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Document 52009IE0049

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale

GU C 182 del 4.8.2009, p. 19–23 (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

4.8.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 182/19


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale

COM(2008) 426 def. — 2008/0140 (CNS) (supplemento di parere)

(2009/C 182/04)

Relatore: CROOK

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 23 ottobre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, lettera A delle Modalità d'applicazione del Regolamento interno, di elaborare un supplemento di parere in merito alla:

Proposta di direttiva del Consiglio recante applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale

COM(2008) 426 def. (supplemento di parere d'iniziativa).

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha adottato il proprio parere in data 10 dicembre 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore CROOK.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 gennaio 2009, nel corso della 450a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 183 voti favorevoli, 7 voti contrari e 18 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si compiace della proposta di direttiva in esame, che tiene ampiamente conto delle raccomandazioni formulate nel suo recente parere d'iniziativa Estendere le misure antidiscriminazione al di là del settore dell'occupazione  (1) e che dovrebbe portare all'uniformazione in tutta l'UE delle norme di tutela contro le discriminazioni di cui all'articolo 13 del Trattato CE.

1.2   Il CESE è tuttavia del parere che in taluni settori la direttiva offra un livello di protezione inferiore rispetto a quanto attualmente previsto nell'ambito delle direttive sull'uguaglianza razziale e sulla parità di genere.

1.3   Questo vale per l'articolo 2, che consente deroghe al divieto di discriminazione, in special modo per quanto concerne i servizi finanziari. Il CESE raccomanda di applicare anche all'età e alla disabilità gli stessi criteri di trasparenza, revisione e controllo previsti per la parità di genere.

1.4   Il CESE ritiene che i limiti fissati dall'articolo 3, che definisce il campo d'applicazione del testo in esame, e le ampie deroghe da esso autorizzate comprometteranno l'efficacia dell'intera direttiva.

1.5   Esso reputa che l'obbligo per i fornitori di beni e servizi di adottare misure preventive che rispondano alle esigenze dei disabili e di fornire soluzioni ragionevoli sia troppo limitato, così com'è formulato all'articolo 4.

1.6   Il CESE rileva che gli organismi di parità previsti all'articolo 12, contrariamente a quelli istituiti ai sensi delle direttive sull'uguaglianza razziale e sulla parità di genere, non sono competenti in materia di occupazione e raccomanda di colmare questa lacuna con l'aggiunta di un nuovo considerando.

1.7   Il CESE si rammarica che la direttiva non affronti in modo adeguato il problema della discriminazione multipla e invita la Commissione a presentare una raccomandazione in merito.

2.   Quadro generale

2.1   Nel succitato parere d'iniziativa, il CESE ha preso in esame la legislazione comunitaria e nazionale vigente in materia di antidiscriminazione, giungendo alla conclusione che è «ormai necessaria una nuova legislazione UE che proibisca le discriminazioni basate sulla religione, sulle convinzioni personali, sulla disabilità, sull'età e sull'orientamento sessuale anche al di fuori del settore dell'occupazione».

2.2   Avendo avuto l'opportunità di esaminare i contenuti della proposta di direttiva del Consiglio, presentata dalla Commissione, recante applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale e rilevando che talune delle sue dichiarate preoccupazioni non sono state pienamente affrontate, il CESE ha deciso di formulare un supplemento di parere sulla direttiva proposta.

2.3   Il CESE si compiace del fatto che molte delle disposizioni contenute nella proposta di direttiva riprendono le norme delle altre direttive basate sull'articolo 13, quali le definizioni di discriminazione diretta e indiretta e di molestie, le norme relative all'applicazione e ai rimedi giuridici, compresa l'inversione dell'onere della prova, e la protezione contro le ritorsioni e le sanzioni, che devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive. Come nel caso della direttiva sull'uguaglianza razziale (2), il campo d'applicazione della proposta di direttiva comprende la protezione sociale, inclusa l'assistenza sanitaria, le prestazioni sociali, l'istruzione e l'accesso a beni e servizi, incluso l'alloggio (pur introducendo, come si è già accennato prima, restrizioni ed esclusioni che potrebbero limitarne la portata).

2.4   Nelle osservazioni che seguono, il CESE si concentra su alcune disposizioni particolari che, a suo giudizio, potrebbero esplicitamente o implicitamente offrire un grado inferiore di protezione dalla discriminazione per motivi di religione o convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale rispetto alle direttive sull'uguaglianza razziale e sulla parità di genere.

3.   Commenti su alcuni articoli specifici

3.1   Articolo 2

L'articolo 2 enuncia il concetto di discriminazione; ai paragrafi 1, 2, 3 e 4 del suddetto articolo figurano le stesse definizioni dei concetti chiave contenute nelle altre direttive basate sull'articolo 13. L'articolo 2, paragrafo 5, considera il rifiuto di una soluzione ragionevole ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 1, lettera b) della stessa direttiva come una forma di discriminazione vietata.

3.1.1.1   Per garantire il corretto recepimento della direttiva nelle legislazioni nazionali, vista la sentenza della Corte europea di giustizia nella causa Coleman contro Attridge Law, che ha confermato che il divieto di discriminazione fondata sulla disabilità, previsto dalla direttiva 2000/78/CE, si applica anche a una persona che sia in rapporto con un disabile (3), il CESE ritiene che si debba specificare chiaramente nella direttiva che rientra nel campo di applicazione della stessa anche la discriminazione fondata sull'esistenza di un rapporto con persone che abbiano una determinata religione o convinzioni personali, disabilità, età od orientamento sessuale.

L'articolo 2, paragrafo 6, consente agli Stati membri di prevedere che le disparità di trattamento in ragione dell'età non costituiscano discriminazione laddove «esse siano giustificate da una finalità legittima e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari».

3.1.2.1   Il CESE ha raccomandato (4) di estendere anche ai disabili, sulla base delle stesse valutazioni di legittimità, la possibilità di un trattamento preferenziale: ciò si affiancherebbe alle norme tese a garantire un accesso efficace ai sensi dell'articolo 4.

3.1.2.2   Sarebbe opportuno precisare che una finalità, per definirsi «legittima», deve essere necessariamente coerente con il principio della parità di trattamento, ad esempio, nel favorire la partecipazione del gruppo in questione alla vita pubblica in condizioni di parità.

L'articolo 2, paragrafo 7, autorizza gli Stati membri a introdurre «differenze proporzionate di trattamento» nell'ambito dell'offerta dei servizi finanziari ove «i fattori età e disabilità siano determinanti nella valutazione dei rischi, in base a dati attuariali o statistici pertinenti e accurati».

3.1.3.1   Il CESE teme che tale ampia deroga perpetui i ben documentati svantaggi che incontrano giovani, anziani e disabili nei servizi bancari e in una seria di prodotti assicurativi.

3.1.3.2   Si tratta di una situazione in netto contrasto con quanto stabilito dalla direttiva sulla parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi (5), che contempla sì la possibilità per gli Stati membri di autorizzare differenze di genere in relazione a premi assicurativi e prestazioni individuali, ma solo in base ad accurati dati attuariali compilati, pubblicati e regolarmente aggiornati; gli Stati membri sono poi chiamati a riesaminare la loro decisione dopo cinque anni.

3.1.3.3   Il CESE ammette che alcune attività possono comportare maggiori rischi per determinate fasce di età o per le categorie affette da certi tipi di disabilità; tuttavia, l'articolo 2, paragrafo 7, ammette un campo d'applicazione troppo ampio per i premi differenziati senza imporre agli assicuratori l'obbligo di divulgare i dati attuariali. I potenziali clienti non sono così in grado di sapere se i prezzi differenziati siano o meno giustificati e gli operatori in concorrenza non vengono in alcun modo incentivati a offrire prezzi più equi.

3.1.3.4   Anche laddove i prezzi differenziati risultino giustificati, la diffusione dei dati attuariali o statistici è necessaria a garantire la proporzionalità richiesta ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 7.

3.1.3.5   Il CESE raccomanda di applicare anche all'età e alla disabilità gli stessi criteri di trasparenza, revisione e controllo richiesti agli Stati membri nel caso della parità di genere. La proposta di direttiva dovrebbe consentire agli Stati membri di ammettere differenze di trattamento solo chiedendo ai fornitori di servizi finanziari di pubblicare dati attuariali o statistici aggiornati attinenti alla particolare attività a «rischio», ad esempio la guida, i viaggi o il rimborso di prestiti ipotecari, e alla fascia d'età o alla particolare disabilità in questione. Tali dati andrebbero rivisti periodicamente per rilevare qualsiasi variazione del rischio e dopo un periodo stabilito sarebbe opportuno che gli Stati membri rivedessero le basi del trattamento differenziato e considerassero la graduale condivisione dei rischi e la perequazione dei premi.

3.2   Articolo 3

L'articolo 3 definisce il campo d'applicazione della direttiva proposta, vale a dire i settori di attività cui si applica il divieto di discriminazione per motivi di religione o convinzioni personali, disabilità, età od orientamento sessuale.

3.2.1.1   Il CESE si compiace del fatto che il campo d'applicazione della direttiva, definito all'articolo 3, paragrafo 1, lettere da a) a d) rispecchia quello della direttiva sull'uguaglianza razziale (6), come raccomandato dal CESE stesso (7).

3.2.1.2   Dopo aver introdotto all'articolo 3, paragrafo 1, lettera d) il divieto di discriminazione nel settore relativo all'«accesso a beni e servizi e la loro fornitura, inclusi gli alloggi», la proposta di direttiva stabilisce altresì che «la lettera d) si applica agli individui solo se esercitano una propria attività commerciale o professionale».

3.2.1.3   Tale deroga, che figura anche al considerando 16, non è contemplata dalla direttiva sull'uguaglianza razziale. Il CESE teme che, in assenza di una definizione dei termini «commerciale o professionale», la mancanza di chiarezza finisca per indebolire l'impatto della direttiva. Se, come suggerisce la Commissione (8), lo scopo è quello di escludere le transazioni fra privati, il CESE fa notare che tale precisazione è insita nel fatto che si sta parlando esclusivamente di beni e servizi a disposizione del pubblico. Inoltre, il considerando 17 stabilisce che: «Oltre a vietare la discriminazione, è importante che al tempo stesso vengano rispettati […] la tutela della vita privata e familiare e delle transazioni effettuate in questo ambito.»

L'articolo 3, paragrafo 2, non stabilisce alcun tipo di tutela contro le discriminazioni dovute ai quattro succitati motivi per quanto concerne la prassi nell'ambito del diritto nazionale in materia di stato coniugale o di famiglia e diritti di riproduzione.

3.2.2.1   Il CESE riconosce che lo stato coniugale, lo stato di famiglia e i diritti di riproduzione sono questioni che rientrano fra le competenze legislative degli Stati membri, ma non accetta che tali competenze debbano negare totalmente la possibilità di una protezione giuridica a livello comunitario nei confronti delle discriminazioni.

3.2.2.2   Stato coniugale. Con riferimento alle prerogative nazionali in merito alla regolamentazione dello stato coniugale, la Corte di giustizia ha recentemente stabilito che «lo stato civile e le prestazioni che ne derivano costituiscono materie che rientrano nella competenza degli Stati membri e il diritto comunitario non pregiudica tale competenza. Tuttavia, occorre ricordare che gli Stati membri, nell'esercizio di detta competenza, devono rispettare il diritto comunitario, in particolare le disposizioni relative al principio di non discriminazione» (9).

3.2.2.3   Stato di famiglia. Il concetto di «stato di famiglia» non viene definito e risulta pertanto troppo vago per essere usato come fondamento per l'esclusione dal campo d'applicazione della direttiva.

3.2.2.4   Diritti di riproduzione. Il CESE considera l'accesso ai servizi riproduttivi come parte integrante dei servizi sanitari, e a tale riguardo non dovrebbe essere ammessa alcuna discriminazione per qualsivoglia motivo, sia nell'ambito della legislazione nazionale che di quella comunitaria. Esistono prove di discriminazione nell'ambito dei servizi riproduttivi per motivi di orientamento sessuale, disabilità ed età. Inoltre, poiché sono le donne che chiedono e utilizzano i servizi riproduttivi, la scelta di non fornire una tutela contro la discriminazione in tale settore potrebbe costituire una discriminazione per motivi di genere, oltre che per ragioni di disabilità, età od orientamento sessuale.

3.2.2.5   Pertanto, il CESE è del parere che sia opportuno riconsiderare l'articolo 3, paragrafo 2, nel suo insieme e che qualsiasi formulazione definitiva debba precisare che le normative nazionali in materia di stato coniugale o di famiglia e diritti di riproduzione devono essere attuate senza discriminazioni nei confronti di nessun individuo e in relazione a nessuno dei motivi considerati nella direttiva.

3.2.2.6   L'articolo 3, paragrafo 3, stabilisce che il divieto di discriminazione in materia di istruzione è soggetto alle «responsabilità degli Stati membri per i contenuti dell'insegnamento, le attività e l'organizzazione dei propri sistemi d'istruzione, inclusa la messa a disposizione dell'insegnamento speciale.»

3.2.2.7   Il CESE teme che tale deroga, che non figura nella direttiva sull'uguaglianza razziale e che oltrepassa le disposizioni specifiche dell'articolo 149 del Trattato CE in materia d'istruzione (10), possa limitare eccessivamente l'impatto della direttiva al fine di eliminare discriminazione e molestie dalle scuole e dagli altri istituti d'istruzione.

3.2.2.8   Il CESE fa notare che l'articolo 150 del Trattato CE stabilisce, in termini quasi identici a quelli dell'articolo 149, che il contenuto e l'organizzazione della formazione professionale sono di competenza degli Stati membri, ma che la formazione professionale rientra nel campo d'applicazione della legislazione comunitaria antidiscriminazione senza alcuna restrizione (11).

3.2.2.9   L'esistenza di discriminazioni in tutta l'UE nel settore dell'istruzione per motivi di religione o convinzioni personali, disabilità, età od orientamento sessuale è stato uno dei principali incentivi per la formulazione della proposta di direttiva in esame. Il CESE è del parere che il divieto di discriminazione e la promozione della parità di trattamento nel campo dell'istruzione rivestano un'importanza così fondamentale per lo sviluppo di società democratiche e tolleranti, per lo sviluppo sociale ed economico e per il raggiungimento della coesione sociale da richiedere normative comunitarie destinate a tale finalità che risultino coerenti con i principi di sussidiarietà e proporzionalità di cui all'articolo 5 del Trattato CE.

3.2.2.10   È particolarmente importante stabilire un elevato grado di protezione dalla discriminazione nell'erogazione dell'insegnamento speciale, al fine di garantire un trattamento equo e leale di tutti i minori, indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale. Operando in tal senso non si interferirebbe con le politiche degli Stati membri in materia di istruzione separata o integrata, ma si garantirebbe l'attuazione di tali politiche senza discriminazione. La sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo nella causa D.H. e altri contro Repubblica ceca chiarisce in che modo le decisioni sui destinatari dell'istruzione speciale possano favorire modelli radicati di discriminazione in materia d'istruzione (12).

3.2.2.11   Il CESE è del parere che la coerenza nella tutela dalla discriminazione nell'istruzione sia particolarmente importante data la frequente sovrapposizione delle discriminazioni dovute alla razza o all'origine etnica con quelle dovute alla religione o alle convinzioni personali. Se una restrizione come quella introdotta all'articolo 3, paragrafo 3, non è stata necessaria nella direttiva sull'uguaglianza razziale, non è chiaro per quale motivo debba esserlo nella proposta di direttiva in esame.

3.2.2.12   Quali che siano i confini delle competenze degli Stati membri in materia d'istruzione, la direttiva dovrebbe stabilire esplicitamente che tutte queste funzioni devono essere esercitate senza discriminazioni.

3.2.2.13   La seconda frase dell'articolo 3, paragrafo 3, ammette differenze di trattamento nell'accesso agli istituiti scolastici sulla base di motivi di religione o convinzione; il CESE è del parere che la direttiva dovrebbe provvedere affinché tali istituzioni non siano in grado di discriminare sulla base di nessun altro motivo.

3.3   Articolo 4

L'articolo 4 riguarda la parità di trattamento nei confronti delle persone con disabilità.

3.3.1.1   La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (13) comprende una descrizione non esaustiva delle persone che rientrano in tale categoria. Gli Stati membri dell'UE dovrebbero tenere conto di tale descrizione nella fase di elaborazione delle normative nazionali tese a proteggere e promuovere i diritti dei disabili in tema di parità. Nella proposta di direttiva si dovrebbero includere degli orientamenti in tal senso.

3.3.1.2   Il CESE accoglie con favore il duplice approccio dell'articolo 4, teso a rimuovere le barriere di accesso alla protezione sociale, alle prestazioni sociali, all'assistenza sanitaria, all'istruzione e ai beni e servizi disponibili al pubblico, compresa la loro fornitura, inclusi gli alloggi e i trasporti. Tale approccio, che è in linea con le precedenti raccomandazioni del CESE (14), prevede sia l'obbligo di adottare misure preventive per soddisfare le esigenze di accesso delle persone con disabilità (articolo 4, paragrafo 1, lettera a)) che quello di offrire, in casi particolari, soluzioni ragionevoli che garantiscano un accesso non discriminatorio (articolo 4, paragrafo 1, lettera b)). L'articolo 2, paragrafo 5, considera la non osservanza dell'articolo 4, paragrafo 1, lettera b) una forma di discriminazione vietata. Il CESE raccomanda di chiarire nella direttiva il concetto di accesso «effettivo e non discriminatorio».

3.3.1.3   Il CESE guarda con preoccupazione alle tre restrizioni degli obblighi preventivi di cui all'articolo 4, paragrafo 1, lettera b), vale a dire il fatto che le misure adottate per soddisfare le esigenze di accesso non devono:

a)

costituire un onere sproporzionato;

b)

richiedere la modifica sostanziale della protezione sociale, delle prestazioni sociali, dell'assistenza sanitaria, dell'istruzione o dei beni o servizi in questione; o

c)

imporre la messa a disposizione di beni o servizi alternativi.

3.3.1.4   Le restrizioni di cui alla lettera b) e c) mancano di precisione e sono verosimilmente destinate a perpetuare pratiche discriminatorie ingiustificate. Ad esempio, un operatore sanitario che offra servizi sanitari esclusivamente alle persone prive di handicap potrebbe, avvalendosi della lettera b), respingere le richieste di modifica del servizio da lui offerto. Oppure un'autorità locale che attualmente fornisca all'ospedale locale un servizio di trasporto bus inaccessibile agli utenti su sedia a rotelle potrebbe opporsi alle richieste di offrire una forma di trasporto alternativa facendo riferimento alla lettera c). Il CESE fa presente che sarebbe sufficiente chiedere che le misure preventive siano «ragionevoli», criterio ora non previsto nell'ambito dell'articolo 4, paragrafo 1, lettera a) e al contempo subordinare l'obbligo definito allo stesso punto della direttiva alla sola condizione che tali misure non costituiscano un onere sproporzionato.

3.3.1.5   L'articolo 4, paragrafo 2, intende rendere giuridicamente vincolanti determinati fattori che devono essere tenuti in considerazione per stabilire se le misure di cui all'articolo 4, paragrafo 1, lettera a) e b) «costituiscano un onere sproporzionato». Il considerando 19, fra i fattori da considerare nella valutazione della proporzionalità dell'onere, identifica la dimensione, le risorse e la natura dell'organizzazione. Si tratta di fattori analoghi a quelli contemplati al considerando 21 della direttiva 2000/78/CE. L'articolo 4, paragrafo 2, elenca due ulteriori fattori: «il ciclo di vita di beni e servizi» e i «possibili benefici del migliore accesso per le persone con disabilità». Il CESE ritiene che tali fattori aggiuntivi siano inutili, poiché entrambi dovrebbero fare parte di qualsiasi valutazione di proporzionalità; inoltre potrebbero disincentivare i fornitori di servizi di protezione sociale, prestazioni sociali, assistenza sanitaria, istruzione, beni e servizi, alloggi e trasporti dal riconoscere l'esigenza di adottare misure tese ad assicurare un accesso effettivo alle persone con disabilità.

3.3.1.6   L'articolo 15, paragrafo 2, consente agli Stati membri di prorogare fino a quattro anni la piena attuazione dell'obbligo di fornire un accesso effettivo. Pur auspicando che tutti gli Stati membri si attivino al fine di garantire quanto prima un buon accesso a favore delle persone con disabilità, il CESE non respinge l'ipotesi di concedere agli Stati membri questo limitato periodo di proroga per l'attuazione degli obblighi preventivi di cui all'articolo 4, paragrafo 1, lettera a). È indispensabile tuttavia che la direttiva chiarisca che non sarà consentita alcuna proroga oltre il termine previsto per quanto riguarda l'obbligo di offrire una soluzione ragionevole in casi particolari, come stabilito all'articolo 4, paragrafo 1, lettera b).

3.4   Articolo 12

3.4.1   Il CESE si compiace che agli Stati membri sia fatto obbligo di istituire uno o più organismi incaricati di promuovere la parità di trattamento senza distinzioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, eventuali handicap, l'età o le tendenze sessuali, con competenze parallele a quelle già stabilite per tali organismi nell'ambito della direttiva sull'uguaglianza razziale e di quella sulla parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi. Si compiace altresì dell'esplicita dichiarazione contenuta nel preambolo (15), in base alla quale tali organismi devono operare con modalità coerenti con i principi di Parigi delle Nazioni Unite, tesi in particolare a garantire l'indipendenza delle istituzioni nazionali che si occupano dei diritti umani. Come già affermato dal CESE, tali organismi dovrebbero essere incaricati di valutare regolarmente i risultati delle politiche di lotta contro le diverse forme di discriminazione (16). Essi dovrebbero incontrare regolarmente le organizzazioni di rappresentanza delle persone a rischio di discriminazione per i motivi che rientrano nel campo d'applicazione della direttiva e condurre con esse un dialogo incisivo.

3.4.2   La proposta dell'articolo 12 è, tuttavia, destinata a creare una lacuna, poiché continua a non essere contemplato l'obbligo di istituire uno o più organismi incaricati di promuovere la parità di trattamento in base ai suddetti motivi per quanto riguarda l'occupazione e le condizioni di lavoro, dal momento che la direttiva quadro sulla parità di trattamento in materia d'occupazione (direttiva 2000/78/CE) non impone l'istituzione di un organismo di parità specializzato. Gli organismi istituiti ai sensi della direttiva sull'uguaglianza razziale sono chiamati ad affrontare le questioni relative alla parità di trattamento per motivi di razza od origine etnica sia all'interno che all'esterno del contesto occupazionale, e gli organismi istituiti ai sensi della direttiva sulla parità di genere in relazione all'accesso a beni e servizi e della direttiva (rifusione) sulla parità di trattamento (2006/54/CE) dovrebbero occuparsi delle questioni relative alla parità di genere sia in ambito occupazionale che non.

3.4.3   Pertanto, il CESE raccomanda di aggiungere al preambolo della proposta di direttiva un nuovo considerando, che incoraggi gli Stati membri ad attribuire agli organismi istituiti ai sensi dell'articolo 12 competenze equivalenti in materia di parità di trattamento per motivi di religione o convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale nell'ambito della direttiva quadro sull'occupazione.

4.   Discriminazione multipla

4.1   Nel suo recente parere d'iniziativa, il CESE ha parlato dell'esistenza documentata di un'elevata incidenza di casi di discriminazione multipla — una forma di discriminazione fondata su più aspetti all'interno del campo d'applicazione dell'articolo 13. Il CESE ha quindi raccomandato di formulare una nuova direttiva in cui si confermi che il principio della parità di trattamento comprende anche la protezione dalla discriminazione multipla, da attuare a livello legislativo sia in ambito nazionale che comunitario.

4.2   La direttiva proposta riconosce (17) che le donne sono spesso vittime di multidiscriminazione, ma non considera la discriminazione multipla basata su altre motivazioni. Per progredire verso il pieno riconoscimento della discriminazione multipla, il CESE raccomanda i due strumenti seguenti:

a)

l'aggiunta, alla proposta di direttiva, di un nuovo considerando che incoraggi gli Stati membri ad assicurare la disponibilità di procedure giuridiche tese ad affrontare le situazioni di discriminazione multipla, specificando in particolare che le procedure giuridiche nazionali devono consentire al ricorrente di invocare tutti gli aspetti connessi a una denuncia per discriminazione multipla nell'ambito di un'unica azione legale;

b)

la formulazione di una raccomandazione da parte della Commissione che affermi la necessità di tenere conto della discriminazione multipla nella fase di elaborazione e applicazione della legislazione nazionale; tale raccomandazione, pur non avendo carattere vincolante per gli Stati membri, dovrebbe essere tenuta in debita considerazione dai tribunali nazionali.

Bruxelles, 14 gennaio 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Parere del CESE sul tema Estendere le misure antidiscriminazione al di là del settore dell'occupazione: per un'unica direttiva globale contro la discriminazione, relatore: CROOK (GU C 77 del 31.3.2009, pag. 102).

(2)  Direttiva 2000/43/CE del Consiglio, articolo 3.

(3)  Causa CGCE C-303/06 del 17 luglio 2008, discriminazione nei confronti di un genitore non disabile con un figlio disabile principalmente a suo carico.

(4)  Nota 1, punto 8.10.5.

(5)  Direttiva 2004/113/CE del Consiglio, articolo 5.

(6)  Direttiva 2000/43/CE del Consiglio, articolo 3.

(7)  Nota 1, punto 8.6.

(8)  Capitolo 5 Spiegazione dettagliata delle disposizioni specifiche del COM(2008) 426 def.

(9)  Causa C-267/06, Maruko contro Versorgungsanstalt der deutschen Bühnen, 1o aprile 2008, paragrafo 59.

(10)  L’articolo 149, paragrafo 1, del Trattato CE stabilisce che: «La Comunità contribuisce allo sviluppo di un'istruzione di qualità incentivando la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, sostenendo ed integrando la loro azione nel pieno rispetto della responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell'insegnamento e l'organizzazione del sistema di istruzione, nonché delle loro diversità culturali e linguistiche.»

(11)  Ad esempio, l’articolo 3, paragrafo 1, lettera b) della direttiva 2000/43/CE del Consiglio oppure l’articolo 3, paragrafo 1, lettera b) della direttiva 2000/78/CE del Consiglio.

(12)  Sentenza della Grande camera del 13 novembre 2007 (n. 57325/00).

(13)  Articolo 1.

(14)  Nota 1, punto 8.10.2.

(15)  Considerando 28.

(16)  Nota 1, punto 8.10.8.

(17)  Considerando 13.


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