Choose the experimental features you want to try

This document is an excerpt from the EUR-Lex website

Document 52003DC0745

    Comunicazione della Commissione al Consiglio E al Parlamento europeo - Riesame della politica ambientale - 2003 - Consolidare il pilastro ambientale dello sviluppo sostenibile

    /* COM/2003/0745 def. */

    52003DC0745

    Comunicazione della Commissione al Consiglio E al Parlamento europeo - Riesame della politica ambientale - 2003 - Consolidare il pilastro ambientale dello sviluppo sostenibile /* COM/2003/0745 def. */


    COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO E AL PARLAMENTO EUROPEO - RIESAME DELLA POLITICA AMBIENTALE - 2003 - Consolidare il pilastro ambientale dello sviluppo sostenibile

    INDICE

    1. Introduzione

    2. Un nuovo contesto politico

    3. Tendenze, sfide e risposte politiche

    4. Un nuovo approccio alla politica ambientale

    5. I nuovi Stati membri - le sfide specifiche dell'ampliamento

    6. Dimensione internazionale

    7. Conclusioni

    ALLEGATO

    1. Introduzione

    L'obiettivo principale del riesame è riferire sugli sviluppi intervenuti a partire dal 2001, evidenziare per l'anno prossimo gli aspetti prioritari nelle politiche ambientali comunitarie e nazionali e, infine, monitorare l'attuazione del Sesto programma di azione in materia di ambiente dell'Unione europea [1].

    [1] Decisione n. 1600/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il Sesto programma comunitario di azione per l'ambiente, GU L 242 del 10 settembre 2002, pagg. 1-15.

    Il riesame si inserisce nel contesto della strategia di Lisbona in materia di rinnovamento economico e sociale varata nel 2000. A Lisbona, i capi di Stato e di governo dell'UE avevano dichiarato l'obiettivo di fare dell'Unione "l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale" entro il 2010. A tale strategia è stato aggiunto un terzo pilastro - ambientale - con l'adozione, da parte del Consiglio europeo di Göteborg del 2001, di una strategia per lo sviluppo sostenibile dell'UE [2].

    [2] Paragrafi 19-32, Conclusioni della Presidenza, Consiglio europeo di Göteborg (15-16 giugno 2001).

    Questo primo riesame delle politiche comunitarie e nazionali in materia di ambiente fa seguito anche al Consiglio europeo di primavera 2003, il quale aveva preso atto dell'"intenzione della Commissione di effettuare un resoconto annuale del processo di Cardiff sull'integrazione delle considerazioni ambientali e un riesame periodico della politica ambientale, nonché di riferire al riguardo entro tempi che permettano di tener conto dei risultati di tali attività all'atto dell'elaborazione delle sue future relazioni di primavera, a decorrere dal 2004" [3].

    [3] Paragrafo 58, Conclusioni della Presidenza, Consiglio europeo di Bruxelles (20-21 marzo 2003).

    Una volta descritto il nuovo contesto politico della politica ambientale dell'UE dopo l'adozione - nel 2001 - della strategia comunitaria per uno sviluppo sostenibile, il documento esamina le minacce più immediate per l'ambiente e le risposte finora fornite dalle politiche comunitarie. Passa poi a delineare la combinazione delle politiche ambientali necessaria per uno sviluppo sostenibile, evidenziando la necessità di porre l'accento soprattutto sui tre obiettivi trasversali che sorreggono la politica ambientale (integrazione della dimensione ambientale nelle altre politiche, attuazione e informazione), per concludere con una disamina della sfida particolare posta dall'ampliamento e degli sviluppi sulla scena internazionale.

    2. Un nuovo contesto politico

    Negli ultimi due anni il contesto della politica ambientale comunitaria è notevolmente cambiato, sia per effetto di decisioni con un impatto diretto sull'ambiente (adozione delle strategie comunitarie e nazionali per uno sviluppo sostenibile, varo del Sesto programma di azione per l'ambiente, vertice mondiale di Johannesburg sullo sviluppo sostenibile) sia per il mutare del quadro politico più ampio (ampliamento dell'Unione a dieci nuovi Stati membri nel 2004, dibattito sul futuro dell'Europa, attuale rallentamento economico, accresciuti timori in materia di sicurezza).

    2.1. Lo sviluppo sostenibile al centro del dibattito politico

    Sviluppo sostenibile: una priorità a tutti i livelli di governo pubblico e un tema sempre più sentito nel settore privato

    - Dalla sua inclusione nel trattato, nel 1997, lo sviluppo sostenibile è riconosciuto come una finalità principale dell'UE. L'adozione della strategia UE per uno sviluppo sostenibile al Consiglio europeo di Göteborg di giugno 2001 ha segnato una svolta, traducendo in una serie di obiettivi e interventi specifici l'esigenza di perseguire in modo equilibrato la crescita economica, i progressi sociali e la protezione dell'ambiente. La strategia intende promuovere l'economia e la coesione sociale senza peggiorare la qualità dell'ambiente e quindi gli obiettivi ambientali dovranno essere soppesati alla luce del relativo impatto economico e sociale, individuando soluzioni positive ('win-win') per l'economia, l'occupazione e l'ambiente. Ciò costituisce una differenza considerevole rispetto al modo in cui la politica ambientale è stata finora concepita e definita.

    - Nel 2002 il Consiglio e il Parlamento europeo hanno adottato il Sesto programma comunitario di azione per l'ambiente, che definisce l'orientamento ambientale dell'UE per i dieci anni successivi. Tale programma costituisce il principale vettore per conseguire le finalità ambientali della strategia per uno sviluppo sostenibile. Esso definisce obiettivi ambiziosi e spesso quantificati che evidenziano l'impegno ambientale a lungo termine dell'Unione e fornisce un contesto attendibile per i soggetti pubblici e privati in Europa e nel resto del mondo.

    - Sulla scena internazionale, il secondo vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile - tenutosi a Johannesburg nel settembre 2002 - ha impresso un nuovo slancio alla dimensione mondiale dello sviluppo sostenibile dieci anni dopo il vertice di Rio.

    - A livello nazionale, prima del 2001 soltanto alcuni Stati membri avevano messo a punto strategie per uno sviluppo sostenibile. Oggi tali strategie esistono in gran parte dell'Unione e nei paesi di adesione, in conformità con il termine del 2005 stabilito nel piano di attuazione di Johannesburg.

    - Numerose autorità pubbliche in tutta Europa hanno elaborato Agende 21 locali e regionali, vale a dire regimi per uno sviluppo sostenibile a livello locale.

    - Il settore privato mostra un crescente interesse per lo sviluppo sostenibile, in particolare mediante la definizione di strategie aziendali di responsabilità sociale e ambientale e altre iniziative volontarie, tra cui azioni specifiche per migliorare le prestazioni ambientali.

    Questi sviluppi indicano una crescente consapevolezza dell'interdipendenza fra gli obiettivi economici, sociali e ambientali e un impegno di lungo periodo nei confronti di politiche coerenti.

    Un contesto politico in evoluzione che influisce sul programma di sviluppo sostenibile

    - L'ampliamento dell'UE a dieci nuovi Stati membri a partire da maggio 2004 apporterà nuove risorse ambientali, tra cui un'ampia biodiversità e vaste zone pressoché allo stato naturale, ma rappresenterà anche una sfida considerevole per la politica ambientale dell'UE, considerata l'entità dell'allestimento di capacità e dei finanziamenti necessari per attuare e rispettare l'acquis.

    - L'attuale dibattito sul futuro dell'Europa si ricollega direttamente alla questione dell'ampliamento. Ispirandosi ai lavori della Convenzione, la conferenza intergovernativa deciderà l'architettura dell'Unione ampliata dotandola di un trattato costituzionale che costituirà il nuovo quadro istituzionale a difesa dell'ambiente e dello sviluppo sostenibile. Poiché l'ambiente resta fra le priorità principali dei cittadini europei, la sfida consiste nel contribuire ad ampliare - oltreché a preservare - l'acquis comunitario in materia.

    - Il deterioramento del clima economico e sociale registrato a partire dal 2001 ha accresciuto la priorità politica attribuita alla crescita e all'occupazione. In linea con l'obiettivo generale dello sviluppo sostenibile, nelle azioni a favore della crescita e dell'occupazione bisogna anche tener conto della dimensione ambientale. Sono necessarie politiche innovative per massimizzare l'efficienza delle risorse riducendo al minimo gli effetti sull'ambiente.

    - Gli attentati terroristici dell'11 settembre 2001 e gli eventi che ne sono conseguiti - comprese le guerre in Afganistan e in Iraq - hanno suscitato maggiori timori per la sicurezza. Ciò ha implicazioni per la politica comunitaria in campo ambientale. La sicurezza ambientale (vale a dire, ad esempio, il legame fra risorse scarse e conflitti e le conseguenze ambientali delle guerre) e la protezione civile (cioè la preparazione e la reazione di fronte ad attentati terroristici con implicazioni ambientali) hanno assunto maggiore priorità politica. La sfida dello sviluppo sostenibile può però essere affrontata in modo efficace solo mantenendo un approccio multilaterale.

    A causa di questo nuovo contesto politico, la politica ambientale dell'UE deve fronteggiare varie sfide per potersi integrare pienamente nell'approccio verso uno sviluppo sostenibile.

    2.2. Le sfide future della politica ambientale

    La politica ambientale dell'UE è confrontata a cinque sfide principali.

    i. Piena integrazione della dimensione ambientale nella strategia di Lisbona

    Per molti versi, il concetto di sviluppo sostenibile resta sfuggente. Talvolta i politici lo interpretano erroneamente come un nuovo modo di presentare la politica ambientale, spesso senza collegarlo ai pilastri economico, sociale e ambientale e trascurano la necessità di porre le tre dimensioni su uno stesso piano. Ciò vale a livello comunitario: l'emergere dello sviluppo sostenibile al centro del dibattito politico europeo ha determinato l'inclusione di una dimensione ambientale nella relazione di primavera fin dal 2002. Eppure, nelle relazioni del 2002 e del 2003, per molti soggetti la sezione dedicata all'ambiente appariva ancora come una mera appendice rispetto al resto del documento.

    Nondimeno, le nostre prospettive economiche e sociali di lungo periodo dipendono moltissimo dalla capacità di considerare l'ambiente come una componente fondamentale della politica economica e sociale. Trascurare la dimensione ambientale comporta costi occulti - come ad esempio quelli sanitari di una cattiva qualità dell'aria e quelli economici dell'azione di disinquinamento - e rischi intrinseci, che potrebbero impedire all'UE di raggiungere le finalità stabilite a Lisbona. A parte l'argomentazione economica, esiste la crescente consapevolezza del fatto che - se non affrontate - le motivazioni profonde alla base di numerosi problemi ambientali di lungo periodo porranno rischi considerevoli per la qualità della vita dei cittadini europei.

    ii. Sviluppare situazioni vantaggiose per l'ambiente e per l'economia

    Un forte pilastro ambientale, maggiormente orientato a strumenti di mercato ed economicamente razionale può contribuire a conseguire le finalità di Lisbona; soppesando attentamente i possibili compromessi tra obiettivi economici e ambientali, si possono trovare soluzioni vantaggiose per entrambi e favorire lo sviluppo sostenibile. Norme ambientali più rigorose possono generare opportunità economiche, in particolare promuovendo lo sviluppo di nuove tecnologie. Ciò può contribuire all'obiettivo fondamentale di Lisbona, di trasformare l'UE in un centro di attività innovative e in una società fondata sulla conoscenza entro il 2010.

    Il piano di azione comunitario in materia di tecnologia ambientale previsto per la fine del 2003 proporrà misure concrete e un quadro articolato per il potenziamento delle sinergie fra protezione ambientale [4], crescita economica e inclusione sociale.

    [4] Cfr. sezione 4.1.1.1 - Migliorare la definizione e coerenza delle politiche (valutazione d'impatto)

    iii. Un'azione più articolata per uno sviluppo sostenibile a tutti i livelli di governo

    Lo sviluppo sostenibile non può essere conseguito mediante l'azione scoordinata di singoli paesi o regioni. Richiede interventi a tutti i livelli di governo, una migliore articolazione delle priorità stabilite nei vari livelli e il convogliamento delle diverse attività verso un obiettivo comune.

    In tale contesto, si potrebbe utilmente introdurre il metodo di coordinamento aperto (Open Method of Coordination - OMC) [5] che è alla base della strategia di Lisbona e che finora non è stato impiegato in campo ambientale.

    [5] Il Consiglio europeo di Lisbona (paragrafo 37, Conclusioni della Presidenza, 23-24 marzo 2000) ha introdotto il metodo di coordinamento aperto, inteso come "strumento per diffondere le buone pratiche e conseguire una maggiore convergenza verso le finalità principali dell'UE. Tale metodo, concepito per assistere gli Stati membri nell'elaborazione progressiva delle loro politiche, implica:

    iv. Rendere l'ampliamento un successo per l'ambiente

    Sia la strategia comunitaria per uno sviluppo sostenibile che il Sesto programma di azione per l'ambiente comprendono l'ampliamento nel loro campo di azione e sono stati concepiti per un'Unione ampliata. I paesi di adesione hanno già compiuto grandi progressi nel miglioramento della protezione ambientale e nel rispetto della legislazione comunitaria in materia. Occorre tuttavia risolvere considerevoli problemi istituzionali e finanziari per garantire l'attuazione e l'applicazione della legislazione adottata.

    Inoltre, gli interventi di miglioramento delle infrastrutture e del tenore di vita nei paesi di adesione - pur soddisfacendo le attese legittime dei cittadini - potrebbero accrescere le pressioni sull'ambiente.

    Nel periodo post-adesione, la risposta a tali sfide deve rimanere una priorità.

    v. Far leva sulla credibilità internazionale acquisita dall'UE negli ultimi anni

    Sul buon esito del vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile ha inciso in misura determinante l'azione dell'UE. Con il suo ruolo attivo durante il vertice, l'azione interna per soddisfare gli obiettivi di Kyoto e la promozione di altri importanti accordi e convenzioni internazionali in materia di ambiente, l'Unione si è conquistata un ruolo riconosciuto di leader mondiale in materia di ambiente. Oltre a produrre maggiori benefici per l'UE, ciò comporta anche un obbligo di produrre risultati.

    La credibilità acquisita accrescerà la capacità dell'UE di convincere i partner - in particolare i paesi in via di sviluppo - a tener meglio conto della dimensione ambientale nel definire i propri percorsi di sviluppo economico e sociale. In questo senso, l'iniziativa adottata dalla Presidenza greca e avallata dal Consiglio europeo di Salonicco [6] - per promuovere la costituzione di una diplomazia europea in materia di ambiente e sviluppo sostenibile - può favorire un migliore coordinamento degli interventi a livello comunitario e nazionale.

    [6] Paragrafi 76 e 77, Conclusioni della Presidenza, Consiglio europeo di Salonicco (19-20 giugno 2003).

    La risposta a queste sfide consentirà - nel tempo - di trovare il giusto equilibrio fra i pilastri economico, sociale e ambientale dello sviluppo sostenibile. Persistono le preoccupanti tendenze ambientali osservate al momento del varo della strategia UE sullo sviluppo sostenibile e bisogna raddoppiare gli sforzi a medio e lungo termine. Tali tendenze evidenziano l'urgente necessità di tornare a porre l'accento sull'attuazione del capitolo ambientale dell'agenda dell'Unione per uno sviluppo sostenibile.

    3. Tendenze, sfide e risposte politiche

    La presente sezione si articola attorno ai quattro temi prioritari del Sesto programma di azione per l'ambiente (cambiamento climatico; natura e biodiversità; gestione delle risorse; ambiente e salute). Per ognuno sono brevemente individuate le tendenze e le sfide principali e i dettagli sulle recenti risposte politiche.

    3.1. Cambiamento climatico

    Gli anni '90 sono stati il decennio più caldo degli ultimi 150 anni. I dati disponibili indicano che il cambiamento climatico - oltre ad essere reale - riguarda direttamente l'UE. In assenza di una mitigazione di tale fenomeno, si prevedono ulteriori aumenti delle temperature medie (da 1,4 a 5,8 °C nei prossimi cent'anni), con maggiore rischio di siccità e incendi forestali. L'Europa orientale e meridionale sarà particolarmente colpita. Inoltre, in alcune regioni europee le precipitazioni piovose potrebbero aumentare in frequenza e intensità, incrementando il rischio e l'incidenza di alluvioni simili a quelle che hanno interessato il continente europeo nel 2001 e nel 2002.

    L'UE ha svolto un ruolo centrale nello sviluppo di una risposta multilaterale al cambiamento climatico. Assieme ad altri partner nel resto del mondo, è riuscita a salvare il protocollo di Kyoto nel 2001, dopo il ritiro degli Stati Uniti. Nel ratificarlo - il 31 maggio 2002 - l'Unione si è impegnata a ridurre dell'8% rispetto ai livelli del 1990 le proprie emissioni di gas a effetto serra nel periodo 2008-2012.

    I dati più recenti mostrano che nel 2001 la riduzione delle emissioni comunitarie rispetto ai livelli del 1990 è stata pari al 2,3%, con una parziale perdita quindi dei guadagni ottenuti nel 1999 e nel 2000, quando i livelli delle emissioni erano scesi del 4% rispetto ai livelli del 1990 (cfr. figura 1 nell'allegato). Affinché l'UE possa conseguire il suo obiettivo di Kyoto di una riduzione dell'8% nel 2008-2012 e mantenere un ruolo leader con riferimento al cambiamento climatico, gli Stati membri devono applicare rigorosamente le misure comunitarie istituite recentemente e, probabilmente, saranno necessari altri interventi.

    Le cause del cambiamento climatico (emissioni di gas serra dovute all'industria, ai trasporti e all'energia - cfr. figura 2 nell'allegato) sono profondamente radicate nella struttura dell'economia. Il problema può quindi essere affrontato soltanto con una serie integrata di azioni, affiancata da una leadership determinata e dall'impegno di tutte le parti interessate. In questo contesto, l'introduzione di strumenti flessibili basati sul mercato dovrebbe mitigare il cambiamento climatico con costi inferiori per l'industria. Inoltre, il problema del cambiamento climatico sarà risolto soltanto integrando pienamente la dimensione ambientale nelle altre politiche, in particolare l'energia, i trasporti e l'industria.

    Priorità

    3.1.1. Attuare le misure individuate dal programma europeo per il cambiamento climatico (ECCP)

    Il programma europeo per il cambiamento climatico (European Climate Change Programme - ECCP) è stato istituito nel giugno 2000 come attività transettoriale per individuare le misure economicamente più convenienti necessarie a raggiungere gli obiettivi dell'UE nel contesto di Kyoto. Fondato su un processo partecipativo, esso promuove l'integrazione delle politiche ponendo l'accento soprattutto su energia, trasporti, industria e ricerca.

    Strumento principale dell'UE con riferimento alla riduzione delle emissioni, il programma ECCP ha già prodotto alcune misure importanti. Nell'ottobre 2001 l'adozione della proposta della Commissione per una direttiva concernente lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra ha rappresentato una pietra miliare per la legislazione ambientale. La direttiva è entrata in vigore nell'ottobre 2003 [7]. L'UE ha introdotto il primo sistema plurinazionale del mondo per lo scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra.

    [7] Direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 2003; GU L 275 del 25 ottobre 2003, pag. 32.

    La direttiva esemplifica l'approccio flessibile adottato dall'UE per onorare gli impegni assunti a Kyoto in maniera economicamente conveniente. Il sistema di ottimizzazione dei costi per l'insieme dell'Unione offrirà considerevoli vantaggi economici rispetto a uno scenario caratterizzato da regimi nazionali separati di scambio di quote di emissioni oppure dal ricorso a strumenti di politica legislativa più tradizionali [8].

    [8] Per maggiori dettagli sulla direttiva concernente lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra, si rimanda all'allegato.

    La Commissione ha inoltre presentato di recente una proposta ambiziosa intesa a ridurre del 25% entro il 2010 le emissioni di gas fluorurati ad effetto serra.

    Malgrado queste iniziative, i risultati della seconda relazione sul programma europeo per il cambiamento climatico, pubblicata nell'aprile 2003 [9], sono tuttavia inequivocabili: le misure attualmente in vigore non consentiranno all'UE di raggiungere l'obiettivo convenuto a Kyoto. Questo rappresenta un forte incentivo ad accelerare l'attuazione delle misure ECCP con un attento monitoraggio e riesame nei campi in cui è più necessario intervenire. Vari provvedimenti fondamentali sono in fase avanzata di preparazione, tra cui proposte sui servizi energetici e criteri minimi di efficienza energetica per le attrezzature destinate agli utilizzatori finali.

    [9] Second ECCP Progress Report - Can we meet our Kyoto targets?, aprile 2003 http://www.europa.eu.int/comm/environment/ climat/eccp.htm

    3.1.2. Integrare maggiormente il cambiamento climatico nelle altre politiche

    Nel 2000 il settore energetico ha prodotto il 27% delle emissioni totali di gas a effetto serra nell'UE (cfr. figura 2 nell'allegato). Il miglioramento dell'efficienza energetica è una priorità. Le sovvenzioni all'energia nocive per l'ambiente saranno analizzate nel quadro del Libro verde della Commissione sulla sicurezza dell'approvvigionamento energetico tenendo conto degli impatti economico, sociale, ambientale e di sicurezza, nell'ottica di abolirli gradualmente, in linea con gli obiettivi della strategia per lo sviluppo sostenibile dell'UE [10] e del Sesto programma di azione per l'ambiente [11].

    [10] Comunicazione della Commissione "Sviluppo sostenibile in Europa per un mondo migliore: strategia dell'Unione europea per lo sviluppo sostenibile"; COM(2001) 264 def. del 15 maggio 2001 (pag. 10): "Abolizione progressiva dei sussidi per la produzione e il consumo di combustibili fossili entro il 2010."

    [11] Articolo 3, paragrafo 4, primo trattino: "incoraggiare la riforma dei sussidi che hanno notevoli impatti ambientali negativi e sono incompatibili con lo sviluppo sostenibile, cercando di elaborare, tra l'altro, mediante una revisione a medio termine, una lista di criteri che consenta di redigere un inventario di sussidi negativi dal punto di vista ambientale in vista di una loro progressiva eliminazione."

    Sono stati compiuti passi positivi dopo il lancio di ECCP. Citiamo tra le tappe principali le misure per promuovere la generazione di elettricità dalle fonti energetiche rinnovabili [12], il miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici [13] e la promozione della cogenerazione [14]. Un altro passo positivo è la direttiva sull'etichettatura energetica degli elettrodomestici [15]. Gli effetti di queste misure non si sono ancora manifestati.

    [12] Gli Stati membri stanno procedendo all'attuazione della direttiva. La Commissione segue attentamente le misure necessarie per conseguire che entro il 2010 il 22% del consumo lordo di elettricità sia ottenuto dalle fonti energetiche rinnovabili. La Commissione presenterà una relazione al Consiglio e al Parlamento europeo nel maggio 2004.

    [13] Si calcola che questa direttiva, in vigore dal gennaio 2003, potrebbe ridurre le emissioni di gas serra di 35-45 Mt equivalenti CO2, come menzionato nella seconda relazione di avanzamento ECCP (pag. 13).

    [14] Il potenziale di riduzione delle emissioni di gas serra è stimato a 65 Mt CO2/anno.

    [15] Proposte della Commissione concernenti le direttive 2002/31/CE e 2002/40/CE del 22 marzo 2002 che stabiliscono le modalità di applicazione della direttiva 92/75/CEE per quanto riguarda l'etichettatura indicante il consumo di energia dei condizionatori d'aria per uso domestico e i forni elettrici. L'obiettivo di queste direttive (entrate in vigore nel gennaio 2003) è influenzare il comportamento dei consumatori mediante l'affissione, al punto di vendita, di informazioni sulle prestazioni energetiche dell'apparecchio.

    Tassazione dell'energia: l'adozione nel 2003 di una direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici [16] (proposta della Commissione risalente al 1997) è uno sviluppo positivo. La nuova direttiva garantirà il ritorno in termini reali delle aliquote impositive minime sui prodotti petroliferi - i quali continuano a rappresentare oltre il 40% dei consumi energetici lordi dell'UE (cfr. figura 3 nell'allegato) - ai livelli del 1992. Essa introduce inoltre aliquote minime su tutta una serie di prodotti energetici sostitutivi il cui uso determina comunque delle emissioni. La direttiva indurrà però soltanto un aumento limitato della tassazione energetica in vari Stati membri e non avrà quindi un forte impatto sull'efficienza energetica e sulle emissioni.

    [16] La direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici (2003/96/EC) entrerà in vigore il 1º gennaio 2004.

    Per frenare le tendenze non sostenibili nel settore dell'energia occorreranno altri sforzi. A fronte di un aumento costante (pari a circa l'1% annuo) del consumo energetico complessivo nell'UE, dal 1985 la quota delle energie rinnovabili si è mantenuta bassa, attorno al 6% (cfr. figura 3 nell'allegato). Nei paesi di adesione, essa corrisponde al 5% [17]. Le ultime proiezioni dell'Agenzia europea dell'ambiente indicano che, in assenza di ulteriori provvedimenti politici, l'UE non riuscirà a raggiungere il suo obiettivo indicativo del 12% entro il 2010. È inoltre improbabile che possa raggiungere entro lo stesso anno l'obiettivo indicativo di generare il 22% del fabbisogno lordo di energia elettrica a partire da risorse rinnovabili (cfr. figura 4 nell'allegato).

    [17] In vari paesi candidati, tuttavia, la quota delle energie rinnovabili è elevata (30% in Lettonia e 11% in Estonia, Romania e Slovenia).

    Oltre a costituire l'origine di circa il 21% delle emissioni comunitarie di gas a effetto serra, nel 2000 il settore dei trasporti è stato l'unico ad aumentare il proprio livello di emissioni (cfr. figura 5 nell'allegato). Inoltre, nei paesi di adesione le tendenze non sono incoraggianti: l'uso di ferrovie e servizi collettivi di autotrasporto è diminuito drasticamente, mentre il tasso di crescita del comparto aereo e delle autovetture private è stato superiore a quello relativo all'UE.

    Sono stati fatti passi positivi nel quadro della strategia UE sullo sviluppo sostenibile, del Sesto programma di azione per l'ambiente e del Libro bianco sulla politica europea dei trasporti per ridurre le emissioni di gas serra dovute ai trasporti. Citiamo anche la direttiva sui biocarburanti che prevede per i carburanti alternativi l'obiettivo di raggiungere nel 2010 una quota di mercato pari al 5,75%; la proposta di modificare la direttiva "Eurovignette"; misure per la tassazione dei combustibili e la direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici già menzionata che consente agli Stati membri di applicare aliquote inferiori ai carburanti alternativi che producono minori emissioni di CO2.

    Tutte queste misure, i cui effetti non si sono ancora manifestati, sono importanti per realizzare un passaggio modale dal trasporto stradale e aereo a quello ferroviario e per vie navigabili e al trasporto pubblico di passeggeri; per garantire che i costi ambientali dei diversi modi di trasporto si rispecchino meglio nei prezzi praticati all'utenza e per sganciare gli effetti negativi per l'ambiente dalla crescita del trasporto e del PIL. Saranno comunque necessari altri sforzi per rispettare gli impegni assunti dall'UE a Kyoto e altri futuri impegni [18].

    [18] Cfr. la seconda relazione sullo stato di avanzamento dell'ECCP, pag. 14: "la limitazione delle emissioni di gas serra nel settore dei trasporti richiederà lo sviluppo di nuove strategie e politiche e misure rafforzate in futuro. Ciò è necessario per tutelare le riduzioni globali conseguite in relazione all'obiettivo del primo impegno e, soprattutto, nell'ottica di futuri periodi di impegno" .

    L'agricoltura, che nel 2000 ha originato circa il 10% delle emissioni totali, resta una fonte considerevole di emissioni di metano [19] e protossido di azoto [20], due importanti gas a effetto serra [21]. La riforma della politica agricola comune (PAC), approvata nel 2003, che prevede maggiori finanziamenti per lo sviluppo rurale, costituisce un passo positivo che potrebbe determinare il calo delle emissioni nel settore agricolo [22]. La valutazione intermedia dei piani di sviluppo rurale, prevista nel 2004, offrirà un'utile occasione per meglio articolare la politica agricola con quella relativa al cambiamento climatico.

    [19] CH4 - Le emissioni di metano provengono principalmente dalla fermentazione enterica e dal trattamento del letame.

    [20] N2O - Le emissioni di protossido di azoto rientrano in tre categorie principali: (1) emissioni dirette da terreni agricoli e sistemi di produzione zootecnica; (2) emissioni indirette che si verificano dopo la liberazione di azoto dal terreno sotto forma di ossidi di azoto (NOx) o di ammoniaca (NH3), ovvero dopo la percolazione o il deflusso di nitrati; (3) emissioni risultanti dalla bruciatura di residui agricoli.

    [21] Il declino delle sostanze organiche nel suolo nelle superfici coltivate può inoltre aumentare notevolmente le emissioni di CO2, ma i dati a livello europeo sono molto incerti. La quantificazione delle emissioni di gas serra biosferiche è stata quindi classificata come una ricerca prioritaria nell'ambito del Sesto programma di RST dell'UE.

    [22] Per ulteriori informazioni sulla riforma della PAC, cfr. paragrafo 3.2.

    Per ridurre le emissioni di gas a effetto serra dell'Unione e migliorare la coerenza delle politiche, bisogna integrare meglio il cambiamento climatico nella politica di coesione dell'UE e ricercare sinergie tra le politiche ambientali e quelle di coesione. Nelle Linee Guida Riviste adottate recentemente, la Commissione ha esortato gli Stati membri a tenere particolarmente in considerazione gli obiettivi finalizzati a promuovere misure di efficienza energetica, ad aumentare la quota delle energie rinnovabili nella produzione di elettricità al 22% e a tener conto dell'obiettivo del 5,75% relativo all'uso dei biocarburanti nei trasporti. Le autorità locali e regionali devono ispirarsi a queste Linee Guida della Commissione e avvalersi nel modo migliore dei Fondi strutturali per promuovere lo sviluppo economico regionale.

    3.2. Natura e biodiversità

    La biodiversità riflette la complessità, l'equilibrio e la condizione dei vari ecosistemi. Oltre a svolgere funzioni essenziali di sostegno alla vita, essa è alla base di importanti attività economiche, ricreative e culturali. La riduzione di biodiversità [23] desta gravi preoccupazioni. Al vertice mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, a Johannesburg, le parti si sono impegnate a ridurre sostanzialmente il tasso di perdita di biodiversità entro il 2010. L'UE si è assunta un impegno superiore, ossia arrestare il deterioramento della diversità biologica entro la stessa data [24].

    [23] Come attesta la Lista rossa IUCN sulle specie minacciate e in pericolo (IUCN - Unione internazionale per la conservazione della natura).

    [24] Cfr. paragrafo 31 delle conclusioni della Presidenza. Consiglio europeo di Göteborg (15-16 giugno 2001).

    Per conseguire tali obiettivi, bisogna rendere più sostenibili le attuali pratiche nei settori della pesca e dell'agricoltura - che sottopongono la biodiversità a notevoli pressioni - accrescendo l'integrazione della dimensione ambientale.

    In parallelo, è necessario affrontare le difficoltà di tutela della biodiversità evidenziate dai problemi legati all'attuazione di Direttive come quelle sugli "Habitat" e sugli "Uccelli" e al finanziamento della rete Natura 2000. Occorre trovare soluzioni alle attuali difficoltà attuative e meglio valutare le pressioni sull'ambiente grazie all'uso di indicatori significativi.

    Priorità

    3.2.1. Passare a una politica agricola più sostenibile

    In base alla riforma della Politica Agricola Comune (PAC), recentemente concordata, la stragrande maggioranza dei pagamenti diretti dell'UE sarà sganciata dalla produzione: gli agricoltori comunitari riceveranno un pagamento unico indipendente da quest'ultima. Questo pagamento sarà inoltre legato al rispetto delle norme relative all'ambiente e alla sicurezza alimentare, tra cui le disposizioni delle direttive "Uccelli" e "Habitat" e l'obbligo di mantenere i terreni agricoli in buone condizioni agronomiche e ambientali. Il meccanismo di dissociazione dovrebbe scoraggiare le pratiche agricole intensive e incentivare metodi più sostenibili.

    In aggiunta, il sostegno allo sviluppo rurale risulterà notevolmente accresciuto grazie al trasferimento degli importi derivanti dai risparmi ottenuti riducendo i pagamenti diretti alle aziende oltre una al di sotto di una data soglia. Ciò consentirà di varare nuove misure per promuovere una produzione di qualità e la protezione ambientale, e di conseguenza contribuirà a diffondere pratiche agricole - come l'agricoltura biologica - più favorevoli all'ambiente (cfr. figura 6 nell'allegato).

    3.2.2. Introdurre la dimensione ambientale nella politica comune della pesca

    Nonostante i recenti provvedimenti, nelle acque europee esistono numerosi stock ittici i cui livelli sono ritenuti inferiori ai limiti biologici di sicurezza (cfr. figura 7 nell'allegato). Servono altri interventi per garantire lo sfruttamento sostenibile delle risorse ittiche evitando ulteriori danni economici di lungo periodo sia per quanti dipendono dalle attività di pesca sia per l'ambiente marino. Le sovvenzioni controproducenti sono gradualmente eliminate e si devono prevedere misure per aiutare le comunità locali che vivono di pesca ad adeguarsi a livelli inferiori di attività, in linea con la riforma della pPlitica Comune della Pesca (PCP). Se leproposte della Commission che comprendono l'approccio ecosistemico alla pesca, i piani di cattura pluriennali, gli interventi fondati su pareri scientifici e la riduzione delle sovvenzioni saranno attuate, le prospettive di ripristino delle popolazioni ittiche dell'UE migliorerebbero.

    3.2.3. Accrescere la protezione del suolo e dell'ambiente marino

    Oltre a fornire la base per la produzione agricola e la pesca, il suolo e gli oceani costituiscono enormi riserve di diversità biologica che sono però sempre più esposte alle minacce rappresentate da diverse attività umane, le quali - nel caso del suolo - provocano erosione, diminuzione della materia organica e della biodiversità, contaminazione locale e diffusa, impermeabilizzazione, compattazione e salinizzazione. Nel caso degli oceani, i problemi vanno dal calo delle risorse ittiche all'eutrofizzazione, all'impatto sulla biodiversità derivante dall'introduzione di specie non indigene e dalle fuoriuscite deliberate o accidentali di petrolio in mare. Risulta pertanto fondamentale tutelare meglio il suolo e gli oceani. A questo scopo serve un approccio integrato che comprenda opportune forme di cofinanziamento mediante la politica di coesione per tenere adeguatamente conto della dimensione territoriale.

    Un primo passo è stato compiuto con l'adozione, nel 2003, delle comunicazioni "Verso una strategia per la protezione e la conservazione dell'ambiente marino" [25] e "Verso una strategia tematica per la protezione del suolo" [26]. Tali documenti offrono il contesto entro il quale saranno raccolti, di concerto con tutte le parti interessate, i dati necessari per lo sviluppo dei piani di azione che consentiranno di elaborare strategie articolate nei due campi.

    [25] Comunicazione della Commissione "Verso una strategia per la protezione e la conservazione dell'ambiente marino"; COM(2002) 539 def. del 2 ottobre 2002.

    [26] Comunicazione della Commissione "Verso una strategia tematica per la protezione del suolo"; COM(2002)179 def. del 16 aprile 2002.

    3.2.4. Migliorare l'attuazione delle norme di protezione della natura

    Per migliorare l'attuazione della legislazione concernente la natura e la biodiversità, occorre tener conto dell'aspetto attuativo già nella fase di formulazione delle stesse (come nel caso della Direttiva Quadro sulle Acque). Inoltre, dopo l'entrata in vigore di tali norme, la Commissione deve svolgere un ruolo attivo di sostegno e consulenza agli Stati membri (come avviene per le direttive "Habitat" e "Uccelli").

    L'attuazione delle direttive "Uccelli" e "Habitat" è stata difficile. Le violazioni rappresentano oltre un quarto delle procedure di infrazione avviate dalla Commissione europea (cfr. figura 8 nell'allegato). Lo sviluppo di nuove modalità di collaborazione con gli Stati membri per migliorare l'attuazione di queste due direttive, consente di compiere importanti progressi.

    L'azione di orientamento sull'attuazione di queste due direttive si è intensificata a partire dal 2000, anno di pubblicazione di un documento interpretativo sulla gestione di Natura 2000, la "rete ecologica europea coerente di zone speciali di conservazione" prevista dalla direttiva "Habitat". A breve saranno pubblicati testi orientativi sulle pratiche venatorie e sulla gestione delle foreste. Inoltre, nel 2001 è stata varata l'Iniziativa per una Caccia Sostenibile come dialogo costruttivo tra Stati membri e parti interessate su questioni venatorie e di conservazione.

    Quanto alla possibilità di finanziamento dei requisiti di Natura 2000 gli strumenti esistenti come il programma Life-Natura e i piani di sviluppo rurale nell'ambito della PAC offrono già interessanti opportunità, così come i Fondi strutturali e il Fondo di coesione che subordinano i finanziamenti al rispetto di Natura 2000. La Commissione sta preparando una comunicazione sulle future possibilità di finanziamento specifico di Natura 2000 da parte dell'UE.

    Per quanto riguarda il monitoraggio dei progressi compiuti nella designazione dei siti, previsto da Natura 2000, la Commissione utilizza un 'barometro' che misura la "distanza dall'obiettivo". Una volta completata la designazione, la Commissione si doterà di un 'barometro' per valutare i progressi nella gestione dei siti. In parallelo, la Commissione ha proposto una proroga di due anni della terza fase del programma LIFE, in particolare per sostenere la gestione dei siti designati a livello nazionale e regionale. Ciò consentirà di colmare il divario esistente fra la fine di questa terza fase e le nuove prospettive finanziarie. Inoltre, la Commissione svilupperà indicatori e sistemi di informazione geografica per valutare la gestione e il monitoraggio dei siti di Natura 2000 da parte degli Stati membri.

    3.2.5. Evidenziare meglio le attuali tendenze in materia di biodiversità

    La Commissione ha recentemente avviato un'ampia consultazione per riesaminare la politica UE in materia di biodiversità. Tale riesame valuterà i progressi compiuti a livello comunitario e nazionale nell'attuazione della strategia e dei piani d'azione CE sulla biodiversità, l'efficacia delle azioni in termini di impatto sul tasso di perdita della diversità biologica e l'adeguatezza degli obiettivi e degli interventi proposti nel contesto del traguardo fissato per il 2010 e dell'allargamento. Su questa base, una comunicazione della Commissione attesa per giugno 2004 formulerà delle raccomandazioni per una serie di misure prioritarie, indicandone i soggetti, i tempi e le risorse. [27]

    [27] Questo esercizio deriva dal capitolo IV, paragrafo 12 della comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo su una strategia comunitaria per la diversità biologica; COM(1998) 42 del 4 febbraio 1998.

    Parte del processo di sensibilizzazione sulle tendenze in materia di diversità biologica comprende lo sviluppo del quadro di monitoraggio e comunicazione per la strategia e i piani di azione. La Commissione collabora attivamente con l'Agenzia europea dell'ambiente per stabilire una serie di indicatori di attuazione in materia di biodiversità, ispirandosi ai progressi compiuti nelle misure della biodiversità, tra cui norme di monitoraggio e controllo degli habitat e delle specie di interesse europeo. Tali norme - assieme al continuo lavoro di ricerca inteso a migliorare la base di conoscenze - consentiranno all'UE di avere sempre il "polso" della situazione della biodiversità europea, fondamentale per seguire nel tempo e valutare gli interventi politici in questo campo (cfr. figura 9 nell'allegato).

    3.2.6. Rafforzare la protezione della biodiversità a livello internazionale

    La Convenzione sulla Diversità B iologica (CDB) costituisce lo strumento internazionale fondamentale per la conservazione e l'uso sostenibile delle risorse biologiche. Per migliorarne l'efficacia sul campo, la Commissione sostiene attivamente l'introduzione di nuovi strumenti [28] e uno spostamento dell'accento dalla fase di sviluppo delle politiche a quella attuativa. La Commissione è altresì attiva in altri accordi internazionali in materia, quale ad esempio la Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche minacciate di estinzione (CITES) [29].

    [28] Ad esempio: il piano strategico della Convenzione sulla diversità biologica, l'obiettivo di 'ridurre in misura significativa la perdita di diversità biologica entro il 2010' e lo sviluppo - grazie agli sforzi della Commissione - di un programma di lavoro aggiornato e articolato sulla biodiversità forestale, di orientamenti sull'accesso alle risorse genetiche e l'equa e solidale ripartizione dei benefici derivanti dalla loro utilizzazione e di orientamenti concernenti le specie esotiche invasive.

    [29] In particolare, la Commissione sostiene l'elencazione di ulteriori specie ittiche e arboree nell'ambito della CITES e sta adottando provvedimenti intesi a recepire tali impegni nella legislazione comunitaria.

    La capacità degli accordi internazionali sulla biodiversità di determinare una riduzione sostanziale della perdita di diversità biologica dipende anche dall'efficace attuazione degli stessi da parte di tutti i contraenti. L'individuazione di modalità per promuovere l'attuazione di tali accordi nei paesi in via di sviluppo costituisce pertanto una priorità dell'azione comunitaria internazionale in materia di ambiente [30].

    [30] Cfr. sezione 6 - La dimensione internazionale.

    Un'altra importante iniziativa dell'UE sulla biodiversità internazionale è il piano di azione della Commissione "L'applicazione delle normative, la governance e il commercio nel settore forestale" [31], adottato nel maggio 2003 per lottare contro i disboscamenti illegali, in linea con gli impegni assunti dall'UE a Johannesburg. Tra le misure del piano di azione citiamo il sostegno a una migliore governance nei paesi produttori di legname, partnership volontarie con paesi produttori di legname onde garantire che soltanto il legname tagliato legalmente entri sul mercato UE e azioni per sviluppare la collaborazione internazionale nella lotta contro il commercio di legname tagliato illegalmente.

    [31] COM(2003) 251 def. del 21 maggio 2003.

    3.3. Gestione delle risorse

    La strategia di Lisbona prevede l'ambizioso obiettivo di una crescita annua dell'economia pari al 3%, che porterebbe più o meno a raddoppiare il PIL dell'Unione nell'arco di 25 anni. Tuttavia, per evitare ulteriori costi sociali e ambientali, quali la continua crescita dei volumi di rifiuti, occorre rompere il forte legame storico tra l'espansione del PIL e le pressioni sull'ambiente. Dissociare il degrado ambientale dalla crescita economica è un obiettivo fondamentale della strategia UE per lo sviluppo sostenibile [32]. Ciò é possible tra l'altro aumentando notevolmente l'efficienza delle risorse.

    [32] L'importanza della dissociazione è stata riconosciuta nella proposta della Commissione relativa a una strategia dell'Unione europea per lo sviluppo sostenibile, la quale si prefigge l'obiettivo principale di "rompere i legami tra crescita economica, uso delle risorse e produzione di rifiuti". Ciò è stato ribadito dal Consiglio europeo di primavera del 2003 (cfr. paragrafo 53 delle Conclusioni della Presidenza, Consiglio europeo di Bruxelles, 20-21 marzo 2003).

    L'uso efficiente di energia e materie prime è andato aumentando in numerosi Stati membri dell'Unione. Gran parte del miglioramento, tuttavia, va ricondotto al fatto che negli anni '80 e '90 molti di questi paesi hanno visto prevalere il settore dei servizi su quello manifatturiero (cfr. figura 10 nell'allegato).

    La dissociazione menzionata sopra richiede un'ulteriore promozione di modelli di produzione e consumo nuovi e più sostenibili, come sottolinea il piano di attuazione di Johannesburg. Realizzando un programma decennale per una produzione e un consumo sostenibili, l'UE garantirebbe agli impegni assunti nel contesto internazionale il sostegno di un'azione interna coerente e potenzierebbe il proprio ruolo centrale in materia di sviluppo sostenibile.

    Priorità

    3.3.1. Intensificare gli sforzi per un uso più sostenibile delle risorse

    La dissociazione costituisce la finalità principale della strategia tematica della Commissione per l'uso sostenibile delle risorse naturali [33]. Poiché l'attuazione di politiche nuove e l'adeguamento di quelle esistenti allo scopo di dissociare - come necessario - l'impatto ambientale negativo connesso alle risorse dalla crescita economica sarà un processo di lungo periodo, l'orizzonte temporale previsto dalla strategia è di 25 anni.

    [33] Comunicazione della Commissione "Verso una strategia tematica per l'uso sostenibile delle risorse naturali"; COM(2003) 572 def. del 1º ottobre 2003.

    Nel 2004 sarà proposta una strategia articolata e fondata su un processo aperto e collaborativo che coinvolgerà le istituzioni comunitarie e i soggetti interessati.

    Tre elementi strategici avranno un'importanza prioritaria. In una prima fase, la strategia si concentrerà sulla raccolta di conoscenze atte a individuare le risorse che destano maggiori preoccupazioni in termini di impatti ambientali associati al loro uso, considerate le possibilità offerte dalla tecnologia e le implicazioni socioeconomiche. Un obiettivo fondamentale consisterà nel colmare le attuali lacune concernenti i percorsi delle risorse nel ciclo economico e il loro impatto sull'ambiente. Partendo dalle conoscenze così acquisite, la strategia valuterà poi il grado di compatibilità delle scelte politiche con l'obiettivo generale della dissociazione e proporrà interventi intesi a meglio tener conto dell'uso delle risorse nella definizione di politiche per altri settori.

    Tale strategia sarà sostenuta da unaPolitica Integrata dei Prodotti [34], associata a una strategia tematica di prevenzione e riciclo dei rifiuti [35]. Fondate su un'ampia consultazione con tutte le parti interessate, queste iniziative esamineranno l'impatto ambientale dell'intero ciclo di vita dei prodotti con il fine ultimo di ridurre l'inquinamento, agevolare il riciclo ove ne sussista la giustificazione economica e abbattere i costi di smaltimento dei rifiuti.

    [34] Comunicazione della Commissione «Politica integrata dei prodotti - Sviluppare il concetto di "ciclo di vita ambientale"»; COM(2003) 302 def. del 12 giugno 2003.

    [35] Comunicazione della Commissione "Verso una strategia tematica di prevenzione e riciclo dei rifiuti"; COM(2003) 301 def. del 27 maggio 2003.

    La politica UE in materia di risorse si avvale di importanti ricerche condotte nell'ambito del Sesto programma quadro di ricerca e sviluppo tecnologico nel settore della produzione e del consumo sostenibili.

    La politica dell'Unione in materia di risorse deve essere sufficientemente flessibile da consentire l'agevole adattamento del settore privato. L'intera gamma di strumenti basati sui meccanismi di mercato (come pure gli accordi volontari [36], ove opportuno ed economicamente conveniente) deve pertanto essere elaborata tenendo conto dell'obiettivo di eco-efficienza.

    [36] COM(2002) 412 def. del 17 luglio 2002.

    3.3.2. Garantire l'adeguata attuazione della legislazione vigente sui rifiuti

    Oltre a prevenire la produzione di rifiuti modificando gli attuali modelli di produzione e di consumo, occorre limitare l'impatto ambientale dell'uso delle risorse. A questo scopo è necessario assicurare l'adeguata attuazione della legislazione vigente sui rifiuti.

    Negli ultimi anni gli Stati membri hanno compiuto alcuni progressi nello sviluppo e nell'attuazione dei piani di gestione dei rifiuti previsti dalla legislazione comunitaria. Serve tuttavia un maggiore impegno per recepire e applicare appieno la legislazione vigente riducendo di conseguenza la necessità di smaltire i rifiuti prodotti. Inoltre, è necessario un ulteriore sforzo per ridurre al minimo la generazione di rifiuti a partire dai processi produttivi utilizzando meglio le tecnologie ambientali.

    Lo sforzo richiesto è particolarmente impegnativo nei paesi di adesione, dove l'elevata incidenza dello smaltimento in discarica (che in gran parte dei casi assorbe oltre il 90% dei rifiuti urbani) deve essere ridotta a vantaggio di un sistema di gestione dei rifiuti maggiormente sostenibile.

    3.4. Ambiente e salute

    Benché la tutela della salute pubblica sia una priorità costante della politica ambientale comunitaria, nelle norme esistenti si è seguito un approccio "globale" che non teneva conto della necessità di tutelare le categorie più vulnerabili della società, ad esempio i bambini. L'impatto complessivo sulla salute umana derivante dall'effetto combinato dei vari agenti tossici presenti nell'ambiente non è mai stato oggetto di una valutazione articolata. Per affrontare in modo efficiente le sfide per l'ambiente e la salute occorre sviluppare un approccio nuovo e integrato, cercando di colmare le lacune di informazioni e di conoscenza relative all'impatto ambientale e sanitario di inquinanti e gruppi di prodotti specifici.

    Priorità

    3.4.1. Elaborare un approccio integrato ai problemi ambientali e sanitari

    Esiste uno stretto collegamento tra i problemi ambientali e quelli sanitari. Circa 60 000 decessi l'anno nei grandi centri urbani europei sono riconducibili a un'esposizione prolungata all'inquinamento atmosferico. Inoltre, in Europa l'asma colpisce un bambino su sette. Rispetto ad appena 30 anni fa, il numero di bambini affetti da tale patologia e da altre allergie è aumentato drasticamente.

    Per ridurre la morbilità provocata da fattori ambientali in Europa, bisogna intensificare le ricerche sui nessi causali esistenti fra le minacce ambientali e la salute umana. Ciò costituisce l'obiettivo fondamentale della strategia europea per l'ambiente e la salute adottata nel giugno 2003 [37].

    [37] Comunicazione della Commissione "Strategia europea per l'ambiente e la salute"; COM(2003) 338 def. dell'11 giugno 2003.

    La strategia delinea l'approccio integrato necessario per affrontare le complesse interazioni fra l'ambiente e la salute e il loro impatto sulle categorie più vulnerabili, come i bambini. Essa prevede un piano di azione 2004-2010, attualmente in fase di stesura, il quale costituirà il principale contributo della Commissione alla Quarta conferenza ministeriale dell'OMS su ambiente e salute, si terrà organizzata a Budapest nel 2004. Citiamo tra i possibili interventi: istituzione di un quadro comunitario di biomonitoraggio; varo di progetti pilota per il monitoraggio integrato di diossine, metalli pesanti e sostanze che alterano il sistema endocrino; elaborazione di indicatori armonizzati per ambiente e salute. In una prima fase i lavori si concentreranno su tre gruppi prioritari di malattie: cancri infantili, malattie respiratorie, disturbi neurologici e dello sviluppo.

    3.4.2. Ridurre l'inquinamento atmosferico

    Nonostante i notevoli progressi compiuti negli ultimi decenni nel miglioramento della qualità dell'aria, permangono gravi problemi. Risulta da studi [38] che gli attuali livelli di inquinamento atmosferico (particolato e ozono troposferico) pongono un rischio significativo per la salute umana. Sussiste il pericolo reale che, in assenza di ulteriori provvedimenti, fenomeni quali l'aumento del traffico invertano la tendenza a ridurre le concentrazioni di tali inquinanti.

    [38] Cfr. rapporto di un gruppo di lavoro dell'OMS: Health aspects of air pollution with particulate matter, ozone and nitrogen dioxide (Bonn, 13-15 gennaio 2003), http://www.euro.who.int/document/ e79097.pdf.

    Per affrontare tale problema, la Commissione ha varato il programma "Aria pulita per l'Europa" (CAFE), inteso a raccogliere prove scientifiche, valutare l'evoluzione dei livelli di inquinamento da oggi al 2020 e individuare gli interventi migliorativi economicamente più convenienti. Il programma, in fase avanzata di realizzazione, sfocerà verso la metà del 2005 in una strategia tematica di lotta contro l'inquinamento atmosferico. In tale contesto è fondamentale un'efficiente attuazione della legislazione esistente. Nondimeno, per conseguire livelli di inquinamento atmosferico tali da non provocare effetti ambientali e sanitari negativi importanti come stabilisce il Sesto programma di azione per l'ambiente - potranno essere necessarie ulteriori misure legislative e di altra natura.

    3.4.3. Riformare la politica sulle sostanze chimiche

    L'uso di prodotti chimici di sintesi è diffuso nel settore industriale e presso le famiglie: ogni anno nel mondo se ne vendono 400 milioni di tonnellate.

    L'industria chimica ha un ruolo economico molto importante: fornisce materie all'industria manifatturiera, stimola l'innovazione e fornisce prodotti a mantenimento e sostegno della qualità della vita. L'UE è il principale produttore mondiale di tali sostanze. È quindi molto importante mantenere in Europa un'industria chimica competitiva e innovativa.

    A livello sociale, il miglioramento della salute e della sicurezza dei lavoratori e del pubblico in generale è un obiettivo fondamentale della politica comunitaria sulle sostanze chimiche ed è anche prioritario mantenere livelli occupazionali elevati.

    In tema di ambiente le finalità principali sono evitare la contaminazione chimica di acqua, suolo ed edifici, e prevenire i danni alla biodiversita. Al riguardo è particolarmente importante controllare le sostanze persistenti, bioaccumulative e tossiche. Il potenziale effetto ambientale e sanitario derivante dall'uso e dallo smaltimento dei prodotti chimici di sintesi desta crescenti preoccupazioni. Benché le ricerche e i dati raccolti evidenzino in misura crescente il nesso causale fra l'esposizione a determinati prodotti chimici e l'insorgere di fenomeni nocivi per l'ambiente o la salute umana, le prove scientifiche non sono sempre incontrovertibili. È quindi prioritario migliorare le conoscenze relative alle sostanze chimiche e alla gestione dei rischi connessi.

    In linea con gli obiettivi di cui sopra, la Commissione ha presentato nell'ottobre 2003 [39] una proposta di un nuovo quadro normativo comunitario per le sostanze chimiche, finalizzato a proteggere la salute umana e l'ambiente pur mantenendo la competitività e aumentando la capacità innovativa dell'industria chimica dell'UE; esso stabilisce il nuovo sistema REACH (Registration, Evaluation and Authorisation of Chemicals) con la finalità di:

    [39] COM(2003) 644 del 29 ottobre 2003.

    - imporre alle imprese che producono e importano prodotti chimici di fornire informazioni sulle proprietà delle sostanze prodotte o importate nell'UE, in particolare le 30 000 sostanze esistenti per le quali le informazioni sono scarse o nulle e per le sostanze ad alto volume, onde valutare i rischi per l'ambiente e la salute derivanti dal loro uso e prendere le misure necessarie per gestire i rischi individuati;

    - garantire la messa a disposizione delle industrie a valle, delle pubbliche autorità, della società civile e del pubblico in generale delle informazioni così ottenute;

    - consentire alle pubbliche autorità di intervenire più celermente quando occorrono misure di riduzione del rischio;

    - altri principi guida dell'approccio REACH comprendono: cautela in caso di lacune informative; prevenzione dei rischi per l'ambiente e la salute legati all'uso di prodotti chimici; promozione della sostituzione delle sostanze pericolose con altre più sicure, ove possibile.

    Oltre ad agire sul piano interno, l'UE si è fatta promotrice a livello internazionale di azioni per migliorare la salute e l'ambiente soprattutto nei paesi in via di sviluppo. In questo senso, ha negoziato e successivamente concluso la convenzione di Rotterdam sulla procedura di previo assenso informato (Prior Informed Consent - PIC) per taluni prodotti chimici e pesticidi pericolosi nel commercio internazionale e la convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti (Persistent Organic Pollutants - POP) [40].

    [40] La convenzione di Rotterdam, adottata e aperta alla firma nel corso di una conferenza dei plenipotenziari il 10 settembre 1998, stabilisce una prima linea di difesa contro i possibili problemi consentendo ai paesi importatori - e soprattutto a quelli in via di sviluppo - di decidere quali prodotti chimici inclusi nella procedura PIC desiderano ricevere e quali escludere nel caso in cui non riescano a gestirli in condizioni di sicurezza. Obiettivo della convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti (POP), adottata il 22 maggio 2001, è l'eliminazione delle emissioni derivanti dalla produzione intenzionale dei POP nonché la costante diminuzione e, se possibile, eliminazione definitiva di quelle occasionate dalla produzione non intenzionale di tali inquinanti. La convenzione di Stoccolma prevede un insieme di regole, basate sul principio di precauzione, per l'eliminazione definitiva o la costante diminuzione in condizioni di sicurezza di un primo gruppo di dodici POP considerati prioritari. In futuro essa consentirà alle parti di individuare anche altri candidati all'intervento internazionale utilizzando i criteri già definiti per prevenire o ridurre al minimo l'effetto dannoso di tali sostanze sulla salute e sull'ambiente.

    3.4.4. Attuare il quadro normativo dell'UE sulla biotecnologia

    Il progresso tecnologico costituisce una delle principali forze determinanti la crescita economica. L'innovazione è sempre più associata allo sfruttamento commerciale dei risultati delle attività di ricerca e sviluppo in campi della conoscenza in rapida evoluzione, come la biotecnologia. Per sfruttare appieno i benefici potenziali della biotecnologia mantenendo un'impostazione attenta alla gestione dei rischi per la salute umana e l'ambiente, sono stati introdotti adeguati meccanismi di autorizzazione a livello UE.

    Il quadro normativo dell'UE sulle biotecnologie connesse agli organismi geneticamente modificati (OGM) è ormai completo. Le misure sull'uso confinato e l'emissione deliberata nell'ambiente di OGM [41], oltre a quelle concernenti la tracciabilità e l'etichettatura di OGM e prodotti trasformati destinati all'alimentazione umana e animale, garantiranno un livello adeguato di tutela della salute umana e dell'ambiente. L'attuazione, da parte dell'UE, del protocollo di Cartagena sulla biosicurezza che disciplina i movimenti transfrontalieri di OGM - entrato in vigore in giugno - accrescerà ulteriormente il grado di tutela della salute e dell'ambiente nei paesi terzi sottoponendo a controlli i movimenti di OGM. L'attuazione di queste misure dovrebbe contribuire a ripristinare la fiducia del pubblico e dimostrare che la procedura comunitaria di autorizzazione per il rilascio di OGM funziona come stabilito.

    [41] Direttive 98/81/CE e 2001/18/CE.

    Gli Stati membri sono spesso in ritardo nel recepimento e nell'attuazione della legislazione comunitaria sugli OGM. Nondimeno, un'attuazione adeguata e tempestiva del quadro normativo europeo è fondamentale per dimostrare la compatibilità del progresso tecnologico e del libero scambio con livelli elevati di protezione dell'ambiente e della salute.

    3.4.5. Elaborare una strategia sull'uso sostenibile dei pesticidi

    L'eccesso di produzione agricola e le crescenti prove che anche un'esposizione di basso livello a residui di pesticidi negli alimenti può concorrere a determinare problemi di salute hanno indotto l'UE a riesaminare la propria politica in questo settore. Continueranno le iniziative volte a ridurre al minimo i rischi che tali sostanze presentano per la salute e per l'ambiente. È altresì necessario migliorare i controlli sull'uso e la distribuzione dei pesticidi; ridurre i livelli delle sostanze attive nocive, compresa la sostituzione di quelle più pericolose con altre più sicure, eventualmente prodotti alternativi non chimici; promuovere l'uso di coltivazioni con apporto basso o nullo di pesticidi. La strategia tematica della Commissione per l'uso sostenibile dei pesticidi [42], attualmente in fase di elaborazione [43] proporrà misure per questi obiettivi specifici.

    [42] Comunicazione della Commissione "Verso una strategia tematica per l'uso sostenibile dei pesticidi"; COM(2002)349 def. del 1º luglio 2002.

    [43] Queste misure saranno anche trattate nel contesto delle revisioni dell'acquis in materia di fitoprotezione.

    4. Un nuovo approccio alla politica ambientale

    L'UE riuscirà a invertire le tendenze insostenibili soltanto inserendo le sue risposte politiche in un approccio di politica ambientale ulteriormente rinnovato e imperniato sui concetti di integrazione, attuazione e informazione. L'efficacia dell'Unione nel potenziare la componente ambientale della strategia di Lisbona dipende dalla sua capacità di:

    - promuovere un approccio decisionale integrato e incentivare l'integrazione della dimensione ambientale in tutte le altre politiche comunitarie e nazionali;

    - elaborare un nuovo approccio di attuazione che garantisca da un lato l'adeguato rispetto delle norme ambientali comunitarie (in modo da apportare il massimo beneficio all'ambiente) e dall'altro l'ammodernamento del quadro normativo per l'ambiente, ove opportuno, verso un approccio più flessibile, orientato al mercato che sia abbinato a obiettivi ambientali a lungo termine e usi maggiormente gli strumenti di mercato.

    - fondare la politica ambientale su informazioni e conoscenze solide in modo da accrescerne l'efficienza; divulgare ampiamente l'informazione sugli effetti per l'ambiente per promuovere i cambiamenti comportamentali necessari a uno sviluppo sostenibile.

    4.1. Integrazione

    4.1.1. Migliorare la definizione delle politiche ambientali

    Elaborare un approccio integrato alla definizione delle politiche ambientali

    In passato la legislazione europea in campo ambientale si è concentrata su singoli agenti inquinanti e sulla tutela di comparti specifici, spesso presentando soluzioni di fine ciclo ai problemi dell'ambiente invece di affrontare tali problemi alla fonte oppure gli effetti combinati dell'inquinamento sui vari comparti ambientali e la loro interdipendenza.

    Per attenuare le attuali tendenze insostenibili per l'ambiente, serve un approccio integrato alla definizione delle politiche. La politica ambientale dovrebbe concentrarsi non soltanto sui possibili rimedi, ma anche sulle principali fonti di sollecitazioni negative per l'ambiente.

    Il Sesto programma di azione per l'ambiente esemplifica tale nuovo approccio, in particolare tramite la strategia europea per l'ambiente e la salute [44] e le strategie tematiche. Queste ultime, che saranno presentate entro il 2005, intendono affrontare sette aspetti centrali in maniera integrata [45]. Oggetto - entro la fine del 2003 - di altrettante comunicazioni imperniate sulla definizione dei problemi, e successivamente presentate alle parti in causa con l'intento di avviare un'ampia consultazione, le strategie in quanto tali saranno sviluppate in una seconda fase. Esse comprenderanno obiettivi e indicazioni numeriche sostenibili, da conseguire mediante varie misure secondo il rapporto costo/efficacia, un calendario e obiettivi specifici propri.

    [44] Cfr. sezione 3.4 - Ambiente e salute.

    [45] Le sette strategie tematiche coprono: protezione del suolo; protezione e conservazione dell'ambiente marino; uso sostenibile dei pesticidi; ambiente urbano; uso sostenibile delle risorse naturali; prevenzione e riciclo dei rifiuti; qualità dell'aria.

    Figura A: Progressi compiuti verso la definizione di strategie tematiche

    1. Qualità dell'aria // Programma "Aria pulita per l'Europa" (CAFE): verso una strategia tematica per la qualità dell'aria - COM(2001) 245 def. del 4 maggio 2001

    Obiettivo // Prove scientifiche sempre più numerose dimostrano che le politiche esistenti non bastano a tutelare la salute e gli ecosistemi dagli effetti nocivi dell'inquinamento atmosferico. La strategia definirà pertanto una serie integrata di misure per portare l'inquinamento a livelli tali da non originare effetti negativi rilevanti per la salute umana o per l'ambiente

    2. Protezione del suolo // Verso una strategia tematica per la protezione del suolo - COM(2002) 179 def. del 16 aprile 2002

    Obiettivo // Il suolo è una risorsa vitale, essenziale per l'adeguato funzionamento dell'ambiente nella sua funzione di sostegno alla vita e di base per numerose attività economiche. Obiettivo della strategia è tutelare e preservare le condizioni ecologiche, chimiche e fisiche delle risorse pedologiche in Europa.

    3. Uso sostenibile dei pesticidi // Verso una strategia tematica per l'uso sostenibile dei pesticidi - COM(2002) 349 def. del 1º luglio 2002

    Obiettivo // Occorre affrontare i crescenti timori connessi agli effetti dei pesticidi sulla salute umana e sull'ambiente. La strategia definirà le misure e gli strumenti politici necessari per un uso più sostenibile dei pesticidi e per la riduzione dei rischi correlati.

    4. Protezione e conservazione dell'ambiente marino // Verso una strategia per la protezione e la conservazione dell'ambiente marino - COM(2002) 539 def. del 2 ottobre 2002

    Obiettivo // L'ambiente marino è soggetto a numerose minacce e pressioni. Serve un approccio integrato e olistico per garantire che la somma delle varie azioni raggiunga il livello di protezione ambientale necessario a proteggere e preservare le condizioni ecologiche, chimiche e fisiche dell'ambiente marino.

    5. Prevenzione e riciclo dei rifiuti // Verso una strategia tematica di prevenzione e riciclo dei rifiuti - COM(2003) 301 def. del 27 maggio 2003

    Obiettivo // La produzione di rifiuti continua ad aumentare in quanto la prevenzione non è ritenuta una priorità. Occorre pertanto studiare come migliorare l'approccio dell'UE alla gestione dei rifiuti nel quadro di una gestione sostenibile delle risorse. L'obiettivo consiste nel ridurre l'impatto ambientale derivante dall'uso delle risorse attraverso la prevenzione e il riciclo. Un'importante finalità aggiuntiva consiste nel semplificare e migliorare l'attuazione della legislazione esistente in materia di rifiuti.

    6. Uso sostenibile delle risorse naturali // Verso una strategia tematica per l'uso sostenibile delle risorse naturali - COM(2003) 572 def. del 1º ottobre 2003

    Obiettivo // A causa della domanda pervasiva di risorse naturali, sono molte le politiche che influiscono sul loro uso e sugli effetti ambientali connessi. Tali politiche non sono coordinate per il raggiungimento di finalità coerenti in materia di quantitativi utilizzati o di effetti ambientali prodotti. Occorre affrontare questo problema. L'obiettivo fondamentale consiste nel dissociare dalla crescita economica gli effetti ambientali connessi all'uso delle risorse naturali.

    7. Ambiente urbano // Verso una strategia tematica per l'ambiente urbano - prevista per la fine del 2003

    Obiettivo // Le città, che accolgono l'80% dei cittadini dell'Unione, soffrono in generale di una qualità scadente dell'aria, rumore, saturazione del traffico e assenza di una pianificazione sostenibile. La comunicazione proporrà un quadro per le azioni locali, regionali e nazionali per promuovere la sostenibilità dei trasporti urbani, la gestione e progettazione urbanistica per migliorare le prestazioni ambientali e la qualità nelle zone urbane e garantire un ambiente di vita sano per le popolazioni residenti.

    Accrescere la coerenza delle politiche

    Molte delle attuali tendenze insostenibili per l'ambiente derivano dalla scarsa attenzione prestata ai collegamenti esistenti fra settori diversi. Anziché sostenersi a vicenda, politiche diverse hanno avuto effetti reciprocamente deleteri. Tale incoerenza accresce il costo e riduce l'efficacia delle politiche, ostacolando i progressi verso uno sviluppo sostenibile.

    Per evitare che obiettivi politici divergenti aumentino l'incoerenza fra le varie politiche, su richiesta del Consiglio europeo [46] la Commissione ha introdotto nel 2002 un sistema unificato per la valutazione ex ante dell'impatto di tutte le più importanti proposte politiche [47]. Consentendo alla Commissione di fondare le proprie decisioni su un'analisi pertinente dell'impatto economico, sociale e ambientale, tale valutazione permette di formulare giudizi politici informati e di individuare compromessi ragionevoli per il conseguimento di obiettivi contrastanti.

    [46] Cfr. paragrafo 24, Conclusioni della Presidenza, Consiglio europeo di Göteborg (15-16 giugno 2001).

    [47] Comunicazione della Commissione in materia di valutazione d'impatto, COM(2002) 276 def. del 5 giugno 2002.

    Tale valutazione non sarà di per sé sufficiente. Oltre a individuare gli effetti indotti, bisognerà tenerne sistematicamente conto nei compromessi e nelle politiche settoriali a monte.

    4.1.2. Accrescere l'integrazione settoriale

    La politica ambientale da sola non è in grado di affrontare le sfide dello sviluppo sostenibile. I cambiamenti necessari per invertire le tendenze in atto in settori (come la pesca, l'agricoltura, l'energia e i trasporti) dove le pressioni sull'ambiente sono particolarmente forti possono essere attuati solo integrando la dimensione ambientale in tali settori e tenendo conto dei fattori economici e sociali applicabili a tali settori.

    A livello dell'UE, l'importanza di tale integrazione viene riconosciuta nell'articolo 6 del trattato. Nel giugno 1998 il Consiglio europeo ha compiuto un passo importante verso l'applicazione di detto articolo. Noto come "processo di Cardiff", tale passo è consistito nel chiedere al Consiglio dei ministri nelle sue varie formazioni di elaborare strategie e programmi intesi a integrare l'ambiente nelle rispettive aree politiche di competenza, a cominciare dall'energia, dai trasporti e dall'agricoltura.

    Il processo, che ora abbraccia nove settori [48], ha prodotto risultati positivi. Oltre a una maggiore integrazione dell'ambiente, oggi discussa regolarmente ai più alti livelli politici, esso ha portato a risultati concreti per l'integrazione in alcuni settori (come attesta ad esempio la riforma storica della PAC concordata nel giugno 2003). Si devono comunque migliorare la coerenza e l'attuazione delle strategie esistenti, come sottolineato al Consiglio europeo di primavera (marzo 2003) [49]. A tal fine la Commissione intende tracciare un bilancio dell'integrazione finora avvenuta. Saranno esaminate le azioni prioritarie necessarie per rilanciare il processo di Cardiff, in particolare se:

    [48] Oltre ai settori dei trasporti, dell'agricoltura e dell'energia, il processo di Cardiff riguarda: industria; mercato interno; sviluppo; pesca; affari generali; affari economici e finanziari.

    [49] Cfr. paragrafo 57, Conclusioni della Presidenza, Consiglio europeo di Bruxelles (20-21 marzo 2003).

    - è conferita sufficiente attenzione all'attuazione delle strategie per far sì che le varie formazioni del Consiglio tengano fede ai propri impegni. Tali strategie devono naturalmente avere il tempo di maturare ed essere attuate. Occorre tuttavia vigilare affinché non restino semplici dichiarazioni di intenti;

    - occorre rafforzare il monitoraggio della strategia, sviluppando ad esempio indicatori di integrazione e obiettivi di dissociazione specifici per settore;

    - sono stati previsti meccanismi di aggiornamento e riesame delle strategie per tener conto - in fase attuativa - di eventuali adeguamenti e sviluppi politici pertinenti [50].

    [50] Come sottolineato al paragrafo 57, Conclusioni della Presidenza, Consiglio europeo di Bruxelles (20-21 marzo 2003).

    Nell'ulteriore sviluppo del processo di Cardiff si terrà conto delle specificità istituzionali e della strategia. Per ottenere buoni risultati, l'azione di miglioramento dell'integrazione ambientale sul piano comunitario deve comunque essere sostenuta da un impegno a livello nazionale.

    4.1.3. Migliorare l'integrazione negli Stati membri

    Il livello nazionale

    Gran parte degli Stati membri dell'Unione e dei paesi di adesione si è dotata di strategie per uno sviluppo sostenibile. Tali strategie sono interdipendenti con quelle comunitarie, nel senso che, da un lato, alcune finalità politiche legate all'ambiente (ad esempio norme di qualità dell'aria e totale delle catture di pesce ammesse) sono definite a livello dell'UE e taluni strumenti politici (sovvenzioni in campo agricolo, norme sul mercato interno e aiuti di Stato ecc.) sono gestiti dall'Unione. D'altro lato, in linea con il principio di sussidiarietà, gli Stati membri e le autorità regionali restano responsabili di altri aspetti della politica ambientale. Date le circostanze, risulta fondamentale garantire la coerenza e la massima sinergia fra le strategie comunitarie e quelle nazionali.

    Non tutte le strategie nazionali hanno raggiunto la medesima fase di avanzamento. In termini di struttura e di approccio, tuttavia, esiste una chiarezza sufficiente a consentire un'analisi comparata preliminare che va considerata un primo passo verso una maggiore convergenza e coerenza tra gli obiettivi ambientali delle varie strategie nonché verso l'individuazione di buone pratiche delle quali agevolare la divulgazione.

    Una prima rassegna delle strategie esistenti mostra la loro forte eterogeneità e l'influenza dei contesti nazionali. La dimensione ambientale è un tema predominante in molte strategie. Alcune strategie trattano però lo sviluppo sostenibile nel suo aspetto tridimensionale includendo espliciti obiettivi sociali ed economici. Anche l'approccio geografico varia notevolmente: in certi casi l'attenzione si concentra prioritariamente o esclusivamente su problemi di natura interna, in altri si considerano anche aspetti di portata internazionale. Inoltre, non tutte privilegiano la dimensione territoriale. Infine, alcune strategie adottano un'impostazione settoriale (ad esempio: trasporti, agricoltura e pesca) mentre altre sono articolate attorno a questioni prioritarie (cambiamento climatico, protezione della biodiversità, uso delle risorse ecc.).

    Lo scambio di esperienze potrebbe condurre all'individuazione di elementi comuni, la cui inclusione nelle singole strategie consentirebbe di compiere progressi a prescindere dal contesto nazionale. Tali elementi potrebbero pertanto essere utilmente divulgati.

    È necessario studiare in via prioritaria il modo in cui gli Stati membri affrontano le questioni fondamentali di sviluppo sostenibile. Su tale base si potrebbero evidenziare le soluzioni più efficaci con l'obiettivo ultimo di diffonderle ogniqualvolta utile e fattibile.

    Un'indicazione del successo di una strategia è l'efficacia con la quale affronta il problema di conciliare le esigenze contrastanti dei vari pilastri dello sviluppo sostenibile. Il raffronto dei meccanismi istituzionali attuati a questo scopo - condotto esaminando i principi su cui si basano, gli strumenti di cui si avvalgano e il relativo grado di efficacia - sarebbe dunque utile per determinare quali esperienze riuscite possono essere mutuate altrove.

    Se non adeguatamente attuata, una strategia serve a poco. Indicatori e procedure di riesame hanno anche lo scopo di assicurare un seguito adeguato. In tale contesto è molto utile comparare le misure adottate per valutare l'impatto e l'efficacia della strategia. In un'ottica di coerenza, tali misure dovrebbero concentrarsi non soltanto sugli impatti misurati dagli indicatori di risultato, ma anche sui processi.

    Il livello locale e regionale

    Le autorità locali hanno un ruolo determinante per realizzare, gestire e mantenere infrastrutture economiche, sociali e ambientali. Esse curano l'introduzione di politiche e normative ambientali a livello locale e coadiuvano l'attuazione delle politiche ambientali nazionali e comunitarie. Sono particolarmente attive in campi come: uso del territorio, gestione dei rifiuti, mobilità, controllo degli effetti nocivi industriali. A causa di queste ampie responsabilità e della gravità di determinati problemi ambientali a livello locale, ad esempio inquinamento dell'aria nelle zone urbane, gli sforzi nazionali e dell'UE per uno sviluppo sostenibile devono accompagnarsi a opportune misure a livello regionale e locale.

    Un importante strumento per conseguire uno sviluppo sostenibile su scala locale e regionale è il processo dell'Agenda 21 a livello locale, varato al vertice di Rio nel 1992 e sostenuto con particolare impegno in Europa a partire dallo stesso anno.

    Iniziative complementari quali la "Carta delle città europee per un modello urbano sostenibile" adottata ad Ålborg nel 1994 e la campagna della Commissione denominata "Città e comuni europei sostenibili" hanno contribuito ad assegnare all'Europa un ruolo leader nell'attuazione dell'Agenda 21 locale sulla scena internazionale. Quasi 2 000 città e comuni europei hanno sottoscritto volontariamente la Carta di Ålborg, impegnandosi a realizzare piani di sostenibilità a lungo termine che costituiscono un passo fondamentale verso uno sviluppo sostenibile a livello locale.

    La prossima strategia tematica della Commissione per l'ambiente [51], proporrà un quadro che le autorità locali, regionali, nazionali ed europee saranno invitate a utilizzare quando trattano i problemi connessi al trasporto urbano sostenibile e alla gestione, progettazione e costruzione delle aree urbane [52].

    [51] http://www.europa.eu.int/comm/environment/ urban/home_en.htm

    [52] La strategia affronterà i seguenti argomenti prioritari: gestione urbana, trasporti urbani, costruzione e progettazione urbanistica. Inoltre, sarà in buona parte dedicata a promuovere l'integrazione fra queste e altre tematiche.

    Lo strumento principale a disposizione della Commissione per promuovere l'ulteriore sviluppo di strategie regionali e locali per uno sviluppo sostenibile è la politica di coesione. Incoraggiare l'integrazione delle dimensioni ambientale - oltre che economica e sociale - in tale politica è pertanto il modo migliore per promuovere lo sviluppo sostenibile sul piano locale e regionale e facilitare ulteriormente il recepimento e l'attuazione della legislazione ambientale comunitaria.

    4.2. Attuazione

    Negli ultimi trent'anni la Comunità europea si è dotata di un vasto corpus legislativo in materia di ambiente. Sono attualmente in vigore circa 200 atti normativi comunitari, fra cui oltre 140 direttive, che riguardano quasi tutti gli aspetti della politica ambientale.

    Quando è stata attuata in modo corretto negli Stati membri, la legislazione ambientale comunitaria ha contribuito a notevoli progressi in settori come la qualità delle acque o il trattamento dei rifiuti. Garantire l'adeguata attuazione della legislazione ambientale esistente resta un obiettivo prioritario.

    Le direttive più recenti spesso sostituiscono e snelliscono atti normativi precedenti [53]. In tale contesto, bisogna attentamente evitare di creare incongruenze fra le varie politiche e occorre trattare debitamente gli aspetti trasversali.

    [53] Ad esempio, la direttiva 2000/76/CE sull'incenerimento dei rifiuti ne sostituisce tre più vecchie e la direttiva quadro sulle acque (2000/60/CE) ne sostituisce sette.

    Solo lo sforzo congiunto dei governi e della società in generale consentirà uno sviluppo sostenibile. È quindi importante accompagnare l'azione di ammodernamento della legislazione ambientale con una corretta attuazione della legislazione comunitaria.

    4.2.1. Occuparsi delle carenze attuative

    L'attuazione della legislazione esistente pone la Commissione e gli Stati membri presenti e futuri di fronte a crescenti sfide e deve essere migliorata con urgenza.

    Le attuali difficoltà di gestione dei casi di infrazione

    Il settore ambientale, da solo, rappresenta oltre un terzo di tutte le infrazioni trattate dalla Commissione per non conformità con il diritto comunitario. Occorre, tuttavia, considerare questo dato nel giusto contesto in quanto rispecchia l'intera gamma di problemi attuativi (dal mancato recepimento di una direttiva alla mancata comunicazione dell'avvenuto recepimento). Cfr. figura B.

    Figura B: Procedure di infrazione in corso per Stato membro al 4.11.2003

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    Il grafico illustra il gran numero di procedure di infrazione in corso nei confronti degli Stati membri alla data del 4 novembre 2003.

    Fonte: Commissione europea.

    Fra le numerose cause di questo serio problema attuativo, quattro sono particolarmente determinanti.

    - Non sempre gli Stati membri si dotano dei mezzi necessari a recepire e attuare adeguatamente la legislazione ambientale, come dimostra in certi casi la carenza di risorse umane e finanziarie dedicate alla fase di attuazione. La scelta implicita di evitare costi immediati nel breve periodo indica che non esiste la volontà politica di affrontare questioni di più lungo periodo.

    - La legislazione ambientale comunitaria è a volte difficile da attuare. Diverse direttive impongono a livello di programmazione e autorizzazione di un progetto specifico complesse valutazioni ambientali [54]. Ciò complica il processo decisionale in quanto sono coinvolti diversi livelli politico-amministrativi. Inoltre, le norme ambientali devono essere modificate costantemente per tener conto dell'evoluzione tecnica e scientifica e ciò può frenare un'efficace attuazione.

    [54] Cfr. ad esempio, la direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (GU L 206 del 22 luglio 1992, pag. 7) e la direttiva 85/337/CEE concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (GU L 175 del 5 luglio 1985, pag. 40) modificata dalla direttiva 97/11/CE (GU L 73 del 14 marzo 1997, pag. 5).

    - La legislazione ambientale può comportare costi elevati, richiedendo alle autorità nazionali e alla società in senso lato investimenti economici significativi e potenzialmente difficili da finanziare.

    - Rispetto ad altri settori, in quello ambientale i casi di infrazione potrebbero essere più diffusamente segnalati. Le questioni ambientali attirano l'attenzione dell'opinione pubblica e coinvolgono numerosi gruppi interessati: questo moltiplica la possibilità che alla Commissione vengano prospettati casi di non conformità.

    Tali fattori sono stati attentamente esaminati in quanto l'attuazione è stata individuata come una priorità nel Sesto programma per l'ambiente [55]:

    [55] La Commissione pubblica periodicamente indagini sull'attuazione e sull'osservanza del diritto ambientale comunitario. L'ultima indagine, relativa al 2002, è stata pubblicata nel luglio 2003 (SEC(2003) 804 - Documento di lavoro dei servizi della Commissione) e fornisce informazioni aggiornate sullo stato di applicazione del diritto ambientale comunitario. Descrive anche l'azione della Commissione per facilitare l'attuazione nel quadro della rete europea IMPEL (Implementation and Enforcement of Community Environmental Law).

    - nel quadro del suo impegno ad aggiornare e semplificare la legislazione comunitaria [56], nel 2004 la Commissione analizzerà la legislazione sui rifiuti e sulla qualità dell'aria per individuare atti legislativi specifici che si prestano alla semplificazione. Tali atti saranno esaminati in dettaglio e saranno preparate proposte concrete di semplificazione (per la legislazione sui rifiuti, ciò avverrà nel 2004 [57]). Questo miglioramento continuerà in futuro e consentirà alla Commissione di valutare meglio la coerenza, la chiarezza e l'efficacia della legislazione ambientale comunitaria;

    [56] COM(2003) 71.

    [57] Cfr. comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio - Programma legislativo e di lavoro della Commissione per il 2004, COM(2003) 645 del 29 ottobre 2003.

    - sono in fase di sviluppo nuovi metodi di lavoro con gli Stati membri per risolvere a monte i potenziali problemi attuativi;

    - sono adottati provvedimenti per tener conto dell'onere finanziario dell'attuazione, migliorare il rapporto costo-efficacia e basarsi maggiormente al momento dell'elaborazione legislativa sulle "migliori prove scientifiche disponibili";

    - si sta lavorando per offrire ai cittadini alternative alla presentazione di denunce e alla richiesta di avvio di procedure di infrazione.

    Definire nuovi metodi di lavoro con gli Stati membri

    È fondamentale coinvolgere le autorità nazionali e regionali fin dalla fase di formulazione delle politiche. In passato, una collaborazione insufficiente con gli Stati membri ha talvolta portato a una legislazione troppo prescrittiva, costosa o non in sintonia con il contesto nazionale.

    Esiste ora una maggiore consapevolezza che la legislazione ambientale deve continuare a basarsi sempre più sui risultati e essere flessibile quanto ai mezzi per raggiungerli. La direttiva quadro sulle acque - adottata nel 2000 e affiancata da una strategia attuativa dettagliata con il coinvolgimento di Stati membri, soggetti interessati, ONG e paesi di adesione - è un buon un esempio di come si possa far funzionare questo nuovo approccio. La direttiva ha finalità ambiziose (buone condizioni ecologiche e chimiche per tutte le acque interne e costiere entro il 2015), ma non è eccessivamente prescrittiva quanto agli strumenti da utilizzare.

    Prima dell'adozione è fondamentale una maggiore collaborazione fra Commissione e Stati membri, così come è essenziale individuare, una volta che la legislazione è entrata in vigore, concrete difficoltà di attuazione. A livello comunitario sono stati introdotti vari meccanismi importanti per promuovere la cooperazione in questa seconda fase.

    - La rete informale europea per l'attuazione e l'applicazione delle norme ambientali (IMPEL) - nel cui ambito si riuniscono regolarmente Commissione, Stati membri e paesi di adesione [58] - consente di scambiare informazioni e buone pratiche per rendere più coerenti le fasi di attuazione, applicazione e osservanza della legislazione ambientale. La rete IMPEL ha ricevuto un notevole impulso nel 2001 dall'introduzione, negli Stati membri, di relazioni e di sistemi di consulenza in materia di ispezioni e procedure ispettive concernenti l'attuazione [59]. Tale meccanismo ha contribuito alla definizione di criteri minimi per le qualifiche degli ispettori e i programmi di formazione loro destinati e al rafforzamento della cooperazione transfrontaliera nel campo delle ispezioni. Ciò, a sua volta, ha consentito di prevenire pratiche transfrontaliere illegali in materia ambientale.

    [58] In passato esisteva un'altra rete simile a IMPEL, denominata AC IMPEL e destinata ai nuovi Stati aderenti. Le due reti sono ormai confluite in una sola.

    [59] Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 aprile 2001, che stabilisce i criteri minimi per le ispezioni ambientali negli Stati membri (2001/331/CE); GU L 118 del 27 aprile 2001, pag. 41.

    - Documenti interpretativi di orientamento sono pubblicati regolarmente per consigliare gli Stati membri su aspetti attuativi concreti [60]. Un esempio in questo senso è costituito da un recente documento della Commissione inteso ad aiutare gli Stati membri nel recepimento della direttiva sulla valutazione ambientale strategica [61].

    [60] Cfr. sezione 3.2.4 - Migliorare l'attuazione delle norme di protezione della natura.

    [61] La direttiva sulla valutazione ambientale strategica dovrebbe essere recepita entro il 21 luglio 2004. Il documento citato, che intende fornire un orientamento agli Stati membri per garantire fin dall'inizio un'attuazione e un'applicazione della direttiva quanto più possibile coerenti sull'intero territorio comunitario, è disponibile su Internet al seguente indirizzo: http://europa.eu.int/comm/environment/eia/ 030923_sea_guidance.pdf

    - Seminari ad hoc con gli Stati membri sull'attuazione di direttive particolarmente complesse sono organizzati periodicamente per evitare applicazioni incorrette.

    - Azioni di sviluppo e formazione servono ad agevolare l'attuazione. Citiamo la formazione offerta alle autorità competenti per le valutazioni di impatto ambientale nel quadro della direttiva corrispondente.

    - Nel 2001 la Commissione ha organizzato i seminari "Name, Fame & Shame", per esaminare pubblicamente con gli Stati membri settori politici o atti normativi particolari con il fine ultimo di evidenziare le buone e cattive pratiche. Tali seminari contribuiscono a sensibilizzare gli Stati membri agli effetti di un'attuazione carente.

    - Relazioni ben fatte da parte degli Stati membri sullo stato di attuazione della legislazione ambientale sono fondamentali per monitorare l'attuazione. In conformità con il Sesto programma di azione ambientale, la Commissione si è impegnata a introdurre un sistema più coerente ed efficace per le relazioni ambientali.

    Affrontare l'onere finanziario dell'attuazione

    La politica di coesione, che rappresenta un terzo del bilancio dell'UE, contribuisce significativamente all'attuazione della legislazione ambientale. Ulteriori progressi verso lo sviluppo sostenibile come un obiettivo fondamentale della coesione aumenterebbero le possibilità di intervento dei Fondi strutturali a favore della politica ambientale - parallelamente a priorità economiche e sociali - con particolare riferimento all'attuazione. La direttiva "Habitat" costituisce un esempio ovvio dal momento che prevede il cofinanziamento comunitario della rete Natura 2000 [62].

    [62] Cfr. sezione 3.2 - Natura e biodiversità.

    L'uso dei fondi strutturali presuppone la conformità con le politiche e gli strumenti comunitari, compresi quelli per l'ambiente e lo sviluppo sostenibile. I Fondi strutturali costituiscono un importante incentivo per l'attuazione della legislazione ambientale.

    Parallelamente, il programma LIFE che offre finanziamenti ai progetti volti a dimostrare la traduzione nella pratica delle nuove politiche, continua a sostenere l'attuazione della legislazione ambientale.

    Offrire alternative alle procedure di denuncia e di infrazione

    Fra il 1996 e il 2000 il numero di denunce nel solo settore ambientale è più che triplicato. Nel 2002 sono pervenute alla Commissione quasi 600 nuove denunce concernenti l'ambiente.

    Le procedure di denuncia e di infrazione previste dal trattato non possono costituire gli unici strumenti per trattare la crescente sensibilizzazione e reattività dell'opinione pubblica alle questioni ambientali. Molto spesso i ricorrenti possono ottenere più rapida soddisfazione utilizzando i mezzi di ricorso del diritto nazionale.

    Migliorare l'accesso alle informazioni e alla giustizia in materia ambientale e armonizzare le procedure di denuncia negli Stati membri sono fondamentali per ridurre il numero di procedure di infrazione a livello comunitario pur accrescendo la tutela dei diritti dei cittadini. In questo senso, è molto importante l'attuazione della convenzione di Århus [63] a livello comunitario, poiché potenzierà i meccanismi di accesso alle informazioni di natura ambientale e renderà più efficiente il ricorso alla giustizia nazionale.

    [63] La convenzione di Århus concerne l'accesso all'informazione, la partecipazione pubblica ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia nel settore ambientale. Cfr. la direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale.

    4.2.2. Adeguare la politica ambientale alle sfide dello sviluppo sostenibile

    Per procedere verso uno sviluppo sostenibile, occorre sfruttare appieno le possibili sinergie fra l'ambiente e le altre due dimensioni economica e sociale.

    L'ambiente e la dimensione sociale

    - Ambiente e creazione di posti di lavoro

    Le attività economiche legate alla protezione dell'ambiente sono in aumento. La crescente domanda di una migliore qualità ambientale si rispecchia già in un'offerta in espansione di prodotti e servizi innocui per l'ambiente e in maggiori investimenti in tecnologie efficienti. Gli attuali sviluppi di mercato nel settore ecologico, secondo la definizione dell'OCSE, sono una chiara dimostrazione di queste tendenze. Sia il fatturato che la creazione di posti di lavoro in un settore che annovera oggi più di 2,5 milioni di addetti si sono mantenuti costantemente sopra la media nell'ultimo decennio [64]. In questa situazione, la sfida per l'UE è sfruttare appieno questo potenziale di mercato e trasformare i concetti di dissociazione e sviluppo sostenibile in fattori trainanti della crescita, ponendo l'accento su misure che abbinino produttività ed efficienza delle risorse mediante innovazione, nuove tecnologie e investimenti che creano lavoro. In linea con l'iniziativa europea per la crescita, questo rappresenterà l'orientamento fondamentale del piano di azione sulle tecnologie ambientali.

    [64] COM(2002) 122 def. del 13 marzo 2002, rapporto della Commissione - Tecnologia ambientale per lo sviluppo sostenibile.

    - Ambiente e qualità del lavoro

    Le politiche ambientali possono influire sulla qualità dell'occupazione. Ad esempio, in vari casi il maggiore ricorso alle tecnologie ambientali ha determinato la sostituzione di posti di lavoro a basso contenuto tecnologico nel settore della gestione dei rifiuti con altri a più elevato contenuto tecnologico e basati su tecnologie meno inquinanti. A tale tendenza contribuirà anche l'abbandono nelle politiche ambientali delle soluzioni di fine ciclo a favore di soluzioni integrate che richiedono di norma lavoratori maggiormente qualificati. Ciò rende necessaria un'azione di riqualificazione professionale per l'adeguamento dei lavoratori ai nuovi posti di lavoro che agirà anche come vettore di sensibilizzazione alle sfide ambientali dello sviluppo sostenibile.

    Le politiche ambientali devono altresì affrontare il frequente problema dell'elevata esposizione dei lavoratori ai rischi ambientali. Ad esempio, è stato stimato che circa 35 000 lavoratori muoiono ogni anno per l'esposizione a prodotti chimici cancerogeni sul posto di lavoro [65].

    [65] "Assessment of the Impact of the New Chemicals Policy on Occupational Health", RPA (Rural Payments Agency), 2003.

    - Politica ambientale e lotta contro la povertà e l'esclusione

    Le politiche ambientali possono contribuire alla lotta contro la povertà e l'esclusione. Di solito, infatti, da esse traggono vantaggio soprattutto gli strati sociali più poveri, che si trovano generalmente nelle zone più colpite da inquinamento atmosferico e degrado paesaggistico. Il miglioramento di un ambiente degradato può pertanto avere effetti distributivi positivi.

    L'ambiente e la dimensione economica

    Può essere necessario accettare compromessi tra elevati livelli di protezione ambientale e la crescita dell'economia e della competitività, ma esistono anche zone che permettono soluzioni vantaggiose per ambo i settori.

    - Varie attività del settore privato dipendono direttamente dalla qualità delle risorse naturali. Il turismo e il settore agroalimentare sono due esempi evidenti. In casi specifici di risorse sfruttate sotto il profilo commerciale - come gli stock ittici - le attuali tendenze insostenibili minacciano non soltanto l'ambiente ma anche il settore stesso e di conseguenza coloro che traggono dalla pesca i loro mezzi di sussistenza. In questa situazione è fondamentale prevedere chiari limiti alle pressioni sulle risorse naturali per dar loro il tempo di ricostituirsi e restare produttive a lungo termine.

    - Nell'economia in rapida evoluzione in cui opera il settore privato, l'innovazione, le conoscenze e la capacità di reagire agli umori dell'opinione pubblica costituiscono risorse preziose per chi desidera essere "prima sul mercato e più vicino al cliente". In tale contesto, le imprese non possono più fondare il proprio successo su strategie a basso costo nelle quali l'ambiente è considerato una risorsa di scarso valore economico da sfruttare. L'ambiente diventa una fonte di valore e un vettore di competitività che contribuisce ad accrescere il dinamismo e a migliorare l'immagine del settore.

    - La qualità dell'ambiente può essere un mezzo per attirare lavoratori qualificati e investitori esteri. Tale tendenza si riscontra nei parchi scientifici e tecnologici che puntano a insediarsi in zone "verdi", considerate un vantaggio considerevole assieme alla disponibilità di risorse qualificate e alla prossimità a centri di conoscenze.

    Occorre sfruttare appieno le sinergie fra il mondo imprenditoriale e l'ambiente per promuovere una crescita economica che offra benefici più ampi riducendo al minimo i danni ambientali. Oltre alla parte legislativa, le varie politiche ambientali devono quindi comprendere strumenti innovativi in grado di conciliare le esigenze delle imprese con quelle dell'ambiente.

    Da un lato, va previsto un approccio normativo equilibrato e ispirato ai principi di flessibilità, incentivo e prevedibilità sulla base di un'attiva interazione con l'industria e le parti sociali. Al riguardo, la Commissione farà sempre più affidamento, ogniqualvolta opportuno e fattibile, su strumenti basati sul mercato per migliorare il rapporto costo-efficacia. Dall'altro, l'industria deve accrescere il suo impegno nei confronti dello sviluppo sostenibile assumendo maggiori responsabilità in campo ambientale. Serve inoltre un sistema di sanzioni, sotto forma di responsabilità giuridica, da applicare nei casi in cui le imprese danneggiano l'ambiente con comportamenti irresponsabili.

    Sviluppare ulteriormente le sinergie fra l'ambiente e il settore privato

    - Promuovere lo sviluppo delle tecnologie ambientali

    Le tecnologie nuove e innovative svolgeranno un ruolo determinante nel passaggio alla società fondata sulle conoscenze propugnato dall'UE nella strategia di Lisbona. Tali tecnologie costituiscono un potente motore per la crescita economica, la competitività e il miglioramento della protezione ambientale e della qualità della vita. Esse possono contribuire a ridurre i costi della protezione ambientale consentendo agli utenti di soddisfare gli obiettivi ambientali a costi inferiori.

    Le tecnologie ambientali possono liberare risorse da usare in altri comparti dell'economia. La dissociazione della crescita economica dai danni ambientali e dall'uso delle risorse è esattamente quanto serve per lo sviluppo sostenibile. Le tecnologie ambientali rappresentano quindi un ponte naturale tra il pilastro economico e quello ambientale della strategia di Lisbona.

    Gran parte del loro potenziale resta tuttavia irrealizzato a causa di ostacoli istituzionali e di mercato al loro uso e bisogna intervenire su diversi fronti per ovviare a tale situazione. Servono ulteriori sforzi per accrescere il grado di sensibilizzazione e colmare le lacune di informazione sul potenziale di tali tecnologie. In questo senso, il programma LIFE offre un contributo prezioso. È inoltre fondamentale rimuovere gli ostacoli di mercato e soprattutto le numerose sovvenzioni implicite e dirette alle tecnologie più inquinanti.

    Promuovere lo sviluppo di tecnologie ambientali è una priorità della Commissione, che sta elaborando un piano di azione al riguardo. Il piano prenderà le mosse dal rapporto sulla tecnologia ambientale pubblicato dalla Commissione nel 2002 [66] e dalla comunicazione della Commissione "Verso un piano d'azione per le tecnologie ambientali" (2003) [67].

    [66] COM(2002) 122 del 13 marzo 2002.

    [67] Comunicazione della Commissione "Verso un piano d'azione per le tecnologie ambientali"; COM(2003) 131 def. del 25 marzo 2003.

    - Favorire soluzioni flessibili basate sul mercato

    Se ben impostati, i meccanismi di mercato flessibili (imposte, oneri, riduzione delle sovvenzioni dannose per l'ambiente, promozione dei meccanismi di scambio e accordi ambientali volontari) presentano una duplice attrattiva per la politica ambientale: oltre a consentire la massima efficienza attuativa, essi possono garantire una più ampia accettazione da parte del settore, limitando i costi. Tali meccanismi possono contribuire ad accrescere la competitività dell'economia comunitaria grazie all'uso più efficiente delle risorse naturali. Questo potenziale è sempre più riconosciuto dai politici.

    Negli ultimi anni l'Unione ha compiuto importanti progressi nell'uso di strumenti basati sui meccanismi di mercato, come attesta l'adozione della direttiva sul sistema comunitario di scambio delle quote di emissione [68]. Gli interventi a livello comunitario sono particolarmente importanti per evitare distorsioni del mercato unico e rischi di perdita di competitività dell'industria, a causa di iniziative nazionali per un mercato più "verde".

    [68] Cfr. sezione 3.1 - Cambiamenti climatici.

    L'approccio della Commissione circa l'uso di strumenti basati sui meccanismi di mercato nel contesto della politica ambientale sarà illustrato in una comunicazione prevista per il 2004.

    - Fornire un contesto normativo prevedibile

    Il maggior peso attribuito alla flessibilità normativa e alle iniziative volontarie non diminuisce l'importanza di norme più rigorose e di strumenti vincolanti. I regimi obbligatori restano necessari per stabilire norme ambientali e devono rimanere parte integrante del mix di politiche ambientali.

    Gli strumenti vincolanti possono generare costi per l'industria e gli altri operatori economici. Risulta pertanto imperativo stabilire obiettivi a lungo termine da raggiungere gradualmente per consentire all'industria e agli operatori di prevedere con anticipo i cambiamenti e adeguare i piani aziendali di conseguenza. Quanto maggiore sarà la prevedibilità del quadro normativo, tanto più semplice diventerà introdurlo nel normale ciclo di investimenti delle imprese.

    Promuovere nuovi approcci aziendali all'ambiente

    - Promuovere la responsabilità

    Gli sforzi dei governi per rendere più flessibile il quadro normativo devono essere sostenuti dall'impegno dell'industria.

    Il modo migliore per conseguire tale risultato consiste nello sviluppo di strategie aziendali di responsabilità sociale (Corporate Social Responsibility - CSR: strategie di responsabilità sociale) che riguardino in modo esplicito l'ambiente. L'adozione di tali strategie implica che l'impresa si assume volontariamente impegni che vanno al di là degli obblighi legali in vigore per accrescere i livelli di protezione ambientale e sociale e promuovere uno sviluppo sostenibile [69]. Queste strategie sono quindi un importante contributo che le imprese possono apportare allo sviluppo sostenibile.

    [69] Cfr. comunicazione della Commissione relativa alla responsabilità sociale delle imprese: un contributo delle imprese allo sviluppo sostenibile, COM(2002) 347 def. del 2 luglio 2002.

    Negli ultimi anni il numero di imprese europee che si sono dotate di strategie di responsabilità sociale è andato aumentando. Concepite innanzitutto come strumenti competitivi per la maggiore redditività raggiungibile grazie a prestazioni sociali e ambientali migliorate, esse sono anche ritenute utili a fini di marketing perché si ritiene che proiettando un'immagine di azienda con una gestione economicamente sana e ambientalmente corretta sia possibile attirare nuovi clienti.

    La comunicazione da parte delle imprese degli sforzi da esse posti in atto è molto utile per massimizzare l'impatto esterno delle strategie aziendali di responsabilità sociale. Far conoscere meglio queste strategie aziendali di responsabilità sociale attraverso lo scambio di buone pratiche tra le imprese e nei settori e anche a livello di iniziative di benchmarking è molto importante per promuovere questo approccio. Il Forum europeo multisoggetti (European Multistakeholder Forum) sulle strategie aziendali di responsabilità sociale è un passo verso questo obiettivo. I due strumenti seguenti, già sostenuti dalla Commissione, possono utilmente coadiuvare il funzionamento delle strategie aziendali di responsabilità sociale:

    * Pubblicazione, da parte delle imprese, di relazioni ambientali rigorose e verificate da soggetti indipendenti. Il Sesto piano di azione per l'ambiente incoraggia la pubblicazione di tali relazioni (ciò è particolarmente applicabile nel caso di grandi imprese). Il numero di imprese stabilite nell'UE che pubblica regolarmente tali relazioni cresce costantemente, ma non è sufficiente. Per essere pienamente efficaci, le relazioni ambientali dovrebbero fondarsi su serie di indicatori comuni che consentano analisi comparate intersettoriali.

    * Sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS). Introdotto nel 1993, il regime EMAS promuove il miglioramento costante delle prestazioni ambientali dell'industria impegnando le organizzazioni a valutare e migliorare le proprie prestazioni ambientali nonché a fornire informazioni al pubblico. Dal 2001 l'EMAS è stato esteso a tutti i settori dell'economia compresi gli enti pubblici [70] e ci si è adoperati per adattarlo alle PMI. Benché in costante aumento a partire dal 1993, le registrazioni EMAS restano ancora distribuite in maniera troppo eterogenea nell'Unione.

    [70] Cfr. regolamento (CE) n. 761/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2001, sull'adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS), GU L 114 del 24 aprile 2001, pag. 1.

    Introdurre un quadro comunitario per la responsabilità giuridica

    La responsabilità giuridica costituisce il corollario necessario della responsabilità delle imprese in campo ambientale. Disincentivando il ricorso a pratiche insostenibili, essa contribuisce a promuovere comportamenti responsabili nel settore industriale.

    La proposta di direttiva sulla responsabilità ambientale [71] definisce il quadro comunitario di tale responsabilità, fondato sul principio "chi inquina paga". Ai sensi della proposta, gli operatori devono intervenire in via preventiva quando esiste la minaccia imminente di un danno e in via riparatoria - a loro spese - ove il danno sia stato effettivamente provocato.

    [71] Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, COM(2002) 17 def. del 23 gennaio 2002.

    L'accordo politico raggiunto al Consiglio "Ambiente" di giugno ha spianato la strada per l'adozione di detta direttiva nel 2004, in linea con le conclusioni del Consiglio europeo di primavera del 2003 [72].

    [72] Paragrafo 58, Conclusioni della Presidenza, Consiglio europeo di Bruxelles (20-21 marzo 2003).

    Tutelare l'ambiente con il diritto penale in caso di grave inosservanza del diritto comunitario

    Non tutti gli Stati membri prevedono sanzioni penali per le violazioni più gravi del diritto ambientale comunitario. La Commissione ha pertanto presentato nel 2001 una proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla protezione dell'ambiente attraverso il diritto penale [73]. Avendo invece il Consiglio adottato la decisione quadro 2003/80/GAI relativa alla protezione dell'ambiente attraverso il diritto penale [74] ai sensi del terzo pilastro del trattato sull'Unione europea, la Commissione ha adito la Corte di giustizia per ottenere chiarimenti circa il fatto se le disposizioni sulle sanzioni penali rientrino nel primo o nel terzo pilastro del trattato sull'Unione europea [75].

    [73] COM (2001) 139 def. - GU C 180 del 26 giugno 2001, pag. 238.

    [74] GU L 29 del 5 febbraio 2003, pag. 55.

    [75] Cfr. comunicato stampa della Commissione, IP/03/461 e sunto della causa C-176/03, pubblicato nella GU C 135 del 7 giugno 2003, pag. 21.

    Dopo l'incidente della petroliera Prestige al largo delle coste spagnole nel novembre 2002, la Commissione ha prontamente adottato due nuovi strumenti che introducono sanzioni penali onde evitare nuove maree nere lungo le coste europee [76].

    [76] Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'inquinamento provocato dalle navi e all'introduzione di sanzioni, comprese sanzioni penali, per i reati di inquinamento (COM(2003) 92 del 5 marzo 2003). Il contenuto della proposta è duplice: incorpora nel diritto comunitario le norme internazionali applicabili sugli scarichi per l'inquinamento causato dalle navi (norme MARPOL 73/78) e regolamenta dettagliatamente le modalità per garantire l'osservanza di tali norme. Per completare la proposta di direttiva, la Commissione ha adottato una proposta di decisione quadro del Consiglio intesa a rafforzare la cornice penale per la repressione dell'inquinamento provocato dalle navi (COM(2003) 227 def. del 2 maggio 2003). La proposta concerne in particolare l'armonizzazione delle sanzioni e prevede per determinati casi la privazione della libertà per le persone fisiche e il livello delle ammende comminate dagli Stati membri.

    4.3. Conoscenze e informazione

    Le informazioni e le conoscenze apportano un contributo duplice alla definizione delle politiche ambientali.

    - Innanzitutto, esse permettono ai decisori di adottare politiche migliori. Nel contesto dello sviluppo sostenibile, servono maggiori conoscenze per consentire ai responsabili decisionali di valutare se è necessario intervenire, gestire i rischi in situazioni di incertezza e soppesare i benefici e i costi potenziali delle politiche in tutte e tre le dimensioni. È pertanto necessario migliorare la conoscenza delle questioni ambientali e delle loro interazioni per fondare le politiche sulle migliori conoscenze e informazioni scientifiche disponibili.

    - In secondo luogo, l'ampia disponibilità al pubblico delle informazioni ambientali e la crescente partecipazione dei soggetti interessati alla definizione delle politiche ambientali sono fondamentali per migliorare la governabilità e, di riflesso, le iniziative politiche.

    4.3.1. Fondare gli interventi su conoscenze approfondite

    Il Sesto programma di azione per l'ambiente ribadisce con fermezza che le politiche ambientali devono basarsi su conoscenze e sulle migliori prove scientifiche disponibili. Le informazioni alla base delle conoscenze (dati, statistiche, indicatori o buone pratiche scientifiche, tecniche o economiche) provengono da tutta una serie di fonti e soggetti interessati (nella fattispecie: Stati membri, Agenzia europea dell'ambiente, Eurostat, Sesto programma quadro di RST della Comunità e enti e programmi di ricerca nazionali). Una migliore comunicazione fra le varie reti coinvolte è necessaria per accrescere il coordinamento reciproco, ampliare i flussi informativi e utilizzare meglio le informazioni attualmente disponibili.

    Le conoscenze come fattore trainante della politica ambientale

    Oltre ad accrescere la consapevolezza dell'opinione pubblica della situazione e delle tendenze in campo ambientale, l'informazione assolve una serie di compiti fondamentali nel processo di definizione delle politiche ambientali. Innanzitutto, essa costituisce una determinante di tali politiche. Monitorando i fattori trainanti, le pressioni e i cambiamenti di stato dell'ambiente è possibile individuare i problemi appena emergono. In secondo luogo, l'informazione è fondamentale per determinare le risposte politiche più adeguate ai problemi rilevati. Data la natura complessa di numerosi parametri ambientali, una conoscenza delle interazioni e delle sovrapposizioni è cruciale per fornire le risposte politiche più opportune senza influire negativamente su altri settori. In terzo luogo, le informazioni di natura ambientale consentono ai decisori di misurare l'attuazione delle politiche ambientali. Le politiche sono efficaci se attuate correttamente e con coerenza. Il feedback informativo può consentire alle nuove politiche di beneficiare degli insegnamenti ricavati dall'esperienza precedente. Infine, grazie alle informazioni, è possibile valutare l'efficacia delle politiche, cioè verificare se il problema è stato risolto.

    Istituire un quadro adeguato

    Le informazioni ambientali sono spesso ritenute meno tempestive, complete e valide di quelle provenienti da altri settori, in particolare da quello economico. Benché queste critiche siano parzialmente giustificate, occorre tenere presente la notevole disparità di risorse assegnate alla raccolta di informazioni.

    Il miglioramento delle informazioni ambientali non richiede soltanto maggiori risorse, ma anche un approccio più coordinato alla raccolta dei dati. In tale ambito, occorre potenziare la collaborazione fra l'Agenzia europea dell'ambiente, le reti Eurostat e quelle sostenute dal programma quadro di ricerca della Commissione. Nel Sesto programma di azione per l'ambiente, la Commissione si è impegnata a istituire un quadro per le relazioni più coerente e efficace onde alleggerire il carico di lavoro degli Stati membri e presenterà proposte in questo senso nel 2005.

    Nella definizione delle politiche, occorre prevedere risorse sufficienti per il monitoraggio e i rapporti informativi. Ciò potrebbe avere importanti conseguenze, in un secondo momento, sul controllo dell'attuazione della legislazione ambientala e sull'informazione al pubblico. Ad esempio, la comparabilità delle informazioni fornite dai vari Stati membri potrebbe essere inficiata da un'eccessiva disparità in termini di numero o ubicazione dei siti di monitoraggio, come è avvenuto nel caso della qualità dell'aria.

    Migliorare la base di conoscenze

    Molte prossime strategie tematiche comprenderanno disposizioni, ad esempio indicatori, per seguirne l'efficacia nel tempo. Prosegue il miglioramento degli indicatori ambientali, soprattutto in campi come la biodiversità e i prodotti chimici [77] - dove esistono lacune. Al riguardo la priorità conferita al supporto scientifico alle politiche, introdotta dal Sesto programma quadro di RST della Comunità che prevede l'assistenza alle iniziative ambientali lungo le varie tappe del processo politico (progettazione, sviluppo e monitoraggio dell'attuazione) è un utile strumento.

    [77] BIO-IMPS (Biodiversity Implementation Indicators) per la biodiversità e REACH (Registration, Evaluation and Authorisation of CHemicals) per i prodotti chimici.

    I progressi sono tuttavia complicati dal fatto che è difficile valutare la scala di un problema ambientale. Nondimeno, sono in corso varie iniziative per individuare e sviluppare indicatori "integrativi" connessi all'ambiente, come TERM [78] per i trasporti e IRENA [79] per l'agricoltura. Inoltre, su richiesta del comitato statistico europeo, Eurostat ha istituito una task force plurinazionale per sviluppare indicatori di sviluppo sostenibile in grado di misurare le sovrapposizioni e i compromessi tra le varie dimensioni.

    [78] Meccanismo di relazione "Trasporti e ambiente".

    [79] Sviluppo di indicatori agroambientali.

    Un'altra iniziativa della Commissione riguarda l'istituzione di INSPIRE (Infrastructure for Spatial Information in Europe), che garantirà la coerenza fra le fonti pubbliche di informazioni geografiche rendendo possibili economie di scala e interoperabilità. A questa si riallaccia l'iniziativa GMES (Global Monitoring for Environment and Security), che svilupperà servizi di monitoraggio a sostegno dell'ambiente e delle politiche di sicurezza. GALILEO e ESPON sono altri strumenti importanti. Tra le sue numerose applicazioni, GALILEO - il programma europeo di servizi di navigazione globale - potrà contribuire a cartografare gli oceani e la criosfera e anche a determinare la portata dell'inquinamento e a rilevarne le fonti. ESPON - la rete per il monitoraggio e la ricerca nel campo dello sviluppo territoriale e della pianificazione (European Spatial Planning Observatory Network) - contribuirà a definire una serie di indicatori territoriali per analizzare gli impatti regionali delle politiche comunitarie.

    L'obiettivo è mettere a disposizione della Commissione e dell'Agenzia spaziale europea (ESA) un'ampia gamma di strumenti per creare una capacità europea di monitoraggio entro il 2008. La Commissione si adopererà a migliorare le sinergie fra le varie iniziative citate, con la finalità ultima di sfruttare appieno il potenziale delle tecnologie nuove e esistenti in materia di raccolta e analisi dei dati, razionalizzando e alleggerendo l'onere dei rapporti, per facilitare l'attuazione delle politiche ambientali e promuovere l'integrazione della dimensione ambientale nelle altre politiche.

    Gestire il rischio

    Per le insufficienti competenze scientifiche, le conoscenze saranno sempre limitate, a prescindere dagli sforzi compiuti per ampliarle. Ciò non giustifica tuttavia l'inattività. Occorre seguire un approccio per la gestione dei rischi, fondato sui principi di precauzione [80], prevenzione alla fonte e responsabilità finanziaria di chi inquina. La direttiva sulla responsabilità ambientale garantirà la disponibilità dei mezzi finanziari necessari per riparare eventuali danni ambientali. Parte essenziale di tale approccio è l'informazione del pubblico circa la natura e la portata dei rischi.

    [80] Cfr. la comunicazione della Commissione sul principio di precauzione, COM(2000) 1 def. del 2 febbraio 2000.

    4.3.2. Migliorare l'accesso alle informazioni e la partecipazione al processo decisionale

    Oltre ad accrescere la responsabilità e la trasparenza dei governi, l'accesso del pubblico alle informazioni sull'ambiente migliora anche la governance. A sua volta, una maggiore partecipazione del pubblico alla definizione delle politiche ambientali garantisce la consultazione di tutti i gruppi interessati e accresce non soltanto la qualità degli effetti delle politiche ma anche la probabilità che queste ultime siano attuate correttamente. Considerato l'impatto potenziale delle misure proposte su un'ampia gamma di gruppi, l'articolo 10 del Sesto programma per l'ambiente sottolinea l'importanza di un'ampia consultazione dei soggetti interessati in tutte le fasi del processo decisionale e di una partecipazione rafforzata delle ONG ambientali. Per quest'ultimo aspetto, la Commissione ha varato un programma [81] di sostegno alle ONG attive nel campo della protezione ambientale - comprese quelle dei paesi di adesione e candidati - per il periodo 2002-2006.

    [81] Decisione n. 466/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 1º marzo 2002 che stabilisce un programma di azione comunitario per la promozione delle organizzazioni non governative attive principalmente nel campo della protezione ambientale (GU L 75 del 16 marzo 2002, pagg. 1-6).

    L'accesso alle informazioni ambientali e la partecipazione del pubblico alla definizione delle politiche ambientali a livello dell'Unione saranno ulteriormente migliorati con l'attuazione della convenzione di Århus [82], che concerne anche il diritto alla giustizia in materia ambientale. Tale convenzione può essere considerata un modo per rendere più democratico l'ambiente e approfondire il rapporto con il pubblico. Nell'ottobre 2003 la Commissione ha approvato un pacchetto di proposte per ratificarla [83].

    [82] Convenzione dell'UNECE sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale.

    [83] Il pacchetto legislativo, adottato il 24 ottobre 2003, comprende tre proposte: una riguarda una Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso alla giustizia in materia ambientale (COM (2003)624); una riguarda un Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'applicazione delle disposizioni della Convenzione di Aarhus sull'accesso all'informazione, la partecipazione pubblica al processo decisionale e l'accesso alla giustizia in materia ambientale alle istituzioni e apparati dell'UE (COM(2003)622); una riguarda una Decisione del Consiglio sulla conclusione, in nome della Comunità europea, della Convenzione sull'accesso all'informazione, la partecipazione pubblica al processo decisionale e l'accesso alla giustizia in materia ambientale (COM(2003)625).

    5. I nuovi Stati membri - le sfide specifiche dell'ampliamento

    La conclusione dei negoziati per l'ampliamento, la firma dei trattati di adesione con Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria, e il completamento del processo di ratifica in tali paesi hanno spianato la strada per un ampliamento storico dell'UE a dieci nuovi Stati membri nel 2004.

    Sotto la guida e il controllo dell'UE, negli ultimi dieci anni i paesi di adesione hanno compiuto notevoli sforzi sul fronte ambientale avvicinandosi sempre di più alle norme comunitarie. Mediamente, il 90% circa dell'acquis è già stato recepito: in settori particolari quali la legislazione orizzontale e riguardante aria e rifiut,iil recepimento legislativo è in via di completamento. Parallelamente sono stati compiuti importanti progressi in materia di attuazione, soprattutto sotto forma di rafforzamento della capacità amministrativa.

    Alla vigilia dell'ampliamento i paesi di adesione sono in genere a buon punto nell'attuazione dell'acquis. Negli approfonditi rapporti di monitoraggio sullo stato di preparazione all'adesione all'UE [84], adottati nel novembre 2003 non sono stati individuati per l'ambiente campi che destano preoccupazione. I rapporti hanno comunque evidenziato aspetti per i quali i paesi di adesione devono intensificare la loro azione onde rispettare gli obblighi dell'adesione. Per la maggior parte dei paesi destano preoccupazione l'attuazione della legislazione concernente Natura 2000 e per alcuni di quella sulla gestione dei rifiuti e l'inquinamento industriale.

    [84] Rapporti approfonditi di monitoraggio della Commissione europea sullo stato di preparazione all'adesione all'UE di: Repubblica ceca, Estonia, Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Polonia, Slovenia e Slovacchia, COM(2003) 675 def.; SEC(2003) 1200; SEC(2003) 1201; SEC(2003) 1202; SEC(2003) 1203; SEC(2003) 1204; SEC(2003) 1205; SEC(2003) 1206; SEC(2003) 1207; SEC(2003) 1208; SEC(2003) 1209. [Traduzione italiana ufficiale non disponibile]

    Continuano i negoziati di adesione con la Romania e la Bulgaria (per quest'ultima il capitolo ambiente è stato provvisoriamente chiuso [85]). I rapporti periodici adottati dalla Commissione contemporaneamente ai rapporti di monitoraggio approfonditi per i paesi di adesione concludono che la Bulgaria ha raggiunto un buon livello di allineamento all'acquis ambientale e che deve continuare e rafforzare l'azione di attuazione, soprattutto il rafforzamento delle capacità amministrative. Per la Romania il rapporto conclude che malgrado l'adozione di numerosi atti legislativi, la capacità amministrativa e le risorse finanziarie assegnate al settore restano insufficienti.

    [85] Sono state decise disposizioni transitorie fino al 2011 per il tenore di zolfo dei carburanti liquidi; fino al 2009 per le emissioni di composti organici volatili provenienti dallo stoccaggio e dalla distribuzione di benzina; fino al 2011 per il recupero e il riciclo dei rifiuti di imballaggio; fino al 2014 per il conferimento a discarica di alcuni rifiuti liquidi; fino al 2009 per alcune spedizioni di rifiuti; fino al 2011 per IPPC (con riferimento ad alcuni impianti esistenti); fino al 2014 per le acque urbane reflue; fino al 2014 per i grandi impianti di combustione.

    Questi sforzi cominciano a dare i loro frutti. Nei paesi di adesione e in quelli candidati, vi è stato negli ultimi anni un miglioramento delle condizioni ambientali e in particolare una sostanziale riduzione dell'inquinamento atmosferico e delle acque [86].

    [86] Cfr. "L'ambiente in Europa: la terza valutazione", Agenzia europea dell'ambiente, Environmental assessment report n. 10, 2003.

    La Commissione fa il possibile per rispondere a queste sfide ambientali nel periodo post-adesione, dando la priorità al potenziamento delle capacità e al finanziamento nei casi dove occorrono altri progressi e all'integrazione, che ha risentito dell'attenzione quasi esclusiva prestata nell'ultimo decennio agli aspetti attuativi e dove la situazione si sta deteriorando.

    5.1. L'attuazione dell'acquis ambientale - la dimensione istituzionale

    L'adesione imporrà alle amministrazioni ambientali dei nuovi Stati membri maggiori e complessi obblighi in termini di controlli, ispezioni, autorizzazioni e rapporti. Le persistenti difficoltà di ottenimento di fondi e personale sufficienti, e la mancanza di coordinamento fra i diversi settori delle politiche hanno purtroppo frenato i progressi in questo senso.

    Più in positivo, gran parte dei paesi di adesione assegna risorse umane crescenti all'attuazione della legislazione ambientale. Inoltre, nell'ambito di programmi bilaterali, sono stati istituiti (e introdotti nei progetti di gemellaggio) scambi con le amministrazioni degli Stati membri attuali. Parallelamente sono rafforzati gli uffici ispettivi, istituite agenzie per l'ambiente e potenziati i sistemi per garantire la qualità dell'aria e dell'acqua. Tali misure, da sole, restano tuttavia insufficienti. Gli Stati membri vanno incoraggiati a proseguire l'assistenza tecnica e le azioni nell'ambito dei gemellaggi anche dopo l'adesione. Lo strumento di transizione può coadiuvare questo processo.

    5.2. Attuazione dell'acquis ambientale - la dimensione finanziaria

    La dimensione finanziaria è significativa come quella istituzionale. Per conformarsi all'acquis ambientale, caratterizzato da forti investimenti, i dieci paesi di adesione dovranno spendere - secondo le stime - circa 50-80 miliardi di euro. A tale cifra vanno aggiunti i 30 miliardi di euro relativi a Bulgaria e Romania [87]. La sola direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane richiederà investimenti per circa 15 miliardi di euro. Una piena attuazione da parte dei nuovi Stati membri comporterà nei prossimi anni una spesa per l'ambiente mediamente pari al 2-3% del PIL. I livelli attuali di spesa, tuttavia, sono di norma nettamente inferiori all'obiettivo indicato.

    [87] Tali cifre coprono soltanto l'acquis ambientale caratterizzato da forti investimenti (acque reflue urbane, approvvigionamento idrico e aria [IPPC]). Cfr. comunicazione della Commissione COM(2001) 304 def.

    Negli ultimi anni sono stati compiuti netti progressi.

    - Sviluppo e miglioramento delle infrastrutture ambientali: benché ancora inferiori alla media UE, le percentuali di collegamento a impianti di trattamento delle acque reflue sono raddoppiate dai primi anni '90. Dal 2000 gli strumenti di preadesione ISPA, PHARE e SAPARD hanno sostenuto il miglioramento dell'infrastruttura ambientale.

    - Preparazione, per vari atti normativi caratterizzati da forti investimenti, di piani attuativi accompagnati da strategie di finanziamento.

    Nella maggior parte dei paesi di adesione sono stati ora adottati piani di gestione dei rifiuti e sono in corso valutazioni della qualità atmosferica, tuttavia resta ancora molto da fare. Il finanziamento dell'ambiente nella fase pre-adesione si è rivelato particolarmente problematico, soprattutto nei settori della gestione dei rifiuti urbani e delle acque, a causa delle carenze amministrative di vari paesi. Un'efficace attuazione della legislazione comunitaria richiede risorse finanziarie adeguate. In parallelo, occorre rafforzare la capacità delle istituzioni per garantire l'uso efficiente dei fondi assegnati alle infrastrutture ambientali.

    In questa situazione le azioni prioritarie dovrebbero concentrarsi sugli elementi qui di seguito:

    - Ricorso al Fondo di coesione, ai Fondi strutturali e ai programmi di sviluppo rurale per aiutare i nuovi Stati membri a recepire l'intero acquis entro i periodi di transizione negoziati. Ciò riguarda in particolare le direttive concernenti la gestione dei rifiuti, l'approvvigionamento idrico e le acque reflue urbane, caratterizzate da forti investimenti.

    - Assegnazione, nella fase attuale, di una porzione significativa dei Fondi strutturali principali al finanziamento delle infrastrutture e allo sviluppo di capacità in campo ambientale.

    - Assicurare che le sovvenzioni UE attraggano finanziamenti da altre fonti, come: Banca europea per gli investimenti (BEI), aiuti o crediti concessi da singoli paesi in base ad accordi bilaterali, prestiti delle banche commerciali, investimenti esteri diretti, e proventi da i oneri, diritti o impostesul consumatore.

    - Incoraggiamento ai paesi di adesione a prevedere, nei bilanci nazionali, risorse sufficienti per l'attuazione. La natura vincolante degli obiettivi e le chiare scadenze definitive concernenti le direttive per le quali sono stati concessi periodi di transizione (con strategie attuative dettagliate relative anche ai finanziamenti) giustificano l'assegnazione di risorse finanziarie e umane adeguate all'attuazione a livello nazionale.

    5.3. Accrescere l'integrazione

    L'attenzione prioritaria all'adeguamento all'acquis prestata dai responsabili delle politiche ambientali nei paesi di adesione, nonché la generale penuria di risorse, hanno ostacolato i progressi in materia di integrazione. Nella fase post-adesione occorrerà potenziare gli sforzi su questo fronte.

    Le prospettive di crescita economica dei paesi di adesione nei prossimi anni determineranno aumenti costanti della domanda di trasporti ed energia elettrica, che potrebbero mettere a repentaglio le prestazioni a livello di cambiamento climatico di alcuni di questi paesi. Per motivi principalmente riconducibili al deterioramento dell'economia e al processo di ristrutturazione in atto nella prima metà degli anni '90, i paesi di adesione sono a buon punto nel percorso verso il soddisfacimento degli obiettivi di Kyoto. In tali paesi, le emissioni totali di gas a effetto serra sono scese del 32% fra il 1990 e il 1999 [88]. Per evitare che alla crescita si associno aumenti di queste emissioni, occorre garantire la sostenibilità degli investimenti infrastrutturali di lungo periodo nei paesi di adesione.

    [88] Cfr. la relazione della Commissione ai sensi della decisione 93/389/CEE del Consiglio su un meccanismo di controllo delle emissioni di gas ad effetto serra nella Comunità, COM(2002) 702 def. del 9 dicembre 2002.

    L'ulteriore integrazione delle politiche concernenti il cambiamento climatico nei Fondi strutturali, nel cui ambito saranno finanziati numerosi investimenti a favore dei trasporti e dell'energia, deve pertanto essere considerata prioritaria in un'ottica di lungo periodo successiva a Kyoto. Inoltre, occorre prestare particolare attenzione all'integrazione nei settori dei trasporti e dell'energia.

    Trasporti: I paesi di adesione continuano a ottenere risultati notevolmente migliori rispetto agli Stati membri attuali circa la ripartizione modale nei trasporti o i consumi energetici dei trasporti e le emissioni di ossidi di azoto. Gli indicatori cominciano però a puntare nella direzione sbagliata, con il calo del trasporto ferroviario di merci, un aumento del 62% della rete autostradale e un aumento del 73% delle autovetture in circolazione.

    L'assistenza finanziaria comunitaria, e in particolare i programmi sul trasporto, dovrebbe pertanto concernere prioritariamente progetti sostenibili, in particolare il rinnovamento dei sistemi di trasporto pubblico urbano (dove i paesi di adesione registrano ritardi) e il passaggio modale.

    Energia: Nei paesi di adesione l'efficienza energetica è aumentata, grazie all'adozione di misure positive e alla ristrutturazione dell'economia. Rispetto alla media degli attuali Stati membri dell'UE, tuttavia, essa resta notevolmente inferiore, mentre l'intensità di consumo energetico per unità di produzione è ancora nettamente superiore.

    Occorre sfruttare appieno il potenziale insito in soluzioni di risparmio energetico vantaggiose per tutti nel contesto degli investimenti destinati alla generazione di energia e alle imprese, due settori per i quali il sostegno comunitario dovrebbe includere, ove opportuno, una componente di risparmio energetico.

    I paesi di adesione hanno fissato obiettivi per l'energia rinnovabile nel quadro della direttiva 2001/77/CE sull'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili [89]. L'obiettivo totale nel 2010 per l'UE-25 per l'elettricità rinnovabile è ora del 21%, anziché del 22% per l'UE-15.

    [89] Direttiva 2001/77/CE. Questa direttiva sarà recepita dai nuovi Stati membri nel maggio 2004.

    6. Dimensione internazionale

    Poiché l'ambiente non conosce frontiere, il pilastro ambientale dello sviluppo sostenibile non può essere promosso da singoli paesi o regioni con interventi non coordinati. L'UE si è pertanto impegnata a promuovere la protezione dell'ambiente sul fronte esterno [90]. Le sfide della politica ambientale in ambito internazionale richiedono risposte specifiche che l'UE sta mettendo a punto.

    [90] Comunicazione della Commissione "Verso una partnership globale per uno sviluppo sostenibile"; COM(2002) 82 def. del 13 febbraio 2002.

    6.1. Sfide internazionali per la politica ambientale

    Nel promuovere lo sviluppo sostenibile a livello internazionale, l'UE deve affrontare quattro sfide principali.

    Promuovere soluzioni plurinazionali e multilaterali per le questioni ambientali.

    Molte sfide ambientali critiche sono di natura internazionale e possono quindi essere affrontate efficacemente soltanto con un approccio multilaterale e plurinazionale. Promuovere la cooperazione ambientale internazionale a livello bilaterale e multilaterale in presenza di pressioni economiche e politiche di breve periodo e in un momento in cui esiste la forte tentazione di ricorrere ad azioni unilaterali è un compito complesso.

    Limitare le ripercussioni negative sull'ambiente dei paesi terzi.

    Numerose politiche interne dell'UE - e in particolare l'agricoltura e la pesca - hanno ripercussioni su paesi terzi, spesso in via di sviluppo. Anche le tendenze europee in materia di produzione e consumi hanno conseguenze per l'ambiente dei paesi terzi e accrescono i problemi ambientali a livello internazionale. Benché non esistano prove precise, si teme che norme ambientali stringenti elevate possano indurre una migrazione delle industrie inquinanti verso paesi più poveri con norme meno rigorose innescando quella che viene spesso definita come una "spirale discendente". Pur promuovendo l'industrializzazione e lo sviluppo economico nei paesi terzi, l'UE deve evitare che tali paesi finiscano per sostenere i costi sociali e ambientali dell'Unione. Per attenuare questo trasferimento di costi, una soluzione è trasferire tecnologie più pulite, ricorrendo ad esempio ai meccanismi flessibili di Kyoto.

    Affrontare il legame fra povertà e degrado ambientale.

    Un miliardo e duecento milioni di persone nel mondo vivono con meno di un dollaro al giorno. Tali livelli di povertà e la lotta per la sopravvivenza non consentono investimenti sufficienti a protezione dell'ambiente. Eppure, una gestione sostenibile delle risorse naturali a livello locale è fondamentale per i paesi in via di sviluppo, le cui economie spesso dipendono in larga misura da tali risorse. Poiché povertà e degrado ambientale sono indissolubilmente connessi, serve un impegno internazionale inteso a creare le condizioni necessarie per la protezione ambientale e uno sviluppo sostenibile alleviando la povertà.

    Tener conto del rapporto tra ambiente e sicurezza.

    Le questioni ambientali sono strettamente connesse alla sicurezza. Risorse scarse possono costituire fonti potenziali di conflitto, come dimostrano le tensioni ricorrenti per il controllo delle risorse idriche in alcune regioni del mondo. I conflitti possono inoltre determinare un notevole degrado dell'ambiente, che può ostacolare lo sviluppo economico e sociale e generare flussi migratori che a loro volta alimentano tensioni a livello nazionale e regionale. Più in positivo, questioni ambientali di basso profilo possono fungere da catalizzatori per agevolare la collaborazione e accrescere la fiducia fra paesi confinanti.

    Queste interdipendenze fra ambiente e sicurezza devono essere studiate più sistematicamente, ossia nella conduzione della politica ambientale bisogna tener conto degli aspetti di sicurezza. Analogamente, la formulazione della politica estera deve integrare meglio la dimensione ambientale.

    6.2. Le risposte dell'UE

    Per rispondere efficacemente a tali sfide, l'UE ha definito i quattro orientamenti prioritari seguenti.

    6.2.1. Porre lo sviluppo sostenibile al centro dell'agenda internazionale

    Convinta del fatto che l'approccio multilaterale e plurinazionale sia l'unico in grado di affrontare i problemi ambientali su scala mondiale, negli ultimi anni l'UE ha svolto un ruolo centrale nella definizione e nella promozione di un'agenda internazionale in materia di ambiente. Ciò è dimostrato sia dal suo impegno sia dal suo ruolo leader nei processi ambientali multilaterali, nonché dal suo coinvolgimento attivo con i partner nelle questioni ambientali. Ora che gran parte degli accordi internazionali necessari è stata approvata, occorre garantirne un'efficace attuazione nei paesi industrializzati e in quelli in via di sviluppo.

    Il ruolo leader dell'UE al vertice mondiale di Johannesburg sullo sviluppo sostenibile

    Il buon esito del vertice di Johannesburg è dipeso in gran parte dalla determinazione e dal ruolo leader dell'UE. Oltre a stabilire nuovi obiettivi importanti quali l'accesso alle strutture igienico-sanitarie, la tutela della biodiversità, la protezione degli stock ittici e la disciplina dei prodotti chimici, il piano di attuazione di Johannesburg ha varato oltre duecento partnership volontarie per lo sviluppo sostenibile, di cui due importanti in materia di acqua ed energia. Inoltre, tutti i paesi, in testa quelli industrializzati, si sono impegnati a modificare i profili di produzione e consumo insostenibili per dissociare la crescita economica dal degrado dell'ambiente.

    L'UE è decisa a tradurre il piano di attuazione di Johannesburg in risultati concreti. La strategia dell'Unione per uno sviluppo sostenibile costituisce il principale vettore in questo senso. Il suo riesame, previsto per il 2004, consentirà di integrare ulteriormente la dimensione interna e quella internazionale.

    Per le azioni concrete, sarà fondamentale l'ulteriore sviluppo dell'iniziativa UE sull'acqua - che ha suscitato grandi speranze soprattutto in Africa - in particolare mediante la proposta di istituire un fondo UE per l'acqua. Pari importanza rivestono la definizione di obiettivi per le energie rinnovabili, mediante la coalizione di Johannesburg per l'energia rinnovabile (JREC), varata grazie all'impegno dell'Unione, e la corretta attuazione dell'iniziativa UE per l'eradicazione della povertà e lo sviluppo sostenibile (Iniziativa EnergiaUE). La conferenza mondiale sull'energia rinnovabile, che si terrà a giugno 2004, costituirà l'occasione per presentare e compiere progressi in entrambe le iniziative.

    Impegnare i partner sulle questioni ambientali

    Oltre ad aggiungere dieci nuovi paesi all'UE nel 2004, il prossimo ampliamento darà all'Unione nuovi vicini a Est e più stretti rapporti con la sponda meridionale del Mediterraneo grazie all'adesione di Cipro e Malta. Ciò determinerà un ampliamento senza precedenti degli interessi strategici dell'UE. In tale contesto, diventa fondamentale migliorare i rapporti anche ambientali con i paesi dei Balcani occidentali, con la Russia e con i Nuovi Stati indipendenti, oltreché con il bacino del Mediterraneo, per promuovere lo sviluppo sostenibile nei paesi contemplati dall'iniziativa politica "Europa piu ampia" [91]. Nell'ambito di questa iniziativa la Commissione adotterà un pacchetto "Europa piu ampia" contenente un documento strategico, un piano di azione e rapporti per nazione sulla dimensione ambientale.

    [91] Cfr. comunicazione della Commissione sull'Europa ampliata, COM(2003) 104 def. dell'11 marzo 2003.

    L'UE si è anche impegnata a promuovere la cooperazione in campo ambientale con i principali partner esterni alla regione europea più ampia, sia nel mondo industrializzato sia in quello in via di sviluppo. Tale cooperazione è attualmente in corso con una serie di paesi.

    Nella loro qualità di maggiori economie del mondo, l'UE e gli Stati Uniti dovrebbero promuovere e rispettare l'agenda per uno sviluppo sostenibile. In passato, interventi comuni hanno determinato successi importanti quali ad esempio l'istituzione del Centro regionale per l'ambiente per l'Europa centrale e orientale. L'UE intende continuare a impegnarsi attivamente con gli Stati Uniti a livello bilaterale e multilaterale per approfondire la cooperazione.

    6.2.2. Accrescere la coerenza fra le politiche

    La credibilità e l'efficacia dell'UE nel promuovere lo sviluppo sostenibile sulla scena internazionale dipendono tra l'altro dalla capacità di assicurare una maggiore coerenza fra il suo operato interno ed esterno e di integrare ulteriormente la dimensione ambientale nelle sue politiche esterne.

    Garantire la coerenza fra le politiche interne ed esterne dell'UE

    A Johannesburg è stato ammesso che le politiche interne inducono nei paesi terzi degli effetti che devono essere affrontati con urgenza. In tale contesto, l'UE e gli altri paesi industriali si sono impegnati a sviluppare un quadro decennale di programmi a sostegno di modelli sostenibili di produzione e consumo [92].

    [92] Per ulteriori informazioni sui modelli sostenibili di produzione e consumo, cfr. sezione 3.3 - Gestione delle risorse.

    Inoltre, per ridurre l'impatto ambientale dell'UE è fondamentale garantire la coerenza fra le politiche esterne e interne dell'Unione, soprattutto in materia di pesca e agricoltura. Per poter tener fede ai propri obblighi internazionali, l'UE deve introdurre gli impegni assunti a Johannesburg nelle proprie politiche interne.

    Integrare ulteriormente la dimensione ambientale nelle politiche esterne dell'UE

    In linea con le strategie di integrazione delle questioni ambientali adottate nel 2001 e nel 2002 dai Consigli "Sviluppo" e "Affari generali", è stata avviata un'opera di integrazione della dimensione ambientale nelle politiche estera, commerciale e di cooperazione allo sviluppo. Tali sforzi devono proseguire poiché, come per le altre strategie di integrazione definite a Cardiff, non devono essere interventi occasionali bensì impegni effettivi da onorare mediante processi permanenti.

    Nell'attuare la strategia, occorre prestare particolare attenzione a due obiettivi: promuovere le sinergie fra gli obiettivi ambientali e di sviluppo, soprattutto sulla scia del vertice di Johannesburg, nei paesi in via di sviluppo, e introdurre le procedure necessarie per valutare l'impatto ambientale di tutti i programmi di cooperazione allo sviluppo. Nella definizione della politica ambientale bisogna quindi tenere in debita considerazione le conseguenze per i paesi in via di sviluppo.

    Nell'ambito della politica commerciale, il programma di valutazione di impatto della sostenibilità (Sustainability Impact Assessment - SIA), elaborato per la prima volta nel 1999, continua ad essere perfezionato per informare i negoziatori delle possibili conseguenze sociali, ambientali ed economiche dei vari accordi commerciali. L'obiettivo consiste nell'integrare - ove possibile - i risultati di questa valutazione nei negoziati commerciali e definire - ove necessarie - eventuali misure di accompagnamento per massimizzare gli effetti positivi pur riducendo quelli negativi [93]. Inoltre, l'UE si adopera per integrare e discutere lo sviluppo sostenibile nel contesto dei negoziati commerciali bilaterali e regionali.

    [93] Sono già state realizzate SIA per l'Accordo di associazione UE-Cile e per determinati aspetti dell'agenda di sviluppo di Doha. Sono in fase di realizzazione o di prossimo avvio le SIA relative agli accordi con gli ACP, il Consiglio di cooperazione del Golfo e l'area euro-mediterranea di libero scambio.

    6.2.3. Contribuire a creare le condizioni per uno sviluppo sostenibile su scala mondiale

    Poiché il piano di attuazione di Johannesburg rappresenta un contributo fondamentale agli sforzi per ridurre la povertà, l'UE si è impegnata a conseguirne gli obiettivi. L'Unione continua inoltre a svolgere un ruolo leader nella promozione di altre azioni multilaterali in corso, intese ad assicurare una più ampia distribuzione dei benefici della globalizzazione e una riduzione della povertà, oltreché ad accrescere le risorse disponibili per lo sviluppo sostenibile nei paesi in via di sviluppo. A giudizio dell'UE, il piano di attuazione di Johannesburg, gli impegni in materia di aiuti pubblici allo sviluppo (Official Development Aid - ODA) assunti alla conferenza di Monterrey sul finanziamento dello sviluppo (2002) e i negoziati all'Organizzazione mondiale del commercio nel contesto dell'agenda di Doha per lo sviluppo (2001) costituiscono tre pilastri complementari e necessari per uno sviluppo sostenibile a livello mondiale.

    In questo contesto, occorre adottare misure concrete per rendere disponibili i più elevati livelli di ODA promessi a Monterrey onde contribuire all'Obiettivo di Sviluppo del Millennio, che consiste nel dimezzare il numero di poveri entro il 2015. Occorre proseguire gli sforzi per una tempestiva conclusione degli attuali negoziati in sede WTO, nel contesto dell'agenda di Doha per lo sviluppo, nonostante il deludente esito della quinta riunione ministeriale del WTO a Cancun, tenendo presente che l'agenda per la sostenibilità costituisce l'elemento di equilibrio senza il quale il sistema di libero scambio propugnato dal WTO non è in grado di promuovere una distribuzione più equa dei vantaggi della globalizzazione. In tale contesto, occorre incoraggiare adeguate misure di sostegno, potenziando ad esempio la responsabilità delle aziende, il commercio equo e sostenibile e i crediti alle esportazioni in linea con lo sviluppo sostenibile.

    Nel frattempo, l'UE continuerà a svolgere un ruolo chiave nel promuovere gli Accordi Multilaterali sull'Ambiente (AMA) - in particolare il protocollo di Kyoto ma anche altri, quali la convenzione sulla biodiversità [94] - e nel cercare nuovi mezzi finanziari per agevolare l'attuazione di tutti gli accordi multilaterali principali nonché la protezione dell'ambiente nei paesi in via di sviluppo. L'Unione continuerà altresì a sostenere attivamente il rafforzamento finanziario e istituzionale del programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEP) per accrescere la governance ambientale mondiale.

    [94] Cfr. sezione 3.2 - Natura e biodiversità.

    6.2.4. Accrescere la presenza dell'UE nel dibattito internazionale sull'ambiente

    La crescente consapevolezza dei problemi ambientali a livello mondiale registrata negli ultimi decenni e la successiva adozione di numerosi accordi multilaterali in materia di ambiente, come pure le numerose interdipendenze esistenti fra ambiente e sicurezza, richiedono un affinamento della diplomazia ambientale a livello comunitario. La strategia europea per la sicurezza, che dovrebbe essere adottata dal Consiglio europeo in dicembre, consente di trattare meglio le preoccupazioni comuni in materia di ambiente e sicurezza.

    Al Consiglio europeo di Salonicco, i capi di Stato e di governo hanno avallato una proposta della presidenza greca dell'Unione intesa a creare una "rete di esperti" per delineare un'iniziativa europea di "diplomazia verde" [95]. Tale iniziativa, concepita in una prima fase come una rete, dovrebbe consentire ai diplomatici o agli esperti designati di scambiare regolarmente informazioni e idee su questioni trasversali concernenti l'ambiente e lo sviluppo sostenibile nel quadro di negoziati bilaterali e multilaterali. Si tratta di uno sviluppo importante nell'attuazione della strategia di integrazione ambientale definita dal Consiglio "Affari generali", atto a consolidare l'influenza dell'UE nelle questioni ambientali di portata internazionale. La Commissione sta esaminando l'iniziativa e le sue implicazioni e interazioni con i meccanismi di coordinamento esistenti.

    [95] Cfr. sezione 2.2 - Le sfide future della politica ambientale.

    7. Conclusioni

    Il riesame ha evidenziato la necessità di accelerare il ritmo delle riforme per migliorare lo stato dell'ambiente nell'UE e a livello internazionale, disassociando le pressioni ambientali dalla crescita economica, in linea con quanto stabilito nel Sesto programma per l'ambiente e nella strategia dell'UE sullo sviluppo sostenibile.

    Dalle conclusioni del riesame emerge la necessità di un impegno ulteriore per rispettare gli obiettivi UE concernenti l'ambiente e lo sviluppo sostenibile. Bisogna cercare di garantire l'attuazione tempestiva della legislazione ambientale esistente; rafforzare la coerenza e l'integrazione delle politiche; continuare a promuovere lo sviluppo sostenibile su scala interna e mondiale; assicurare il buon esito dell'ampliamento e gettare fondamenta solide per le future politiche ambientali.

    Il Consiglio europeo di primavera del 2003 ha affermato che lo "sviluppo economico e sociale non sarà sostenibile nel lungo periodo se non si intraprenderanno azioni volte a contenere le pressioni ambientali e a preservare le risorse naturali nel contesto della strategia globale per lo sviluppo sostenibile varata a Göteborg. Ciò deve comprendere azioni per dissociare il degrado ambientale e l'uso delle risorse dalla crescita economica" [96].

    [96] Paragrafo 53, Conclusioni della Presidenza, Consiglio europeo di Bruxelles (20-21 marzo 2003).

    Nei prossimi anni bisognerà definire politiche equilibrate che stimolino la crescita e l'occupazione evitando al contempo di sottoporre l'ambiente e la salute pubblica a pressioni e minacce crescenti, con il fine ultimo di preservare la qualità della vita nostra e di quella delle generazioni future.

    (1) Attuazione

    Per migliorare le condizioni dell'ambiente è essenziale attuare la legislazione comunitaria vigente e le normative di altri settori che interessano l'ambiente. Si devono continuare gli sforzi in questa direzione e dare più importanza alla fattibilità al momento dell'elaborazione di nuovi testi legislativi.

    Nel contesto dell'ampliamento, la Commissione darà la priorità all'individuazione di fondi adeguati per gli investimenti necessari ad attuare l'acquis ambientale comunitario entro i periodi di transizione convenuti negli Atti di adesione.

    Per tradurre la legislazione in risultati concreti per l'ambiente, è importante che gli stati membri:

    * Completino i rispettivi piani nazionali di assegnazione previsti nella direttiva sul sistema comunitario di scambio delle quote di emissione, che dovranno essere presentati alla Commissione entro marzo 2004 e intensifichino gli sforzi di ripartizione degli oneri stabiliti nel protocollo di Kyoto, definendo e attuando strategie nazionali per i cambiamenti climatici.

    * Recepiscano e attuino il quadro normativo dell'UE sulla biotecnologia, ormai completato, per garantire un livello adeguato di protezione dell'ambiente e della salute pur stimolando l'innovazione e salvaguardando la competitività dell'industria comunitaria.

    * Recepiscano e attuino integralmente la legislazione esistente sulla gestione dei rifiuti e, riducano quindi l'incidenza delle operazioni di smaltimento.

    * Adottino tutti i provvedimenti necessari ad attuare tempestivamente la Direttiva Quadro sulle Acque, fondata sulla strategia attuativa comune, e altre direttive in materia per tutelare le risorse idriche.

    (2) Integrazione

    La politica ambientale, da sola, non è in grado di invertire tendenze in atto in campi politici dove le pressioni ambientali sono particolarmente intense. Si deve quindi continuare a promuovere l'integrazione dei requisiti di protezione ambientale in tutte le politiche e azioni comunitarie e quindi:

    * Continuare le azioni per meglio evidenziare i costi ambientali dei diversi modi di trasporto nei prezzi praticati agli utenti, nell'ottica di una completa internalizzazione. La tariffazione delle infrastrutture di trasporto deve rispecchiare meglio - e contribuire a internalizzare - i costi esterni.

    * Continuare a integrare l'ambiente nella politica agricola, in linea con la riforma della PAC decisa a giugno 2003, per soddisfare gli obiettivi definiti al vertice di Johannesburg e dal Sesto programma di azione per l'ambiente. A questo scopo:

    - è necessario proseguire la riforma delle organizzazioni comuni di mercato, con il fine ultimo di dissociare ulteriormente il sostegno ai produttori dalle sovvenzioni alla produzione mediante l'introduzione del pagamento unico per azienda;

    - la valutazione intermedia dei piani di sviluppo rurale permette di accrescere il contributo di tali piani al conseguimento di obiettivi della politica ambientale, soprattutto per i cambiamenti climatici e la tutela dei siti di Natura 2000

    * Facendo seguito alla recente riforma della politica comune della pesca, continuare l'integrazione dell'ambiente nel settore della pesca, come stabilito dal piano di azione della Commissione per l'integrazione dell'ambiente nella politica comune della pesca [97].

    [97] Comunicazione della Commissione sull'istituzione di un piano d'azione comunitario volto a integrare le esigenze di tutela dell'ambiente nella politica comune della pesca; COM(2002) 186 del 28 maggio 2002.

    * La politica di coesione deve continuare a contribuire agli obiettivi della politica ambientale.

    Parallelamente a questi sforzi bisogna consolidare l'integrazione della politica ambientale e:

    - sviluppare ulteriormente degli indicatori di integrazione, ispirandosi ai lavori nell'ambito dei trasporti (TERM), dell'agricoltura (IRENA) e dell'energia (ERM);

    - stabilire obiettivi di disassociazione per settore onde misurare i progressi verso la sviluppo sostenibile.

    - Inserire meccanismi di aggiornamento e riesame nelle strategie di integrazione del Consiglio per garantire che gli obiettivi si traducano in azioni visibili.

    * In linea con le conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di marzo 2003 [98], la Commissione procederà a un rilevamento annuo dell'integrazione ambientale.

    [98] Paragrafo 58, Conclusioni della Presidenza, Consiglio europeo di Bruxelles (20-21 marzo 2003).

    (3) La dimensione ambientale dello sviluppo sostenibile

    * Saranno prese tutte le iniziative necessarie per raggiungere un livello elevato di crescita economica e di coesione sociale nell'Unione garantendo allo stesso tempo la dissociazione dal degrado ambientale.

    * Va promossa una maggiore convergenza tra le politiche ambientali nazionali e dell'UE. A questo fine, la Commissione sosterrà analisi comparate e valutazioni inter pares fra Stati membri nonché l'individuazione e lo scambio di buone pratiche sulla dimensione ambientale delle strategie nazionali per lo sviluppo sostenibile.

    * Bisogna continuare a sviluppare indicatori ambientali e indicatori di sviluppo sostenibile tramite la task force istituita da Eurostat e di stretto concerto con gli Stati membri e l'Agenzia europea dell'ambiente;

    * Il riesame della strategia per uno sviluppo sostenibile previsto per il 2004, fornisce l'occasione di valutare i progressi finora compiuti, esaminare i nessi tra le strategie nazionali e comunitarie per lo sviluppo sostenibile e individuare le azioni prioritarie necessarie per accelerare il ritmo della riforma. Esso contribuirà inoltre a chiarire i nessi fra Göteborg, Lisbona e Cardiff e a integrare ulteriormente i pilastri interno ed esterno della strategia;

    * Il piano di azione sulle tecnologie ambientali (ETAP), previsto per la fine del 2003, proporrà misure concrete a livello UE e nazionale. La Commissione esaminerà inoltre - assieme al gruppo BEI - strumenti adatti a sostenere gli investimenti azionari nelle tecnologie ambientali;

    * Il quadro normativo per l'ambiente sarà ammodernato avvalendosi, ove opportuno, di strumenti di mercato per promuovere la protezione ambientale, ispirandosi alle raccomandazioni contenute nei grandi orientamenti di politica economica a partire dal 2001. La comunicazione concernente l'uso di strumenti basati sui meccanismi di mercato per la politica ambientale nel mercato interno, prevista nel 2004 chiarirà le interrelazioni tra i nuovi strumenti introdotti recentemente a livello UE quali lo scambio di quote di emissione, la tassazione dell'energia, le linee guida ambientali per gli aiuti di Stato ecc.

    * Una rapida adozione da parte del Consiglio della proposta della Commissione per una nuova politica dei prodotti chimici è prioritaria onde consentire la pronta entrata in vigore del sistema REACH.

    * L'adozione della direttiva sulla responsabilità ambientale va completata velocemente onde istituire un quadro di responsabilità ambientale a livello UE basato sul principio "Chi inquina paga".

    (4) Dimensione internazionale

    Per garantire la pronta attuazione con successo delle iniziative UE lanciate al vertice sullo sviluppo sostenibile, l'UE dovrà:

    * Portare avanti l'iniziativa UE sull'acqua con passi concreti, di concerto con i principali soggetti interessati. L'iniziativa sarebbe notevolmente rinvigorita se il Consiglio accettasse di stanziare un miliardo di EUR supplementari per lo strumento Acqua (Water Facility) da attuare nei paesi ACP, come proposto dalla Commissione.

    * Assumere un ruolo leader nella preparazione della conferenza mondiale sulle energie rinnovabili che avrà luogo a Bonn nel giugno 2004.

    * Portare avanti l'iniziativa dell'UE per l'eradicazione della povertà e lo sviluppo sostenibile e la coalizione di Johannesburg per l'energia rinnovabile, in particolare concordando obiettivi per l'energia rinnovabile.

    ALLEGATO

    Fatti e cifre che illustrano le tendenze ambientali in maggiore dettaglio

    Informazioni aggiuntive concernenti la direttiva sul sistema comunitario di scambio delle quote di emissione

    La direttiva prevede una fase introduttiva di scambio delle quote di emissione che riguarderà gli impianti di generazione di energia elettrica e termica e l'industria ad alta intensità energetica a partire dal 2005, come preludio all'entrata in vigore - nel 2008 - del sistema internazionale di scambio istituito ai sensi del protocollo di Kyoto. La Commissione valuterà la copertura del sistema nel 2004 e nel 2006 nell'ottica di una sua possibile estensione ad altri settori quali i trasporti, i prodotti chimici o l'alluminio.

    Gli Stati membri e i paesi di adesione procedono a ritmi serrati per attuare la direttiva. Un compito importante dei governi è l'elaborazione di un piano nazionale di assegnazione entro la primavera 2004, nel quale delineare la metodologia di definizione dei limiti riferiti ai gas a effetto serra e il risultante numero di quote per ciascun impianto al quale la direttiva fa riferimento.

    Ancora quest'anno la Commissione adotterà degli orientamenti per il monitoraggio e la comunicazione delle emissioni a livello di impresa. È altresì prevista l'adozione di un regolamento relativo a un sistema normalizzato e protetto di registri su cui annotare il rilascio, il trasferimento e la cancellazione delle quote di emissioni.

    Alla direttiva in oggetto si è aggiunta, a luglio 2003, una nuova proposta della Commissione per consentire alle imprese europee di realizzare progetti di riduzione delle emissioni su scala mondiale convertendo i crediti così maturati in quote di emissioni nel contesto del sistema comunitario per lo scambio di tali quote (proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità, riguardo ai meccanismi basati sui progetti del Protocollo di Kyoto, COM(2003) 403 def. del 23 luglio 2003).

    La proposta si ispira ai meccanismi flessibili di mercato denominati "attuazione congiunta" (Joint Implementation - JI) e "meccanismo per lo sviluppo pulito" (Clean Development Mechanism - CDM), introdotti dal protocollo di Kyoto per consentire ai governi di onorare parte degli impegni di riduzione delle emissioni nazionali di gas a effetto serra, realizzando progetti di riduzione di tali emissioni in altri paesi. Si tratta di conseguire gli obiettivi mondiali di riduzione delle emissioni in modo economicamente conveniente, con l'ulteriore vantaggio di trasferire tecnologie avanzate ad altri paesi industriali e in via di sviluppo. Mentre i progetti JI dovranno essere realizzati nei paesi industrializzati per i quali sono stati previsti obiettivi di riduzione delle emissioni, quelli di tipo CDM dovranno essere ospitati dai paesi in via di sviluppo per i quali tali obiettivi non sono stati stabiliti.

    Figura 1: Emissioni totali di gas a effetto serra (in equivalenti di co2) in percentuale dei livelli del 1990 e obiettivi del protocollo di Kyoto / dell'accordo di ripartizione degli oneri [99]

    [99] Le emissioni totali comprendono il paniere di 6 gas a effetto serra definito a Kyoto (CO2, CH4, N2O, HFC, PFC e SF6). Sono stati esclusi le emissioni e gli assorbimenti derivanti da variazioni della destinazione d'uso del territorio e silvicoltura. Le emissioni di Stati Uniti e Giappone nel 2000 si basano su stime Eurostat.

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    Il grafico illustra le emissioni di gas a effetto serra negli anni 1999, 2000 e 2001 in percentuale dei livelli del 1990, anno di riferimento per il protocollo di Kyoto. La sezione sinistra del grafico descrive la situazione mondiale delle emissioni rispetto agli obiettivi fissati dal protocollo per il periodo 2008-2012. L'obiettivo per i dieci paesi di adesione [100] - PA(10) - è puramente indicativo. Mentre per 7 di questi l'obiettivo di riduzione stabilito a Kyoto è pari all'8%, per la Slovenia scende al 6% e non è affatto previsto per Cipro e Malta.

    [100] I dieci paesi di adesione inclusi nel grafico sono quelli che entreranno a far parte dell'UE il 1º maggio 2004. Sono escluse Bulgaria, Romania e Turchia.

    Nel 2001 l'UE ha generato emissioni inferiori del 2,3% a quelle del 1990, ma ancora significativamente superiori al proprio obiettivo di Kyoto (-8% entro il 2008-2012).

    La sezione destra illustra le emissioni di gas a effetto serra degli Stati membri attuali rispetto agli obiettivi fissati nell'accordo di ripartizione degli oneri [101]. Benché manchino ancora 7-11 anni alla scadenza entro la quale tali obiettivi dovranno essere raggiunti, soltanto cinque Stati membri (Lussemburgo, Germania, Regno Unito, Francia e Svezia) sono vicini al traguardo. Altri (Austria, Belgio, Italia e Paesi Bassi) sono in ritardo. Le loro emissioni (che dovrebbero essere ridotte in misura variabile del 6-13%) sono non soltanto superiori ai livelli del 1990 ma addirittura in costante aumento su base annua e pertanto sempre più lontane dai rispettivi obiettivi di riduzione. La tendenza più preoccupante è quella in atto in Irlanda, Spagna e Portogallo. Benché l'accordo di ripartizione degli oneri consenta a questi paesi di accrescere le proprie emissioni del 13-27% rispetto ai livelli del 1990, tale massimale di aumento è stato già superato.

    [101] Gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra per l'UE e gli Stati membri sono stati adottati dal Consiglio del 4 marzo 2002 in una decisione sull'attuazione del Protocollo di Kyoto giuridicamente vincolante. Tale decisione ha inglobato le conclusioni del Consiglio del 16 giugno 1998, che definivano il contributo di ciascuno Stato membro all'obiettivo generale di riduzione dell'8% nell'intera UE, spesso denominato "Accordo di ripartizione degli oneri".

    Fonti: Agenzia europea dell'ambiente, Centro tematico europeo per le emissioni nell'atmosfera e il cambiamento climatico, Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamento climatico, U.S. Climate Action Report 2002, Terza comunicazione del Giappone (maggio 2002), autorità nazionali.

    Figura 2: Emissioni totali di gas a effetto serra nell'UE per settore come indice dei livelli del 1990 (sinistra) e in termini assoluti (destra)

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    Le curve illustrano le variazioni nelle emissioni di gas a effetto serra dei vari settori, espresse come indice delle emissioni del 1990. Fra il 1990 e il 2000, le emissioni sono state ridotte in tutti i settori tranne i trasporti, dove sono aumentate di circa il 20% rispetto ai livelli del 1990.

    Gli istogrammi a destra rappresentano le emissioni totali di gas a effetto serra nell'UE in termini reali e in termini di contributo relativo (%) di ciascun settore. Tutti i settori hanno ridotto la propria quota relativa, con l'unica eccezione dei trasporti la cui incidenza sul totale delle emissioni dell'UE è salita dal 17 al 21% fra il 1990 e il 2000.

    Nel 2000 il settore energetico ha contribuito più di ogni altro (27%) al totale delle emissioni comunitarie di gas a effetto serra. Trasporti e industria hanno rappresentato ciascuno il 21%: i tre settori indicati, dunque sono stati l'origine di circa il 70% di tutte le emissioni di gas a effetto serra nell'UE.

    Fonte: Banca dati IPPC dell'Agenzia europea per l'ambiente.

    Figura 3: Consumi interni lordi di energia dell'UE per tipo di carburante (milioni di tonnellate equivalenti petrolio) 1985-2001

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    Mentre nel loro insieme i consumi energetici interni dell'UE sono aumentati costantemente di circa l'1% l'anno a partire dal 1985, le quote relative ai singoli combustibili sono notevolmente cambiate. Da notare il calo percentuale dei combustibili solidi (carbone e lignite) e l'aumento del gas naturale, riconducibili alle variazioni della rispettiva redditività economica. Il petrolio resta predominante, con oltre il 40% sul totale dei consumi lordi totali interni.

    Il contributo delle energie rinnovabili è aumentato in termini assoluti, ma attualmente la quota delle energie rinnovabili rispetto al consumo totale di energia non è aumentata in modo significativo negli ultimi 16 anni.

    La categoria "Altri" (tra cui calore derivato e rifiuti industriali), incide per meno dello 0,5% sul totale in tutti gli anni considerati. Per il 2001, i valori relativi alle energie rinnovabili, e di conseguenza al totale dei consumi energetici interni, sono provvisori.

    Fonte: Base dati New Cronos di Eurostat.

    Figura 4: Elettricità prodotta da fonti rinnovabili in percentuale dei consumi lordi di energia elettrica nel 2000

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    Nel 2000 l'elettricità ha rappresentato circa il 20% dei consumi energetici finali dell'UE. Durante gli ultimi dieci anni, il tasso di crescita medio annuo dell'elettricità è stato pari a quasi due volte quello dei consumi energetici totali. La liberalizzazione dei mercati europei dell'energia potrà portare a una riduzione dei prezzi dell'elettricità che a sua volta potrà accentuare il maggiore uso di elettricità.

    I consumi di elettricità assumono particolare rilevanza in una prospettiva ambientale, in quanto l'energia elettrica è prodotta soprattutto da combustibili fossili, con un tasso di efficienza compreso fra il 30 e il 50%. Ciò significa che servono 2-3 unità di combustibili fossili per produrne una di elettricità. Un aumento della quota di energia elettrica prodotta a partire da fonti rinnovabili può pertanto apportare un contributo considerevole alla riduzione del costo ambientale associato all'uso dei combustibili fossili.

    Soltanto due Stati membri (Danimarca e Finlandia) generano oltre il 10% dell'energia elettrica mediante tecnologie rinnovabili diverse da quella idroelettrica, ad esempio solare ed eolica (incluse nella categoria 'altre rinnovabili').

    Gli obiettivi descritti rappresentano i valori di riferimento riportati nell'allegato alla direttiva 2001/77/CE sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili. Essi serviranno a definire gli obiettivi indicativi nazionali per i prossimi dieci anni. Occorre tenere presente che la definizione di biomassa data dalla direttiva comprende soltanto la frazione biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani, mentre nella raccolta dei dati relativi a tali rifiuti non si distingue fra la componente biodegradabile e quella non biodegradabile. In determinati casi questo può originare una sovrastima della quantità di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili. È tuttavia improbabile che tale stima per eccesso possa modificare sostanzialmente il quadro generale.

    Fonte: Agenzia europea dell'ambiente.

    Figura 5: Volume del trasporto di passeggeri UE-15 (in alto) e di merci (più in basso) per modo 1970-2000 con proiezioni per il 2010

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    Il grafico in alto mostra che l'automobile continua a essere il modo di trasporto dominante e rappresenta circa l'80% degli spostamenti totali di passeggeri nell'UE. Il modo di trasporto passeggeri più in rapida crescita è quello aereo che è in media raddoppiato ogni decennio dal 1970. Nel 2000 rappresentava il 6% del trasporto totale di passeggeri nell'UE. Le quote relative dei modi più favorevoli all'ambiente [102] hanno invece registrato un declino ogni decennio dal 1970.

    [102] Ferrovia, trasporto su strada mediante autobus, tram e metropolitana.

    Il grafico in basso mostra che le due forme dominanti di trasporto merci sono la strada (44% nel 2000) e la navigazione marittima (41% nel 2000). La ferrovia, un modo di trasporto più favorevole all'ambiente non solo ha perso la sua quota relativa ogni decennio a partire dal 1970, ma ha anche registrato un declino in termini assoluti.

    Ogni modo di trasporto ha comunque un impatto diverso sull'ambiente e l'impatto ambientale di molti mezzi di trasporto è considerevolmente diminuito nel tempo.

    Le proiezioni per il 2010 sono state calcolate applicando il tasso di aumento registrato da ciascun modo di trasporto nel 1990-2000 fino al periodo 2000-2010.

    Fonte: Base dati New Cronos di Eurostat.

    Figura 6: Agricoltura biologica in percentuale della superficie agricola totale

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    La percentuale di terreni agricoli destinata all'agricoltura biologica continua a crescere di anno in anno in quasi tutti gli Stati membri. Esiste tuttavia una notevole disparità fra i vari Stati membri in termini sia di tasso di incremento sia di percentuale totale di superficie utilizzata per coltivazioni biologiche (dallo 0,6 all'8% della superficie agricola totale). Nel 2000 la media per l'UE era pari al 3% della superficie agricola totale, mentre nei paesi di adesione si collocava a un livello notevolmente inferiore (circa lo 0,35%).

    Nota: l'elevato tasso di incremento nel Regno Unito va ricondotto alla conversione di grandi aziende agricole in Scozia.

    Fonte: Agenzia europea dell'ambiente, Eurostat, Indagine sulla struttura delle aziende agricole 2000.

    Figura 7: Percentuale di catture in acque dell'UE nel 2001 considerate superiori ai "limiti biologici di sicurezza" (LBS) e catture totali in tonnellate

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    Bentoniche Gamberi, pesce piatto, rana pescatrice.

    Demersali Merluzzo, eglefino, merlano, nasello e altri pesci tondi.

    Diadrome Salmone, trota di mare.

    Industriali Spratto, cicirello, busbana norvegese.

    Pelagiche Aringa, acciuga, sardina, suro, scorfano.

    Il 40% delle catture totali dell'UE proviene da stock ritenuti inferiori ai limiti biologici di sicurezza, Per determinate tipologie di pesce - in particolare demersali e diadrome - la percentuale sale al 60%. Nel caso di specie quali il merluzzo e il nasello, la situazione è ancora più grave. Il grafico riporta la quota percentuale di ogni tipologia sul totale delle catture nell'UE nel 2001

    I dati si fondano sulle relazioni ACFM 2001-2002 del CIEM e si riferiscono a tutti gli stock CIEM che l'UE gestisce da sola o in comune. Essi comprendono anche le catture di paesi terzi. In generale, si ritiene che uno stock rientri nei limiti biologici di sicurezza se la pressione di pesca (le catture) e altre cause di mortalità (predatori, ecc.) non superano il tasso di reclutamento e crescita dello stock. In caso contrario, la biomassa riproduttiva scende a livelli inferiori a quelli considerati "di sicurezza".

    Fonte: Consiglio internazionale per l'esplorazione del mare (CIEM).

    Figura 8: Rete Natura 2000: sufficienza delle proposte degli Stati membri (alla data del 30.6.2003)

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    La rete Natura 2000 impone agli Stati membri di preparare siti per la protezione di un elenco di specie e habitat definiti di interesse comunitario. Il grafico mostra la percentuale di specie e habitat alla data del 30 giugno 2003, per i quali le proposte degli Stati membri sono state considerate sufficienti ai fini della creazione della rete [103].

    [103] I criteri per decidere quali specie e habitat vadano protetti figurano nell'allegato 3 alla direttiva "Habitat". L'elenco definitivo di specie e habitat conformi ai criteri è redatto per ciascuno Stato membro in consultazione con gli Stati membri stessi e con i soggetti interessati. Il processo garantisce la copertura di tutte le sei principali regioni biogeografiche dell'UE (macaronesica; alpina; atlantica; mediterranea; boreale; continentale).

    Il quadro generale è moderatamente positivo, ma bisogna garantire la protezione di tutte le specie e degli habitat necessari onde arrestare la perdita di biodiversità entro il 2010.

    NB: La Commissione ha recentemente ricevuto numerose proposte dalla Germania che non sono incluse nel grafico. Le proposte hanno raddoppiato il numero di siti proposti in Germania e dovrebbero ridurre in modo significativo le lacune rilevate.

    Gli indicatori di zone protette illustrano le reazioni politiche e il livello di attuazione ma non forniscono dati sulla perdita di biodiversità che è stato possibile bloccare. L'Agenzia europea dell'ambiente continua a lavorare su un indice di biodiversità che dovrebbe essere completato alla fine del 2004.

    Fonte: European Topic Centre / European Environment Agency

    Per maggiori dettagli consultare

    Figura 9: Indicatore paneuropeo di popolazioni di uccelli selezionati di terreni coltivabili e boschivi

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    L'indicatore è il primo che concerne le popolazioni di uccelli europei [104]. Vi è stato un marcato declino di specie comuni di uccelli presenti su terreni agricoli e boschivi a partire dagli anni 1980. Essi rappresentano ora soltanto il 71% dei livelli 1980. Questo dato è significativo considerato l'obiettivo UE di bloccare la perdita di biodiversità entro il 2010. Questo declino è in gran parte attribuibile ai cambiamenti delle pratiche agricole, compreso un passaggio a pratiche più intensive.

    [104] Paesi UE: Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Regno Unito. Paesi di adesione: Estonia, Lettonia, Polonia, Repubblica ceca, Ungheria. Paesi EFTA: Norvegia, Svizzera.

    Gli uccelli sono considerati un buon indicatore della biodiversità con riferimento alla loro capacità di modifiche alimentari in quanto riflettono i cambiamenti negli ecosistemi, sono ampiamente diffusi in Europa e possono essere monitorati accuratamente.

    L'indice è basato su dati relativi a 23 specie di uccelli di terreni agricoli comuni e 24 specie di uccelli di terreni boschivi comuni in 18 paesi europei, tra cui 11 Stati membri e 5 paesi di adesione.

    Fonte: Royal Society for the Protection of Birds / European Bird Census Council / BirdLife International.

    Figura 10: Intensità energetica dell'economia

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    Il grafico mostra l'intensità energetica di vari stati membri rispetto ai paesi di adesione, agli Stati Uniti d'America e al Giappone. Si osservano varie tendenze significative. In primo luogo i paesi di adesione la cui intensità energetica era cinque volte meno efficiente di quella dell'UE negli anni 1990, hanno registrato netti miglioramenti nell'ultimo decennio. Nel 2000, tuttavia, i paesi di adesione [105] presentavano ancora, in media, un'efficienza energetica tre volte inferiore a quella degli stati membri.

    [105] Esistono ampie variazioni tra i paesi di adesione circa l'intensità energetica. Ad esempio nel 2000 Cipro aveva un valore di 236 kg equivalenti petrolio per 1 000 EUR del PIL, la Lettonia 1 316 kg equivalenti petrolio per 1 000 EUR del PIL. Le variazioni tra Stati membri erano nettamente minori. Il paese più efficiente dal punto di vista energetico era la Danimarca con un valore di 124 kg equivalenti petrolio per 1 000 EUR del PIL e quello meno efficiente la Grecia con 264 kg equivalenti petrolio per 1 000 EUR del PIL.

    In secondo luogo l'efficienza energetica nell'UE è migliorata lentamente ma costantemente nel periodo 1985-2000 in media di poco più dell'1% l'anno. In terzo luogo l'UE è nettamente più efficiente sotto il profilo dell'energia degli Stati Uniti d'America, ma meno del Giappone. Va notato comunque che i cambiamenti di efficienza energetica non sono soltanto dovuti all'introduzione di tecnologie e processi energetici più efficienti, ma anche a cambiamenti nella struttura dell'economia, come il passaggio da un'industria manifatturiera a un'industria terziaria. Sull'intensità energetica possono anche incidere le dimensioni geografiche di un paese.

    Fonte: Base dati New Cronos di Eurostat.

    Top