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Document 52012IE0474
Opinion of the European Economic and Social Committee on ‘Growth and sovereign debt in the EU: two innovative proposals’ (own-initiative opinion)
Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Crescita e debito pubblico nell'UE: due proposte innovative» (parere d'iniziativa)
Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Crescita e debito pubblico nell'UE: due proposte innovative» (parere d'iniziativa)
GU C 143 del 22.5.2012, p. 10–16
(BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)
22.5.2012 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 143/10 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Crescita e debito pubblico nell'UE: due proposte innovative» (parere d'iniziativa)
2012/C 143/03
Relatore: CEDRONE
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 luglio 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:
Crescita e debito pubblico nell'UE: due proposte innovative.
La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 febbraio 2012.
Alla sua 478a sessione plenaria, dei giorni 22 e 23 febbraio 2012 (seduta del 23 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 121 voti favorevoli, 46 voti contrari e 11 astensioni.
1. Raccomandazioni principali
J. Monnet: "L'Europa può progredire e diventare una solo grazie al pungolo delle crisi".
1.1 Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che il problema principale dell'euro sia anzitutto un problema politico prima che economico. Infatti la credibilità dell'euro è stata indebolita in quanto le agenzie di rating hanno perso fiducia nella capacità dei governi di agire in modo deciso per evitare il default (incapacità di rimborsare i debiti) degli Stati membri fortemente indebitati. Risposte recenti quali la proposta della Commissione relativa agli stability bond (obbligazioni di stabilità) affrontano soltanto il tema della stabilità e non quello della crescita (1), mentre il progetto di Trattato del Consiglio in materia di coordinamento e governance (2) soffre di un ampio "deficit democratico" in quanto scavalca il Parlamento europeo e altre istituzioni dell'Unione.
1.2 Il CESE ritiene inoltre che la strada per uscire dalla crisi, una crisi sistemica dell'Eurozona, non passi attraverso il ritorno agli egoismi nazionali o la riduzione dei diritti, ma piuttosto attraverso un cambio delle politiche economiche, il rilancio della competitività, il consolidamento dell'equità, della solidarietà e della coesione. Questo ristabilirebbe la fiducia dell'opinione pubblica nel progetto europeo e nella possibilità effettiva di ripristinare il modello sociale europeo, in comparazione ai rischi, per tutti, di una mancata risoluzione della crisi, che potrebbero portare ad una rottura ed al fallimento dell'idea stessa di Europa!
1.3 Il CESE ritiene che le istituzioni comunitarie non debbano rispondere solo alle agenzie di valutazione, una sorta di trappola, anche se a volte identificano le debolezze del mercato. Le istituzioni hanno il dovere di prospettare ai propri cittadini una via d'uscita efficace dalla crisi, che contenga contemporaneamente un progetto per il futuro dell'UE in grado di alimentare la fiducia e l'ottimismo, di rafforzare il senso di appartenenza e di partecipazione alla realizzazione di un ideale comune di progresso sociale e di alti livelli di occupazione. In particolare, gli elettori devono constatare che la stabilità è accompagnata dalla crescita, e non soltanto dall'austerità, mentre una crescita economica robusta potrebbe ripristinare la fiducia e la credibilità dell'Eurozona sui mercati finanziari.
1.4 In questa prospettiva, il CESE valuta positivamente i provvedimenti adottati dalle istituzioni europee per una politica di bilancio e fiscale comune, anche se le misure adottate sinora sono parziali e limitate. Ritiene, però, fermi restando l'attivazione immediata e l'utilizzo del Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF), poi meccanismo europeo di stabilità (MES), che sia necessario, in tempi rapidi, pervenire a due proposte concrete e risolutive per affrontare la questione della crescita (Eurobond) e stabilizzare il debito (Union bond) (3). Queste proposte eviterebbero il ricorso, da parte di alcuni paesi e dell'UE, ad una difesa dell'euro soltanto attraverso l'austerità, che aggrava le condizioni sociali, mortifica la crescita e rischia di provocare la recessione.
1.5 In particolare, per stimolare rapidamente la crescita è necessario avviare un piano di ripresa economica, sociale e culturale, una specie di "nuovo patto europeo", paragonabile al "New Deal" americano, per consentire agli Stati membri di avere uno sviluppo solido e sostenibile basato su competitività, produttività, occupazione, benessere, prosperità e, soprattutto, consenso democratico. Ciò creerebbe anche le condizioni per realizzare un'effettiva governance economica e fiscale comune.
1.6 Sono stati proposti vari tipi di obbligazioni quale possibile soluzione alla presente crisi, in parallelo con le necessarie riforme strutturali (4), che gli Stati membri dovrebbero essere incoraggiati e motivati a varare. Tuttavia, una debolezza politica di tali obbligazioni, comprese quelle presentate nel Libro verde della Commissione, è che esse includono garanzie in solido da parte degli Stati membri, cosa che le ha rese inaccettabili ai governi più importanti, non ultimo quello della Germania.
1.7 Al contrario, il CESE sostiene che tali garanzie e trasferimenti non sono necessari per convertire una quota di obbligazioni di Stato nazionali in obbligazioni UE, né per un'emissione netta di Eurobond. Il Comitato afferma inoltre che il finanziamento tramite obbligazioni non incoraggerebbe il lassismo nella gestione delle finanze pubbliche se la conversione del debito nazionale in debito dell'Unione avvenisse in un conto di debito e non in un conto di credito. Le emissioni nette di obbligazioni non andrebbero a finanziare il disavanzo, ma determinerebbero piuttosto uno spostamento dei risparmi, comprese le eccedenze globali, verso gli investimenti, fatto che può rafforzare la coesione e la competitività.
1.8 Il CESE propone pertanto l'introduzione di due tipi, complementari ma distinti, di obbligazioni (bond) dell'Unione europea: gli Union bond per la stabilizzazione del debito e gli Eurobond, da utilizzare per la ripresa e la crescita. IL CESE raccomanda inoltre di finanziare, con una quota del flusso netto in entrata (saldo positivo), un fondo europeo di capitali di rischio, che era uno degli obiettivi originari del Fondo europeo per gli investimenti (FEI) (5).
1.9 Union bond - Il debito nazionale, convertito, anche progressivamente, fino a una quota pari al 60 % del PIL in Union bond, potrebbe essere detenuto in un conto di debito consolidato, ma non negoziato (6). Non essendo oggetto di negoziazioni, queste obbligazioni sarebbero poste al riparo dalle manovre speculative legate ai giudizi delle agenzie di valutazione del credito (rating). Tuttavia, essi non renderebbero necessario alcun trasferimento fiscale. Gli Stati membri il cui debito è detenuto in Union bond si assumerebbero il servizio della loro quota di debito convertito in obbligazioni dell'Unione. Per effetto di tale conversione, il debito nazionale della maggior parte di tali Stati si ridurrebbe in misura tale da farli rientrare nei relativi parametri di Maastricht. La situazione finanziaria della Grecia continuerebbe, certo, a rappresentare un problema specifico, ma limitato e quindi gestibile.
1.10 Per raggiungere questo obiettivo il Patto di stabilità e crescita non dovrebbe essere riveduto, mentre crescerebbe la sua credibilità, oggi assai scarsa presso i mercati e gli elettori, dato che si raggiungerebbe l'obiettivo della stabilità senza il ricorso a misure di austerità. Inoltre, la conversione di una quota rilevante (fino al 60 %) del debito degli Stati in debito dell'Unione potrebbe essere realizzata attraverso una procedura di "cooperazione rafforzata". Gli Stati membri che lo preferissero potrebbero mantenere le proprie obbligazioni (7).
1.11 A differenza degli Union bond, gli Eurobond, emessi per finanziare la ripresa e la crescita, sarebbero negoziati e potrebbero così attirare fondi verso l'Unione europea. Nel settembre 2011 i paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) hanno riconfermato il loro interesse a detenere riserve in euro per contribuire a stabilizzare l'Eurozona. Farlo mediante gli Eurobond anziché con le obbligazioni di Stato nazionali potrebbe rafforzare l'euro quale valuta di riserva mondiale e aiutare le economie emergenti a realizzare la loro ambizione di dar vita a un sistema globale di riserve valutarie più pluralista.
1.12 Gli Eurobond non devono essere ascritti al debito nazionale tedesco o di qualsiasi altro Stato membro, né hanno bisogno di garanzie sovrane in solido. La Banca europea per gli investimenti emette con successo obbligazioni senza dover ricorrere a garanzie nazionali da più di 50 anni e lo ha fatto con un tale successo che le sue dimensioni sono già il doppio di quelle della Banca mondiale.
1.13 L'afflusso delle eccedenze globali di liquidità negli Eurobond ripristinerebbe la crescita, che è poi il modo più efficace di ridurre il debito e i disavanzi, come evidenziato dal secondo mandato dell'amministrazione Clinton durante il quale il bilancio federale ha presentato un avanzo ogni anno. Gli Eurobond potrebbero contribuire a finanziare gli investimenti della BEI nel cui quadro il servizio del debito corrispondente a tali investimenti è assicurato dalle entrate degli Stati membri che ne beneficiano anziché da trasferimenti fiscali tra Stati membri.
1.14 Una crescita finanziata dalle obbligazioni e guidata dagli investimenti nell'ambito del mandato in materia di convergenza e coesione affidato al gruppo BEI sin dal Programma d'azione speciale di Amsterdam del 1997 potrebbe raggiungere il livello macroeconomico di trasferimenti fiscali.
1.15 La coesione sarebbe incrementata – Gli Eurobond potrebbero cofinanziare i progetti di investimento della BEI, per i quali quest'ultima ha già ricevuto mandato sin dal 1997 di promuovere la coesione e la convergenza nei seguenti settori: sanità, educazione, rinnovamento urbano, ambiente, tecnologie "verdi" e supporto alle piccole e medie imprese e alle start-up nel settore delle nuove tecnologie.
1.16 La competitività sarebbe migliorata, prevedendo che una parte dei flussi di capitali raccolti tramite l'emissione di Eurobond vada a finanziare un fondo di "venture capital" per le piccole e medie imprese che potrebbe rendere possibile una Mittelstandspolitik europea, che era una delle finalità del Fondo europeo per gli investimenti, ora confluito nel gruppo BEI.
1.17 Se la Banca centrale europea è il custode della stabilità, il gruppo BEI può svolgere il compito di salvaguardare la crescita se i suoi progetti d'investimento sono cofinanziati con Eurobond. Dopo la crisi finanziaria del 2008, la BEI era stata invitata a detenere ed emettere bond a fini di stabilizzazione del debito. Essa aveva tuttavia declinato l'invito, il che era comprensibile in quel momento. Tuttavia la principale finalità parallela del Fondo europeo per gli investimenti era l'emissione degli Union bond proposti da Delors nel Libro verde della Commissione del 1993 intitolato "Crescita, competitività, occupazione". In quanto organismo facente parte del gruppo BEI e sulla base dell'esperienza acquisita dalla BEI con emissioni obbligazionarie di successo, il Fondo europeo per gli investimenti potrebbe intraprendere l'emissione netta di Eurobond (cfr. i punti da 5.2 a 5.8 del presente parere).
1.18 Gli Eurobond potrebbero cofinanziare così un "piano europeo" per la crescita e un "Patto europeo per la crescita" coinvolgerebbe tutte le sue forze migliori, imprese, sindacati, associazioni, in un patto che agisca da motore per dare risposte concrete alla crisi attuale. Ciò rappresenterebbe un "New Deal" europeo, basato sul precedente americano, in grado di ripristinare lo sviluppo e l'occupazione, ridurre il debito, ridare fiducia e speranza al futuro dell'UE, ed in particolare ridurre la disoccupazione giovanile.
1.19 Contestualmente bisognerà avviare un processo che affronti, senza indugi, le questioni fondamentali dell'UE: la dimensione economica e fiscale, come ha fatto il vertice di Bruxelles dell'8 e 9 dicembre 2011, che dovrebbe prevedere anche il rafforzamento della BCE, come garante della stabilità finanziaria; la dimensione sociale e la dimensione politica, per colmare l'attuale deficit democratico ed accelerare il processo decisionale. In pratica si tratta di superare tutti i limiti (specialmente i limiti del processo decisionale e la debolezza politica) che hanno impedito e stanno impedendo all'UE di agire rapidamente e con efficacia, non solo per sostenere l'euro, ma anche per non mettere a repentaglio la sua stessa esistenza e la sua ragion d'essere, accentuandone il declino.
2. Premessa
2.1 L'obiettivo prioritario del presente parere è pertanto un programma d'azione che possa essere attuato immediatamente, senza aver bisogno di nuove istituzioni o di revisioni del Trattato, e che possa porre le basi per una gestione comune del debito dell'Eurozona. Nel riconoscere la necessità di ridurre livelli insostenibili del debito nazionale, il presente parere completa altri pareri già elaborati o in corso di elaborazione da parte del CESE afferenti la questione della crescita, le politiche industriali e finanziaria, la produttività e la competitività.
2.2 Dopo la crisi finanziaria del 2007-2008 si sperava che il peggio fosse passato. Contrastare la crisi è costato molto ai cittadini europei e ha provocato un innalzamento del debito pubblico. Ma dopo due anni, malgrado l'aumento nel breve termine del debito nazionale dovuto al costo del salvataggio delle banche, c'è stato uno spostamento nell'attribuzione della responsabilità della situazione dal debito privato a quello pubblico.
2.3 L'attacco ai paesi ritenuti più vulnerabili ha mostrato tutta la fragilità della zona euro, che pure ha un debito nazionale complessivo, che va comunque ridotto e posto sotto controllo, inferiore a quello americano. I provvedimenti messi in atto, anche se con ritardo, rappresentano un gran passo avanti, ma insufficiente perché si tratta di una crisi sistemica, che non dipende quindi dal debito di questo o quel paese.
2.4 Ciò ha chiaramente evidenziato un problema cruciale sia per la sopravvivenza dell'Eurozona che dello stesso progetto europeo, e cioè: "Chi detta le leggi e chi ha l'ultima parola?". Infatti la società civile europea ha ormai chiaramente compreso che non sono più i governi eletti ad avere il controllo della situazione, bensì delle entità non elette che si sono ad essi surrogate. Pertanto il rischio non è soltanto per la legittimità di singoli governi, ma anche per la sopravvivenza del processo democratico a livello europeo.
2.5 L'euro fino al 2008 non aveva risentito di turbolenze valutarie e si era rafforzato rispetto al dollaro, divenendo la seconda moneta di riserva mondiale. Una delle ragioni per le quali questa situazione è cambiata e l'euro è ora sotto attacco è che, fino alla crisi greca, le agenzie di rating avevano immaginato che l'Unione non avrebbe permesso a un membro dell'Eurozona di andare in default. Quando non si è data una soluzione rapida alla crisi greca, gli spread sulle nuove emissioni obbligazionarie si sono impennati. È stata la mancanza della volontà politica nell'arco di due anni di trovare un accordo su una soluzione alla crisi del debito sovrano in Europa ad incoraggiare le agenzie di rating a declassare il debito di una serie di Stati membri dell'Eurozona, un declassamento che ne sta adesso interessando il centro e non più soltanto la periferia.
2.6 Ferma restando la necessità del risanamento del debito (progressivamente per evitare di uccidere il malato "colpevole", invece di guarirlo), l'UE deve agire con maggiore determinazione. Gli Stati infatti, non solo quelli più indebitati, bloccati dalla necessità di non aggravare i conti e sfiancati da una crescita lenta, sono inerti, insieme all'UE, o quanto meno lenti nel decidere. Né i mercati obbligazionari sono stati rassicurati da una risposta politica basata su contenimento, austerità e tagli, quando ciò implica il rischio di una crescita bassa o negativa.
2.7 Un aspetto di questa situazione è il fatto che si voglia ignorare che gli avanzi di un paese corrispondono ai disavanzi degli altri paesi. Un altro consiste nella percezione ingiustificata dell'"ipotesi dello spiazzamento" (crowding out) e in una parallela sbagliata percezione secondo cui il taglio degli investimenti pubblici e della spesa pubblica necessariamente "creerà posto" per gli investimenti e la spesa del settore privato. Inoltre non è stato tenuto nella giusta considerazione il fatto che, in alcuni casi dell'UE, quando precedenti programmi di austerità in piccoli Stati membri sono stati seguiti da una ripresa economica, ciò è avvenuto in condizioni in cui l'intera UE stava espandendo la domanda per le esportazioni da tali e in vari casi ciò è stato accompagnato da deprezzamenti delle valute, opzione non più praticabile per gli Stati membri dell'Eurozona.
2.8 Ciò di cui l'UE ha bisogno è riconquistare la fiducia dei cittadini dei diversi paesi dell'Europa nell'idea che la moneta unica è reciprocamente vantaggiosa. Ciò implica un programma d'azione sul piano economico, sociale e culturale e un nuovo "patto europeo", sulla falsariga del New Deal americano, il cui successo ha incoraggiato il Presidente Truman a sostenere il piano Marshall che, oltre a favorire il risanamento del dopoguerra, ha consentito a tutti i paesi europei uno sviluppo durevole, basato su competitività, produttività, occupazione, stato sociale, prosperità e, prima di tutto, sul consenso (partecipazione e partenariato sociale).
2.9 Questa prospettiva, comprendente sia la stabilità che la crescita, genererebbe il consenso politico per ulteriori strumenti di una governance economica e fiscale comune. È una sfida alla ragione avere una moneta unica, ma 17 differenti politiche nazionali di gestione del debito. Tuttavia una politica di bilancio improntata all'austerità non è sufficiente per rimediare a questa situazione. C'è bisogno sia di strategie di gestione del debito coerenti che di strumenti finanziari comuni, che possono finanziare la crescita europea in un momento in cui i livelli eccessivi di debito nazionale vengono ridotti.
2.10 La risposta dell'UE alla crisi non può essere affidata solo alle parole "rigore, austerità, tagli, sacrifici" a prescindere dalle conseguenze. Per non parlare della valutazione e della separazione tra "virtuosi" e "non-virtuosi", che spesso non rende giustizia alla verità e alle effettive responsabilità. Un tale approccio genera risentimenti, egoismi, rancore ed amarezza, anche culturale, e sfocia in meschine rivalse nonché in un populismo pericoloso per l'Europa. A monte c'è un errore di diagnosi, una visione moralistica della crisi che impedisce ai cosiddetti "virtuosi" di aiutare gli altri.
2.11 Il binomio austerità-crescita rappresenta un dilemma da cui l'UE deve uscire, anche col consenso dei suoi cittadini, agendo su un duplice piano, contemporaneamente, come indicato nei due punti seguenti.
2.12 Da un lato occorre formulare una nuova proposta, più avanzata, sul debito sovrano, che preveda la riduzione dei livelli di indebitamento e il mantenimento della responsabilità degli Stati membri, scoraggiando gli attacchi della speculazione, sulla base di una solidarietà comune, sulla base dei principi del Trattato. La difesa dell'euro, che è prima di tutto una questione politica, andrebbe a vantaggio di tutti i paesi, in particolare di quelli più ricchi, ed eviterebbe la situazione paradossale del sogno iniziale di una moneta unica diventata un incubo per i cittadini dell'UE.
2.13 La seconda proposta deve mirare a infondere fiducia nelle popolazioni europee. Bisogna perciò mettere in atto un programma di azione sul piano economico, sociale e culturale per realizzare le ambizioni del programma europeo di ripresa economica 2020, prevedendo i finanziamenti necessari. Occorre inoltre una grande idea, una sorta di "Nuovo patto" europeo, sulla scorta, ad esempio, del New Deal americano. Come noto, lo stesso "piano Marshall", oltre a favorire il risanamento del dopoguerra, ha consentito a tutti i paesi europei uno sviluppo durevole, basato su competitività, produttività, occupazione, stato sociale, prosperità e, prima di tutto, sul consenso (partecipazione e partenariato sociale).
2.14 L'UE pertanto deve fare il massimo sforzo per rispondere con una voce unica agli interrogativi dei mercati, che hanno dimostrato tutto il loro limite agendo senza regole e senza controllo. Tuttavia ciò non richiede l'adesione unanime di tutti gli Stati membri ai nuovi strumenti finanziari. Si può sfruttare in questo ambito il principio della ‧cooperazione rafforzata‧. Piuttosto che ridurre l'Eurozona ad un "nocciolo duro" di paesi che potrebbero subirne un pregiudizio, si dovrebbe permettere ai paesi sotto attacco speculativo di trasferire una quota rilevante del proprio debito in un conto di debito europeo, a vantaggio di tutti gli Stati membri.
3. Union bond per la stabilizzazione del debito sovrano
3.1 In Europa, il debito sovrano non può ormai più definirsi tale. I limiti e gli errori degli Stati e dell'UE, uniti alla mancanza di un quadro efficace per la supervisione e la vigilanza degli istituti finanziari, hanno facilitato il comportamento predatorio contro le valute nazionali (8). Approfittando anche di una cattiva gestione delle finanze pubbliche, è stata compromessa la sovranità di alcuni Stati membri più vulnerabili.
3.2 Il CESE ritiene indispensabile consolidare la disciplina dei conti pubblici di alcuni paesi, anche attraverso riforme strutturali eque e condivise. Nel più lungo termine potrebbe esistere un'unione fiscale con un ministro dell'Economia e del Tesoro dell'Eurozona. È una sfida alla ragione avere un'unica politica monetaria (e di bilancio) e 17 differenti politiche del debito. Peraltro, nell'immediato, occorre predisporre misure tempestive per stabilizzare il debito sovrano, oltre ad una gestione comune dei bilanci dei paesi membri attraverso il controllo da parte dell'UE.
3.3 Occorrerebbe inoltre assicurare un più alto profilo politico al fatto che, se alcuni Stati membri sono fortemente indebitati, l'Unione in sé ha tuttora un debito praticamente pari a zero e, prima del maggio del 2010 e dell'avvio dei buy out del debito di alcuni Stati membri, non ne aveva affatto. Anche dopo tali operazioni di buy out e di salvataggio di banche, il debito dell'UE è pari a poco più dell'1 % del suo PIL: un rapporto debito/PIL pari a meno di un decimo di quello che esisteva negli anni Trenta negli Stati Uniti, quando l'amministrazione Roosevelt iniziò a convertire i risparmi in investimenti mediante l'espansione dell'emissione di buoni del Tesoro federale (9). A differenza degli Stati Uniti di allora, l'UE avrebbe il vantaggio di poter fare tesoro di questo precedente in materia di bond.
3.4 La sovranità degli Stati membri può ora essere ripristinata dall'Unione, che consentirebbe così ai governi nazionali di tornare a esercitare il loro ruolo, oggi usurpato dai mercati finanziari, grazie a un rafforzamento della sorveglianza e della responsabilità dei soggetti del mercato finanziario, comprese le agenzie di rating del credito. Per far ciò, tuttavia, non sono necessari buy out del debito, garanzie sovrane congiunte o trasferimenti fiscali. Ad esempio, nel finanziare il "New Deal", l'amministrazione Roosevelt non procedette a un buy out del debito pubblico dei singoli Stati dell'Unione né impose loro di garantire i bond emessi dal Tesoro federale o di effettuare trasferimenti fiscali. Gli Stati Uniti emettono buoni del Tesoro il cui servizio è finanziato mediante imposte federali. Sennonché, a differenza degli Stati Uniti, l'Unione europea non ha una politica fiscale comune. Tuttavia, gli Stati membri possono finanziare la quota delle loro obbligazioni nazionali convertita in Union bond senza necessità di trasferimenti fiscali tra di loro.
3.5 Con l'adozione di una strategia di austerità in risposta ai mercati finanziari, il Programma europeo di ripresa economica (European Economic Recovery Programme - EERP) è stato accantonato. La maggior parte dell'elettorato non è neppure a conoscenza dell'impegno dell'UE in questo senso, ma è ben consapevole dei sacrifici che le vengono chiesti per il salvataggio di banche e hedge funds. Nel grande pubblico, anzi, vi è in genere ben poca consapevolezza della stessa esistenza di tale programma.
3.6 La conversione di una quota di debito nazionale in debito dell'UE potrebbe essere effettuata anche mediante una cooperazione rafforzata, con Stati membri chiave come la Germania che continuerebbero a detenere le loro obbligazioni nazionali. È vero che, ai sensi del Trattato di Lisbona, la cooperazione rafforzata riguarda una minoranza di Stati membri; tuttavia, la stessa introduzione dell'euro ha di fatto rappresentato un caso di cooperazione rafforzata tra una maggioranza di paesi dell'UE. L'Istituto Bruegel ha proposto di creare una nuova istituzione con il compito di detenere le obbligazioni risultanti dalla conversione dei debiti sovrani degli Stati membri in debito dell'Unione (10), ma una nuova istituzione non è necessaria.
3.7 La quota del debito nazionale convertita in Union bond potrebbe essere detenuta dal Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) – e poi dal futuro meccanismo europeo di stabilità (MES) – in un apposito conto di conversione, anziché essere oggetto di negoziazioni (11). Ciò metterebbe al riparo tali bond dalla speculazione. Gli investitori potrebbero conservare i loro attivi fino alla scadenza delle obbligazioni al tasso d'interesse prevalente. Ciò eviterebbe anche l'azzardo morale ("moral hazard") perché le obbligazioni in un conto di debito non potrebbero essere usate per la creazione di credito. Il vantaggio sia per i governi che per gli obbligazionisti è che il rischio di default da parte di alcuni Stati membri verrebbe significativamente ridotto.
4. Eurobond, per ripristinare la ripresa e la crescita sostenibile
4.1 I recenti sviluppi hanno evidenziato la necessità che l'Unione persegua una governance economica e sociale comune, in linea con l'unità creata grazie alla moneta comune, al fine di affrontare con più efficacia i crescenti squilibri macroeconomici. Sinora, tuttavia, la Commissione e il Consiglio hanno affrontato soltanto la questione della stabilità, accantonando la necessità di riavviare la crescita.
4.2 Ciò ignora la dimensione sociale, nonché le dimensioni globali di una protratta austerità, malgrado l'importanza per le economie emergenti di una domanda europea sostenuta per le loro esportazioni. Inoltre trascura il fatto che il finanziamento del ripristino del processo di crescita non deve necessariamente effettuarsi mediante trasferimenti fiscali tra Stati membri, ma piuttosto può attuarsi riciclando i surplus delle economie emergenti.
4.3 Ad esempio, uno degli argomenti addotti con forza da diverse proposte apparse sulla stampa, che echeggiano la proposta dell'Istituto Bruegel e quella precedente (del 1993) di Delors in materia di Union bond, è che le emissioni nette di Eurobond attirerebbero surplus dalle banche centrali dei paesi emergenti e dai fondi sovrani, producendo un effetto moltiplicatore.
4.4 Questi afflussi finanziari verso gli Eurobond potrebbero tradurre in realtà l'impegno assunto fin dal 2008 dagli Stati membri e dal Parlamento europeo a favore del citato Programma europeo di ripresa economica. Anche se inizialmente l'emissione di tali bond sarebbe incrementale, l'afflusso cumulativo di una quota dei circa 3 000 miliardi di dollari USA di surplus delle banche centrali dei paesi emergenti e dei fondi sovrani sarebbe considerevole.
4.5 L'importo di tali afflussi, anzi, potrebbe giungere a eguagliare o superare quello delle risorse proprie della Commissione, e tutto ciò senza bisogno di quei trasferimenti fiscali cui la Germania e altri Stati membri si oppongono. Inoltre tali afflussi potrebbero cofinanziare gli investimenti del gruppo BEI nei settori della politica di coesione relativi alla salute, all'istruzione, al rinnovamento urbano e all'ambiente.
4.6 La BEI ha ricevuto un mandato relativo agli obiettivi di coesione e di convergenza con il Programma d'azione speciale di Amsterdam del 1997 e da allora la BEI ha quadruplicato con successo il volume dei suoi prestiti per la finanza d'investimento. Un'ulteriore quadruplicazione degli investimenti della BEI avrebbe un effetto equivalente a quello del Piano Marshall varato nel dopoguerra dagli Stati Uniti (12). Tuttavia, a differenza del Piano Marshall o dei fondi strutturali, la sua attività di finanza non sarebbe basata su sovvenzioni, ma sposterebbe i risparmi verso gli investimenti. Attraverso i moltiplicatori economici, questi investimenti genererebbero una domanda sostenuta nel settore privato e una crescita dell'occupazione. Ciò ristabilirebbe la fiducia sia sui mercati che nell'opinione pubblica sul fatto che le misure di austerità possano essere sostituite da un più elevato tenore di vita e da un maggiore livello di benessere. La crescita e maggiori livelli di occupazione genererebbero anche entrate fiscali dirette e indirette che potrebbero contribuire alla riduzione del debito e del disavanzo.
5. Il contesto giuridico-istituzionale della proposta
5.1 Gli Union bond e il Fondo europeo di stabilità finanziaria
5.1.1 |
Il FESF potrebbe detenere la quota di debito nazionale convertita in Union bond in un apposito conto di conversione: ciò sarebbe coerente con i suoi compiti di stabilizzazione. E potrebbe far ciò anche se è destinato ad essere sostituito, nel luglio 2012, dal meccanismo europeo di stabilità, MES (European Stability Mechanism - ESM), che a quel punto deterrebbe il debito convertito. |
5.1.2 |
Il principio che il debito convertito in Union bond non debba essere oggetto di negoziazioni avrebbe protetto il FESF dalla "retrocessione" da parte delle agenzie di valutazione e dei mercati obbligazionari. la detenzione delle obbligazioni in un conto di debito dovrebbe rassicurare la Germania e altri Stati membri che le obbligazioni nazionali convertite in Union bond non possono essere utilizzate per la creazione di credito. |
5.2 I compiti del FEI e gli Eurobond
5.2.1 |
Non vi è alcuna necessità di coinvolgere la BCE nelle emissioni nette di obbligazioni. Inizialmente si era previsto che ad emettere le obbligazioni dell'Unione europea dovesse essere il FEI, istituito nel 1994 ed entrato a far parte del gruppo BEI nel 2000. Il compito affidato al FEI era in primo luogo quello di far sì che alla moneta comune corrispondessero obbligazioni comuni, mentre suo compito secondario era il sostegno finanziario alle piccole e medie imprese e alle nuove start-up ad alta tecnologia. Dal 1994 ad oggi, tuttavia, quest'ultima è la sola funzione assolta dal Fondo (13). |
5.2.2 |
La concezione iniziale del FEI teneva conto del fatto che una moneta unica avrebbe privato gli Stati membri della possibilità di ricorrere alla svalutazione per riequilibrare la bilancia dei pagamenti e che mancava il sostegno politico per effettuare trasferimenti fiscali nella misura raccomandata dalla relazione MacDougall (14). Tuttavia, sulla base del precedente "New Deal", riconosceva anche che le obbligazioni europee avrebbero potuto finanziare politiche strutturali, sociali e regionali, come suggerito già nel 1956 dalla relazione Spaak per un mercato comune (15). Ciò era inoltre in linea con gli obiettivi della relazione MacDougall, che invocava politiche occupazionali e regionali "strutturali e cicliche" che riducessero le disparità tra regioni in materia di dotazione di capitali e produttività. |
5.3 I compiti del FEI in materia di capitali di rischio
5.3.1 |
La raccomandazione del 1993 di sostenere attraverso il FEI le piccole e medie imprese non riguardava solo la concessione di garanzie sul loro capitale o di prestiti a loro favore, ma anche un Fondo europeo per i capitali di rischio con una dotazione di bilancio fino a 60 milioni di ecu e una competenza specifica in materia di finanziamento delle start-up ad alta tecnologia. |
5.3.2 |
Finanziate tramite bond dell'Unione, le risorse di tale Fondo sarebbero state investite nell'arco di diversi anni ma avrebbero avuto un potenziale macroeconomico. Una gestione solida del Fondo, in cooperazione con agenzie di credito nazionali ed enti di sviluppo regionale - conoscitori della situazione delle PMI locali -, avrebbe dovuto assicurare la possibilità di finanziare i bond con i rendimenti del capitale proprio delle PMI, qualora il successo di tali aziende lo avesse consentito. |
5.3.3 |
L'obiettivo era compensare la relativa scarsità di capitali di rischio privati in Europa (rispetto agli Stati Uniti), ridurre la dipendenza delle PMI da prestiti a tasso fisso che penalizzavano le nuove start-up prima che potessero conquistarsi un mercato, e rafforzare così l'innovazione e la competitività a livello microeconomico, con ricadute positive a livello macroeconomico e sociale. |
5.3.4 |
Fin dall'istituzione del FEI (1994), la sua funzione di garanzia di capitali di rischio piuttosto che di prestiti è stata trascurata, con il risultato che, al momento della sua integrazione nel gruppo BEI (2000), il Fondo aveva fornito garanzie per le PMI soltanto per 1 miliardo di ecu. La concezione originaria del FEI – quella di uno strumento microeconomico con effetti macroeconomici – è stata rilanciata solo nel settembre 2008, quando il Consiglio Ecofin di Nizza ha varato un programma di sostegno alle PMI per 30 miliardi di euro, anche se sempre solo tramite prestiti piuttosto che iniezioni di capitale proprio. |
5.3.5 |
Per il FEI, una funzione di fondo di capitali di rischio, piuttosto che quella esclusiva di un fondo di prestiti, dovrebbe ora essere presa nuovamente in considerazione nel quadro delle emissioni nette di Eurobond, come complemento alla conversione di una quota del debito degli Stati membri in debito dell'Unione. |
5.4 La BEI
5.4.1 |
La BEI ha sempre emesso obbligazioni proprie e ha espresso una netta preferenza per mantenere la loro identità distinta da quelle delle obbligazioni dell'UE. Ciò è giustificato. Anzitutto, la BEI emette le proprie obbligazioni eminentemente nel quadro della finanza di progetto e riterrebbe opportuno mantenere tale specifica identità. In secondo luogo, si è supposto che il servizio del debito relativo alle emissioni di Eurobond richiedesse trasferimenti fiscali, mentre il servizio del debito della BEI avviene con le entrate provenienti dai progetti da essa finanziati. In terzo luogo, i trasferimenti fiscali potrebbero richiedere un aumento delle risorse proprie della Commissione, il che appare improbabile. La BEI è inoltre preoccupata per un peggioramento del suo rating conseguente ad un suo coinvolgimento nella stabilizzazione del debito. |
5.5 Complementarità tra le funzioni della BEI e quelle del FEI
5.5.1 |
Tuttavia queste riserve non sarebbero valide per le emissioni nette di Eurobond da parte del Fondo europeo per gli investimenti. Benché facciano parte del medesimo gruppo, la BEI e il FEI sono istituzioni diverse. Pertanto, gli Eurobond del FEI sarebbero distinti dalle obbligazioni della BEI e dagli Union bond per la stabilizzazione del debito detenuti dal FESF. |
5.5.2 |
Le emissioni di Eurobond da parte del FEI potrebbero completare le obbligazioni emesse dalla BEI per il finanziamento congiunto di progetti. Il pagamento degli interessi su tali obbligazioni potrebbe essere effettuato a partire dagli introiti dei progetti di investimento piuttosto che con trasferimenti fiscali. La BEI manterrebbe il controllo, riservandosi la competenza ad approvare e gestire i progetti, salvaguardando così le sue prerogative in materia di gestione in questo campo. |
5.5.3 |
Ove si rendesse necessario l'impegno di partner locali, che è per essa un aspetto importante, la BEI potrebbe ottenerlo grazie alla cooperazione nella gestione di progetti con istituzioni di credito nazionali quali la Caisse des Depôts et Consignations francese, la Cassa Depositi e Prestiti italiana e la Kreditanstalt für Wiederaufbau tedesca. |
5.6 Il FEI e la gestione delle obbligazioni
5.6.1 |
Per gestire le emissioni di obbligazioni sul mercato aperto, ossia per svolgere la funzione fondamentale per cui è stato concepito, il FEI avrebbe bisogno di una nuova organizzazione aziendale. Ciò richiederebbe un team composto da persone dotate di elevate competenze professionali, ma per questo il FEI potrebbe attingere dalla BEI e cooperare con gli organismi nazionali incaricati della gestione del debito pubblico. Inoltre, dato che l'emissione di Eurobond sarebbe incrementale, il FEI potrebbe creare il nuovo team gradualmente nel corso del tempo. |
5.6.2 |
Il Consiglio Ecofin è l'organo di governo del gruppo BEI. La decisione di far emettere degli Eurobond dal FEI non renderebbe necessaria alcuna revisione dei trattati, così come non ve ne fu bisogno per l'istituzione del Fondo nel 1994. |
5.7 Per stabilire i criteri per un Programma europeo di ripresa economica, non vi è bisogno di una decisione del Consiglio Ecofin o di una proposta della Commissione. Sin dal Programma d'azione speciale di Amsterdam e dai Consigli europei di Lussemburgo (1997) e Lisbona (2000), la BEI ha ricevuto dal Consiglio una serie di mandati, in materia sia di coesione che di convergenza, ad investire in sanità, istruzione, rinnovamento urbano, ambiente urbano, tecnologie "verdi" e sostegno finanziario alle PMI e alle nuove start-up ad alta tecnologia, nonché nelle reti transeuropee di trasporti e comunicazioni.
5.8 Dal 1997 ad oggi la BEI è riuscita a quadruplicare il volume annuo di finanziamenti per investimenti, portandolo a un livello pari ai due terzi delle risorse proprie della Commissione. Quadruplicando ancora questi importi entro il 2020, anche grazie al cofinanziamento derivante dagli investimenti in Eurobond da parte di banche centrali e fondi sovrani di paesi con economie eccedentarie, potrebbe tradurre in realtà il Programma europeo di ripresa economica. Ciò è tanto più vero in quanto è provato che l'effetto moltiplicatore degli investimenti è pari a tre, ed è quindi doppio o triplo rispetto a quello dei moltiplicatori fiscali (16).
Bruxelles, 23 febbraio 2012
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Staffan NILSSON
(1) Commissione europea, Libro verde sulla fattibilità dell'introduzione di stability bond, (COM(2011) 818 final), 23 novembre 2011.
(2) Consiglio europeo, Progetto di Trattato in materia di stabilità, coordinamento e governance nell'Unione economia e monetaria, 10 gennaio 2012.
(3) Va notato che la definizione di Eurobond adottata nel presente parere non è immediatamente riferibile a quella elaborata da altre fonti. Il Libro verde della Commissione europea analizza le condizioni di fattibilità degli stability bond con un significato simile a quello degli Union bond proposti nel presente parere, ma con la differenza di presumere che queste obbligazioni avrebbero bisogno di garanzie in solido. Altre proposte, ad esempio quelle elaborate da Lorenzo Bini Smaghi, utilizzano il termine Eurobond nello stesso quadro del raggiungimento della stabilità, mentre nel presente parere il termine si riferisce alle emissioni nette di obbligazioni per rilanciare e sostenere la ripresa economica Cfr. Von Weizäcker, J. e Delpla, J. (2010), The Blue Bond Proposal, The Bruegel Institute - Policy Brief 2010:3; Schmidt, C. M et al, (2011), Proposal for a European Redemption Pact, November 9th. Sachverständigenrat zu Begutachtung der gesamtwirtshaftlichen Entwicklung.
(4) A partire dalla realizzazione del mercato unico, come proposto dalla relazione Monti.
(5) Holland, Stuart (1993), The European Imperative: Economic and Social Cohesion in the 1990s ("L'imperativo europeo: la coesione economica e sociale negli anni '90"), prefazione di Jacques Delors, Nottingham: Spokesman Press.
(6) I possessori privati dei titoli godrebbero così di notevoli vantaggi rispetto al rischio di bancarotta in quanto i titoli nazionali verrebbero convertiti alla pari con gli Union bond al tasso di interesse preesistente.
(7) Gli Stati membri che desiderino stabilire una cooperazione rafforzata tra di loro nel quadro delle competenze non esclusive dell'Unione possono far ricorso alle sue istituzioni ed esercitare tali competenze applicando le pertinenti disposizioni dei Trattati nei limiti e con le modalità previsti nell'articolo 20 (TUE) e negli articoli 326-334 (TFUE). La cooperazione rafforzata è intesa a promuovere la realizzazione degli obiettivi dell'Unione, a proteggere i suoi interessi e a rafforzare il suo processo d'integrazione. È aperta in qualsiasi momento a tutti gli Stati membri. La decisione che autorizza una cooperazione rafforzata è adottata dal Consiglio in ultima istanza, qualora esso stabilisca che gli obiettivi ricercati da detta cooperazione non possono essere conseguiti entro un termine ragionevole dall'Unione nel suo insieme, e a condizione che vi partecipino almeno nove Stati membri. Gli atti adottati nel quadro di una cooperazione rafforzata vincolano solo gli Stati membri partecipanti e non sono considerati un acquis che deve essere accettato dagli Stati candidati all'adesione all'Unione (articolo 20 TUE). Tutti i membri del Consiglio possono partecipare alle deliberazioni in merito a una cooperazione rafforzata, ma solo i membri del Consiglio che rappresentano gli Stati membri partecipanti a una cooperazione rafforzata prendono parte al voto (articolo 330 TFUE).
(8) Cfr. il parere del CESE in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1060/2009 relativo alle agenzie di rating del credito, pubblicato sulla GU C 54 del 19.2.2011, pag. 37.
(9) Gli Stati Uniti optarono per un finanziamento in disavanzo solo durante il secondo mandato del Presidente Roosevelt. Tuttavia, sia nel primo che nel secondo mandato presidenziale, il principale motore della ripresa dalla Grande depressione fu rappresentato dagli investimenti sociali e ambientali finanziati con i bond federali: un esempio che l'Europa potrebbe ora seguire per uscire dalla crisi.
(10) Von Weizäcker, J. e Delpla, J., The Blue Bond Proposal, nel Bruegel Institute Policy Brief, 2010, n. 3.
(11) I possessori privati dei titoli non commerciabili sul mercato potrebbero venderli al MES, se necessario, al valore nominale, fino al raggiungimento della soglia fissata.
(12) Da un sondaggio di opinione condotto alla metà degli anni 1950 su 2 000 persone in Francia, Norvegia, Danimarca, Paesi Bassi, Austria e Italia, emerse che l'80 % degli intervistati conosceva il Piano Marshall e il 25-40 % ne comprendeva il funzionamento.
(13) Holland, S., The European Imperative: Economic and Social Cohesion in the 1990s (con prefazione di Jacques Delors), 1993.
(14) Ossia dal 5 al 7 % del PIL (Commissione europea, Report of the Study Group on the Role of Public Finance in European Integration, 1977).
(15) Comitato intergovernativo sull'integrazione europea, Report on the General Common Market, 1956 ("relazione Spaak").
(16) Creel, J., Monperrus-Veroni, P., e Saraceno, F., Has the Golden Rule of public finance made a difference in the United Kingdom? in Working Papers dell'Observatoire Français des Conjonctures Économiques, 2007, n. 13.