sui diritti dei consumatori tratta la risoluzione del contratto in virtù del diritto di recesso, mentre la direttiva sul contenuto digitale tratta la risoluzione del contratto per difetto di conformità.

Il regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) disciplina le conseguenze della risoluzione del contratto per quanto riguarda i dati personali. Le nuove disposizioni dell’articolo 13 della direttiva sui diritti dei consumatori (e dell’articolo 16 della direttiva sul contenuto digitale) riguardano i dati che il consumatore ha caricato o generato mediante l’utilizzo del servizio digitale e che non sono dati personali.

In particolare, a norma dell’articolo 13, paragrafo 6, della direttiva sui diritti dei consumatori, in risposta alla richiesta del consumatore, il professionista ha l’obbligo, al momento della risoluzione del contratto a seguito dell’esercizio del diritto di recesso, di fornire i dati in un formato di uso comune e leggibile da dispositivo automatico.

Se il consumatore esercita il diritto di recesso ai sensi della direttiva sui diritti dei consumatori (o il rimedio della risoluzione del contratto ai sensi della direttiva sul contenuto digitale), spetta al GDPR valutare se il recesso dal contratto costituisca anche la revoca della base giuridica per il trattamento dei dati personali. In molte situazioni vi è un’elevata probabilità che la dichiarazione del consumatore di esercitare il diritto di recesso e di recedere dal contratto possa essere interpretata come comprensiva della revoca della base giuridica, compresa la revoca del consenso ad altri trattamenti dei dati personali non necessari per l’esecuzione del contratto ai sensi del GDPR. In tale situazione, il professionista/titolare del trattamento deve valutare se esista ancora una base giuridica valida per tali altri trattamenti dei dati personali, come per esempio il rispetto di un obbligo giuridico. In mancanza di una base giuridica valida, il trattamento dovrebbe essere interrotto.

Inoltre la direttiva (UE) 2019/2161 ha aggiunto alla direttiva sui diritti dei consumatori norme specifiche sui diritti del professionista e sugli obblighi del consumatore nel caso di recesso. Tali disposizioni di cui all’articolo 13, paragrafo 8, e all’articolo 14, paragrafo 2 bis, sono identiche a quelle dell’articolo 16, paragrafo 5, e dell’articolo 17, paragrafo 1, della direttiva sul contenuto digitale.

Articolo 13

8.   In caso di recesso dal contratto, il professionista può impedire qualsiasi ulteriore utilizzo del contenuto digitale o del servizio digitale da parte del consumatore, in particolare rendendogli inaccessibile tale contenuto o servizio digitale o disattivando il suo account utente, fatto salvo quanto previsto al paragrafo 6.

Articolo 14

2bis.   In caso di recesso dal contratto, il consumatore si astiene dall’utilizzare il contenuto digitale o il servizio digitale e dal metterlo a disposizione di terzi.

5.5.    Diritto di recesso per quanto riguarda i beni

5.5.1.   Beni multipli o difettosi

Un consumatore può voler recedere in parte da un contratto per beni multipli se desidera cancellare l’acquisto di uno o di alcuni beni.

Benché la direttiva non preveda espressamente tale diritto, nulla impedisce al professionista e al consumatore di convenire il recesso parziale dal contratto tramite la restituzione di un unico bene o di vari beni venduti tramite un unico ordine. In tale situazione, se tra i beni forniti nel quadro dello stesso contratto rientrano dei beni promozionali, il professionista non deve essere obbligato a concordare soltanto la restituzione dei beni venduti a prezzo pieno.

Diverso è il caso in cui il consumatore non ha accettato di ricevere un dono che il professionista gli ha comunque fornito. Tale dono può essere considerato una fornitura di beni non richiesti ed è perciò soggetto alle norme sulla fornitura non richiesta. Ai sensi dell’articolo 27 della direttiva sui diritti dei consumatori e del punto 29) dell’allegato I della direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali è proibito «esigere il pagamento immediato o differito o la restituzione o la custodia di prodotti che il professionista ha fornito, ma che il consumatore non ha richiesto».

Se il bene fornito è difettoso, cioè non conforme al contratto secondo quanto previsto dalla direttiva sulla vendita di beni, il consumatore ha la scelta, entro il periodo di diritto di recesso, di avvalersi dei rimedi previsti da questa direttiva o di recedere dal contratto.

5.5.2.   Restituzione dei beni

Articolo 14

1.   A meno che il professionista abbia offerto di ritirare egli stesso i beni, il consumatore restituisce i beni o li consegna al professionista o a un terzo autorizzato dal professionista a ricevere i beni, senza indebito ritardo e in ogni caso entro quattordici giorni dalla data in cui ha comunicato al professionista la sua decisione di recedere dal contratto ai sensi dell’articolo 11. Il termine è rispettato se il consumatore rispedisce i beni prima della scadenza del periodo di quattordici giorni.

Il consumatore sostiene solo il costo diretto della restituzione dei beni, purché il professionista non abbia concordato di sostenerlo o abbia omesso di informare il consumatore che tale costo è a carico del consumatore.

Nel caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali in cui i beni sono stati consegnati al domicilio del consumatore al momento della conclusione del contratto, il professionista ritira i beni a sue spese qualora i beni, per loro natura, non possano essere normalmente restituiti a mezzo posta.

Ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, il consumatore restituisce i beni al professionista rispedendoli entro 14 giorni dalla data in cui ha comunicato al professionista la sua decisione di recedere dal contratto. Tuttavia, poiché il consumatore è responsabile del trattamento dei beni e della diminuzione del loro valore durante il periodo in cui può esercitare il diritto di recesso (cfr. anche sezione 5.5.4) è nel suo interesse restituirli quanto prima, piuttosto che aspettare fino alla scadenza.

Un’eccezione è prevista per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali. Se i beni sono stati consegnati al domicilio del consumatore al momento della conclusione del contratto, il professionista li ritira a sue spese qualora i beni, per loro natura, «non possano essere normalmente restituiti a mezzo posta».

Tale obbligo è quindi un’eccezione alla norma generale di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettera i), secondo la quale i professionisti devono informare il consumatore in merito al costo della restituzione di beni che per loro natura «non possano essere normalmente restituiti a mezzo posta» (cfr. sezione 5.2).

Il costo diretto della restituzione dei beni è a carico del consumatore, a meno che il professionista non abbia concordato di sostenerlo o abbia omesso di informare il consumatore che il costo era a suo carico, come previsto all’articolo 6, paragrafo 1, lettera i). Questi due elementi informativi figurano anche nelle istruzioni tipo sul recesso di cui all’allegato I, parte A, della direttiva, che i professionisti possono utilizzare per adempiere l’obbligo di informare il consumatore. Il concetto di «costo diretto» deve escludere qualsiasi costo amministrativo, di movimentazione o di «ristoccaggio» che la restituzione dei beni può comportare per il professionista.

L’offerta del professionista di «ritirare egli stesso i beni» vincola il consumatore soltanto se il professionista si è offerto anche di sostenerne il costo. Altrimenti, se trova un metodo di restituzione più economico e comunque affidabile, offerto da un prestatore di servizi riconosciuto, il consumatore non è tenuto, ai sensi della direttiva, ad accettare l’offerta del professionista di ritirare i beni.

5.5.3.   Rimborso dei pagamenti ricevuti dal consumatore

Articolo 13

1.   Il professionista rimborsa tutti i pagamenti ricevuti dal consumatore, eventualmente comprensivi delle spese di consegna, senza indebito ritardo e comunque entro quattordici giorni dal giorno in cui è informato della decisione del consumatore di recedere dal contratto ai sensi dell’articolo 11.

Il professionista esegue il rimborso di cui al primo comma utilizzando lo stesso mezzo di pagamento usato dal consumatore per la transazione iniziale, salvo che il consumatore abbia espressamente convenuto altrimenti e a condizione che questi non debba sostenere alcun costo quale conseguenza del rimborso.

2.   Fatto salvo il paragrafo 1, il professionista non è tenuto a rimborsare i costi supplementari, qualora il consumatore abbia scelto espressamente un tipo di consegna diversa dal tipo meno costoso di consegna standard offerto dal professionista.

3.   Salvo che il professionista abbia offerto di ritirare egli stesso i beni, con riguardo ai contratti di vendita il professionista può trattenere il rimborso finché non abbia ricevuto i beni oppure finché il consumatore non abbia dimostrato di aver rispedito i beni, a seconda di quale situazione si verifichi per prima.

Ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, il professionista rimborsa tutti i pagamenti senza indebito ritardo e comunque entro quattordici giorni dal giorno in cui è informato della decisione del consumatore di recedere dal contratto.

Per i contratti di vendita, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 3, il professionista può trattenere il rimborso oltre tale scadenza soltanto finché non abbia ricevuto i beni oppure finché il consumatore non abbia dimostrato di aver rispedito i beni.

Se riceve i beni o la prova che essi siano stati rispediti dopo la scadenza dei 14 giorni, il professionista deve rimborsare il consumatore senza indebito ritardo. Il significato di «indebito ritardo» deve essere valutato caso per caso; tuttavia in circostanze normali non dovrebbe essere necessario più di qualche giorno lavorativo per effettuare il rimborso.

La dimostrazione di «aver rispedito i beni» è importante per l’applicazione dell’articolo 13, paragrafo 3. In linea di principio questa consisterà in una dichiarazione scritta da parte di un prestatore riconosciuto di servizi postali o di trasporto che specifichi il mittente e il destinatario.

In linea di principio la dimostrazione non coinvolge necessariamente la garanzia di un terzo che i beni in questione sono stati ispezionati e verificati. Si tratta di servizi aggiuntivi spesso costosi che potrebbero scoraggiare il consumatore dall’esercitare il diritto di recesso, circostanza che la direttiva si propone espressamente di evitare (considerando 47: «Gli obblighi del consumatore in caso di recesso non dovrebbero scoraggiare il consumatore dall’esercitare il proprio diritto di recesso»).

Se da un lato l’articolo 14, paragrafo 2, ritiene il consumatore responsabile per l’eventuale diminuzione del valore dei beni risultante da una cattiva manipolazione durante il periodo di recesso, dall’altro l’articolo 13, paragrafo 3, obbliga il professionista a rimborsare il consumatore una volta ricevuta la dimostrazione che i beni sono stati rispediti.

Se il consumatore accetta l’offerta del professionista di ritirare i beni, o se il professionista si è offerto di ritirarli a proprie spese, il professionista non può invocare il diritto di trattenere il rimborso ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 3. Ciò dovrebbe spingere ulteriormente il professionista a organizzare la restituzione dei beni quanto prima.

L’articolo 13, paragrafo 1, richiede espressamente al professionista di eseguire il rimborso utilizzando lo stesso mezzo di pagamento usato dal consumatore per la transazione iniziale. In particolare, il professionista dovrà rimborsare l’intero importo versato dal consumatore nella valuta in cui è stato effettuato il pagamento:

per esempio, se il consumatore ha pagato accreditando 50 EUR sul conto bancario del professionista, il professionista deve rimborsare il consumatore riaccreditando lo stesso importo, e coprendo qualsiasi costo addebitato per l’operazione dalla banca del consumatore;

tuttavia il professionista non deve rimborsare alcuna commissione bancaria pagata dal consumatore per il pagamento iniziale;

se il conto bancario del consumatore è in una valuta e il pagamento e il rimborso in un’altra valuta, il professionista non è responsabile di alcuna perdita derivante dal cambio di valuta applicato dalla banca del consumatore per il rimborso.

Ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, il professionista e il consumatore possono inoltre concordare espressamente un metodo diverso, come il rimborso tramite assegno bancario al posto del bonifico oppure in una valuta diversa da quella utilizzata per il pagamento, a condizione che non ne conseguano costi per il consumatore:

per esempio se il consumatore accetta un rimborso con assegno bancario al posto del bonifico, il professionista dovrà sostenere tutti i costi aggiuntivi in cui incorre il consumatore, per esempio per il cambio di valuta o costi bancari derivanti dall’utilizzo di un diverso metodo di pagamento da parte del professionista.

Per quanto riguarda l’utilizzo di buoni, il considerando 46 recita: «Il rimborso non dovrebbe avvenire mediante buoni, salvo che il consumatore abbia utilizzato buoni nella transazione iniziale o ne abbia espressamente accettato l’uso».

5.5.4.   Responsabilità del consumatore per la manipolazione dei beni

Articolo 14

2.   Il consumatore è responsabile unicamente della diminuzione del valore dei beni risultante da una manipolazione dei beni diversa da quella necessaria per stabilire la natura, le caratteristiche e il funzionamento dei beni. Il consumatore non è in alcun caso responsabile per la diminuzione del valore dei beni se il professionista ha omesso di informare il consumatore del suo diritto di recesso a norma dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera h).

5.   Fatto salvo quanto previsto nell’articolo 13, paragrafo 2, e nel presente articolo, l’esercizio del diritto di recesso non comporta alcuna responsabilità per il consumatore.

Come recita il considerando 47, i consumatori possono recedere dal contratto indipendentemente dal modo in cui i beni sono stati manipolati durante il periodo di recesso: «Alcuni consumatori esercitano il proprio diritto di recesso dopo aver utilizzato i beni oltre quanto necessario per stabilirne la natura, le caratteristiche e il funzionamento. In tal caso il consumatore non dovrebbe perdere il diritto di recesso, ma dovrebbe essere responsabile della diminuzione del valore dei beni ».

Tuttavia, in questi casi, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, il consumatore è responsabile «unicamente della diminuzione del valore dei beni risultante da una manipolazione dei beni diversa da quella necessaria per stabilire la natura, le caratteristiche e il funzionamento dei beni». Il considerando 47 spiega ulteriormente quest’obbligo: «[…] Per stabilire la natura, le caratteristiche e il funzionamento dei beni il consumatore dovrebbe solo manipolarli e ispezionarli nello stesso modo in cui gli sarebbe consentito farlo in un negozio . Per esempio, il consumatore dovrebbe solo provare un indumento, senza poterlo indossare. Di conseguenza durante il periodo di recesso il consumatore dovrebbe manipolare e ispezionare i beni con la dovuta diligenza».

La diminuzione del valore dei beni può consistere, in particolare, in costi di pulizia e di riparazione e, se i beni non possono più essere venduti come nuovi, in una perdita di profitto obiettivamente giustificata allorché il professionista mette in vendita i beni restituiti come beni di seconda mano.

Se il consumatore abbia testato i beni oltre quanto necessario per stabilirne la natura, le caratteristiche e il funzionamento deve essere valutato caso per caso, ove sorga una controversia. Il confronto con ciò che il consumatore può fare di solito in un punto vendita non virtuale è un buon punto di riferimento, per esempio:

prima di acquistare apparecchiature audio/video e di registrazione il consumatore deve poter testare la qualità dell’immagine o del suono;

la prova di un indumento in un negozio non comporta la rimozione delle etichette del fabbricante;

il consumatore non può testare praticamente elettrodomestici, come apparecchiature da cucina, il cui utilizzo lascia inevitabilmente delle tracce;

il consumatore non può configurare il software di un computer; contribuiscono quindi a diminuire il valore del bene anche i costi ragionevolmente sostenuti per ripristinare questo tipo di apparecchiature;

il consumatore potrebbe testare profumi e prodotti cosmetici simili, che di norma possono essere testati nei negozi, mediante un tester gratuito che il professionista potrebbe includere insieme al prodotto. In tal modo i consumatori non dovrebbero aprire l’imballaggio del prodotto per esercitare il loro diritto di stabilirne la natura e le caratteristiche (taluni prodotti cosmetici possono essere sigillati per motivi igienici o connessi alla protezione della salute, cfr. sezione 5.11.4).

Si noti che «accertare il funzionamento» dei beni in tale contesto non vuol dire controllare che siano privi di difetti sotto ogni punto di vista. Se i beni si rivelano difettosi durante il successivo utilizzo, il consumatore è protetto dalla direttiva (UE) 2019/771 sulla vendita di beni.

In linea di principio il consumatore deve poter aprire l’imballaggio per visionare il contenuto o i contenuti all’interno se beni simili sono di solito esposti nei negozi non imballati. Quindi i danni provocati all’imballaggio dalla semplice apertura non danno diritto ad alcuna compensazione. Eventuali pellicole protettive sul bene devono essere invece rimosse soltanto se strettamente necessario per testare il bene.

La restituzione dei beni senza l’imballaggio originale (126) (per esempio la scatola contenente un dispositivo elettronico) o con l’imballaggio insolitamente deteriorato potrebbe essere considerata un deterioramento dei beni.

Nella causa C-681/17 slewo, la CGUE ha deciso che i materassi rivestiti di una pellicola protettiva non rientrano nell’eccezione al diritto di recesso di cui all’articolo 16, lettera e), per quanto riguarda i beni che sono stati sigillati per motivi igienici o connessi alla protezione della salute e aperti dal consumatore. La Corte ha ritenuto che i materassi possano essere equiparati a indumenti che il consumatore è espressamente autorizzato a provare. Pertanto i materassi la cui protezione sia stata rimossa e che siano stati potenzialmente utilizzati dal consumatore sono stati ritenuti idonei a essere oggetto di una nuova commercializzazione e di un nuovo utilizzo da parte un nuovo acquirente nella misura in cui il professionista sia in grado di rendere i materassi (o gli indumenti) idonei a un nuovo utilizzo da parte di un terzo, senza compromettere le esigenze di protezione della salute o igieniche, mediante un trattamento come pulitura o disinfezione (127).

Allo stesso tempo la Corte ha fatto specifico riferimento all’esistenza di un mercato per materassi usati (128), nonché, cosa ancora più importante, alla responsabilità del consumatore per la diminuzione del valore di un bene risultante da manipolazioni dei beni diverse da quelle necessarie per stabilire la natura, le caratteristiche e il funzionamento dello stesso ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2.

Alla luce di tali constatazioni, la suddetta responsabilità può pertanto sorgere qualora sia necessario, ai fini di igiene o di protezione della salute, pulire il materasso (o l’indumento e i beni analoghi) per la rivendita a un nuovo acquirente, nonché qualora tali beni oggetto di pulitura non possano essere venduti come beni nuovi, ma solo come beni usati a un prezzo (significativamente) inferiore. A tale riguardo il professionista non deve indurre in errore il nuovo acquirente dei beni oggetto di pulitura in merito alla loro condizione (nuovi o usati), in quanto si tratta di una parte importante delle caratteristiche dei prodotti, anche nel contesto della direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

In relazione al diritto di recesso di cui alla direttiva 97/7/CE sui contratti a distanza, sostituita dalla nuova direttiva, la Corte ha stabilito, nella causa C-489/07, Pia Messner (129), che una normativa nazionale che ponga a carico del consumatore l’onere della prova di non aver usato il bene durante il termine di recesso in un modo che va oltre quanto necessario per consentirgli di esercitare utilmente il suo diritto di recesso pregiudica l’efficacia e l’effettività del diritto di recesso.

Conformemente all’articolo 14, paragrafo 5, l’esercizio del diritto di recesso non comporta alcuna responsabilità per il consumatore, fatto salvo quanto previsto nella direttiva. A tale riguardo la sentenza nella causa Messner ha altresì confermato che un venditore non può chiedere al consumatore un’indennità per l’uso del bene nel periodo intermedio precedente la sua restituzione al professionista (130).

La direttiva sui diritti dei consumatori non regolamenta l’attribuzione della responsabilità del consumatore per la diminuzione del valore dei beni. In particolare non dice se la responsabilità implica semplicemente che il professionista possa agire in giudizio contro il consumatore o se possa, unilateralmente, addebitare i danni al consumatore o ridurre l’importo del rimborso dovuto al consumatore per compensare la presunta diminuzione del valore dei beni.

Tali questioni sono quindi soggette al diritto contrattuale generale e al diritto procedurale degli Stati membri, come prevede l’articolo 3, paragrafo 5. Per esempio per coprire la diminuzione del valore dei beni dovuta alla loro cattiva manipolazione durante il periodo di recesso, gli Stati membri possono consentire ai professionisti di ridurre l’importo del rimborso.

L’articolo 14, paragrafo 2, stabilisce inoltre che il «consumatore non è in alcun caso responsabile per la diminuzione del valore dei beni se il professionista ha omesso di informare il consumatore del suo diritto di recesso a norma dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera h)».

Altra conseguenza dell’inadempimento dell’obbligo di informazione sul diritto di recesso è la proroga del periodo di recesso fino a 12 mesi, come previsto all’articolo 10 della direttiva. Ciò significa che un consumatore può recedere dal contratto dopo un periodo abbastanza lungo, durante il quale ha effettivamente utilizzato i beni, senza essere responsabile della loro usura (cfr. anche sezione 5.3 sulle conseguenze della mancata informazione del consumatore sul diritto di recesso).

L’articolo 6, paragrafo 1, lettera h), non prevede alcun obbligo specifico di informare il consumatore in merito alla responsabilità per la diminuzione del valore dei beni al momento dell’esercizio del diritto di restituzione. Tuttavia le informazioni sulla diminuzione del valore dei beni sono incluse nelle istruzioni tipo sul recesso di cui all’allegato I, parte A. Fornire tali informazioni potrebbe essere utile sia per i consumatori che per i professionisti anche nei casi in cui il professionista non segua le istruzioni tipo.

5.5.5.   Rischi connessi alla restituzione dei beni al professionista

La direttiva non stabilisce su chi incombe il rischio di perdita o danneggiamento accidentali durante la restituzione dei beni quando il consumatore recede dal contratto. La questione è quindi anch’essa regolamentata da leggi nazionali che possono, per esempio, prevedere che il rischio connesso alla restituzione dei beni incombe sul consumatore allorché gli venga trasferito alla consegna dei beni, come previsto all’articolo 20.

In linea di principio, nel restituire i beni il consumatore deve vigilare con ragionevole diligenza, per esempio scegliendo un prestatore riconosciuto di servizi postali o di trasporto, per garantire che i beni raggiungano il professionista e non siano danneggiati durante il transito.

Se il consumatore non ha mai acquisito il possesso fisico dei beni, per esempio rifiutandosi di accettare la consegna senza dichiarazione esplicita o con una dichiarazione al professionista sul recesso dal contratto, il rischio di perdita o danneggiamento incombe al professionista dal momento che, conformemente all’articolo 20, non vi è stato alcun passaggio del rischio al consumatore.

5.6.    Diritto di recesso dai contratti di servizi e dai contratti per la fornitura di servizi di pubblica utilità

5.6.1.   Consenso del consumatore all’esecuzione immediata

L’articolo 7, paragrafo 3, e l’articolo 8, paragrafo 8, della direttiva sui diritti dei consumatori stabiliscono requisiti formali applicabili quando i consumatori desiderano iniziare l’esecuzione di contratti di servizi o per la fornitura di servizi di pubblica utilità negoziati fuori dei locali commerciali e a distanza prima della scadenza del periodo di recesso. Le due disposizioni sono presentate in termini identici, tranne per il fatto che l’articolo 7, paragrafo 3, impone al professionista di ottenere dal consumatore la richiesta di esecuzione immediata su un supporto durevole:

Articolo 7, paragrafo 3, e articolo 8, paragrafo 8

Se un consumatore vuole che la prestazione dei servizi ovvero la fornitura di acqua, gas o elettricità, quando non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità determinata, o di teleriscaldamento inizi durante il periodo di recesso previsto all’articolo 9, paragrafo 2, e il contratto impone al consumatore l’obbligo di pagare, il professionista esige che il consumatore ne faccia esplicita richiesta [su un supporto durevole]  (*1) e chiede inoltre al consumatore di riconoscere che, una volta che il contratto sarà stato interamente eseguito dal professionista, il consumatore non avrà più il diritto di recesso.

Tali disposizioni si applicano pertanto se il consumatore vuole che il servizio o i servizi di pubblica utilità inizino durante il periodo di recesso. Tuttavia tali norme non dovrebbero impedire al professionista di proporre attivamente che il consumatore presenti tale richiesta. Allo stesso tempo, il professionista non è tenuto né a offrire questa opzione né ad accettare la richiesta del consumatore.

In forza dell’articolo 14, paragrafo 3, il consumatore può recedere dalla prestazione di servizi o dalla fornitura di servizi di pubblica utilità anche dopo averne fatto richiesta esplicita, come conferma lo stesso considerando 50: «il consumatore dovrebbe usufruire del suo diritto di recesso anche nel caso in cui abbia chiesto la prestazione dei servizi prima della fine del periodo di recesso».

Tuttavia, per quanto riguarda i contratti di servizi, ai sensi dell’articolo 16, primo comma, lettera a), il consumatore perde il diritto di recesso a seguito della piena esecuzione del servizio, a determinate condizioni:

Articolo 16

Gli Stati membri non prevedono il diritto di recesso di cui agli articoli da 9 a 15 per i contratti a distanza e i contratti negoziati fuori dei locali commerciali relativamente a:

a)

i contratti di servizi dopo la piena prestazione del servizio ma, se il contratto impone al consumatore l’obbligo di pagare, solo se l’esecuzione è iniziata con il previo consenso espresso del consumatore e l’accettazione del fatto che perderà il proprio diritto di recesso a seguito della piena esecuzione del contratto da parte del professionista;

L’articolo 7, paragrafo 3, e l’articolo 8, paragrafo 8, della direttiva sui diritti dei consumatori sono stati modificati dalla direttiva (UE) 2019/2161. La modifica garantisce l’allineamento all’articolo 16, primo comma, lettera a). In particolare, l’articolo 7, paragrafo 3, e l’articolo 8, paragrafo 8, contengono ora gli stessi due requisiti dell’articolo 16, primo comma, lettera a): 1) la richiesta di esecuzione immediata da parte del consumatore e 2) l’accettazione da parte del consumatore del fatto che, a seguito della piena esecuzione del contratto da parte del professionista, il consumatore non godrà più del diritto di recesso.

Le modifiche chiariscono inoltre che tali requisiti si applicano solo ai servizi a pagamento. Ciò è stato necessario nel contesto dell’estensione dell’ambito di applicazione della direttiva sui diritti dei consumatori al settore dei servizi digitali di cui all’articolo 3, paragrafo 1 bis (131).

Il mancato rispetto da parte del professionista dell’obbligo di ottenere dal consumatore la richiesta di esecuzione immediata comporta le conseguenze di cui all’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), ossia il diritto del consumatore di non sostenere i costi del servizio o dei servizi di pubblica utilità (cfr. sezione 5.8).

Il «consenso espresso» del consumatore di cui all’articolo 16, primo comma, lettera a), deve essere interpretato nel senso della «richiesta esplicita» di cui all’articolo 7, paragrafo 3, e all’articolo 8, paragrafo 8.

Per analogia con le norme sui pagamenti supplementari di cui all’articolo 22, l’espressione «esplicita richiesta/consenso espresso» deve essere interpretata come un elemento dell’azione positiva del consumatore, come contrassegnare una casella sul sito web. L’utilizzo di una casella precontrassegnata o di una clausola in tal senso nelle condizioni generali non soddisfa questi obblighi (132).

Il consenso espresso e l’accettazione da parte del consumatore possono essere acquisiti prima, durante o dopo la conclusione del contratto, purché ciò avvenga prima dell’inizio dell’esecuzione. La richiesta e l’accettazione del consumatore possono essere espresse in un’unica volta. Gli obblighi di cui all’articolo 7, paragrafo 3, all’articolo 8, paragrafo 8, e all’articolo 16, primo comma, lettera a), potrebbero essere soddisfatti, per esempio, con la formula seguente:

[…] Con la presente io sottoscritto richiedo [l’immediata esecuzione o l’esecuzione il/a partire dal (data specifica durante il periodo di recesso)] del contratto di servizi e accetto di perdere il mio diritto di recesso dal contratto a seguito della piena esecuzione del contratto.

Per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali soggetti all’articolo 7, paragrafo 3, il requisito del «supporto durevole» sarebbe soddisfatto se la richiesta e l’accettazione del consumatore sono registrate su uno strumento che permetta alle parti di conservare le informazioni in modo da potervi accedere in futuro e che permetta la riproduzione identica (per maggiori informazioni cfr. sezione 4.4). In generale, se la richiesta e l’accettazione sono adeguatamente riprodotte nella copia fornita al consumatore, è sufficiente che questi metta il segno di spunta su una casella nel documento dell’ordine.

5.6.2.   Obbligo di compensazione del consumatore

Articolo 14

3.   Qualora un consumatore eserciti il diritto di recesso dopo aver presentato una richiesta in conformità dell’articolo 7, paragrafo 3, o dell’articolo 8, paragrafo 8, il consumatore versa al professionista un importo proporzionale a quanto è stato fornito fino al momento in cui il consumatore ha informato il professionista dell’esercizio del diritto di recesso, rispetto a tutte le prestazioni previste dal contratto. L’importo proporzionale che il consumatore deve pagare al professionista è calcolato sulla base del prezzo totale concordato nel contratto. Se detto prezzo totale è eccessivo, l’importo proporzionale è calcolato sulla base del valore di mercato di quanto è stato fornito.

Se il consumatore recede dal contratto durante il periodo di recesso, dopo aver chiesto l’immediata esecuzione del contratto, l’articolo 14, paragrafo 3, prevede che il consumatore versi al professionista un importo proporzionale a quanto è stato fornito sulla base del prezzo totale concordato nel contratto:

se per esempio il consumatore recede da un contratto per servizi di telefonia mobile dopo aver utilizzato il servizio per 10 giorni deve versare al professionista un terzo dell’abbonamento mensile (133) oltre al prezzo di qualsiasi servizio supplementare ricevuto durante quel periodo.

Se la fornitura di servizi comporta costi una tantum a carico del professionista che li mette a disposizione del consumatore, il professionista può includerli nel calcolo della compensazione:

per esempio il professionista può includere il costo dei lavori di installazione presso il domicilio del consumatore, nel quadro di un contratto di servizi di comunicazioni elettroniche fisse, prima che il consumatore receda dal contratto.

Se il prezzo totale è eccessivo, la compensazione si baserà sul valore di mercato dei servizi forniti. Il considerando 50 fornisce spiegazioni utili sul modo in cui determinare il valore di mercato: «Il calcolo dell’importo proporzionale dovrebbe basarsi sul prezzo concordato nel contratto salvo che il consumatore dimostri che il prezzo totale è di per sé sproporzionato, nel qual caso l’importo da pagare è calcolato sulla base del valore di mercato del servizio fornito. Il valore di mercato dovrebbe essere definito facendo un confronto con il prezzo di un servizio equivalente prestato da altri professionisti alla data di conclusione del contratto. «

Il considerando 14, che fa riferimento all’applicazione delle norme vigenti negli Stati membri «sui prezzi eccessivi o esorbitanti», può essere utile per l’applicazione dell’articolo 14, paragrafo 3.

Nella causa C-641/19 PE Digital la CGUE ha chiarito che, nell’applicare l’articolo 14, paragrafo 3, per determinare l’importo proporzionale che il consumatore deve pagare al professionista qualora tale consumatore receda da tale contratto dopo aver espressamente richiesto che l’esecuzione del servizio inizi durante il periodo di recesso, occorre, in linea di principio, tener conto del prezzo convenuto in detto contratto per tutta la sua durata e calcolare l’importo dovuto pro rata temporis.

È solo nel caso in cui il contratto preveda espressamente che: i) una o più prestazioni siano fornite integralmente sin dall’inizio dellesecuzione del contratto ii) a un prezzo che deve essere pagato separatamente, che, per calcolare l’importo dovuto al professionista in applicazione dell’articolo 14, paragrafo 3, occorre tener conto dell’intero prezzo previsto per una simile prestazione (134).

Nella sentenza PE Digital la Corte ha ulteriormente chiarito che la verifica del carattere eccessivo della compensazione richiesta dal professionista è basata sul mercato. Ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva sui diritti dei consumatori, letto alla luce del considerando 50, in tale analisi occorre tener conto del prezzo del servizio offerto dal professionista ad altri consumatori alle stesse condizioni nonché del prezzo di un servizio equivalente fornito da altri professionisti al momento della conclusione del contratto (135).

Per i servizi forniti nel quadro di un contratto di vendita, il considerando 50 recita: «Per i contratti che hanno per oggetto sia beni che servizi, le norme sulla restituzione dei beni di cui alla presente direttiva si dovrebbero applicare agli aspetti relativi ai beni mentre il regime di compensazione per i servizi si applica agli aspetti relativi ai servizi».

Il regime di compensazione per i servizi prestati durante il periodo di recesso è stabilito all’articolo 14, paragrafo 3, e all’articolo 14, paragrafo 4, lettera a) (cfr. anche sezione 5.8.2). Quindi, nelle situazioni in cui il servizio è fornito durante il periodo di recesso dal contratto di vendita (per esempio il servizio di installazione è fornito immediatamente dopo la consegna dei beni), il professionista deve anche ottenere dal consumatore l’esplicita richiesta di prestazione del servizio durante il periodo di recesso se vuole essere compensato qualora il consumatore receda dal contratto di vendita:

per esempio, un contratto di vendita a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali può prevedere la consegna e l’installazione di un elettrodomestico. Se il consumatore chiede espressamente al professionista di installare l’elettrodomestico immediatamente dopo la consegna, ma decide poi di recedere dal contratto entro il periodo di recesso (14 giorni dalla consegna), il professionista ha diritto a una compensazione per i costi di installazione (oltre all’eventuale compensazione per la diminuzione del valore dell’elettrodomestico, se del caso).

L’obbligo per il professionista, aggiunto all’articolo 7, paragrafo 3, e all’articolo 8, paragrafo 8, dalla direttiva (UE) 2019/2161, di chiedere che il consumatore accetti di non disporre più del diritto di recesso a seguito della piena esecuzione del contratto da parte del professionista, non è pertinente nel caso di servizi forniti nell’ambito di contratti di vendita. Tale obbligo riguarda solo i contratti di servizi, in quanto solo tali contratti sono soggetti all’eccezione al diritto di recesso di cui all’articolo 16, primo comma, lettera a).

5.7.    Diritto di recesso dai contratti per la fornitura di contenuto digitale online

Il diritto di recesso dai contratti di servizi digitali è discusso nella precedente sezione 5.6 relativa ai contratti di servizi in generale.

Le restrizioni specifiche al diritto di recesso dai contratti per la fornitura di contenuto digitale online sono stabilite all’articolo 16, primo comma, lettera m).

La direttiva (UE) 2019/2161 ha modificato tale disposizione aggiungendo una terza condizione che il professionista deve soddisfare affinché i consumatori perdano il diritto di recesso dal contratto. Ciò è in linea con le condizioni di cui all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), che tratta le conseguenze del mancato rispetto degli obblighi di informazione e dei requisiti formali.

Articolo 16

Gli Stati membri non prevedono il diritto di recesso di cui agli articoli da 9 a 15 per i contratti a distanza e i contratti negoziati fuori dei locali commerciali relativamente a:

 

[…] m) i contratti per la fornitura di contenuto digitale mediante un supporto non materiale se l’esecuzione è iniziata e, se il contratto impone al consumatore l’obbligo di pagare, qualora:

i)

il consumatore abbia dato il suo previo consenso espresso a iniziare la prestazione durante il periodo di diritto di recesso;

ii)

il consumatore abbia riconosciuto di perdere così il proprio diritto di recesso; e

iii)

il professionista abbia fornito la conferma conformemente all’articolo 7, paragrafo 2 o all’articolo 8, paragrafo 7.

L’obiettivo dell’articolo 16, primo comma, lettera m), è simile a quello di cui all’articolo 16, primo comma, lettera i), che esclude dal diritto di recesso i supporti fisici sigillati (CD, DVD ecc.) aperti dal consumatore. Ciò significa che, a differenza di quanto avviene per il recesso dai contratti di fornitura di servizi (sezione 5.6), in entrambi i casi il consumatore non ha diritto di«testare»il contenuto digitale durante il periodo in cui può esercitare il diritto di recesso.

Il consumatore perde quindi il diritto di recesso non appena l’esecuzione del contratto ha inizio con il suo consenso e con l’accettazione della perdita di questo diritto se il professionista ha fornito la conferma del contratto. Come previsto all’articolo 7, paragrafo 2, per quanto riguarda i contratti negoziati fuori dei locali commerciali e all’articolo 8, paragrafo 7, per quanto riguarda i contratti a distanza, tale conferma deve comprendere anche la conferma del previo consenso espresso e dell’accettazione del consumatore (cfr. anche sezione 4.4 sulla conferma del contratto).

L’esecuzione inizia con il download o lo streaming di un file video o audio. Se il professionista offre un link in internet per lanciare lo streaming o il download, il consumatore perde il diritto di recesso solo dopo aver attivato il link.

Il consenso espresso e l’accettazione da parte del consumatore possono essere acquisiti prima, durante o dopo la conclusione del contratto, purché ciò avvenga prima dell’inizio dell’esecuzione. L’articolo 7, paragrafo 2, e l’articolo 8, paragrafo 7, della direttiva sui diritti dei consumatori prevedono espressamente che la conferma del contratto includa la conferma del previo consenso espresso e dell’accettazione del consumatore in conformità dell’articolo 16, primo comma, lettera m). Pertanto, se il consumatore dà il proprio consenso all’esecuzione immediata e indica la propria accettazione dopo che il professionista ha già inviato la conferma del contratto, il professionista deve fornire al consumatore un’ulteriore conferma separata di tale consenso e accettazione prima dell’inizio dell’esecuzione.

Ai fini dell’articolo 16, primo comma, lettera m), le espressioni consenso «espresso» e accettazione devono essere interpretate per analogia con le norme sul consenso espresso sui pagamenti supplementari per i servizi supplementari, di cui all’articolo 22. Ciò significa che il consumatore deve compiere un’azione positiva, per esempio contrassegnare una casella sul sito web del professionista. L’espressione del consenso e dell’accettazione mediante una casella precontrassegnata oppure accettando le condizioni generali non soddisfa gli obblighi di cui all’articolo 16, primo comma, lettera m).

Il consenso espresso e l’accettazione del consumatore possono essere indicati in un’unica dichiarazione, fornendo anche le informazioni sull’eccezione al diritto di recesso di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettera k). Per esempio:

[…] Il sottoscritto chiede con la presente l’immediata esecuzione del contratto e accetta di perdere il diritto di recesso dal contratto con l’inizio del download o dello streaming del contenuto digitale.

Il professionista è tenuto a rispettare gli obblighi di informazione in merito al diritto di recesso di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettera h). Solo nel caso di contratti per la fornitura di contenuto digitale online eseguiti immediatamente, in cui il consumatore indica il consenso e l’accettazione con i quali ha inizio l’esecuzione del contratto, il professionista non è tenuto a fornire le informazioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettera h), compreso il modulo di recesso tipo di cui all’allegato I, parte B.

5.8.    Conseguenze della mancata informazione sul diritto di recesso

Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, il professionista deve fornire al consumatore informazioni precontrattuali in maniera chiara e comprensibile. In particolare, in caso di sussistenza di un diritto di recesso, l’articolo 6, paragrafo 1, lettera h), impone al professionista di informare il consumatore in merito alle condizioni, ai termini e alle procedure per esercitare tale diritto, nonché in merito al modulo di recesso tipo di cui all’allegato I, parte B (136). Il mancato rispetto di tali obblighi comporta le conseguenze di cui all’articolo 10, paragrafo 1, che prevede una proroga del periodo di recesso per tutti i contratti. Se il professionista non fornisce tali informazioni, il periodo di recesso è prorogato di 12 mesi.

Articolo 10

1.   Se in violazione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera h), il professionista non fornisce al consumatore le informazioni sul diritto di recesso, il periodo di recesso scade dodici mesi dopo la fine del periodo di recesso iniziale, come determinato a norma dell’articolo 9, paragrafo 2.

L’articolo 10, paragrafo 2, affronta la situazione in cui il professionista fornisce le informazioni di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettera h), in ritardo, entro 12 mesi dopo la fine del periodo di recesso iniziale calcolato a norma dell’articolo 9, paragrafo 2. In tal caso, il periodo di recesso scade 14 giorni dopo il giorno in cui il consumatore riceve le informazioni.

Articolo 10

2.   Se il professionista fornisce al consumatore le informazioni di cui al paragrafo 1 del presente articolo entro dodici mesi dalla data di cui all’articolo 9, paragrafo 2, il periodo di recesso scade quattordici giorni o, nel caso in cui gli Stati membri abbiano adottato le norme previste all’articolo 9, paragrafo 1 bis, 30 giorni dopo il giorno in cui il consumatore riceve le informazioni.

5.8.1.   Conseguenze per quanto riguarda i beni

Oltre alla suddetta proroga del periodo di recesso, nel caso dei beni, l’articolo 14, paragrafo 2, stabilisce che i consumatori non sono responsabili della diminuzione del valore dei beni se il professionista ha omesso di informarli del diritto di recesso a norma dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera h).

Articolo 14

2.   Il consumatore è responsabile unicamente della diminuzione del valore dei beni risultante da una manipolazione dei beni diversa da quella necessaria per stabilire la natura, le caratteristiche e il funzionamento dei beni. Il consumatore non è in alcun caso responsabile per la diminuzione del valore dei beni se il professionista ha omesso di informare il consumatore del suo diritto di recesso a norma dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera h).

Per quanto riguarda i beni personalizzati o deperibili (cfr. sezioni 5.11.2 e 5.11.3) che sono incondizionatamente esenti dal diritto di recesso a norma dell’articolo 16, primo comma, lettere c) e d), la direttiva sui diritti dei consumatori non stabilisce le conseguenze del mancato rispetto da parte del professionista dell’obbligo di informazione riguardo all’assenza del diritto di recesso ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera k). Tuttavia la mancata informazione del consumatore sull’assenza del diritto di recesso in una simile situazione potrebbe equivalere a una pratica commerciale sleale (omissione ingannevole) vietata dalla direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali, se induce il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

5.8.2.   Conseguenze relative ai servizi e ai servizi di pubblica utilità

Per i servizi (inclusi i servizi digitali) e i servizi di pubblica utilità, l’articolo 14, paragrafo 4, lettera a) prevede che il consumatore non sostenga alcun costo, in altri termini ha diritto al rimborso dell’importo versato o di non pagare, se il professionista ha omesso di fornire le informazioni previste sul diritto di recesso di cui all’articolo 6, paragrafo1, lettere h) e j), oppure se il consumatore non ha espressamente chiesto che la prestazione iniziasse durante il periodo di recesso a norma dell’articolo 7, paragrafo 3, o dell’articolo 8, paragrafo 8.

Articolo 14

4.   Il consumatore non sostiene alcun costo per:

a)

la prestazione di servizi o la fornitura di acqua, gas o elettricità, quando non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità determinata, o di teleriscaldamento, in tutto o in parte, durante il periodo di recesso quando:

i)

il professionista ha omesso di fornire informazioni in conformità dell’articolo 6, paragrafo 1, lettere h) e j); oppure

ii)

il consumatore non ha espressamente chiesto che la prestazione iniziasse durante il periodo di recesso in conformità dell’articolo 7, paragrafo 3, e dell’articolo 8, paragrafo 8; […]

Di conseguenza, in questi casi, il consumatore può recedere dal contratto di servizi o dal contratto per la fornitura di servizi di pubblica utilità la cui esecuzione è iniziata ed è ancora in corso durante il periodo prolungato di 12 mesi dalla fine del periodo di recesso iniziale calcolato a norma dell’articolo 9, paragrafo 2, e non sosterrà alcun costo per i servizi forniti.

Se il professionista informa il consumatore del diritto di recesso entro 12 mesi dalla fine del periodo di recesso iniziale calcolato a norma dell’articolo 9, paragrafo 2, il consumatore può recedere entro 14 giorni dal giorno in cui ha ricevuto l’informazione, senza sostenere alcun costo per i servizi prestati fino al momento in cui è stato informato del diritto di recesso.

Il consumatore non sosterrà alcun costo per quanto è stato fornito anche nel caso in cui la fornitura di servizi o la fornitura di servizi di pubblica utilità sia stata completata (pienamente eseguita) prima dell’esercizio del diritto di recesso, anche durante il periodo prolungato di cui all’articolo 10, tranne nel caso in cui il professionista abbia rispettato i requisiti formali di cui all’articolo 7, paragrafo 3, o all’articolo 8, paragrafo 8, con conseguente perdita del diritto di recesso del consumatore a norma dell’articolo 16, primo comma, lettera a) (cfr. sezione 5.6.1 per maggiori informazioni).

5.8.3.   Conseguenze per quanto riguarda il contenuto digitale online

Per quanto riguarda i contratti per la fornitura di contenuto digitale online, se una delle tre condizioni di cui all’articolo 16, primo comma, lettera m), non è soddisfatta (cfr. sezione 5.7) e il consumatore esercita il diritto di recesso, si applica l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), che gli conferisce il diritto di non pagare per il contenuto ricevuto o di essere rimborsato per gli importi versati:

Articolo 14

4.   Il consumatore non sostiene alcun costo per:

 

[…]

b)

la fornitura, in tutto o in parte, del contenuto digitale che non è fornito su un supporto materiale quando:

i)

il consumatore non ha dato il suo previo consenso espresso circa l’inizio della prestazione prima della fine del periodo di quattordici giorni di cui all’articolo 9;

ii)

il consumatore non ha riconosciuto di perdere il diritto di recesso quando ha espresso il suo consenso; oppure

iii)

il professionista ha omesso di fornire la conferma conformemente all’articolo 7, paragrafo 2 o all’articolo 8, paragrafo 7.

5.9.    Risoluzione del contratto in seguito all’esercizio del diritto di recesso

Articolo 12

L’esercizio del diritto di recesso pone termine agli obblighi delle parti:

a)

di eseguire il contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali; oppure

b)

di concludere un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali nei casi in cui un’offerta sia stata fatta dal consumatore.

L’articolo 12 stabilisce che l’esercizio del diritto di recesso pone termine agli obblighi delle parti di eseguire il contratto, e in particolare all’obbligo del consumatore di pagare o concludere il contratto se è stato lui a fare l’offerta.

Secondo l’articolo 3, paragrafo 2, questa norma non pregiudica altre norme dell’UE sulla risoluzione dei contratti, specifiche a determinati settori:

per esempio la direttiva (UE) 2019/944 del Parlamento europeo e del Consiglio (137) sul mercato interno dell’energia elettrica e la direttiva 2009/73/CE sul mercato interno del gas naturale (138) prevedono che qualora un cliente, nel rispetto delle condizioni contrattuali, intenda cambiare fornitore, l’operatore o gli operatori interessati effettuano tale cambiamento entro tre settimane.

Quindi se un consumatore decide di recedere da un contratto per la fornitura di energia elettrica o di gas e di cambiare fornitore, il fornitore precedente e il consumatore continuano a essere vincolati dal contratto fino a tre settimane, in deroga alle norme di cui all’articolo 14, paragrafo 3, sulla compensazione per quanto è stato fornito fino al recesso.

5.10.    Contratti accessori

Articolo 15

1.   Fatto salvo l’articolo 15 della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori, se il consumatore esercita il suo diritto di recesso da un contratto a distanza o concluso fuori dei locali commerciali a norma degli articoli da 9 a 14 della presente direttiva, eventuali contratti accessori sono automaticamente annullati, senza costi per il consumatore, ad eccezione di quelli previsti dall’articolo 13, paragrafo 2, e dall’articolo 14 della presente direttiva.

2.   Gli Stati membri stabiliscono norme dettagliate per la risoluzione di tali contratti.

Ai sensi dell’articolo 2, punto 15, per contratto accessorio si intende: «un contratto mediante il quale il consumatore acquista beni o servizi connessi a un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali e in cui tali beni o servizi sono forniti dal professionista o da un terzo in base ad un accordo tra il terzo e il professionista», per esempio:

un contratto di consegna, manutenzione o installazione;

un contratto di assicurazione e credito per finanziare l’acquisto;

una garanzia commerciale supplementare.

Benché generalmente esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva in forza dell’articolo 3, paragrafo 3, lettera d), eventuali contratti accessori di assicurazione e credito sono automaticamente annullati ai sensi dell’articolo 15.

Per stabilire quale sia il contratto principale e quale quello accessorio bisogna valutare il rapporto tra i singoli contratti tra loro collegati:

se per esempio un consumatore acquista, tramite contratti separati con il medesimo professionista, servizi di telefonia mobile e uno smartphone pagato a rate, fatturato mensilmente insieme al costo dell’abbonamento principale, il contratto di servizi deve essere considerato il contratto principale. Ciò non deve impedire al consumatore di recedere separatamente dal solo contratto accessorio di vendita, mantenendo però il contratto di servizi.

Se il contratto accessorio ricade nell’ambito della direttiva (per esempio un contratto di consegna o installazione), il consumatore deve compensare il professionista per il costo di quanto fornito, conformemente all’articolo 13, paragrafo 2, e all’articolo 14.

Se invece il contratto accessorio non rientra in generale nell’ambito di applicazione della direttiva (come un contratto di assicurazione o credito), le conseguenze della risoluzione sono soggette alle norme specifiche del settore o alle norme del diritto contrattuale generale vigenti negli Stati membri.

Norme dettagliate sulla risoluzione dei contratti accessori devono essere emanate dagli Stati membri e possono ricomprendere per esempio l’obbligo per il professionista, quando viene informato dal consumatore della sua decisione di recedere dal contratto principale, di informare qualsiasi altro professionista interessato.

5.11.    Eccezioni al diritto di recesso

Il primo comma dell’articolo 16 elenca 13 contratti/situazioni in cui il consumatore non gode del diritto di recesso o lo perde a determinate condizioni.

Inoltre la direttiva (UE) 2019/2161 ha introdotto due scelte normative per gli Stati membri nel caso di contratti conclusi nel contesto di visite non richieste organizzate da un professionista presso l’abitazione di un consumatore oppure di escursioni, nonché nel caso di riparazioni specificamente richieste dal consumatore.

Le situazioni o i contratti seguenti meritano qui particolare attenzione. Le eccezioni relative ai contratti di servizi e ai contratti per la fornitura di contenuto digitale online pienamente eseguiti sono trattate separatamente, rispettivamente nelle sezioni 5.6 e 5.7.

5.11.1.   Beni o servizi il cui prezzo dipende dalle fluttuazioni del mercato finanziario

Articolo 16

b)

la fornitura di beni o servizi il cui prezzo è legato a fluttuazioni nel mercato finanziario che il professionista non è in grado di controllare e che possono verificarsi durante il periodo di recesso;

Il considerando 43 della direttiva (UE) 2019/2161 ha chiarito che i contratti per consegne individuali di energia non di rete dovrebbero essere esentati dal diritto di recesso di cui all’articolo 16, primo comma, lettera b), in quanto «il prezzo di tale energia è legato a fluttuazioni nei mercati delle materie prime o nei mercati energetici che il professionista non è in grado di controllare e che possono verificarsi durante il periodo di recesso».

5.11.2.   Beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati

Articolo 16

c)

la fornitura di beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati;

L’articolo 2 della direttiva sui diritti dei consumatori definisce i «beni prodotti secondo le indicazioni del consumatore» come «qualsiasi bene non prefabbricato prodotto in base a una scelta o decisione individuale del consumatore». Il considerando 49 della direttiva fa riferimento alle «tende su misura» come esempio di beni prodotti secondo le indicazioni del consumatore o che sono chiaramente personalizzati.

Questa norma costituisce un’eccezione alla norma più generale della direttiva che conferisce ai consumatori il diritto di recesso da contratti a distanza o negoziati fuori dei locali commerciali e deve essere quindi interpretata in senso restrittivo.

L’eccezione ricopre per esempio:

beni per i quali il consumatore fornisce delle indicazioni, per esempio le misure per i mobili o le dimensioni di una stoffa;

beni per i quali il consumatore richiede specifiche caratteristiche personalizzate, come un design particolare per un’autovettura fabbricata su ordinazione o una componente specifica di un computer, che devono essere fornite specificamente per quell’ordine particolare e che non fanno parte dell’offerta generale proposta al pubblico dal professionista;

etichette di indirizzi con gli estremi del consumatore.

Le indicazioni o la personalizzazione in tale contesto devono essere intesi nel senso che i beni, in linea di principio, sono unici e prodotti secondo i desideri e le richieste individuali del consumatore, d’accordo con il professionista.

Se invece il consumatore si limita ad assemblare beni scegliendo tra le opzioni standard (predefinite) offerte dal professionista, non si può parlare di «indicazioni» né di «personalizzazione» nel senso stretto della disposizione. Pertanto l’eccezione non si applicherebbe agli esempi seguenti:

la scelta di mobili con un colore o una struttura specifici mediante selezione dal catalogo del fabbricante;

un’autovettura con attrezzature accessorie selezionate dal catalogo del costruttore;

una serie di mobili sulla base di elementi standard.

Inoltre l’eccezione non si applica ai contratti di servizi che comportano risultati tangibili. Nella causa C-208/19 NK (Progettazione di una casa unifamiliare), la Corte ha ritenuto che il contratto tra un architetto e un consumatore, in forza del quale il primo sia tenuto a effettuare la progettazione per la costruzione di un nuovo edificio, non può essere considerato rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 16, lettera c), della direttiva sui diritti dei consumatori. Sebbene i progetti possano essere forniti in formato materiale (cartaceo o digitale), l’oggetto del contratto è un servizio intellettuale di progettazione architettonica e la successiva consegna ha solo una funzione accessoria (139).

Questo ragionamento della CGUE sottolinea l’importanza del processo creativo per la realizzazione del risultato tangibile quale fattore decisivo per la classificazione del contratto. Un ragionamento analogo potrebbe essere applicato ad altri servizi di natura intellettuale (per esempio la prestazione di consulenza contabile o legale o un servizio fotografico per un evento di famiglia) i cui risultati potrebbero essere presentati in formato materiale.

Per contro, quando si applica l’eccezione, la limitazione del recesso da contratti di fornitura di beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati è assoluta e non dipende dal fatto che il professionista abbia iniziato o meno a lavorare all’ordine. Ciò è stato confermato nella causa C-529/19 Möbel Kraft, in cui la Corte ha osservato che questa è l’unica interpretazione dell’articolo 16, lettera c), della direttiva sui diritti dei consumatori che potrebbe garantire la certezza giuridica, che è uno degli obiettivi della direttiva come indicato nei considerando 7 e 40 della stessa (140). L’esistenza del diritto di recesso del consumatore sarebbe messa in discussione se dipendesse dallo stato di avanzamento dell’esecuzione del contratto da parte del professionista, di cui il consumatore non è, di regola, informato e nei confronti del quale egli non dispone, a maggior ragione, di alcun potere di intervento. Inoltre tale interpretazione non sarebbe conciliabile con l’obbligo del professionista di fornire informazioni precontrattuali chiare.

5.11.3.   Beni che rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente

Articolo 16

d)

la fornitura di beni che rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente;

Il rischio di «deteriorarsi o scadere rapidamente» è una caratteristica oggettiva del bene in questione. Tra gli esempi evidenti di beni che rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente, di cui al punto d), figurano:

alimenti e bevande con limiti di scadenza brevi, specie quelli che vanno refrigerati;

consegne di ristoranti da asporto;

fiori freschi.

Tuttavia, nel caso di contratti di abbonamento per consegne periodiche di ristoranti da asporto, anche se non vi sarebbe alcun diritto di recesso dalla consegna effettiva, il consumatore può comunque annullare l’abbonamento in base alle norme sul diritto di recesso per la «consegna periodica di beni» ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera b), punto iii), vale a dire 14 giorni dopo il ricevimento della prima consegna.

Le piante, per loro natura, hanno una durata di vita limitata durante la quale le loro caratteristiche sono preservate. In linea di principio, il requisito dell’intervento attivo di qualcuno (per esempio un corriere o un consumatore) al fine di preservarne le caratteristiche rende tali piante oggettivamente diverse da altri beni (tessili, attrezzature elettroniche ecc.). Tali altri beni non «rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente» se sono conservati in condizioni adeguate e se il consumatore è tenuto solo ad astenersi dall’esporli a condizioni anomale prima di rispedirli, al fine di evitare la responsabilità prevista dall’articolo 14, paragrafo 2.

È pertanto necessaria una valutazione caso per caso, tenendo conto della cura necessaria affinché le piante mantengano le loro caratteristiche per un periodo più lungo, anche in caso di restituzione da parte del consumatore. Pertanto il diritto di recesso dovrebbe applicarsi solo se le rispettive piante non «rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente».

5.11.4.   Beni sigillati per motivi igienici o connessi alla protezione della salute

Articolo 16

e)

la fornitura di beni sigillati che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici o connessi alla protezione della salute e sono stati aperti dopo la consegna;

Rientrano nell’esenzione dal diritto di recesso di cui alla lettera e) i beni che, per concreti motivi igienici o connessi alla protezione della salute, sono venduti sigillati, per esempio con una pellicola o un involucro protettivo. L’eccezione si applica, per esempio, ai seguenti beni che vengano aperti dal consumatore dopo la consegna:

i prodotti cosmetici, come i rossetti,

gli spazzolini da denti, i rasoi e oggetti analoghi per l’igiene personale.

Nella causa C-681/17 slewo, la Corte ha stabilito che tale eccezione non si applica ai materassi. In particolare, la Corte ha precisato che è la natura di un bene che può giustificare la sigillatura del suo imballaggio per motivi igienici o connessi alla protezione della salute e che pertanto l’apertura di un siffatto imballaggio priva il bene in esso contenuto della garanzia in termini igienici o di protezione della salute (141).

Di conseguenza l’eccezione al diritto di recesso prevista all’articolo 16, primo comma, lettera e), si applica soltanto se, una volta aperto il suo imballaggio, il bene da esso contenuto non sia definitivamente più in condizione di essere commercializzato, per motivi igienici o connessi alla protezione della salute, poiché è impossibile o eccessivamente difficile, a causa della natura stessa di tale bene, che il professionista adotti misure che consentano di rimetterlo in vendita senza per questo nuocere all’una o all’altra di tali esigenze (142).

5.11.5.   Beni inscindibilmente mescolati con altri beni

Articolo 16

f)

la fornitura di beni che, dopo la consegna, risultano, per loro natura, inscindibilmente mescolati con altri beni;

Il considerando 49 della direttiva sui diritti dei consumatori menziona la fornitura di «combustibile» come esempio di un bene per propria natura inseparabile da altri beni dopo la consegna.

5.11.6.   Contratti con una data o un periodo di esecuzione specifici

Articolo 16

l)

la fornitura di alloggi per fini non residenziali, il trasporto di beni, i servizi di noleggio di autovetture, i servizi di catering o i servizi riguardanti le attività del tempo libero qualora il contratto preveda una data o un periodo di esecuzione specifici;

Affinché tale eccezione possa applicarsi, il contratto deve indicare «una data o un periodo di esecuzione specifici». Anche in questo caso, poiché si tratta di un’eccezione, la disposizione deve essere interpretata restrittivamente (143) e applicata tenendo presenti le motivazioni del considerando 49: «La concessione di un diritto di recesso al consumatore potrebbe essere inappropriata anche nel caso di taluni servizi per i quali la conclusione del contratto implica l’accantonamento di disponibilità che il professionista potrebbe avere difficoltà a recuperare, se fosse esercitato il diritto di recesso. Sarebbe il caso, ad esempio, delle prenotazioni alberghiere o relative a case di vacanza, o a eventi culturali o sportivi». Pertanto la limitazione del diritto di recesso ai sensi dell’articolo 16, primo comma, lettera l), non dovrebbe applicarsi ai contratti per attività del tempo libero che non implicano una limitazione delle disponibilità.

Il considerando 49 fornisce i seguenti esempi di casi in cui si applicherebbe l’eccezione di cui all’articolo 16, primo comma, lettera l):

prenotazioni alberghiere o relative a case di vacanza;

eventi culturali o sportivi, nonché spettacoli teatrali in una data specifica;

ristorazione a una festa di compleanno o di matrimonio in una data specifica.

Analogamente, l’espressione «trasporto di beni» dovrebbe essere interpretata estensivamente. Nella causa C-336/03 easyCar concernente la direttiva 97/7/CE sui contratti a distanza, la CGUE ha stabilito che la nozione di «trasporto» indica anche il fatto di mettere a disposizione del consumatore un mezzo di trasporto (144). Secondo tale interpretazione, il noleggio di autocarri per il trasporto di beni in una data specifica potrebbe rientrare nell’eccezione di cui all’articolo 16, primo comma, lettera l), per il «trasporto di beni».

Infine l’articolo 16, primo comma, lettera l), pur riguardando i contratti per il trasporto di beni, non dovrebbe applicarsi a servizi di magazzinaggio, anche se forniti in date specifiche.

5.11.7.   Riparazioni richieste dal consumatore

Articolo 16

h)

i contratti in cui il consumatore ha specificamente richiesto una visita da parte del professionista ai fini dell’effettuazione di lavori urgenti di riparazione o manutenzione. Se, in occasione di tale visita, il professionista fornisce servizi oltre a quelli specificamente richiesti dal consumatore o beni diversi dai pezzi di ricambio necessari per effettuare la manutenzione o le riparazioni, occorre applicare il diritto di recesso a tali servizi o beni supplementari;

L’eccezione al diritto di recesso di cui all’articolo 16, primo comma, lettera h), della direttiva sui diritti dei consumatori riguarda i lavori urgenti di riparazione e manutenzione.

Per tutte le altre riparazioni non «urgenti», i consumatori dispongono del diritto di recesso e i professionisti sono tenuti a informarli, tra l’altro, in merito a tale diritto. Se i professionisti non hanno fornito ai consumatori le informazioni sul diritto di recesso o le hanno fornite tardivamente, si applicano l’articolo 10 e l’articolo 14, paragrafo 4, lettera a). I consumatori possono esercitare il diritto di recesso entro 14 giorni dalla conclusione del contratto. Tuttavia, a norma dell’articolo 16, primo comma, lettera a), il consumatore perde il diritto di recesso a seguito della piena esecuzione del servizio (di riparazione). Ai fini dell’applicazione di tale limitazione, il professionista deve ottenere: 1) il previo consenso espresso del consumatore e 2) l’accettazione da parte di quest’ultimo della perdita del diritto di recesso dopo la piena esecuzione. Queste due condizioni per iniziare l’esecuzione del servizio prima della scadenza del periodo di recesso sono stabilite all’articolo 7, paragrafo 3, per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali e all’articolo 8, paragrafo 8, per i contratti a distanza.

Articolo 16

Nei contratti di servizio che impongono al consumatore l’obbligo di pagare quando il consumatore abbia specificamente richiesto una visita da parte del professionista ai fini dell’effettuazione di lavori di riparazione, gli Stati membri possono stabilire che il consumatore perda il diritto di recesso dopo che il servizio è stato interamente prestato, purché l’esecuzione abbia avuto inizio con il previo consenso espresso del consumatore.

Questa scelta normativa di cui all’articolo 16, terzo comma, introdotta dalla direttiva (UE) 2019/2161 (145) offre agli Stati membri la possibilità di derogare alle condizioni per la perdita del diritto di recesso di cui all’articolo 16, primo comma, lettera a), stabilendo che, per le riparazioni di cui all’articolo 16, terzo comma, è sufficiente che il professionista ottenga il previo consenso espresso del consumatore per iniziare l’esecuzione. Di conseguenza, in questo caso, il professionista non è tenuto ad acquisire anche l’accettazione da parte del consumatore della perdita del diritto di recesso ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, o dell’articolo 8, paragrafo 8.

5.12.    Scelte normative nel caso di visite non richieste o di escursioni

5.12.1.   Introduzione

La direttiva (UE) 2019/2161 ha modificato sia la direttiva sulle pratiche commerciali sleali che la direttiva sui diritti dei consumatori, consentendo agli Stati membri di adottare disposizioni per tutelare i legittimi interessi dei consumatori rispetto a pratiche commerciali o di vendita aggressive e ingannevoli nel contesto di visite non richieste di un professionista presso l’abitazione di un consumatore, oppure escursioni organizzate da un professionista con lo scopo o con l’effetto di promuovere o vendere prodotti ai consumatori, qualora tali disposizioni siano proporzionate, non discriminatorie e giustificate da motivi di tutela dei consumatori. La logica delle disposizioni è illustrata nei considerando da 54 a 57 della direttiva (UE) 2019/2161, che sottolineano il principio di sussidiarietà e l’obiettivo di facilitare l’attuazione delle norme.

La direttiva sulle pratiche commerciali sleali contiene una disposizione generale che consente agli Stati membri di adottare disposizioni nazionali proporzionate, non discriminatorie e giustificate per proteggere i consumatori da visite non richieste e/o escursioni aggressive o ingannevoli organizzate da un professionista (per ulteriori dettagli cfr. sezione 1.1 degli orientamenti relativi alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali).

Oltre alla disposizione generale di tale direttiva, la direttiva modificata sui diritti dei consumatori consente agli Stati membri di adottare disposizioni nazionali che prevedano norme più favorevoli in materia di diritto di recesso. A tal fine, nel contesto dell’articolo 9, paragrafo 1 bis, dell’articolo 10, paragrafo 2, dell’articolo 14, paragrafo 4, e dell’articolo 16 della direttiva sui diritti dei consumatori, gli Stati membri possono prevedere un periodo di recesso più lungo di 30 giorni (anziché 14) o derogare a diverse delle eccezioni esistenti al diritto di recesso nel caso di visite non richieste o di escursioni.

L’articolo 29, paragrafo 1, della direttiva sui diritti dei consumatori impone agli Stati membri di notificare alla Commissione, entro il 28 novembre 2021, le norme nazionali che derogano al diritto di recesso, così come qualsiasi successiva modifica, ossia mediante una specifica notifica che spieghi le precise disposizioni nazionali in questione e non soltanto nell’ambito della notifica generale delle misure di recepimento.

5.12.2.   Proroga del periodo di recesso

L’articolo 9, paragrafo 1 bis, prevede che gli Stati membri possano prolungare il periodo di recesso da 14 giorni a 30 giorni per i contratti conclusi nel contesto di visite non richieste di un professionista presso l’abitazione di un consumatore o di escursioni organizzate da un professionista con lo scopo o con l’effetto di promuovere o vendere prodotti ai consumatori.

Articolo 9

1 bis.   Gli Stati membri possono adottare norme in base alle quali il periodo di recesso di quattordici giorni di cui al paragrafo 1 è prolungato a trenta giorni, per i contratti conclusi nel contesto di visite non richieste di un professionista presso l’abitazione di un consumatore oppure di escursioni organizzate da un professionista con lo scopo o con l’effetto di promuovere o vendere prodotti ai consumatori, al fine di tutelare i legittimi interessi dei consumatori rispetto a pratiche commerciali o di vendita aggressive o ingannevoli. Tali norme devono essere proporzionate, non discriminatorie e giustificate da motivi di tutela dei consumatori.

Anche l’articolo 6, paragrafo 4, l’articolo 9, paragrafo 2, l’articolo 10, paragrafo 2, e l’articolo 14, paragrafo 4, che fanno riferimento al diritto di recesso, sono stati modificati dalla direttiva (UE) 2019/2161 per tener conto del possibile prolungamento di tale periodo a 30 giorni.

Articolo 6, paragrafo 4

4.   Le informazioni di cui al paragrafo 1, lettere h), i) e j), possono essere fornite mediante le istruzioni tipo sul recesso di cui all’allegato I, parte A. Il professionista ha adempiuto agli obblighi di informazione di cui al paragrafo 1, lettere h), i) e j), del presente articolo se ha presentato dette istruzioni al consumatore, debitamente compilate. I riferimenti al periodo di recesso di quattordici giorni nelle istruzioni tipo sul recesso di cui all’allegato I, parte A, sono sostituiti da riferimenti a un periodo di recesso di trenta giorni nei casi in cui gli Stati membri abbiano adottato le norme previste all’articolo 9, paragrafo 1 bis.

Articolo 9, paragrafo 2

2.   Fatto salvo l’articolo 10, il periodo di recesso di cui al paragrafo 1 del presente articolo scade dopo quattordici giorni o, nel caso in cui gli Stati membri abbiano adottato le norme previste al paragrafo 1 bis del presente articolo, trenta giorni a decorrere da:

Articolo 10, paragrafo 2

2.   Se il professionista fornisce al consumatore le informazioni di cui al paragrafo 1 del presente articolo entro dodici mesi dalla data di cui all’articolo 9, paragrafo 2, il periodo di recesso scade quattordici giorni o, nel caso in cui gli Stati membri abbiano adottato le norme previste all’articolo 9, paragrafo 1 bis, 30 giorni dopo il giorno in cui il consumatore riceve le informazioni.

Articolo 14, paragrafo 4

4.   Il consumatore non sostiene alcun costo per:

b)

la fornitura, in tutto o in parte, del contenuto digitale che non è fornito su un supporto materiale quando:

i)

il consumatore non ha dato il suo previo consenso espresso circa l’inizio della prestazione prima della fine del periodo di quattordici o 30 giorni di cui all’articolo 9

5.12.3.   Deroghe alle eccezioni al diritto di recesso

Articolo 16

Gli Stati membri possono derogare alle eccezioni al diritto di recesso di cui al primo comma, lettere a), b), c) ed e), per i contratti conclusi nel contesto di visite non richieste di un professionista presso l’abitazione di un consumatore oppure di escursioni organizzate da un professionista con lo scopo o con l’effetto di promuovere o vendere prodotti ai consumatori, al fine di tutelare i legittimi interessi dei consumatori rispetto a pratiche commerciali o di vendita aggressive o ingannevoli. Tali disposizioni devono essere proporzionate, non discriminatorie e giustificate da motivi di tutela dei consumatori.

Nel caso di contratti conclusi nel contesto di visite non richieste di un professionista presso l’abitazione di un consumatore o di escursioni organizzate da un professionista con lo scopo o con l’effetto di promuovere o vendere prodotti ai consumatori, gli Stati membri possono derogare alle seguenti eccezioni al diritto di recesso:

i contratti di servizi dopo la piena prestazione del servizio (articolo 16, primo comma, lettera a)];

la fornitura di beni o servizi il cui prezzo è legato a fluttuazioni nel mercato finanziario che il professionista non è in grado di controllare e che possono verificarsi durante il periodo di recesso (articolo 16, primo comma, lettera b)];

la fornitura di beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati (articolo 16, primo comma, lettera c)];

la fornitura di beni sigillati che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici o connessi alla protezione della salute e sono stati aperti dopo la consegna (articolo 16, primo comma, lettera e)].

La deroga non implica necessariamente la totale mancata applicazione dell’eccezione al diritto di recesso. Può anche consistere in una modifica dell’eccezione esistente per renderla più favorevole al consumatore, garantendo nel contempo che sia proporzionata (anche rispetto ai legittimi interessi dei professionisti), non discriminatoria e giustificata da motivi di tutela dei consumatori.

6.   Consegna

Articolo 18

1.   Salvo che le parti abbiano concordato altrimenti in merito al termine di consegna, il professionista consegna i beni mediante il trasferimento del possesso o del controllo fisico dei beni al consumatore senza indebito ritardo e comunque non oltre trenta giorni dalla conclusione del contratto.

2.   Se il professionista non adempie all’obbligo di consegna dei beni al termine concordato con il consumatore o entro il termine di cui al paragrafo 1, il consumatore lo invita ad effettuare la consegna entro un termine supplementare appropriato alle circostanze. Se il professionista non consegna i beni entro detto termine supplementare, il consumatore ha diritto di risolvere il contratto.

Il primo comma non si applica ai contratti di vendita qualora il professionista abbia rifiutato di consegnare i beni o qualora la consegna entro il periodo di consegna convenuto sia essenziale, tenuto conto di tutte le circostanze che accompagnano la conclusione del contratto, o qualora il consumatore informi il professionista, prima della conclusione del contratto, che la consegna entro o ad una data determinata è essenziale. In tali casi, se il professionista omette di consegnare i beni al momento concordato con il consumatore o entro il termine di cui al paragrafo 1, il consumatore ha diritto alla risoluzione del contratto ipso iure.

3.   A seguito della risoluzione del contratto, il professionista rimborsa senza indebito ritardo tutti gli importi versati in esecuzione del contratto.

4.   Oltre alla risoluzione del contratto in conformità del paragrafo 2, il consumatore può avvalersi di altri rimedi previsti dalla legislazione nazionale.

L’articolo 18 si applica solo ai contratti di vendita, come stabilisce espressamente l’articolo 17, paragrafo 1. Le disposizioni di cui all’articolo 18 sul termine di consegna sono collegate all’obbligo, previsto all’articolo 5, paragrafo 1, lettera d), e all’articolo 6, paragrafo 1, lettera g), di indicare la data di consegna dei beni.

Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera g), concernente i contratti a distanza e i contratti negoziati fuori dei locali commerciali, il professionista deve informare il consumatore della «data entro la quale il professionista si impegna a consegnare i beni». Per i contratti negoziati nei locali commerciali, di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettera d), tali informazioni devono essere fornite «se applicabili».

Di conseguenza, nei contratti negoziati nei locali commerciali, le informazioni non devono essere fornite se i beni vengono consegnati o il servizio viene prestato immediatamente. Anche per i contratti di vendita negoziati nei locali commerciali, queste informazioni non devono essere fornite qualora il venditore preveda di consegnare i beni entro il termine di 30 giorni stabilito all’articolo 18, paragrafo 1 (cfr. anche sezione 3 sugli obblighi di informazione precontrattuale).

È importante notare che la direttiva non contempla norme specifiche per i contratti di servizi qualora il professionista ometta di indicare il termine per la prestazione dei servizi. Le conseguenze di una tale omissione possono essere regolate dal diritto nazionale.

Ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 2, qualora il professionista non effettui la consegna entro tale termine o entro il termine dichiarato al consumatore, il consumatore deve concordare con il professionista una proroga dei termini di consegna. Se il professionista non effettua la consegna entro la scadenza della proroga, il consumatore ha diritto di risolvere il contratto.

Tuttavia, se il periodo di consegna dichiarato oppure il periodo di 30 giorni prestabilito è essenziale (per esempio la consegna di un abito nuziale citata al considerando 52) e il professionista non consegna i beni in tempo, il consumatore avrà il diritto di risolvere il contratto immediatamente, alla scadenza del termine inizialmente concordato.

La legislazione nazionale può regolare le modalità con cui il consumatore notifica al professionista la propria volontà di risolvere il contratto (cfr. considerando 52).

L’articolo 18, paragrafo 4, prevede che la legislazione nazionale possa fornire al consumatore altri rimedi. Il considerando 53 ne dà alcuni esempi: «Oltre al diritto del consumatore di risolvere il contratto qualora il professionista non abbia adempiuto ai suoi obblighi di consegnare il bene conformemente alla presente direttiva, il consumatore, in conformità della legislazione nazionale applicabile, può fare ricorso ad altri rimedi, come concedere al professionista un periodo di tempo supplementare per la consegna, esigere l’esecuzione del contratto, sospendere il pagamento e chiedere il risarcimento dei danni».

L’articolo 18, paragrafo 3, prevede che, a seguito della risoluzione del contratto, il professionista rimborsa senza indebito ritardo tutti gli importi versati. La direttiva non indica un termine per il rimborso. Nel caso di controversia tra il consumatore e il professionista in merito ai tempi del rimborso, tribunali e organismi nazionali competenti dovranno effettuare una valutazione caso per caso. In linea di principio, alcuni giorni lavorativi dovrebbero essere sufficienti al professionista per effettuare il rimborso.

7.   Il passaggio del rischio

Articolo 20

Nei contratti in cui il professionista spedisce i beni al consumatore, il rischio di perdita o danneggiamento dei beni è trasferito al consumatore quando quest’ultimo, o un terzo da lui designato e diverso dal vettore, acquisisce il possesso fisico dei beni. Tuttavia, il rischio è trasferito al consumatore al momento della consegna al vettore, se il consumatore ha incaricato il vettore del trasporto dei beni e il vettore scelto non è stato proposto dal professionista, fatti salvi i diritti del consumatore nei confronti del vettore.

A norma dell’articolo 20, il rischio è trasferito al consumatore al momento della consegna al vettore, se il vettore è stato scelto dal consumatore e non proposto dal professionista.

La consegna periodica di beni ordinati online, per ordine postale ecc., spesso avviene senza che il consumatore ispezioni immediatamente i beni consegnati. La direttiva prevede che il rischio si trasferisce al consumatore al momento in cui acquisisce il possesso fisico dei beni, indipendentemente se questi siano stati ispezionati per accertare eventuali difetti. Tuttavia la direttiva (UE) 2019/771 sulla vendita di beni prevede l’obbligo di consegna esente da difetti. L’articolo 11 di tale direttiva stabilisce le norme in materia di onere della prova in caso di difetto di conformità.

8.   Tariffe per l’utilizzo di mezzi di pagamento

Articolo 19

Gli Stati membri vietano ai professionisti di imporre ai consumatori, in relazione all’uso di determinati strumenti di pagamento, tariffe che superino quelle sostenute dal professionista per l’uso di detti strumenti.

8.1.    Introduzione

L’articolo 19 riguarda l’utilizzo dei «mezzi di pagamento». Poiché queste espressioni non sono definite in alcun modo, l’articolo 19 deve applicarsi a qualsiasi mezzo di pagamento, compreso il contante.

Occorre rilevare che i «servizi di pagamento» in quanto tali rientrano nella categoria dei «servizi finanziari» esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva sui diritti dei consumatori ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, lettera d). Di conseguenza i prestatori di servizi di pagamento non sono soggetti agli obblighi imposti dalla direttiva. L’obbligo di cui all’articolo 19 non è rivolto ai prestatori di servizi di pagamento, ma ad altri professionisti che stipulano contratti con i consumatori che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva sui diritti dei consumatori. La disposizione vieta a tali professionisti di addebitare ai consumatori, in relazione all’uso di determinati mezzi di pagamento, tariffe che superino il costo normalmente sostenuto per l’uso di detti mezzi.

L’ambito di applicazione dell’articolo 19 è stato notevolmente ridotto dalla direttiva riveduta sui servizi di pagamento («la seconda direttiva sui servizi di pagamento»), applicabile a decorrere dal 13 gennaio 2018. L’articolo 62, paragrafo 4, di tale direttiva vieta specificamente le maggiorazioni per:

strumenti di pagamento le cui commissioni interbancarie (146) sono oggetto del regolamento (UE) 2015/751 del Parlamento europeo e del Consiglio (147) relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta («il regolamento sulle commissioni interbancarie»); tale divieto riguarda i pagamenti con carte di debito e di credito a uso dei consumatori utilizzate in oltre il 95 % delle transazioni sul mercato delle carte dell’UE;

servizi di pagamento cui si applica il regolamento (UE) n. 260/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio (SEPA) (148), ossia bonifici e addebiti diretti in euro;

Di conseguenza l’articolo 19 della direttiva sui diritti dei consumatori rimane pertinente solo per le carte prive di massimali, vale a dire le carte aziendali e le carte emesse dai cosiddetti circuiti a tre parti, dove le carte sono emesse dal circuito stesso che si qualifica contemporaneamente come banca, e per i pagamenti in contanti.

Occorre tuttavia rilevare che l’articolo 62, paragrafo 5, della seconda direttiva sui servizi di pagamento offre agli Stati membri la possibilità di vietare o limitare le maggiorazioni per gli specifici strumenti di pagamento che non rientrano nell’ambito di applicazione del regolamento sulle commissioni interbancarie, come le carte aziendali e le carte emesse dai circuiti a tre parti.

8.2.    Definizione di «tariffe»

L’articolo 19 si applica a tutti i tipi di tariffe collegate a un mezzo di pagamento, a prescindere dal modo in cui vengono proposte ai consumatori:

per esempio le tariffe definite tariffe amministrative, di prenotazione o di handling rientrano nell’articolo 19 se possono essere evitate con l’uso di un mezzo di pagamento specifico.

Gli sconti concessi ai consumatori per l’uso di un determinato mezzo di pagamento, solitamente addebito diretto, non si possono considerare automaticamente una «tariffa» imposta per l’utilizzo di altri mezzi di pagamento disponibili, ai sensi dell’articolo 19. Lo «sconto» riflette infatti l’interesse legittimo del professionista a incoraggiare l’uso di un determinato mezzo di pagamento a lui più commercialmente congeniale (149).

Non si può tuttavia escludere che configuri una maggiorazione, ai sensi dell’articolo 19, l’applicazione di sconti identici o differenti a vari mezzi di pagamento, escludendo per esempio solo uno o due metodi di pagamento dal regime di sconti. In tal caso la compatibilità di ciascun regime di sconti con l’articolo 19 deve essere valutata caso per caso.

L’articolo 19 disciplina le «tariffe» imposte per l’utilizzo di un determinato mezzo di pagamento. Esso non impedisce ai professionisti di praticare prezzi diversi per gli stessi beni o servizi venduti tramite canali di vendita differenti:

per esempio il biglietto di un concerto emesso direttamente al teatro può avere un prezzo maggiore rispetto al biglietto venduto in altri punti vendita.

8.3.    Definizione del «costo» sostenuto dal professionista

8.3.1.   Le commissioni per i servizi agli esercenti e altri costi diretti

La direttiva non definisce né spiega in dettaglio il concetto di costo sostenuto dal professionista di cui all’articolo 19.

Per quasi tutti i professionisti, la commissione per i servizi agli esercenti («MSC») è il principale elemento del costo per l’accettazione di pagamenti tramite carta. L’MSC generalmente comprende:

(1)

la commissione interbancaria pagata dalla banca del professionista (banca acquirente) all’emittente della carta (150);

(2)

le commissioni pagate dalla banca del professionista al circuito (per esempio Visa o MasterCard); e

(3)

il margine trattenuto dalla banca del professionista per coprire i costi e ottenere un profitto.

Per le transazioni con carta di credito, l’MSC corrisponde di solito a una percentuale del valore della transazione, mentre le transazioni con carta di debito sono spesso, ma non sempre, soggette a un tasso forfettario. L’MSC può variare sensibilmente in funzione del fatturato, del settore commerciale e di altre caratteristiche del professionista.

Inoltre il professionista è esposto a costi generali o di transazione che versa alla banca acquirente oppure a un intermediario del servizio di pagamento.

Gli intermediari dei servizi di pagamento aiutano alcuni dettaglianti ad accettare pagamenti sicuri e possono fatturare la fornitura di funzionalità di pagamento, servizi di individuazione delle frodi e servizi gestionali e/o servizi normalmente forniti dalle banche acquirenti (151).

8.3.2.   Costi generali di gestione di un’attività

I professionisti di solito sostengono altri costi gestionali, che possono essere indirettamente collegati all’accettazione o al trattamento dei pagamenti in funzione del mezzo utilizzato. Si tratta essenzialmente di costi amministrativi, spese per l’installazione e la configurazione delle attrezzature e costi per la gestione di rischi e frodi.

8.3.3.   Costi che giustificano l’applicazione di una tariffa per l’uso di un mezzo di pagamento

Solo i costi addebitati direttamente al professionista per l’utilizzo di un mezzo di pagamento possono considerarsi il «costo» di quel mezzo di pagamento ai sensi dell’articolo 19.

I costi a carico del professionista che possono legittimamente giustificare l’addebito di tariffe ai consumatori sono l’MSC e i costi generali o di transazione pagati a intermediari per alcuni o tutti i servizi agli esercenti offerti di solito dalle banche acquirenti. In questi casi l’intermediario, che tratta con la banca acquirente e agisce da punto di contatto per gli esercenti, applica per i servizi forniti una maggiorazione sulle tariffe della banca acquirente.

Spetta al professionista decidere se subappaltare, per esempio, la fornitura dei seguenti beni/servizi:

acquisizione e manutenzione delle apparecchiature presso il punto di vendita, come i dispositivi chip e pin;

monitoraggio delle frodi e conformità alle norme di sicurezza in vigore nel settore delle carte di pagamento (PCI DSS) per evitare le frodi, come richiesto da tutti i maggiori circuiti di carte;

sviluppo e gestione delle infrastrutture per trattare i pagamenti con carta, come la funzionalità di pagamento per i siti web o i call centre; e

formazione del personale.

I costi delle attrezzature di pagamento, dei servizi antifrode e dei servizi gestionali (o servizi analoghi) dovrebbero essere considerati costi generali di gestione di un’attività, a prescindere dal fatto che siano sostenuti direttamente dal professionista oppure esternalizzati. I servizi esternalizzati sono in genere fatturati separatamente rispetto ai «costi generali» o all’MSC.

Il trattamento dei pagamenti e la gestione del contante comportano costi di personale difficili da quantificare, poiché spesso inclusi nei costi amministrativi generali. I costi per la gestione di rischi e frodi variano sensibilmente a seconda dei settori e dei professionisti ma in genere si ritiene che vadano riducendosi grazie alle nuove tecnologie di pagamento elettronico. Anche questi costi, essendo inerenti alla rispettiva attività commerciale (anche se sostenuti per garantire il rispetto della normativa), non dovrebbero rientrare nel concetto di costo «in relazione all’uso di determinati strumenti di pagamento» ai sensi dell’articolo 19 e dovrebbero essere piuttosto considerati costi generali di gestione di un’attività.

Quest’argomentazione vale soprattutto per le attività che vendono beni o forniscono servizi esclusivamente online e accettano unicamente mezzi di pagamento elettronici. In questi casi i costi di personale per il trattamento dei pagamenti elettronici e i costi per la gestione di rischi e frodi sono componenti essenziali del tipo di attività.

Inoltre, da un punto di vista meramente pratico, ricomprendere nel concetto di «costo» tutti gli elementi anche indirettamente associabili a un mezzo di pagamento renderebbe difficile applicare l’articolo 19, privandolo di qualsiasi effetto pratico («effet utile»). Questo è tanto più vero se si considera che, per esempio, sono disponibili scarse informazioni sui costi amministrativi e che il costo preciso delle apparecchiature e/o dell’installazione può essere calcolato solo distribuendo l’importo su un numero ignoto di transazioni. Pertanto i professionisti dovrebbero recuperare tali costi attraverso il prezzo dei loro beni o servizi anziché addebitando ai consumatori spese aggiuntive per l’uso di un mezzo di pagamento.

8.4.    Pagamenti contanti in valuta estera

Anche i pagamenti contanti in valuta estera sono un «mezzo di pagamento» ai sensi dell’articolo 19. La conversione valutaria non dovrebbe essere quindi utilizzata per imporre ai consumatori maggiorazioni ingiustificate rispetto ai costi realmente sostenuti dal professionista che offre la possibilità di pagare contanti in valuta estera (in particolare i costi per il cambio dei contanti ricevuti in valuta estera):

per esempio se un professionista che gestisce un ristorante in una zona isolata accetta da un turista, in via eccezionale, un pagamento contanti in valuta estera, il tasso di cambio applicato può essere leggermente superiore a quello effettivo, per coprire il costo straordinario sostenuto per recarsi alla banca più vicina più eventuali commissioni bancarie di cambio valuta;

tuttavia l’applicazione di un tasso di cambio eccessivo nello scenario di cui sopra violerebbe l’articolo 19, in quanto le entrate derivanti da tale operazione sarebbero sostanzialmente superiori ai costi straordinari;

se invece un professionista accetta di solito il pagamento contanti in valuta estera come normale prassi commerciale, andranno considerati costi ammissibili solo le commissioni di cambio. Sarà questo il caso, per esempio, di un ristorante situato in una località turistica che serve frequentemente turisti che pagano contanti in valuta estera.

9.   Comunicazione telefonica

Articolo 21

Gli Stati membri garantiscono che, qualora il professionista utilizzi una linea telefonica allo scopo di essere contattato dal consumatore per telefono in merito al contratto concluso, il consumatore non sia tenuto a pagare più della tariffa di base quando contatta il professionista.

Il primo comma lascia impregiudicato il diritto degli operatori di servizi di telecomunicazione di applicare una tariffa per dette telefonate.

Scopo della disposizione è evitare che il consumatore che ha necessità di chiamare il professionista con il quale ha concluso un contratto, per esempio in caso di reclamo, incorra in spese aggiuntive. Per queste telefonate il consumatore non deve pagare più della «tariffa di base». La direttiva (UE) 2019/2161 ha modificato l’articolo 3, paragrafo 3, lettera k), della direttiva sui diritti dei consumatori estendendo l’ambito di applicazione dell’articolo 21 per includervi anche i servizi di trasporto passeggeri.

Benché la direttiva sui diritti dei consumatori non contenga una definizione esplicita di tariffa di base, la sua logica esige che i professionisti si assicurino che le telefonate di cui all’articolo 21 siano fatturate ai consumatori non oltre il mero costo del servizio di comunicazione elettronica. Ciò è stato confermato nella causa C-568/15, in cui la Corte ha rilevato che la «tariffa di base» corrisponde al costo standard di una chiamata abituale che il consumatore può attendersi, e che è superfluo che il professionista informi il consumatore dell’applicazione di detta tariffa (152). In altre parole, le tariffe delle chiamate non devono eccedere il costo di una chiamata verso un numero fisso (geografico) o verso un numero di cellulare standard.

Tra questi figurano anche i numeri non geografici che gli operatori di servizi di comunicazioni elettroniche offrono di solito nei forfait di minuti a un prezzo fisso mensile e i numeri con tariffe non superiori a quelle delle chiamate verso i numeri fissi.

Per contro, è probabile che gli archi di numerazione che sono abitualmente soggetti a un regime tariffario speciale non soddisfino il requisito della «tariffa di base». Di norma i numeri per servizi a tariffa maggiorata (PRS) consentono ai loro utenti (professionisti) di finanziare o coprire in parte i costi dei call centre o di trarre ulteriore profitto dalle chiamate condividendo le entrate con gli operatori delle telecomunicazioni. In pratica, è molto improbabile che le chiamate ai numeri telefonici PRS siano fatturate alla «tariffa di base». Allo stesso tempo, nella causa C-568/15, la Corte ha anche chiarito che, purché sia rispettata la regola della «tariffa di base», la circostanza che il professionista realizzi profitti mediante tali chiamate è priva di pertinenza (153).

Sebbene l’articolo 21 limiti il costo delle chiamate, Il prezzo effettivo di una chiamata al professionista ai fini di cui all’articolo 21 continuerà a variare in funzione dell’operatore dei servizi di comunicazione elettronica scelto per la telefonata.

Ai fini della direttiva sui diritti dei consumatori, il concetto di «tariffa di base» non deve essere interpretato come un obbligo per i professionisti né di utilizzare i cosiddetti numeri verdi, solitamente gratuiti, né di scegliere un particolare operatore telefonico o di passare dalla telefonia mobile a quella fissa o viceversa.

L’articolo 21 lascia impregiudicate le differenze tariffarie esistenti tra telefonate nazionali e internazionali e roaming mobile, applicate dagli operatori dei servizi di comunicazione elettronica. In tal senso un consumatore che chiama un venditore in un altro Stato membro è soggetto a tariffe di telefonia maggiori rispetto ai clienti residenti nello stesso Stato membro.

La sentenza della Corte nella causa C-332/17 Starman (154) trattava la situazione in cui il professionista mette a disposizione dei suoi consumatori, ai fini di cui all’articolo 21, sia un numero soggetto alla tariffa di base sia un numero a selezione rapida soggetto a una tariffa superiore alla tariffa di base per le chiamate da telefono cellulare. La Corte ha ritenuto che, anche in una simile situazione, l’articolo 21 esclude che un professionista possa imporre a un consumatore una tariffa superiore a quella di base. Ciò vale indipendentemente dal fatto che il professionista abbia informato il consumatore in modo comprensibile e facilmente accessibile dell’esistenza di un numero telefonico alternativo soggetto alla tariffa di base e che il consumatore abbia tuttavia scelto volontariamente di utilizzare un altro numero ai fini dell’articolo 21:

«L’articolo 21, primo comma, della direttiva 2011/83 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che, se un professionista ha messo a disposizione di tutti i suoi clienti uno o più numeri a selezione rapida soggetti a una tariffa superiore alla tariffa di base, i consumatori che hanno già concluso un contratto con tale professionista paghino più della tariffa di base quando contattano per telefono il professionista stesso in merito al suddetto contratto» (155).

Pertanto, anche se il consumatore ha utilizzato (erroneamente) il numero di telefono alternativo più costoso invece del numero soggetto alla «tariffa di base», tale consumatore ha comunque il diritto di pagare solo la «tariffa di base» per la chiamata in questione. In tal caso, al fine di garantire l’esercizio del diritto di cui all’articolo 21, il consumatore deve avere accesso, a norma del diritto nazionale dello Stato membro interessato, a rimedi adeguati, vale a dire la possibilità di chiedere la compensazione del prezzo pagato al di sopra della tariffa di base.

La sentenza della Corte non vieta di per sé ai professionisti di utilizzare tipi diversi di numeri per scopi diversi da quelli di cui all’articolo 21, per esempio per effettuare prenotazioni. Tuttavia, nel fare ciò, tali professionisti dovrebbero prestare particolare attenzione a garantire che i consumatori utilizzino il numero corretto, vale a dire il numero soggetto alla tariffa di base quando effettuano chiamate ai fini di cui all’articolo 21.

10.   Pagamenti supplementari

Articolo 22

Prima che il consumatore sia vincolato dal contratto o dall’offerta, il professionista chiede il consenso espresso del consumatore per qualsiasi pagamento supplementare oltre alla remunerazione concordata per l’obbligo contrattuale principale del professionista. Se il professionista non ottiene il consenso espresso del consumatore ma l’ha dedotto utilizzando opzioni prestabilite che il consumatore deve rifiutare per evitare il pagamento supplementare, il consumatore ha diritto al rimborso di tale pagamento.

Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, lettera k), il divieto di cui all’articolo 22 sull’utilizzo di caselle precontrassegnate per fornire e addebitare beni/servizi supplementari si applica anche ai servizi di trasporto passeggeri. Il divieto si applica inoltre a prescindere se il servizio supplementare sia generalmente soggetto alla direttiva. Sono un esempio di caselle precontrassegnate proibite dall’articolo 22:

l’opzione della consegna rapida o un contratto di manutenzione all’acquisto di apparecchiature informatiche;

un contratto di assicurazione all’acquisto di un biglietto aereo.

11.   Applicazione

11.1.    Applicazione a livello pubblico e privato

Ai sensi dell’articolo 23, gli Stati membri devono garantire che esistano mezzi adeguati ed efficaci per assicurare il rispetto delle disposizioni della direttiva.

Articolo 23

1.   Gli Stati membri garantiscono che esistano mezzi adeguati ed efficaci per assicurare il rispetto delle disposizioni della presente direttiva.

2.   I mezzi di cui al paragrafo 1 comprendono disposizioni che, secondo il diritto nazionale, permettano a uno o più dei seguenti organismi di adire i tribunali o gli organi amministrativi competenti per fare applicare le disposizioni nazionali di recepimento della presente direttiva:

a)

enti pubblici o loro rappresentanti;

b)

organizzazioni di consumatori aventi un legittimo interesse a proteggere i consumatori;

c)

associazioni di categoria aventi un interesse legittimo.

Diverse disposizioni della direttiva sui diritti dei consumatori prevedono rimedi diretti nel caso in cui il professionista non adempia i rispettivi obblighi. In particolare, l’articolo 6, paragrafo 6, l’articolo 10, l’articolo 18, paragrafo 2, e l’articolo 22 della direttiva prevedono rimedi specifici per i consumatori, mentre l’articolo 21 vieta al professionista di chiedere al consumatore di pagare più della «tariffa di base» per le richieste telefoniche successive alla conclusione del contratto e l’articolo 27 esonera il consumatore dall’obbligo di fornire qualsiasi prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta. Come specificato nel considerando 14 della direttiva sui diritti dei consumatori, essa non pregiudica la legislazione nazionale afferente al diritto contrattuale per gli aspetti di diritto contrattuale che non sono disciplinati dalla direttiva, compreso il diritto nazionale con riferimento ai rimedi generali previsti dal diritto contrattuale. Di conseguenza gli Stati membri possono prevedere nella legislazione nazionale ulteriori rimedi contrattuali.

I consumatori possono avvalersi di tali rimedi mediante azioni individuali. Inoltre la direttiva (UE) 2020/1828 del Parlamento europeo e del Consiglio (156) relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori ha introdotto in tutti gli Stati membri la possibilità di applicare anche la direttiva sui diritti dei consumatori attraverso azioni rappresentative. Tali azioni possono essere proposte da enti legittimati per chiedere provvedimenti inibitori e provvedimenti risarcitori per conto dei consumatori lesi da una violazione (157).

11.2.    Applicazione ai professionisti di paesi terzi

L’applicazione della direttiva sui diritti dei consumatori ai professionisti di paesi terzi è soggetta al regolamento (CE) n. 864/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio (158) sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (Roma II) e al regolamento (CE) n. 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I). I regolamenti Roma I e Roma II sono entrambi applicabili nelle controversie civili o commerciali. La direttiva sui diritti dei consumatori prevede sia obbligazioni extracontrattuali (in particolare obblighi di informazione precontrattuale, divieto di caselle «precontrassegnate» ecc.) sia obbligazioni contrattuali (in particolare il diritto di recesso, le norme sulla consegna dei beni e la conferma del contratto).

Per le obbligazioni extracontrattuali, in particolare gli obblighi di informazione precontrattuale previsti dalla direttiva, la legge applicabile ai sensi del regolamento Roma II sarebbe la legge che sarebbe stata applicabile al contratto se lo stesso fosse stato concluso (159). Per determinare la legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali si utilizza pertanto lo stesso insieme di criteri utilizzati per le obbligazioni contrattuali in materia civile e commerciale ai sensi del regolamento Roma I. Ciò significa che la legge applicabile alle obbligazioni contrattuali ed extracontrattuali sarebbe identica, salvo diverso accordo tra le parti del contratto. Gli accordi sulla scelta della legge sono tuttavia soggetti alle limitazioni stabilite nei regolamenti Roma I e Roma II.

Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), del regolamento Roma I, quando un consumatore conclude un contratto con un professionista di un altro paese che, con qualsiasi mezzo, dirige le proprie attività commerciali verso il paese di residenza del consumatore, il contratto è generalmente disciplinato dalla legge del paese nel quale il consumatore ha la residenza abituale. Il concetto di «dirigere» le proprie attività commerciali o professionali verso il paese del consumatore è ulteriormente spiegato nella sezione 3.1.8 dei presenti orientamenti.

Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, del regolamento Roma I, se le parti contraenti scelgono di applicare una legge diversa, la scelta non può privare il consumatore della protezione assicurata dalle disposizioni giuridiche del paese di residenza abituale del consumatore, cui le parti non possono derogare nel loro contratto.

I diritti e gli obblighi previsti dalla direttiva sui diritti dei consumatori costituiscono «disposizioni imperative» in quanto l’articolo 25 stabilisce che i consumatori non possono rinunciare ai diritti conferiti loro dalle misure nazionali di recepimento della presente direttiva. Di conseguenza, ogni volta che un professionista di un paese terzo si rivolge ai consumatori di uno o più Stati membri dell’UE, il professionista deve rispettare gli obblighi della direttiva sui diritti dei consumatori, in particolare gli obblighi di informazione precontrattuale e il diritto di recedere da un contratto.

11.3.    Sanzioni

L’articolo 24 della direttiva sui diritti dei consumatori disciplina le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle norme nazionali che recepiscono la direttiva. Il paragrafo 1 stabilisce l’obbligo per gli Stati membri di determinare le norme in materia di sanzioni applicabili alle violazioni delle disposizioni nazionali adottate conformemente alla direttiva e lascia gli Stati membri liberi di decidere il tipo di sanzioni disponibili e di determinare le procedure per la loro irrogazione, purché le sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive.

Le disposizioni relative alle sanzioni sono diverse e complementari rispetto alle suddette norme sui rimedi contrattuali individuali per i singoli consumatori interessati.

La direttiva (UE) 2019/2161 ha aggiunto all’articolo 24 requisiti supplementari. In primo luogo tale articolo prevede un elenco non esaustivo e indicativo di criteri per l’applicazione delle sanzioni (paragrafo 2). In secondo luogo stabilisce norme più specifiche (paragrafi 3 e 4) in materia di sanzioni da irrogare in caso di importanti infrazioni transfrontaliere che sono oggetto di azioni di esecuzione coordinate ai sensi del regolamento (UE) 2017/2394 del Parlamento europeo e del Consiglio (160) sulla cooperazione per la tutela dei consumatori («regolamento CPC»).

Il considerando 15 della direttiva (UE) 2019/2161 incoraggia gli Stati membri a «tener conto della tutela dell’interesse generale dei consumatori e di altri interessi pubblici protetti» nella ripartizione delle entrate generate dalle sanzioni pecuniarie.

Il paragrafo 5 impone agli Stati membri di notificare alla Commissione le norme nazionali in materia di sanzioni e di informarla delle eventuali successive modificazioni, ossia mediante una specifica notifica che spieghi le precise disposizioni nazionali in questione e non soltanto nell’ambito della notifica generale delle misure di recepimento.

11.3.1.   Criteri per l’irrogazione di sanzioni

L’articolo 24, paragrafo 2, stabilisce un elenco di sei criteri non esaustivi e indicativi di cui le autorità competenti e gli organi giurisdizionali degli Stati membri dovrebbero tenere conto al momento di irrogare le sanzioni. Tali criteri si applicano a tutte le violazioni «ove appropriati», sia a livello nazionale sia in casi transfrontalieri.

Articolo 24

2.   Gli Stati membri assicurano che, ai fini dell’irrogazione delle sanzioni, si tenga conto dei seguenti criteri, non esaustivi e indicativi, ove appropriati:

a)

natura, gravità, entità e durata della violazione;

b)

eventuali azioni intraprese dal professionista per attenuare il danno subito dai consumatori o per porvi rimedio;

c)

eventuali violazioni commesse in precedenza dal professionista;

d)

i benefici finanziari conseguiti o le perdite evitate dal professionista in conseguenza della violazione, se i relativi dati sono disponibili;

e)

sanzioni inflitte al professionista per la stessa violazione in altri Stati membri in casi transfrontalieri in cui informazioni relative a tali sanzioni sono disponibili attraverso il meccanismo istituito dal regolamento (UE) 2017/2394 del Parlamento europeo e del Consiglio;

f)

eventuali altri fattori aggravanti o attenuanti applicabili alle circostanze del caso.

Il considerando 7 della direttiva (UE) 2019/2161 spiega alcuni dei criteri. Il considerando 8 chiarisce che i criteri «potrebbero non essere rilevanti per tutte le infrazioni, e in particolare ai fini delle decisioni sanzionatorie riguardanti le infrazioni di lieve entità». Precisa altresì che «[g]li Stati membri dovrebbero inoltre tenere conto di altri principi generali del diritto applicabili all’imposizione di sanzioni, come il principio ne bis in idem».

Il carattere intenzionale dell’infrazione è pertinente per l’applicazione dei criteri di cui alle lettere a) e f), ma non è una condizione necessaria per l’irrogazione di sanzioni in caso di infrazione.

Il criterio di cui alla lettera c) riguarda le violazioni, identiche o diverse, commesse in precedenza dal professionista in questione.

Il criterio di cui alla lettera e) riguarda i casi nei quali si è verificata la stessa violazione in più Stati membri. Esso si applica quando informazioni relative alle sanzioni irrogate da altri Stati membri per la stessa violazione sono disponibili attraverso il meccanismo di cooperazione istituito dal regolamento CPC.

A seconda delle circostanze del caso la sanzione o le sanzioni irrogate allo stesso professionista in uno o più altri Stati membri per la stessa violazione potrebbero indicare una maggiore entità e gravità ai sensi della lettera a) e/o l’esistenza di una «violazione commessa in precedenza» ai sensi della lettera c). Pertanto le sanzioni inflitte per la stessa violazione in altri Stati membri potrebbero costituire un fattore aggravante. L’irrogazione di sanzioni in altri Stati membri per la stessa infrazione potrebbe anche essere considerata assieme ad altre circostanze «aggravanti» contemplate dagli altri criteri di cui alla lettera f), che si riferisce genericamente a «eventuali altri» fattori aggravanti o attenuanti. Tuttavia una sanzione inflitta allo stesso professionista da un altro Stato membro per la stessa infrazione può essere pertinente anche per l’applicazione del principio ne bis in idem in conformità del diritto nazionale e dell’articolo 10, paragrafo 2, del regolamento CPC (161).

11.3.2.   Sanzioni nel contesto delle attività di esecuzione coordinate ai sensi del regolamento CPC

L’articolo 24, paragrafi 3 e 4, stabilisce norme più vincolanti (rispetto alla norma generale di cui al paragrafo 1) in materia di sanzioni che devono essere previste dal diritto nazionale per le infrazioni che sono oggetto di azioni coordinate a norma del regolamento CPC.

L’articolo 21 del regolamento CPC impone alle autorità competenti degli Stati membri interessate dall’azione coordinata di adottare misure di esecuzione, compresa l’irrogazione di sanzioni, in modo efficace, efficiente e coordinato nei confronti dell’operatore responsabile dell’infrazione diffusa o dell’infrazione diffusa avente una dimensione unionale. Le «infrazioni diffuse» e le «infrazioni diffuse aventi una dimensione unionale» sono infrazioni transfrontaliere quali definite all’articolo 3, punti 3) e 4), del regolamento CPC (162).

Per questa categoria di infrazioni l’articolo 24, paragrafo 3, stabilisce che gli Stati membri devono prevedere la possibilità di infliggere sanzioni di tipo pecuniario e che l’importo massimo di una sanzione pecuniaria sia almeno pari al 4 % del fatturato annuo del professionista. Pertanto gli Stati membri possono fissare la soglia massima della sanzione pecuniaria anche al di sopra del 4 % del fatturato annuo del professionista. Possono anche scegliere di applicare la sanzione pecuniaria sulla base di un fatturato di riferimento più ampio, ad esempio il fatturato del professionista a livello mondiale. Analogamente possono estendere le sanzioni applicabili nel caso di azioni coordinate a norma del regolamento CPC ad altri tipi di infrazione, ad esempio quelle commesse sul territorio nazionale.

Qualora informazioni sul fatturato annuo del professionista non siano disponibili, ad esempio nel caso di società di recente costituzione, l’articolo 24, paragrafo 4, impone agli Stati membri di prevedere la possibilità di imporre una sanzione pecuniaria il cui importo massimo sia di almeno 2 milioni di EUR. Anche in questo caso gli Stati membri possono fissare la soglia massima della sanzione pecuniaria al di sopra di 2 milioni di EUR.

Tale armonizzazione delle norme nazionali in materia di sanzioni pecuniarie è volta a garantire che le misure di esecuzione siano possibili e coerenti in tutti gli Stati membri che partecipano ad un’azione di esecuzione coordinata ai sensi del regolamento CPC.

L’irrogazione di sanzioni pecuniarie in conformità dell’articolo 24, paragrafi 3 e 4, è soggetta ai criteri comuni di cui all’articolo 24, paragrafo 2, tra cui in particolare «natura, gravità, entità e durata della violazione». La sanzione pecuniaria effettiva inflitta dall’autorità, anche giudiziaria, competente in un caso specifico può essere inferiore all’importo massimo suindicato, a seconda della natura, della gravità e di altre caratteristiche pertinenti dell’infrazione.

Fatti salvi gli obblighi di coordinamento previsti dal regolamento CPC, l’autorità o l’organo giurisdizionale competente può decidere di irrogare sanzioni pecuniarie periodiche (ad esempio ammende giornaliere) finché il professionista non abbia cessato l’infrazione. Tale autorità o organo potrebbe anche decidere di infliggere la sanzione pecuniaria soltanto qualora il professionista non ponga fine all’infrazione entro il termine previsto nonostante il relativo provvedimento inibitorio.

Il fatturato pertinente di cui tenere conto per il calcolo della sanzione pecuniaria è il fatturato generato nello Stato membro che irroga la sanzione. Tuttavia l’articolo 24, paragrafo 3, consente anche di determinare la sanzione pecuniaria sulla base del fatturato generato dal professionista in tutti gli Stati membri interessati dall’azione coordinata qualora il coordinamento a norma del regolamento CPC determini l’irrogazione della sanzione pecuniaria da parte di un unico Stato membro per conto di tutti gli Stati membri partecipanti.

Il considerando 10 della direttiva (UE) 2019/2161 chiarisce che «[i]n taluni casi il professionista può anche essere un gruppo di imprese». Pertanto laddove il professionista responsabile dell’infrazione sia un gruppo di imprese si terrà conto del fatturato combinato del gruppo negli Stati membri pertinenti ai fini del calcolo della sanzione pecuniaria.

La direttiva non precisa l’anno di riferimento per la definizione del fatturato annuo. Pertanto al fine di determinare la sanzione pecuniaria le autorità nazionali possono utilizzare, ad esempio, gli ultimi dati sul fatturato annuo disponibili al momento della decisione sulla sanzione (ossia riferiti all’esercizio sociale precedente).


(1)  Direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 304 del 22.11.2011, pag. 64).

(2)  Cfr. articolo 1 della direttiva.

(3)  Direttiva (UE) 2019/2161 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 novembre 2019, che modifica la direttiva 93/13/CEE del Consiglio e le direttive 98/6/CE, 2005/29/CE e 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’Unione relative alla protezione dei consumatori (GU L 328 del 18.12.2019, pag. 7).

(4)  Direttiva 85/577/CEE del Consiglio, del 20 dicembre 1985, per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali (GU L 372 del 31.12.1985, pag. 31).

(5)  Direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 1997 riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza - Dichiarazione del Consiglio e del Parlamento europeo sull’articolo 6, paragrafo 1 - Dichiarazione della Commissione sull’articolo 3, paragrafo 1, primo trattino (GU L 144 del 4.6.1997, pag. 19).

(6)  https://e-justice.europa.eu/591/IT/consumer_law_database.

(7)  GU L 1 del 3.1.1994, pag. 3.

(8)  Cfr. sentenza C-329/19, Condominio di Milano, ECLI:EU:C:2020:263, punto 34.

(9)  Sentenza C-105/17, Kamenova, ECLI:EU:C:2018:808, punto 33.

(10)  Per analogia, sentenza C-105/17 Kamenova, punti 36 – 37.

(11)  Sentenza C-105/17, Kamenova, ECLI:EU:C:2018:808, punti 27 – 29 e 34.

(12)  Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU L 149 dell’11.6.2005, pag. 22).

(13)  Sentenza C-105/17, Kamenova, ECLI:EU:C:2018:808, punti 27 – 29, 34 – 40 e 45.

(14)  Sentenza C-922/19, Stichting Waternet, ECLI:EU:C:2021:91.

(15)  Ibid., punto 39.

(16)  Per contro, il tipo di supporto è importante per l’applicazione della direttiva (UE) 2019/770 sul contenuto digitale e della direttiva (UE) 2019/771 relativa alla vendita di beni, in quanto la prima si applica al contenuto digitale fornito su un supporto materiale, come ad esempio DVD, CD, chiavi USB e schede di memoria, nonché al supporto materiale stesso, purché quest’ultimo sia esclusivamente il vettore del contenuto digitale (cfr. considerando 20 della direttiva relativa al contenuto digitale).

(17)  Si applicheranno anche le limitazioni pertinenti, come l’eccezione al diritto di recesso di cui all’articolo 16, primo comma, lettera i), relativa alla fornitura di registrazioni audio o video sigillate o di software informatici sigillati che sono stati aperti dopo la consegna.

(18)  Sentenza C-20/03, Marcel Burmanjer, ECLI:EU:C:2005:307, punti 24-35. Il medesimo approccio è stato confermato dalla Corte nella causa C-108/09, Ker-Optika bt, ECLI:EU:C:2010:725 (cfr. punto 43).

(19)  Cfr. a tale riguardo la sentenza C-208/19,NK, punti 58 – 59.

(20)  In particolare la direttiva 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, concernente la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori e che modifica la direttiva 90/619/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE e 98/27/CE (GU L 271 del 9.10.2002, pag. 16) e la direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE (GU L 133 del 22.5.2008, pag. 66).

(21)  Direttiva (UE) 2019/770 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali (GU L 136 del 22.5.2019, pag. 1).

(22)  Sentenza C-641/19, PE Digital, ECLI:EU:C:2020:808, punti 41 – 46.

(23)  Ibid., punto 44.

(24)  Cfr. il considerando 46 che, spiegando l’articolo 13, paragrafo 1, sul rimborso degli importi ricevuti dal consumatore, fa esplicito riferimento al pagamento mediante buoni da parte dei consumatori. Il contratto stesso di acquisizione di buoni sarà soggetto agli obblighi previsti dalla direttiva sui diritti dei consumatori, in particolare per quanto riguarda la fornitura di informazioni precontrattuali sulla durata di validità, le condizioni di scambio di beni e servizi e la trasferibilità.

(25)  La nozione di «rappresentazione di valore digitale» è chiarita dal considerando 23 della direttiva (UE) 2019/770 sul contenuto digitale, che fa riferimento a esempi di buoni elettronici, coupon elettronici e valute virtuali, purché queste ultime siano riconosciute dal diritto nazionale.

(26)  Tuttavia la normativa settoriale dell’UE può rendere la direttiva sui diritti dei consumatori (o talune sue disposizioni) applicabile anche ai contratti «gratuiti». Segnatamente, l’articolo 102 della direttiva (UE) 2018/1972 che istituisce il codice europeo delle comunicazioni elettroniche (European Electronic Communications Code, «EECC») stabilisce che le informazioni di cui agli articoli 5 e 6 della direttiva sui diritti dei consumatori debbano essere fornite anche in relazione ai servizi di comunicazione elettronica che sono prestati senza un pagamento diretto in denaro, ma che impongono altri obblighi in capo agli utenti. In questi casi, il regolamento di esecuzione (UE) 2019/2243 della Commissione che stabilisce un modello sintetico di contratto per i servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico a norma della direttiva (UE) 2018/1972 impone ai professionisti di indicare nella sezione relativa al prezzo che il servizio è soggetto a determinati obblighi imposti agli utenti.

(27)  Per maggior chiarezza, un contratto a pagamento potrebbe contemplare anche la fornitura di dati personali da parte del consumatore, ma ai fini della classificazione sarà considerato come un contratto a pagamento.

(28)  In queste situazioni il professionista è tenuto a trattare i dati in conformità del GDPR.

(29)  Il fingerprinting può essere usato per identificare in modo completo o parziale singoli utenti o dispositivi anche quando i cookie sono disattivati. In ogni caso, qualsiasi raccolta di informazioni (che si tratti di dati personali, come la posizione o i dati dell’abbonato, o di altri dati, come le informazioni sul tipo e sulla versione del browser, sul sistema operativo, sui plugin attivi, sul fuso orario, sulla lingua ecc.) provenienti dall’apparecchiatura terminale dell’utente deve essere conforme alla direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche, in particolare all’articolo 5, paragrafo 3.

(30)  Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) (GU L 119 del 4.5.2016, pag. 1). L’articolo 4, paragrafo 7, fornisce una definizione di «titolare del trattamento».

(31)  Le linee guida del comitato europeo per la protezione dei dati (ottobre 2019) sull’applicazione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), del GDPR confermano la posizione precedentemente assunta dal gruppo di lavoro «Articolo 29» in merito alla precedente direttiva 95/46/CE, secondo cui la nozione di «necessario all’esecuzione di un contratto stipulato con l’interessato»: ... deve essere interpretata rigorosamente e non contempla le situazioni in cui il trattamento non è effettivamente necessario all’esecuzione di un contratto, bensì imposto unilateralmente all’interessato dal responsabile del trattamento. Inoltre il fatto che alcuni trattamenti siano coperti da un contratto non significa automaticamente che tali trattamenti siano necessari alla sua esecuzione.

(32)  Oltre al consenso, l’articolo 6 del GDPR prevede una serie di altri fondamenti giuridici per il trattamento dei dati, ai quali è possibile fare ricorso in funzione delle circostanze del caso specifico.

(33)  Cfr. articolo 27, paragrafo 2, della direttiva (UE) 2015/2302 relativa ai pacchetti turistici e ai servizi turistici collegati.

(34)  Cfr. per esempio la causa C-215/08, E. Friz GmbH, ECLI:EU:C:2010:186, punto 32: «A tal proposito occorre ricordare, in primo luogo, che per consolidata giurisprudenza le deroghe al diritto dell’Unione volte a tutelare i consumatori devono essere interpretate restrittivamente (cfr., in particolare, sentenza del 13 dicembre 2001, nella causa C-481/99, Heininger, Racc. 2001, pag. I-9945, punto 31)».

(35)  Sentenza C-208/19, NK (Progettazione di una casa unifamiliare di nuova costruzione), ECLI:EU:C:2020:382, punto 43.

(36)  Ibid., punti 58 – 59.

(37)  Direttiva (UE) 2015/2302 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativa ai pacchetti turistici e ai servizi turistici collegati, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 90/314/CEE del Consiglio (GU L 326 dell’11.12.2015, pag. 1).

(38)  Definiti all’articolo 3, punto 5), della direttiva relativa ai pacchetti turistici.

(39)  Cfr. il diverso approccio della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, che all’articolo 14 sul diritto di recesso fa riferimento ai contratti che «per legge devono essere conclusi» con l’assistenza di un notaio: ‘6. Gli Stati membri possono prevedere che i paragrafi da 1 a 4 non si applichino ai contratti di credito che, per legge, devono essere conclusi con l’assistenza di un notaio, purché questo confermi che al consumatore sono garantiti i diritti di cui agli articoli 5 e 10».

(40)  Sentenza C-583/18, DB Vertrieb, ECLI:EU:C:2020:199, punto 35.

(41)  L’espressione «telefono pubblico a pagamento» era definita nell’articolo 2 della direttiva 2002/22/CE relativa al servizio universale, che è stata abrogata dal codice europeo delle comunicazioni elettroniche (direttiva (UE) 2018/1972, l’EECC). L’EECC non fornisce una definizione specifica di «telefono pubblico a pagamento», ma il considerando 235 riprende la formulazione dell’articolo 2 della direttiva relativa al servizio universale.

(42)  Cfr. anche la legislazione settoriale, in particolare l’EECC che comprende disposizioni sui contratti per servizi di comunicazione elettronica, per esempio gli articoli da 102 a 107.

(43)  Può trattarsi di determinati «servizi a valore aggiunto» o «servizi a tariffa speciale». In base alla proposta della Commissione, del 24 febbraio 2021, di regolamento relativo al roaming (proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al roaming sulle reti pubbliche di comunicazioni mobili all’interno dell’Unione, COM/2011/0402 final - 2011/0187 (COD)], i servizi a valore aggiunto sono da intendersi come servizi forniti unitamente all’uso, per esempio, di numeri relativi ai servizi a sovrapprezzo, numeri a chiamata gratuita o numeri a costi condivisi, e sono soggetti a particolari condizioni tariffarie a livello nazionale (cfr. considerando 36 di tale proposta). Pertanto i PRS sono solo una categoria dei servizi a valore aggiunto, che sono una nozione più ampia che include anche le chiamate a linee dirette/linee di assistenza gratuite per il consumatore.

(44)  Direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, che istituisce il codice europeo delle comunicazioni elettroniche (GU L 321 del 17.12.2018, pag. 36).

(45)  Sentenza C-485/17, Verbraucherzentrale Berlin, ECLI:EU:C:2018:642.

(46)  Ibid., punto 46.

(47)  Sentenza C-423/97, Travel-Vac, S.L, ECLI:EU:C:1999:197, punto 37.

(48)  Sentenza C-465/19, B & L Elektrogeräte GmbH, ECLI:EU:C:2019:1091, punti 29 e 34.

(49)  Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 4, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, un invito all’acquisto deve comprendere, qualora non risultino già evidenti dal contesto, informazioni concernenti: le caratteristiche principali del prodotto in misura adeguata al mezzo di comunicazione e al prodotto stesso; l’indirizzo geografico e l’identità del professionista; il prezzo comprensivo delle imposte; le modalità di pagamento, consegna ed esecuzione qualora esse siano difformi dagli obblighi imposti dalla diligenza professionale; l’eventuale esistenza di un diritto di recesso.

(50)  Nella causa C-536/20, Tiketa, pendente alla data della pubblicazione, si dibatte se gli obblighi della direttiva sui diritti dei consumatori possono essere soddisfatti, nel caso di un contratto concluso su una piattaforma per la vendita di biglietti (ossia un mercato online), accettando le condizioni generali.

(51)  Nel luglio 2019 le organizzazioni aziendali dell’UE hanno pubblicato un’iniziativa di autoregolamentazione dal titolo «Recommendations for a better presentation of information to consumers», che si occupa della presentazione delle informazioni obbligatorie ai consumatori e delle condizioni applicate dai professionisti. In particolare propone un modello («Consumer journey») per la fornitura delle informazioni ai consumatori in diverse fasi della transazione, anche attraverso elementi grafici. Consultabile all’indirizzo: https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/sr_information_presentation.pdf.

(52)  Cfr. sezione 2.9 degli orientamenti relativi alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

(53)  L’articolo 3, paragrafo 2, recita: «In caso di conflitto tra le disposizioni della presente direttiva e una disposizione di un altro atto dell’Unione che disciplini settori specifici, la disposizione di tale altro atto dell’Unione prevale e si applica a tali settori specifici».

(54)  Direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche) (GU L 201 del 31.7.2002, pag. 37).

(55)  Regolamento di Esecuzione (UE) 2019/2243 della Commissione, del 17 dicembre 2019, che stabilisce un modello sintetico di contratto che deve essere usato dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico a norma della direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 336 del 30.12.2019, pag. 274).

(56)  Direttiva 2010/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 marzo 2010, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva sui servizi di media audiovisivi) (GU L 95 del 15.4.2010, pag. 1).

(57)  Direttiva 2009/72/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e che abroga la direttiva 2003/54/CE (GU L 211 del 14.8.2009, pag. 55).

(58)  Direttiva 2009/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale e che abroga la direttiva 2003/55/CE (GU L 211 del 14.8.2009, pag. 94).

(59)  Cfr. sezione 1.2 degli orientamenti relativi alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali per un elenco più completo della normativa specifica per settori e prodotti.

(60)  Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (GU L 376 del 27.12.2006, pag. 36).

(61)  Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico») (GU L 178 del 17.7.2000, pag. 1).

(62)  Cfr. articoli 5 e 10 della direttiva sul commercio elettronico. La proposta della Commissione di regolamento relativo alla legge sui servizi digitali (COM(2020) 825 final del 15 dicembre 2020) contempla la sostituzione di alcune delle disposizioni della direttiva sul commercio elettronico (articoli da 12 a 15) senza proporre alcuna modifica dell’articolo 5 della direttiva medesima relativo agli obblighi di informazione.

(63)  https://ec.europa.eu/info/law/law-topic/consumers/consumer-contract-law/consumer-rights-directive/regulatory-choices-under-article-29-crd_en.

(64)  Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95 del 21.4.1993, pag. 29).

(65)  Le notifiche di questa scelta normativa da parte degli Stati membri sono disponibili all’indirizzo: https://ec.europa.eu/info/law/law-topic/consumers/consumer-contract-law/consumer-rights-directive/regulatory-choices-under-article-29-crd_en.

(66)  Regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I) (GU L 177 del 4.7.2008, pag. 6).

(67)  Cfr. sentenze C-585/08 e C-144/09, Peter Pammer e Hotel Alpenhof GmbH, ECLI:EU:C:2010:740, in particolare i punti 92 e 93.

(68)  La direttiva 2009/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2009, sulla sicurezza dei giocattoli (GU L 170 del 30.6.2009, pag. 1) prevede che i fabbricanti e gli importatori garantiscano che il giocattolo sia accompagnato da istruzioni e informazioni sulla sicurezza fornite in una lingua o in lingue che possono essere facilmente comprese dai consumatori, secondo quanto determinato dallo Stato membro interessato.

(69)  Direttiva 2014/53/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, concernente l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di apparecchiature radio e che abroga la direttiva 1999/5/CE (GU L 153 del 22.5.2014, pag. 62). Tale direttiva prevede che l’apparecchiatura radio sia accompagnata dalle istruzioni e dalle informazioni sulla sicurezza in una lingua che può essere facilmente compresa dai consumatori e dagli altri utilizzatori finali, secondo quanto determinato dallo Stato membro interessato. Prevede inoltre che l’apparecchiatura radio sia accompagnata dalla dichiarazione di conformità UE o dalla dichiarazione di conformità UE semplificata e che entrambe siano tradotte nella lingua o nelle lingue richieste dallo Stato membro nel quale l’apparecchiatura radio è immessa sul mercato o messa a disposizione sul mercato.

(70)  Direttiva (UE) 2019/771 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita di beni, che modifica il regolamento (UE) 2017/2394 e la direttiva 2009/22/CE, e che abroga la direttiva 1999/44/CE (GU L 136 del 22.5.2019, pag. 28). Tale direttiva prevede che gli Stati membri stabiliscano norme sulla lingua o sulle lingue nelle quali la dichiarazione di garanzia commerciale è messa a disposizione del consumatore.

(71)  Cfr. anche sezione 2.9.5 degli orientamenti relativi alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali a proposito delle «informazioni rilevati» contenute negli inviti all’acquisto (articolo 7, paragrafo 4).

(72)  Sentenza C-149/15, Wathelet, ECLI:EU:C:2016:840.

(73)  Direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999, su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo (GU L 171 del 7.7.1999, pag. 12).

(74)  Ibid., punti 33 – 34.

(75)  Ibid., punto 44..

(76)  Ibid., punto 37.

(77)  La direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano (GU L 311 del 28.11.2001, pag. 67) stabilisce che i medicinali possono essere venduti online solo da dettaglianti farmaceutici autorizzati (in base al diritto nazionale). Il dettagliante deve esibire sulla sua pagina internet il logo dell’UE che consente di verificare se il soggetto opera nel rispetto della legge.

(78)  Cfr. articolo 85 quater della direttiva 2001/83/CE.

(79)  Il principio è enunciato esplicitamente anche nell’articolo 5, paragrafo 3, della proposta di legge sui servizi digitali, relativo agli intermediari online. È possibile attendersi ulteriori orientamenti sulla nozione di «professionista» nella causa pendente C-536/20 Tiketa, che affronta la questione se un intermediario online (piattaforma per la vendita di biglietti) possa essere ritenuto responsabile congiuntamente al professionista che fornisce effettivamente il servizio, soprattutto qualora l’intermediario non abbia indicato chiaramente che agisce semplicemente in qualità di intermediario.

(80)  Sentenza C-649/17, Amazon EU, ECLI:EU:C:2019:576, punto 41.

(81)  Ibid., punto 52.

(82)  C-73/06 P, Planzer, ECLI:EU:C:2007:397, punto 61.

(83)  Per i servizi di comunicazione elettronica, cfr. anche articolo 102, paragrafo 1, e allegato VIII della direttiva 2018/1972 (codice europeo delle comunicazioni elettroniche), nonché il modello sintetico di contratto e i relativi dettagli sul prezzo dei servizi di comunicazione elettronica di cui al regolamento di esecuzione (UE) 2019/2243.

(84)  Per informazioni sull’acquisto online di beni provenienti da un paese non appartenente all’Unione europea, cfr.: https://ec.europa.eu/taxation_customs/buying-goods-online-coming-non-european-union-country_en.

(85)  Regolamento (UE) 2018/644 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 aprile 2018, relativo ai servizi di consegna transfrontaliera dei pacchi (GU L 112 del 2.5.2018, pag. 19).

(86)  Direttiva (UE) 2015/2366 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, che modifica le direttive 2002/65/CE, 2009/110/CE e 2013/36/UE e il regolamento (UE) n. 1093/2010, e abroga la direttiva 2007/64/CE (GU L 337 del 23.12.2015, pag. 35).

(87)  Cfr. IP/14/187 del 27 febbraio 2014 e la Common position of national authorities within the CPC, disponibili rispettivamente agli indirizzi: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/IP_14_187 e https://ec.europa.eu/info/sites/ default/files/common-position_of_national_authorities_within_cpc_2013_en_0.pdf.

(88)  Cfr., per esempio, articolo 11, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva sulla vendita di beni.

(89)  A norma dell’articolo 17, paragrafo 1, della direttiva sulla vendita di beni, qualsiasi garanzia commerciale vincola giuridicamente il garante secondo le condizioni stabilite nella dichiarazione di garanzia commerciale e nella relativa pubblicità disponibile al momento o prima della conclusione del contratto.

(90)  La misura in cui il professionista deve informare il consumatore in merito alla garanzia commerciale fornita da un terzo (fabbricante) costituisce l’oggetto della causa pendente C-179/21, Victorinox.

(91)  Cfr. articolo 105, paragrafo 1, e articolo 107 del codice europeo delle comunicazioni elettroniche.

(92)  Cfr. anche la comunicazione della Commissione «Orientamenti sull'interpretazione e sull'applicazione della direttiva 93/13/CEE del Consiglio concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori" (GU C 323 del 27.9.2019, pag. 4).

(93)  Per esempio, negli articoli 105 e 107 della direttiva (UE) 2018/1972 (codice europeo delle comunicazioni elettroniche) per quanto riguarda i servizi di comunicazione elettronica.

(94)  Per ulteriori orientamenti, cfr. le linee guida sul processo decisionale automatizzato relativo alle persone fisiche e sulla profilazione ai fini del regolamento (UE) 2016/679, gruppo di lavoro «Articolo 29» per la protezione dei dati.

(95)  Direttiva 2013/11/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (direttiva sull’ADR per i consumatori) (GU L 165 del 18.6.2013, pag. 63).

(96)  Cfr. articolo 2, paragrafo 2, della direttiva sull’ADR per i consumatori per le eccezioni al suo ambito di applicazione.

(97)  Sentenza C-380/19, Bundesverband der Verbraucherzentralen und Verbraucherverbände, ECLI:EU:C:2020:498, punti 34 – 35.

(98)  Regolamento (UE) n. 524/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, relativo alla risoluzione delle controversie online dei consumatori e che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (regolamento sull’ODR per i consumatori) (GU L 165 del 18.6.2013, pag. 1).

(99)  https://ec.europa.eu/consumers/odr/main/index.cfm?event=main.home2.show&lng=EN

(100)  La proposta della Commissione, del 15 dicembre 2020, di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo a mercati equi e contendibili nel settore digitale (legge sui mercati digitali), (COM(2020) 842 final), (2020/0374(COD)], prevede obblighi aggiuntivi per determinati mercati gestiti da cosiddetti gatekeeper.

(101)  Direttiva (UE) 2016/943 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016, sulla protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (segreti commerciali) contro l’acquisizione, l’utilizzo e la divulgazione illeciti (GU L 157 del 15.6.2016, pag. 1).

(102)  Regolamento (UE) 2019/1150 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online (GU L 186 dell’11.7.2019, pag. 57).

(103)  Cfr. considerando 23 della direttiva (UE) 2019/2161 e considerando 27 del regolamento P2B.

(104)  Cfr. considerando 23 della direttiva (UE) 2019/2161.

(105)  Cfr. articolo 7, paragrafo 4 bis, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

(106)  Comunicazione della Commissione– «Orientamenti sulla trasparenza del posizionamento a norma del regolamento (UE) 2019/1150 del Parlamento europeo e del Consiglio» (GU C 424 dell’8.12.2020, pag. 1).

(107)  La stessa norma è prevista nella proposta della Commissione relativa alla legge sui servizi digitali, cfr.: https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/europe-fit-digital-age/digital-services-act-ensuring-safe-and-accountable-online-environment_it.

(108)  Cfr. articolo 14, paragrafo 2, della direttiva sul commercio elettronico.

(109)  Questo principio è valido anche per le transazioni che utilizzano i cosiddetti «contratti intelligenti». L’espressione «contratto intelligente» descrive un programma informatico o un protocollo di transazione destinato a eseguire, controllare o documentare automaticamente eventi e azioni giuridicamente rilevanti. Deve ancora essere trovata una definizione di «contratti intelligenti» che raccolga il consenso di tutti. Secondo la relazione «Legal and regulatory framework of blokchains and smart contracts», prodotta da ConsenSys AG per conto dello European Union Blockchain Observatory & Forum, l’espressione indica in generale un codice informatico memorizzato su una blockchain al quale possono avere accesso una o più parti (https://www.eublockchainforum.eu/sites/default/files/reports/report_legal_v1.0.pdf). Tali programmi sono spesso automatizzati e si avvalgono di proprietà della blockchain quali la resistenza alle manomissioni, l’elaborazione decentrata e simili. Pertanto, anche se un «contratto intelligente» opera secondo i termini di un contratto specifico cui dà esecuzione, l’espressione non deve essere utilizzata come sinonimo del contratto stesso.

(110)  Direttiva (UE) 2015/1535 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 settembre 2015, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione (GU L 241 del 17.9.2015, pag. 1). Articolo 1, lettera b), punto ii): « per via elettronicà : un servizio inviato all’origine e ricevuto a destinazione mediante attrezzature elettroniche di trattamento (compresa la compressione digitale) e di memorizzazione di dati, e che è interamente trasmesso, inoltrato e ricevuto mediante fili, radio, mezzi ottici od altri mezzi elettromagnetici».

(111)  Alcuni professionisti presentano altri prodotti che «potrebbero piacere» ai consumatori nella fase finale del processo di ordinazione e ciò può rendere difficile per questi ultimi verificare l’ordine e assicurarsi che sia tutto corretto. Nel caso in cui la presentazione possa confondere il consumatore e impedirgli di comprendere correttamente gli elementi principali del contratto prima di inoltrare l’ordine, tale pratica potrebbe qualificarsi come ingannevole a norma dell’articolo 6 o 7 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

(112)  È possibile attendersi ulteriori orientamenti sull’interpretazione della «formulazione corrispondente inequivocabile» nella causa pendente C-249/21 Fuhrmann-2, che si è occupata della questione se una tale formulazione debba essere valutata alla luce di tutte le circostanze che accompagnano un processo di inoltro di un ordine o di una prenotazione, in particolare di come si svolge l’inoltro dell’ordine, o solo della lingua utilizzata per contrassegnare il pulsante o una funzione analoga.

(113)  Regolamento (UE) 2018/302 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 febbraio 2018, recante misure volte a impedire i blocchi geografici ingiustificati e altre forme di discriminazione basate sulla nazionalità, sul luogo di residenza o sul luogo di stabilimento dei clienti nell’ambito del mercato interno e che modifica i regolamenti (CE) n. 2006/2004 e (UE) 2017/2394 e la direttiva 2009/22/CE (GU L 60 I del 2.3.2018, pag. 1).

(114)  Cfr. anche il considerando 41 della direttiva (UE) 2019/2161.

(115)  Sentenza C-430/17, Walbusch Walter Busch, ECLI:EU:C:2019:47, punto 46.

(116)  Ibid., punto 39.

(117)  I professionisti potrebbero utilizzare il metodo dell’«indice» con voci espandibili. Al livello superiore, i consumatori potrebbero trovare gli argomenti principali, ciascuno dei quali espandibile con un clic, in modo da essere indirizzati verso una presentazione più dettagliata delle informazioni pertinenti. I consumatori avranno così tutte le informazioni richieste in un unico posto, conservando al tempo stesso il controllo sugli elementi da verificare e in quale momento.

(118)  Sentenza C-49/11, Content Services Ltd, ECLI:EU:C:2012:419, punto 51.

(119)  Ibid., punto 46.

(120)  Direttiva 2007/64/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 97/7/CE, 2002/65/CE, 2005/60/CE e 2006/48/CE, che abroga la direttiva 97/5/CE (GU L 319 del 5.12.2007, pag. 1).

(121)  Sentenza C-375/15, BAWAG, ECLI:EU:C:2017:38, punti 43 e 45.

(122)  Ibid., punti 51 e 53.

(123)  Sentenza C-49/11, Content Services Ltd, ECLI:EU:C:2012:419, punto 35.

(124)  Regolamento (CEE, Euratom) n. 1182/71 del Consiglio, del 3 giugno 1971, che stabilisce le norme applicabili ai periodi di tempo, alle date e ai termini (GU L 124 dell’8.6.1971, pag. 1).

(125)  Per esempio l’elenco del 2021 è reperibile all’indirizzo: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3AC2020%2F451%2F02&qid=1617356863154.

(126)  Riguarda l’imballaggio progettato per tale prodotto, che fa parte della sua presentazione a fini di commercializzazione. Ai consumatori dovrebbe essere consentito sostituire eventuali imballaggi universali forniti solo per proteggere i beni durante il transito.

(127)  Sentenza C-681/17, slewo, ECLI:EU:C:2019:255, punti 43-46.

(128)  Ibid., punto 42.

(129)  Sentenza C-489/07, Messner, ECLI:EU:C:2009:502, punto 27.

(130)  Ibid., punti 22 – 24.

(*1)  indicare gli elementi aggiuntivi di cui all’articolo 7, paragrafo 3

(131)  Cfr. considerando 42 della direttiva (UE) 2019/2161 per quanto riguarda la necessità di allineamento.

(132)  Per esempio, nella causa C-673/17 Planet49, ECLI:EU:C:2019:801, punto 65, riguardante il trattamento dei dati personali, la Corte ha ritenuto che gli obblighi in materia di consenso non sono soddisfatti se la casella pertinente è stata preselezionata dal titolare del trattamento.

(133)  Cfr. anche articolo 3, paragrafo 2, lettera d), del regolamento n. 1182/71 (CEE, Euratom), a norma del quale «se un periodo di tempo comprende frazioni di mese, si considera, per il computo di tali frazioni, che un mese sia composto di trenta giorni».

(134)  Sentenza C-641/19 PE Digital, ECLI:EU:C:2020:808, punti 29 e 32.

(135)  Ibid., punto 37.

(136)  Fatte salve le norme specifiche di cui all’articolo 8, paragrafo 4 (cfr. sezione 5.2.3).

(137)  Direttiva (UE) 2019/944 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 giugno 2019, relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e che modifica la direttiva 2012/27/UE (GU L 158 del 14.6.2019, pag. 125), articolo 12, paragrafo 1: «Il cambio di fornitore o partecipante al mercato coinvolto nell’aggregazione è effettuato nel più breve tempo possibile. Gli Stati membri assicurano che i clienti che desiderano cambiare il fornitore o i partecipanti al mercato coinvolti nell’aggregazione, nel rispetto delle condizioni contrattuali, abbiano diritto a tale cambio al massimo entro tre settimane dalla data della richiesta».

(138)  Direttiva 2009/73/CE, articolo 3, paragrafo 6: «Gli Stati membri provvedono affinché:

a)

qualora un cliente, nel rispetto delle condizioni contrattuali, intenda cambiare fornitore, l’operatore o gli operatori interessati effettuino tale cambiamento entro tre settimane; e

b)

i clienti abbiano il diritto di ricevere tutti i pertinenti dati di consumo».

(139)  Sentenza C-208/19, NK (Progettazione di una casa unifamiliare), ECLI:EU:C:2020:382, punti 58 – 59.

(140)  Sentenza C-529/19, Möbel Kraft, ECLI:EU:C:2020:846, punti 27 – 29.

(141)  Sentenza C-681/17, slewo, ECLI:EU:C:2019:255, punto 37.

(142)  Ibid., punto 40. Cfr. anche sezione 6.5.4, in cui sono riportati i dettagli della causa C-681/17.

(143)  È possibile attendersi ulteriori orientamenti sul diritto di recesso in relazione alle attività del tempo libero nella causa pendente C-96/21 CTS Eventim che tratta la situazione in cui un professionista non fornisce direttamente al consumatore il servizio legato alle attività del tempo libero, bensì si limita a rivendergli un diritto di accesso a tale servizio.

(144)  Sentenza C-336/03, easyCar, ECLI:EU:C:2005:150, in particolare punti 26 e 31.

(145)  Cfr. considerando 42 della direttiva (UE) 2019/2161.

(146)  Le commissioni interbancarie multilaterali (MIF) sono commissioni concordate a livello multilaterale tra i prestatori di servizi di pagamento (PSP) del pagatore/consumatore e del beneficiario/esercente.

(147)  Regolamento (UE) 2015/751 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2015, relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta (GU L 123 del 19.5.2015, pag. 1).

(148)  Regolamento (UE) n. 260/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 marzo 2012, che stabilisce i requisiti tecnici e commerciali per i bonifici e gli addebiti diretti in euro e che modifica il regolamento (CE) n. 924/2009 (GU L 94 del 30.3.2012, pag. 22).

(149)  In particolare l’addebito diretto consente al professionista di prevedere il flusso di cassa. Lo sconto per l’utilizzo dell’addebito diretto può essere concesso quindi non tanto per l’utilizzo di uno specifico mezzo di pagamento, quanto per incoraggiare il consumatore a pagare regolarmente a una data specifica.

(150)  Il regolamento (UE) 2015/751 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2015, relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta (GU L 123 del 19.5.2015, pag. 1) fissa il massimale delle commissioni interbancarie allo 0,2 % del valore delle operazioni per le carte di debito a uso dei consumatori e allo 0,3 % per le carte di credito a uso dei consumatori. Ciò determina chiaramente una parte del costo sostenuto dal professionista.

(151)  Gli intermediari dei servizi di pagamento aiutano alcuni dettaglianti ad accettare pagamenti sicuri online o in altre situazioni in cui il titolare della carta non è presente, per esempio tramite call centre o ordini postali. Gli intermediari possono fatturare la fornitura: i) di attrezzature e servizi necessari per accettare pagamenti online e altri pagamenti a distanza, come per esempio la funzionalità di pagamento per i siti web dei dettaglianti; e/o ii) di servizi di individuazione delle frodi e di servizi gestionali (alcuni intermediari si specializzano in questo campo); e/o di alcuni o di tutti i servizi agli esercenti offerti di solito dalle banche acquirenti, fino al completo trattamento della transazione. In questi casi l’intermediario tratta normalmente con la banca acquirente e agisce da punto di contatto per i dettaglianti, addebitando una maggiorazione sulle tariffe della banca acquirente.

(152)  Sentenza C-586/15, Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs Frankfurt am Main, ECLI:EU:C:2017:154, punto 22.

(153)  Ibid., punti 31 e 32.

(154)  Sentenza C-332/17, Starman, ECLI:EU:C:2018:721.

(155)  Ibid., punto 33.

(156)  Direttiva (UE) 2020/1828 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2020, relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e che abroga la direttiva 2009/22/CE (GU L 409 del 4.12.2020, pag. 1).

(157)  Cfr. articolo 4 della direttiva (UE) 2020/1828.

(158)  Regolamento (CE) n. 864/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 luglio 2007, sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali («Roma II») (GU L 199 del 31.7.2007, pag. 40).

(159)  Articolo 12, paragrafo 1, del regolamento Roma II.

(160)  Regolamento (UE) 2017/2394 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2017, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori e che abroga il regolamento (CE) n. 2006/2004 (GU L 345 del 27.12.2017, pag. 1).

(161)  L’articolo 10, punto 2), del regolamento CPC definisce inoltre: «L’attuazione e l’esercizio dei poteri di cui all’articolo 9 in applicazione del presente regolamento è proporzionata e conforme al diritto dell’Unione e al diritto nazionale, comprese le garanzie procedurali applicabili e i principi della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Le misure di indagine e di esecuzione adottate in applicazione del presente regolamento sono proporzionate alla natura e al danno complessivo, effettivo o potenziale, dell’infrazione delle norme dell’Unione sulla tutela degli interessi dei consumatori».

(162)  L’articolo 3, punto 3), del regolamento CPC definisce inoltre: «’infrazione diffusà, a) atti od omissioni contrari alle norme dell’Unione sulla tutela degli interessi dei consumatori, che abbiano arrecato, arrechino o possano arrecare un danno agli interessi collettivi dei consumatori che risiedono in almeno due Stati membri diversi dallo Stato membro in cui: i) hanno avuto origine o si sono verificati l’atto o l’omissione in questione; ii) è stabilito l’operatore responsabile dell’atto o dell’omissione; o iii) si rinvengono elementi di prova o beni dell’operatore riconducibili all’atto o all’omissione; o b) atti od omissioni contrari alle norme dell’Unione sulla tutela degli interessi dei consumatori che abbiano arrecato, arrechino o possano arrecare un danno agli interessi collettivi dei consumatori e abbiano caratteristiche comuni, comprese l’identità della pratica illecita e dell’interesse leso, e si verifichino contemporaneamente, commessi dal medesimo operatore, in almeno tre Stati membri».

L’articolo 3, punto 4), del regolamento CPC definisce inoltre: «’infrazione diffusa avente una dimensione unionale’, un’infrazione diffusa che abbia arrecato, arrechi o possa arrecare un danno agli interessi collettivi dei consumatori in almeno due terzi degli Stati membri, che insieme rappresentano almeno i due terzi della popolazione dell’Unione».


ALLEGATO

Elenco delle cause della Corte citate nella presente comunicazione

(ordinate in base all’anno della sentenza)

Numero e nome della causa

Merito

Punto/i nella comunicazione

1999

C-423/97 – Travel-Vac

Direttiva 85/577/CEE – Ambito di applicazione – Contratto di multiproprietà – Diritto di recesso

2.1.

Contratti conclusi fuori dei locali commerciali del professionista

2005

C-20/03 – Burmanjer

Vendita ambulante — Sottoscrizione di abbonamenti a periodici — Previa autorizzazione

1.4.

Contratti misti

2009

C-489/07 – Messner

Direttiva 97/7/CE – Tutela dei consumatori – Contratti a distanza – Esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore – Indennizzo per l’uso di un bene da corrispondere al venditore

5.5.4.

Responsabilità del consumatore per la manipolazione dei beni

2012

C-49/11 – Content Services

Direttiva 97/7/CE – Contratti a distanza – Informazione del consumatore – Informazioni fornite o ricevute – Supporto duraturo – Nozione – Collegamento ipertestuale al sito internet del fornitore – Diritto di recesso

4.4.

Conferma del contratto

2016

C-149/15 – Wathelet

Direttiva 1999/44/CE – Vendita e garanzie dei beni di consumo – Ambito di applicazione – Nozione di «venditore» – Intermediario – Circostanze eccezionali

3.2.2.

Identità ed estremi del professionista

2017

C-375/15 – BAWAG

Direttiva 2007/64/CE – Servizi di pagamento nel mercato interno – Contratti quadro – Informazioni generali preliminari – Obbligo di fornire tali informazioni su supporto cartaceo o su altro supporto durevole – Informazioni trasmesse a mezzo di casella di posta elettronica integrata in un sito internet di servizi bancari online

4.4.

Conferma del contratto

C-586/15 – Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs Frankfurt am Main

Direttiva 2011/83/UE – articolo 21 – Comunicazione telefonica – Predisposizione da parte del professionista di una linea telefonica affinché il consumatore possa contattarlo in merito a un contratto concluso – Divieto di applicare una tariffa superiore alla tariffa di base – Nozione di «tariffa di base»

9.

Comunicazione telefonica

2018

C-105/17 – Kamenova

Direttiva 2005/29/CE – articolo 2, lettere b) e d) – Direttiva 2011/83/UE – articolo 2, punto 2) – Nozioni di «professionista» e di «pratiche commerciali»

1.1.

Le nozioni di «professionista» e di «consumatore»

3.4.2.

Status dell’altra parte contrattuale

C-332/17 – Starman

Direttiva 2011/83/UE – articolo 21 – Contratti conclusi con i consumatori – Comunicazioni telefoniche – Prassi di un fornitore di servizi di telecomunicazioni consistente nel proporre ai propri clienti che hanno già concluso un contratto un numero di assistenza a selezione rapida soggetto ad una tariffa superiore alla tariffa di base

9.

Comunicazione telefonica

C-485/17 – Verbraucherzentrale Berlin

Direttiva 2011/83/UE – articolo 2, punto 9) – Nozione di «locale commerciale» – Criteri – Contratto di vendita concluso presso lo stand di un professionista in occasione di una fiera commerciale

2.1.

Contratti conclusi fuori dei locali commerciali del professionista

2019

C-430/17 – Walbusch Walter Busch

Direttiva 2011/83/UE – Contratti a distanza – articolo 6, paragrafo 1, lettera h) – Obbligo di informazione sul diritto di recesso – articolo 8, paragrafo 4 – Contratto concluso mediante un mezzo di comunicazione a distanza che consente uno spazio o un tempo limitato per visualizzare le informazioni – Nozione di «spazio o […] tempo limitato per visualizzare le informazioni» – Opuscolo incluso in un periodico – Cartolina postale di ordine contenente un collegamento ipertestuale che rinvia alle informazioni sul diritto di recesso

4.2.2.

Obblighi per il pulsante di conferma dell’ordine

5.2.

Informazioni sul diritto di recesso

C-649/17 – Amazon EU

Direttiva 2011/83/UE – articolo 6, paragrafo 1, lettera c) – Obblighi d’informazione riguardanti i contratti a distanza e i contratti negoziati fuori dei locali commerciali – Obbligo, per il professionista, di indicare il suo numero di telefono e il suo numero di fax «ove disponibili»

3.1.2.

Chiarezza delle informazioni e collegamento alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali

3.2.2.

Identità ed estremi del professionista

5.2.

Informazioni sul diritto di recesso

C-681/17 – slewo

Direttiva 2011/83/UE – articolo 6, paragrafo 1, lettera k), e articolo 16, lettera e) – Contratto concluso a distanza – Diritto di recesso – Eccezioni – Nozione di «beni sigillati che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici o connessi alla protezione della salute e sono stati aperti dopo la consegna» – Materasso la cui protezione è stata rimossa dal consumatore dopo la consegna

5.4.4.

Responsabilità del consumatore per la manipolazione dei beni

C–465/19 – B & L Elektrogeräte

Direttiva 2011/83/UE – articolo 2, punto 8), lettera c), e punto 9) – Contratto negoziato fuori dei locali commerciali – Nozione di «locali commerciali» – Contratto concluso presso lo stand di una fiera commerciale immediatamente dopo che il consumatore che si trovava in uno spazio comune della fiera è stato avvicinato dal professionista

2.2.

Contratti conclusi dopo aver avvicinato il consumatore fuori dei locali commerciali del professionista

C-673/17 – Planet49

Direttiva 95/46/CE – Direttiva 2002/58/CE – Regolamento (UE) 2016/679 – Trattamento dei dati personali e tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche – Cookie – Nozione di consenso dell’interessato – Dichiarazione di consenso mediante una casella di spunta preselezionata

5.6.1.

Consenso del consumatore all’esecuzione immediata

2020

C-583/18 – DB Vertrieb GmbH

Direttiva 2011/83/UE – Ambito di applicazione – Contratto di servizi – articolo 2, punto 6) – Contratto di servizi di trasporto passeggeri – articolo 3, paragrafo 3, lettera k) – Carte che conferiscono il diritto di beneficiare di riduzioni di prezzo al momento della successiva conclusione di contratti di trasporto passeggeri – Vendita online di siffatte carte senza informare il consumatore sul diritto di recesso

1.7.5.

Trasporto di passeggeri

C-208/19 — NK (Progettazione di una casa unifamiliare)

Direttiva 2011/83/UE – Ambito di applicazione – articolo 3, paragrafo 3, lettera f) – Nozione di «contratti per la costruzione di nuovi edifici» – articolo 16, lettera c) – Nozione di «beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati» – Contratto tra un architetto e un consumatore per l’elaborazione di un progetto di una casa unifamiliare di nuova costruzione

1.7.1.

Contratti di locazione e contratti di costruzione

5.11.2.

Beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati

C-266/19 – EIS

Direttiva 2011/83/UE – articolo 6, paragrafo 1, lettere c) e h), e paragrafo 4 – allegato I, punto A – Diritto di recesso – Informazioni che deve fornire il professionista sulle condizioni, i termini e le procedure per esercitare il diritto di recesso – Obbligo, per il professionista, di indicare il suo numero di telefono «qualora disponibile» – Portata

5.2.

Informazioni sul diritto di recesso

C-329/19 – Condominio di Milano, via Meda

Direttiva 93/13/CEE – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – articolo 1, paragrafo 1 – articolo 2, lettera b) – Nozione di «consumatore» – Condominio

1.1.

Le nozioni di «professionista» e di «consumatore»

C-380/19 – Deutsche Apotheker

Direttiva 2011/83/UE – Risoluzione alternativa delle controversie – articolo 13, paragrafi 1 e 2 – Informazioni obbligatorie – Accessibilità delle informazioni

3.3.4.

Meccanismi di ricorso extra-giudiziali

C-529/19 – Möbel Kraft

Direttiva 2011/83/UE – articolo 16, lettera c) – Diritto di recesso – Eccezioni – Beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati – Beni la cui fabbricazione è stata iniziata dal professionista

5.11.2.

Beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati

C-641/19 – PE Digital

Direttiva 2011/83/UE – articolo 2, punto 11), articolo 14, paragrafo 3, e articolo 16, lettera m) – Contratti a distanza – Fornitura di contenuti digitali e di servizi digitali – Diritto di recesso – Obblighi del consumatore in caso di recesso – Determinazione dell’importo che il consumatore deve pagare per le prestazioni fornite prima dell’esercizio del diritto di recesso – Eccezione al diritto di recesso in caso di fornitura di un contenuto digitale

1.5.

Distinzione tra servizi digitali e contenuto digitale online

5.6.2.

Obbligo di compensazione del consumatore

2021

C-922/19 – Stichting Waternet

Direttiva 97/7/CE – articolo 9 – Direttiva 2011/83/UE – articolo 27 – Direttiva 2005/29/CE – articolo 5, paragrafo 5 – allegato I, punto 29) – Pratiche commerciali sleali – Nozione di «fornitura non richiesta» – Distribuzione di acqua potabile

1.2.

La nozione di «contratto»

C-536/20 – Tiketa

Direttiva 2011/83/UE – articolo 2, punto 2) – La nozione di professionista – articolo 8, paragrafo 1 – Obblighi di informazione

3.1.2.

Chiarezza delle informazioni e collegamento alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali

3.2.2.

Identità ed estremi del professionista

C-96/21 – CTS Eventim

Direttiva 2011/83/UE – articolo 16, paragrafo 1 – Diritto di recesso in relazione a un evento culturale – Intermediario online

5.11.6.

Contratti con una data o un periodo di esecuzione specifici

C-179/21 – Victorinox

Direttiva 2011/83/UE – articolo 6, paragrafo 1, lettera m) – Informazioni sulla garanzia commerciale

3.2.6.

Garanzie e servizi postvendita

C-249/21 – Fuhrmann–2

Direttiva 2011/83/UE – articolo 8, paragrafo 2, secondo comma – Indicazioni mostrate sul pulsante di conferma dell’ordine o su una funzione analoga

4.2.1.

Informazioni da presentare direttamente prima dell’inoltro dell’ordine


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